la città dell`eterna primavera

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la città dell`eterna primavera
TURISMO
LA CITTÀ
DELL’ETERNA
PRIMAVERA
In motocicletta tra gli stati di Michoacan, Morelos e Guerreo,
nel Messico occidentale. Seicento chilometri tra il folclore
delle celebrazioni del giorno dei morti, i colori della “città
dell’eterna primavera” e i viottoli della graziosa Taxco
TURISMO
L’America di Claudio
Attorniato dai miei amici messicani
inizio lo smontaggio della coppa
dell’olio, dei coperchi valvole
e del serbatoio della mia Guzzi
di Claudio Giovenzana - www.longwalk.it
il lago in una coltre di riflessi rossicci. La notte mi prende in una macchia
d’inchiostro, la foresta ai lati si fa popolosa di alberi che s’illuminano sotto
il faro mostrando le cortecce resinose e rossicce di pini, larici e abeti. È
pura montagna, la temperatura crolla a picco e inizio a ballare tarantelle
con i denti, i cilindri si raffreddano in
un battibaleno e la mia compagna seduta dietro mi si avvinghia con la forza di una tenaglia. Trovo un ricovero
al porto di Patzcuaro: una coppia di
motociclisti ci concede per 3 euro di
piantare la tenda nel cortile di casa.
Dal porto di Patzcuaro numerose imbarcazioni partono alla volta dell’isola
di Janitzio: una piccola “duna” di terra erta sulle acque del lago coperta di
viottoli, selciati e bancarelle di cremoso ponche fumante per resistere alla
morsa del freddo. Sulle bancarelle sono esposte le “catrine”, ovvero le bambole che rappresentano la morte fatte da uno scheletro femmineo vesti-
GUIDA ALLA LETTURA
Tappa per tappa, indichiamo il chilometraggio da percorrere e una valutazione
del “gusto” dell’itinerario. I voti sono espressi con le stellette, da 1 a 5:
“P” per panoramicità del tragitto e “G” per piacere di guida.
Si sa che la cerimonia dei morti in
Messico appende i colori del lutto per
vestire sgargiante e fare sfoggio di allegria e irriverenza. Mi piacerebbe iniziare questo pezzo con “la morte non
è mai stata così divertente” ma suonerebbe come una mancanza di rispetto
verso un episodio della vita che, pur
ammantato di colori e tradizioni allegre nei giorni delle celebrazioni, porta
anche forte dolore nelle vite delle persone che ne sono coinvolte. In Messico la dimensione privata del lutto
non è così diversa da quella di noi europei, ma le loro cerimonie dei primi
di novembre instaurano con la morte un rapporto tutto particolare. Decido di andare a toccare con mano e
vedere uno degli eventi nel calendario
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del folclore messicano più conosciuto
a livello mondiale: il giorno dei morti. E
lo faccio ovviamente con la mia moto,
anche se questa volta battendo i denti
in un freddo polare che non avevo calcolato, pensando che il vicino Tropico
del Cancro mi avrebbe scaldato come
un calorifero sempre acceso, anche
d’inverno, ma mi sbagliavo.
Cuitzeo - Janitzio: 110 km
Il giorno dei morti
Prima di partire mi adopero per una
manutenzione selvaggia al povero Ferro che ha condotto con diligenza me e
il mio baraccone di bagagli per mezzo
continente, lungo 30.000 km di asfalti reali e approssimati. Tre giorni per
trovare un olio sintetico invece del mi-
nerale gettato in pasto ai motori sfiniti delle camionette locali e poi sono
pronto per il cambio. Attorniato dai
miei amici messicani, disteso in un minuscolo giardino delle case popolari di
Guanajuato, inizio lo smontaggio della coppa dell’olio, dei coperchi valvole e del serbatoio per accedere a filtro olio, valvole e filtro aria. Dopo la
manutenzione, con profonda riconoscenza verso il Ferro, sono pronto
di nuovo alla partenza. Mi metto subito in direzione di Salamanca e poco
dopo mi trovo ad aprire il sipario sullo stato del Michoacan il lago di Cuitzeo, anticipato dall’omonima cittadina
le cui case sono pitturate di bianco e
rosso con una precisione e un ordine
quasi svizzeri. Il lago, enorme, è tagliato in due da un ponte a lato del quale piccole isolette flottanti di cespugli
secchi macchiano le acque increspate dai venti della Sierra Madre. Calcolo ottimisticamente i tempi per la
prima tappa ma il buio sopraggiunge fulmineo, preceduto solo da un
tramonto che spinge il sole dentro
to in ghingheri con un cappello a falda larga sul teschio. Lungo un itinerario determinato dalla fiumana di gente si raggiunge il cimitero, chiamato
Pantheon. Qui luci soffuse di ceri e
bisbigli fanno da sfondo alla composta presenza delle tante donne purepechas che dormono o pregano ai lati delle tombe dei loro cari defunti in
mezzo alle offerte di cibi che gli hanno
donato. Sarebbe tutto estremamente
toccante se non fosse per la branca
di turisti indiscreti e maleducati che,
abusando di flash e commenti ad alta
voce, corrompono il magico raccoglimento del luogo. Ma l’amministrazione del municipio ovviamente si guarda
bene dal tagliare gli introiti turistici per
proteggere la privacy delle famiglie indie raccolte in preghiera.
P**** G***
Janitzio - Toluca 350 km
Con la “prua” contro i
venti freddi
Al mattino riprendo l’itinerario in direzione Toluca, una costola strappata all’incredibile gabbia toracica in espansione della città del Messico. Prima di
Toluca c’è Morelia che con il suo “libramento”, o anello esterno, mi permette di svicolare senza annodarmi in un
andirivieni senza fine nel guazzabuglio
di viottoli del centro. Lungo la strada
51 e poi lungo la 15 mi butto in un panoramico turnover di curve, colline e
piccoli borghi. Si respira il pino e l’abete nell’aria fresca della Sierra Madre.
Con l’approssimarmi a Toluca soffiano
i venti freddi che devo seguire e prendere dritti a prua tra gli scossoni che
mi danno i miei stessi brividi. La città di Toluca, a pochi chilometri dalla
capitale della Repubblica Messicana,
è ormai da questa quasi indistinguibile, per quel processo di fagocitamento urbano provocato dalla crescita di
cemento, strade e palazzi come carcinomi. Cerco la deviazione per Cuernavaca ma trovarla non è facile e non mi
riesce al primo colpo. Il traffico fitto,
di tempra quasi milanese, e l’aria che
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si appesantisce di polveri, ridestano i
miei polmoni che non ricordavano più
la sensazione dell’inquinamento. Imbocco l’uscita per Metepec, decisamente un passo avanti verso Cuernavaca. Da lì, se avessi deciso di spendere un poco di denaro per l’autostra-
go, i bagliori carmini si riflettono sulle poche cromature ancora pulite della moto. Il vento che taglia duro come una lama di ghiaccio fa flettere le
spighe di grano nei campi. Mi copro
e individuo l’origine di questo soffio polare: il ghiacciaio di Toluca, “el Nevado
luca è da poco alle spalle: davanti, oltre all’immensa montagna che veglia
sulle notti della città, c’è il sole che si
tuffa sull’orizzonte, appena prima che
le luci del giorno si spengano definitivamente.
da, in giornata sarei arrivato a Cuernavaca. Ma le autostrade hanno costi
assurdi, paragonabili ai nostri, e fuori dalle autostrade c’è pane per i denti, gli occhi e la macchina fotografica.
Così decido di muovermi sulle piccole
federali che si saldano le une alle altre di paesino in paesino. M’incammino in un tripudio di dossi, incroci e vie
sottili come capelli che tagliano i campi. Il sole sta andando veloce in letar-
de Toluca”, è una montagna enorme e
tondeggiante con un cratere ghiacciato a 4.700 metri di quota. Domina la
Valle del Bravo e raffredda i venti che
in questo periodo dell’anno provengono dal lontano Canada. È un colosso
prominente: lo guardo come un Davide osserva timoroso il suo Golia. Solo il vulcano che sovrasta la città del
Mexico, battezzato “El Popo”, lo batte
in altezza con i suoi 5.400 metri. To-
Toluca - Guernavaca: 80 km
Il sole sta andando veloce in
letargo. I bagliori carmini si
riflettono sulle poche cromature
ancora pulite della moto
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P*** G****
Notte da dimenticare
Cerco un posto dove piantare la tenda. Il buio spegne le luci sulla valle, lasciando quelle elettriche dei lampioni.
Sono solo le 6 ma l’inverno anche a
queste latitudini è fatto di freddo e di
buio precoce. Una signora in una baracca di legno mi fa due tacos con
carne di maiale e scaglie di cipolla,
la moto parcheggiata fuori emette un
ticchettio raffreddandosi. Chiedo dove posso piantare la tenda e con le indicazioni ricevute la sistemo vicino a
una stradina secondaria, in una macchia di verde dinnanzi a una casa disabitata. La notte mi avvolgo con la coperta termica di alluminio… fa freddo!
A un certo punto una macchina si av-
vicina, un uomo commenta ad alta voce il mio rifugio con l’intento evidente
di attirare la mia attenzione. Apro la
tenda e gli domando quale sia il problema: pare che il padrone di casa
a momenti tornerà ubriaco fradicio.
Mi sposto dietro la baracca dei tacos,
Mentre dormo sento un grido nella
notte: “Ti stanno rubando la moto!”.
Falso allarme: è il proprietario del
terreno, che poi mi lascia in pace
dove la signora mi aveva offerto la seconda chance per l’accampamento.
Mentre dormo sento un grido nella notte: “Ti stanno rubando la moto!”. Esco incazzato come una vipera e trovo un messicano in camicia
bianca e cappello, pancione e ciglia
folte nere con i riflessi ramati dati dal
lampione sovrastante. Ci sono ai suoi
lati due scagnozzi. Che cosa vuole? Mi
dice che è il proprietario di quel pezzo
di terra, ma dopo avergli assicurato
che rimarrò solo per poco tempo mi
lascia in pace per quelle poche ore di
sonno rimaste. La mattina me lo trovo fuori dalla tenda, con un finto sorriso mi dice: “Se te ne vai oggi, guero, ti siamo grati”. Dove “guero” significa “bianco” o “bianchiccio”. Riprendo
la marcia verso Sud, entro nello stato di Morelos, nome dato in onore di
colui che chiamavano “il generalissimo Morelos”, personaggio chiave della rivoluzione di indipendenza. La strada zigzaga, è divertente, e per giunta
infila come perle tutti i piccoli paesini
persi nella Sierra di Chichinuatzin. Mi
avvicino a Chalma e prendo di nuovo
per Cuernavaca.
P**** G***
Cuernavaca - Taxco: 120 km
La città dell’eterna
primavera
Raggiungo l’agognata città. Subito mi
imbatto nei torpedoni per il trasporto
persone che corrono come pazzi su
stradine scoscese e strette. Sto at-
tento e con un occhio inizio ad ammirare questo particolarissimo e famoso insediamento urbano. Cuernavaca
è una celebrità in questa regione, un
tempo era frequentata dai “cilangos”:
gli abitanti della vicina città del Messico. È stata anche luogo di villeggiatura per illustri personaggi come l’ambasciatore degli Stati Uniti, il collezionista d’arte Robert Brady, Alexander
von Humbolt, Massimiliano D’Asburgo. Il naturalista von Humbolt dopo
il suo viaggio di ricognizione e di “bio
geografia” lungo le tre americhe battezzò Cuernavaca “la città dell’eterna primavera”. In questo magico luogo i venti freddi nordici si incontrano con le brezze calde tropicali che
provengono da sud creando un clima
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Pieghe e contropieghe, scalata di
due marce: lascio la frizione
e sento il retrotreno impuntarsi per
i capricci del vecchio cardano
quasi perfetto per 365 giorni all’anno. Passeggio per il centro storico dopo aver ricoverato la moto e le borse in un cantiere dove passerò anche
la notte. La cattedrale è imponente e meravigliosa, il palazzo di Herman Cortès è anch’esso degno della
spavalderia dei conquistadores. Qui il
primo conquistador mise radici, prediligendo quest’area geografica alla
capitale del regno azteco che aveva
appena espugnato con un manipolo
di uomini. I vicoli sono deliziosamente
adombrati da case con facciate di colori sbiaditi dai venti che la notte investono la città graffiando gli intonaci, le
fronde degli alberi e i panni appesi che
asciugano anche nel buio. La viabilità
è confinata a piccole arterie strette
in due carreggiate, dove corrono su
e giù infiniti pullman, nelle sembianze di pachidermici cassoni sferraglian-
ti. Il rispetto per l’automobilista è proporzionale alla stazza del suo mezzo.
Potete dunque immaginare il valore intrinseco di una motocicletta. Prudenza! Dopo due giorni per musei in centro e due notti sdraiato sul pavimento
del cantiere in una casa in costruzione
sono pronto per prendere la provinciale in direzione di Taxco. Bellissima
strada ricca di curve dove a dominare è la natura che si protende fino ai
bordi dell’asfalto con cespugli, ciuffi
d’erba e alberi. Anche l’autostrada è
panoramica e disegna sinuose curve
nel cuore della Sierra. Pieghe e contropieghe, scalata di due marce: lascio la frizione e sento il retrotreno
impuntarsi per i capricci del vecchio
cardano. Poi arriva una discesa in un
corridoio di alberi, il sole è sulla via del
tramonto, io sulla mia per la piccola
Taxco. Metto in folle e spengo il moto-
re, veleggio nel silenzio. Riaccendo e
via di nuovo dentro e fuori le piccole
curve, fino a vedere un versante scosceso di Sierra ricoperto da una cascata di piccole casine inchiodate come quadretti sul fianco della montagna. È Taxco, centro nevralgico di
un turismo discreto e pressoché locale, viuzze scoscese percorse da
viandanti tranquilli e maggioloni-taxi
che dalle strade ai piedi della montagna arrampicano su sino all’imponente cattedrale nascosta dietro un dedalo di stradine in selciato. Un paesino di 50.000 abitanti meraviglioso,
nominato dal governo “peublo magico”. È la piccola e graziosa Taxco che
mette la parola fine a questa ennesima esplorazione dello sconfinato
Messico, che scopro chilometro dopo chilometro.
P***** G****