Giuseppe Petronio - Goldoni e la borghesia
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Giuseppe Petronio - Goldoni e la borghesia
Giuseppe Petronio - Goldoni e la borghesia veneziana (da Introduzione a Il punto su Goldoni, Laterza, Bari 1986) In queste pagine il criterio letterario napoletano Giuseppe Petronio (1909) sostiene che nelle commedie della maturità Goldoni non riflette una crisi involutiva della borghesia veneziana (di cui tra l'altro ci mancherebbero i documenti) ma rappresenta semplicemente il ceto mercantile qual è, senza idealizzarlo come nelle prime commedie, mettendone al contrario in risalto i limiti e la distanza da quell'ideale di borghesia da lui vagheggiato. Non si tratta di una regressione su posizioni più conservatrici ma semplicemente del passaggio dall'utopia alla realtà. Goldoni [...] in questa sua celebrazione della mercatura e della sua. etica non era tanto il descrittore di una realtà effettivamente esistente a Venezia quanto il teorizzatore e celebratore di una società che egli credeva realizzata altrove, in Inghilterra, nei Paesi Bassi, e che auspicava anche per l'Italia. E dunque le commedie antinobiliari e "borghesi" dei primi anni della riforma sono piuttosto ideologiche, anche se proprio così adempiono, in modo consono alla nostra civiltà di quegli anni, il compito che Goldoni riteneva proprio della commedia: correggere col riso i costumi ed esaltare la virtù. Goldoni intanto - è un punto sul quale non si è riflettuto abbastanza - si era prefisso e svolgeva, meglio di ogni altro scrittore europeo, il compito che più tardi fu svolto da Balzac: la stesura di una rappresentazione completa, esauriente, della realtà sociale in tutti i suoi aspetti: una "comédie humaine". Lo ha dichiarato lui stesso: "Necessario è, al parer mio, che uno scrittor di commedie tragga da tutti gli ordini delle opere sue gli argomenti" (prefazione a La dama prudente [...]). E così in lui ci sono "le scene della vita di città" e quelle "della vita di campagna"; scene nobiliari, borghesi e popolane; commedie che puntano sulla rappresentazione e fustigazione del vizio e altre che mettono in scena la virtù trionfante, ecc. ecc. Ora, se non sbaglio, in questi due fatti (la volontà di una rappresentazione totale della società del suo tempo e il carattere astratto delle sue prime commedie) sta la spiegazione dell'evolversi del teatro di Goldoni; non dunque in una mitica crisi della borghesia veneziana (che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa), ma nel passaggio dello scrittore dalla rappresentazione del dover essere a quella dell'essere, dall'utopia alla realtà. [...] Dopo aver delineato un modello astratto di "mercante", presentato sotto vesti inglesi e olandesi più che italiane, Goldoni passa all'analisi della realtà borghese veneziana, e la vede quale è, con i suoi difetti e i suoi limiti: mogli arrampicatrici sociali, che farebbero qualsiasi cosa pur di essere ammesse in un salotto patrizio; mariti "salvadeghi", legati a una concezione autoritaria della famiglia; borghesucci che vogliono fare il passo più lungo della gamba e scialacquano nelle smanie della villeggiatura quanto gli resta. Non la crisi di un mondo nuovo abortito prima di nascere, ma il permanere di un mondo vecchio, incompatibile con quella età di lumi e di sensibilità, in contrasto coll'ideale del "filosofo", arretrato rispetto ad altri Paesi. Questa interpretazione del teatro di Goldoni e del suo processo storico nel quindicennio veneziano è in sintonia con tutto ciò che sappiamo sulla società italiana in quegli anni: il costituirsi, già nei primi decenni del secolo, di una cultura che timidamente ancora cercava di mettersi al passo con quella europea; il rafforzarsi negli anni Cinquanta e Sessanta, di gruppi intellettuali di avanguardia e l'inizio di un moto coerente e organico (i Verri e la società dei Pugni, Parini, gli intellettuali-funzionari austriaci a Milano, il movimento promosso dall'Intieri e da Antonio Genovesi, ecc.) che sul piano delle idee come su quello dell'azione si adoperò per una riforma delle strutture e del costume. Una battaglia che ebbe luogo tra mille remore, nell'arretratezza storica della società italiana e nella mancanza di uno strato sociale sufficientemente spesso di cui quegli intellettuali fossero i rappresentanti organici. Da ciò allora il carattere a volte astratto di quelle teorizzazioni, che riflettevano non tanto la situazione italiana effettiva quanto quella di paesi più avanzati; da qui anche, tante volte, gli sconforti, nell'urto con una realtà ostile: una situazione che rende quegli anni così interessanti e istruttivi. Letti così, su questo sfondo, il teatro di Goldoni e il suo processo negli anni acquistano concretezza e ci appaiono non anticipatori assurdi dei nostri tempi ma specchio della situazione italiana in un suo centro particolare, Venezia, e nella reazione di un uomo vivo, intelligente, tenace quale era Goldoni. Non dunque avvertimento di una crisi involutiva che avrebbe investito a mezzo gli anni Cinquanta la borghesia veneziana, ma presa d'atto invece e analisi della distanza tra la borghesia veneziana reale (i mercanti, i ceti non proprio ricchi ma agiati, i ceti "civili") e quell'ideale di mercante-filosofo che Goldoni idoleggiava su modelli olandesi e inglesi, e di cui pure a Venezia qualche campione esisteva.