ON THE ROAD
Transcript
ON THE ROAD
SETTEMBRE 2009 € 4,00 (ITALY ONLY) WWW. EUROMOTO. EU MOTO GUZZI MGS-01 Corsa APRILIA RSV4 Factory BUELL XB9SX HONDA CB1000R GARELLI Tiesse 50R DUEL DUCATI Streetfighter S vs MV AGUSTA Brutale 1078RR TRIUMPH Daytona 675 Triple vs DUCATI 848 vs SUZUKI GSX-R750 PNEUMATICI DUNLOP Qualifier II METZELER Racetec Interact MICHELIN Power One COMPARATIVA LE SCARPE tecniche leggere STARDUST BMW R 80 G/S MOTO & SCOOTER TUTTI I PREZZI chi sale e chi scende ON THE ROAD LE NUOVE HARLEY SIAMO ANDATI A SCOPRIRE LA GAMMA 2010... DALLA FAT BOY SPECIAL ALLA WIDE GLIDE, ALLA ELECTRA GLIDE ULTRA LIMITED... LUNGO LE STRADE DEGLI STATI UNITI, DA CHICAGO A MILWAUKEE, E POI VERSO OVEST... ABBIAMO INCONTRATO WILLIE G. DAVIDSON TURISMO GUIDA ALLA LETTURA Tappa per tappa, indichiamo il chilometraggio da percorrere e una valutazione del “gusto” dell’itinerario. I voti sono espressi con le stellette, da 1 a 5: “P” per panoramicità del tragitto e “G” per piacere di guida. L’ultima volta in Michoacan sono finito sotto un diluvio universale, cento chilometri sotto l’acqua. La mia meta, le coste dell’oceano Pacifico, si sbiadiva chilometro dopo chilometro. Arrivato a Uruapan, città purepecha affossata in una distesa di pinete, feci dietrofront vinto dai rovesci, lanciando invettive contro ogni nuvola e cercando di reinventarmi il viaggio per scoprire un “altrove” altrettanto interessante ma diverso dalle spiagge che cercavo. Ci riuscii e mi trovai in un parco naturale incantevole, che portava il nome suggestivo di “Santuario delle Farfalle”. Ma togliermi lo sfizio di accarezzare no due opzioni: si può prendere la “libre” o “l’autopista”: la prima è senza pedaggio, l’altra è un’autostrada con caselli e asfalto quasi impeccabile. Le due vie portano sul dorso della Sierra Madre: una monolitica vertebra della lunga catena che in Sud America si chiama Ande e negli Stati Uniti “Rocky Mountains”. Nel Michoacan, se guardiamo la Sierra dall’alto, ci appare come un susseguirsi irregolare di montagne, colline e promontori ammantati di verde. Con un poco di fantasia sembra l’ammucchiarsi di balene giganti, strette e contigue, irregolari e panciute, tutte coperte da Eccomi quindi ancora in sella, alla volta della costa, deciso a sfidare la pioggia e le curve tortuose della Sierra Madre quella sabbia era irrinunciabile. Eccomi quindi ancora in sella, alla volta della costa, deciso a sfidare la pioggia e le curve tortuose della Sierra Madre. In questo ennesimo tentativo non saranno solo le tartarughe, le calette e il tramonto dietro le palme ad aspettarmi, ma anche gli imprevisti: una scivolata con la moto, l’accoglienza di una famiglia povera del posto, un clima politico teso e un caldo allucinante. Questi fuori programma sono però la vera e propria anima del viaggio. Lo diceva Ted Simon, secondo molti il primo ad aver terminato il giro del mondo in moto nel 1975... Se solo avessero saputo che noi italiani, con Tartarini e Monetti, lo avevamo già fatto 20 anni prima! Uruapan - Quatros caminos: 180 km Scenario montano Ad Uruapan ci sono pochi musei e un vulcano molto bello cinto da sentieri che portano ai bordi del suo cratere spento. È un borgo tranquillo per passeggiare e pianificare l’itinerario. Per raggiungere la costa da qui ci so- 148 SETTEMBRE 2K9 foreste di pini e prati. Si apre un sipario su uno degli scenari più belli del Paese, che ricorda le regioni montane d’Italia che visitavo da piccolo. Le piogge donano linfa alla vegetazione e la rendono luminosa e verdissima. Nelle altre stagioni, fatta eccezione per le pinete, i prati seccano d’arsura e diventano distese dorate che ricordano campi di grano. I venti del Pacifico increspano le acque dei laghi, soffiano forti, si fanno progressivamente caldi e afosi man mano che ci si avvicina alle coste, sembra che rinfreschino ma lasciano fradici di sudore. Guido in souplesse, il ghigno soddisfatto che avevo nella bruma montana diventa smorfia di sofferenza per l’afa quando scendendo sul versante oceanico della Sierra mi avvicino ad Artenango. Pochi paesi si susseguono, costringendomi a rallentamenti che surriscaldano il viaggio e lo spirito. Un vecchio e un bambino camminano a dorso d’asino e mi salutano, una signora con l’ombrello aperto si difende dal sole e regge con il braccio libero un bambino aggrappato alla ma- TURISMO Messico niera di una scimmietta. Ci sono quasi sempre buoni asfalti sulla libre ma soprattutto sulla autopista che si può imboccare o abbandonare negli snodi vicino ai principali paesi. Scegliere l’una o l’altra, come mi diranno, non dipende solo dalla tabella dei tempi o dei costi: c’è da considerare qualcosa che in questi ultimi giorni sta attirando l’attenzione internazionale: la presenza dei Narcos, i trafficanti di droga, che presidiano la zona. PÌÌÌ GÌÌÌ Quatros Caminos – Arteaga:120 km Tra i narcos Il Michoacan è una terra stuprata dalla violenza del narcotraffico. Non è la prima volta che visito realtà ammorbate da questo male così diffuso in Messico. Ma in Michoacan c’è una novità: l’ombra di un nuovo cartello mafioso che si fa chiamare “La famiglia” e si sta allargando paurosamente dal 2006, quando si è presentato addirittura comprando spazi sui giornali locali. Una presentazione in pompa magna e dal vago senso filantropico, perché i narcos dichiararono che il loro agire fosse finalizzato alla “pulizia sociale”, per porre fine a sequestri ed estorsioni e instaurare un nuovo ordine. Uno Stato nello Stato. Così scrivevano: “Forse la gente non capisce il nostro modo d’agire. Ma è l’unica maniera di mettere ordine nello Stato. Distinti saluti, La famiglia”. Sono giorni di piombo per il Michoacan e per chiunque si metta d’intralcio all’egemonia della famiglia. Un cartello rivale, lo Zeta dello stato di Guerrero, si sta contendendo la piazza con “la famiglia” a colpi di decine di morti ritrovati a pezzi. L’intervento governativo ha fatto lievitare il conteggio delle vittime: tre giorni prima del mio arrivo 12 agenti morti sono stati trovati in fila sul ciglio della strada. Attualmente 5.500 uomini, tra polizia federale ed esercito, si stanno avviando in Michoacan per una controffensiva. Vicino a Morelia, più a Nord, passerò a 150 SETTEMBRE 2K9 C’è una novità: l’ombra di un nuovo cartello mafioso che si fa chiamare “La famiglia” e si sta allargando paurosamente dal 2006 lato di una colonna di 40 e più carri in assetto da combattimento. Tutti diretti nelle zone “calde”. Vedremo che effetti sortirà un tale dispiegamento di forze. Questa situazione influenza la scelta dell’itinerario: al ritorno dovrò prendere l’autostrada per evitare le strade solitarie che tagliano la selva e offrono riparo ai loschi affari dei narcos. Tuttavia all’andata sono ancora sulla libre, dove vengo fermato, come spesso mi accade, da un posto di blocco. Prima vedo una postazione al margine della strada con sacchi di sabbia e dietro un militare che impugna un M60 rivolto nella mia direzione. Due colleghi mi fanno cenno di accostare. Hanno tute militari e il volto coperto da una maschera nera di neoprene, mi chiedono di identificarmi. Porgo i documenti e senza perquisire le valigie della moto mi augurano buon viaggio. Prima di ripartire chiedo ragguagli sulla sicurezza: il ragazzo, così mi appare dalla voce e dagli occhi limpidi dietro la maschera, impugnando un fucile più lungo della sua gamba mi rassicura dicendo che il peggio è passato, adesso c’è un buon presidio dell’area. Verso sera mi trovo vicino ad Artenaga, c’è un TURISMO Messico piccolo ristorante con luci fievoli che bucano il manto oscuro che cala con la notte. Sono le 8, è tempo di mangiare un boccone e fare l’alba in tenda provando a dormire nel sacco a pelo. Compro un piatto di uova e prosciutto, accompagno con un pezzo di pane e un bicchiere d’acqua. Leggo un po’ ed è già buio pesto. Mi accampo sotto un portico di lamiera dopo che il padrone - bontà sua - ha spostato la macchina per farmi spazio. Scambio quattro chiacchiere e scopro di essere a meno di 10 chilometri dalla culla della “Famiglia”. Artenaga infatti è dove il movimento nacque e si diffuse. Istintivamente trascino la tenda cercando di nasconderla. PÌÌÌÌ GÌÌÌ Artenaga - La Mira: 90 km Moto a terra! Prendo sonno a fatica perché due camion enormi parcheggiano nello spiazzo del ristorante lasciando i motori accesi. Dagli scarichi salgono i tonfi sordi dei pistoni per una buona mezz’ora, poi finalmente via libera al sonno. La mattina riparto di buona lena, la strada serpeggia mettendo in fila un’infinità di curve dolci e regolari. Alla bellezza del panorama si aggiunge anche il divertimento nella guida. La moto si fa portare docile dentro e fuori dalle traiettorie, non ci sono pericoli, l’unico è la distrazione... che pagherò più avanti. Oltrepasso Artenaga e vedo un paesino dimesso con poche persone che camminano ai bordi della strada: un ragazzo in bicicletta mi saluta, un signore conduce la sua mandria alla stalla inseguendola con una vecchia bicicletta. Non vedo narcos ma poi penso che anche avendoli di fronte non saprei riconoscerli. Continuo senza fermarmi: sono l’unico a essere un po’ teso in questi giorni di piombo per lo scontro aperto tra mafia e governo. Tutto tace. Il problema è più a valle, nella città di Lazaro Cardenas, dove due granate hanno colpito il commissariato di polizia e dato ini- 152 SETTEMBRE 2K9 Freno d’istinto e tento di raddrizzarmi, la ruota anteriore scivola e cala come un fendente nel fosso a lato della strada zio alle rappresaglie militari. Per me, invece, i problemi cominceranno due ore più tardi. Esco dal paese e seguo sotto un cielo caliginoso e soffocante la numero 37 che punta dritto alle città costiere: la terra promessa. Mi immagino sabbia, tartarughe e palme, visioni e ossessioni dopo 8 mesi lontano dall’acqua. Quando vedo il cartello La Mira sento già aria di mare, l’oceano mi soffia il benvenuto, mi distraggo, inizio a considerare se dormire qui o cercarmi un bungalow, penso a questo e quello e intanto la strada dritta inizia a curvarsi, avvicinandomi sempre di più al suo bordo scivoloso di terriccio e pietre. Quando me ne accorgo è troppo tardi, freno d’istinto e tento di raddrizzarmi, la ruota anteriore come previsto scivola e cala come un fendente nel fosso a lato della strada. Il tempo di irrigidire i muscoli e sono già a strisciare sull’asfalto. Andavo piano, per fortuna, ma avevo tolto la giacca qualche chilometro prima... Finisco sdraiato, la moto appoggiata sulla borsa sinistra e sul paramotore. Mi rialzo scattando come una molla e constato con la freddezza di un medico tre sbucciature: gomito, anca e spalla. Da lontano una voce si preoccupa del primo soccorso: “Que tal amigo? Todo bien? Necesitas ayuda?”. Chiedo aiuto non per me ma per rialzare la povera Guzzi; paradossalmente sono più preoccupato per lei che è la mia seconda casa da un anno e 25.000 km. Non si accende, la spingo nel cortile della casa di questo buon samaritano. Il parabrezza è in frantumi, ripristino l’accensione riposizionando l’interruttore storto della stampella laterale. La moglie ha la mia età e mi guarda apprensiva, si chiama Maria, trasuda gentilezza ma è visibilmente scioccata dal fatto di trovarsi in casa uno straniero ammaccato con la sua ingombrante moto. Lui, il mio soccorritore e futuro amico, si chiama Tali. Hanno tre bimbi che con disinvoltura diventano da subito giocherelloni e conviviali. Saltano sulla moto e facciamo qualche foto. Sorrido negli scatti e mi dimentico della rabbia per l’incidente e del bruciore del mercurocromo che disinfetta la carne lacerata. Inizia così il mio soggiorno fuori programma nella loro umile dimora. Mi fanno spazio per montare la tenda nel cortile, sot- to una tettoia, con piccoli cani a farle da guardia... e pisciargli contro. La casa ha solide mura in cemento armato, con intonaci umidi e incrostati, il tetto è di lamiera ondulata sorretto da architravi in legno consunto. Ci sono solo due stanze, una adibita a cucina con mensole di legno, frigo arrugginito e fornelli. Pavimento in pietra grezza. L’altra stanza ha un televisore, un ventilatore e due materassi: uno per Tali e sua moglie Maria e l’altro per i tre figli. L’esterno è un cortile polveroso coperto da macchie di erba e terra asciutta, il recinto costeggia la strada ed è chiuso da un portone di misera rete di plastica con telaio in legno. Il bagno è in cortile: un gabinetto di ceramica ingiallita nascosto da una porta senza serratura. Per tirare l’acqua si vuota un secchio dentro la tazza. La doccia è ricavata da tendoni appesi a cordini che circondano un angolo del grande lavabo-fontana in pietra. Si pesca l’acqua con una bacinella per tirarsela addosso e sciac- quarsi. Tali lavora come “garraffonero”, consegna bottiglioni da 20 litri d’acqua alle famiglie del suo villaggio. Il suo piccolo camion arranca tutto il giorno tra le salite sterrate che uniscono case e baracche sino alle cime dei poggi con vista sul Pacifico. Gridiamo “El Aguaaa!” e dalle baracche si affacciano signore anziane tutte rughe e sorrisi che si fanno trasportare in casa la loro scorta contro l’arsura. Tali è benvoluto dal villaggio, ogni giorno da otto anni fa questo mestiere, sotto un sole impietoso con il suo Nissan sfinito. Compra una botte a 7 e la rivende a 13 con consegna a domicilio: con due dei sei pesos di incasso paga il camioncino, con due la benzina e due sono l’utile. Consegnando 9 o 10 botti da 20 litri guadagna il corrispettivo di un euro. Quando parlo con timore del colpo di stato nel Paese dell’Honduras, dal quale dovrò giocoforza passare, mi chiedono se è la capitale del Costa Rica. Quando parlo di religione mi chiedo- TURISMO do 50 anni di carcere solo per mangiarsela con la famiglia. Quaranta chili di creatura che respirando rumorosamente cercava di fuggire dalla porta per poi finire riacchiappata e scaraventata indietro come carne da macello, nella sua prigione di cemento in attesa della mattanza. Non me ne scorderò. Gli scattai due foto e me ne andai coprendo con un finto sorriso il disprezzo per il destino crudele scritto da quello stupido su una vita così antica e selvaggia. Non faccio il bagno, le ferite bruciano e con il sale s’incendiano. Trotterello con la moto e faccio foto parcheggiandola su promontori ventosi che offrono la vista dell’orizzonte al tramonto. Il sole si butta nel Pacifico, si vede un relitto di nave in lontananza: la chiglia vinta dalla forza del mare è solo un’ombra immobile e verticale come un monolite conficcato dagli dèi nelle acque. Poco dopo parcheggio in cortile e sono a cena, ingurgitando a mani nude le bestioline fritte da Maria. Mi dondolo sull’amaca: due ragazze, amiche di famiglia, scavalcano il recinto e si nascondono furtive dietro la fontana, hanno fatto uno scherzo ad alcuni amici che ora le stanno cercando tra le stradine illuminate dai lampio- no se il Vaticano è a Cuba. Ma la loro gentilezza nell’avermi accolto, curato e sfamato per due giorni compensa la mancanza di sapere. Almeno nella mia personale percezione. Il freddo asettico e alienante della saccenza non è certo di buon auspicio negli incontri di strada. Mentre paradossalmente l’ignoranza rimette la palla al centro, annulla il braccio di ferro e fonda l’incontro sulla genuinità del sorriso. Pesca dal mazzo delle smorfie di fatica, delle risate, della diversità di pelle e provenienza. Emerge tutto da quello scarto nel cliché quotidiano portato dal viaggiatore che ha calpestato terre di cui si ignorano i nomi e la geografia. La scintilla che accende l’incontro è solo il brivido di scoprire chi sei e cosa ti porta lì. PÌÌÌ GÌÌÌÌ La Mira - Nexpa - La Mira: 60 km Ecco la spiaggia! Arriva finalmente il giorno della spiaggia: mi autoinvito a una gita famigliare e con la moto alleggerita dal cupolone seguo il camioncino di Tali sino a 154 SETTEMBRE 2K9 Fumo una sigaretta e mi chiudo in tenda. Ammazzo zanzare fino a dormire. Arriva il momento della partenza. Un altro incontro breve come un fuoco di paglia raggiungere la costa. Macino chilometri tranquillo e scatto foto agli alberi limitrofi alla spiaggia, che buttano chiome stravaganti ed esotiche su fino a 30 metri. Sono rilassato, la serenità è recuperata. Eccomi di nuovo in sella, la moto va benissimo, la benedico, l’accarezzo, la ringrazio. Sarà stupido, ma nell’eventualità di dover ricevere i ricambi, i pezzi - dal costo già di per sé improponibile - hanno anche il gravame della spedizione e della dogana. Meglio non rompere niente. Tutto sembra funzionare. Se penso ai miti sull’inaffidabilità che si attribuisce a questa moto e a quello che invece ha fatto in un anno sono stupefatto e fe- lice. La cintura di spiaggette e paesini cinge la costa del Michoacan, località abbastanza “in” ma non di certo come Acapulco o Cancun. Qui ci sono surfisti che cercano la loro onda perfetta, manager e famiglie che cercano spazi di decompressione per rilassarsi. Noi passiamo un tranquillo pomeriggio a passeggiare. Vedo Tali e la sua famiglia armeggiare frugando con le mani nel bagnasciuga: tirano fuori piccoli granchietti innocui che prima finiscono in un secchio, poi in padella e, due ore dopo, anche nella mia pancia. Non vedo tartarughe: l’unica era a casa di un imbecille, cliente di Tali, che l’aveva comprata trafugandola e rischian- ni deboli e storti. Copriamo il segreto. Giochi di strade, ragazzate e nascondini nella notte che mi fanno pensare ai “ragazzi della via Pal”. O a quando ai boyscout giocavo nei boschi e avevo più adrenalina che alla discussione della tesi di laurea dieci anni dopo. Ci raccontiamo del più e del meno, quello che viene in mente mentre il sonno ci cerca per portarci al letto. I bambini crollano prima, si sa, poi cede anche Maria e infine Tali. Passeggio nel silenzio con i cani che mi guardano ammutoliti, come se si aspettassero una carezza di commiato prima della partenza l’indomani. Fumo una sigaretta e mi chiudo in tenda. Ammazzo zanzare fino a dormire. Arriva il momento della partenza. Un altro incontro breve come un fuoco di paglia, casuale come un tiro di dadi, e ancora una volta la ritualità di dire ciao senza arrivederci. La mattina, quasi a mezzogiorno, mi congedo salutando con gratitudine. C’è lo scambio immancabile di indirizzi, gli do la mail ma non hanno il computer, si accontentano del telefono. Mi benedicono, ci abbracciamo e sono di nuovo solo per la mia strada. PÌÌÌÌÌ GÌÌ