L`incipit (da: http://temi.repubblica.it/ilmiolibro-holden

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L`incipit (da: http://temi.repubblica.it/ilmiolibro-holden
L’incipit
(da: http://temi.repubblica.it/ilmiolibro-holden/incipit/ )
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COS’ E’ UN INCIPIT?
Un incipit è un inizio. L’inizio. Di una storia, di un viaggio. L’incipit è una partenza per un luogo,
l’origine di un itinerario prestabilito o sconosciuto. Il luogo, o il momento, in cui si intraprende
qualcosa di nuovo. Un incipit è la formula iniziale con cui si comincia una narrazione, una formula
da cui dipenderà il grado di attenzione del lettore. In queste prime battute, infatti, un narratore pone
le regole dell’universo narrativo che sta creando.
“Chiamatemi Ismaele”. Così inizia Moby Dick o la balena, di Herman Melville, uno degli incipit
più noti della storia della letteratura.
Nel caso di Moby Dick o la balena, l’incipit ha una funzione simbolica oltre che funzionale.
Melville, scegliendo di iniziare la storia con il nome del protagonista (un nome biblico) dà il via alla
storia con un segnale forte, un segnale che ci porta lungo la strada dell’interpretazione di una
metafora e che segna il punto di non ritorno per la narrazione
Seguendo l’esempio di Melville diventa semplice comprendere perché è fondamentale scegliere le
parole e il tono giusto per iniziare la nostra storia. Infatti bastano poche pagine per rendersi conto
che i personaggi e l’ambientazione del romanzo hanno una forte valenza metaforica che evoca
l’universo e i valori cristiani. Grazie a “Chiamatemi Ismaele” comprendiamo logiche e tematiche
delle prossime seicento pagine.
“Non lo nego: sono ricoverato in un manicomio; il mio infermiere mi osserva di continuo, quasi non
mi toglie gli occhi di dosso perché nella porta c’è uno spioncino, e lo sguardo del mio infermiere
non può penetrarmi poiché lui ha gli occhi bruni, mentre i miei sono celesti”. Il tamburo di latta,
Feltrinelli, 2002.
Con questo incipit Gunther Grass dichiara di che pasta è fatto il protagonista de Il tamburo di latta e
la tecnica narrativa scelta dall’autore per raccontare la sua storia. Con la prima persona singolare
l’autore tedesco narra la vicenda di un uomo (in seguito si rivelerà essere un nano) finito in
manicomio: facile intuire che la storia che stiamo per leggere è una storia insolita, una storia vissuta
e raccontata da un personaggio che ha problemi psichici tanto gravi da costringere un infermiere a
seguirlo con lo sguardo giorno e notte, una storia in cui la vista, e quindi le immagini, sono
fondamentali. In definitiva un narratore che racconta una storia comune a una nazione con uno
sguardo e una voce fuori dal comune.
UN’ ESCA PER IL LETTORE
L’incipit come origine di un percorso, dunque. Come gesto che dà inizio a un universo parallelo, un
universo che risponde a regole diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati. L’origine della
narrazione, per riscuotere attenzione, non deve essere necessariamente brutale, non deve trascinare
a forza il lettore nel nostro universo, ma può farlo con cautela e sensibilità (ammesso che la nostra
non sia una narrazione di genere, come un thriller ad esempio, dove le regole che fondano
l’universo narrativo sono esplicite. Nelle narrazioni di genere, infatti, il lettore conosce già i toni e
le atmosfere che stiamo per costruire e che sono regolate dalle convenzioni del genere).
L’incipit può essere inteso come un’esca per il lettore, un assaggio di quello che troverebbe
proseguendo la lettura del nostro romanzo o racconto. Un buon incipit, però, non dovrebbe passare
in rassegna tutti i personaggi, le tematiche o i concetti che sviscereremo nella narrazione, bensì deve
avere la funzione di una scintilla o di una promessa o di una potenzialità che le pagine successive
metteranno a fuoco. Una promessa. Una promessa o una richiesta di fiducia.Un esempio?
“Per parlare con franchezza, qui fra noi, finisco ancora peggio di come ho cominciato… Oh, non ho
cominciato molto bene… sono nato, lo ripeto, a Courbevoie, Senna… lo ripeto per la millesima
volta… dopo tanti va e vieni termino veramente al peggio…”.
Da un castello all’altro, Einaudi, 2008.
Le prime parole di Da un castello all’altro, di Louise Ferdinad Céline. E’ il 1944, e Céline sta
attraversando la Germania sventrata dagli attacchi aerei degli alleati con la moglie e il gatto Bébert.
L’intero romanzo dello scrittore francese sembra celato dietro quelle prime parole: una reputazione
di scrittore e medico andata a mare, un’avventura incredibile in un paese ostile e devastato dalla
guerra, un viaggio verso una terra (la Danimarca) disposta a ospitare una personalità controversa.
Chi entra in quest’universo non può non considerare queste prime righe come fossero una
dichiarazione che regge l’asse della narrazione dalla prima all’ultima pagina, una dichiarazione di
un uomo vecchio e stanco come il Paese e l’epoca in cui sta vivendo. Da qui in avanti il lettore deve
scendere a patti con la personalità dell’autore, come sempre, quando si ha a che fare con il genio
Céline. Un altro esempio?
“Non fanno che ripetere tutti: Il Cremlino, il Cremlino. Ne ho sentito parlare in tutte le salse, ma
non l’ho visto nemmeno una volta. Quante volte (mille volte), dopo aver trincato o prima d’avere
smaltito una sbornia, ho attraversato Mosca da nord a sud, da ovest a est, da un capo all’altro, di
sbieco e a casaccio, ma il Cremlino non sono mai riuscito a vederlo. Ed è andata a finire così anche
ieri. E dire che ho gironzolato in quei paraggi per tutta la sera, e mica poi tanto ubriaco: sbucato
fuori dalla Stazione Savelovskaja ho, certo, mandato giù un bicchiere di Vodka del Bisonte come
aperitivo, anche perché so per esperienza diretta che come decotto mattutino al genere umano non è
stato ancora dato d’inventare nulla di meglio”.
Mosca-Petuskì e altre opere, Feltrinelli, 2004.
Esiste modo migliore di introdurre un personaggio, la società in cui vive e l’universo narrativo in
cui si muove? Forse sì. In ogni caso questo è il modo che ha scelto Vendict Erofeev per raccontare
la storia del suo personaggio, un personaggio che ha problemi con l’alcool come gran parte della
popolazione russa del suo tempo, un personaggio che vive una quotidianità lontana anni luce dalla
normalità universalmente concepita. Leggendo queste righe siamo agganciati alla sua storia e al suo
mondo, al suo modo di concepire la realtà e alla società russa contemporanea. Una miscela
esplosiva: un intruglio narrativo che vorrebbe rappresentare la realtà oggettiva da un punto di vista
molto personale, dalla realtà filtrata dagli occhi del protagonista e dall’universo narrativo dei
personaggi che incontra durante la narrazione.
QUANDO… E PERCHE’
Ma quando bisogna scriverlo l’incipit? E indispensabile iniziare a lavorare scrivendo l’origine della
narrazione o si può lasciarla al fondo, a lavoro concluso, così da avere un quadro complessivo di
quello che abbiamo scritto? Naturalmente non esiste una regola: alcuni autori scrivono prima
l’incipit e poi si concentrano sul resto della narrazione, altri lasciano l’origine del viaggio come
meta, preferendo concentrarsi prima sul cuore della narrazione.
Probabilmente le risposte sono diverse perché la domanda non è corretta: forse non bisognerebbe
chiedersi quando, ma perché. Perché scrivere l’incipit come lo abbiamo concepito? La risposta,
probabilmente, sta nella conoscenza della materia narrativa che l’autore intende sviluppare. Tanto
più è chiara l’intenzione, tanto più semplice sarà scrivere un incipit che catturi l’attenzione e
dichiari gli intenti della storia che stiamo per raccontare.
Insomma, non bisogna chiedere all’incipit di essere un capolavoro in miniatura come un Haiku (le
micro poesie giapponesi composte da tre versi), bensì di essere funzionale alla narrazione, di
sintetizzare tematiche e personaggi e richiamare l’attenzione del lettore verso il nostro universo
narrativo.
Esercizio
Scegliete due romanzi che amate e conoscete bene. Due romanzi i cui incipit siano diversi per
numero di informazioni e ritmo. Da una parte un incipit veloce, un incipit che trascini il lettore nella
vicenda tirandolo per la manica della camicia, dall’altro un romanzo il cui incipit sia più blando ma
per questo non meno efficace, un incipit che evochi atmosfere e personaggi con un ritmo meno
serrato. Ora provate a scrivere i due incipit seguendo la tecnica narrativa opposta. Provate a
invertire lo stile e il ritmo: destrutturate il contenuto e mutate il metodo. In questo modo correrete il
rischio di torturare i vostri testi preferiti, ma imparerete qualcosa in più su come si scelgono le
parole e il ritmo per un incipit efficace. Imparerete a scrivere un incipit “aggressivo” e uno che
catturi il lettore con uno stile più gentile, uno stile fatto di sfumature che evochino la vicenda e i
personaggi che incontreremo a narrazione inoltrata.