Obesita` Malattia da disadattamento Cibomania

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Obesita` Malattia da disadattamento Cibomania
Obesita'
Malattia da disadattamento
Cibomania
Dicembre 2006
Dott. Virgilio Lorrai e Dott. Silvio Lorrai
web http://www.studiolorrai.it
Dott. Virgilio Lorrai e Dott. Silvio Lorrai
Obesità – Malattie da disadattamento – Cibomania
Indice
1. Premessa...................................................................................................................
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1.1.In particolari condizioni tutti i soggetti dotati di normali poteri assimilativi possono ingrassare
........................................................................................................................................................
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2.Cause e patogenesi dell'obesita'­ cibomania ­ bulimia – anoressia......................................................6
3.Occasioni scatenanti..................................................................................................
..........................11
1 ­ Cessazione attivita' fisica.......................................................................................................
...11
2 ­ Maternita'................................................................................................................
..................11
3 ­ Cure.....................................................................................................................................
......12
4 ­ Esagerate premure dei genitori ......................................................................................
..........12
5 ­ Cambiamento genere di vita.......................................................................................
..............14
6 ­ Stress emotivo................................................................................................................
...........15
7 ­ Allattamento artificiale ....................................................................................................
........16
8 ­ Macrosomia..................................................................................................
............................16
9 ­ Cessazione del fumo ...................................................................................................
.............17
10 ­ Menopausa ........................................................................................................
.....................17
11 ­ Familiarità.........................................................................................................
......................18
12 ­ Problematiche alimentari e ponderali..............................................................................
.......18
13 ­ Occasione scatenante sconosciuta...........................................................................
...............19
4.Peso corporeo ­ peso ideale ­ peso fisiologico massimo....................................................................20
5.Terapia.................................................................................................................................................
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5.1.Prevenzione primaria.........................................................................................
..........................28
5.2.Prevenzione secondaria.....................................................................................
..........................28
5.3.Allestimento dieta.............................................................................................................
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1. Premessa 1.1.In particolari condizioni tutti i soggetti dotati di normali poteri assimilativi possono ingrassare
L'eccedenza ponderale rappresenta una reale condizione morbosa, non tanto per la prevalenza del tessuto adiposo sugli altri componenti corporei (scheletro, muscolo), alla quale, peraltro, sono imputabili le complicazioni di ordine metabolico, fisico e psicologico, quanto per la comparsa del disadattamento alimentare che ad essa si accompagna e che permarrà definitivamente, anche dopo aver eliminato i chili eccedenti. Questo disadattamento, condizionato e mantenuto dalla progressiva perdita dell'autocontrollo fisiologico alimentare, costringerà il soggetto, ormai sempre, a una costante e cosciente concentrazione sulla scelta e valutazione quantitativa dei cibi necessari al mantenimento della salute e/o della forma fisica. Abbiamo chiamato CIBOMANIA questo incessante impegno psicoenergetico richiesto dal responsabile, corretto comportamento alimentare, che implica rinunzie, moderatezza e una continua vigilanza sulla scelta degli alimenti. Si tratta di un disturbo che, a seconda delle circostanze, può essere più o meno gravoso, ma la cui sopportazione è, comunque, indispensabile per opporsi validamente al processo di ingrassamento. Senza cibomania, il calo ponderale conseguente a dieta ipocalorica viene ricuperato prontamente e il processo d'ingrassamento avanza indisturbato fino a superare, in breve tempo, il peso iniziale (sindrome dello jo­jo), con immancabile aggravamento dello stesso disadattamento metabolico. Pertanto, il trattamento dietetico, senza un appropriato intervento conoscitivo sulla vera natura della malattia e sulle strategie da perseguire per rendere più tollerabile la cibomania, è non solo inutile, ma anche dannoso. Questo spiega l'insuccesso della terapia dietetica dell'obesità, denunciato a tutti i livelli.
E' come affidarsi esclusivamente alla sassola, per far fronte alla falla che si è creata nella barca che rischia di affondare: mentre si usa la sassola, si deve anche cercare di otturare la falla o, quanto meno, metterci una pezza. Le conseguenze saranno ancor più sfavorevoli se la dieta ipocalorica manca dei necessari requisiti di personalizzazione, gratificazione, completezza, tollerabilità, rieducazione alimentare fisica e conoscitiva.
A tutti è noto che in qualunque condizione patologica sarà possibile disporre di una terapia veramente risolutiva, solo conoscendone l'esatta natura etiopatogenetica. Orbene, nel nostro caso, appare francamente riduttivo il termine obesità per una affezione caratterizzata da due condizioni ben distinte, l'aumento del peso adiposo, da un lato, e il disadattamento alimentare, dall'altro, dove la seconda prevale nettamente sulla prima, in quanto la correzione dell'eccedenza ponderale e il mantenimento dei risultati nel tempo, saranno possibili solo controllando il disadattamento alimentare che, purtroppo, è destinato a persistere 4
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nel tempo: la falla, da cui irrompe l'acqua può essere otturata fino alla perfetta reintegrazione della barca, ma il controllo alimentare fisiologico, purtroppo, non può essere più ripristinato e, quindi, dovremo accontentarci di metterci una pezza che sosterremo stabilmente con la mano (cibomania)! In conclusione, continuiamo pure a chiamarla obesità, ma teniamo presente che tale condizione nasce ed è mantenuta dal disadattamento alimentare, il quale non è nè vizio nè indice di scarsa volontà, come afferma chi non conosce queste problematiche, ma vera malattia, e non di poco conto. Analogamente al fumo e all'alcoolismo, dove, certamente, non è sufficiente curare le conseguenze patologiche polmonari, cardiocircolatorie o epatiche, rendendosi, invece, indispensabile smettere di fumare o di bere, così, nel caso dell'obesità o, comunque, delle patologie legate alla perdita dell'equilibrio metabolico, i maggiori sforzi devono essere indirizzati al controllo e miglioramento della cibomania. Essendo l'obesità una malattia da disadattamento, come tale va trattata. Le condizioni da disadattamento sono tipicamente contrassegnate dal carattere della permanenza e dalla inefficacia di qualunque trattamento farmacologico. Il fumatore o l'alcoolista smetteranno di fumare o di bere, solo se e quando lo decidano loro, consapevolmente e autonomamente; l'uso del farmaco è del tutto indifferente (la maggior parte smette senza farmaci) o, al più, può offrire un meccanismo di rinforzo della volontà, ma solo se assunto con convinzione (il costo del farmaco, p.es., rappresenta un fattore favorevole). Non esiste un farmaco che consenta di smettere senza la convinta e sofferta partecipazione del soggetto. La permanenza del disadattamento, che vedremo meglio in seguito, spiega anche la facilità delle ricadute. Rispetto al fumo e, in minor misura anche all'alcool, il controllo del cibo risulta molto più difficile in quanto, coi primi, è possibile attivare il divieto assoluto, smettendo di fumare o di bere; col cibo, ovviamente, questo. non solo non è consentito (anoressia nervosa!), ma neppure è ammesso appiattirne l'uso, rendendo l'alimentazione uniforme in tutti i giorni dell'anno: per l'uomo, a differenza dell'animale, l'alimentazione non ha solo la valenza metabolica! Premessa
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2. Cause e patogenesi dell'obesita'­ cibomania ­ bulimia – anoressia
La piena DISPONIBILITA' QUANTITATIVA E QUALITATIVA DEGLI ALIMENTI e la SEDENTARIETA' rappresentano importanti condizioni predisponenti dell'obesità. Da sole esse danno ragione della diversa distribuzione geografica del problema. Infatti, nei paesi economicamente più evoluti, dove, in particolare dal secolo scorso, tali condizioni sono preponderanti, l'eccedenza di peso è ampiamente diffusa, mentre dove ancora prevalgono il lavoro manuale e la penuria di alimenti, è ancora largamente rappresentata la malnutrizione per difetto.
Il ruolo predisponente di un fattore genetico, invocato da molti, non è suffragato, secondo noi, da argomenti convincenti; al contrario, la comune osservazione che, col sopraggiungere del benessere economico e della sedentarietà, il problema non ha risparmiato ceti sociali, isole o continenti, nord e sud, città e campagna, depone chiaramente contro. In verità, come abbiamo potuto constatare in occasione di congressi di risonanza nazionale e anche internazionale, il fattore ereditario viene facilmente scambiato con la familiarità. I tuoi genitori sono obesi? La tua obesità è di origine genetica. Troppo semplice! In realtà la familiarità rappresenta, come fattore ambientale, una delle tante occasioni scatenanti che danno l'avvio all'aumento delle introduzioni caloriche e, quindi, al processo d'ingrassamento, come si vedrà in seguito. L'alimentazione, come il linguaggio, come la stessa condotta morale viene appresa in famiglia: se babbo e mamma fanno la erre moscia, anche i figli avranno lo stesso difetto di pronuncia, senza per questo dover scomodare la genetica! L'argomento non è indifferente ai fini del trattamento dei pazienti obesi: il medico sarà facilmente indotto a giustificare col fattore genetico tutti i casi di insuccesso e il paziente troverà nella genetica una ottima scusante per sottrarsi alla cura. La ridotta termogenesi alimentare, cui recentemente è stata attribuita importanza nella genesi dell'obesità, non è riconosciuta da tutti gli autori (D'Amicis et Al.­ Alim. Nutr. Metabol. 13,:83­89, 1982 ­ Maffeis C. et Al. ­ Nutr. Clin. 1, 1993) e, semmai, potrebbe anch'essa rappresentare una conseguenza dell'eccesso ponderale e svolgere, a sua volta, un ulteriore ruolo nel mantenimento dell'obesità. Altrettanto dicasi della riduzione della spesa energetica basale (REE) riscontrata (e tutta da confermare) in soggetti già obesi, che manterrebbero il peso normale, nonostante la dieta ipoenergetica! (Adami G.F. et Al. ­ Min. Gastroenterol. e Dietol. 39,3, 1993). Tuttavia, perchè abbia inizio il processo d'ingrassamento e il concomitante disadattamento metabolico, oltre la piena disponibilità alimentare e la sedentarietà, 6
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è richiesto l'intervento di una OCCASIONE SCATENANTE che agisca con sufficiente intensità e durata e che non sia contrastata o neutralizzata da condizioni sfavorevoli allo svolgimento della propria azione. Le occasioni scatenanti sono numerose, ma agiscono tutte con lo stesso meccanismo: sotto il loro effetto il soggetto è portato a introdurre una maggiore quantità di alimenti rispetto alle normali esigenze metaboliche, attraverso modalità sempre diverse da caso a caso e per un lasso di tempo sufficientemente lungo. Il perdurare di questo errato comportamento alimentare, a sua volta, provoca un graduale e progressivo adeguamento delle funzioni digestive, che favorisce il perpetuarsi dello squilibrio metabolico, attraverso una graduale e definitiva compromissione dei meccanismi fisici, neuroendocrini e umorali che, a livello centrale e periferico, assicurano fisiologicamente la corretta assunzione del cibo (Maestri P. Clin. Dietol. 17,273­280, 1990 ­ Marin et Al. Clin. Dietol.,17, 53­63, 1990 ­ Giovannini C. Clin. Dietol.,13,457­466, 1986 ­ John E.Blundel, Alim.Nutriz.Metab.3, 7­19, 1982). Può ritenersi sufficiente ipotizzare che i meccanismi di autocontrollo metabolico, qualunque essi siano, sottoposti per lungo tempo a stimoli abnormi (occasione scatenante), nei cui confronti si dimostrino persistentemente inefficaci, vadano progressivamente incontro ad alterazioni di ordine funzionale e/o strutturale, perdendo definitivamente e in misura più o meno rilevante, la capacità di riconoscere o di reagire adeguatamente ai segnali periferici. A questo punto, in ogni caso, assieme all'accumulo dei substrati energetici eccedenti, si è già instaurato il disadattamento alimentare (o squilibrio metabolico o staratura), che condizionerà d'ora innanzi l'assunzione degli alimenti. Il piacere che accompagna normalmente l'atto del mangiare (aspetto, odore, sapore del cibo, ecc.) e che, di regola, viene meno col soddisfacimento delle esigenze metaboliche, diventa fine a sè stesso e persiste ben oltre le giuste richieste caloriche, anche se la gratificazione del cibo viene sempre meno, man mano che avanza la cibomania. Come si vede, la modalità d'insorgenza del disturbo non si discosta sostanzialmente da quanto avviene nel fumo o nell'alcoolismo. Qualsiasi esperienza sufficientemente ripetitiva apre la strada agli apprendimenti o adattamenti giusti (imparare a nuotare, andare in bicicletta, ecc.) o sbagliati (disadattamenti), che permarranno poi definitivamente. Anche se si smette di fumare, non si tornerà più allo stato iniziale del soggetto non fumatore; presentandosi l'occasione (grande gioia ma, soprattutto, grande tristezza), basta qualche sigaretta e si è di nuovo fumatori, non essendo venuto meno l'apprendimento iniziale, che, a suo tempo, aveva richiesto mesi o qualche anno di faticosa esperienza. Con l'inizio del disadattamento alimentare aumenta l'appetito (voglia di spuntini) e, sopra tutto, viene meno il senso di sazietà: la fine del pasto, che prima era agevolata dall'intervento tempestivo di questo segnale fisiologico, diventa, in un lasso di tempo più o meno lungo, a seconda della sensibilità e della formazione culturale del soggetto, un atto cosciente, responsabile, che richiede, come già detto, un impegno psicoenergetico non indifferente. Il precoce instaurarsi di un Cause e patogenesi dell'obesita'­ cibomania ­ bulimia – anoressia2006
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rapporto conflittuale con lo stesso cibo (desiderio di mangiare, da un lato, paura di ingrassare, dall'altro), aggraveranno ulteriormente la condizione disadattativa. La cibomania insorge quando il paziente, resosi conto dell'avanzare del sovrappeso e incalzato da una qualsiasi motivazione (sanitaria, estetica, lavorativa, sportiva, ecc.), cerca di opporsi al processo d'ingrassamento, decidendo o accettando la restrizione dell'apporto alimentare. Chi non è disponibile a sopportare il senso più o meno penoso di insoddisfazione nel porre fine al pasto senza sentirsi sazio o, comunque, si rifiuta di accettare, con spirito di sacrificio, le necessarie rinunzie, andrà sicuramente incontro a un progressivo ingrassamento, con i noti risvolti sul piano sanitario, estetico, psicologico e con la conseguente ricaduta sulla qualità della vita. Per il momento, non sarà afflitto dalla tormentosa cibomania, ma il comportamento alimentare sregolato e il conseguente progressivo ingrassamento non può durare indefinitamente: il sopraggiungere di una condizione morbosa, diabete, artrosi, infarto, ictus, riproporrà, questa volta in maniera drammatica e urgente, un diverso e più responsabile atteggiamento nei confronti del cibo. Deve anche tenersi presente che la gravità della cibomania non è uguale in tutti i casi. Solitamente, essa è proporzionale all'entità e alla durata del sovrappeso, fino a diventare incontrollabile nelle obesità di alto grado. Per questo motivo, prima si interviene con la corretta terapia, e tanto meno faticoso riuscirà, non solo il calo ponderale, ma anche il mantenimento dei risultati nel tempo. Le molteplici situazioni di stress, inoltre, prendendo, nell'attenzione del paziente, il sopravvento sul controllo alimentare, rappresentano una frequente causa di aggravamento della cibomania; esse richiedono un appropriato, competente e impegnativo intervento psicoterapeutico da parte del curante, pena il fallimento dello stesso trattamento dietetico. Il controllo della cibomania, infatti, richiede grande serenità, padronanza di sè, nonchè il tempo necessario per organizzare e attuare il programma dietetico. Lo stesso ambiente sociale può costituire un serio ostacolo al corretto comportamento alimentare, quando esso dia luogo a frequenti circostanze conviviali. Infine, il controllo della cibomania diventa tanto più difficile quanto più numerosi e inadeguati sono stati i trattamenti precedenti, specie se accompagnati da prescrizioni di farmaci anoressanti di tipo centrale, alla cui sospensione il disturbo, per la totale assenza di qualunque effetto rieducativo, va incontro a una brusca impennata, col rapido ricupero dei chili eliminati. Come già detto, chiamiamo cibomania la fatica richiesta per attenersi al corretto comportamento alimentare. Tuttavia, perchè la stessa fatica non si riveli del tutto sterile, o addirittura controproducente, si rende indispensabile conoscere con esattezza che cosa e quanto si deve mangiare. Sentirsi dire da tutti i pulpiti 'mangia bene!' è semplicemente frustrante. In realtà, stabilire con precisione il fabbisogno alimentare di un qualunque individuo rappresenta un impegno alquanto gravoso. Neppure il medico dietologo più esperto può quantificare correttamente il consumo energetico del paziente se non elaborando, a seguito di un accurato esame clinico­
antropometrico e di una minuziosa indagine motoria, le numerose varianti (età, sesso, statura, costituzione, situazione ormonale, attività) che concorrono alla 8
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determinazione del metabolismo. Quasi sempre la restrizione praticata autonomamente dal paziente, o, talvolta, consigliata o prescritta da persone non esperte, si rivela troppo severa, per cui è destinata al fallimento. Il rischio maggiore proviene dal ripetersi di questi episodi di insuccesso; il problema del cibo viene, in tal modo, ad occupare uno spazio preponderante nei pensieri del paziente, con ulteriori dannosi riflessi sul comportamento alimentare. Il più delle volte ne consegue un aggravamento della iperoressia, in altri casi, al contrario, viene attivato un meccanismo restrittivo, indipendentemente dall'esistenza o meno di chili eccedenti. Particolari circostanze ambientali o speciali condizioni psicologiche endogene, possono condurre, in questa fase, a comportamenti alimentari estremi, quali la bulimia o l'anoressia nervosa di origine alimentare. Anche il cibomane può andare incontro a sporadici episodi di abbuffata compulsiva, ma il suo comportamento resta sempre nettamente distinto da quello del bulimico. Mancano senso di vergogna, segretezza, autosvalutazione, enfasi dell'immagine fisica e, soprattutto, mancano le reazioni compensatorie estreme del bulimico, quali vomito autoindotto o lassativi o diuretici o episodi di anoressia o incrementi eccessivi dell'attività motoria (v. anche C. Fairburn ­ come vincere le abbuffate ­ positive Press: gennaio 1966). Nel bulimico, l'instaurarsi precoce di un circolo vizioso fra trasgressione e reazione, induce rapidamente effetti devastanti sul piano fisico e psichico, con immancabile coinvolgimento dell'ambiente familiare e lavorativo. Per contro, il disturbo del cibomane resta circoscritto nel proprio ambito personale, senza importanti ripercussioni sull'ambiente familiare e lavorativo, sugli affetti e, nella maggior parte dei casi, sullo stesso piano psicologico. Alla eventuale abbuffata reagisce, tutt'al più, ripromettendosi qualche restrizione al pasto successivo. Al contrario del bulimico, in cui, col rapido alternarsi degli episodi trasgressivi con quelli reattivi, si riducono via via i tempi liberi dalla fissazione alimentare, nel cibomane, il disturbo dura solo limitati intervalli di tempo (specie dopo i pasti), essendone per lo più esente durante le usuali occupazioni giornaliere. Riteniamo che la gran parte dei bulimici e degli anoressici nervosi di origine alimentare avrebbero evitato di cadere in questa drammatica condizione se solo avessero saputo cosa mangiare per non ingrassare! Il trattamento terapeutico, quando la malattia si presenta in fase avanzata, è certamente molto più impegnativo rispetto alla semplice cibomania che accompagna l'eccedenza ponderale. Tuttavia, anche in questi casi, oltre al sostegno psicologico e all'intervento di natura dietetica, sarà vantaggioso comunicare, attraverso leali, pazienti e comprensibili argomentazioni, la vera natura di questi disturbi. La difficoltà maggiore, solitamente, deriva dal fatto che la persona interessata accede alla cura in fase avanzata, quando, per la distorta accezione del proprio corpo, non si dimostra per nulla preoccupata: il problema ce l'hanno i familiari che l'hanno inviata dal curante! Nelle fasi iniziali, sia l'anoressia di origine alimentare che la bulimia, presentano una evidente contiguità con la cibomania e, pertanto, sono facilmente suscettibili di miglioramento, riconducendone l'espressione entro i limiti della cibomania. Talvolta Cause e patogenesi dell'obesita'­ cibomania ­ bulimia – anoressia2006
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è sufficiente fornire al paziente uno strumento dietetico idoneo a raggiungere o mantenere il giusto peso corporeo, tuttavia, assieme al necessario supporto psicologico, bisognerà anche spiegare lealmente e far accettare il concetto che la stessa cibomania può essere resa più tollerabile, ma non potrà mai essere emendata. E' molto diffusa tra i pazienti, ma anche presso alcuni medici (Fricano ­ Clin. Dietol. 16: 49­54 ­ 1989), la convinzione che si possa ingrassare pur mangiando poco, e ciò spinge a cercare una spiegazione su basi diverse dall'alimentazione, come stress ('l'ansia mi fa ingrassare'), eredità ('in casa mia sono tutti grassi'), tendenza costituzionale ('io tendo a ingrassare'), assimilazione ('da qualche tempo assimilo tutto'), disfunzioni endocrine ('il mio organismo non brucia bene'), e così via. L'affermazione 'mangio poco' è del tutto soggettiva e di nessun rilievo, cosa di cui lo stesso paziente, solitamente, si rende conto nel corso dell'inchiesta alimentare. Ciò che è inteso come poco da un soggetto può risultare eccessivo per un altro, e, verosimilmente, la valutazione è espressa in riferimento a quanto il soggetto sarebbe capace di mangiare se non si limitasse. Certo è che, in ossequio alla legge sulla conservazione dell'energia, perfettamente rispettata anche nell'uomo (Quagliariello ­ 'Scienza dell'alimentazione'­ idelson 1­5 1966), un aumento del peso adiposo è giustificato solo da un maggiore introito calorico rispetto ai consumi, pur in assenza di ogni evidenza (Magnati G. et Al. ­ Atti Congr. Naz. Obesità ­ 1992). In conclusione, l'intervento di una occasione scatenante efficiente, in presenza delle cause predisponenti, avvia un processo di iperalimentazione e, quindi, di sovrappeso che, perdurando nel tempo, determina stabilmente un'alterazione dei complessi meccanismi omeostatici e, forse, della stessa termogenesi. Riteniamo, quindi, che alla stregua delle sostanze tossiche psicotrope, dell'alcool, del fumo, anche il cibo sia capace di indurre fenomeni di adattamento (disadattamento), di abuso, di tolleranza e di dipendenza psichica. L'obesità è, dunque, la manifestazione dismetabolica di una malattia da disadattamento. 10
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3. Occasioni scatenanti 1 ­ Cessazione attivita' fisica
La cessazione o notevole riduzione dell'attività fisica non è, solitamente, accompagnata da una corrispettiva riduzione della introduzione calorica. Chi serve gli alimenti continua a fornire le usuali porzioni e, d'altra parte, il soggetto interessato non trova difficoltà nel consumarle; egli, anzi, si stupirebbe se non riuscisse a utilizzare la stessa quantità di cibo introdotta tutti i giorni per tanti anni. In realtà, senza rendersi conto, egli sta introducendo, per la prima volta, una quantità di alimenti eccessiva rispetto alle attuali esigenze metaboliche. Quando, dopo mesi o qualche anno, constaterà l'aumento del peso corporeo, l'equilibrio alimentare è definitivamente perduto. Questa occasione scatenante è, senz'altro, la più frequente e interessa particolarmente i maschi , per la più intensa attività fisica da loro generalmente svolta. Essa non è efficiente quando la cessazione dell'attività avviene gradualmente, consentendo un corretto adattamento alimentare. La prevenzione consiste nell'evitare la brusca interruzione dell'attività e nell'adeguare tempestivamente l'alimentazione alle nuove esigenze energetiche. L'assunzione di un nuovo impegno gratificante, può essere d'aiuto. L'intervento sanitario occorre, quindi, non solo all'inizio e durante l'attività fisica, ma anche alla sua cessazione. 2 ­ Maternita'
E' l'occasione scatenante più frequente nella donna adulta. L'errore alimentare può verificarsi durante la gravidanza e/o nell'allattamento e, in natura, se non si tiene conto dell'animale di allevamento, è esclusivo appannaggio della donna, oggetto, spesso, di attenzioni e consigli sbagliati da parte di parenti, amici, marito, ecc. Quello che in natura è un comunissimo evento fisiologico, per la donna, non di rado, diventa una occasione di trepidazione e di ansia con immancabili ripercussioni sul piano alimentare (vedi stress). Talvolta fornisce anche un comodo alibi per ridurre sensibilmente l'attività fisica: le stesse provvidenze legislative in tema di maternità possono costituire un incentivo alla sedentarietà. Persistono ancora taluni dannosi pregiudizi, sia in gravidanza (le 'voglie', mangiare per due, ecc) che durante l'allattamento (bere birra, mangiare molto per non far mancare il latte, ecc.): non volendosi assumere responsabilità di fronte ai familiari, la donna è portata facilmente ad assecondare questi suggerimenti. Continuare a lavorare fino alle ultime fasi della gravidanza (quando l'attività non sia molto gravosa e non esistano particolari controindicazioni), incrementare le passeggiate nel tempo libero (se l'attività è sedentaria), attenersi ai suggerimenti dell'ostetrico, seguire una alimentazione varia e completa dando ascolto esclusivamente al naturale bisogno di alimenti, considerare la maternità, non già un Occasioni scatenanti
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prezioso dono offerto ai propri cari, ma semplicemente una speciale condizione fisiologica necessaria e doverosa per la procreazione, può aiutare la donna a trascorrere serenamente questo periodo, senza avvertire il bisogno di ingiustificate e controproducenti gratificazioni da parte di che la circonda. Può essere, tuttavia, utile spiegare che nei primi mesi della gravidanza (eliminati fumo, alcoolici, farmaci, alimenti salati, carni crude, insaccati) non è consigliabile modificare le precedenti abitudini alimentari, quando esse siano corrette, in quanto normalmente, alla fine del secondo mese, l'incremento ponderale deve essere modestissimo (circa 0.5 Kg) e, alla fine del terzo, non deve superare Kg 1.5. Successivamente, seguendo la naturale disposizione a un maggiore apporto calorico, non sarà difficile rientrare nei 9­12 Kg richiesti a fine gravidanza, aumentando moderatamente l'assunzione di frutta, latte, verdure, specie fuori pasto. In presenza di sovrappeso, dismetabolismi o altre problematiche alimentari sarà, peraltro, utile il ricorso a un periodico controllo dietologico, sia in gravidanza che durante l'allattamento. 3 ­ Cure
L'eccedenza ponderale rappresenta, non di rado, un effetto collaterale di trattamenti medici o chirurgici. Tra i primi si riscontrano frequentemente le cure neuropsichiatriche (antidepressivi, sedativi), sanatoriali (isoniazide), ormonali (cortisone, anabolizzanti, pillola antifecondativa, ecc.), ricostituenti (vitamine, aminoacidi, antianemici, antistaminici, ecc.). Qualunque intervento chirurgico può costituire occasione scatenante di ingrassamento. Tuttavia, l'evento si verifica più frequentemente dopo isterectomia, tonsillectomia, colecistectomia (Giovannini C. et Al. ­ Alim. Nutr. Metabol. 1: 97­100, 1980), tiroidectomia e, verosimilmente, non è direttamente collegabile all'intervento in sè, ma alla successiva convalescenza. La gradevole sensazione di scampato pericolo, la scomparsa della precedente sintomatologia e il progressivo miglioramento dei disturbi postoperatori, la graduale ripresa dell'appetito dopo il forzato digiuno pre e postoperatorio, infine, le gratificanti attenzioni dei sanitari e dei familiari, concorrono alla ripresa del normale consumo di alimenti, facilitando l'impiego di una dieta ipercalorica necessaria per il recupero del peso. Quando questa maggiore introduzione di alimenti si prolunga sufficientemente nel tempo, si instaura il meccanismo scatenante.. Un adeguato controllo delle condizioni nutrizionali e del peso corporeo, accompagnate da una corretta informazione dietologica, potrebbero evitare l'instaurarsi dell'obesità. 4 ­ Esagerate premure dei genitori Nel corso della visita la mamma racconta: "era sempre inappetente.... quanto ho dovuto penare perchè mangiasse." Questa causa interessa la maggior parte dei soggetti che ritengono di essere da sempre grassi. Il bambino normoponderale, come, peraltro, in natura tutti gli 12
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esseri viventi (non gli animali da allevamento!), assume istintivamente la quantità di alimenti necessaria alle proprie esigenze metaboliche. Se quella fornita era insufficiente, ne reclamerà ancora, se, invece, era abbondante lascerà nel piatto l'eccedente. In questa seconda evenienza succede abbastanza spesso che il bambino viene sollecitato in tutti i modi a consumare l'intera porzione ("mangia che cresci...che ti fa bene...che diventi forte...arriva l'aereo carico carico di...). Pur con molta riluttanza il bambino, non di rado, si sforza di compiacere i genitori (gli zii, i nonni) e così, col tempo, introducendo una quantità di alimenti superiore al fabbisogno, va incontro all'aumento di peso e al disadattamento alimentare permanente. Di regola, se il bambino è sano (non ha febbre, non ha tosse, gioca regolarmente, ecc.) e non commette errori alimentari (spuntini, caramelle, bibite, ecc. prima dei pasti), non esistono discrepanze tra appetito ed esigenze metaboliche. Purtroppo, in molti casi, la sua costituzione esile viene facilmente scambiata per magrezza e questo crea un motivo di apprensione per i genitori. In realtà il tessuto adiposo è ben rappresentato e lo potrebbe facilmente verificare il pediatra o il medico di famiglia, riscontrando uno spessore di 7­11 mm, come è normale nei bambini, alla misura della plica cutanea brachiale posteriore (Pett L.B. E Olgivie G.F., citati da Travia ­ Manuale di scienza dell'Alimentazione ­ I^ ediz. pag. 80).
La stessa mensa scolastica può non essere esente da rischi per l'uso ingiustificato di integrazioni alimentari da parte dei familiari. Il giorno 8 aprile 2005 scrivemmo una lettera al Prof. Sirchia, allora Ministro della Salute, nella quale, mentre da un lato esprimevamo il nostro apprezzamento per le misure adottate per combattere il fumo, dall'altro mettevamo in guardia dai rischi che sarebbero potuti derivare dall'impiego degli stessi metodi in campo alimentare. La lettera esordiva: "Sig. Ministro, Ill. Prof.Sirchia, non mi dimezzi le porzioni del ristorante, mi dimezzi i prezzi!". Dopo aver brevemente accennato alle differenze che corrono tra fumo e problemi alimentari, ci siamo permessi di suggerire ciò che, a nostro avviso, sarebbe potuto riuscire veramente utile: attivare la prevenzione primaria, informando la popolazione sulle occasioni scatenanti che danno l'avvio all'eccedenza ponderale. Affrancata e chiusa la lettera, scorrendo il nostro giornale locale, 'L'unione Sarda', ci siamo imbattuti in una lettera di una mamma al pediatra del giornale, dal seguente tenore: "Sono molto, molto preoccupata: la mia bambina che ha sei anni non vuole mangiare, almeno come io vorrei. Mangia quando vuole e quello che vuole (poco) e non ascolta le mie continue raccomandazioni. Naturalmente l'ho fatta visitare da due medici di famiglia...e da altri due pediatri a pagamento. Tutti l'hanno trovata sana, ma a me non sembra che sia normale questa mancanza di appetito. Le ho provate tutte: lusinghe, minacce, promesse, urla, pianti, scenette. Da anni combatto una guerra in cui i momenti di tregua sono rari. Mi sto esaurendo. Ma se mi arrendo temo di comportarmi da irresponsabile". Il titolo emblematico del giornale era "La guerra del cibo si vince col sorriso". Riaperta la busta, abbiamo allegato, a beneficio del Prof. Sirchia, copia della missiva con relativa risposta del pediatra, e abbiamo aggiunto come post­scriptum: "......la Occasioni scatenanti
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bambina ha resistito alle minacce e alle promesse, ma cederà sicuramente al sorriso e al giochino dell'aereo che arriva carico, carico di......"
Abbiamo inviato la nostra lettera raccomandata l'11 aprile. Naturalmente, è rimasta senza risposta. 5 ­ Cambiamento genere di vita
Fanno parte di questa occasione scatenante il matrimonio, l'impiego, il pensionamento, una lunga vacanza, un trasferimento, la fine di un periodo di restrizioni alimentari o qualunque altro evento che, determinando uno scossone sul vissuto alimentare, è capace di indurre aumento dell'apporto calorico non giustificato metabolicamente. Nel matrimonio, sia il marito che la moglie possono mutuare dal partner nuove abitudini alimentari, capaci di alterare il preesistente bilancio calorico. E' frequente il caso della donna che riferisce di aver introdotto il vino ai pasti dietro le sollecitazioni del marito o quello dell'uomo che lamenta un maggior consumo di grassi e di pietanze elaborate rispetto alla cucina materna. In entrambi, inoltre, la vita in comune può limitare la libertà di movimento (attività sportiva, passeggiate) o restringere l'autonomia alimentare (quando si è inappetenti, saltare un pasto diventa più difficile). Infine, tra marito e moglie si instaura, spesso, una certa emulazione che può facilitare un consumo di cibi oltre le reali necessità metaboliche, come quando si mangia solo per fare compagnia al coniuge, il che svantaggia prevalentemente la donna stante in genere, il suo minore dispendio energetico
(basale
e
totale).
Una presa di coscienza di questi concetti può eliminare o ridurre al minimo i rischi derivanti dalla convivenza matrimoniale. L'impiego in attività sedentaria induce riduzione del dispendio energetico nel soggetto che prima era dedito ad attività manuale o sportiva (OS n.1). Inoltre, specie al primo impiego, con la maggiore disponibilità economica, da un lato, e l'esigenza di brevi interruzioni di lavoro, dall'altro, possono crearsi nuove occasioni di spuntini (cappuccino e pasta), il più delle volte non sostitutivi ma aggiuntivi rispetto all'alimentazione abituale. Il pensionamento, non accompagnato da altra attività produttiva e in assenza di un proficuo impiego del tempo libero, può causare restrizione del consumo calorico (più ore di televisione o di letto) e conferire maggiore ruolo gratificante all'alimentazione. Una vacanza sufficientemente lunga o, nei bambini, un periodo trascorso in colonia montana o marina o presso parenti (nonni, zii), rappresenta un'altra circostanza cui viene fatto risalire, in taluni casi, l'inizio del processo d'ingrassamento. Le nuove esperienze gustative, il distacco dalle abituali occupazioni, le attenzioni gratificanti dell'ambiente (parenti, amici, camerieri) possono concorrere ad accrescere la propensione a un maggior consumo di alimenti (piatto locale, dolci, gelati, bevande) e, purtroppo, non sempre questo comportamento viene meno col 14
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rientro a casa. Anche un trasferimento può rivestire il ruolo scatenante, sia per la possibile riduzione del consumo energetico conseguente a eventuale riduzione dell'attività fisica usualmente svolta (sport, passeggiate), sia per la gratificazione compensatoria favorita dal disagio derivante dall'allontanamento da un ambiente familiare (luoghi, parenti, amici, frequentazioni sociali) e dalla difficoltà di inserimento nella nuova residenza. Ricordiamo il caso di una ragazza straniera trasferitasi in Sardegna negli anni sessanta, a seguito di matrimonio contratto con un suo connazionale, militare presso una base Nato. La difficoltà di ambientamento, dovuta anche alla mancata conoscenza della lingua, la nostalgia e la solitudine (il marito rientrava a casa solo la sera), causarono un aumento ponderale di circa 20 Kg in meno di un anno. Naturalmente lei, che fino ad allora non aveva mai avuto problemi di peso, addossava la colpa al clima! Un periodo di restrizioni alimentari più o meno lungo, seguito da piena disponibilità anche qualitativa del cibo, può avviare facilmente il meccanismo scatenante: alcuni fanno risalire l'inizio del sovrappeso alla fine della guerra, altri al superamento di uno stato di bisogno dovuto a particolari situazioni personali o familiari.
Purtroppo, ancora oggi, a scopo di studio, vengono sottoposti dei soggetti normopeso, generalmente studenti, a dieta strettamente ipocalorica, anche per più settimane, salvo poi a dover esprimere il disappunto perchè una parte di essi, finita l'esperienza, ha cominciato ad ingrassare! ("Obesità 1992" ­ congresso di Verona 12­
15 Aprile 1992 ­ Keys A. et Al., citati da Bosello O. "fluttuazione del peso corporeo e rischio
cardiovascolare"
­
Quon,
1,1,1994).
Questa occasione scatenante, in concomitanza alla cessazione dell'attività fisica, al cambiamento del genere di vita, alle gratificazioni economiche, giustifica ampiamente l'obesità degli indiani Pim (argomento di punta dei genetisti), senza dover ricorrere ad arzigogolate teorie genetiche. In tali condizioni, infatti, qualunque persona, comunità o popolazione va necessariamente incontro a eccedenza ponderale! 6 ­ Stress emotivo
L'ansia, le preoccupazioni, i dispiaceri rappresentano, come già detto, un fattore di aggravamento della disregolazione alimentare e, quindi, costituiscono un grave ostacolo al rispetto del programma dietetico. In pratica, lo stress attiva un meccanismo difensivo dell'io cosciente che, con modalità sostitutiva, compensatoria, porta a una maggiore introduzione di alimenti, distraendo, in tal modo, l'attenzione del soggetto dal movente ansiogeno, esattamente come succede al fumatore che, per superare i momenti di tensione, raddoppia il consumo delle
sigarette.
Tuttavia, la sofferenza psichica, quando agisce con particolare intensità e durata, oltre a peggiorare la cibomania già presente, può costituire occasione scatenante primaria. Inizialmente si può andare incontro a un calo dell'appetito o anche al Occasioni scatenanti
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totale rifiuto del cibo; poi, dopo alcuni giorni o qualche settimana, prevalendo nuovamente l'istinto di conservazione su quello di autodistruzione, in alcuni casi si ritorna gradatamente al comportamento alimentare normale, in altri, invece, scatta il meccanismo difensivo iperoressico che, se da un lato, distrae l'attenzione dall'evento doloroso, consentendo, in qualche misura, di soffrirne meno, dall'altro, favorisce l'insorgenza del problema ponderale. La morte di una persona cara, la rottura di un fidanzamento, i contrasti coniugali, i crac finanziari, problemi di natura esistenziale, sono tra i più frequenti motivi di stress chiamati in causa.
Eccezionalmente, persistendo il rifiuto del cibo si cade nell'anoressia nervosa da stress
emotivo.
L'esatta comprensione della modalità d'intervento di questa occasione scatenante, e un adeguato sostegno psicologico, possono aiutare a reagire in modo meno sfavorevole, agevolando il risveglio di altri interessi compensatori, distraenti, non dannosi per la salute, quali associazionismo, volontariato, amicizie, impegni lavorativi, attività fisica, lettura, conversazione, arte e qualunque altra alternativa che giovi a non isolarsi coi propri problemi. 7 ­ Allattamento artificiale Tra i soggetti che nella nostra casistica hanno riferito di essere stati sempre grassi, in realtà solo il 15% presentava alla nascita un peso superiore alla norma (v. macrosomia), il 28% aveva praticato allattamento artificiale e, per essi l'inizio dell'ingrassamento risaliva, appunto, ai primi anni di vita, il restante era stato oggetto di esagerate premure da parte dei genitori (ricerca non pubblicata del 1997).
Tra gli effetti indesiderati dell'allattamento artificiale, evidentemente, bisogna annoverare anche questo. Peraltro, appare logico ritenere che l'allattamento al seno, essendo regolato, sia da parte della nutrice, che del lattante, da meccanismi di autocontrollo fisiologico, offra migliori garanzie rispetto all'allattamento artificiale, il quale se ne differenzia per la composizione del latte, per la diversa e più agevole modalità di erogazione e, infine per la necessità di una valutazione quantitativa che non sempre corrisponde al reale fabbisogno del bambino. Dal biberon è più facile prendere
e
ancora
più
facile
dare!
Un più attento controllo dell'accrescimento ponderale e staturale può agevolare una più corretta valutazione quantitativa nella somministrazione del latte. 8 ­ Macrosomia
Questa causa scatenante agisce nel corso della gravidanza sotto l'effetto di una alterazione metabolica. L'iperinsulinismo col conseguente effetto ipoglicemizzante e successivo aumento di richieste metaboliche, costituisce l'esempio più noto. Nella nostra esperienza oltre il 70% dei soggetti che rientrano in questa
causa
presentano
familiarità
diabetica.
Un accurato esame delle condizioni cliniche e laboratoristiche della donna in gravidanza, specie in presenza di familiarità diabetica o, in genere, dismetabolica, può, eventualmente, evidenziare l'esigenza di un programma alimentare che, da un 16
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lato, assicuri la completezza e l'equilibrio dei vari nutrienti e, dall'altra, rispetti il giusto incremento ponderale gravidico. 9 ­ Cessazione del fumo Rappresenta uno dei meccanismi scatenanti più tardivi e agisce solo quando il vizio sia veramente radicato e, quindi, si sia instaurato un certo grado di dipendenza. Non agisce se l'interruzione avviene quando il soggetto sia ancora in fase di apprendimento, tenendo presente che questa, come detto, può durare mesi ma anche anni (consumo saltuario di qualche sigaretta).
E' opportuno chiarire subito che il fumo non aiuta a restare magri: I fumatori sono grassi o magri come i non fumatori. Molti dei soggetti adulti obesi afferenti lo studio dietologico sono fumatori e, spesso, lo erano già prima d'ingrassare (lavoro non pubblicato). Tuttavia, la cessazione del fumo può avviare il processo d'ingrassamento o aggravare una eccedenza ponderale già esistente.
E' anche possibile che la maggiore introduzione di alimenti sia dovuta al miglioramento delle condizioni digestive (gastrite del fumatore) ma, in gran parte, è certamente legata al meccanismo psicologico sostitutivo già descritto per lo stress (OS n.6). Il soggetto, che prima chiudeva i pasti accendendo la rituale sigaretta, adesso, inconsciamente, si attarda a tavola, preoccupato di non cedere alla sigaretta più importante della giornata, quella del dopo pasto. E' come se fosse venuta a mancare la penna per siglare la fine del pasto!
La funzione sostitutiva di cioccolatini e caramelle eventualmente consumati al posto della sigaretta, è ancora più facilmente comprensibile.
L'esatta conoscenza di questi concetti può aiutare il paziente a rispettare le usuali abitudini alimentari, eludendo l'iniquo meccanismo sostitutivo. Se occorre, un costante controllo del peso corporeo ed, eventualmente, il tempestivo intervento del dietologo, possono rendere inefficiente questa causa, evitando che la paura di ingrassare diventi un alibi per continuare a fumare. 10 ­ Menopausa Nella donna rappresenta la causa tardiva più frequente. Non escludendo una possibile alterazione dell'appetito o anche una eventuale riduzione del metabolismo legata alla modifica del quadro ormonale, riteniamo, tuttavia, che la spiegazione sia da ricercare, soprattutto, in problemi di ordine psicologico, spesso a sfondo depressivo, che non raramente accompagnano la menopausa e che agiscono scatenando
il
meccanismo
sostitutivo
alimentare.
La coincidenza temporale tra menopausa e durata media della vita femminile, presente fino a pochi decenni addietro, poteva in qualche modo giustificare la comparsa di alterazione dell'umore in questa particolare fase fisiologica: la menopausa segnava, allora, non solo la fine della funzione genitale, ma l'inizio dello stesso declino della vita. Oggi, con l'allungamento della vita media femminile di circa 30 anni, la cessazione dell'ovulazione e delle manifestazioni mestruali, ormai superflue, potrebbe anche essere ben accetta, considerando che tutte le altre Occasioni scatenanti
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funzioni, compresa quella sessuale, restano immodificate ancora per molti anni. La menopausa, quindi, non dovrebbe più suscitare senso di sconforto o far venire meno la voglia di vivere. L'argomentazione, che spesso riesce del tutto nuova, è facilmente
condivisa
e
apprezzata.
Lo sviluppo di nuovi interessi ricreativi, culturali, associativi, assistenziali, può concorrere a rendere inefficace questa occasione scatenante. 11 ­ Familiarità
Quando padre e madre sono obesi è facile intuire, senza scomodare la genetica, che anche i figli potranno diventarlo sin dai primi anni di vita. Infatti, l'errato comportamento alimentare dei genitori diventa per loro un modello obbligato, così come l'apprendimento del linguaggio o della stessa condotta morale. Come già detto, se babbo e mamma fanno la erre moscia, tutti i figli cresciuti in casa avranno lo stesso difetto di pronuncia. Molti casi inclusi nella occasione scatenante n.4 (esagerate premure dei genitori) possono indifferentemente esseri compresi in questo gruppo. 12 ­ Problematiche alimentari e ponderali
Negli ultimi 20 anni abbiamo riscontrato un numero sempre maggiore di soggetti (solitamente giovani donne) che riferiscono di aver cominciato a ingrassare a seguito di alimentazione pilotata spontaneamente, sia per correggere il peso corporeo, a torto o a ragione ritenuto eccedente ("mi vedevo grassa... pesavo più della mia amica..."), sia per convinzioni pseudoscientifiche o pseudoreligiose (vegetarianismo,
crudismo,
ecc.).
Come si sa, i soggetti dotati dell'autocontrollo alimentare fisiologico (nei paesi occidentali, forse non più del 30% degli adulti, il 75% dei bambini) non fanno alcuna fatica, come tutti gli animali in natura, a mantenersi nel peso normale, in quanto adeguatamente guidati dai segnali dell'appetito e della sazietà. Stante la piena disponibilità del cibo, essi devono solo badare alla qualità degli alimenti per non incorrere in carenze o squilibri alimentari (non basta mangiare, bisogna nutrirsi).
Orbene, siamo del parere che, nel loro caso, il rigoroso pilotaggio dell'alimentazione non può essere che dannoso, anche quando la regola dietetica sia calcolata nel modo più corretto. Che dire delle diete spontanee, copiate dai giornali o consigliate da amici o, comunque, da persone inesperte! Solitamente si tratta di diete squilibrate qualitativamente e inadeguate sotto il profilo quantitativo; il più delle volte, fortunatamente, vengono presto abbandonate per la comparsa di disturbi sanitari o per lo scatenarsi della fame. Quando si insiste, tuttavia, è facile andare incontro a una definitiva modifica del comportamento alimentare e, quindi del peso corporeo in eccedenza o in difetto (Bosello O. "Il paradosso della dieta" ­ Atti II Congr. Naz. ANSISA 1993, pag.13). Dopo reiterate fasi di dimagrimento, seguite puntualmente da ricuperi ponderali a livelli sempre più alti (Weight cycling syndrome), si presentano due alternative: la resa definitiva al desiderio smodato di cibo o, più raramente, l'attivazione dell'anoressia autoindotta. I meccanismi difensivi 18
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posti in essere dal bulimico non sempre garantiscono il mantenimento del peso o lo fanno solo per periodi limitati. 13 ­ Occasione scatenante sconosciuta
In un discreto numero di soggetti non è possibile individuare con certezza la causa scatenante. Molti di essi allegano eccedenza ponderale da sempre e, verosimilmente, almeno in parte, sono stati anch'essi oggetto di errate attenzioni alimentari nell'infanzia (OS n.4), circostanza che, solitamente, affiora solo dopo opportuno interrogatorio dei genitori. In altri la causa può essere individuata più appropriatamente nella familiarità (OS n.11). Peraltro, anche quando viene a mancare l'elemento chiarificatore circa l'origine del sovrappeso, è importante che il paziente sappia che l'occasione scatenante, anche se non individuata, c'è stata ugualmente e che essa ha svolto un ruolo determinante nell'avvio dell'eccedenza ponderale e nella conseguente perdita del controllo istintivo alimentare. Tra le occasioni scatenanti non abbiamo di proposito incluso le affezioni organiche (disendocrinie, tumori, ecc.) in quanto l'eccedenza adiposa (e non semplicemente ponderale, che può essere di altra natura!) rappresenta, in queste condizioni, solo un sintomo (obesità secondaria), pur essendo sempre espressione di un'aumentata introduzione calorica rispetto all'effettivo consumo. Fortunatamente si tratta di casi piuttosto rari, in cui il sovrappeso assume un ruolo solo marginale rispetto alla malattia che lo ha causato. Concludendo, proponiamo il seguente schema: 1. Cibomania + aumento del peso adiposo = obesità
2. Comportamento patologico restrittivo + magrezza = anoressia nervosa di origine alimentare
3. Comportamento patologico iperoressico, accompagnato da reazioni difensive estreme, con o senza alterazione del peso corporeo = bulimia
4. Cibomania ben controllata e senza importanti alterazioni del peso corporeo = guarigione clinica dell'obesità o fase di mantenimento.
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4. Peso corporeo ­ peso ideale ­ peso fisiologico massimo
Nel soggetto adulto sano lo scheletro, i visceri, la cute e suoi annessi costituiscono la componente relativamente stabile del PESO CORPOREO totale; il tessuto adiposo e la muscolatura volontaria ne rappresentano la componente variabile. Alcune condizioni fisiologiche (accrescimento, gravidanza) e molte altre patologiche (affezioni disidratanti, edemigene, epatosplenomegalie, tumori, mixedema, amputazioni, ecc.), agiscono in vario modo sul peso corporeo e di esse bisognerà tener debito conto nella valutazione del peso corporeo e del metabolismo teorico. Modesti e transitori aumenti di peso dovuti a ritenzione idrica possono, inoltre, riscontrarsi nella donna in occasione delle manifestazioni mestruali. Il peso muscolare corrisponde mediamente al 40% del peso corporeo totale (Wohl e Goodhart ­ Trattato di Dietetica ­ Il Pensiero Scientifico: I^ ed. it., sett. 1970, pag.24), ma esso varia notevolmente da soggetto a soggetto in base a fattori genetici, all'età, al sesso (38% nella donna, 42­44% nell'uomo) e, nello stesso soggetto, a seconda dell'attività fisica. L'aumento o il calo della muscolatura può incidere sensibilmente sul peso corporeo e ciò, ovviamente, non deve essere scambiato col sovrappeso (eccedenza adiposa) o con lo stato di magrezza. Semmai, sarà opportuno tener presente che un eccessivo sviluppo della massa muscolare, favorito da certe pratiche sportive (sollevamento pesi, body­building) non giova, certo, alla salute, per le maggiori prestazioni richieste all'apparato cardiovascolare ed escretorio (abnorme ampliamento del letto vascolare, aumento dei cataboliti proteici, ecc.) e che, per contro, la spiccata sedentarietà, cui fa riscontro ipotrofia muscolare e sostituzione di peso muscolare con peso adiposo, rappresenta, a sua volta, un importante fattore predisponente nei confronti delle malattie dismetaboliche e cardiovascolari, quali diabete, dislipemie, obesità, ipertensione, ecc. La mancanza di attività fisica può anche indurre un lieve calo del peso scheletrico per demineralizzazione del tessuto osseo (osteoporosi ex non usu). Il peso adiposo del corpo standard o di riferimento si ritiene pari, nell'uomo, al 12­16% del peso corporeo totale (Wohl e Goodhart ­ Trattato di dietetica ­ Il Pensiero Scientifico: I^ ed. it., stt.1970 pag. 17), nella donna al 20­25%. Può essere, tuttavia, considerato ancora ottimale il peso corporeo totale, la cui componente adiposa non superi il 18% nell'uomo e il 28% nella donna (Laurence E. et Al.­ "Fisiologia dell'esercizio" ­ Il Pensiero Scientifico: ed. 1970, pag.367). Un ulteriore incremento del 10%, quindi fino al 28% del peso totale nell'uomo, 38% nella donna, configura il PESO FISIOLOGICO MASSIMO , oltre il quale ha inizio la vera obesità. A questo punto è sempre presente, e molto spesso il paziente la riferisce spontaneamente, una certa dispnea dopo prestazioni fisiche prima ben tollerate; i movimenti divengono più impacciati, insorgono problemi pratici (vestiario, 20
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sudorazione, intolleranza al caldo, ecc.) e, talora, di ordine psicologico, specie nella donna (facile irritabilità, autosvalutazione, ansia, depressione): siamo già in presenza di un vero stato morboso, indipendentemente dalla comparsa o meno di altre condizioni
patologiche
concomitanti.
La opportunistica e più o meno cosciente accettazione di un diverso modello di vita compatibile con la nuova condizione fisica, consente di evitare o ridurre al minimo le ripercussioni sfavorevoli sulla psiche (obeso non complessato), ma la comparsa di un appetito sproporzionato alle giuste richieste metaboliche costituirà, d'ora innanzi, il nuovo, serio problema da tenere a bada. Ecco, dunque, l'importanza di una corretta definizione e, quindi, di una precisa individuazione, caso per caso, del giusto peso corporeo e del peso fisiologico massimo.
E' da ritenersi IDEALE o giusto il PESO che assicura le migliori prestazioni funzionali dell'organismo e il più soddisfacente stato di benessere psicofisico, nonchè, a parità di condizioni, la maggiore aspettativa di vita. ESSO, GENERALMENTE, TROVA RISPONDENZA NELLA GIUSTA PROPORZIONE TRA PESO SCHELETRICO, MUSCOLARE E ADIPOSO, secondo quanto già detto.
Il rilievo di questo importante parametro non ammette scorciatoie. Esso, come la stessa cura dietetica, rappresenta un fatto individuale, non collettivo. La sua conoscenza, da cui prontamente si risale al peso fisiologico massimo, è indispensabile non solo per la programmazione del calo ponderale, da concordare col paziente, ma anche per l'esecuzione dei calcoli metabolici (basale, totale e da sovrappeso) che consentono l'elaborazione di una cura dietetica personalizzata, completa e tollerabile. Non basta, quindi, il rilievo del peso e dell'altezza, come richiesto per il calcolo del BMI, e, ancora meno, quello della sola circonferenza addominale, che ultimamente sembra voglia soppiantare quella misura. Questi parametri, a nostro parere, sono indice della inerzia mentale che fa accettare acriticamente tutto quello, e solo quello che viene divulgato in lingua anglosassone. Così, come per l'esame della vista o dell'udito o di qualunque altra funzione o parametro biofisico sono richiesti precisi e, talvolta, sofisticati accertamenti, così, per la individuazione del giusto peso corporeo, oltre il peso, l'altezza, l'età, il sesso, la distribuzione dell'adipe, occorrerà esaminare strumentalmente la costituzione scheletrica e muscolare, a evitare che una persona di esile costituzione, obesa tra medio e alto grado, come, peraltro, rivelano le pliche adipose, venga giudicato non meritevole di intervento dietetico, perchè il BMI non supera 24 o 25 o 29, oppure la sua circonferenza addominale, a prescindere dalla statura, non supera (udite! udite!) 88 cm, se donna, 102, se uomo!
L'argomento presenta grande rilievo dal punto di vista diagnostico e curativo. Saltiamo a più pari la circonferenza addominale, che si commenta da sola. Ancora oggi (febbraio 2006: vedi ad es., "Emozioni e Cibo" Newsletter dell'associazione AIDAP, n. 17 anno 2006, pag. 7), leggiamo lavori scientifici, probabilmente Peso corporeo ­ peso ideale ­ peso fisiologico massimo
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sovvenzionati con danaro pubblico e, quindi, a spese dei cittadini, da cui risulta che molti soggetti ritengono di essere sovrappeso oppure magri e, invece, secondo il BMI, sarebbero da considerare normali e che, per contro, molti credono di rientrare nel giusto peso corporeo e, invece, sempre secondo il BMI, risulterebbero magri o sovrappeso. Le conclusioni sono che un gran numero di soggetti avrebbe una percezione sbagliata del proprio corpo. Noi esprimiamo la fondata convinzione che la percezione sbagliata non ce l'hanno i soggetti intervistati ma l'errata metodica di accertamento (BMI), che tiene esclusivamente conto della statura e del peso, non considerando gli altri elementi necessari alla individuazione della giusta proporzione tra grasso, scheletro e muscolo, nella quale si riconosce il giusto peso corporeo. Se dovessimo seguire le indicazioni fornite dal BMI, dovremo negare la nostra prestazione professionale a circa un terzo della popolazione afferente il nostro studio, praticamente a tutti i longilinei che, avendo, da un lato, un basso peso scheletrico e muscolare ma, dall'altro, una eccedenza di grasso da obesità di medio grado, si collocano sempre nella fascia del peso normale, secondo il BMI! Non bastano le strategie cognitivo­comportamentali per convincere questi pazienti che gli inestetismi e, talvolta, i problemi sanitari (colesterolo) da cui sono afflitti, sono frutto della errata percezione del proprio corpo. Per evitare di incrementare le diete fai da te, l'obesità e i disturbi del comportamento alimentare bisognerà dare a ciascuno la risposta giusta dal punto di vista diagnostico e curativo. Data l'importanza del parametro (peso giusto o ideale) riteniamo, dunque, che la sua valutazione meriti il tempo e l'applicazione sufficienti per raccogliere i dati necessari attraverso un accurato esame obiettivo, l'impiego di bilancia con statimetro, nastro metrico millimetrato, plicometro o impedenzometro, per procedere, poi, a una loro corretta elaborazione con l'ausilio di un programma computerizzato. Qualunque problema va risolto con i tempi e i mezzi giusti, senza banali e dannose semplificazioni. Per quanto concerne il PLICOMETRO di uso corrente, osserviamo che la pressione di 10 g/mmq esercitata dalle branche, appare, a nostro avviso, francamente eccessiva e tale da sottostimare le pieghe dei soggetti che presentano lassità del sottocute. Infatti la quantità di grasso scacciata ai lati delle superfici prementi è minore in occasione del primo ingrassamento quando, a volte, riesce persino difficile il sollevamento della piega, aumenta invece, col diminuire della consistenza del sottocute, come avviene dopo fasi alterne di ingrassamento e dimagrimento. Secondo noi sarebbe meglio disporre di un apparecchio che fornisse, mediante microcircuito elettronico a lettura ottica, il valore della piega senza esercitare alcuna pressione sulla stessa. Nella nostra pratica ambulatoriale la somma delle 4 pliche (tricipitale e bicipitale al terzo medio del braccio Sn, sottoscapolare Sn e sovrailiaca Sn) rilevate col plicometro, forniscono mediamente, nel soggetto normopeso , le seguenti misure: Maschi > 18 aa mm 36­40
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Peso corporeo ­ peso ideale ­ peso fisiologico massimo
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Obesità – Malattie da disadattamento – Cibomania
Femmine + maschi <19 aa mm 50­54
Col NASTRO METRICO MILLIMETRATO vengono effettuate 5 ciconferenze: quella del polso Sn (misura scheletrica), del braccio e gamba Sn (misura muscolare, scheletrica e adiposa), quella addominale e bitrocanterica (rapporto WHR). Nel nostro studio, tutti i calcoli antropometrici, metabolici, dietetici, gli archivi pazienti e le cartelle cliniche, nonché la stampa della dieta sono totalmente computerizzati da oltre 25 anni e da sempre vengono gestiti da software personali non in commercio. D'altra parte la difficoltà degli stessi calcoli, la complessità compositiva degli alimenti, la necessità di valutare correttamente una sottrazione calorica che garantisca una sufficiente gratificazione nel calo ponderale e, contemporaneamente, un giusto apporto di nutrienti, rende il COMPUTER uno strumento indispensabile nell'attività del dietologo. Faciloneria e improvvisazione recano solo danno al paziente, in quanto, come già detto, gli interventi dietetici non corretti sono causa di aggravamento della cibomania e, se ripetuti nel tempo, possono innescare gravi disturbi del comportamento alimentare. Meglio nessuna cura anziché una cura sbagliata! Una maggiore vigilanza in questo settore sarebbe oltremodo auspicabile, ma quali dovrebbero essere i vigilanti competenti in questo campo? I soliti esperti che, di questi giorni, in televisione e nelle sale congressuali sparse nelle varie regioni, vanno spiegando (a spese del servizio pubblico e delle amministrazioni regionali!) che la circonferenza dell'addome (pensiamo, in assenza di meteorismo!) non deve superare 88 cm nella donna e 102 (non 101, non 103) nell'uomo? Le formule per il calcolo del peso ideale sono numerose ma, a tutt'oggi, non esiste un criterio universalmente accettato, che prenda in considerazione tutti gli elementi necessari alla sua individuazione. Né appare condivisibile il suggerimento avanzato da taluni Autori (Lupi G., Battistini N.: Alim, Nutr. Met. 10: 45­52, 1989) di considerare ideale il peso risultante dalla media dei valori forniti dalle diverse formule proposte. All'inizio dell'attività (oltre 40 anni), il più anziano dei due Autori, si serviva della semplice formula di Broca (maschi: altezza in cm ­ 100; femmine: altezza ­ 104), aggiungendo o togliendo qualche chilo, a seconda che l'indice di Grant (altezza/circonferenza polso) si scostasse in più o in meno dalla media. Era sempre meglio del BMI o della sola circonferenza addominale! Per gli adolescenti venivano osservate le tabelle tratte da 'Tables Scientifiques, desunte da misure eseguite su un gran numero di individui e riportate da Travia ("Scienza dell'Alimentazione" Ia ed.­ pag. 70­75). Da sempre, tuttavia, abbiamo cominciato a raccogliere numerose misure antropometriche dalle nostre osservazioni su pazienti di ogni età (sopra i 6 anni), la stragrande maggioranza con problemi di sovrappeso e, per il restante, magri. Abbiamo, quindi, avuto il privilegio di determinare sul campo il peso giusto di soggetti che calavano o aumentavano di peso, ricavando da essi una mole di dati che, in seguito, ci hanno consentito , mediante computerizzazione, di pervenire alla individuazione di una metodica di accertamento del peso ideale, molto precisa e Peso corporeo ­ peso ideale ­ peso fisiologico massimo
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che, comunque, viene costantemente confrontata con l'esperienza clinica quotidiana. Elementi di valutazione sono il sesso (S), l'età (E), la statura (H), il peso reale (P), la circonferenza del polso Sn (CP), la circonferenza del braccio Sn al III° medio (CB), la circonferenza massima della gamba Sn (CG), la piega tricipitale al III° medio del braccio Sn (PT), la piega bicipitale (PB), la piega sottoscapolare Sn (SS) e quella sovrailiaca, immediatamente sopra la spina iliaca antero­superiore Sn (SPI). Per quanto riguarda la circonferenza del polso (CP), molto importante ai fini della valutazione della costituzione scheletrica, bisogna, tuttavia, osservare che essa varia col variare della componente adiposa, aumentando con l'aggravarsi del sovrappeso e diminuendo nel soggetto magro: il sottocute, infatti, partecipa al processo d'ingrassamento o dimagrimento, non solo nelle sedi di elezione, ma in tutti i distretti, quindi anche in corrispondenza del polso. Da uno studio su 250 soggetti in fase di dimagrimento o che già avevano ultimato il calo ponderale (70 maschi, 180 femmine, di età > 18 aa), per ogni mm di riduzione della CP avevamo riscontrato, nei maschi, un calo di mm 8.02 2.47 nella somma delle 4 pliche (PT+PB+SS+SPI), nelle femmine un calo di mm 10.12 2.6. Successivamente abbiamo constatato che il calo della CP era meglio correlato alla somma delle sole pliche del braccio (PT+PB). Supponendo che nel soggetto normopeso tale somma corrisponda a 25 cm nella donna e 18 nel maschio, la nuova circonferenza magra del polso (CP1), da uno studio condotto su una casistica di 2200 persone di età > 18 aa, di cui 1450 femmine, è risultata: Uomo: CP1= CP ­ (PT+PB­18)/2.02
Donna: CP1= CP – (PT+PB­25)/3.28
Orbene, secondo i nostri calcoli, il peso ideale, netto, a digiuno, in riferimento alla costituzione scheletrica (PIS) corrisponde al prodotto √(CP1) (in cm) x H (in cm) x N, dove N è un numero costante per sesso e per classe di età e di altezza. Quindi: PIS = √CP1 * H * N Nei calcoli metabolici utilizziamo il peso ideale così calcolato, ma al paziente facciamo ben presente che, non potendo esso rientrare entro i mille grammi, nella maggior parte dei casi, il peso deve essere considerato ideale fino a + 6% del valore riscontrato. Nella donna di costituzione scheletrica molto esile, tuttavia, se si vuole evitare la comparsa di inestetismi nei punti trocanterici, tale oscillazione non può superare + 2­3% del PIS.
La computerizzazione dei calcoli rende, ovviamente, immediato il risultato. Segue tabella dei numeri costanti per sesso e classe di età e altezza.
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ETA'
MASCHI E H
N
H N
>179 10
9.9
>169
8.9
160­169
8.72 + .02*(H­165)
150­159
8.4 + .02*(H­155)
140­149
8.28 + .02*(H­145)
<140
7.95 >25
170­179 160­169 <160
19­25
16­18
13­15
<13
FEMMINE
9.75 9.5
>179
9.9
>169
8.7
170­179
9.8
160­169
8.61 + .02*(H­165)
160­169
9.74
150­159
8.3 + .02*(H­155)
<160
9.7
140­149
8.14 + .02*(H­145)
<140
7.9
>169
8.64
>169
9.67
160­169
8.36 + .02*(H­165)
160­169
9.2
150­159
7.96 + .02*(H­155)
<160
9
140­149
7.85 + .02*(H­145)
<140
7.8
>169
9.4
>159
8.52
160­169
8.85 + .02*(H­165)
150­159
7.78 + .02*(H­155)
150­159
8.2 + .02*(H­155)
<150
7.5 + .02*(H­145)
<150
7.5 + .02*(H­145)
>159
9.1
>159
8.04
150­159
8.24 + .02*(H­155)
150­159
7.83 + .02*(H­155)
140­149
7.34 + .02*(H­145)
140­149
7.06 + .02*(H­145)
130­139
6.26 + .02*(H­135)
130­139
MASCHI E FEMMINE <13 aa H <130 N = 5.68
6.78 + .02*(H­135)
Tabella n.1 ­ E = età ­ H = altezza in cm ­ N = numero costante.
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Come è noto, alla costituzione scheletrica si accompagna, di norma, un corrispettivo sviluppo delle masse muscolari e, quindi, il peso ideale scheletrico (PIS), in tal caso, è sovrapponibile al peso ideale muscolo­scheletrico (PISM); negli altri casi il PISM sarà maggiore o minore rispetto al PIS, a seconda che la muscolatura sia più
o
meno
sviluppata
rispetto
alla
media.
La valutazione del PISM si rende, quindi, necessaria per una più precisa attribuzione dello scarto dal peso normale, alla componente adiposa ovvero a quella muscolare. Nei nostri calcoli abbiamo assunto come peso muscolare medio il 43% del peso corporeo normale, nell'uomo, e il 38%, nella donna. In riferimento a tale media e attraverso la individuazione di un indice muscolare medio, differenziato per sesso e per classe di eccedenza ponderale, abbiamo, poi, valutato la componente muscolare individuale ottenuta mediante il rilievo della circonferenza del braccio (terzo medio) e della gamba (circonferenza massima al polpaccio), emendato dalla componente ossea e adiposa. Chi possiede anche una modesta pratica dietologica conosce bene l'importanza di questi parametri. Riportiamo, come esempio, dalla nostra casistica, il caso di una giovane paziente (17 aa), alta cm 168, con Kg 58.4 di peso netto e, quindi, BMI di 20.69 (!). Vestita, appare in perfetta forma fisica, ma, all'esame obiettivo dimostra sensibile aumento della componente adiposa, con 70 mm alla somma delle 4 pieghe (contro i 52 teorici) e netta prevalenza a carico dell'ipogastrio e dei punti trocanterici, sì da evidenziare uno sgradevole contrasto con gli altri distretti corporei. Il peso ideale (PIS) risulta Kg 52.1, il PISM 51.9, il peso fisiologico massimo Kg 62.5, la circonferenza addominale 74 cm, l'RBW 112. Come si vede, gli unici parametri che non servono a inquadrare il caso sono proprio il BMI e la circonferenza addominale, che, anzi, travisano del tutto la realtà.
Il caso descritto, se non teniamo conto di quanto fin qui detto, potrebbe apparire di esclusiva pertinenza estetica, in quanto la paziente, a parte il lieve inestetismo, non presenta alcun elemento fisico riferibile a qualunque condizione patologica. Purtroppo, non è così. Basti pensare che, a questo punto, esiste e permarrà definitivamente il disadattamento alimentare e che, per opporsi al progressivo aumento dell'eccedenza ponderale, il soggetto è costretto a un cosciente, rischioso, pilotaggio dell'alimentazione (cibomania), che non sempre porta a buon fine. Il più delle volte, venendo meno i poteri inibitori, si va incontro alla vera obesità (nel nostro caso mancano 4 Kg al peso fisiologico massimo); in altri casi, purtroppo, i reiterati tentativi restrittivi seguiti puntualmente da fallimenti, le immancabili ripercussioni sulla salute derivanti dal persistere dello squilibrio alimentare, nonché particolari condizioni psicologiche e talune circostanze ambientali, possono favorire l'insorgenza di gravi disturbi del comportamento alimentare. Trattandosi, quindi, di un vero problema sanitario, questo è il momento più opportuno per intervenire adeguatamente con supporto informativo, psicologico e dietetico (prevenzione secondaria), se si vuole evitare di intervenire un domani su uno stato di obesità avanzata o, peggio, su disturbi patologici del comportamento alimentare.
Lo stesso inestetismo è vera malattia quando causa sofferenza psicologica: solo i medici che non lo sanno trattare, possono accontentarsi di fare opera di 26
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persuasione sul paziente perché lo accetti. Peso corporeo ­ peso ideale ­ peso fisiologico massimo
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5. Terapia 5.1.Prevenzione primaria
Come in tutte le condizioni morbose, ancora più nelle malattie da disadattamento la miglior cura è sempre la prevenzione primaria. Questa, nel nostro caso, si fonda sulla più ampia conoscenza, a tutti i livelli, dei meccanismi d'insorgenza della malattia, e, in particolare, delle occasioni scatenanti.
Si rimanda, pertanto a quanto già esposto nel relativo capitolo. Gli interventi successivi potranno ripristinare il giusto peso corporeo, ma in nessun caso potranno ristabilire la omeostasi metabolica, ormai persa definitivamente: il peso raggiunto sarà mantenuto solo attraverso un costante e impegnativo controllo dell'alimentazione (cibomania). Unica eccezione, secondo la nostra esperienza, può riscontrarsi in bambini che praticano proficuamente la cura in età prepubere. 5.2.Prevenzione secondaria
QUALUNQUE PAZIENTE BEN MOTIVATO E IN POSSESSO DI NORMALI FACOLTA' INTELLETTIVE E VOLITIVE, PUO' RICUPERARE IL PESO DESIDERATO O ACCETTABILE, E POI MANTENERLO NEL TEMPO, DISPONENDO DI UNO STRUMENTO DIETETICO IDONEO E DI UN ADEGUATO SOSTEGNO EDUCATIVO­COMPORTAMENTALE.
Poiché anche la migliore regola dietetica fallisce se manca la giusta disposizione del paziente a seguirla, grande importanza assume, ai fini della riuscita della stessa terapia, la ricerca delle MOTIVAZIONI che lo hanno indotto alla cura.
La MOTIVAZIONE ESTETICA viene spesso indicata spontaneamente dalla donna, ma essa è presente in tutti i casi, anche quando si ostenta la completa indifferenza verso questo aspetto del problema: alla fine della cura tutti manifestano la propria soddisfazione per essere rientrati nel peso forma.
L'uomo ingrassa prevalentemente al tronco, specie in regione epigastrica, la donna, prevalentemente nei distretti trocanterici e all'ipogastrio. Questa peculiare distribuzione, nella donna, può essere particolarmente accentuata, sia per motivi eredo­familiari, costituzionali e neuroendocrini, sia per l'effetto laccio, provocato da indumenti stretti che ostacolano la circolazione venosa e linfatica. In tali condizioni basta una modesta eccedenza, anche di pochissimi chili, per evidenziare l'inconveniente estetico. Come abbiamo già detto, anche questi casi con adiposità abbastanza limitata, sono di pertinenza sanitaria e il medico, se ne è capace, deve prestare la sua opera. Il difetto estetico, limita, infatti, la libertà di muoversi, di vestire, di partecipare con serenità alle varie espressioni della vita sociale (mare, sport, concorsi di selezione, ecc.). Solo quando esso non è emendabile (scarsezza di adipe negli altri distretti corporei!), bisognerà limitarsi a curare la 'non accettazione del
proprio
corpo'.
Il fatto che sia questa motivazione a determinare il paziente a rivolgersi al medico 28
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Terapia
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rappresenta, in realtà, un fatto positivo; senza di essa dovremmo curare solo l'obesità complicata. Il momento privilegiato per intervenire con la prevenzione secondaria è, appunto, quello dove si agisce su modeste eccedenze ponderali che, in un primo momento, si propongono solo come un problema estetico, ma che, se non trattate, possono sfociare nella vera obesità o, peggio, nei disturbi patologici del comportamento alimentare.
La SALUTE rappresenta l'altra motivazione frequentemente addotta, talvolta da sola, più spesso in concorso con quella estetica. Le dislipemie, il diabete, l'ipertensione, le cardiopatie, le affezioni osteoarticolari, le dispepsie, le bronchiti croniche rappresentano, in ordine decrescente, le condizioni che più frequentemente accompagnano la richiesta di prestazione dietetica. Direttamente originate dal sovrappeso o da questo aggravate, anche esse, una volta instaurate, necessiteranno di essere tenute sempre sotto controllo, come lo stesso problema ponderale. Ciò conferma, ancora una volta, l'importanza della prevenzione primaria o di quella secondaria instaurata il più precocemente possibile.
Poiché, come già detto, l'esito della cura dipende, in gran parte, dalle motivazioni che la sostengono, sarà compito del dietologo rafforzare quelle già esistenti e aggiungerne delle nuove. Anche quando la motivazione sanitaria appare sufficientemente valida per la tenuta della dieta (ex infartuati, soggetti in attesa di intervento chirurgico, ecc.), gioverà ugualmente ricordare al paziente i favorevoli effetti della cura sulla efficienza fisica, sul modo di vestire, di muoversi, in altre parole, sulla qualità della vita. Nella nostra esperienza si è dimostrata, in tutti i soggetti, stimolante e di grande aiuto psicologico una nuova, originale motivazione: CALARE DI PESO PER SOFFRIRE MENO LA FAME IN FUTURO
Questa motivazione, più della salute e dell'estetica, rappresenta il maggior incentivo per la modifica del comportamento alimentare e per la promozione di un nuovo stile di vita. Rende più convinta la partecipazione del paziente durante il calo ponderale e agevola il mantenimento definitivo dei risultati.
Chi ha o ha avuto problemi di peso non ha difficoltà a riconoscere la fondatezza e l'importanza di questa nuova motivazione. Egli, infatti, col progressivo aumento del peso, non solo ha verificato il peggioramento delle condizioni sanitarie ed estetiche, ma ha anche dovuto constatare la sempre maggiore difficoltà ad arrestare il processo di ingrassamento. Il continuo adattamento digestivo, volumetrico, secretorio e motorio, la progressiva esclusione di altri interessi che non siano legati al cibo, nonché le negative ripercussioni di ordine psicologico, concorrono, infatti, ad aggravare la cibomania: è l'animale che si morde la coda.
Per contro, da un lato, il graduale miglioramento del comportamento alimentare, promosso dalla dieta rieducativa e dalle nuove conoscenze sulla vera natura della malattia, dall'altro, il risveglio di interessi esistenziali, culturali, sportivi, lavorativi, favorito dal ritorno al peso normale, renderanno più facile e gratificante il rapporto col cibo.
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5.3.Allestimento dieta
La PERSONALIZZAZIONE della regola dietetica rappresenta una peculiarità irrinunciabile della corretta terapia. Essa potrà essere realizzata solo attraverso una scrupolosa inchiesta anamnestica patologica, alimentare e motoria, e un attento esame obiettivo, che, oltre i riscontri patologici di condizioni già denunciate anamnesticamente o da esami allegati, accerti lo stato di sanguificazione, i valori pressori, eventuali segni carenziali (cute, mucose) o altre circostanze in qualche modo attinenti l'alimentazione, e, infine, fornisca tutti i dati antropometrici necessari per i calcoli metabolici (peso, altezza, valutazione del pannicolo adiposo, circonferenze). Il punto debole della visita dietologica è certamente rappresentato dalla valutazione del reale dispendio energetico, in quanto tale valutazione, di per sé abbastanza complessa, non poggia su dati obiettivamente controllabili, ma su quanto viene riferito, spesso con scarsa precisione, dal paziente.
Personalizzare la dieta significa, soprattutto, rispettare, compatibilmente col corretto apporto e l'equilibrata ripartizione dei principi alimentari, le abitudini del paziente, quando esse siano giuste, ed evitare la prescrizione di alimenti per i quali il paziente non abbia dimestichezza o che creino difficoltà di approvvigionamento. Anche in presenza di prescrizioni dietetiche specifiche, è necessario che le abitudini alimentari del paziente non siano sconvolte troppo drasticamente, perché l'esperienza non sia vissuta come una imposizione solo temporanea, in attesa di tornare quanto prima in libertà: sarebbe preferibile che la cura non avesse neppure inizio. La distribuzione dei pasti nella giornata, costituisce, anch'essa, una consuetudine del tutto individuale, non facile da modificare. Non deve, certo, essere considerato un serio ostacolo alla cura il fatto che, in non pochi casi, è impossibile far accettare una razionale ripartizione degli alimenti nei quattro pasti (ad es., colazione: 20%; pranzo: 35%; merenda: 15%; cena: 30%). Peraltro, la distribuzione dei pasti varia da paese a paese a seconda delle tradizioni locali, delle consuetudini lavorative, delle differnze climatice ecc. Nei paesi anglosassoni, ad esempio, sono più importanti la colazione e il pasto serale rispetto al pranzo, che corrisponde ad un semplice spuntino. Talvolta, purtroppo, non riesce neppure facile introdurre la colazione, quando questa non viene consumata ormai da molti anni o si riduce a uno o due caffè con o senza zucchero (cosa impensabile per gli anglosassoni!).
A questo proposito bisogna chiarire che l'obeso non è particolarmente afflitto da cibomania nelle ore della mattina, in quanto il disturbo, in gran parte, agisce alla fine di ogni pasto, per il ritardato senso di sazietà. Anche dopo un pasto serale piuttosto abbondante, il paziente lascia spesso la tavola non sazio e solo dopo che avanzano, nelle ore notturne, i lunghi e laboriosi processi digestivi e assimilativi, con le conseguenti modifiche biochimiche a livello ematico e cerebrale, finalmente, al risveglio, si ritrova libero dalla cibomania. Tuttavia, facendo presente che il rischio di ipoglicemia o ipotensione è molto maggiore durante la dieta, per il lungo digiuno che intercorre tra pasto serale (che non è più quello di una volta) e pranzo del giorno successivo, si riesce, abbastanza spesso, a far accettare l'introduzione di una 30
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piccola colazione. La mancanza o inadeguatezza dell'apporto di verdure e, o di frutta rappresenta una errata abitudine alimentare abbastanza diffusa. Talvolta, in fase di ingrassamento, si mangia tanto pane, primo piatto e secondo, che non resta più voglia di contorno o frutta: semmai c'è ancora spazio per il dolce!
L'avversione per gli ortaggi e le verdure è particolarmente presente nei giovanissimi. è importante spiegare che questi alimenti, richiedendo un sensibile impegno digestivo, favoriscono il senso di sazietà, e che, inoltre, essendo ricchi di fibre, si oppongono alla stitichezza, la quale rappresenta un effetto collaterale frequente della dieta ipocalorica (mangiando meno, l'intestino diventa pigro), e, infine, che essi, assicurando un grande apporto di vitamine, sali minerali e oligoelementi (antiossidanti!), rappresentano una potente arma preventiva contro le peggiori malattie e preservano l'organismo non solo sul piano sanitario ma anche estetico.
Il messaggio viene generalmente accolto con favore anche dai più piccoli, i quali, peraltro, sono più facilmente stuzzicati da contorni assortiti, bicolori, tricolori, ottenuti sminuzzando un pò dell'uno un pò dell'altro. L'organismo, traendo beneficio dalle modifiche apportate, si adatterà facilmente ad esse. Errori alimentari da contrastare sono:
­ evitare pane e pasta 'che fanno ingrassare';
­ evitare l'acqua ai pasti 'per non assimilare';
­ consumare a piacere la frutta 'che, tanto, non fa ingrassare';
­ alimentazione dissociata (l'uomo primitivo mangiava quello che trovava e solo quello);
­ vegetarianesimo spinto, crudismo, ecc.
Per agevolare la tenuta della dieta sarà, comunque, vantaggioso:
­ la mattina, pesare e mettere da parte pane, frutta e verdura della giornata;
­ consumare i pasti gustando i cibi, senza avere più paura d'ingrassare: la cibomania ne trarrà grande beneficio;
­ finito il pasto, lasciare subito la tavola, lavarsi i denti e impegnarsi in attività di lavoro o ricreativa, programmata prima del pasto.
L'allestimento della dieta, anche disponendo di software personali, richiede molto tempo, e, quindi, sarà effettuato successivamente alla visita ma appena possibile, in modo da avere presenti anche i dettagli e le impressioni non annotate Terapia
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nella cartella clinica circa l'adesione partecipativa del paziente, le sue aspettative in merito ai tempi della cura, le ragioni di eventuali pregressi fallimenti, la prevalenza dell'adipe in taluni distretti piuttosto che in altri, le condizioni psichiche, eventuali cure in corso, preferenze alimentari, ecc., elementi, tutti, di grande rilievo valutativo al momento di stabilire l'entità della restrizione calorica, la scelta e la ripartizione degli alimenti. LA RESTRIZIONE CALORICA rappresenta, sicuramente, la fase più importante e impegnativa nell'elaborazione della dieta, tenendo presente che 100 calorie in più o in meno non sono irrilevanti ai fini della riuscita della cura. Qualsiasi dieta ipocalorica, se scrupolosamente osservata, farà calare temporaneamente di peso, ma solo quella caloricamente adeguata, ben equilibrata nei principi alimentari, sufficientemente libera nella scelta degli alimenti e nell'articolazione dei pasti e, nei giusti limiti, rispettosa delle abitudini del paziente, sarà seguita con spirito di sopportazione tollerabile e col massimo effetto rieducativo, fino al raggiungimento del traguardo concordato, anche quando, per l'entità del sovrappeso, siano richiesti molti mesi o qualche anno di cura.
Non contano tanto i chili calati entro un certo lasso di tempo, quanto l'aspetto risolutivo della cura. Calare di peso per ritrovarsi in breve tempo nelle stesse condizioni di prima è certamente peggio che non fare alcuna cura. Tale esperienza è controproducente dal punto di vista psicologico (disillusione, perdita di fiducia in se stessi, cronicizzazione dei disturbi comportamentali) e fisico (perdita di consistenza del sottocute, pericolosità del sovraccarico metabolico particolarmente importante nella fase di ingrassamento).
L'adeguatezza calorica e compositiva della dieta e la fattiva e, in qualche misura, sofferta partecipazione del paziente, rappresentano, sicuramente, i requisiti più importanti per il conseguimento dell'obiettivo programmato e il mantenimento dei risultati nel tempo.
Solo una attenta e paziente elaborazione computerizzata di tutti i dati rilevati consentirà la corretta prescrizione calorica e compositiva.
Sorprende, quindi, la disinvoltura con cui, non raramente, il ricercatore o l'internista capo­scuola decidono la restrizione calorica, ad es., prescrivendo tout court 1200 Kcal alla donna e 1500 all'uomo, senza tener conto del consumo energetico individuale, della statura, del peso, della costituzione, dell'età o di particolari esigenze personali. Forse è questa la ragione per cui nei congressi di rilevanza nazionale e internazionale viene costantemente denunciato l'effetto yo­yo della dieta e il progressivo incremento dei disturbi del comportamento alimentare, arrivando a ipotizzare non solo la inutilità della terapia dietetica dell'obesità ma, addirittura, la sua pericolosità.
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Una dieta qualunque non può essere che dannosa; utile è solo quella appropriata: una cosa è ricettare, altra è prescrivere la medicina giusta! Nella nostra pratica il contenuto calorico della dieta varia da 1100 a 2300 Kcal; eccezionalmente scende sotto le 1100 e raramente supera le 2300. In altre regioni, dove la media staturale è superiore a quella sarda, può essere richiesto un numero di calorie ancora maggiore. Dall'inizio dell'attività (oltre 40 anni), non avendo mai avvertito la necessità di ricorrere ad altre metodiche, abbiamo sempre calcolato il METABOLISMO BASALE mediante la seguente formula:
MB = 71.84 * PIS^ .425 * H^ .725 / 10000 * 24 * (Kcal/mq/h)
Aggiungendo 12 Kcal per Kg di peso eccedente, perveniamo al metabolismo basale teorico riferito al peso reale.
Tra gli elementi costitutivi del METABOLISMO TOTALE (MT), a parte il MB, l'azione dinamico specifica degli alimenti (ADS) o termogenesi alimentare e l'attività fisica, bisognerà anche tener conto del CONTEGNO MOTORIO, che dà ragione del differente dispendio energetico, a parità di altre condizioni, nei singoli individui: esso consiste nel diverso atteggiamento fisico o motorio assunto nella posizione assisa o in piedi, in assenza di attività fisica. C'è chi sta seduto, del tutto immobile, con le braccia conserte o poggiate sulla scrivania a reggere il peso del capo, e chi, invece, sull'altro versante, fa fatica a stare a lungo seduto o tiene una gamba accavallata sull'altra, in continua, rapida oscillazione, o si dondola perennemente sulla sedia. Durante la visita bisognerà stimare anche questo aspetto del consumo energetico, che verrà, poi, tenuto presente nei calcoli.
L'inchiesta motoria va condotta minuziosamente, considerando una giornata lavorativa standard, a partire dalla sveglia e fino al riposo notturno, stabilendo con precisione quante ore si trascorrono in piedi e quante seduti, con attività fisica e senza, quante a letto (compreso l'eventuale riposo pomeridiano). La complessità dell'indagine deriva soprattutto dal fatto che bisogna di volta in volta considerare più attività, ad es., lavoro casalingo, palestra, passeggiata, ecc., attività che, peraltro, solitamente variano da giorno a giorno, o vengono svolte saltuariamente. Né può essere trascurata l'intensità e la modalità di espletamento con cui le stesse vengono svolte. Come si vede, la valutazione del dispendio energetico costituisce oggettivamente il lato debole dell'accertamento dietologico, ma, stante la sua importanza, merita la massima attenzione e tutto il tempo necessario per essere determinata con la maggiore attendibilità possibile. Per valutare il MT:
sottraiamo dal MB: ore di sonno (OC) * K * .07 (nelle ore di sonno il metabolismo si abbassa di circa il 7%);
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­ aggiungiamo: ore seduto: (OS) * K * IS, dove IS è un indice che varia da .30 a .45, a seconda del contegno motorio;
­ aggiungiamo ore in piedi: (OP) * K * IP, dove IP varia da .45 a .60 a seconda del contegno
motorio;
­ aggiungiamo ore attività: (OA) * K * IA, dove IA rappresenta l'indice metabolico dell'attività svolta o la media ponderata di più indici, se, come spesso avviene, vengono praticate attività diverse.
Questa, dunque, la formula per il MT:
MT = MB ­ OC * K * .07 + OS * K * IS + OP * K * IP + OA * K * IA
L'entità della sottrazione calorica , come già detto, deve rispettare i molteplici aspetti della cura rieducativa e, in primo luogo, la tollerabilità della dieta. èimportante che essa non venga calcolata solo in senso assoluto, ma anche e, soprattutto, in termini percentuali rispetto al consumo calorico globale. Infatti, la tollerabilità della dieta non dipende dal numero di calorie sottratte, ma dalla percentuale che esse rappresentano in rapporto al MT (non al MB, come risulta in qualche programma del commercio!). Ad es., una sottrazione di 800 Kcal può essere considerata modesta, o, comunque, tollerabile se riferita a un MT di 3200 Kcal (25%), molto rigorosa, invece, e difficilmente sostenibile a lungo termine, se praticata su un metabolismo di 1600 Kcal (50%). Teoricamente e a parità di altre condizioni, la restrizione potrebbe essere tollerata in eguale misura se, a fronte delle 800 Kcal del primo caso, nel secondo ne venissero sottratte solo 400.
Nella nostra pratica professionale la quantità di Calorie sottratte varia dal 10­15% al 25­35%, ma nella stragrande maggioranza dei casi è compresa tra 25 e 32%. Questa, infatti, risulta la sottrazione più idonea a conciliare sopportabilità della dieta, tolleranza sanitaria ed estetica, effetto rieducativo e, infine, sufficiente gratificazione sul piano dimagrante.
Nei bambini e nelle persone anziane è preferibile, per ovvi motivi, non superare mai il 25% di sottrazione calorica ed, anzi, in età pubere e prepubere, è indicata una sottrazione ancora meno restrittiva (8­20%), potendo già essere considerato positivo l'arresto del processo di ingrassamento, in attesa che la crescita staturale ricrei il giusto equilibrio corporeo. In condizioni di sofferenza psicologica, specie di tipo depressivo, sarà ugualmente conveniente far accettare al paziente i risultati di una dieta non particolarmente stretta (15­20%), per non rischiare di aggiungere altri motivi di stress. Tuttavia, se da parte del paziente viene espresso il desiderio di conseguire un calo più soddisfacente e viene offerta la disponibilità a una restrizione più severa, si può praticare una sottrazione anche fino al 30%, ravvicinando i controlli periodici a 15­20 34
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giorni (anziché al mese). La maggior parte di questi pazienti rispondono molto bene alla cura, traendone immediato beneficio sotto il profilo fisico e psichico. In alcuni casi si assiste a delle vere remissioni sintomatologiche, tanto da indurre lo specialista psichiatra a ridurre o, talvolta, a sospendere del tutto il trattamento farmacologico. Spesso si tratta di soggetti il cui processo di ingrassamento era stato scatenato dalle stesse cure sedative e antidepressive (OS n.3), mentre, in altri casi, le medesime turbe psichiatriche sono fatte risalire all'insorgenza del problema ponderale e ai successivi falliti tentativi di ricuperare il normale peso corporeo. Esistono, tuttavia, delle situazioni particolarmente difficili, in cui al desiderio di riacquistare il normale peso corporeo non si accompagna il pur minimo impegno volitivo. Generalmente si tratta di soggetti trattati a più riprese con farmaci anoressanti ad azione sul sistema nervoso centrale, specie di tipo amfetaminico, che, più di altri farmaci, oltre le immancabili ripercussioni cardiocircolatorie e psichiche, manifestano una azione totalmente diseducativa sul comportamento alimentare. A ogni fine ciclo si va necessariamente incontro a un ulteriore aggravamento della cibomania e a un progressivo affievolimento della volontà, fino al suo totale azzeramento. La rieducazione alimentare, indispensabile ai fini del mantenimento dei risultati, viene assicurata, come già detto, solo attraverso la sofferta partecipazione del paziente. Non esistono alternative.
In questi casi la filosofia dell'oggi ('intanto, adesso, mi gratifico mangiando... magari, forse, lunedì...') prevarrà sempre su quella del domani (qualità della vita, salute, soffrire meno la fame in futuro). Il medico deve accontentarsi di fornire, assieme alla necessaria informazione sui problemi dell'alimentazione, un forte sostegno psicologico, volto all'accettazione del proprio corpo e al superamento del momento difficile. La sua opera sarà altamente meritoria se servirà anche solo ad arrestare il processo di ingrassamento. Altra condizione in cui è richiesta una modesta sottrazione calorica (10­20%), è rappresentata dalla spiccata prevalenza di adiposità distrettuale, tipicamente, nella donna, alla radice delle cosce, nei punti trocanterici. Per contro, la severa restrizione dietetica, vincolando il metabolismo a una eccessiva richiesta di grassi corporei, renderà meno selettiva la loro disponibilità e farà sì che essi siano ceduti indifferentemente dai vari distretti, se non, addirittura, in misura maggiore nelle parti meglio irrorate, che già ne contengono meno. La dieta dovrà essere tanto meno rigorosa, quanto maggiore è la sproporzione nella distribuzione del grasso e, inoltre, dovrà essere accompagnata dall'adozione di misure igieniche, quali un appropriato incremento dell'attività fisica e la eliminazione dell'effetto laccio, causato da indumenti elastici o, comunque, stretti: i risultati non mancheranno, e, spesso, saranno superiori a ogni aspettativa. Tuttavia, quando le pieghe adipose, negli altri distretti corporei, sono al di sotto della norma, è difficile raggiungere apprezzabili risultati, senza correre seri rischi di ordine sanitario ed estetico. In questi casi, oltre alle misure igieniche può essere consigliata la massoterapia attivante la circolazione. L'intervento chirurgico nelle adiposità distrettuali (lipectomia, liposuzione), secondo la nostra esperienza, può essere causa di aggravamento di questi inestetismi. Il chirurgo estetico, alla televisione, ci mostra le fotografie scattate prima Terapia
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e dopo l'intervento, che, effettivamente, ottengono un effetto molto convincente, ma non sempre trova conveniente mostrare i risultati a distanza di qualche anno. Infatti, con questi interventi, assieme al grasso vengono eliminati anche gli adipociti che lo contengono e, pertanto, l'avanzare indisturbato del processo di ingrassamento (nessuno ha insegnato al paziente come arrestarlo), metterà presto in sgradevole risalto il netto divario tra la zona trattata, priva di adipociti, e i distretti contigui, il cui pannicolo adiposo, dovendo anche vicariare la funzione degli adipociti asportati chirurgicamente, andrà rapidamente incontro a un rigoglioso sviluppo. Lo stuolo di pazienti che presentano tali inestetismi (effetto cavolfiore o gambaletto ai trocanteri, effetto tartaruga all'addome), verosimilmente non più emendabili, è in continuo aumento.
I risultati favorevoli della terapia chirurgica, saranno tanto più duraturi, quanto più fondata sarà l'aspettativa di mantenimento del peso corporeo, ciò che, in qualche misura, può essere garantito solo a seguito di cura dietetica partecipativa e rieducativa. Sull'altro versante esistono, invece condizioni in cui è possibile e necessario praticare una restrizione calorica più severa senza, tuttavia, superare mai il 35­40% del dispendio energetico totale.
Non è infrequente il caso del paziente il cui calo ponderale è stato sollecitato dal chirurgo (ortopedico, cardiochirurgo), in attesa di intervento a breve scadenza. Altre situazioni in cui viene sollecitato un calo rapido sono l'attesa di chiamata a visita medica di selezione o a concorso per assunzione in particolari attività, prossime nozze, ecc. Trattasi sempre di soggetti che offrono la massima disponibilità alla cura; ciò nonostante, è consigliabile, in questi casi, non distanziare le visite di controllo oltre i 20 giorni.
In genere, una severa riduzione dell'apporto calorico è meglio tollerata nell'obeso di alto grado, rispetto a quelli che presentano scarsa eccedenza ponderale, in quanto questi risentono facilmente dei bruschi cali di peso, non solo dal punto di vista sanitario (ipotensione, anemia, astenia, insonnia), ma anche sotto il profilo estetico, con effetti sgradevoli su viso, seno e, talvolta, sullo stesso profilo corporeo, verosimilmente per un maggior coinvolgimento del tessuto muscolare nel calo di peso.
In tutti i casi è bene tenere presente che l'effetto rieducativo della cura è tanto maggiore quanto minore è la restrizione calorica; la rieducazione alimentare, infatti, non può prescindere dalla completezza compositiva della dieta, sia quantitativa che qualitativa. Per questo motivo il MB teorico può essere assunto come limite restrittivo da non varcare, salvo che nei casi di particolare urgenza o in quelli che presentano uno scarto molto limitato tra MT e MB (pazienti ospedalizzati, gravi deficit motori, ecc.). 36
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LA MODALITA' DI ASSUNZIONE DEGLI ALIMENTI costutuisce un altro aspetto caratterizzante della cibomania. Salvo poche eccezioni, chi è afflitto dal disturbo è portato a consumare il pasto in fretta e con disordine, come se attardarsi nel gustare il cibo aumentasse il rischio di ingrassare (rapporto conflittuale col cibo). Cala la gratificazione orale del cibo e la bocca diventa, poco a poco, la tramoggia dello stomaco!
Far trascorrere almeno trenta secondi prima di assaggiare il cibo già servito può agevolare il ripristino dei tempi fisiologici di masticazione, degustazione, digestione, assorbimento, generalmente rispettati nel soggetto normale. Partecipare alla conversazione, centellinando il piacere del cibo e della compagnia, senza più preoccuparsi di riempire lo stomaco, posare ogni tanto le posate (o perché le avrebbero chiamate così?!), tenere presente e osservare scrupolosamente e con soddisfazione il programma alimentare di ogni pasto, servirà a registrare meglio quanto si mangia e, quindi, a predisporre i centri nervosi a una più tempestiva trasmissione del senso di sazietà. LA RIPARTIZIONE DELLE CALORIE giornaliere nei tre principi alimentari, proteine, glucidi e grassi, costituisce ugualmente un aspetto importante della rieducazione alimentare. La piena disponibilità degli alimenti non elimina, infatti, il rischio di malnutrizione per eccesso (zuccheri, proteine, bevande alcoliche, sodio, ecc.) o in difetto (vit A, calcio, ferro, ecc.). Ciò assume maggiore importanza sotto trattamento dietetico.
Come è noto, viene unanimemente consigliata una suddivisione delle calorie pari al 12­15% per le proteine, 25­30% per i lipidi e il 55­60% per i glucidi. Questa regola viene largamente disattesa nelle diete prescritte da persone non competenti, giungendo, talvolta all'abolizione pressochè totale di uno di questi principi a favore degli altri. Tale scompenso, unitamente alla restrizione calorica troppo drastica, oltre a far mancare la funzione rieducativa necessaria per il mantenimento dei risultati nel tempo, rappresenta la causa più frequente di spiacevoli conseguenze sanitarie ed estetiche, a volte molto gravi, a seconda della durata e della severità dello squilibrio metabolico.
A nostro parere, tuttavia, se non esistono particolari controindicazioni, la cura si avvantaggia di un maggiore apporto di proteine, anche fino al 18­20% delle calorie globali. Peraltro, in nessun caso è consigliabile scendere sotto 1 g per Kg di peso corporeo, ad evitare un coinvolgimento del tessuto muscolare nei processi catabolici. Un più largo impiego di proteine viene, inoltre, suggerito da altre due considerazioni. Da un lato le calorie delle proteine vengono disperse in cospicua misura con la termogenesi alimentare (circa 25% contro 3­5% dei lipidi e 5­10% dei carboidrati), dall'altro, le proteine in genere, e quelle della carne in particolare, favoriscono l'insorgenza del senso di sazietà, migliorando la sopportabilità della Terapia
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dieta. Infine, il paziente dovrà imparare a differenziare gli alimenti anche a seconda della loro densità calorica, distinguendo, ad es., il finocchio o la zucchina dalla patata o dai piselli, il cocomero dalla banana o dai fichi, la fettina di carne magra dalla salsiccia. La dieta dovrà, quindi assicurare la più ampia scelta di alimenti tra i diversi gruppi omogenei per composizione bromatologia, senza far mancare quelli abitualmente assunti, se compatibili con una sana alimentazione. (Vedi anche "CIBOMANIA" ­ Ettore Gasperini Editore ­ Cagliari 1997)
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Saranno graditi eventuali commenti, critiche, suggerimenti e richieste di chiarimenti, che potranno essere inoltrati attraverso email a [email protected]. Terapia
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