Il Tasso temperante di Goldoni - Associazione degli Italianisti
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Il Tasso temperante di Goldoni - Associazione degli Italianisti
Associazione degli Italianisti XIV CONGRESSO NAZIONALE Genova, 15-18 settembre 2010 LA LETTERATURA DEGLI ITALIANI ROTTE CONFINI PASSAGGI A cura di ALBERTO BENISCELLI, QUINTO MARINI, LUIGI SURDICH Comitato promotore ALBERTO BENISCELLI, GIORGIO BERTONE, QUINTO MARINI SIMONA MORANDO, LUIGI SURDICH, FRANCO VAZZOLER, STEFANO VERDINO SESSIONI PARALLELE Redazione elettronica e raccolta Atti Luca Beltrami, Myriam Chiarla, Emanuela Chichiriccò, Cinzia Guglielmucci, Andrea Lanzola, Simona Morando, Matteo Navone, Veronica Pesce, Giordano Rodda DIRAS (DIRAAS), Università degli Studi di Genova, 2012 ISBN 978-88-906601-1-5 Il Tasso temperante di Goldoni Laura Sannia Nowé Una crisi di crescenza Andata in scena durante il carnevale del 1755, la commedia Torquato Tasso riscosse a Venezia «un succès si général et si constant, – scrive Goldoni nei Mémoires – qu’elle fut placée par la voix publique dans le rang, je ne dirai pas des meilleures, mais des plus heureuses de mes productions»1. In essa troviamo un “carattere” ispirato all’autore della Liberata che si aggiunge ai molti volti della mitografia tassiana inaugurata dalle biografie seicentesche, a cominciare da quella di maggiore incidenza e durata di Gian Battista Manso2 La piéce va a completare una trilogia a forte valenza autobiografica alla quale Goldoni lavora negli anni 1753-55: Il Moliere, rappresentata per la prima volta a Torino, nel 1751, ma ripresa in mano per la stampa, nel 1753, del secondo volume della edizione Paperini3; Il Terenzio e Torquato Tasso, appunto, della stagione teatrale 1754-55, la prima apparsa nell’autunno, la seconda nel carnevale seguente. Tre scrittori, dunque, eroi eponimi nei quali per diversi aspetti e a vario titolo Goldoni si «interna»: così, nell’Autore a chi legge della commedia nella edizione Pitteri4, egli spiega il proprio rapporto profondo col poeta ferrarese per via della comune ippocondria, in un momento di particolare complessità esistenziale dal punto di vista professionale, familiare e personale5. Le implicazioni metateatrali, che traspaiono evidenti nelle prime due commedie dalla elezione di due protagonisti dello stesso “mestiere”, assumono nel Tasso piuttosto la connotazione di una riflessione e difesa di scelte letterarie e linguistiche che angustiano entrambi i poeti, afflitti dalle 1 Si cita da CARLO GOLDONI, Tutte le opere, a cura di Giuseppe Ortolani, Milano, Mondadori, 1935-1956, 14 voll.; la cit. dai Mémoires (parte seconda, cap. XXXII; vol. I, pp. 1-619) è a p. 386. Nelle citazioni si ricorre alla sigla MN, seguita dai numeri romani per indicare il volume e dalle cifre arabe per le pagine. Salvo indicazione contraria, nelle citazioni i corsivi sono miei. 2 Vita di Torquato Tasso, Venezia, Evangelista Deuchino, 1621, che è stata ripubblicata a cura di Bruno Basile, Roma, Salerno, 1995. Per la mitografia tassiana fino alla svolta romantica cfr. ALESSANDRA COPPO, All’ombra di Malinconia. Il Tasso lungo la sua fama, Firenze, Ed. Le Lettere, 1997 e M.L. DOGLIO, Origini e icone del mito di TT, Bulzoni 2002. 3 Vedi l’edizione critica curata da BODO GUTHMÜLLER, Edizione Nazionale delle Opere, Venezia, Marsilio, 2004 (d’ora in avanti sigla EN, seguita dall’anno e dalle pagine). 4 Cfr. Nuovo teatro comico, Venezia, Francesco Pitteri, tomi X, 1757-1763/64. Qui si cita il testo curato da Ortolani (MN, V, pp. 763-848) che dichiara (p. 1382) di fondarsi sulle edizioni Pitteri (III, 1758) e Pasquali (XVI, 1777-1779). La cit. de L’Autore a chi legge è a p. 774. Per una sintetica ma puntuale ed esaustiva descrizione critica dello status quaestionis editoriale si veda Le edizioni dei testi a cura di Anna Scannapieco (in SIRO FERRONE, La vita e il teatro di Carlo Goldoni, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 183-191) alla quale si deve la datazione dei volumi. 5 Sulle traversie goldoniane dell’annus horribilis 1754, e i contraccolpi nei successivi, cfr. almeno CARMELO ALBERTI, Goldoni, Roma, Salerno, 2004, pp. 182-187, e 201-204. medesime ansie “da tavolino”6; quell’angoscia che rischia di seccare le fonti dell’ “invenzione” del commediografo, come Flaminia confermava nell’Introduzione all’anno comico 1754, comunicando preoccupata che era pronta appena una commedia [Il Terenzio] e il pubblico, pur affezionato, meditava già di non “rinnovare l’abbonamento” per la stagione teatrale7. In virtù, invece, di una solida connessione tra identità sociale, spauracchi depressivi e insicurezza materiale, un filo rosso comune connette il Tasso ad altre due opere di questo periodo biograficamente assai accidentato, e cioè Il filosofo inglese, dell’autunno del 1754, e Il medico olandese del 1756: sono commedie che sondano le possibilità dell’“esotico occidentale”, nelle quali l’elezione della razionalità si traduce in opzioni di rapporti interpersonali e di vita quotidiana8 in un “altrove” meno fantastico rispetto alle pièces esotiche vere e proprie inaugurate da La Sposa persiana (1753). Da circa venti anni a questa parte9 gli studiosi esaminano, attraverso lo spoglio di nuovi documenti e con rinnovate analisi critiche, le cause, le caratteristiche e gli esiti del periodo di ricerca drammaturgica successivo alla prima folgorante stagione della collaborazione con la compagnia Medebach, dalla quale sortì la scommessa, vinta, delle sedici commedie capaci di colmare l’intera stagione 1750-51 con le proposte spettacolari di un unico autore. Schiacciata fra questo primo atto della carriera comica di Goldoni e quello dei “capolavori” della maturità antecedenti la partenza per Parigi, per molti anni la produzione degli anni 1753-1759 non ha goduto di particolari favori critici. 6 A giudizio di MASSIMO RIVA (Saturno e le Grazie. Malinconici e ipocondriaci nella letteratura italiana del Settecento, Palermo, Sellerio, 1992, in particolare pp. 144- 148), alla luce delle dottrine mediche del XVIII secolo non poche differenze intercorrerebbero fra le caratteristiche del “malinconico” conferite da Goldoni al suo personaggio, confinante con una forma di arcana “pazzia”, e i “vapori” ipocondriaci patiti dall’autore, controllabili dalla ragione, confessati nei Mémoires e precedentemente nelle prefazioni alle commedie. ! 7 Cfr. MN, vol V, p. 605. 8 Sull’adesione al pensiero illuministico cfr. SERGIO ROMAGNOLI, Carlo Goldoni e l’illuminismo in Italia, in Carlo Goldoni 1793-1993, atti del Convegno del Bicentenario (Venezia, 11-13 aprile 1994), a cura di Carmelo Alberti e Gilberto Pizzamiglio, Venezia, Regione del Veneto, 1995, pp. 55-78. Spunti per un collegamento si trovano in ROBERTA TURCHI, Il dottor Bainer, medico olandese, in «La Rassegna della letteratura italiana», n. 2, 2007, pp. 58-75. Il numero è dedicato a Carlo Goldoni. Mestieri e professioni in scena. Per la nozione di “esotico occidentale” cfr. ALESSANDRO ZANIOL, Filosofi, mercanti, servitori: le ‘spie’ inglesi del teatro goldoniano tra stilizzazione esotica e modello culturale, in Tra commediografi e letterati. Rinascimento e Settecento veneziano. Studi per Giorgio Padoan, a cura di Tiziana Agostini-Emilio Lippi, Ravenna, Longo, 1997, pp. 185-207. 9 Com’è noto, la bibliografia di e su Goldoni ha ricevuto uno straordinario impulso dalle celebrazioni del secondo centenario dalla morte e del terzo dalla nascita (1993 e 2007), a cominciare dall’impresa della Edizione Nazionale per finire con la ricca messe di convegni, tenutisi in Europa e oltre Atlantico, non solo sul Goldoni veneziano ed europeo, ma anche sui suoi nemici solidali Chiari e Gozzi, e la cultura lagunare. Alle voci già menzionate, anche per ragioni di spazio ci limitiamo ad alcune altre più utili per la commedia in questione, rinviando all’eccellente nuovo profilo di SIRO FERRONE, La vita e il teatro di Carlo Goldoni, cit., e alla sua aggiornata Nota bibliografica (pp. 205-219): GINETTE HÉRRY, 1756-1758: Venezia a teatro ossia Carlo Gozzi prima di Carlo Gozzi, in Carlo Gozzi scrittore di teatro, a cura di C. Alberti, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 33-82; CARMELO ALBERTI, Gare e contrasti tra due «poeti comici» negli anni 1753-1756, in Tra libro e scena, a cura di Carmelo Alberti e Ginette Hérry, Venezia, Il Cardo, pp. 61-101, poi rimaneggiato in ID., Goldoni, cit.; EAD., Per un Goldoni nuovo, in Carlo Goldoni, cit., pp. 99-118; LAURA RICCÒ, «Parrebbe un romanzo»: polemiche editoriali e linguaggi teatrali ai tempi di Goldoni, Chiari, Gozzi, Roma, Bulzoni, 2000; ANNA SCANNAPIECO, Scrittoio scena torchio: per una mappa della produzione goldoniana, in PCG, VII, 2000, pp. 25-242 (per il Tasso, pp. 95-96 e 169); CARLO GOLDONI, Polemiche editoriali. Prefazioni e polemiche, I, a cura di Roberta Turchi, EN, 2009; Parole, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, a cura di Giulietta Bazoli e Maria Ghelfi, Venezia, Marsilio, 2009. L’inversione della prospettiva nell’affrontare la questione si deve a Franco Fido che, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, esaminando l’attività goldoniana al San Luca sotto il profilo letterario e “spettacolare”, ravvisava pure in questa i segni di una «inesauribile vitalità». Su questa linea, con argomentazioni più e meno sfumate, si situano altre indagini che ora insistono sulla individuazione degli elementi problematici, ora paiono valorizzare l’azzardo innovativo del poeta, al punto di cancellare le connotazioni sfavorevoli (anni bui, difficili) a vantaggio di una definizione priva di qualsiasi contrassegno negativo (« “secondo tempo” veneziano della storia»di Goldoni)10. Negli studi dedicati al teatro goldoniano Torquato Tasso non compare che fuggevolmente, in genere a proposito dell’uso del martelliano, oppure a commento della proiezione dell’autore in personaggi del passato remoto e recente, in “figura” dei quali egli contrasterebbe gli avversari, facendo ricorso alle «armi della finzione teatrale»; ma, sulla scia dell’accentuazione autobiografica suggerita dallo stesso autore, i critici si sono soffermati sulla similarità ravvisabile fra i “caratteri” inquieti della scena e il “personaggio” Goldoni in preda a “vapori” ricorrenti11. Benché questo permanga, a parer nostro, un aspetto centrale nella lettura del Tasso, sembra necessario incrociarlo con l’analisi dell’intreccio comico, dal quale emergono gli sforzi di una sperimentazione che intarsia tessere già usate con altre originali, specialmente in rapporto al poeta tanto familiare ai veneziani 12 . A queste presenze – caratteri molteplici, “passione” d’amore sconfinante nella temporanea follia, recitazione di passi famosi della Liberata – si deve forse il successo registrato dal commediografo presso il pubblico contemporaneo; mentre noi moderni continuiamo a interrogarci sull’esercizio di autocontrollo di quella malinconia d’autore che, secondo Anglani, «indica l’itinerario più corretto per la ricostruzione del particolare filo autobiografico che lega l’esperienza dell’autore alla scrittura delle opere»13. 10 Si vedano FRANCO FIDO, Le illusioni e i mostri degli anni difficili al teatro San Luca (1977) in ID., Nuova guida a Goldoni. Teatro e società nel Settecento, Torino, Einaudi, 20002 (suo, a p. 122, il giudizio espresso dal titolo del paragrafo), pp. 121-135; CARMELO ALBERTI, Le commedie degli anni bui 1753-1759, cap. VII di Goldoni, cit.; PIERMARIO VESCOVO, Carlo Goldoni: la meccanica e il vero, in ILARIA CROTTI-PIERMARIO VESCOVO-RICCIARDA RICORDA, Il “Mondo vivo”. Aspetti del romanzo del teatro e del giornalismo nel Settecento italiano, Padova, Il Poligrafo, 2001, pp. 55-152 (la citazione è a p. 103); del medesimo vedi Goldoni teorico, in «Quaderni veneti», 34, 2001, pp. 165-177. 11 Cfr. FIDO, Le illusioni e i mostri degli anni difficili, cit., p. 124 e VESCOVO, Carlo Goldoni: la meccanica e il vero, cit., p. 107. Vedi pure MASSIMO RIVA, Saturno e le Grazie, cit., pp. 144- 148 e ALESSANDRA COPPO (All’ombra di Malinconia, cit., pp. 179-190) che alla commedia consacra molte pagine, ma sotto il profilo tematico (le figure di Tasso) non drammaturgico. Vedi, infine, il recente studio di VALERIO IACOBINI, (Molière, Terenzio e Tasso: il passato riformato e la Riforma presente. Riflessi estetici dell’altro letterario in Carlo Goldoni, in «Studi (e testi) italiani», n. 17, 2006, p. 187-208; sul Tasso, pp. 196-200), che mira a dimostrare la valenza metateatrale di quella che viene chiamata «trilogia biografica». Si segnala anche una edizione “spicciolata” della commedia, a cura di Dante Maffia, Catanzaro, Abramo, 1993. 12 Goldoni lo sottolinea nel cit. L’Autore a chi legge, ricordando la popolarità dei versi tassiani, recitati o cantati «dal primo rango de’ suoi cittadini sino all’infimo della plebe», come testimonia la traduzione in veneziano dal titolo El Goffredo del Tasso cantà alla barcariola, di Tomaso Mondini, pubblicata nel 1693, della quale Piermario Vescovo ha introdotto e curato la riproduzione anastatica presso Marsilio, 2002. 13 BARTOLO ANGLANI, Le passioni allo specchio. Autobiografie goldoniane, Roma, Kepos, 1996, p. 108. I materiali e l’“invenzione” comica Goldoni ebbe forse tra le mani La vita di Torquato Tasso di Gian Battista Manso, nella quale figurano la notizia e i primi tre versi del madrigale Cantava in riva al fiume che Torquato scrive in scena ad apertura di sipario14; ma non pare indispensabile ipotizzarlo, almeno sulla base delle coincidenze tematiche e verbali riscontrabili nell’Autore a chi legge 15 . Tutte le informazioni biografiche, infatti, nella loro esatta successione fino al ritorno dal viaggio in Francia, e poi intervallate da commenti originali di Goldoni, si trovano in quello che ci pare il suo primario strumento di lavoro: la voce del Grand Dictionnaire Historique di Louis Moréri, uscito nel 1684 a Parigi e considerevolmente aumentato nell’ultima edizione del 1740, che l’editore Pitteri vendeva a Venezia16. Il commediografo cita la sua fonte “autorizzante” soltanto per il nucleo “commediabile” sul quale tesse l’intreccio, la presenza a corte delle tre Eleonore; tutto il resto si sente libero di tradurlo alla lettera dal Dictionnaire il quale, a sua volta, assume sicuramente Manso come “fonte”, ma non esclusivamente, se è vero che la città natale per Moréri e Goldoni è Bergamo, Sorrento per il biografo del Seicento, come pure per Torquato e Tomìo (cfr. III. 8). Mentre non è questa la sede per accertare debiti e crediti di Goldoni nel tratteggiare il carattere del personaggio, è da rilevare, invece, con Alessandra Coppo, che per la prima volta la vita del poeta di Aminta ispira un soggetto drammatico; ma soprattutto interessa soffermarsi sulle modalità di trattamento di quella “fonte”. Il commediografo, lo sappiamo, è in ritardo nell’allestimento degli spettacoli per la stagione, procede a spron battente, non ha né il tempo né la calma necessari per leggere una corposa biografia del suo eroe, come invece risulta avere fatto per Il Moliere17; per questo motivo preferisce la voce di Moréri, che gli lascia ampi margini di intervento per delineare sia l’ambiente cortigiano, sia i tratti originali del protagonista, soprattutto uno, come vedremo, che contrasta con l’immagine vulgata prevalente del melanconico di umore instabile; benché nella commedia appaia anche quest’ultima costante, alimentata dal comportamento del cortigiano che 14 Cfr. Vita, parte prima, cap. IX, ed. cit., p. 44 e TORQUATO TASSO, Le Rime, a cura di Bruno Basile, Roma, Salerno, 1994 (I Diamanti), n. 346, pp. 308-309, che riproduce le Rime edite da Bruno Maier a partire dall’edizione critica di Angelo Solerti (1898-1902, 4 voll.). Goldoni trascrive i primi tre e gli ultimi due della lirica: «Cantava, in riva al fiume, / Tirsi, d’Eleonora, / E rispondean le selve e i rami: / Or chi fia che l’onori, e che non l’ami?». 15 È dato per certo, invece, da ALESSANDRA COPPO, op. cit., pp. 184-185. Il luogo successivo è a p. 179. 16 Le Grand Dictionnaire Historique, ou Le Mêlange curieux de l’Histoire sacrée et profane qui contient en abregé les Vies et les actions remarquables […] Par Mre. Louïs Moreri, Prêtre, Docteur en Théologie, Dix-Huitieme et derniere Edition, Revue, corrigée & augmentée très considérablement, tome Huitieme. Lettres Seh-Z., MDCC XL. Il medesimo è consultato per la commedia Terenzio: cfr. BODO GUTHMÜLLER, «Je pris pour sujet de ma Piece Térence l’Africain,comme j’avois fait quelques années auparavant du Térence François». Appunti sul Terenzio di C.G., in Parola, musica, scena, lettura, cit., pp. 135-149. Per Moréri cfr. Bibliotheca enciclopedica. Catalogo del fondo storico della Biblioteca dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, fondata da G. Treccani p. 153 (www.treccani.it), dal quale si evince l’inesistenza di una traduzione in italiano. 17 Cfr. BODO GUTHMÜLLER, Commento a Il Moliere, cit., pp. 181-182. esaspera Torquato con la sua curiosità e perciò prima è sfidato a duello (II,7) poi da lui inseguito minacciosamente con la spada sguainata (IV, 13). Goldoni opera in questo frangente in direzione amplificatoria, invece che riduttiva, schivando le considerevoli difficoltà incontrate, per esempio, nella trasformazione del romanzo di Richardson “ad uso della scena”, nella Pamela fanciulla. A tal fine dà vita a molteplici caratteri: i tre “forestieri” (don Fazio napolitano, il signor Tomìo veneziano, Patrizio romano) che rivendicano ciascuno il vanto di ospitare Torquato nella propria città (Napoli, Venezia, Roma), le tre Eleonore (la marchesa, «vedova, dama d’onore della duchessa»18, la moglie del cortigiano ficcanaso, la cameriera della marchesa) che, a loro volta, si contendono il ruolo di musa ispiratrice e destinataria della passione del poeta, i due cortigiani (don Gherardo e il Cavalier del Fiocco) che impersonano dei difetti, come il genere esige (l’invadente curiosità e la critica malevola), infine un servitore (Targa) che si incarica di divertire la platea con la vivace mobilità e qualche battuta grassoccia (nella sc. II, 2 madrigale fa rima con orinale!). La miscela goldoniana persegue l’obbiettivo di rappresentare le passioni, come il drammaturgo altrove osserva, con «tanta forza e tanta delicatezza […], quanto in una Tragedia richiederebbesi»19, mirando a tessere una pièce rispondente alla nozione di “alto comico” che implica il «ridicolo nobile»20. Di contro all’ampliamento mirante a riprodurre un affresco drammatizzato della quotidianità, si verifica una concentrazione degli eventi. Come in Pamela, la categoria temporale è pesantemente piegata alle necessità di una drammaturgia ancora ossequiente all’unità di tempo. La conseguenza, nel Tasso, è che si dànno per contigui eventi distanti fra loro circa quindici anni: il successo della Liberata, che la marchesa legge fresca di stampa (I, 6) – siamo perciò nel 1581 – e l’annunciata incoronazione con l’alloro poetico a Roma del 1595, promessa da Patrizio nella penultima scena21. Ma Goldoni doveva avere sul tavolino anche le opere complete di Tasso. Nella finzione comica, Torquato, intento alla revisione della Liberata, lascia sul tavolo da lavoro le sue carte nelle quali il pettegolo geloso don Gherardo fruga (I. 5); oltre al madrigale, sono trascritti alcuni versi che effettivamente l’autore modificò nella Conquistata. Ci fornisce un indizio utile un passo dei Mémoires (II, 32) nel quale il vecchio autobiografo inquadra la composizione della commedia nella polemica con i letterati, escludendo (negazione freudiana!) proprio la società dei «Granelloni» 18 Per degni rispetti (L’Autore a chi legge, cit., p. 772) Goldoni afferma di avere finto che le preferenze di Tasso si appuntassero su una dama di corte desiderata dal duca, rimasto vedovo, piuttosto che sulla sorella del medesimo. 19 L’Autore a chi legge di Pamela fanciulla (già presente nell’ ed. Paperini del 1753), in C. G., Pamela fanciulla Pamela maritata, a cura di Ilaria Crotti, EN, 1995, p. 79. 19 L’Autore a chi legge di Pamela fanciulla (già presente nell’ ed. Paperini del 1753), in C. G., Pamela fanciulla Pamela maritata, a cura di Ilaria Crotti, EN, 1995, p. 79. 20 Cfr. la Lettera dell’Autore all’Editore del 29 aprile 1752, in C. G., Il cavaliere e la dama, a cura di Franco Arato, EN, 2003, p. 167. 21 Per le operazioni implicate nella drammatizzazione di un testo narrativo, cfr. GÉRARD GENETTE, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997 (trad. it di Palimpsestes. La littérature au second Degré, Paris, Seuil, 1982), p. 317 ss; in particolare per l’uso della voce biografica, pp. 334-37. «dont les Comtes Gozzi, freres, faisoient de mon tems le principal ornement», che invece la critica moderna ipotizza, almeno per quanto riguarda Carlo, essere antagonista culturale e professionale di Goldoni già dal 175522. Scrive: «J’étois dans mon cabinet, je tournai les yeux vers les douze volumes in-quarto des Ouvrages de cet Auteur; et je m’écriai […]»23. Il controllo sull’edizione Delle opere di Torquato Tasso con le controversie sopra la Gerusalemme liberata e con le annotazioni intere di varj Autori, notabilmente in questa impressione accresciuta, in 12 tomi in quarto, pubblicata a Venezia tra il 1735 e il 1742, presso Stefano Monti, non soltanto conferma l’esattezza delle citazioni, ma suggerisce di ritrovare nel corposo apparato di commento, elementi utili per la spiegazione di un verso chiave dell’episodio di Rinaldo pentito (G.L., XVI, XXXIV, 4: «Sdegno guerrier della ragion feroce»), fornita proprio dal veneziano Tomìo, alter ego del drammaturgo non meno del delirante Torquato. Un Tasso “temperante” La commedia di cinque atti, in versi martelliani, ha un intreccio molto esile che, come si accennava sopra, fa perno su alcuni spunti tematici e sull’introduzione di caratteri inventati, oltre che, naturalmente, sul fascino dei versi della Gerusalemme, utile chiave di interpretazione per i personaggi che li recitano24. Fattore cardinale è la suspense creata dal protagonista intorno al vero oggetto della sua passione amorosa: indispensabile per bienséance – il povero poeta non osa rivelare di avere riposto il proprio amore nella futura moglie del duca – , sotto il profilo drammaturgico la presenza di ben tre Eleonore a corte è legittimata da Goldoni da una duplice “scoperta del procedimento”. Ne sono responsabili i personaggi più pragmatici: da una parte, la cameriera Eleonora (I.7), molto prossima al comportamento di una “servetta” per il linguaggio maliziosamente allusivo («E fuor della ricchezza, ho anch’io quel che hanno tutte», II.5), per la capacità di spillare truffaldinamente quattrini (II.6) e per la delusione risentita che la esclude dal “tutti in scena” finale (V. 11); dall’altra, Tomìo Salmastrelli («No parla una panchiana sul stil dei commedianti? / Sta cossa se in commedia, se in scena mi la vedo, / Digo l’autor xe matto, no pol star, no lo credo», IV.8), un cortesan maturo, sensibile alle bellezze femminili, ma prudente nel fuggire i rischi di una loro seria frequentazione (IV.1 e 2)25. L’arcano è svelato soltanto nella 22 Cfr. GINETTE HÉRRY, 1756-1758: Venezia a teatro, pp. 33-82, specialmente pp. 54-58. Mémoires, parte seconda, cap. XXXII, cit., pp. 385-386 e 383. 24 Valgano qui l’esempio di Torquato che, nella scena IV. 15, parla per bocca di Armida abbandonata(G.L. XX, 126, 14 e 125, 7-8) e della marchesa che evoca l’eroico sacrificio di Sofronia (II, 23, 7-8). 25 Sarà il caso di ricordare che il Momolo cortesan approdò alle stampe nel 1757, col titolo L’uomo di mondo, nel vol. X Paperini. Nell’Autore a chi legge si trova la definizione del termine, utile anche per il profilo di Tomìo. 23 quart’ultima scena (V. 12), quando la notizia del matrimonio della marchesa col duca e l’ordine di dileguare l’ambiguità intorno alla destinataria del madrigale prima della celebrazione delle nozze inducono Torquato alla dolorosa, ma necessaria scelta di lasciare Ferrara, con la quale egli impartisce una lezione di dignità, di moralità e di autocontrollo a tutta la brigata. Fra i caratteri originali messi in scena da Goldoni, dal dialogo con i quali emergono alcuni tratti del personaggio di Torquato, due soprattutto sono importanti: il Cavalier del Fiocco e il signor Tomìo. Il primo è immediatamente percepibile, anche senza l’ausilio delle dichiarazioni goldoniane, come personificazione per sineddoche di tutti i critici che rinfacciano allo scrittore di non rispettare «la pureté de la langue» e gli rimproverano costantemente «le péché originel du vénétianisme»26. Non a caso le esibizioni ridicole del linguaiolo cruscante sono rintuzzate dal secondo che indulge gaiamente a un linguaggio parlato contemporaneo, ricco di idiotismi, quanto l’altro setaccia le pagine del dizionario della Crusca alla ricerca di termini desueti. Al di là della portata specifica della scelta linguistica27, rinveniamo, posta sulla scena, una lucida presa di coscienza e di difesa personali del medesimo tenore di quella che figura nel notissimo manifesto Paperini (1753) rivendicante la peculiarità del linguaggio comico e la necessità di farsi intendere in tutta Italia28, ribadita nei Mémoires quando si parla del Torquato Tasso: «Il faut écrire en bon Italien, mais il faut écrire pour être compris dans tous les cantons de l’Italie: le Tasse eut tort de réformer son Poème pour plaire aux Académiciens de la Crusca; sa Jérusalem délivrée est lue de tout le monde, et personne ne lit sa Jérusalem conquise». Più complesso, anche se apparentemente ovvio per via della comune patria veneziana, è il rapporto che intercorre fra Tomìo, il “tassista” colto e benestante, e il personaggio di Goldoni, rispetto ai quali un Torquato “nuovo”, al confronto della immagine tràdita, figura come indispensabile anello di congiunzione. Soffermiamoci sul verso «sdegno guerrier della ragion feroce» (XVI, 34,4), col quale nella Liberata il poeta spiegava la molla della ribellione interiore del resipiscente Rinaldo, causata dall’immagine di sé riflessa sullo scudo di Sveno che Carlo e Ubaldo gli hanno posto davanti. Su questo verso pende l’accusa di paradosso del “razionalista” Cavalier del Fiocco, che stigmatizza l’uso della metafora, percepita come inganno («squaderna falsi termini», III. 10), mentre il cortesan, solido conoscitore del testo e delle leggi che lo governano, muove da lì per offrire una fine lettura psicologica dell’innamorato improvvisamente ridotto alla ragione dallo sdegno, che della ragione appunto è campione valoroso. Vale la pena di leggere il passo, che si 26 CARLO GOLDONI, Mémoires, cit., p. 383; la successiva, a p. 384. Cfr. GIANFRANCO FOLENA, L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, pp. 89-132. 28 Cfr. Agli umanissimi signori associati alla presente edizione fiorentina, in CARLO GOLDONI, Polemiche editoriali, cit., p. 203. 27 trova poco oltre la metà della commedia, nella scena trentaquattresima su sessantacinque complessive: Sdegno guerrier: distingue el sdegno del valor Da quel che per la rabbia degenera in furor. Sdegno della ragion: ogni moral insegna, Che anca la virtù stessa colla rason se sdegna; E la ragion feroce sona l’istessa cosa, Che dir la ragion forte, la ragion valorosa. Coi occhi della mente esaminè Rinaldo, Un omo figureve che per amor sia caldo, Che se ghe leva el velo dai occhi impetolai [cisposi] Che se ghe sciolga in petto i spiriti incantai; Se sveglia la rason, e la rason se accende De quel sdegno guerrier, che el so dover comprende; (III. 10, corsivo nel testo). Per confezionare questa risposta di Tomìo alle insipienti osservazioni del Cavalier del Fiocco, insensibile alla dimensione morale e filosofica del narratore epico tassiano, nel volume XII delle Opere citate Goldoni poteva leggere il seguente commento di Scipione Gentili (1563-1616) nelle sue Annotazioni sulla Gerusalemme: «Sentenza di Platone, il quale in più luoghi scrive, che lo sdegno è dato dalla Natura all’uomo per soccorrere la ragione contro le cupidigie, e perciò lo compara al cane, il quale dia soccorso al pastore incontro alle fiere che l’assalissero.»29. Tale dotta interpretazione non è frutto originale di Gentili, bensì esegesi del poeta stesso che così aveva commentato l’espressione «S’arma lo sdegno» nel sonetto 94: «Lo sdegno è nella parte irascibile; laonde essendo l’ira ministra della ragione, come dice Platone espressamente ne’ libri della Repubblica, non è meraviglia, che lo sdegno parimente combatta contra il piacere per la ragione»30. Precedentemente, Tasso era stato ancora più incisivo in una glossa al sonetto 86, Sdegno, debil Guerrier, Campione audace, che Goldoni poteva consultare sempre nelle Opere tassiane: «Lo sdegno è chiamato guerriero, e campione dal poeta: guerriero è detto, perché tra lo sdegno e ‘l piacere, cioè tra l’appetito concupiscibile, e l’irascibile, è spesso contrasto: campione si dice perché combatte per la ragione»31. 29 Annotazioni di Scipio Gentili nella Gerusalemme di Torquato Tasso e di Giulio Guastavini. Notizie istoriche di Lorenzo Pignoria, in Delle opere di Torquato Tasso, cit., t. XII, 1742, p. 112. L’annotazione è riportata da Lanfranco Caretti nel proprio commento della Gerusalemme Liberata. 30 Nelle Esposizioni di Torquato Tasso d’alcune sue rime, ibid., t. X, 1739, p. 446, (ne Le Rime citt., n. 105, pp. 110111). 31 Ibidem, (ne Le Rime citt., n. 114, pp. 125-126). Questa argomentazione, serrata come è nelle abitudini di Tomìo, che altrove ricorre a distici finali in discorso diretto ora di Goffredo (G.L. II, 81), ora di Argante (G.L. VI, 32), ora del vecchio cortigiano convertito alla vita pastorale (G.L. VII, 12), calza a pennello a Torquato, combattuto tra desiderio amoroso e difesa della propria dignità. La spiegazione del luogo della Liberata, in apparenza erudita e connessa al personaggio cruscante, funziona in realtà da prolessi dell’azione, cioè come anticipazione della scelta finale di Torquato, pure lui conteso tra la passione, che lo fa andare in deliquio nel corso della commedia, e la ragionata tutela del proprio onore. L’ultima battuta, in presenza dell’intera corte, ce lo raffigura, in obbedienza al consiglio della marchesa Eleonora, resistere al solito accesso di ipocondria in veste analoga a quella dell’eroico Rinaldo: Per rendervi giustizia pien di valor mi mostro. Ma, ohimè, che nel lasciarvi il piè vacilla, e l’alma Perder a me minaccia… del suo valor la palma… Sentomi al capo ascendere dal fondo, ohimè, del cuore, Dell’ipocondria nera un solito vapore… Ma no, passion si vinca, no, non si faccia un torto Alla virtù di lei, che recami conforto. (V, sc. ultima) Si notino alcuni termini rivelatori che apparentano la battuta alla metafora militare discussa da Tomìo: il valore che l’innamorato vuole esibire, la palma della vittoria su se stesso che la malattia mette a repentaglio. Autorizzato, forse, da una frase di Moréri sul temperamento a tratti melanconico del poeta di Rinaldo, il drammaturgo prospetta un carattere nel quale, come nella tradizionale iconografia della virtù della Temperanza, l’accensione passionale è stemperata dall’acqua della ragione. Ma, per soprammercato, lo sigilla con una “moralità” che investe il pubblico, chiamato a conoscersi e a imparare dal Teatro, ma soprattutto lo stesso Goldoni che aveva confessato nell’Autore a chi legge di essere riuscito a capire il protagonista «per esser […] soggetto di quando in quando agli assalti dell’ipocondria»: Or la passione è vinta dai stimoli d’onore. Imparate, ed impari chi n’ha d’uopo qual voi [don Gherardo] Alla virtù nel seno svelar gli affetti suoi: Che alle passion nemiche campo facendo il petto, Perdere arrischia l’uomo il senno, e l’intelletto: E che il rimedio solo per acquistare il lume È la ragion far guida dell’opre e del costume. (ivi) Torquato sacrifica la passione sull’altare della virtù; l’onore prevale sull’amore grazie alla ragione che, come ha saputo sublimare l’ardore del poeta “melanconico”, così può salvare il drammaturgo dagli assalti del fanciullo assassino dell’apologo autobiografico32. Il personaggio evoca al lettore il “filoso inglese”, Jacobbe Monduill, che difende intrepido la propria reputazione contro il prepotente, volubile protettore33, e anticipa il “medico olandese”, dottor Bainer, che mette in pratica l’adagio medice, cura te ipsum, sperimentando sulla propria persona la verità che la difesa dagli attacchi depressivi risiede in se stessi34. È in analogia a questi caratteri, segnati dalla cultura illuministica, che nella conclusione della pièce il drammaturgo tonifica il patetico ispirato dai versi35 e dalle angosciose incertezze di Torquato con un appello alla ragione, che è lanciato da Goldoni per interposta persona, ovvero sotto la maschera dell’illustre scrittore perseguitato. La funzione “terapeutica” a cui l’alto comico adempie, almeno per il commediografo in difficoltà, è così potenziata dalla ammirazione per un esempio morale adeguato alla fama di Tasso: la sublimazione della passione in nome dell’onore innalza la pièce al livello del dramma serio e il pubblico è invitato indirettamente ad annoverare TorquatoTasso fra gli eroi metastasiani 36. 32 Si tratta della comparazione addotta dal dottor Baronio, medico di Goldoni, al suo paziente recidivo, in preda a una grave depressione per la morte del brighella Angeleri, nel luglio 1754 a Milano (Mémoires, II, XXII). 33 Cfr. CARLO GOLDONI, Il filosofo inglese, IV, 18, vv. 13-32 e specialmente l’ultima scena, in cui filosofia è sinonimo di ragione: «Dolce filosofia, mio nume e mio conforto. / Sei tu l’unica stella che mi ha guidato al porto. / Misero me se scosso delle passioni il freno / mi avessi abbandonato ai loro moti appieno» (testo a cura di Paola Roman, EN, 2000). 34 Cfr. CARLO GOLDONI, Il medico olandese, I.3: «No, uditemi, signor: trattate il vostro male / Come un fanciullo armato, che l’inimico assale. / La spada può ferirvi, se gli esponete il petto, / […] ma la difesa vostra è dentro di voi stesso. Se la ragion si opponga al mal che vi fa guerra, / Ecco il bambino inerme, ecco la spada a terra» (MN, vol. VI, pp. 384-385). 35 «Nella secolare contesa tra l’Ariosto ed il Tasso la superiorità di quest’ultimo si esercita nel XVIII secolo proprio sulla base della capacità dei suoi versi di generare empatia» (ALESSANDRA COPPO, op. cit. pp. 170-71). 36 Per questa ipotesi, che andrebbe verificata con analisi specifiche e in spazi adeguati, cfr. ELENA SALA DI FELICE, Osservazioni sulla meccanica drammaturgica di Metastasio, in EADEM, Sogni e favole in sen del vero. Metastasio ritrovato, Roma, Aracne, 2008, pp. 175-203, in particolare pp. 177-184.