VOCI DAL BALTICO E DALLA PASQUA RUSSA Il canto corale è l

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VOCI DAL BALTICO E DALLA PASQUA RUSSA Il canto corale è l
VOCI DAL BALTICO E DALLA PASQUA RUSSA
Il canto corale è l’anima stessa dei popoli baltici, che in nessun altra occasione si esprime come
durante i Festival della Canzone e della Danza nazionali che uniscono estoni, lettoni e lituani di
tutto il mondo in un’affascinante esibizione canora e coreutica.
In un crescendo d’intensità, un coro di 30.000 voci canta gioiosamente davanti a un pubblico di
100.000 spettatori, mentre 10.000 ballerini con indosso i costumi tradizionali eseguono danze
popolari formando un caleidoscopio di disegni su un enorme palcoscenico all’aperto.
I festival, riconosciuti come uno dei Capolavori del Patrimonio Culturale immateriale
dall’UNESCO nel 2003, si svolgono ogni quattro anni in Lituania ed ogni cinque in Estonia e
Lettonia - i prossimi si svolgeranno nel giugno di quest’anno a Riga e l’anno prossimo a Tallinn.
Vi partecipano le migliori compagini corali da tutte e tre le nazioni interessate, ma anche i cori di
emigrati in Stati Uniti e Canada; ogni gruppo ha le sue accanite “tifoserie” che si accapigliano sulla
perfezione delle varie esecuzioni, che inneggiano alle migliori armonizzazioni, che seguono le
compagini partendo dai villaggi di origine per trascorrere una settimana all’insegna del canto corale
nazionale. Il quadro è completo.
Da una cultura del genere, che secondo molti studiosi affonda le sue radici addirittura nell’epoca
paleocristiana e che ha fatto del canto di massa un vero e proprio strumento di lotta politica nel
processo che ha condotto i Paesi Baltici all’Indipendenza dall’Unione Sovietica nei primi anni
Novanta, non possono che nascere di continuo compositori che si dedichino in maniera prevalente
alla musica corale.
E’ il caso del più celebre compositore estone di oggi, Arvo Pärt, frai più amati ed eseguiti al
mondo, ma anche di Urmas Sisask e Rihards Dubra, il primo sempre estone ed il secondo lettone,
nati negli anni Sessanta ma già abbastanza eseguiti all’estero; è il caso di una folta schiera di
compositori lituani come Vytautas Miskinis, che gira l’Europa per tenere corsi di composizione e
direzione corale, o di Mindaugas Urbaitis, che nel suo “Lacrimosa” del ’91 celebra ad un tempo
Mozart nel bicentenario della morte ed i 14 caduti per l’indipendenza nazionale.
Ma anche nelle altre composizioni che verranno eseguite, il concetto di “canto di massa” è
spesso presente: a volte per l’elevato numero di voci (quasi sempre da sei a otto), a volte per
l’omoritmia ed il gioco dei piani dinamici, altre volte per la profonda ispirazione etnica e popolare
che muove testi e melodie.
Il repertorio della serata, come è facile comprendere, non si propone un itinerario esaustivo:
non ne avrebbe in alcun modo la possibilità. Si tratta però di un accattivante stimolo molto
variegato che ci può far scoprire mondi musicali da noi praticamente inesplorati a causa
dell’abitudine, certo comoda ed in un certo qual modo “redditizia”, di seguire strade conosciute e
repertori consolidati.
Proponiamo quindi nella prima parte della serata il “Pater noster” di Rihards Dubra,
commovente nell’implorazione omoritmica della pietà divina; il fresco “Cantate Domino” di
Miskinis e la profonda preghiera del cuore dell’ “Oremus” di Sisask.
A seguire “Rorate caeli”, un mottetto ancora di Dubra, vario e composito nell’aderire al testo
medioevale, il celebre sospiro del “Magnificat” di Pärt e per terminare il grandioso affresco corale
del “Lacrimosa” di Urbaitis.
Dopo il successo della Liturgia di San Giovanni Crisostomo ma anche quello dei Vespri nel
1882, lo Zar Alessandro III, incoronato nel 1883, invitò Cajkovskij a scrivere ancora musica sacra,
ed il compositore fu ben lieto di tradurre ancora una volta il senso di pietà e devozione del rito
antico in nuove forme musicali.
Nacquero così, fra il novembre 1884 ed l’aprile 1885, i cosiddetti “Nove cori sacri”,
comprendenti anche tre “Inni dei Cherubini” di cui in questa serata proposto eseguito il primo;
come da tradizione, tutti e tre questi inni sono composti sullo stesso testo (che si trova già nella
Liturgia) da quattro sezioni cantate sulla stessa melodia, di cui le prime tre Adagio, la quarta
Allegro.
Ancora dalla raccolta dei Cori Sacri è tratto il secondo brano, “Ninje sily njebjesnija”,
caratterizzato da un bellissimo modalismo arcaicizzante, diviso anch’esso in quattro brevi sezioni
ma fra cui ad utilizzare la stessa melodia sono soltanto le prime tre.
Anche un musicista schiettamente nevecentesco come Rachmaninov volle cimentarsi con la
composizione di brani per il culto ortodosso che ritornassero all’antichissima sensibilità del canto
bizantino.
I suoi due cicli religiosi, la Liturgia di San Giovanni Crisostomo del 1910 ed i Vespri del 1915,
sono il monumento più vasto della musica ortodossa, dove grande si spiega il “sinfonismo corale”
che spinge le voci ai vertici delle possibilità sia nel grave che nell’acuto o le divide fino ad avere
otto o anche dieci parti reali, che divide e contrappone i timbri, che fa continuo riferimento al
modalismo dell’antico canto neumatico “znamenny”.
Con il ricorso abbondante alle melodie tradizionali, Rachmaninov scrive quindici brani, non
prevedendo interventi dei celebranti ma di due solisti, un mezzosoprano ed un tenore, all’interno di
alcuni di essi.
L’estratto dai Vespri inizia con “Bogorodice Djevo”, una dolcissima Ave Maria in cui, nella
seconda parte, si esalta con intensità maestosa la grandezza della Vergine; a seguire il Tropario
“Voskres iz Groba”, basato su un tema znamenny, che mette particolarmente in risalto le voci acute
dei Soprani e dei Tenori.
In “Blazen muz” (“Beato l’uomo”), ad ogni frase del salmo, cantata da una riduzione del coro a
tre o quattro voci acute, l’ “Alleluja” fornisce una risposta a coro pleno.; il tempo e l’intensità
aumentano progressivamente in una scrittura compatta ed omoritmica ma di grande effetto timbrico.
Calmo e maestoso, il brano dal titolo “Slava v visnih Bogu” (“Gloria a Dio nell’alto dei cieli”)
presenta infine una scrittura assai diversificata: sul sobrio andamento iniziale si innestano presto i
melismi dei soprani sulla parola “Slava” (“Gloria”), fino alla teatralità delle undici voci spiegate ed
inneggianti; di grande efficacia emotiva il finale, in piano, omoritmico e delicatissimo.