ON THE ROAD

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ON THE ROAD
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DEGLI STATI UNITI, DA CHICAGO A MILWAUKEE, E POI VERSO OVEST...
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TURISMO
GUIDA ALLA LETTURA
Tappa per tappa, indichiamo il chilometraggio da percorrere e una valutazione del “gusto” dell’itinerario. I
voti sono espressi con le stellette,
da 1 a 5: “P” per panoramicità del
tragitto e “G” per piacere di guida.
L’ultima volta in Michoacan sono finito
sotto un diluvio universale, cento chilometri sotto l’acqua. La mia meta, le
coste dell’oceano Pacifico, si sbiadiva
chilometro dopo chilometro. Arrivato
a Uruapan, città purepecha affossata in una distesa di pinete, feci dietrofront vinto dai rovesci, lanciando invettive contro ogni nuvola e cercando di
reinventarmi il viaggio per scoprire un
“altrove” altrettanto interessante ma
diverso dalle spiagge che cercavo. Ci
riuscii e mi trovai in un parco naturale
incantevole, che portava il nome suggestivo di “Santuario delle Farfalle”.
Ma togliermi lo sfizio di accarezzare
no due opzioni: si può prendere la “libre” o “l’autopista”: la prima è senza
pedaggio, l’altra è un’autostrada con
caselli e asfalto quasi impeccabile. Le
due vie portano sul dorso della Sierra Madre: una monolitica vertebra
della lunga catena che in Sud America si chiama Ande e negli Stati Uniti
“Rocky Mountains”. Nel Michoacan,
se guardiamo la Sierra dall’alto, ci
appare come un susseguirsi irregolare di montagne, colline e promontori ammantati di verde. Con un poco di fantasia sembra l’ammucchiarsi
di balene giganti, strette e contigue,
irregolari e panciute, tutte coperte da
Eccomi quindi ancora in sella,
alla volta della costa, deciso
a sfidare la pioggia e le curve
tortuose della Sierra Madre
quella sabbia era irrinunciabile. Eccomi quindi ancora in sella, alla volta della costa, deciso a sfidare la pioggia e
le curve tortuose della Sierra Madre.
In questo ennesimo tentativo non saranno solo le tartarughe, le calette e il
tramonto dietro le palme ad aspettarmi, ma anche gli imprevisti: una scivolata con la moto, l’accoglienza di una
famiglia povera del posto, un clima politico teso e un caldo allucinante. Questi fuori programma sono però la vera e propria anima del viaggio. Lo diceva Ted Simon, secondo molti il primo ad aver terminato il giro del mondo in moto nel 1975... Se solo avessero saputo che noi italiani, con Tartarini e Monetti, lo avevamo già fatto
20 anni prima!
Uruapan - Quatros caminos: 180 km
Scenario montano
Ad Uruapan ci sono pochi musei e un
vulcano molto bello cinto da sentieri
che portano ai bordi del suo cratere spento. È un borgo tranquillo per
passeggiare e pianificare l’itinerario.
Per raggiungere la costa da qui ci so-
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foreste di pini e prati. Si apre un sipario su uno degli scenari più belli del
Paese, che ricorda le regioni montane
d’Italia che visitavo da piccolo. Le piogge donano linfa alla vegetazione e la
rendono luminosa e verdissima. Nelle
altre stagioni, fatta eccezione per le
pinete, i prati seccano d’arsura e diventano distese dorate che ricordano
campi di grano. I venti del Pacifico increspano le acque dei laghi, soffiano
forti, si fanno progressivamente caldi e afosi man mano che ci si avvicina alle coste, sembra che rinfreschino ma lasciano fradici di sudore. Guido in souplesse, il ghigno soddisfatto
che avevo nella bruma montana diventa smorfia di sofferenza per l’afa
quando scendendo sul versante oceanico della Sierra mi avvicino ad Artenango. Pochi paesi si susseguono, costringendomi a rallentamenti che surriscaldano il viaggio e lo spirito. Un
vecchio e un bambino camminano a
dorso d’asino e mi salutano, una signora con l’ombrello aperto si difende dal sole e regge con il braccio libero un bambino aggrappato alla ma-
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Messico
niera di una scimmietta. Ci sono quasi sempre buoni asfalti sulla libre ma
soprattutto sulla autopista che si può
imboccare o abbandonare negli snodi vicino ai principali paesi. Scegliere
l’una o l’altra, come mi diranno, non
dipende solo dalla tabella dei tempi o
dei costi: c’è da considerare qualcosa
che in questi ultimi giorni sta attirando l’attenzione internazionale: la presenza dei Narcos, i trafficanti di droga, che presidiano la zona.
PÌÌÌ GÌÌÌ
Quatros Caminos – Arteaga:120 km
Tra i narcos
Il Michoacan è una terra stuprata dalla violenza del narcotraffico. Non è la
prima volta che visito realtà ammorbate da questo male così diffuso in
Messico. Ma in Michoacan c’è una
novità: l’ombra di un nuovo cartello
mafioso che si fa chiamare “La famiglia” e si sta allargando paurosamente dal 2006, quando si è presentato
addirittura comprando spazi sui giornali locali. Una presentazione in pompa magna e dal vago senso filantropico, perché i narcos dichiararono che il
loro agire fosse finalizzato alla “pulizia
sociale”, per porre fine a sequestri ed
estorsioni e instaurare un nuovo ordine. Uno Stato nello Stato. Così scrivevano: “Forse la gente non capisce
il nostro modo d’agire. Ma è l’unica
maniera di mettere ordine nello Stato. Distinti saluti, La famiglia”. Sono giorni di piombo per il Michoacan
e per chiunque si metta d’intralcio all’egemonia della famiglia. Un cartello
rivale, lo Zeta dello stato di Guerrero, si sta contendendo la piazza con
“la famiglia” a colpi di decine di morti
ritrovati a pezzi. L’intervento governativo ha fatto lievitare il conteggio delle vittime: tre giorni prima del mio arrivo 12 agenti morti sono stati trovati in fila sul ciglio della strada. Attualmente 5.500 uomini, tra polizia federale ed esercito, si stanno avviando in
Michoacan per una controffensiva. Vicino a Morelia, più a Nord, passerò a
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C’è una novità: l’ombra di un
nuovo cartello mafioso che si fa
chiamare “La famiglia” e si sta
allargando paurosamente dal 2006
lato di una colonna di 40 e più carri
in assetto da combattimento. Tutti diretti nelle zone “calde”. Vedremo che
effetti sortirà un tale dispiegamento
di forze. Questa situazione influenza
la scelta dell’itinerario: al ritorno dovrò prendere l’autostrada per evitare
le strade solitarie che tagliano la selva e offrono riparo ai loschi affari dei
narcos. Tuttavia all’andata sono ancora sulla libre, dove vengo fermato, come spesso mi accade, da un posto
di blocco. Prima vedo una postazione al margine della strada con sacchi
di sabbia e dietro un militare che impugna un M60 rivolto nella mia direzione. Due colleghi mi fanno cenno di
accostare. Hanno tute militari e il volto coperto da una maschera nera di
neoprene, mi chiedono di identificarmi. Porgo i documenti e senza perquisire le valigie della moto mi augurano
buon viaggio. Prima di ripartire chiedo ragguagli sulla sicurezza: il ragazzo, così mi appare dalla voce e dagli occhi limpidi dietro la maschera,
impugnando un fucile più lungo della sua gamba mi rassicura dicendo
che il peggio è passato, adesso c’è
un buon presidio dell’area. Verso sera mi trovo vicino ad Artenaga, c’è un
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Messico
piccolo ristorante con luci fievoli che
bucano il manto oscuro che cala con
la notte. Sono le 8, è tempo di mangiare un boccone e fare l’alba in tenda
provando a dormire nel sacco a pelo.
Compro un piatto di uova e prosciutto, accompagno con un pezzo di pane
e un bicchiere d’acqua. Leggo un po’
ed è già buio pesto. Mi accampo sotto un portico di lamiera dopo che il padrone - bontà sua - ha spostato la macchina per farmi spazio. Scambio quattro chiacchiere e scopro di essere a
meno di 10 chilometri dalla culla della “Famiglia”. Artenaga infatti è dove il
movimento nacque e si diffuse. Istintivamente trascino la tenda cercando di
nasconderla.
PÌÌÌÌ GÌÌÌ
Artenaga - La Mira: 90 km
Moto a terra!
Prendo sonno a fatica perché due camion enormi parcheggiano nello spiazzo del ristorante lasciando i motori accesi. Dagli scarichi salgono i tonfi sordi dei pistoni per una buona mezz’ora,
poi finalmente via libera al sonno. La
mattina riparto di buona lena, la strada serpeggia mettendo in fila un’infinità di curve dolci e regolari. Alla bellezza del panorama si aggiunge anche il
divertimento nella guida. La moto si
fa portare docile dentro e fuori dalle
traiettorie, non ci sono pericoli, l’unico è la distrazione... che pagherò più
avanti. Oltrepasso Artenaga e vedo
un paesino dimesso con poche persone che camminano ai bordi della strada: un ragazzo in bicicletta mi saluta, un signore conduce la sua mandria alla stalla inseguendola con una
vecchia bicicletta. Non vedo narcos
ma poi penso che anche avendoli di
fronte non saprei riconoscerli. Continuo senza fermarmi: sono l’unico a
essere un po’ teso in questi giorni di
piombo per lo scontro aperto tra mafia e governo. Tutto tace. Il problema
è più a valle, nella città di Lazaro Cardenas, dove due granate hanno colpito il commissariato di polizia e dato ini-
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Freno d’istinto e tento di
raddrizzarmi, la ruota anteriore
scivola e cala come un fendente
nel fosso a lato della strada
zio alle rappresaglie militari. Per me,
invece, i problemi cominceranno due
ore più tardi. Esco dal paese e seguo
sotto un cielo caliginoso e soffocante
la numero 37 che punta dritto alle città costiere: la terra promessa. Mi immagino sabbia, tartarughe e palme,
visioni e ossessioni dopo 8 mesi lontano dall’acqua. Quando vedo il cartello La Mira sento già aria di mare,
l’oceano mi soffia il benvenuto, mi distraggo, inizio a considerare se dormire qui o cercarmi un bungalow, penso a questo e quello e intanto la strada dritta inizia a curvarsi, avvicinandomi sempre di più al suo bordo scivoloso di terriccio e pietre. Quando me ne
accorgo è troppo tardi, freno d’istinto
e tento di raddrizzarmi, la ruota anteriore come previsto scivola e cala come un fendente nel fosso a lato della
strada. Il tempo di irrigidire i muscoli e sono già a strisciare sull’asfalto.
Andavo piano, per fortuna, ma avevo tolto la giacca qualche chilometro
prima... Finisco sdraiato, la moto appoggiata sulla borsa sinistra e sul paramotore. Mi rialzo scattando come
una molla e constato con la freddezza di un medico tre sbucciature: gomito, anca e spalla. Da lontano una voce si preoccupa del primo soccorso:
“Que tal amigo? Todo bien? Necesitas ayuda?”. Chiedo aiuto non per me
ma per rialzare la povera Guzzi; paradossalmente sono più preoccupato
per lei che è la mia seconda casa da
un anno e 25.000 km. Non si accende, la spingo nel cortile della casa di
questo buon samaritano. Il parabrezza è in frantumi, ripristino l’accensione riposizionando l’interruttore storto
della stampella laterale. La moglie ha
la mia età e mi guarda apprensiva,
si chiama Maria, trasuda gentilezza
ma è visibilmente scioccata dal fatto di trovarsi in casa uno straniero
ammaccato con la sua ingombrante
moto. Lui, il mio soccorritore e futuro
amico, si chiama Tali. Hanno tre bimbi che con disinvoltura diventano da
subito giocherelloni e conviviali. Saltano sulla moto e facciamo qualche
foto. Sorrido negli scatti e mi dimentico della rabbia per l’incidente e del
bruciore del mercurocromo che disinfetta la carne lacerata. Inizia così il
mio soggiorno fuori programma nella loro umile dimora. Mi fanno spazio
per montare la tenda nel cortile, sot-
to una tettoia, con piccoli cani a farle da guardia... e pisciargli contro. La
casa ha solide mura in cemento armato, con intonaci umidi e incrostati,
il tetto è di lamiera ondulata sorretto
da architravi in legno consunto. Ci sono solo due stanze, una adibita a cucina con mensole di legno, frigo arrugginito e fornelli. Pavimento in pietra grezza. L’altra stanza ha un televisore, un ventilatore e due materassi:
uno per Tali e sua moglie Maria e l’altro per i tre figli. L’esterno è un cortile
polveroso coperto da macchie di erba
e terra asciutta, il recinto costeggia la
strada ed è chiuso da un portone di
misera rete di plastica con telaio in legno. Il bagno è in cortile: un gabinetto di ceramica ingiallita nascosto da
una porta senza serratura. Per tirare l’acqua si vuota un secchio dentro
la tazza. La doccia è ricavata da tendoni appesi a cordini che circondano
un angolo del grande lavabo-fontana
in pietra. Si pesca l’acqua con una bacinella per tirarsela addosso e sciac-
quarsi. Tali lavora come “garraffonero”, consegna bottiglioni da 20 litri
d’acqua alle famiglie del suo villaggio.
Il suo piccolo camion arranca tutto il
giorno tra le salite sterrate che uniscono case e baracche sino alle cime
dei poggi con vista sul Pacifico. Gridiamo “El Aguaaa!” e dalle baracche si
affacciano signore anziane tutte rughe e sorrisi che si fanno trasportare in casa la loro scorta contro
l’arsura. Tali è benvoluto dal villaggio,
ogni giorno da otto anni fa questo mestiere, sotto un sole impietoso con il
suo Nissan sfinito. Compra una botte
a 7 e la rivende a 13 con consegna a
domicilio: con due dei sei pesos di incasso paga il camioncino, con due la
benzina e due sono l’utile. Consegnando 9 o 10 botti da 20 litri guadagna il
corrispettivo di un euro.
Quando parlo con timore del colpo di
stato nel Paese dell’Honduras, dal quale dovrò giocoforza passare, mi chiedono se è la capitale del Costa Rica.
Quando parlo di religione mi chiedo-
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do 50 anni di carcere solo per mangiarsela con la famiglia. Quaranta chili di creatura che respirando rumorosamente cercava di fuggire dalla porta per poi finire riacchiappata e scaraventata indietro come carne da macello, nella sua prigione di cemento in attesa della mattanza. Non me ne scorderò. Gli scattai due foto e me ne andai coprendo con un finto sorriso il disprezzo per il destino crudele scritto
da quello stupido su una vita così antica e selvaggia. Non faccio il bagno, le
ferite bruciano e con il sale s’incendiano. Trotterello con la moto e faccio
foto parcheggiandola su promontori
ventosi che offrono la vista dell’orizzonte al tramonto. Il sole si butta nel Pacifico, si vede un relitto di nave in lontananza: la chiglia vinta dalla forza del
mare è solo un’ombra immobile e verticale come un monolite conficcato dagli dèi nelle acque. Poco dopo parcheggio in cortile e sono a cena, ingurgitando a mani nude le bestioline fritte da
Maria. Mi dondolo sull’amaca: due ragazze, amiche di famiglia, scavalcano
il recinto e si nascondono furtive dietro
la fontana, hanno fatto uno scherzo ad
alcuni amici che ora le stanno cercando tra le stradine illuminate dai lampio-
no se il Vaticano è a Cuba. Ma la loro gentilezza nell’avermi accolto, curato e sfamato per due giorni compensa la mancanza di sapere. Almeno nella mia personale percezione. Il freddo asettico e alienante della saccenza non è certo di buon auspicio negli incontri di strada. Mentre paradossalmente l’ignoranza rimette la palla al
centro, annulla il braccio di ferro e fonda l’incontro sulla genuinità del sorriso.
Pesca dal mazzo delle smorfie di fatica, delle risate, della diversità di pelle
e provenienza. Emerge tutto da quello scarto nel cliché quotidiano portato
dal viaggiatore che ha calpestato terre di cui si ignorano i nomi e la geografia. La scintilla che accende l’incontro
è solo il brivido di scoprire chi sei e cosa ti porta lì.
PÌÌÌ GÌÌÌÌ
La Mira - Nexpa - La Mira: 60 km
Ecco la spiaggia!
Arriva finalmente il giorno della spiaggia: mi autoinvito a una gita famigliare e con la moto alleggerita dal cupolone seguo il camioncino di Tali sino a
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Fumo una sigaretta e mi chiudo
in tenda. Ammazzo zanzare fino a
dormire. Arriva il momento della
partenza. Un altro incontro breve
come un fuoco di paglia
raggiungere la costa. Macino chilometri tranquillo e scatto foto agli alberi limitrofi alla spiaggia, che buttano chiome stravaganti ed esotiche su fino a
30 metri. Sono rilassato, la serenità
è recuperata. Eccomi di nuovo in sella, la moto va benissimo, la benedico, l’accarezzo, la ringrazio. Sarà stupido, ma nell’eventualità di dover ricevere i ricambi, i pezzi - dal costo già di
per sé improponibile - hanno anche il
gravame della spedizione e della dogana. Meglio non rompere niente. Tutto sembra funzionare. Se penso ai miti sull’inaffidabilità che si attribuisce a
questa moto e a quello che invece ha
fatto in un anno sono stupefatto e fe-
lice. La cintura di spiaggette e paesini cinge la costa del Michoacan, località abbastanza “in” ma non di certo come Acapulco o Cancun. Qui ci sono
surfisti che cercano la loro onda perfetta, manager e famiglie che cercano
spazi di decompressione per rilassarsi. Noi passiamo un tranquillo pomeriggio a passeggiare. Vedo Tali e la sua famiglia armeggiare frugando con le mani nel bagnasciuga: tirano fuori piccoli granchietti innocui che prima finiscono in un secchio, poi in padella e, due
ore dopo, anche nella mia pancia. Non
vedo tartarughe: l’unica era a casa di
un imbecille, cliente di Tali, che l’aveva comprata trafugandola e rischian-
ni deboli e storti. Copriamo il segreto.
Giochi di strade, ragazzate e nascondini nella notte che mi fanno pensare
ai “ragazzi della via Pal”. O a quando
ai boyscout giocavo nei boschi e avevo più adrenalina che alla discussione
della tesi di laurea dieci anni dopo. Ci
raccontiamo del più e del meno, quello che viene in mente mentre il sonno
ci cerca per portarci al letto. I bambini
crollano prima, si sa, poi cede anche
Maria e infine Tali. Passeggio nel silenzio con i cani che mi guardano ammutoliti, come se si aspettassero una carezza di commiato prima della partenza l’indomani. Fumo una sigaretta e mi
chiudo in tenda. Ammazzo zanzare fino a dormire.
Arriva il momento della partenza. Un
altro incontro breve come un fuoco
di paglia, casuale come un tiro di dadi, e ancora una volta la ritualità di dire ciao senza arrivederci. La mattina,
quasi a mezzogiorno, mi congedo salutando con gratitudine. C’è lo scambio immancabile di indirizzi, gli do la
mail ma non hanno il computer, si accontentano del telefono. Mi benedicono, ci abbracciamo e sono di nuovo
solo per la mia strada.
PÌÌÌÌÌ GÌÌ