Leggi l`estratto del testo critico di Elisa Gradi in catalogo
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ROSA DEI VENTI: UN PERCORSO NELL’OPERA DI GIAMPAOLO TALANI La storia di Giampaolo Talani è pressoché nota al pubblico, tanto è stato incalzante il ritmo delle mostre personali e collettive che lo hanno visto protagonista della scena artistica negli ultimi anni, fino ad arrivare alla messa in opera del suo lavoro più importante, nel settembre 2006: l’affresco che si impone nel Salone Viaggiatori della stazione fiorentina di Santa Maria Novella. Ma in questa mostra antologica, che prende l’avvio da alcune opere datate ai primi anni Novanta, Talani sembra voler comunicare ciò che per oltre 20 anni ha sorretto la sua fatica di pittore, incalzandoci a cogliere quei passaggi che lo hanno portato agli esiti ben noti dei giorni nostri, e aprendoci finalmente un varco alla comprensione di quel tessuto stratificato di commozioni, istinti e passioni che hanno animato la sua storia. Talani si racconta oggi attraverso un simbolo, la Rosa dei Venti. Non la rappresentazione cartografica a 8 punte che indica i 4 punti cardinali con le direzioni dei venti; ma un fiore: una rosa che si spoglia di 8 petali, e li lascia andare al vento. Simbolo che ritorna invero costantemente nelle opere degli ultimi anni – tanto da poterla annoverare fra le piacevolezze illustrative distintive del suo linguaggio – assume oggi un significato alternativo di guida, o meglio di banditrice del ritmo febbrile con il quale si avvicendano i momenti salienti dell’arte e della vita di Giampaolo Talani. 8 momenti tematici che riportano a differenti idee pittorico-mentali, 8 passaggi temporali (che sono poi quelli pubblici delle esposizioni) nei quali variazioni linguistiche e tematiche si intrecciano in una miscellanea solvibile in un filo di continuità: la ciclica riproposizione di un paesaggio, e dei suggestivi e mutevoli personaggi che lo animano. Un paesaggio la cui intera gamma di mutamenti e metamorfosi è nota, tanto Talani lo ha religiosamente scrutato e riportato nei suoi dipinti, nel corso delle stagioni. È il paesaggio dell’anima, che il pittore ricostruisce ogni volta, più o meno esplicitamente, nel fondale dei suoi dipinti: la battigia marina, sonora e stridula nella stagione estiva e malinconicamente silente nei pomeriggi invernali con l’odore acre e stantio di salmastro; l’incrocio delle linee del mare e del cielo, che Talani immagina attraversato da inverosimili imbarcazioni. E quel senso di inarrestabile mutevolezza, di fatale esposizione al turbine del vento marino che solleva in aria qualcosa o qualcuno, inaspettatamente, senza preavviso. Cenni biografici e frequentazioni quotidiane, riscontri sul vivo così come ambientazioni frutto della complicanza del fantastico si riversano in una cascata di note umorali; e quanto di bizzarro e inquietante la natura semini dentro l’individuo, diviene il centro focale delle sue creazioni, la materializzazione visibile di questa inesauribile gamma di percezioni e sentimenti. Questo dunque il paesaggio che si rincorre, con i suoi simboli, nelle stanze della memoria di Giampaolo Talani. Questo lo scenario che si apre su una realtà effimera ma seducente, filtrata dall’occhio di un essere passionale nutrito di poesia, preda di contrasti e sogni, che pare vivere in una perenne condizione d’urgenza. L’urgenza di recuperare, con il rituale della citazione, ciò che è perduto, di farlo rivivere scrivendolo con il linguaggio indelebile dell’arte. L’urgenza di ottenere una presa totale, includendo le impressioni tattili e sonore in una sintesi nella quale tutte le percezioni si rimandano l’una all’altra, in un prorompente crescendo sensoriale. Dall’estatico languore al capriccio fantasioso, dalla sensibilità malinconica alla parodia, il suo racconto si snoda in una serie di declinazioni contrastanti e a tratti antitetiche, ma sempre di impronta individuale, sempre vere, significanti, coinvolgenti, spoglie da ogni movenza artificiosa e di maniera. Talani è una di quelle personalità che insegna quanto l’individualità, con tutto il suo carico di contraddizioni e antinomie sia un sintomo evidente dell’essere artista, con delle zone d’ombra che rimarranno comunque insondabili e inesplorate, e dunque impossibili da riportare sul piano sterilizzato della critica. Lontani dunque dal voler confezionare una qualsiasi ipotesi di completezza, cogliamo l’occasione di questa mostra antologica per aprire nuove prospettive di studio e di interpretazione dell’opera di Talani; seguendo idealmente lo spoglio dei petali della sua rosa e cogliendo le aperture verso la dimensione del suono, della musicalità generata dal visivo, e viceversa. Che è invero una componente primaria dell’arte di Talani fin dal suo esordio: nella genesi di ogni opera, credo che egli interpreti il bianco della tela come un campo da gremire di notazioni musicali, come una partitura. Del musicista conserva il gesto, la liricità della mano che sfiora lo strumento, e quella straordinaria capacità di improvvisazione, di repentine alternanze di ritmo capaci di esplorare le relazioni della percezione, che rendono possibile il rimando ad una forma come a un colore, a un odore o a un sapore. Un vocabolario complesso dunque, cresciuto lentamente fino a formulare un’articolazione di simboli e strutture, finalmente esaminabile nella sua evoluzione temporale, i lavori più recenti messi in relazione con l’intero corpo d’opera, a scoprire nuovi allineamenti, nuove analogie, nuove possibilità di interpretazione. Storie del Marinaio Nel guardare in retrospettiva lo sviluppo dell’opera di Giampaolo Talani, il primo nucleo di lavori che si impone per forza e autonomia espressiva è la serie di quadri raccolti sotto il titolo Storie del Marinaio, databile al principio degli anni Novanta. Superata la prima sintesi di impronta espressionista – memore degli studi condotti all’Accademia fiorentina – inizia in questo giro di anni a profilarsi il primo stadio dello sviluppo di una propria strategia pittorica, di uno stile inconfondibilmente personale. La battigia marina, intesa come custode di esperienze e avventure umane, diviene il punto di partenza per Talani, il suo modello, la totalità della sua esperienza visiva. I marinai assumono le vesti di icone dell’umanità: la forma è volutamente semplificata e monumentale, i volti sempre riconducibili a un’unica fisionomia (nella quale non possiamo non ravvisare la somiglianza con quella del pittore stesso), la posa statica e saldata in una resa frontale, il tempo della scena congelato. A sottolineare l’impronta iconica dei suoi personaggi, Talani li toglie dalla riva del mare e li trasporta in un’atmosfera da interno, pur conservando nel fondale il turchese del cielo e la luce radente dell’aria aperta. Colpisce, in questi ritratti di marinai, l’uso del parapetto o del muro, espediente pittorico usato fin dalla metà del Quattrocento per asserire con maggior forza la presenza dei personaggi nel primo piano, nello spazio più vicino allo spettatore. Lo si vede in Marinaio (1992), dove il protagonista è seduto su un parapetto, le grandi gambe incrociate in primo piano, fissato nel gesto di esibire allo spettatore una barchetta, simbolo che lo identifica quale uomo di mare: il suo corpo è proiettato con forza verso il riguardante, al quale il marinaio si rivolge anche con lo sguardo; ogni moto, ogni azione è assente dal dipinto: tutto pare riportare all’atemporalità frontale e ieratica di antica intonazione. La luce radente, proveniente da destra, che proietta sul muro l’ombra del protagonista non è naturale, così come il fondale, simulante l’incontro fra mare e cielo, trattato come un insieme di segni grafici che si intrecciano in tratteggi graffianti e vorticosi, prolungati sino al punto di fuga; una griglia dalla quale emerge una serie di graffiti condotti, si direbbe, con calligrafia infantile, a condurre lo spettatore su una china contaminata da emozioni e ricordi affioranti dal mondo recondito della fanciullezza. Ne risulta un campo percettivo aggregato di elementi distinti, rispondente ognuno alla propria prospettiva, ripetuti dal pittore in molteplici e insistite varianti. Vengono lasciati esposti sul parapetto elementi abbandonati dal mare, come conchiglie, stelle marine, pesci, oggetti che vivono di vita propria e si completano con l’ambiente creato nel secondo piano, offrendone e ricevendone significato; vengono ancora esposte storie di marinai muti, proiettati contro fondali artificiali raffiguranti la battigia in una notte stellata, come in Notte del Marinaio (1996), o in compagnia della propria donna, come in Storia del Marinaio (1994), dove Talani pone alle estremità del dipinto le due figure, la cui storia comune è narrata per nessi interni, lentamente avvertibili. È nuovamente il muro del fondo a creare la misura dell’ambientazione: le figure, serrate nei contorni, in una solidità quasi scultorea, vi proiettano contro la loro ombra; ancora Talani si serve di questo espediente per far loro assumere un’assolutezza da icona, in un atteggiamento che li riscatta dal tempo presente, ma che li costringe, contemporaneamente, in uno stato di fatale, elegiaca solitudine. Un forte vento di mare Sul finire degli anni Novanta i sentimenti di Giampaolo Talani si infrangono contro un mutamento della sua storia, e un rinnovato senso di inquietudine inizia a guidargli la mano sulla tela. Una maggiore consapevolezza della fragilità del passaggio umano sulla terra si traduce in un cambiamento stilistico che caratterizzerà una copiosa serie di dipinti raccolti sotto il titolo di Un forte vento di mare. La salda struttura formale che organizzava dall’interno gli episodi della pittura giovanile inizia a perdere la sua compattezza: nell’universo figurativo di Giampaolo Talani compare l’elemento del vento. È il pittore stesso a svelarcene il significato, negli intermezzi lirici composti parallelamente ai dipinti: inaspettato, fulmineo, il vento di mare colpisce gli uomini, li solleva in un turbine che li porta a morire lontano, in luoghi sconosciuti; porta via con sé frammenti di vita, offendendo la memoria, e nulle rimangono le azioni degli uomini per opporre resistenza. È il vento che sconvolge gli uomini della battigia, intesi ancora come sostituti dell’umanità, in un appuntamento fatale, che possono solo augurarsi di rimandare il più a lungo possibile. A tratti Talani descrive il turbine che sconvolge l’aria marina anche come una sorta di rito purificatore non privo di sconvolgente bellezza, un galoppo che percuote violentemente tutto ciò che si trova sulla sua strada, che al suo cessare lascia rovine, e tuttavia anche un orizzonte terso, che apre il cuore alla speranza di una nuova vita, tutta da ricostruire. Con il suo passare, quel paesaggio marino amato e tante volte indagato nei dipinti, appare a Talani trasfigurato, prende ora l’evidenza di un luogo scosso da un tumulto, che il pennello deve inseguire in un tono polveroso e caliginoso: così, al fraseggio del tratto tendente al tocco fitto e minuzioso, si sostituisce adesso una pennellata più lunga, brumosa, meno carica di colore, che lascia spazio a dissonanze e approssimazioni, pur essendo condotta dal pittore con immutata concentrazione e sorveglianza. Un forte vento di mare - Ery, è certamente una delle composizioni più significative di questa fase pittorica: ritrae il padre dell’artista sulla battigia scossa dal vento. Alle sue spalle una teoria di ombrelloni si invola – è ancora Talani, nei suoi scritti, a indicare che il vento di mare porta via con sé indiscriminatamente uomini e cose – e un sole nero campeggia sul paesaggio marino, facendo proiettare l’ombra scura e indistinta del protagonista sulla spiaggia e sul mare in tumulto. La figura pare dissolversi in un crepuscolo roseo e annebbiato, maglie della sua sostanza corporea sciolte con il grembo opaco del fondale che la penetra, conferendole l’essenza di un abbaglio improvviso, di un’apparizione fugace ineluttabilmente destinata a stemperarsi nell’impietosa folata e smarrirsi in orizzonti più remoti. È la stessa figura che, mutata nelle sembianze, si espone in un nutrito gruppo di opere realizzate in questo giro di anni, poiché Talani sembra scosso da una nuova frenesia esecutiva: tutti i personaggi che hanno affollato il suo immaginario si trovano ora ad affrontare l’impeto della forza del vento. La mano dell’artista è guidata, intorno alla figura, da intense increspature d’emozione, in un’ansiosa volontà di fermare sulla tela l’evento nel pieno del suo volgersi. Lo si evince dalla lettura di Uomini in alto mare (1999), dove si scorge a fatica (tanto i piani si confondono), il busto di tre giovinetti emergere dalle onde del mare agitato dal vento, o di Il vento e i pesci, dove due tipiche figure della battigia perdono la staticità iconica per dare corso a una emozionalità più fragile e momentanea, ottenuta per il tremolare di quel movimento che ne dilata volumi e risonanze. Appartiene allo stesso periodo anche l’opera simbolo che Talani ha scelto per la mostra, Notte di luna piena (1998), in cui alita quel senso di misteriosa sensualità che è uno dei suoi temi più scoperti. Torna il simbolo della rosa, stretta fra le labbra del protagonista, fermato insieme a un giovane corpo di donna che si adagia soavemente su un sofà, in una piena ed erompente manifestazione della sua sensualità. Una composizione ancora apprezzabile per la morbida, calibrata sospensione dei termini, ma ancor di più per la vigile attenzione ai rapporti di colore, modulato fra tonalità dorate e blu-azzurrine, che creano preziosi passaggi sulla nitida distesa del fondale. Un fugace riposo dall’inquieta visione della battigia ventosa, al quale Talani non rinuncia, bruciato dall’ansia dell’evasione come lo sarà lungo tutto l’arco della sua carriera nella quale la sua spiaggia sarà abbandonata più volte e altrettante volte ripresa, con l’aggiunta di nuove trame e sottintesi. Storie salate e Cercatori di pesci Storie Salate e Cercatori di pesci, che raccolgono un gruppo di quadri dipinti fra il 1999 e il 2001, trovano significato nel sistema di angolazioni insistite, ripetute in stretta successione, del luogo in cui il pittore pare fermo ad aspettare i suoi soggetti, i cui destini si incontrano e si incatenano proprio in quella congiuntura. Protagonista di questa nuova fase pittorica continua così a essere quella folla di avventori che Talani manda in giro per la battigia come messaggeri dell’avventura umana, investendoli tuttavia di un rinnovato sentimento di umana solidarietà, che li rende più veri e signicanti. Compagni del vento – elemento ormai immancabile di ogni composizione – e dei propri ricordi, i fieri dignitari di questo mondo vagheggiano senza meta fermandosi, come in Passeggiata nella nebbia un attimo di fronte al pittore-spettatore, come distrattamente richiamati dalla sua presenza; gli mostrano i pesci che la marea gli ha fatto rinvenire (Due uomini con i pesci; Bagnante con il pesce) con gesti nei quali affiora un’ironia bonaria, scherzosamente canzonatoria, tipica di chi si rivolge a qualcuno che sente amichevolmente vicino. È anche il momento, questo, in cui fanno capo le ombre (tema che Talani approfondirà in seguito, in una serie di dipinti che le vedono come soggetto esclusivo), originate dal riflesso di un oscurato sole zenitale, come in Mareggiata (2000), dove alla vista del paesaggio marino si affiancano, protendendo con rigida e inquieta inclinazione nella parte bassa del dipinto, tre sagome che riflettono i colori del quadro e si mescolano con la luce dell’ambiente. Vediamo dunque ciclicamente tornare l’invito alla doppia lettura dell’opera, giocata sul sottinteso della presenza/assenza, come già per Un forte vento di mare, della capacità del corpo, ma anche della sua ombra (anima) di comprovare la presenza nella realtà. Forme instabili che concentrano in sé tutta la forza del ricordo, dell’eco interiore, che Talani imprime con energia sulla tela, cogliendo senza esitazioni il centro del proprio argomento, rappresentando cioè l’esistenza umana come un incontro tra individui reali ed esseri residuati da un altro mondo, il regno più profondo, mnemonico, laddove è possibile imprigionare una presenza, preservandola dall’offesa del tempo. Musicisti Lo stesso senso di malinconica incomunicabilità di Storie del marinaio serpeggia nei dipinti dedicati ai Musicisti, grandi composizioni raffiguranti intere orchestre, oppure suonatori solitari fissati, come già i marinai, contro gli usati fondali, in un’atmosfera di intimo, incantato silenzio. I richiami ai protagonisti delle Storie del Marinaio, sia fisionomici che compositivi, sono manifestamente ribaditi. I musicisti di Talani, anche quando ritratti in un’intera orchestra, paiono chiusi in un isolamento contemplativo, in una preclusione dal mondo esterno, quasi come per ritrovare intatto, nel proprio intimo, il tema profondo e misterioso della musica. Raramente i personaggi sono ritratti mentre suonano, tutti sono fermi di fronte allo spettatore e non si coglie, in apparenza, alcun suono, tanto sono assorti, immoti nelle loro espressioni, nei loro gesti. Ma ciò non significa una traduzione in maschere incolori e annebbiate, tutt’altro: Talani continua il lavoro di scavo fisionomico già portato avanti nelle Storie del Marinaio, e ci consegna volti indagati uno per uno, risolti con tratti incisivi e sintetici, dalla caricata espressione simbolica. Musicisti nello studio del pittore (1994) è un eloquente campione di questa serie di dipinti: per quanto fitta e verticale, la composizione è armonica e spaziata; il primo piano interamente dedicato all’immota orchestra di violinisti – se si eccettua l’interferenza di un giovane marinaretto – lo studio del pittore si guadagna invece il limite superiore del quadro, in profondità, laddove ha origine l’unico punto di luce. Talani ci svela così il suo amore per la musica, il profondo senso di appartenenza a quel mondo di orchestre estive e musicisti dell’improvvisazione: il suo ritratto mentre dipinge ed espone un quadro con la battigia, ha così la precisa funzione di concludere il gruppo e dare compiutezza alla scena. Ricchissima la gamma di colori, intensa e contenuta nelle sfumature, tonalizzata sugli azzurri e i verdi-grigi delle giacche, graduati attraverso passaggi sottilissimi e preziose modulazioni verso l’ocra, man mano che si avvicina il piano del fondo. È certamente, questo, uno dei momenti più felici della pittura di Giampaolo Talani, per l’eleganza di una stesura laboriosa, per la minuziosa cura d’esecuzione, che indugia sul particolare con tocchi densi e saturi di colore, espressione euforica di un temperamento passionale e ancora giovanile, che riusciva a imporsi sui visionari affondi nel mondo dell’inquietudine. Finisterre-Partenze Quando il tema di Finisterre compare nella pittura di Giampaolo Talani, diviene manifesta una significativa evoluzione nel processo creativo dell’artista: un motivo enigmatico e seducente annuncia gli esiti di una nuova ricerca, facendo la sua comparsa per nutrire l’iconografia di una inedita serie di dipinti, incentrati sul tema della “Partenza”, e presentati al pubblico nel 2001. Un orizzonte lontano, indistinto, lascia intravedere sulla sommità di un’altura formata da dune rosse una bandiera, issata sulla torre di un castello, marcante il confine fra il mondo conosciuto e Finisterre (dall’espressione latina Finis Terrae, “Fine della Terra”) che il pittore, nei suoi scritti, indica come il mitico punto di arrivo di ogni viaggio. Di fonte a Finisterre il viaggiatore si può fermare, oppure tornare indietro. Ma può anche, con coraggio, provare a oltrepassare quella frontiera e “la vera storia”, è sempre Talani a parlare, “forse, comincia da lì”. Il castello di Finisterre è, nella resa pittorica, l’amplificazione di piccoli castelli di sabbia che appaiono sulla battigia nelle composizioni di questi anni; costruzioni effimere, destinate a scomparire con il rifrangersi delle onde sulla riva – facendo rimanere solamente la traccia dell’asta della bandiera – e a essere poi ricostruite, in un moto incessante di distruzione e riparazione (simbolicamente, la successione ciclica degli eventi nella vita dell’uomo). Ai piedi del chimerico castello è l’uomo, il viaggiatore, la nuova icona alla quale Talani affida la chiave interpretativa dei nuovi dipinti: officiante del viaggio, o meglio della partenza, il protagonista non la vive come un evento concreto, non è inserito in contesti evocanti saluti di commiato o manifestazioni di dispiacere legati a un addio. È piuttosto l’incarnazione dell’uomo che si trova di fronte a una scelta, alla possibilità del cambiamento, e il suo animo è preda di sentimenti contrastanti; in bilico fra la paura e la determinazione, il partente rimane bloccato di fronte al suo traguardo – sia questo Finisterre che una meta ideale non dichiarata sulla tela – con la valigia rossa in mano, senza che nessuna azione venga a turbare un’atmosfera di irreale, incantata sospensione. Lo si vede in Partenze (2001), dove due figure maschili emergenti da un fondale astratto di intenso carminio (l’affocato rosso delle dune dalle quali emerge, chiuso nell’abbreviazione sintetica del profilo, il castello di Finisterre), si rivolgono allo spettatore esibendo le valigie in primo piano; il vento che scuote le loro cravatte e i capelli pare non turbarli, né indurli all’azione (“stanno lì sul rosso”, scrive Talani, “ad aspettare qualcosa, gli uomini con la valigia. Il vento gli sbandiera le cravatte e gli violenta il viso e loro… hanno la valigia delle partenze, ma non partono ancora”). L’individuazione psicologica dei personaggi assume dunque un carattere di trattenuta emozionalità; il sentimento di smarrimento provocato in questi dall’imminente, immaginario distacco, la loro esitazione, ma anche il loro isolamento – Talani torna a intensificare quel senso di intima solitudine dell’uomo, anche laddove appare ritratto insieme a qualcuno – è il perno intorno al quale ruota tutta la narrazione, l’intima trama entro cui distinguere, gradualmente, la logica di un racconto. Orizzontandosi sempre all’interno di un suo genere ormai consacrato, sul quale prosegue a verificare continue e assillanti variabili, Talani trasferisce il partente sulla battigia, lo include nelle orchestre, lo staglia contro i fondali evocanti atmosfere marine. Lo ritrae con rose rosse in bocca, oppure sottobraccio, a bramare fuggevoli incontri amorosi, altresì dichiarati dalla rappresentazione stereotipata della donna sul fronte della valigia o alle sue spalle, sul muro del fondo. Animali di battigia Il tema di Partenze va a intrecciarsi con quello di Animali di battigia, un nuovo ciclo di lavori esposti nel dicembre del 2003 in una mostra personale al Castel dell’Ovo di Napoli. È ancora il dipanarsi della teoria circolare della gente (gli “Animali”) della battigia intorno al punto di osservazione del pittore a interessare la totalità dei dipinti: Talani trova ancora, nell’intima fecondità di quella fucina a cielo aperto, l’ispirazione per riportare nuove storie, e aggiungere nuove tessere a quel mosaico al quale ha votato la propria ispirazione fin dallo stadio aurorale del suo essere artista. Manifesti corali (Animali di battigia) si alternano a viaggiatori in attesa della partenza (Aspettando un’altra estate), o a intrepidi scalatori della montagna di Finisterre (La duna rossa); ulteriori motivi di invenzione figurativa arricchiscono le tavole raffiguranti i cercatori di pesci – nelle quali si coglie, peraltro, un’inusuale libertà dei tagli prospettici (Cercatori di conchiglie), che rievocano l’inquadratura di una macchina fotografica – così come le composizioni dedicate alle ombre, le anime che si fanno figura, e che anticipano il tema che diverrà, nel volger di poco tempo, sempre di maggior interesse per il pittore. Ombre Due ombre amiche (2005), dove ritorna la raffigurazione dell’abbraccio fra padre e figlio, ci dà modo di considerare come il lungo processo creativo che ha portato Talani a fissare l’idea compositiva di Partenze vada a intersecarsi, fin dal principio del 2005, con la trattazione di Ombre, l’ultimo momento tematico che ci introduce nel vivo della ricerca che, a tutt’oggi, Talani sta conducendo. Apparse per la prima volta negli anni di Storie salate, sempre associate a figure umane, o al paesaggio, le ombre attestavano la loro presenza attraverso la proiezione sulla battigia: rese frontalmente, immobili e controluce in silhouette che di norma richiamerebbero la presenza di un essere vivente, sono chiaramente appartenenti al mondo dell’ignoto, presenze del passato che fuggevolmente si incarnano oltrepassando l’immaginaria cortina che le separa dal mondo reale. Ma l’ombra non è, come per la poetica espressionista (che pure Talani ha guardato e approfondito negli studi giovanili), la seconda, oscura identità, la funerea annunciatrice dell’appartenenza al mondo della morte: al contrario, queste immagini paiono piuttosto alludere alla ricomparsa di anime “amiche”, che si manifestano proprio in virtù della forza del ricordo di chi le vede. Il tema della memoria torna dunque a riprendere la centralità nella poetica di Talani; la memoria intesa come luce, come bagliore che restituisce la vita (“Solo il buio le uccide”, scrive Talani a proposito delle ombre), unico elemento che può rivelare il senso di una presenza. La luce non modella le ombre, ne svela solo il fantasmatico apparire: l’immagine, più che mai, da contemplazione diviene visione. Nel gruppo di opere recentemente eseguite, Talani torna a servirsi dell’espediente pittorico del muro come campo di proiezione della figura, che si guadagna un primo piano ancora più prossimo allo spazio dell’osservatore: lo si vede in L’ombra e la rosa blu, dove un’ombra scarnificata si staglia contro il chiarore di una parete sulla quale è stata lasciata una rosa. Stilisticamente, Talani traduce la figura nella sua apparenza tramite una pennellata ondulante, discontinua, aperta a incastri balenanti di luce e ombra; procede per grovigli di segni a definire plasticamente la forma, attaccandola poi con tocchi irregolari di rosso acceso, quasi a ricordare che non di una presenza reale si tratta, ma della sua essenza spirituale. La trattazione delle Ombre, come già anticipato, va a intrecciarsi con il tema della Partenza – troviamo tutta una serie di dipinti di ombre con la valigia rossa, premonitrici del futuro sviluppo nell’affresco di Santa Maria Novella – ma anche con lo storico tema della battigia, nella quale il pittore non rinuncerà mai a tornare per trovare verifiche e misurarsi con la validità delle proprie ricerche. È così che troviamo ancora storie di musicisti, di cercatori di pesci, di “animali” di quella battigia che sempre è stata irrinunciabile pilastro della sua arte. Emblematica è la realizzazione del dipinto Oltre una duna (2007): cornice un paesaggio reso per linee essenziali, con la scalatura della sabbia e il cielo, il quadro raffigura un uomo che, rifugiato nell’alveo di una duna, stringe al petto una conchiglia, volgendosi guardingo alle sue spalle, verso un punto indefinito oltre il limite del quadro. È, certamente, una delle composizioni più sintomatiche di quel coacervo di memorie, visioni e suggestioni che la stagione pittorica più recente di Talani esprime al meglio. Peraltro, il pittore torna qui a scarnificare la figura quasi come, espressionisticamente, deformava i protagonisti dei primissimi dipinti, realizzati negli anni della frequentazione dell’Accademia, non ponendosi alcun problema relativamente alla limpidezza della pennellata, puntando su un colore terroso, quasi fangoso, più idoneo a traslare la forma nel magma inquieto dell’immaginario, e suscitare intensi sussulti espressivi dell’immagine. È questa la pittura del Talani più intimo, capace di suggellare il flusso emotivo della rappresentazione in una segnica dell’anima. Una pittura apparentemente in contraddizione con l’opera di più facile lettura ma, in effetti, a essa complementare e strettamente legata, in quanto espressione di una personalità che non teme di mettere a nudo le antinomie e i conflitti che premono dentro l’anima di un artista. Arrischiandosi al confronto diretto con la propria intimità, assorbendone le urgenze senza mediazioni. ELISA GRADI