Sommario 1..2 - spazioweb.it
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55 Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 Sommario EDITORIALE A. BRUSCO, Non piangere non ridere, ma comprendere.. .................................... pag. 3 IL MESSAGGIO DEL TRIMESTRE. ......................................................................... 6 STUDI F. CARRETTA, La presenza della donna nella pastorale della salute.. .................... 7 C. BETTINELLI, Il genio femminile, oggi. .......................................................... 20 INTERMEZZO .................................................................................................. 29 PASTORALE UNA CHIESA PARTICOLARE S'INTERROGA ......................................................... 30 * G. SANGUINETI, ComunitaÁ ecclesiale e pastorale della salute. .......................... 30 * G.ZANINETTA, Risposta al Vescovo.. ............................................................. 36 * C. BRESCIANI, Quale futuro per la sanitaÁ cattolica a Brescia?............................ 39 O. SCARAMUZZI, Una dialisi difficile. ............................................................... 42 ESPERIENZE S. SERAFINI Accompagnare i morenti a domicilio............................................... 46 VARIAZIONI ................................................................................................... 50 TESTIMONI CONTEMPORANEI Chiara Badano ................................................................................................ 1 51 DOCUMENTI Messaggio di Giovanni Paolo II per l'XI Giornata mondiale del malato ............... 60 Ruolo del `cappellano' nelle Cure Palliative ....................................................... 63 NOTIZIE .......................................................................................................... 65 VITA DELL'ASSOCIAZIONE G. CERVELLERA, Verbale del Consiglio nazionale.............................................. 70 SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE .................................................................... 75 2 EDITORIALE NON PIANGERE, NON RIDERE MA COMPRENDERE! Il coinvolgimento dei laici nella pastorale della salute Angelo Brusco Durante questi ultimi mesi ho avuto occasione di partecipare a vari incontri e convegni di pastorale della salute, notando e ammirando il cammino di crescita compiuto da numerose comunitaÁ ecclesiali nel servizio del malato e nella promozione della salute. In piuÁ di una di queste riunioni eÁ stato messo a tema il ruolo dei laici nella pastorale della salute. In diversi ospedali, infatti, stanno costituendosi delle cappellanie, in cui accanto ai sacerdoti si muovono religiosi/e e laici, impegnati in vari servizi tra cui la visita ai malati, la distribuzione dell'eucaristia, la partecipazione alle celebrazioni liturgiche. Si tratta di un fenomeno giaÁ consolidato in molti Paesi, ma che in Italia eÁ ancora soggetto alle gioie e alle sofferenze degli inizi. Le gioie percheÂ, come ogni fenomeno allo stato nascente, la cappellania accende le luci del nuovo, le sofferenze perche permangono ancora numerose le resistenze che si oppongono al suo crearsi. Tornando da questi raduni, sono stato spesso accompagnato dall'impressione che di fronte a quanto sta avvenendo nel mondo della pastorale della salute, e in particolare nell'area del coinvolgimento dei laici, si consumino troppe energie nel ridere o nel piangere a spese del comprendere. Tanti lamenti e grida di soddisfazione spesso non sono accompagnanti da quel pensiero meditante che consente di illuminare le problematiche, aprendo la strada a linee operative piuÁ sicure. Nell'ambito che stiamo considerando, infatti, tale pensiero meditante potrebbe aiutare a prendere una maggiore consapevolezza di alcuni passi da compiere, che ora intendo brevemente indicare: * Una piuÁ profonda riflessione teologica. In tanti raduni accade di assistere a gravi superficialitaÁ dottrinali nell'affrontare temi di ordine pastorale. L'appello frequente all'ecclesiologia di comunione, uno dei frutti piuÁ significativi del Concilio e del post-concilio, rischia di cadere nella retorica se non eÁ accompagnato da una chiara comprensione di tutti gli elementi che essa comporta. Mi riferisco: - All'identitaÁ del laico e alla sua missione nella Chiesa. Nel porre l'accento sui ministeri cui i laici giustamente potrebbero avere accesso nel mondo della salute, spesso si corre il rischio di trascurare il compito precipuo che loro compete e che una delle 3 EDITORIALE relazioni nel Convegno di Collevalenza dello scorso anno e pubblicata nel presente numero della rivista illustra in modo eccellente -,quello cioeÁ di ordinare effettivamente il mondo della salute a Cristo (cf. Apostolicam Actuositatem, 2). - Al rapporto tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune. In molti laici, e anche in alcuni sacerdoti, vi eÁ ancora mancanza di chiarezza a questo riguardo, con il pericolo di acuire le giaÁ esistenti difficoltaÁ dovute a incompetenza relazionale. - Alla natura della pastorale della salute. Se anche tra gli specialisti vi sono differenze nel definire la pastorale, che dire della comprensione che hanno molti laici, e alcuni sacerdoti, della presenza e dell'azione della comunitaÁ ecclesiale nel mondo della salute? In tanti discorsi e conversazioni la pastorale viene ridotta ad un incontro di cui si sottolineano prevalentemente gli aspetti umani che, pur importanti, non esprimono il significato dell'azione salvifica se non sono tesi all'evangelizzazione e alla santificazione. * L'istituzione di ministeri specifici per il mondo della salute. L'interruzione del discorso sui ministeri laicali dopo la pubblicazione della Christifideles laici, rende piuÁ lenta la definizione di ruoli pastorali specifici dei laici nel mondo della salute. Di grande vantaggio riuscirebbe uno studio sistematico per individuare, anche alla luce della tradizione, precisi ministeri per il mondo sanitario, istituibili sia a livello universale che locale. * Una formazione piuÁ organica. Il tema della riflessione teologica introduce a quello della formazione. In questi ultimi due decenni eÁ stato fatto molto in questo settore. Sono, infatti, sorte scuole, accademiche e non, si sono moltiplicati sessioni e convegni. Tutto questo fervore merita riconoscimento, indicando la volontaÁ di migliorare la qualitaÁ del ministero. Sono, tuttavia, rilevabili alcuni limiti: - In molti programmi, il cammino formativo non supera il livello dell'informazione. - A differenza di quanto avviene, per esempio, nell'ambito dell'insegnamento di religione, per gli operatori pastorali nel mondo della salute non sono stabiliti precisi requisiti formativi ne da parte dei vescovi ne da parte delle amministrazioni. Per i sacerdoti non eÁ richiesta la specializzazione in pastorale sanitaria, per i laici che potrebbero o vorrebbero far parte di una cappellania esistono programmi generici, che variano da luogo e luogo, in termini sia quantitativi che qualitativi. * Una struttura giuridica piuÁ adeguata. Attualmente, in Italia, sono riconosciuti come cappellani unicamente i sacerdoti. In alcune regioni le ASL accettano d'integrare nella cappellania religiosi/e e laici a patto che non vi siano oneri finanziari. I tentativi di superare gli ostacoli che impediscono di assumere a pieno titolo giuridico persone non ordinate quali operatori pastorali nel mondo della salute sono molto rari e vengono scoraggiati dall'autoritaÁ superiore. Tranne qualche rara eccezione, i vescovi si trincerano dietro il Concordato. A nessuno 4 EDITORIALE sfugge che il mancato riconoscimento giuridico, con conseguente rimunerazione finanziaria, incide molto sul numero e sulla qualitaÁ delle persone che vengono coinvolte nella cappellania, riducendone l'impegno in termini sia di tempo che di continuitaÁ. Se il pensiero meditante eÁ importante per camminare nella chiarezza e su basi sicure, esso peroÁ eÁ chiamato ad aprirsi all'operativitaÁ. Un passaggio difficile, praticabile unicamente con l'ausilio di mediazioni efficaci. Tale considerazione mi porta a terminare con un interrogativo: acquisendo un maggior peso politico, l'A.I.Pa.S non potrebbe essere una di tali mediazioni? Degli Atti del Convegno di Collevalenza 2002, nel presente numero sono pubblicati gli interventi della Dott.ssa Flavia Carretta e di Sr. Carla Bettinelli, e la presentazione della figura di Chiara Badano. 5 I L M E S S A G G I O D E L T R I M E S T R E L'anno del disabile L'anno europeo dedicato alle persone disabili offre agli operatori pastorali l'occasione di approfondire e mettere in pratica il dono di seÂ, nella linea indicata dal sussidio dell'Ufficio nazionale della CEI per la XI giornata mondiale del malato, sensibilizzando le comunitaÁ in cui operano e aiutando gli stessi portatori di handicap ad essere soggetti attivi e responsabili dell'evangelizzazione e della salvezza. E' quanto suggeriscono le parole del Papa che riportiamo. «Con la vostra presenza, carissimi fratelli e sorelle, voi riaffermate che la disabilitaÁ non eÁ soltanto bisogno, eÁ anche e soprattutto stimolo e sollecitazione. Certo, essa eÁ domanda di aiuto, ma eÁ prima ancora provocazione nei confronti degli egoismi individuali e collettivi; eÁ invito a forme sempre nuove di fraternitaÁ. Con la vostra realtaÁ, voi mettete in crisi le concezioni della vita legate soltanto all'appagamento, all'apparire, alla fretta, all'efficienza. Anche la comunitaÁ ecclesiale si pone in ascolto rispettoso; essa sente il bisogno di lasciarsi interrogare dalla fatica di tante vostre esistenze segnate misteriosamente e dalla sofferenza e dal disagio di eventi lesivi, congeniti o acquisiti. Vuole farsi piuÁ vicina a voi e alle vostre famiglie, consapevole che la disattenzione acuisce sofferenza e solitudine, mentre la fede testimoniata dall'amore e nella gratuitaÁ dona forza e senso alla vita». 6 S T U D I LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE Flavia Carretta Istituto di Medicina Interna e Geriatria, UniversitaÁ Cattolica del Sacro Cuore, Roma Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria «Camillianum», Roma ferma quanto Giovanni Paolo II sostiene nella Sua stupenda Lettera alle donne: (...) «Certo molto ancora resta da fare perche l'essere donna e madre non comporti una discriminazione.».1 Infatti spesso la percentuale femminile tra i medici di piuÁ alto livello (primari) o tra i vertici gestionali (direttori generali) eÁ molto bassa. Vi sono tuttavia notevoli differenze tra le tre ``grandi regioni europee'' (Nord, Centro e Sud Europa): la partecipazione delle donne ai livelli decisionali elevati eÁ maggiore nei cinque paesi del Nord Europa (Svezia, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna). Essa si riduce, invece, nei sei paesi dell'Europa Centrale (Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Germania, Austria) e nei quattro paesi del Sud Europa (Italia, Spagna Portogallo e Grecia).2 Benche le donne siano presenti in tutte le professioni sanitarie, esse sono concentrate in alcune professioni: sono piuÁ numerose tra biologi, psicologi, fisioterapisti, costituiscono ancora la maggioranza degli infermieri ± oggi professione anche maschile ± e delle professioni sanitarie non mediche, inoltre costituiscono la quasi totalitaÁ delle ostetriche. Introduzione Nella Carta degli Operatori Sanitari del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari si afferma che la Chiesa ha sempre guardato alla medicina come ad un sostegno importante della propria missione redentrice nei confronti dell'uomo: «Il servizio allo spirito dell'uomo non puoÁ attuarsi pienamente, se non ponendosi come servizio alla sua unitaÁ psicofisica» (n. 5). Ne consegue che anche l'impegno professionale degli operatori sanitari partecipa all'azione pastorale della Chiesa. Per l'elevata presenza femminile il mondo sanitario, che rappresenta l'ambito in cui si inserisce la pastorale della salute, costituisce certamente un importante punto di osservazione del ruolo delle donne. Guardando ad esempio all'Europa, nel mondo della sanitaÁ le donne costituiscono, in tutti i paesi europei, i due terzi dell'occupazione in questo settore e sono presenti in tutte le professioni sanitarie. Nello stesso tempo peroÁ, si puoÁ notare che sono quasi ovunque sotto ± rappresentate ai vertici decisionali. Dato questo che con7 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 STUDI Cenni storici loro femminile anima poetica, istituiscono il loro diritto; alle dottoresse la donna e il bambino, nella prevenzione, nella tutela e nella cura». Una situazione che eÁ andata modificandosi nei decenni successivi, tanto che giaÁ da alcuni anni ± ed eÁ una tendenza generale nei paesi occidentali ± gli studenti delle facoltaÁ di medicina (in Italia giaÁ a partire dal 1996), sono sempre piuÁ donne. Proprio a sottolineare questa inversione di tendenza, il numero speciale di Lancet, la prestigiosa rivista medica inglese, uscito alla fine dell'anno 1999, riportava due schede dedicate alla «femminilizzazione della medicina».5 Se consideriamo ora piuÁ in generale il ruolo della donna in tutte le professioni sanitarie, eÁ evidente che alle donne veniva attribuito un ruolo subordinato e complementare. Ma anche in questo campo si sono verificati profondi cambiamenti, dovuti anche al diversificarsi delle varie occupazioni sanitarie. Se verso la metaÁ dell'Ottocento, lo scenario sanitario era dominato da solo 3 professioni ± medici, farmacisti, ostetriche ± nel volgere di alcuni decenni eÁ mutato il modo di esercitare queste professioni e ne eÁ nata una nuova: l'infermiere. Per arrivare ai nostri giorni, il numero di tali occupazioni si aggira su circa una trentina. La sociologia delle professioni evidenzia l'esistenza di relazioni complesse fra queste varie professioni, tali da configurare l'ambito sanitario come un sistema occupazionale che presenta caratteristiche uniche nel mondo del lavoro .6 Un esempio della trasformazione avvenuta eÁ costituita dal Stando all'antico mito latino riportato nel Liber fabularum dallo storiografo Igino (II sec. d.C.) Cura eÁ una dea, di genere femminile, che ha la responsabilitaÁ dell'essere umano, cosõÁ come ancora di sesso femminile sono le dee Igea e Panacea, invocate all'inizio del Giuramento di Ippocrate, che sembrano avere un ruolo rilevante per la salute. Come eÁ noto, il Giuramento di Ippocrate costituisce ancora oggi il codice etico che il medico sottoscrive al momento della laurea. Dalle civiltaÁ amerindie, a quelle africane, alle asiatiche, a quel crogiuolo di popolazioni eurasiatiche che fu la Mesopotamia, le testimonianze ci confermano il ruolo della donna come soggetto attivo ed esclusivo, portatore di sollievo, equilibrio, salute e benessere per i suoi congiunti e per le comunitaÁ di cui faceva parte integrante. A titolo di curiositaÁ si puoÁ ricordare che in epoca azteca esistevano donne alle quali era consentita la professione di guaritrice; l'unico limite era che dovevano praticarla in etaÁ matura, dopo la menopausa.3 Tuttavia l'evoluzione storica ha portato la medicina ad essere prevalentemente una attivitaÁ professionale gestita da uomini:4 evoluzione alla quale forse ha contribuito la donna stessa, limitando giaÁ da se stessa il suo raggio d'azione professionale, se nel 1921 in Italia, l'Associazione Donne Medico, che comprendeva circa 200 donne laureate a quell'epoca in Italia, stabiliva testualmente che «... le donne medico, mantenendo la 8 LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta) fatto che, parallelamente all'aumento delle donne medico, molti uomini hanno trovato nel nursing una realizzazione professionale e personale. evidenziandone le diversitaÁ a livello biologico, che fanno sõÁ che la donna pensi in modo diverso dall'uomo, che percepisca ed elabori le informazioni in maniera differente. Grazie alle nuove tecniche di indagine di neuroimmagine, che permettono di determinare con sempre maggior precisione non solo la morfologia, ma anche la funzione, cioeÁ di ``vedere'' il cervello al lavoro, le indicazioni dell'esistenza di un ``cervello maschile'' e un ``cervello femminile'' sono sempre piuÁ numerose e riguardano sia differenze anatomiche, sia differenze cognitive e funzionali. Joseph Laureto, un radiologo dell'UniversitaÁ dell'Indiana specializzato proprio nelle piuÁ avanzate tecniche di neuroimmagine, ha rilevato che gli uomini registrano ed elaborano suoni usando solo una zona della corteccia cerebrale, collocata nell'emisfero sinistro, quello abitualmente associato a funzioni e comportamenti razionali. Le donne al contrario, utilizzano anche l'emisfero destro, attivando quindi una porzione di cervello piuÁ estesa. Quindi, nella donna vi eÁ l'attivazione di entrambi gli emisferi cerebrali in ogni funzione (se parla, se pensa, etc.): da cioÁ consegue che la donna non puoÁ facilmente dissociare il ragionamento logico (prerogativa dell'emisfero sinistro del cervello) dalla sua componente emozionale, mentre l'uomo puoÁ utilizzare il ragionamento logico-formale come alternativa alla elaborazione emozionale. Per quanto riguarda le differenze cognitive nel dettaglio, eÁ stato dimostrato che la donna raggiunge una performance piuÁ efficace nelle abilitaÁ Basi biologiche delle differenze di genere Prima di considerare le ricadute sul piano pastorale di una presenza femminile nella sanitaÁ, ritengo utile fare un accenno ai presupposti scientifici che sono alla base delle caratteristiche della donna, caratteristiche che si evidenziano poi con apporti peculiari anche in ambito professionale. Tra uomo e donna, esistono differenze giaÁ a partire dal cervello. Anzi, il cervello si conferma come una delle parti del corpo umano in cui la diversitaÁ sessuale appare piuÁ accentuata, una diversitaÁ che ± secondo un numero crescente di studiosi ± potrebbe essere la radice biologica delle differenze comportamentali e psicologiche tra uomini e donne, differenze che vengono invece generalmente attribuite a fattori esclusivamente culturali. In realtaÁ, la diversitaÁ tra uomini e donne non eÁ un fattore unicamente sociale, da attribuire soltanto a problematiche culturali, ai ruoli di genere, al pregiudizio. Si tratta di una differenza giaÁ a partire dalla modalitaÁ di pensiero, che, se non adeguatamente compresa, puoÁ diventare un fattore discriminante e un ostacolo oggettivo alla comunicazione tra uomo e donna. Le neuroscienze hanno permesso di chiarire in cosa consistano le differenze tra il cervello maschile e quello femminile, 9 STUDI linguistiche, sia nella ricezione che nella produzione linguistica, nella fluiditaÁ verbale, nell'utilizzo di strategie verbali, nel problem-solving, nella memoria a breve termine. L'uomo invece presenta una notevole abilitaÁ nella analisi dello spazio, nei ragionamenti matematici. Si sottolinea inoltre che la donna eÁ piuÁ abile nella comprensione delle emozioni, dello sguardo, della comunicazione non verbale.7 Traendone le conseguenze nell'ambito professionale, per esempio la donna tende a non prescindere dalla considerazione degli aspetti emozionali della situazione (nella scelta delle opportunitaÁ professionali per esempio) e per questo eÁ portata ad interpretazioni e scelte differenti da un uomo. In sintesi, siamo di fronte a due cervelli molto diversi, uno, quello della donna, che percepisce una maggior quantitaÁ di informazioni a discapito della loro analisi, mentre l'altro, il cervello maschile, ad una piuÁ ridotta acquisizione del numero di informazioni unisce una maggiore analisi delle loro caratteristiche. In altre parole, l'uomo puoÁ decidere seguendo la razionalitaÁ, senza lasciarsi deviare dalle emozioni; la donna ha una maggiore capacitaÁ di intuire le situazioni. Si puoÁ anche supporre che le donne, in quanto incaricate dall'evoluzione a mantenere la coesione sociale e la continuitaÁ intergenerazionale, a comunicare con esseri non parlanti (i propri figli), sviluppino attitudini diverse dall'uomo nella cosiddetta intelligenza emotiva e specificamente nelle capacitaÁ di empatia e di comunicazione non verbale, nella capacitaÁ di prendersi cura, nella disponibilitaÁ al sacrificio per i figli, per la continuitaÁ del gruppo familiare. Occorre peroÁ puntualizzare che proprio l'ambito familiare fa emergere il superamento del luogo comune che vuole la donna in preda all'emotivitaÁ e poco incline alla razionalitaÁ. La forma di conoscenza basata sui sentimenti e sull'esperienza eÁ anzi quella piuÁ antica e consolidata, ed eÁ anche la piuÁ completa. Nell'esperienza morale umana, infatti, il sentimento e il pensiero entrano in gioco come parte di un unico vissuto e la cura materna, che non separa la ragione dal sentimento, ne eÁ un esempio.8 Il ruolo della donna a confronto con il modello medico attuale Si eÁ detto che l'attuale crisi del modello paternalistico della medicina puoÁ essere interpretato anche come la crisi di un modello maschile per eccellenza, connotato cioeÁ da un particolare stile di comunicazione che da sempre ha orientato la relazione medico-paziente, in cui si assegna a quest'ultimo solo il ruolo di passivo fruitore delle osservazioni e delle valutazioni di un decisore attivo. Si eÁ affermato che la maggiore valenza oggi assegnata al legame comunicativo offre grandi possibilitaÁ al medico di sesso femminile, che gode di una congenita potenzialitaÁ relazionale alla quale il medico di sesso maschile faraÁ bene ad ispirarsi per adeguare il proprio stile terapeutico.9 La relazione di cura simbolicamente esprime l'atteggiamento materno: 10 LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta) eÁ un collocarsi in relazione che apre a uno scambio vero e che richiede la disponibilitaÁ ad ascoltare l'altro, ad accogliere cioÁ che la persona malata desidera comunicare, anche a livello non verbale. Spesso eÁ necessario decodificare messaggi che non trovano parole capaci di esprimerli. E di nuovo il riferimento al modello madrebambino eÁ spontaneo: la madre, pur in assenza di parole, sa leggere empaticamente i bisogni del figlio.10 Le risorse personali della femminilitaÁ ± afferma Giovanni Paolo II nella «Mulieris dignitatem» ± non sono certamente minori delle risorse della mascolinitaÁ, ma sono solamente diverse. Cerchiamo allora, anche se in una generalizzazione, di delineare le caratteristiche di questa diversitaÁ, ricordando peroÁ che le caratteristiche biologiche non fanno da sole la persona; sono piuttosto la base sulla quale ogni uomo e ogni donna deve poi realizzare la sua dignitaÁ e la sua vocazione.11 Da quanto si eÁ detto, possiamo delineare quali sono qualitaÁ peculiari della donna: la dedizione, la costanza, una maggiore indipendenza rispetto alle istituzioni, un maggiore coinvolgimento emotivo. Infatti, nella realtaÁ pratica, non solo nella comunicazione, ma anche nei modelli di relazione, maschile e femminile si comportano diversamente. Mentre eÁ tipico del modello maschile un modello tipicamente contrattuale, in cui i comportamenti generalmente discendono dalle norme, nel femminile i rapporti possono essere basati sull'interesse amorevole per l'altro, sull'attenzione e il contatto empatico. EÁ evidente allora che questi elementi fondanti l'identitaÁ di genere femminile: sensibilitaÁ, intuito, capacitaÁ di prendersi cura, di immedesimarsi e di assumersi la responsabilitaÁ dell'altro vengono a coincidere con i requisiti necessari allo svolgimento di una relazione di aiuto. Ma quando veniamo a parlare del lavoro di cura nell'ambito dell'assistenza sanitaria, siamo costretti a notare che ± se pur riconosciamo scientificamente che questo lavoro eÁ indissolubilmente legato anche alle emozioni degli operatori ± non sempre questa connessione eÁ riconosciuta, ne riceve, dentro i servizi, lo spazio necessario alla sua elaborazione. La filosofia di una medicina biofisica forse legata anche alla preponderanza maschile, almeno a livello direttivo ha fatto sõÁ che nelle strutture sociosanitarie, ogni risvolto emotivo legato al lavoro, non sia voluto leggere, oppure venga considerato eccessivo e percepito come un intralcio alla prestazione professionale, poiche connotato come dipendenza allarmante, come incapacitaÁ di distacco e di rigore di setting.12 In tal modo si crea una prospettiva che non vuol quasi fare differenze di stile maschile e femminile nel curare; una prospettiva che sembra quasi annullare le diversitaÁ all'interno del gran mare della professionalitaÁ, fino ad arrivare alla concezione di operatori indistinti, generici, asettici, asessuati e alla fine neutri: macchine operatrici di manutenzione di corpi anonimi, anch'essi asessuati, precocemente degradati, soggetti assistenziali che riflettono e non trattengono emozioni, incapaci di ricevere, suscitare e resuscitare sentimenti e passioni.13 Ma lo ripeto, eÁ 11 STUDI una lettura forzata, non reale, artificiale e destinata ad essere distruttiva per il singolo operatore. Se quindi l'attuale ideologia della cultura sanitaria eÁ caratterizzata dalla svalutazione di questi aspetti di sensibilitaÁ e di emotivitaÁ, mettendo a rischio la «professionalitaÁ» dell'operatore nel suo rapporto con la persona malata, sono molte le operatrici che sentono di doversi adeguare a questa visione «oggettiva» e «scientifica», almeno apparentemente, ritenendo di poter dimostrare, attraverso una prestazione piuÁ tecnica e slegata dall'emotivitaÁ, il raggiungimento della maturitaÁ professionale, cosõÁ come viene proposta dalla cultura maschile. In questo modo, quella che vorrebbe essere una affermazione di paritaÁ ed eguaglianza, risulta invece piuÁ spesso essere una limitazione delle proprie potenzialitaÁ ed un'alienazione rispetto alla propria identitaÁ, e per questo la si ritrova all'origine di contraddizioni profonde e difficili da superare, di cui il burnout puoÁ esserne una espressione esteriore. girebbero nei confronti dell'utenza con comportamenti depersonalizzati. Una ricerca sul burnout femminile e sulla specificitaÁ femminile nel lavoro di cura e di assistenza, ha rilevato fra l'altro che:14 - le donne, di fronte all'insuccesso lavorativo, tendono a cercare le cause in se stesse, moltiplicando gli sforzi nel tentativo di cercare soluzioni adeguate; - gli uomini tendono ad assumere una posizione di maggior distacco, non sentendosi implicati nella propria identitaÁ personale e sono meno introspettivi nella ricerca dei diversi elementi in gioco; - le donne hanno la tendenza a considerarsi responsabili anche degli errori e degli insuccessi non dipendenti soltanto da loro e si impegnano di piuÁ affinche una situazione evolva positivamente, considerando l'unica variabile su cui intervenire, il loro atteggiamento personale; - gli uomini tendono a identificare la causa dell'insuccesso in fattori esterni, non legati al loro impegno personale, indulgendo in un atteggiamento meno critico verso il proprio operato e usando una modalitaÁ difensiva che andraÁ piuÁ nella direzione del distacco emotivo, quando la prospettiva dell'insuccesso puoÁ ridurre l'autostima. Un accenno al burnout permette di far emergere ancora una differenza tra l'uomo e la donna e in particolare per quanto riguarda le modalitaÁ di assunzione di responsabilitaÁ. Le differenze non risiederebbero tanto nel livello globale della sindrome, quanto nelle modalitaÁ di avvertirne gli effetti. In particolare le donne percepirebbero piuÁ intensamente l'esaurimento emotivo, in quanto piuÁ coinvolte emozionalmente degli uomini nelle relazioni con gli utenti, mentre gli uomini con piuÁ facilitaÁ rea- Sempre nello specifico della professione sanitaria, alcune ricerche evidenziano una maggiore disponibilitaÁ al colloquio nella donna medico rispetto al maschio medico, una visione della cura maggiormente centrata sul paziente, una maggiore disponibilitaÁ 12 LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta) al cambiamento, una maggiore capacitaÁ di soddisfazione personale ed esistenziale (15,16). In ambito medico, secondo alcune dirigenti italiane, francesi e svedesi, all'interno delle professioni mediche vi sarebbe una precisa gerarchia di prestigio e potere tra le varie specialitaÁ e le donne avrebbero minori opportunitaÁ di accedere ad alcune specialitaÁ (in primis la chirurgia) a causa della selezione di genere fatta dai professori che sono in maggioranza maschi. Una conferma di queste affermazioni viene dal fatto che il maggior centro ospedaliero universitario di Stoccolma ha sentito la necessitaÁ di avviare un programma di 'mentorship' per garantire pari opportunitaÁ alle donne. nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servituÁ. CioÁ le ha impedito di essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito l'intera umanitaÁ di autentiche ricchezze spirituali. Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilitaÁ, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalitaÁ e istituzioni».18 Con la conseguenza, che aver costruito la propria esperienza lavorativa in ambiti e professioni ritenute ± a mio avviso a torto ± meno importanti costituisce poi una delle principali condizioni di svantaggio per la carriera delle donne. Una concezione che eÁ nata dalla scissione nel tempo dei due poli del «curare» e «del prendersi cura» intesi come in ordine gerarchico, e che si eÁ rivelata discriminante per le donne. Escluse in precedenza dal «curare» medico, alle donne sono state attribuite funzioni che afferiscono al «prendersi cura». I «saperi spontanei» delle donne, il loro contatto storico con il corpo e con la cura, sono cosõÁ diventati attributi «bassi», contro un alto che eÁ tecnica scientifica oggettiva e pura.19 La femminilitaÁ dell'approccio terapeutico richiede che il paziente non debba leggere l'interesse per la sua sofferenza solo come lo studio speculativo di un quesito scientifico ma anche come una preoccupazione che implica la partecipazione umana, il contatto sensibile, la capacitaÁ innanzi tutto di accogliere, recepire e capire il disagio, oltre che di penetrarlo attivamente con indagini mirate. Ma parlare delle differenze uomodonna significa parlare anche di un Ancora, le professioni in cui sono maggiormente presenti donne (medici di base, pediatri, psicologi, infermieri, ostetriche etc.), hanno un limitato potere decisionale. In questo ambito si puoÁ osservare che, almeno fino ad oggi, il valore dato alle diverse professioni eÁ definito dalla cultura, dalle relazioni di potere, dalla gerarchia esistente tra le professioni, che potrebbe essere viziata dalla diversa presenza maschile/femminile e da un rapporto di potere che finora ha favorito gli uomini.17 Giovanni Paolo II descrive con chiarezza tali ostacoli, le discriminazioni avvenute lungo i secoli: «Siamo purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignitaÁ, travisata 13 STUDI ripensamento creativo della medicina stessa. Non certo nel voler porre un'etica femminile al posto di quella maschile, il che costituirebbe una unilateralitaÁ sostituita da un'altra unilateralitaÁ, ma piuttosto una integrazione tra due diversi ideali di rapporto interpersonale: potremmo definire da una parte, la medicina della mano femminile che dovraÁ saper parlare, cosõÁ come dall'altra parte, la medicina della parola maschile dovraÁ imparare ad accarezzare, per ricostruire una comunicazione significativa che possa illuminare migliori decisioni terapeutiche. Questo, anche se a volte nella nostra cultura ogni essere umano sopporta con difficoltaÁ la scoperta di una qualitaÁ di se che tipicamente viene attribuita all'altro sesso. - in tal modo, gli ammalati, da oggetto di ricovero e cura, si trasformano in soggetti della loro esperienza di malattia; - l'azione pastorale deve farsi presente al malato giaÁ al suo primo impatto con l'ospedale: l'incontro con una persona ± operatore professionale o volontario ± che gli si rivela subito accogliente e amica, riduce l'ansia, gli rinnova coraggio e fiducia; - la pastorale si situa a livello di quella umanizzazione delle cure che eÁ alla base di ogni autentico servizio alla persona.21 Una pastorale poi che, almeno nella mia prospettiva, deve trovare nella stessa professione il suo primo ambito di realizzazione. EÁ evidente che la ``professione'' eÁ di fondamentale rilevanza perche eÁ prima di tutto attraverso il lavoro che l'uomo si inserisce nella societaÁ e nella storia. Se la missione della chiesa considera come essenziale a se il compito della trasformazione del mondo e della costruzione di una vita piuÁ degna dell'uomo, senza alcun dubbio prima di tutto essa prende consistenza nel lavoro dei credenti. Anzi, il lavoro va letto come «continuazione dell'opera creatrice di Dio22». Di conseguenza, il lavoro va fatto «come tributo d'amore per Dio, ordinato, puntuale, piuÁ perfetto possibile»23 ± nel raggiungimento della massima efficienza ed efficacia nel servizio da rendere ai fratelli. La pastorale della salute, allora, comincia dall'atteggiamento professionale, ad iniziare dalla competenza. E il primo dovere della professione eÁ la competenza, poiche Riflessi per la pastorale della salute Vediamo ora come questa realtaÁ femminile si possa esplicare nel mondo della pastorale, chiarendo quale ne sia l'ambito e le modalitaÁ di realizzazione. Innanzitutto occorre considerare che l'azione pastorale nell'ambito sanitario deve fondarsi su alcuni presupposti fondamentali: - la malattia e la sofferenza non sono esperienze che riguardano soltanto la componente fisica della persona, ma la persona nella sua interezza e nella sua unitaÁ somato-spiritualeculturale. - l'operatore deve possedere questa visione integralmente umana della malattia, unendo alla competenza tecnico-professionale la coscienza del significato della malattia;20 14 LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta) la missione della Chiesa da questo punto della vista eÁ all'altezza della sua responsabilitaÁ, prima di tutto quando i cristiani sul lavoro rendono effettivamente un efficiente servizio alla societaÁ.24 Questo va detto non perche si tratti solo di fare propaganda al Vangelo attraverso l'esemplaritaÁ professionale dei credenti, ma per ribadire che il sacerdozio dei fedeli a questo livello si attua proprio nell'offerta a Dio della cosa ben fatta, a tal punto che non sono sufficienti la buona moralitaÁ, o la nobiltaÁ delle intenzioni, o la preghiera con cui si accompagna il lavoro, per riscattare dal fallimento l'opera compiuta senza competenza. Naturalmente, la pastorale in questo mondo non passa solo attraverso una professione sanitaria, ma anche attraverso un impegno associativo, o svolgendo una attivitaÁ di volontariato, o collaborando in una cappellania, ma ritengo di dover sottolineare l'ambito professionale come un ambito prioritario, pur notando che tutte queste modalitaÁ non si autoescludono. nima, l'essenza stessa della pastorale, e cioeÁ la caritaÁ: «(...) il fatto eÁ che la donna ha una vocazione totalmente diversa da quella dell'uomo, non sono uguali, sono complementari; quello che ha l'uomo non ha la donna, ma anche quello che ha la donna non ha l'uomo. (...) Che cosa ha la donna di speciale, di caratteristico, come eÁ, per esempio, il sacerdozio per gli uomini? (...) La donna, come dice il Papa nella Mulieris dignitatem, ha due facoltaÁ caratteristiche sue, anche se non esclusivamente sue: sa maggiormente amare, e sa maggiormente patire. E il patire (...) eÁ una condizione per poter amare, perche l'amore costa. (...) Ora, perche sa maggiormente amare, perche sa maggiormente patire, la donna eÁ come un calice che riceve piuÁ facilmente quello che eÁ il dono dei doni ± che, come dice san Paolo, supera tutti i doni ± che eÁ la caritaÁ, la caritaÁ, quella che resteraÁ sempre; che la fede passeraÁ, la speranza passeraÁ, la caritaÁ resteraÁ. Ora la donna eÁ particolarmente capace di essere un contenitore stupendo di quello che eÁ il piuÁ grande dono di Dio: la partecipazione alla vita di Dio stesso che eÁ la caritaÁ».25 Tornando ora allo specifico di questo Convegno, si puoÁ affermare che lo sviluppo di una pastorale nel mondo della salute ± perlomeno di quella parte che riguarda gli operatori professionali ± eÁ forse collegata ad una piuÁ incisiva presenza femminile o meglio, ad una piuÁ incisiva presenza di caratteristiche femminili? Vorrei usare le parole di Chiara Lubich per descrivere come la realtaÁ femminile sia particolarmente atta a trasmettere anche nell'ambito pastorale quella che potremmo definire l'a- Considerando ora lo specifico del mondo sanitario, nel quotidiano assistenziale alcune persone si mettono al servizio di altre persone che vivono una situazione di sofferenza; questo servizio si attua certamente sulla base della competenza professionale, come ricordato sopra, ma passa anche attraverso la personalitaÁ di ogni operatore. Porsi al servizio del malato significa quindi entrare in una rete di 15 STUDI rapporti molto intensi. Si potrebbe dire pertanto che la pastorale eÁ di per se stessa insita nell'assistenza, appunto perche la cura della persona sofferente contiene necessariamente una vicinanza umana che implica una profonda relazione tra persone. EÁ infatti uno spazio terapeutico nel quale entra anche la spiritualitaÁ del paziente e di chi lo cura. Per il paziente questa significa la ricerca di un significato della situazione di vita che sta vivendo, per l'operatore la motivazione principale delle sue azioni. Si sperimenta ad esempio che l'attenzione autentica al malato determina una crescita anche per la persona dell'operatore; nel cuore dell'essere umano vi eÁ una dimensione spirituale che si puoÁ realizzare soltanto attraverso l'apertura e l'interesse per l'altro. EÁ nell'essere per l'altro che si puoÁ accostare il trascendente e si diviene cosõÁ piuÁ umani.26 La prospettiva con cui avvicinare ogni persona si potrebbe riassumere allora con queste parole: «Chi mi sta vicino eÁ stato creato in dono per me ed io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino. Sulla terra tutto eÁ in rapporto d'amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa. Occorre peroÁ vivere l'amore per trovare il filo d'oro fra gli esseri».27 Una relazione nella quale la parola fiducia comprende quel formidabile investimento affettivo capace di generare uno spazio terapeutico fecondissimo, nel quale il curante puoÁ attivare le piuÁ intense risorse di guarigione disponibili nel paziente che gli si affida.28 Una vicinanza che eÁ fatta di autentici contatti fisici, che racchiude den- tro di se una capacitaÁ di accudire l'altro che sembra suggerire un tratto addirittura connaturato alla sensibilitaÁ femminile. Ma ancora, un principio femminile puoÁ costituire una mediazione anche nei confronti di un mondo, quello della sanitaÁ, sempre piuÁ dominato dalla tecnologia, aiutando a recuperare il valore della persona, di tutte le persone, anche di quelle degli operatori. Infatti, si puoÁ aggiungere come questo stesso mondo sanitario sia percorso da tensioni, da contraddizioni, dalla ambivalenza delle azioni umane, cosõÁ che puoÁ diventare un esempio delle divisioni sociali, delle cause che le determinano e delle conseguenze che ne derivano. Se l'assistenza sanitaria ha quale obiettivo fondamentale quello di incontrare un uomo o una donna in modo particolare sulla via del dolore, come si eÁ giaÁ detto, questa stessa assistenza deve significare anche la preoccupazione per una ``dimensione umana e spirituale'' che costituisce addirittura un elemento dell'attivitaÁ terapeutica. Se l'abilitaÁ e le capacitaÁ professionali sono naturalmente il primo requisito, non eÁ sufficiente un freddo, impersonale atteggiamento scientifico per aiutare un paziente che sta vivendo un momento difficile. In primo luogo poiche la semplice professione induce un mestiere mentre, nel caso dell'operatore cristiano, dovremmo piuttosto parlare di una vocazione che porta all'esercizio di un servizio, cioeÁ di un ministero, che la tradizione cristiana chiama anche ``diaconia''. E, in secondo luogo, eÁ estremamente limitativo un atteggia16 LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta) mento scientifico per tentare di comprendere la complessitaÁ del mondo interiore di ogni persona, che va ben oltre gli aspetti biofisici della malattia. La cura di tutta la persona, allora, nelle sue componenti fisiche, psichiche, emotive, sociali, spirituali eÁ indispensabile anche per massimizzare l'effetto della terapia.29 Se si vuole affrontare in maniera sostanziale e integrale l'orizzonte delle richieste del malato e non rispondervi arbitrariamente, l'attenzione alla dimensione spirituale deve costituire un elemento integrativo dell'attivitaÁ medica e dell'azione sociale. Una delle sfumature piuÁ delicate di questa dimensione interpersonale eÁ da una parte la capacitaÁ di sostenere nell'ammalato la preziositaÁ del momento che sta vivendo, dall'altra essere una presenza che eÁ sfondo e calore per valorizzare quelle energie che sempre permangono nella persona. Da questa prospettiva di comunione sgorga un rapporto nuovo: nel momento in cui scopro che la sua fragilitaÁ eÁ anche la mia, come eÁ mia la sua domanda di senso e mia la sua paura della morte, prendo coscienza che nel malato c'eÁ una parte di me e io sono nel malato. Nell'ambito assistenziale, il rapporto terapeutico, per essere efficace, presuppone un rapporto di reciprocitaÁ in cui ciascuna parte ha un contributo da dare: l'operatore la sua competenza, la sua disponibilitaÁ, il paziente i suoi bisogni, ma anche la sua carica di umanitaÁ, la sua esperienza di malattia con i valori che ne ha elaborato. Se leggiamo l'assistenza come l'incontro fra persone, ambedue con i limiti di una comune umanitaÁ, questo rapporto terapeutico puoÁ divenire una relazione, cioeÁ quel dinamismo nel quale, nell'incontro con gli altri, si comprende di piuÁ se stessi, si dona e ci si arricchisce, si accoglie e si eÁ accolti, in una crescita reciproca. Porsi accanto al malato significa mettersi al suo stesso livello, quindi non in posizione di superioritaÁ che puoÁ derivare dalla consapevolezza del mio sapere medico, ma in posizione di imparare dal malato. Se io non entro nella sua soggettivitaÁ, superando il dato strettamente clinico o di laboratorio, non saroÁ efficace come operatore. Devo poter capire il suo vissuto, per dare la risposta che si aspetta. Di fronte al malato terminale, al morente, dal punto di vista scientifico mi scontro con il limite. La scienza non eÁ in grado di darmi risposte, soluzioni. Eppure, anche se da questo punto di vista non c'eÁ piuÁ niente da fare, si puoÁ dire invece che c'eÁ ancora tutto da fare. C'eÁ da condividere l'esperienza che sta facendo questa persona, esperienza in cui ho sempre scoperto dimensioni nuove, profondamente arricchenti. Conclusioni In sintesi, quale eÁ il significato profondo del titolo di questo Convegno? Quali sono le ricadute che se ne auspicano, in modo che quanto eÁ emerso od emergeraÁ in questi giorni non resti limitato ai presenti, ma possa incidere nel mondo della salute, rendendolo sempre piuÁ un ambiente in cui non ci si limita a riconoscere la 17 STUDI sofferenza, ma dove si aiuta ad interpretarla, a darle un senso, ad elaborarla come occasione speciale di crescita personale e comunitaria, nella condivisione di quanti sono accanto a chi soffre? Quale l'apporto specifico della donna e quale consapevolezza eÁ necessaria per noi donne? Citando ancora Chiara Lubich, si avverte l'esigenza che «(...) il mondo, e il mondo femminile, si accorga che esistono queste donne che sanno portare nel mondo l'amore e che eÁ l'amore che le realizza completamente; che non hanno bisogno di copiare l'uomo, ma che sono veramente loro stesse se portano questo grande carisma».30 Del resto, lo stesso Giovanni Paolo II eÁ convinto che «i gravi problemi sul tappeto vedranno, nella politica del futuro, sempre maggiormente coinvolta la donna: tempo libero, qualitaÁ della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanitaÁ e assistenza, ecologia, ecc. Per tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna si riveleraÁ preziosa, perche contribuiraÁ a far esplodere le contraddizioni di una societaÁ organizzata su puri criteri di efficienza e produttivitaÁ e costringeraÁ a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la ``civiltaÁ dell'amore''.31 D'altra parte, parlare di un apporto femminile, non significa antagonismo a quello maschile, poiche eÁ evidente che una competizione negativa tra donna e uomo offende la pari dignitaÁ e il valore delle differenze: si vuole piuttosto ricordare la necessitaÁ di considerare la dignitaÁ e la vocazione che risultano dalla specifica diver- sitaÁ e originalitaÁ dell'uomo e della donna. «La donna eÁ il complemento dell'uomo, come l'uomo eÁ il complemento della donna: donna e uomo sono tra loro complementari. La femminilitaÁ realizza l'umano quanto la mascolinitaÁ, ma con una modulazione diversa e complementare».32 Importante affermazione questa di Giovanni Paolo II, che trova riscontro anche da un punto di vista scientifico, sul piano psicologico. «Psicologicamente, per un individuo, non eÁ possibile avere il ``senso della propria identitaÁ'' se non ci sono altri che lo riconoscono come soggetto. Psicologi di ogni tendenza affermano che gli uomini e le donne hanno bisogno di confermarsi l'un l'altro nel loro essere individuale mediante incontri e contatti genuini. Si ha infatti bisogno di sentirsi e di venire riconosciuti ``diversi'' per poter essere dono agli altri.33 Quindi, il riconoscimento della diversitaÁ eÁ una tappa importante per lo sviluppo della persona, ma non eÁ sufficiente fermarsi a questa consapevolezza, percheÂ, «(...) per essere dono personale bisogna entrare in comunione.... La comunitaÁ cristiana non si forma (...) per motivazioni estrinseche, ma per la natura dell'amore che crea comunione. E che questo sia possibile eÁ un dato di esperienza. Che la motivazione per realizzarla venga dall'invito di GesuÁ ``Amatevi come Io vi ho amati... Siate una cosa sola...'' e sia di natura religiosa eÁ evidente, ma gli effetti psicologici sono straordinari: ciascuno, essendo relazione d'amore agli altri, si realizza di fatto persona autentica».34 18 LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta) a meta-analytic review, JAMA, (2002), 288(6), pp.756-764. 17 SASSI L., op. cit. 18 GIOVANNI Paolo II, Lettera alle Donne, 29 giugno 1995, n. 3 19 SPINSANTI S., Se la cura eÁ di genere femminile, «Prospettive Sociali e Sanitarie» (2002) 9, p. 8. 20 FILIPPI T., I contenuti del mondo della sanitaÁ e le sue espressioni, Atti del Congresso Internazionale «La salute dell'uomo oggi: un equilibrio raggiungibile», Castelgandolfo 30/ 3-1/4/2001. 21 cfr. CASERA D., Malato in AA.VV., Enciclopedia di Pastorale IV volume Servizio ComunitaÁ, Piemme, Casale Monferrato 1993, pp. 56-66. 22 LUBICH C. Il lavoro e l'economia oggi nella visione cristiana. Atti del Convegno, Roma 3/6/1984, pp. 19-20. 23 id. 24 DIANICH. (ed), Dossier sui laici, Queriniana, Brescia 1987, p. 143 25 LUBICH C., Ad un incontro con docenti e studenti, UniversitaÁ di Lublino , 20 giugno 1996 (reg.) 26 CARETTA F., PETRINI M., Accanto al malato. Lineamenti di assistenza sanitaria e pastorale, CittaÁ Nuova, Roma 1999 27 LUBICH C., Scritti spirituali/1, L'attrattiva del tempo moderno, CittaÁ Nuova Roma 1991, p. 134. 28 E. LONGO, Il genere che ascolta, «Janus» (2002), 5, p. 30 29 WATSON A.J., Suffering, loss, grief and care: A journal of professional practice.(198687), 2, pp. 186-187. 30 LUBICH C., Ad un incontro con un gruppo di membri del Movimento dei Focolari, Vienna, 30 giugno 1997 (reg.). 31 GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Donne, 29 giugno 1995, n. 4. 32 id., n. 7 33 LUBICH C., Lezione per la Laurea Honoris Causa in Lettere (Psicologia) a Chiara Lubich, Malta, Nuova UmanitaÁ (1999), 122 (6), pp.188-189. 34 id. Note 1 GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Donne, 4, 29 giugno 1995 2 VINAY P., Presenza femminile e spostamenti di prospettiva nella sanitaÁ. Conferenza Europea «SanitaÁ: quando le donne fanno la differenza», Ancona, 25-26/6/1999. 3 SASSI L., Donne medico: prospettive di pari opportunitaÁ. Commissione permanente per lo studio dei problemi della donna medico e odontoiatra, Federazione Nazionale Ordine dei Medici 4 SPINANTI S., Se la cura eÁ di genere femminile, «Prospettive Sociali e Sanitarie» (2002), 9, pp. 7-8 5 MOQUEO C., Women and doctors in medicine, Lancet 1999 ; 354(Suppl 4):65. Kleinert S., Finale, Lancet (1999), 354(Suppl 4), p. 66. 6 TOUSIJN W., Il sistema delle occupazioni sanitarie, Il Mulino, Bologna 2000 7 LORETO A., PERSEGANI C., PAPESCHI L.L., TRIMARCHI M., Barriers to women's career in Academia: A dialogue between social psychology and policy. International Conference, Perugia, 6/10/2001. 8 D'ADDIO L., Il coraggio della mediazione, «Janus» (2002), 5, p. 25. 9 LONGO E., Il genere che ascolta, «Janus», (2002), 5, p. 30. 10 MANCINI A., In compagnia del morente, «Janus» (2002), 5, p. 32. 11 cfr. GIOVANNI PAOLO II, Mulieris Dignitatem, n. 10. 12 G. BADOLATO, Le donne nelle professioni di aiuto, Borla, Roma 1993. 13 Cfr. G. BRAIDI, Rosa e azzurro per l'anziano non autosufficiente, «Janus» (2002) 5, p. 41. 14 MASLACH C., JACKSON S.E., The role of sex and family variables in burnout, Sex roles (1985) 12, pp.837-851. 15 SELLS J.M., SELLS C.J., Pediatrician and parent: a challenge for female physicians. Pediatrics (1989), 84, p. 355. 16 ROTER D.L., HALL J.A., AOKI Y., Physician gender effects in medical communication: 19 IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE Bettinelli suor Carla 1. L'orizzonte culturale del postmoderno lare, si deve tacere». Quando la razionalitaÁ, totalitaria e assoluta, non eÁ piuÁ monolitica, si incomincia a parlare di «ragioni», piuttosto che di vie della ragione, e di crisi della ragione. Qualcuno continueraÁ l'opera di demolizione fino a giungere al suo «sfondamento», alla sua svalutazione. Allora incomincia a segnare i suoi percorsi il cosiddetto «pensiero debole». Anche in questi ultimi decenni abbiamo assistito ad un cambiamento culturale che non eÁ da poco. EÁ stato realizzato da una corrente di pensiero che, non avendo piuÁ le connotazioni dell'epoca moderna, eÁ stata definita «postmoderno». L'epoca moderna eÁ stata dominata dalla forte razionalitaÁ. Illuministicamente riteneva che la soggettivitaÁ fosse capace di dispiegarsi in un orizzonte di fini di cui possedeva la giusta chiave per leggerli e comprenderli. Poiche il panorama del reale le era dispiegato, ne poteva disporre. Da qui il primato di cioÁ che eÁ pratico sul teoretico-fondativo, sul contemplativo. EÁ nel Novecento, soprattutto nel secondo, che si tende a svalutare la ragione. Il postmoderno limita la razionalitaÁ ad una capacitaÁ di dominio anche scientifico, ma per lo piuÁ tecnico-tecnologico. Sembra sia negato l'accesso all'oltre: l'oltre il dato, l'oltre lo sperimentabile. E sull'oltre non ci si puoÁ pronunciare. Nota eÁ la proposizione 7 del Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein, che eÁ del 1918: «Su cioÁ, di cui non si puoÁ par- 1.1 Il pensiero debole Qui ed ora ne diamo una definizione, ma semplificata. Potrebbe essere cosõÁ formulata: il pensiero debole eÁ il pensiero «senza fondamento»,1 senza una causa, senza un logos, perche l'essere non eÁ. L'essere non eÁ piuÁ da considerare come «la stabilitaÁ nella presenza, l'eternitaÁ». «L'essere piuttosto accade»,2 «forse anche nel senso che cade-presso, che accompagna in quanto caducitaÁ ogni nostra rappresentazione».3 Con lo sfondamento dell'essere, il pensiero non puoÁ che essere debole. Si salva come «pensiero memorativo» grazie alla pietas, «termine che evoca la mortalitaÁ, la finitezza e la caducitaÁ».4 Alla logica, quindi, si sostituisce la retorica, l'estetismo. 20 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli) 1.2 Il problema della differenza fra essere e ente suo fondamento, se nel mondo eÁ posto? Grazie alla categoria della temporalitaÁ viene evidenziato il concetto di storicitaÁ, di finitezza considerata come l'arco di tempo tra la nascita e la morte, di precarietaÁ. Tale problema della differenza fra essere ed ente porteraÁ ad esiti inaspettati anche per lo stesso Heidegger. Il pensiero della differenza sessuale ne eÁ uno. Dal pensiero totalitario e assoluto si giunge al pensiero debole passando dal problema della differenza. In campo ontologico eÁ stato suscitato da Heidegger. Riguarda la differenza fra l'essere e l'ente. L'essere eÁ il fenomeno per eccellenza. EÁ insieme il piuÁ noto perche eÁ implicito in ogni altro concetto, e il piuÁ oscuro perche eÁ impossibile definirlo. Ogni tentativo di definibilitaÁ eÁ causa di vertigini. Abbiamo invece il concetto di questo o di quest'altro, perche eÁ ente, ossia eÁ cioÁ che eÁ o chi eÁ. Chi eÁ l'uomo. Esso eÁ l'ente che si pone la domanda sull'essere, ne ha la comprensione, tuttavia non riesce ad averne il concetto. Esiste in quanto posto nella temporalitaÁ del passato, presente, futuro. E, poiche gettato nel mondo, vi esiste come un continuo tendere verso una realtaÁ che presenta situazioni sempre diverse: per questo eÁ progetto. Continua Heidegger: l'uomo, ente ontologico, eÁ il per cui le cose sono nel mondo. In quanto eÁ il per cui, le cose non sono oggetti indipendenti dal soggetto: essi esistono in funzione del suo progetto e quindi sono ridotti a strumenti. GiaÁ Edith Stein, che eÁ stata collega di Heidegger, gli riconosce la genialitaÁ del concetto di tempo come temporalitaÁ. Gli fa peroÁ notare che il suo Dasein, l'esserci, scorre dal passato al presente per proiettarsi nel futuro senza la corporeitaÁ: perche non ne parla mai. Se ne eÁ privo, come puoÁ entrare in relazione con l'altro e con il mondo, e interagirvi? E qual eÁ il 2. Dalla crisi della razionalitaÁ totalitaria al problema dell'essere coniugato al maschile e al femminile In questa «temperie» di crisi e di privazioni «ha fatto irruzione il pensiero femminile o pensiero della differenza sessuale, cioeÁ un sapere nuovo, un parlare diverso, una riflessione in precario equilibrio tra un dire e un detto, tra parola e silenzio».5 Prima che venisse espresso con spirito teoretico, eÁ stato preceduto da studi sulla donna. Un poco generalizzando, parecchie studiose fanno partire gli studi delle donne sulle donne, women's studies, dagli anni sessanta del secolo scorso. In modo documentato direi che iniziano qualche decennio prima: senza clamore, ma con coraggio. E. Stein ne eÁ un esempio. GiaÁ nel 1928, in Germania, tiene conferenze sulla donna e anche sull'uomo. Sa di inoltrarsi in territori sconosciuti. Non si spaventa e fa il tentativo di aprire vie nuove. Avanza nelle esplorazioni perche eÁ ben equipaggiata: ha personalitaÁ, dall'educa21 STUDI zione avuta in famiglia ha acquisito l'importanza dei valori, possiede un'ampia e articolata cultura, ha affinato la capacitaÁ intuitiva, agisce solo se sollecitata da impulsi interiori, ha ritrovato la fede nel Dio unico che, nello Spirito, si manifesta nel Figlio GesuÁ, ed eÁ professionalmente impegnata come docente. Nell'articolo Problemi dell'educazione della donna del 1932 afferma di aver studiato attentamente gli scritti del Movimento femminile tedesco nato in ambienti non cattolici. E vi riporta un documento del Partito Conservatore Prussiano (Gottinga 1884): «Ogni donna impara realmente solo dall'uomo che la ama, e impara soltanto cioÁ e quanto l'uomo amato si compiace di donarle con il suo amore. La regola eÁ che le ragazze si sposino, e ricevano la loro formazione nel matrimonio; ma anche le sorelle, le figlie, le infermiere, possono diventare qualcosa per opera dei fratelli, dei padri, degli ammalati e degli anziani, se prestano servizio a questi uomini con cuore affettuoso». Sferzante ne eÁ il commento: nella dichiarazione «risuona qualcosa di quei testi scritturistici su cui si fonda quel briciolo di veritaÁ che qui si nasconde (cioeÁ che la donna eÁ chiamata ad essere aiuto dell'uomo). Ma prescindendo da questo principio, tali asserzioni appaiono una parodia grottesca, piccolo-borghese, della concezione veterotestamentaria. Quanto eÁ differente il quadro della mulier fortis (Pr 31,1031)».6 Per capire e comprendere la donna, e comprendersi come donna, occorre anzitutto chiedersi come l'esse- re umano si declina in essere maschile e femminile. Leggiamo la realtaÁ umana, quella di ogni giorno: eÁ, e si presenta differenziata in individui, in esseri corporei viventi. A differenza delle altre realtaÁ materiali, comprese quelle che godono di sensibilitaÁ e movimenti adeguati alla propria natura, l'individuo eÁ essere corporeo vivente e pensante. Con il pensiero va oltre il tempo e lo spazio in cui vive e si trova. EÁ percioÁ capace di azioni che sono espressioni di una dimensione altra. Chiamiamo questa dimensione altra anima o spirito e, poiche nella realtaÁ la persona che vediamo, avviciniamo, amiamo eÁ una, inferiamo che essa eÁ la medesima realtaÁ grazie alla quale la persona umana vive, eÁ cosciente, ha un determinato corpo con quel determinato colore degli occhi, dei capelli, ... . Nella persona umana «chi ha l'essere eÁ l'anima, che partecipa il suo essere al composto, all'uomo».7 Da tale prospettiva antropologica consegue che la differenziazione spirituale eÁ prioritaria rispetto alla differenziazione di genere o sessuale. La differenza maschile e femminile, quindi, non puoÁ essere considerata un accidens, qualcosa di aggiunto: eÁ essa che determina la specificitaÁ maschile e la specificitaÁ femminile. Le quali emergono anche dal modo di pensare, per cui possiamo parlare di pensiero femminile oltre che di pensiero maschile. Ossia: il pensiero non eÁ neutro. 22 IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli) 2.1. Il pensiero femminile della donna educarlo a vivere non solo cioÁ che eÁ oggettivo, ma anche a sentire cioÁ che eÁ personale, e ad avere una visione d'insieme della realtaÁ. Potrebbe essere cosõÁ definito: eÁ «pensiero pensato da donne che fanno del loro essere donne il punto di partenza della loro esperienza pratica e teoretica».8 EÁ il cuore, sostiene E. Stein, che caratterizza l'essere donna. Sentire la vita, accoglierla, coltivarla, svilupparla in modo armonioso in ogni sua dimensione eÁ la sua specificitaÁ. Questo centro vitale, propulsore determina atteggiamenti teoretici e pratici. In Ethos della professione femminile scrive: «Il modo naturale di conoscere [della donna] non eÁ tanto l'analizzare concettualmente quanto l'intuire, il sentire, l'essere orientato verso cioÁ che eÁ concreto».9 Proprio per questo la donna eÁ interessata a cioÁ che eÁ vivo e personale e al tutto. Non volge, invece, la sua attenzione alla cosa, intesa come cioÁ che non ha vita. Quando se ne interessa, lo fa perche eÁ utile alla vita e alla persona. «CioÁ che eÁ vivo e personale, oggetto delle sue cure, eÁ un tutto concreto. Che deve essere tutelato e sviluppato nella sua completezza: non una parte a danno delle altre, non lo spirito a danno del corpo e viceversa, e neppure una facoltaÁ dell'anima a danno delle altre. La donna non sopporta cioÁ ne in se ne negli altri».10 L'uomo, invece, ha un'impostazione mentale capace di astrazione e analiticitaÁ. PiuÁ della donna eÁ portato a dominare il mondo e a plasmarlo. EÁ questo un motivo per cui «si dedica immediatamente alle sue cose», ed eÁ «tutto preso dalle sue cose».11 Proprio percheÂ, a causa dell'analiticitaÁ ha visioni un poco unilaterali, eÁ compito 2.2. Pensare con il cuore In `Essere finito e essere eterno', l'opera metafisica della Stein nella quale fa sapere ad Heidegger che l'essere eterno eÁ il fondamento dell'essere precario dell'io che ad ogni istante eÁ esposto al nulla, molto significativa eÁ l'espressione pensare con il cuore. Un pensare, che dovrebbe essere della donna e dell'uomo. Infatti viene spiegato in questo modo: nel cuore, in cui l'io eÁ veramente di casa, «i contenuti assorbiti dal di fuori e penetrati non rimangono solo come patrimonio della memoria, ma si possono trasformare in carne ed ossa. Possono cosõÁ diventare fonte di forza, che eÁ dispensatrice di vita».12 Cuore pensiero ± vita: eÁ una correlazione vista e colta da sguardo femminile. Continua la Stein: siccome ogni individuo, nella sua irrepetibilitaÁ, ha caratteristiche proprie, e in ogni essere umano, in grado diverso, sono inscritti gli elementi maschile e femminile, lungo il cammino storico e nella quotidianitaÁ possiamo incontrare donne particolarmente dotate di capacitaÁ di astrazione, progettazione, realizzazione. 2.3. La complementaritaÁ di essere maschile e essere femminile Le differenze spirituali e di genere, cioeÁ essere uomo e essere donna, ses23 STUDI suati, creano le condizioni dell'essere l'uno per l'altra e viceversa, capaci di comunione di vita e di amore cosõÁ da poter vivere in pienezza la comune radice umana. Al cambiamento culturale, cui orienta la relazionalitaÁ inscritta nelle disposizioni della complementaritaÁ e reciprocitaÁ, si giunge se il soggetto «io» non guarda se in modo narcisistico, esce dal solipsismo in cui nell'epoca moderna l'ha rinchiuso il Cogito cartesiano, e non si ritiene piuÁ autoreferenziale. ComplementaritaÁ e reciprocitaÁ richiedono relazioni duali: che il soggetto «io» s'apra all'«io» dell'altro soggetto cosõÁ che l'altro/a diventi per me un «tu» in modo da costituire, insieme, il «noi». Se condizioni della complementaritaÁ sono le differenziazioni spirituali e sessuali, l'empatia in quanto esperienza dell'esperienza dell'altro/a e il reciproco aiuto contribuiscono a viverla in pienezza per quanto eÁ possibile. Tutto cioÁ eÁ un dato di natura e di cultura, avallato dall'esperienza di vita almeno fino ad oggi e dalla Bibbia che, come ha scritto e detto piuÁ volte ad alta voce Carlo Maria Martini, eÁ il libro del futuro. Di «aiuto che gli sia simile» parla la Scrittura. Al riguardo interessante, e meritevole di approfondimenti, eÁ il n. 7 della Lettera alle donne di Giovanni Paolo II. EÁ del 1995, ed eÁ stata stilata in occasione della IV Conferenza Mondiale sulla Donna voluta dall'ONU. Interpretando Gn 2,18: «Non eÁ bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile», scrive: «Nella creazione della donna eÁ inscritto, dunque, sin dall'inizio il principio dell'aiuto: aiuto si badi bene non unilaterale, ma reciproco. La donna eÁ il complemento dell'uomo, come l'uomo eÁ il complemento della donna: donna e uomo sono tra loro complementari. La femminilitaÁ realizza l'`umano' quanto la mascolinitaÁ, ma con una modulazione diversa e complementare. Quando la Genesi parla di aiuto, non si riferisce soltanto all'ambito dell'agire, ma anche a quello dell'essere. FemminilitaÁ e mascolinitaÁ sono tra loro complementari non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. EÁ soltanto grazie alla dualitaÁ del `maschile' e del `femminile` che l'`umano` si realizza appieno».13 Ma, eÁ sempre Giovanni Paolo II che lo dice: per «un'adeguata ermeneutica dell'uomo, ossia di cioÁ che eÁ `umano', eÁ necessario ricorrere a cioÁ che eÁ `femminile'».14 3. Il genio femminile Con la Mulieris dignitatem nel nostro linguaggio eÁ entrata l'espressione «genio femminile». Giovanni Paolo II ne parla ai nn. 30 e 31. La connotazione di «genio», al n. 30, eÁ in riferimento alla sensibilitaÁ della donna. «Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere un grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all'emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale puoÁ comportare anche una graduale scomparsa della sensibilitaÁ per 24 IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli) l'uomo, per cioÁ che eÁ essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel «genio» della donna che assicuri la sensibilitaÁ per l'uomo in ogni circostanza: per il fatto che eÁ uomo!». Al n. 31, eÁ presentato nella sfaccettatura della santitaÁ, i cui frutti hanno alimentato la storia dei popoli, della nazioni e della Chiesa. Nella giaÁ citata Lettera alle donne eÁ considerato nella «dimensione socioetica, che investe le relazioni umane e i valori dello spirito» (n. 9). La maternitaÁ affettiva, culturale e spirituale, che si irradia nel campo dell'educazione a favore dello sviluppo della persona e del futuro della societaÁ, nel mondo della salute, soprattutto nei Paesi piuÁ poveri, puoÁ assumere la connotazione di martirio: per la testimonianza di disponibilitaÁ che richiede. Anche alcune pensatrici, quali Etty Hillesum, Hannah Arendt, Maria Zambrano, oltre a Edith Stein giaÁ piuÁ volte citata, prendono in considerazione il sentire e il pensare femminile. Il sentire eÁ «lo spazio che si apre al fondo di ogni evento e che coinvolge le forze oscure dell'essere e dell'io, e insieme cioÁ che non siamo, l'altro da noi».15 Maria Zambrano diraÁ che il sentire la vita si incarna nella profonditaÁ dell'essere, che eÁ fisicocorporeo-spirituale, ed eÁ chiamata viscere, cuore. Sfogliando il diario della Hillesum, impressiona la luce riposante del suo pensare che promana da una delle sue pagine. Eppure la realtaÁ eÁ quella del buio pesto del lager. «In me non c'eÁ un poeta, in me c'eÁ un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia [...]. Di notte, mentre ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e rigiravano donne e ragazze che dicevano cosõÁ spesso durante il giorno: «non vogliamo pensare», «non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze», a volte provavo un'infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti, le fin troppe impressioni di un giorno fin troppo lungo, e pensavo: «Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca». Ora voglio esserlo un'altra volta. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento. Sono coricata qui con tanta pazienza e di nuovo calma e giaÁ mi sento assai meglio».16 EÁ una pagina che suscita emozioni, ed eÁ molto indicativa: quando la donna si mette in ascolto per sentire le esperienze e i vissuti suoi, degli altri, del mondo e li accoglie in se pensando con il cuore, sta bene. Si sente meglio, perche realizza la sua femminilitaÁ di compagna, sposa, madre, che eÁ apertura alla vita, accoglienza della stessa per donarla, dopo averla coltivata in seÂ, alla vita stessa, che eÁ storia, futuro, trascendenza. Nella donna anche il vedere avviene con il cuore. La sottolineatura eÁ di Giovanni Paolo II. Ed eÁ un vedere che capta la bellezza. Scrive il papa: «Lei ... forse ancor piuÁ dell'uomo vede l'uomo, perche lo vede con il cuore. Lo vede indipendentemente dai vari sistemi ideologici e politici. Lo 25 STUDI vede nella sua grandezza e nei suoi limiti, e cerca di venirgli incontro e di essergli di aiuto. In questo modo, si realizza nella storia dell'umanitaÁ il fondamentale disegno del Creatore e viene alla luce incessantemente, nella varietaÁ delle vocazioni, la bellezza non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale che Dio ha elargito sin dall'inizio alla creatura umana e specialmente alla donna».17 Per quanto riguarda il pensare femminile, che ho presentato poco fa, completo con una suggestiva riflessione della Arendt. EÁ carica di veritaÁ e di coraggio. Dice: «Ho una metafora che non ho mai pubblicato, ma conservo per me stessa, la chiamo pensare senza ringhiera. Si va su e giuÁ per le scale, si eÁ sempre trattenuti dalla ringhiera, cosõÁ non si puoÁ cadere. Ma noi abbiamo perduto la ringhiera. Questo mi sono detta. Ed eÁ quello che cerco di fare».18 4. La valorizzazione del genio femminile, oggi na dal piuÁ alto destino dell'umano che sarebbe riservato invece alla virilitaÁ».19 Insieme con l'uomo la donna, che eÁ grembo dell'umanitaÁ, eÁ chiamata a portare anche la responsabilitaÁ di tutto quanto eÁ relativo all'essere umano: casa, lavoro, polis, economia, sviluppo e ambiente, etica, pace e religione. Per conseguire questa meta, va posta in condizione di acquisire consapevolezza di chi eÁ. Anche nel confronto con il chi eÁ dell'uomo. Da qui l'importanza di accostare tematiche di antropologia culturale, filosofica, teologica di impostazione duale, in cui sia messa in evidenza, oltre a quanto giaÁ detto, la radice unitaria di sentimento, intelletto e religione. In tal modo il sentire della donna, illuminato dal pensare, diverraÁ un saper sentire, che si radica nell'humus del vitale, delle esperienze di vita compresa la vita di fede , si affina all'ascolto della propria interioritaÁ in cui abita Dio, e della voce degli altri, e si orienta con l'intuitivitaÁ alle cose e al mondo. Per renderlo piuÁ umano e piuÁ vivibile. Una premessa: ogni persona, sia maschio sia femmina, di ogni fascia d'etaÁ e in ogni condizione di vita, di cultura, di lavoro, va rispettata nella sua dignitaÁ piuÁ che per il ruolo che ricopre. La seconda, la traggo dalla Prefazione di E. Levinas al libro Le Matriarche di C. Chalier. EÁ necessaria la valorizzazione del femminile: a patto peroÁ che non lo si voglia «racchiudere in una condizione che, per quanto degna sia, separerebbe ancora la don- Della soggettivitaÁ femminile, forse, ho evidenziato piuÁ l'aspetto teoretico rispetto a quello che «oggi» viviamo. Pur essendo convinta che il teoretico penetri, attraversi, plasmi la quotidianitaÁ, eÁ bene leggere la donna nell'ottica dell'attualitaÁ: per contribuire al necessario cambiamento culturale. Al di laÁ di tante affermazioni di principio, si constata che la societaÁ in cui viviamo ha tuttora un'impostazione modellata su schemi fissati dagli uomini lungo i secoli. EÁ forse, questa, 26 IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli) una delle cause per cui alcune donne tendono ad uniformarsi a certi modelli maschili compromettendo il percorso della ricchezza e pienezza della complementaritaÁ e reciprocitaÁ. Per giunta ritengono che il processo di omologazione sia espressione di emancipazione. Come una certa fascia di uomini, sgomitano per fare carriera oppure vivono come fine il lavoro, di cui obiettivamente non possiamo fare a meno, salvo poi a ritrovarsi lacerate dentro percheÂ, avendoli posti come obiettivi prioritari, hanno disatteso il senso della persona propria e altrui, della famiglia, della comunitaÁ. In forza della loro capacitaÁ intuitiva che va al concreto, le donne devono percorrere sentieri in cui l'attenzione alla persona, alle comunitaÁ, e l'esplicitazione e realizzazione delle proprie potenzialitaÁ nel mondo del lavoro possano incontrarsi: senza faticosi slalom e frustranti mortificazioni. Per conseguire questa meta, non devono stancarsi di educare quegli uomini che hanno una rigida mentalitaÁ maschilista. E, insieme, di operare per la modifica delle impalcature della societaÁ. Anche le comunitaÁ cristiane talvolta appaiono come societaÁ. E lo sono, quando in esse la condizione della donna conosce «il disagio e la fatica di esprimersi».20 E che dire del modo con cui eÁ vissuta la sessualitaÁ? Oltre ad essere ordinata all'altro/a e, come abbiamo visto, al «tutto-uno», eÁ proiettata verso cieli nuovi e terra nuova in una particolare dimensione «spirituale»: dove risorgeraÁ «un corpo spirituale», come insegna Paolo nella 1Cor, 15,44. Forse, tante persone la vivono cosõÁ. E le tante altre che la subiscono come schiavituÁ? La tratta delle donne e l'abuso dei minori ne sono una denuncia. Concludo con le riflessioni di alcune donne di «Via Dogana». Fanno sapere che anzitutto «bisogna accettare la nostra reciproca asimmetria ... . Noi donne lo sappiamo fare, gli uomini stanno imparando ... Abbiamo spostato l'attenzione da noi, dal bisogno di essere viste ci auguriamo anche dall'essere viste come oggetti nei mezzi di comunicazione [inciso della relatrice] , alla qualitaÁ politica di cioÁ che proponiamo ... Quello che va cambiato nel rapporto con gli uomini eÁ il modo di stare di fronte a loro e di collocarsi nel contesto: non essere seduttive e ingannevoli, ne ideologiche ... Nel proporre i nostri progetti non poniamo l'accento solo sul vantaggio economico, ma sulla valenza pubblica e sociale. Avviene cosõÁ uno spostamento. La loro consapevolezza viene richiamata a qualcosa di piuÁ importante e vantaggioso del denaro. Li invitiamo a riflettere, li facciamo sentire partecipi e responsabili del grande cambiamento in corso nella societaÁ ... Questo cammino eÁ difficile ma eÁ anche affascinante. Preferisco pensarmi, pensarci in un processo di modifica fluido e ininterrotto».21 Preferisco pensarmi, pensarci in contemplazione del progetto di Dio: per realizzarlo. 27 STUDI 13 Giovanni Paolo II interpreta il termine biblico «aiuto» anche nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem (n. 7), che eÁ del 1988. A parere di chi sta tenendo la relazione se nella Mulieris dignitatem la prospettiva eÁ per lo piuÁ etica, nella Lettera alle donne il termine eÁ visto anche nella sua pregnanza ontologica. PercioÁ piuÁ in sintonia con quanto si sta dicendo. 14 cf GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem, cit., n. 22. 15 L. BOELLA, Cuori pensanti, Edizioni Tre Lune, Mantova 1998, pp.93-94. 16 E. HILLESUM, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 2000, p. 230. 17 GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle donne, cit., n. 12. 18 H. ARENDT, Political Thinking without a Bannister, ed. By M. Hill, New York 1979, p. 336. 19 C. CHALIER, Le Matriarche, Giuntina, Firenze 2002, p. 16. 20 P. BIGNARDI, Una presenza di pace e di maternitaÁ evangelica, in «L'Osservatore Romano», 2 ottobre 2002, p. 6. 21 Rivista di Pratica Politica, Mantova, n. 56/57, 09.01, pp. 11-13. Note 1 G. VATTIMO, Le avventure della differenza, Garzanti, Milano 1980, sez. V. 2 G. VATTIMO, Dialettica, differenza, pensiero debole, in Il pensiero debole, a cura di G. Vattimo e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 1995, p. 19. 3 Ivi, p. 23. 4 Ivi, pp. 22/23. 5 F. BREZZI, Esplorazione di nuovi territori, in AA. VV., Il filo(sofare) di Arianna, a cura di A. Ales Bello e F. Brezzi, Mimesis, Milano 2001, p. 179. 6 E. STEIN, La donna, CittaÁ Nuova, Roma 1999, pp. 174-175. 7 S. VANNI Rovighi, Uomo e natura. Appunti per una antropologia filosofica, Vita e Pensiero, Milano 1980, p. 174. 8 F. BREZZI, Esplorazione di nuovi territori, in AA. VV., Il filo(sofare) di Arianna, op. cit., p. 180. 9 E. STEIN, La donna, op. cit., p. 52. 10 Ibidem. 11 Ibidem. 12 E. STEIN, Essere finito e essere eterno, CittaÁ Nuova, Roma 1988, p. 452. Seguendo una gloriosa tradizione, un gran numero di persone consacrate, soprattutto donne, esercitano il loro apostolato negli ambienti sanitari, secondo il carisma del loro istituto. Molte, lungo i secoli, sono state le persone consacrate che hanno consacrato la loro vita nel servizio alle vittime di malattie contagiose, mostrando che la dedizione fino all'eroismo appartiene all'indole profetica della vita consacrata. (Vita Consecrata, 83) 28 INTERMEZZO N on eÁ solo la storia a indicare l'importanza del ruolo femminile nell'accompagnamento dei morenti. La capacitaÁ femminile di decodificare i messaggi drammatici, complessi, a volte muti che provengono da chi muore, appartiene all'esperienza del quotidiano ed eÁ resa possibile proprio dalla consuetudine con quel linguaggio delle emozioni che la cultura corrente vorrebbe relegare tra i segni di debolezza. Nell'assistenza di chi sta per morire giocano un ruolo essenziale la sfera dei sentimenti e il linguaggio del corpo. Con la prima le donne entrano nella storia dell'altro camminano con lui. Con il linguaggio del corpo, attraversato dall'amore, le donne sono in grado di aiutare il morente a ritrovare la sua identitaÁ, la sua dimensione umana. Donne che accudiscono il corpo, lo puliscono, lo lavano, lo accarezzano, lo vestono. Sono immagini familiari, che tutti portiamo dentro, di dolcezza e di forza. Madri, sorelle, mogli che spendono se stesse anche per anni, sostenendo costi fisici e psicologici altissimi. Non si arrendono, mentre sono proprio gli uomini, frequentemente, a gettare la spugna di fronte al progredire della malattia e all'interruzione di ogni terapia. (da: «Janus») 29 P A S T O R A L E UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA SULLA SUA PRESENZA NEL MONDO DELLA SALUTE Il 15 febbraio 2003, il vescovo di Brescia, Mons. Giulio Sanguineti, nel Pontificale per la solennitaÁ dei Santi Faustino e Giovita, patroni della cittaÁ e della diocesi, sceglie come tema dell'omelia, alcune preoccupazioni sulla situazione della sanitaÁ e della pastorale della salute. L'intervento del vescovo ha suscitato varie reazioni. Ne pubblichiamo due, sottolineando la validitaÁ di questo scambio di punti di vista su una problematica tanto importante quale quella dell'assistenza dei malati e della promozione della salute. I COMUNITAÁ ECCLESIALE E PASTORALE DELLA SALUTE Sua Ecc. Mons. Giulio Sanguineti (...) La nostra Chiesa Diocesana si eÁ posta in un impegnativo cammino in questi anni, che troveraÁ una sua tappa significativa nel Convegno Ecclesiale del prossimo maggio. Mi Auguro che vivremo un'esperienza profonda di Chiesa che intende non conformarsi alla mentalitaÁ di questo secolo, ma trasformarsi, rinnovando il proprio modo di pensare, per poter discernere la volontaÁ di Dio (Cf Rm 12,2), e intraprendere i cammini che lo Spirito di Cristo ci chiama a percorrere nel prossimo avvenire. E mentre come Chiesa affrettiamo il passo verso il futuro, rivolgiamo lo sguardo alla comunitaÁ civile bresciana, lei pure incamminata nella nostra stessa pagina di storia. Mentre siamo affiancati in questo itinerario comune di popolo che condivide e costruisce la casa comune, la nostra Brescia, facciamo, oggi per un poco sosta alla fonte della grazia. Ed eÁ l'occasione, questa, per rinfrancarci e, per me, per fare il punto su qualche aspetto del tragitto percorso. Intendo percioÁ parteciparvi alcune delle mie preoccupazioni e osservazioni sulla condizione dei malati e sofferenti nella nostra Brescia; sulla situazione della sanitaÁ, e sulla pastorale che, come Chiesa, dedichiamo alla promozione e difesa della salute. Sono pensieri resi in me ancora piuÁ vivi dal contatto frequente con i fede30 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA li ammalati o «sani» che incontro, durante la visita pastorale in corso, nelle parrocchie come negli ospedali. Proprio ai sofferenti rivolgo ora innanzitutto il mio pensiero affettuoso, a pochi giorni dalla Giornata mondiale a loro dedicata, nella memoria, lo scorso 11 febbraio, della Beata Vergine di Lourdes. A Maria, alla sua materna intercessione desidero nuovamente affidarvi. La Chiesa infatti non rincorre anime, bensõÁ si prende cura della persona umana, si rivolge a tutte le persone e a tutta la persona, nella sua completezza ed inscindibile unitaÁ di corpo e di spirito; e si qualifica per il valore fondamentale che riconosce alla vita umana, dono di Dio. L'esempio e il comando le eÁ venuto dal suo stesso fondatore, GesuÁ Cristo, che ha dedicato spazio considerevole agli infermi. A qualcuno, meno addentro alla realtaÁ ecclesiale o abituato a pensare una Chiesa che si occupi solo di anime, potraÁ forse apparire strano che qui si parli di salute e di sanitaÁ, ma in realtaÁ non si tratta di un tema accessorio. La Chiesa si eÁ sempre occupata degli infermi e dei sofferenti e non, si badi bene, per atto di supplenza ad uno Stato latitante, situazione che sarebbe oggi in gran parte superata, ma perche le eÁ proprio, perche fa parte della sua missione di sempre. Come dice il nostro papa: «Di fatto, la Chiesa nel corso dei secoli ha fortemente avvertito il servizio ai malati e sofferenti come parte integrante della sua missione e non solo ha favorito fra i cristiani il fiorire delle varie opere di misericordia, ma ha pure espresso dal suo seno molte istituzioni religiose con la specifica finalitaÁ di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l'assistenza agli infermi. I missionari, per parte loro, nel condurre l'opera dell'evangelizzazione, hanno costantemente associato la predicazione della Buona Novella con l'assistenza e la cura dei malati» (GIOVANNI PAOLO II, Dolentium Hominum, 1). Che cosa rimane, infatti, dei vangeli, se ne togliamo i malati? Circa una quinta parte dei quattro vangeli eÁ dedicata all'attivitaÁ di GesuÁ in loro favore ed alle discussioni generate dalle guarigioni che Egli opera. Il Cristo si china sui dolori e sulle sofferenze dell'umanitaÁ indipendentemente dai meriti morali o sociali degli ammalati che incontra sulla sua strada. Egli ferma il suo cammino per un lebbroso di cui nessuno si preoccupa, per un'emorroissa che nessuno ha saputo curare, per un paralitico che vive di caritaÁ ai margini delle strade. L'umanitaÁ nuova che eÁ venuto ad annunciare ed iniziare nel nome del Padre con la potenza dello Spirito non si realizza senza prendersi cura degli ultimi e, tra di essi, un posto privilegiato hanno gli ammalati. Essi ne devono fare parte! La comunitaÁ dei discepoli che Cristo riunisce non si costituisce pienamente senza prendersi cura di loro, della loro presenza. Questa sua attivitaÁ di salvatore nei confronti dei sofferenti, non era determinata da una scelta tra tante possibili, ma dall'impegno irrinunciabile di compiere una precisa mis31 PASTORALE sione affidatagli da Dio, Padre «ricco di misericordia» che nel suo disegno di salvezza in favore di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, privilegia i suoi figli piuÁ bisognosi di aiuto. Alla Chiesa che continua la Sua opera messianica nella storia, il Signore GesuÁ affida questo medesimo compito, comandando giaÁ ai suoi primi inviati «alle pecore perdute della casa di Israele»: «quando entrerete in una cittaÁ e vi accoglieranno, (...) curate i malati che vi si trovano, e dite loro: si eÁ avvicinato a voi il regno di Dio» (Lc 10, 8). PiuÁ tardi ai suoi diraÁ: «ero malato, e mi avete assistito» (Mt 25, 36), affermando che Egli si identifica con il sofferente e conclude la parabola del Buon Samaritano con l'invito: «va e anche tu fa lo stesso» (Lc 10, 37). parlare della presenza capillare di prevenzione e cura attraverso le comunitaÁ cristiane. A questa presenza nel mondo della malattia e della salute la Chiesa attribuisce un valore e un significato molto alto: si tratta della continuazione dell'opera stessa di Cristo. Essa non puoÁ venire meno: eÁ questione di fede. La cultura del prendersi cura degli ammalati eÁ entrata nella mentalitaÁ civile. Per la stragrande maggioranza dei casi eÁ la comunitaÁ sociale, almeno in Europa, che si fa carico di offrire assistenza sanitaria ai cittadini. Non ci si puoÁ che rallegrare di una tale evoluzione positiva, e c'eÁ da augurarsi che la nostra cultura sappia custodire anche in futuro questo prezioso tesoro, continuando a riconoscere la responsabilitaÁ della comunitaÁ nella cura della salute dei cittadini, senza cedere alla tentazione di improvvide fughe verso forme estreme di privatizzazione, quali si auspicano a volte da parte di alcuni, i quali paiono aver eretto a principio etico assoluto quello di pagare meno tasse e contestano la necessitaÁ di un intervento della comunitaÁ sociale nella tutela della salute, che sarebbe da affidare piuttosto al gioco della domanda e dell'offerta proprio del «libero mercato», e cosõÁ caldeggiano forme di assicurazione sanitaria privata sostitutive della responsabilitaÁ pubblica. Il rischio, che si evidenzia anche in esperienze di altre nazioni, eÁ quello di andare verso una doppia sanitaÁ, una per chi puoÁ pagare e una, ben diversa, per i poveri. La salute non eÁ un fatto privato! Si E la Chiesa, a partire da GesuÁ, proprio questo ha fatto. CosõÁ ha introdotto nel mondo una nuova cultura: quella di prendersi cura dei bisognosi. Essa, quindi, «non solo ha favorito fra i cristiani il fiorire delle varie opere di misericordia, ma ha pure espresso dal suo seno molte istituzioni religiose con la specifica finalitaÁ di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l'assistenza agli infermi» (GIOVANNI PAOLO II, Dolentium Hominum, 1), chiamando tutti alla solidarietaÁ verso i fratelli sofferenti. Ancor oggi la Chiesa Cattolica, con gli oltre 114.000 Centri di assistenza che nel mondo ad essa fanno riferimento, di cui oltre 6.000 ospedali e 17.000 Centri ambulatoriali rappresenta nel suo insieme il primo fornitore di salute al mondo. Per non 32 UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA costruisce nella comunitaÁ, nelle relazioni e con le relazioni! Il pur buon obiettivo di abbassare il peso fiscale, non puoÁ essere perseguito al prezzo della de-responsabilizzazione dai nostri doveri verso la comunitaÁ: siamo interpellati dal bisogno dell'altro! Ma sarebbe troppo poco, cari fratelli e sorelle, se come cristiani ci limitassimo ad indicare i problemi, senza dare un nostro contributo alla loro soluzione. Non eÁ questa la tradizione della nostra Chiesa Locale. La Chiesa che eÁ in Brescia ha attuato nei secoli una doverosa presenza vicino alla persona malata: nelle parrocchie, innanzitutto, quindi attraverso la presenza dei religiosi negli ospedali e la fondazione di ospedali da parte di Istituti religiosi, sostenuta dalla generositaÁ encomiabile dei cittadini e dei cristiani che non hanno mai fatto mancare i mezzi necessari all'accoglienza e alla cura di chi era nel bisogno, e sorretta da un rapporto di collaborazione con l'autoritaÁ civile solido, anche se dialettico. L'origine stessa e la storia dell'Ospedale Civile ne eÁ una testimonianza luminosa, di cui i bresciani vanno a ragione orgogliosi. Ancor oggi, in veritaÁ, molti cristiani contribuiscono a vario titolo a far crescere questa sensibilitaÁ con la loro presenza, sia professionale sia di volontariato, accanto a chi soffre. Anche attraverso alcuni ordini e congregazioni religiose, case di cura ed ospedali la nostra Chiesa continua a realizzare la sua presenza accanto al bisognoso di cura non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Giova ricordare che i problemi di bilancio, hanno condotto anche a forti riforme di gestione della sanitaÁ nel nostro Paese, che hanno portato a trasformare i servizi sanitari in aziende e all'applicazione di un tariffario delle prestazioni. Ancora una volta, non si puoÁ che essere contenti dell'intenzione e dello sforzo che la nostra sanitaÁ ha compiuto e sta compiendo per contenere sprechi e spese inutili ed aumentare in efficienza, ma altra cosa eÁ avere attenzione al ridimensionamento degli sprechi ed altra cosa eÁ fare degli obiettivi di bilancio il primo criterio di buon funzionamento di una struttura sanitaria. La Chiesa non puoÁ non mettere in guardia dai pericoli di un sistema sanitario che si costruisca mettendo al centro l'attivo economico, anziche la persona malata. Una tale impostazione eÁ radicalmente fuorviante e disumanizzante: giaÁ se ne intravedono gli effetti perversi sulla pelle dei cittadini. L'auspicio e l'ammonizione che io rivolgo a tutta la comunitaÁ sociale, ed a chi dentro di essa ha un ruolo di responsabilitaÁ, eÁ quella ad un impegno inderogabile ad introdurre gli indispensabili correttivi. Eppure qualcosa della nostra antica e diffusa sensibilitaÁ sembra essersi raffreddato. Per un certo periodo la presenza della Chiesa accanto ai sofferenti eÁ stata esercitata soprattutto attraverso la delega ad alcuni specialisti del settore, quali sono i cari 33 PASTORALE Cappellani ospedalieri, gli operatori sanitari cattolici, gli Ordini e Congregazioni religiose. Questa stessa delega ha forse favorito una minore attenzione della comunitaÁ ecclesiale nel suo insieme verso il mondo della salute. divengano ancor piuÁ attente e meglio accoglienti dei sofferenti che in esse si trovano. Oggi eÁ dunque necessario recuperare un maggiore coinvolgimento ed un maggior protagonismo di tutta la comunitaÁ cristiana e di tutte le comunitaÁ cristiane al riguardo; a maggior ragione tenendo presente che la custodia e la cura della salute sembrano destinate a spostarsi sempre piuÁ dall'ospedale al territorio. Rischiamo altrimenti, come comunitaÁ ecclesiale, di mancare di fedeltaÁ all'obbligante esempio di Cristo di non disgiungere annuncio del Vangelo e cura dei malati, e di perdere il contatto con esperienze umane fondamentali come sono la realtaÁ della malattia e della morte, contribuendo ad una cultura che giaÁ oggi tende a rimuoverle e finisce per appiattirsi sulla vita presente, che si vorrebbe indefinitamente prolungata, offuscando lo sguardo sulla speranza della vita futura: l'unica dove la salute si puoÁ raggiungere nella sua pienezza. EÁ «specialmente quando si eÁ in presenza di tragiche esperienze umane», ricorda infatti il papa, che «il cristiano eÁ chiamato a testimoniare la consolante veritaÁ del Cristo risorto, che assume le piaghe e i mali dell'umanitaÁ, compresa la morte, e li converte in occasioni di grazia e di vita» (GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata mondiale dell'ammalato 2003, n 3). Proprio per aiutare questo necessario recupero, la nostra Diocesi si sta dando un organico Progetto di pastorale della salute. CioÁ ha comportato alcune conseguenze che sembrano rendere piuÁ difficile continuare una presenza cristiana significativa nell'ambito della salute. Ne accenno alcune: a) La diminuzione delle vocazioni rende sempre piuÁ difficile continuare le opere consegnateci dal passato, (Cf GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata mondiale dell'ammalato 2003, n 2) ed esige di ripensare il futuro. b) Le necessitaÁ economiche della moderna sanitaÁ, trovano ormai difficoltaÁ ad essere coperte dal contributo pubblico. Molti ospedali religiosi sono costretti a chiudere o si interrogano sulla loro possibilitaÁ di continuare in un'opera cosõÁ meritoria, mentre fanno fatica a trovare oggi la medesima generositaÁ e solidarietaÁ dei credenti che ne permise in passato, con fatica e sacrifici, la creazione e il sostegno, col rischio che tanto patrimonio di fede, di cultura e di opere della nostra Chiesa Bresciana vada disperso: e questo a danno di tutti, non solo di coloro che si riconoscono nella fede cattolica. c) La famiglia, rispetto al passato molto ridotta di membri, ed in mutate condizioni di vita, fa piuÁ fatica a farsi carico da sola del proprio caro infermo e invoca che le nostre parrocchie, per quanto eÁ loro possibile, 34 UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA Care comunitaÁ cristiane, dobbiamo riscoprire che questo sanante compito ci appartiene. Non piuÁ pensare che la vicinanza ai malati sia compito solo del sacerdote, che sia Cappellano in ospedale o che sia parroco. Tornare a sentire come «nostre» e da non lasciare sole le Istituzioni sanitarie cattoliche. la vita umana fragile. Rendiamoci conto di cosa avviene troppo spesso nei nostri ospedali, in violazione del valore fondamentale della vita. Anche nella nostra Brescia, come in altre parti del mondo, come ha ricordato ancora recentemente il nostro papa, «sembra oggi profilarsi un modello di societaÁ in cui dominano i potenti, emarginando e persino eliminando i deboli: penso qui ai bambini non nati, vittime indifese dell'aborto; agli anziani ed ai malati incurabili, talora oggetto di eutanasia; ed ai tanti altri esseri umani messi ai margini dal consumismo e dal materialismo. (...) Un simile modello di societaÁ eÁ improntato alla cultura della morte ed eÁ percioÁ in contrasto col messaggio evangelico (Esort. post-sinodale Ecclesia in America, 63). Di fronte a tale preoccupante realtaÁ, come non porre tra le prioritaÁ pastorali la difesa della cultura della vita? EÁ urgente compito dei cattolici, che operano nel campo medico-sanitario, fare il possibile per difendere la vita quando maggiormente eÁ in pericolo, agendo con una coscienza rettamente formata secondo la dottrina della Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata mondiale dell'ammalato 2003, n 2). Anche io, per il dovere che mi impone il mio ministero di Vescovo, ripropongo a tutti i credenti fra le prioritaÁ pastorali la difesa della cultura della vita! A coloro che giaÁ sono direttamente impegnati nella pastorale della salute dico invece: che eÁ necessaria una maggiore coordinazione tra le varie strutture di ispirazione cattolica. Non eÁ piuÁ tempo di camminare soli, anche se si ha alle spalle una tradizione lunga e gloriosa. Solo nel camminare insieme, nel coordinamento, si apre oggi la strada per rendere piuÁ efficacemente presente la caritaÁ di Cristo nel mondo della sanitaÁ: diventa sempre di piuÁ una necessitaÁ. EÁ un invito che rivolgo alle Istituzioni sanitarie cattoliche, ma eÁ un invito che rivolgo con altrettanta forza anche ai singoli operatori della salute cristiani: medici, infermieri, tecnici, amministratori, e naturalmente religiosi e sacerdoti. Come singoli siamo destinati a restare vittime senza voce di una cultura che per certi aspetti contraddice lo spirito evangelico e mina il valore intangibile della vita umana. Oggi piuÁ che mai, eÁ opportuno trovare forme di unione ed associazione per ridivenire consapevoli del ricco patrimonio di cultura della nostra tradizione e per recuperare la forza di azioni comuni. Cari fratelli e sorelle, il nostro impegno come cristiani e come uomini di buona volontaÁ, sarebbe nulla se non fosse sostenuto dalla presenza L'appello piuÁ accorato, lo rivolgo a tutti a prendersi a cuore la difesa del35 PASTORALE dello Spirito di Cristo. Dunque affidiamoci alla preghiera. Preghiamo che GesuÁ salvatore guarisca i nostri occhi e illumini tutti: fedeli, cittadini, amministratori della cosa pubblica e personalitaÁ politiche nella ricerca dei modi migliori di prendersi cura con prontezza ed efficacia dei bisognosi di cura. Soprattutto mi affido alla preghiera insistita di voi stessi, cari fratelli sofferenti, nei quali riconosco la presenza del Signore. A Lui ci affidiamo, in Lui operiamo. II RISPOSTA AL VESCOVO Dott. Giovanni Zaninetta, Responsabile dell'Hospice per malati terminali «Domus Salutis» Membro della Consulta Diocesana di Pastorale della salute Dobbiamo essere grati al nostro Vescovo per l'attenzione che ha dedicato alla sanitaÁ durante l'omelia in occasione della festa dei SS Faustino e Giovita: le sue parole sono una sollecitazione forte per la comunitaÁ civile e per quella cristiana, ma lo sono particolarmente per gli operatori sanitari che nella comunitaÁ ecclesiale si riconoscono. che gli operatori sono in grado di compiere da soli, la comunitaÁ cristiana deve sostenerli con l'appoggio della preghiera e della riflessione sull'importanza della tutela della salute dentro la societaÁ, ma anche con la vigilanza, perche essi non deviino dal retto cammino, come recenti e dolorosi fatti di cronaca sembrerebbero dimostrare. Il primo richiamo, non scontato, eÁ volto all'attenzione costante alla cura del corpo che si incontra nella predicazione e nelle opere di GesuÁ. Questo pone gli operatori sanitari in una particolare collocazione nel mondo: per loro non si tratta solo di rispondere ad una ordinaria sollecitazione lavorativa ma di sforzarsi di incarnare, nel quotidiano, l'esplicita preoccupazione di GesuÁ di sanare, o almeno di curare, i corpi, per entrare piuÁ efficacemente in contatto con lo spirito. Non si tratta peroÁ di un compito Le parole del Vescovo passano peroÁ rapidamente alla dimensione sociale della salute, riaffermando con decisione la necessitaÁ che la sanitaÁ rimanga sotto la responsabilitaÁ pubblica, sia pure con l'ampia collaborazione del privato, senza peroÁ abdicare alla tentazione di creare di fatto due sistemi sanitari, uno di qualitaÁ per i tutelati (o gli assicurati) ed uno di sussistenza per gli altri; ugualmente efficace eÁ il richiamo alle finalitaÁ del sistema sanitario: esso eÁ nato per curare i malati non per risparmiare denaro, pur nel36 UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA l'evidente necessitaÁ e dovere di evitare gli sprechi. zazioni private profit e non profit, nello stesso tempo rendono necessarie strutture di dimensioni e caratteristiche tecnologiche e scientifiche poco compatibili con quelle religiose attualmente operanti. Quali dunque le prospettive? Da un lato certamente non si deve lasciare niente di intentato perche le risorse esistenti possano cooperare e, se eÁ il caso, confluire in strutture sovralocali, regionali o nazionali per fornire in maniera coordinata ed economicamente sostenibile un servizio che la Chiesa italiana ha storicamente offerto alla comunitaÁ civile. Dall'altro si puoÁ forse iniziare un percorso di riflessione sul progressivo esaurimento del ruolo profetico della comunitaÁ nella realizzazione di un servizio sanitario universale, riaffermando la necessitaÁ di vigilare sul suo mantenimento e sulla sua qualitaÁ, senza necessariamente continuare ad intervenire operativamente. Il Vescovo analizza poi con acutezza la situazione delle istituzioni sanitarie cattoliche a livello italiano e locale, ponendo in luce i fattori critici e suggerendo delle soluzioni: non si puoÁ che convenire sugli uni e sugli altri, aggiungendo qualche nota a margine. EÁ purtroppo indiscutibile il ridursi, in alcuni casi drammatico, delle vocazioni religiose che avevano contribuito in molti casi al nascere e prosperare di istituzioni sanitarie cattoliche: proprio questa eÁ una delle cause, anche se non certo l'unica, della difficoltaÁ di mantenere operative strutture peraltro meritorie e di alta qualitaÁ, purtroppo nella sostanziale indifferenza della comunitaÁ cristiana. CioÁ non eÁ tuttavia sorprendente se consideriamo il cambiamento culturale avvenuto nell'ultimo mezzo secolo, in buona parte sollecitato proprio dallo stimolo di cristiani, di ritenere la tutela della salute un compito dello Stato e delle Regioni e non piuÁ dei singoli, delle famiglie e dei gruppi sociali, neppure della comunitaÁ cristiana che, di conseguenza, ha scelto e con successo, di dedicarsi alla cura della marginalitaÁ e dell'emarginazione, facendosi carico di aspetti piuÁ sociali che sanitari. Il principio della competenza dello Stato e delle Regioni in materia di salute rimane oggi assolutamente valido, ma si scontra con risorse economiche calanti e con scelte che, se privilegiano piuÁ di un tempo le organiz- Si apre peroÁ, a mio giudizio, un'altra prospettiva che puoÁ recuperare proprio l'aspetto profetico della Chiesa nel campo della salute. Il richiamo di Mons. Sanguineti eÁ preciso: le famiglie faticano a far fronte all'assistenza domestica dei malati cronici e si rivolgono per un aiuto anche, e soprattutto, alle comunitaÁ parrocchiali; contemporaneamente, le scelte sanitarie a livello centrale si orientano sempre piuÁ verso il territorio. Da queste due considerazioni puoÁ nascere un nuovo campo di intervento, meno tecnologico, ma non meno tecnico, con minor investimento di capitali finanziari, ma con grande investi37 PASTORALE Chiesa diocesana potrebbe farsi carico di un primo stimolo e di uno schema operativo di massima da cui partire. In ultimo il richiamo del Vescovo alla difesa della vita ci deve sollecitare ad un atteggiamento che definirei «preventivo»: non dobbiamo solo difenderla ma dobbiamo propugnarla, cercando di creare le condizioni perche essa sia valorizzata e sostenuta in particolare nella fragilitaÁ estrema, quando non eÁ ancora venuta alla luce e quando vive gli ultimi giorni, non solo attraverso i richiami sui principi, certo necessari, ma soprattutto con le iniziative concrete che offrano cure sollecite sia sul piano sociale (pensiamo al sostegno alla maternitaÁ difficile ed alle famiglie dei malati cronici soprattutto in fase terminale) sia sul piano piuÁ specificamente sanitario (le cure palliative). In conclusione non possiamo che rinnovare la gratitudine al nostro Vescovo per le sue parole ed invitarlo a mantenere vigile la Chiesa diocesana su questi temi perche Cristo quando ritorneraÁ possa dire «ero malato, e mi avete assistito» (Mt 25,36). mento di risorse umane rivolto proprio al territorio, alle cure domiciliari che saranno verosimilmente uno dei traguardi del prossimo decennio. Questa dimensione assistenziale richiede una particolare attenzione ed una particolare cura perche non si realizza all'interno di una struttura predefinita ma dentro la casa di chi soffre, a fianco delle sue persone care, che possono collaborare e sentirsi coinvolte, recuperando pienamente la relazione umana e spirituale. Essa non potraÁ venire affrontata con modalitaÁ estemporanee o esclusivamente volontaristiche ma dovraÁ trovare sbocchi strutturati, esattamente come in un momento storico differente si diede vita ad ospedali e a case di riposo, attraverso la creazione di eÂquipe di servizio che offrano cure domiciliari di qualitaÁ, senza finalitaÁ speculative ma con una giusta remunerazione, ma, soprattutto, con il valore aggiunto di una vera motivazione di caritaÁ, di ascolto, di condivisione. Questo compito puoÁ dunque rappresentare uno stimolo nuovo e fecondo per le nostre comunitaÁ: la 38 UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA III QUALE FUTURO PER LA SANITAÁ CATTOLICA A BRESCIA? NOTE IN MARGINE ALL'OMELIA DEL VESCOVO Don Carlo Bresciani Professore di teologia morale, Seminario di Brescia servizio sanitario universale, riaffermando la necessitaÁ di vigilare sul suo mantenimento e sulla sua qualitaÁ, senza necessariamente continuare ad intervenire operativamente». Questo sia per le difficoltaÁ obiettive degli istituti religiosi attualmente operanti negli ospedali e nelle cliniche cattoliche, sia per la presente necessitaÁ di «strutture di dimensioni e caratteristiche tecnologiche e scientificamente poco compatibili con quelle religiose attualmente operanti». Zaninetta propone, quindi, in risposta ad un bisogno sottolineato dal Vescovo stesso, di sviluppare un altro aspetto profetico della Chiesa nel campo della salute: «la creazione di eÂquipe di servizio che offrano cure domiciliari di qualitaÁ» in grado di rispondere alle esigenze di assistenza ai malati cronici che si rivolgono anche alle parrocchie per un aiuto. Un campo «meno tecnologico, ma non meno tecnico», che richiederebbe minor investimento di capitali finanziari, ma grande investimento di risorse umane sul territorio. Che di questo ci sia necessitaÁ, poco dubbio. Che questo risponda a bisogni molto diffusi sul territorio, altrettanto fuori dubbio. Gli sviluppi dell'attuale prassi sanitaria portano a ritenere che questo sia un campo nel Il commento di Giovanni Zaninetta all'omelia del Vescovo Mons. Giulio Sanguineti sulla sanitaÁ a Brescia, pronunciata nel giorno dei SS. Faustino e Giovita, ne focalizza molto bene alcuni aspetti importanti e coglie, mi pare, il senso di quell'intervento. Il Vescovo chiede che la comunitaÁ cristiana (non solo gli ordini religiosi che conducono ospedali o cliniche in Brescia) si renda piuÁ attenta a partecipe alle esigenze della cura del malato nella attuale situazione dell'evoluzione della sanitaÁ a Brescia e in Lombardia. Al centro della sua riflessione sta l'atteggiamento di GesuÁ verso i malati che ci invita ad agire perche il malato venga riconosciuto come parte ineliminabile della comunitaÁ cristiana. Sullo sfondo dell'intervento del Vescovo sta il progetto di pastorale sanitaria che la diocesi si eÁ data e che viene progressivamente portato ad attuazione. Un aspetto dell'intervento di Zaninetta, tuttavia, mi pare meriti qualche riflessione in piuÁ in quanto di non secondaria importanza per gli sviluppi futuri della presenza cristiana nella sanitaÁ bresciana. Egli accenna alla necessitaÁ di «iniziare un percorso di riflessione sul progressivo esaurimento del ruolo profetico della comunitaÁ [cristiana] nella realizzazione di un 39 PASTORALE quale la comunitaÁ cristiana possa dare molto nel prossimo futuro. Detto questo, si deve percioÁ considerare esaurito da parte della comunitaÁ cristiana l'impegno in campo piuÁ decisamente tecnologico e scientifico a servizio della salute? EÁ superata l'esigenza di continuare ad impegnare risorse (umane ed economiche) per mantenere gli ospedali e le case di cura ad un livello in grado di offrire servizi di eccellenza anche nella terapia delle malattie acute? Zaninetta evidentemente non sostiene questo, ma per la necessaria brevitaÁ con la quale affronta l'argomento potrebbe portare qualcuno a considerare quasi scontato che tale impegno sia poco compatibile con le strutture religiose attualmente operanti. Su questo aspetto, consapevoli delle complesse difficoltaÁ esistenti, bisognerebbe che come comunitaÁ cristiana ci ponessimo qualche domanda piuÁ puntuale. Se comprendo bene, cioÁ eÁ parte di quanto il Vescovo aveva intenzione di provocare ponendo il tema all'attenzione della coscienza credente. EÁ giunto il momento che la comunitaÁ cristiana e gli ordini religiosi si ritirino in una specie di zona residuale nel campo della salute (bencheÂ, sia chiaro, di tutto rispetto e dignitaÁ), lasciando allo Stato e alle Regioni la sanitaÁ `di punta' e limitandosi alla vigilanza sulla qualitaÁ del servizio offerto? Resta certamente indubbio, e il Vescovo lo riconosce in modo esplicito, il grande merito dei cristiani che lavorano nelle strutture pubbliche della sanitaÁ, ma oggi dobbiamo chiederci se sia esaurito il senso e il valore della presenza di strutture esplicitamente cattoliche che si impegnino a tradurre nella pratica le convinzioni di una sanitaÁ fedele all'uomo integrale secondo la prospettiva evangelica? Se gli ordini religiosi sembrano non avere piuÁ le forze, umane ed economiche, per sostenere le esigenze dell'attuale sviluppo nel campo della cura della salute, la comunitaÁ cristiana, i laici cristiani, non hanno nulla da dire e da fare oltre alla constatazione che coloro che li hanno rappresentati finora nel campo della cura del malato non hanno piuÁ le forze sufficienti? Se i singoli ordini religiosi da soli non sono piuÁ in grado di mettere in campo strutture all'altezza delle attuali esigenze e sufficienti risorse umane ed economiche allo scopo, eÁ impensabile cercare di attuare quella collaborazione tra le diverse strutture sanitarie cattoliche cui fa accenno anche il Vescovo alla fine della sua omelia? Quali contributi puoÁ dare il laicato cattolico per ovviare eventualmente in qualche modo a tale denunciata carenza di risorse? Oppure il laicato cattolico ritiene superato l'impegno nella promozione e nel sostegno di strutture, anche per acuti, che esprimano la sensibilitaÁ e la preoccupazione `cattolica' per il malato, promovendo anche la ricerca in campi tecnologicamente avanzati della sanitaÁ? Si ritiene che questi siano campi da lasciare solo al settore `profit' e allo Stato, limitandosi alla vigilanza e alla critica quando le cose non vanno come si vorrebbe? Si tratta solo di alcune domande, 40 UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA formazione di quella mentalitaÁ e sensibilitaÁ nei confronti del malato e della cura della malattia che ci ha caratterizzato. Non necessariamente dobbiamo conservare il passato cosõÁ come ci eÁ stato consegnato, ma sarebbe un grave errore disperdere, per mancanza di attenzione, quei valori che con tanta fatica e sacrificio sono stati tradotti in autentiche opere di caritaÁ cristiana e di cui la Chiesa bresciana, ben a ragione, deve sentirsi orgogliosa. ma credo molto attuali e di tutto rilievo, che devono far riflettere la nostra Chiesa bresciana nel suo insieme. Il Vescovo sembra averle percepite con chiarezza, per questo ha scelto un'occasione cosõÁ solenne per porle davanti alla nostra coscienza credente. Sarebbe un grave errore lasciarle cadere nel silenzio. La nostra tradizione bresciana ci ha consegnato un patrimonio enorme di sanitaÁ `cattolica', da cui eÁ dipesa la Nell'attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura amorevole verso i malati, la comunitaÁ ecclesiale eÁ coinvolta in tutte le sue componenti. Il Concilio Vaticano II raccomanda ai vescovi di circondare `di una caritaÁ paterna gli ammalati' (CD, 30); ai sacerdoti di avere `cura dei malati e dei moribondi, visitandoli e confortandoli nel Signore' (PO, 6); ai religiosi di esercitare `al massimo grado' il ministero della riconciliazione in loro favore e di mantenere la fedeltaÁ al carisma della misericordia verso gli ammalati (cf. PC, 10); ai laici di praticare `la misericordia verso i poveri e gli infermi', ricordando che la caritaÁ cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo loro aiuto. (La pastorale della salute nella Chiesa Italiana, 23) 41 UNA DIALISI DIFFICILE Dialogo pastorale Ornella Scaramuzzi Informazioni M.G. sessantenne, agente di commercio, eÁ in dialisi da due anni. Divorziato da 12 anni, non ha mai accettato la rottura del nucleo familiare piuÁ che l'assenza della moglie. GiaÁ anni fa, racconta, fu preso per i capelli in una situazione improvvisa di rischio cardiaco per cui fu sottoposto con urgenza a intervento per diversi by-pass. Ha cercato di rifarsi una vita affettiva con una compagna ma dopo alcuni anni anche questa storia si eÁ banalmente conclusa e ne eÁ fortemente deluso per cui dice: «Non credo piuÁ a niente!». Per lui il lavoro eÁ un punto di forza perche in esso si realizza, eÁ apprezzato e puoÁ incontrare gente sia pure in un rapporto di ruolo. Sente il bisogno di mantenere questa maschera di stabilitaÁ e di efficienza per cui, nel posto di lavoro, nessuno conosce la sua storia di dializzato. Infatti vi si reca non in orari di ufficio e in un centro poco frequentato che gli assicura l'anonimato. L'incontro avviene per caso in una calda giornata di metaÁ luglio. Poiche ci conosciamo da molti anni, circa venticinque, si apre alla confidenza e noto che ha un estremo bisogno di parlare per rompere il silenzio diffidente che ha come cliche con gli altri. COLLOQUIO O1 M1 - Dove se ne va quest'estate? Da nessuna parte. Sa ... (con un po' di esitazione) io non posso. Sono due anni che faccio dialisi e nessuno lo sa al lavoro, perche sorgerebbero problemi. Invece io ci vado in orari non di lavoro e in un centro privato; ma adesso sono stanco, proprio stanco di O2 questa storia (EÁ arrabbiato e angosciato fino alle lacrime. I suoi occhi infatti si inumidiscono appena e la voce si fa cupa). Non l'ho accettata all'inizio e non l'accetto ancora questa macchina. EÁ un rapporto di odio e amore, un legame insopprimibile ma non sempre piacevole. 42 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 UNA DIALISI DIFFICILI (O. Scaramuzzi) M2 O3 M3 O4 M4 SõÁ mi sento prigioniero, messo alla sbarra, del tutto condizionato, legato le tre volte alla settimana che ci vado (mi stupisco della sua foga). EÁ proprio arrabbiato per questa limitazione periodica alla sua libertaÁ d'azione, al punto da non voler sentire parlare di vacanze. (Riesco a comprendere la sua angustia e cerco lievemente di aprirgli qualche prospettiva) Eppure sa che ci sono centri attrezzati da questo punto di vista ormai diffusi in qualsiasi regione. Non si eÁ fatto nemmeno un'idea? Si, ho un fratello a M., il piuÁ grande di noi, che mi vorrebbe lõÁ per una vacanza (So infatti che non gli manca la comprensione dei numerosi fratelli e sorelle. Nella famiglia d'origine infatti avevano ricevuto un'impronta educativa cristiana, forte, amorevole e solidale da parte soprattutto della madre, per cui tutti i figli sono venuti su bene). Ottima idea! Da prendere in considerazione. Anzi in quella cittaÁ c'eÁ un mio amico cappellano dell'ospedale; potrebbe conoscerlo e averne aiuto per non sentirsi sperduto e senza compagnia (Sto provando a infondergli una sana fiducia per rimuovere la sua inerzia rinunciataria). EÁ una persona molto valida umanamente e spiritualmente e potrei darle il nome se lo desidera. SõÁ ... ma sono io che non voglio. A che serve! (Capisco che sta proprio giuÁ psicologicamente e moralmente e allora annuisco e resto O5 M5 O6 M6 43 ad ascoltarlo). Forse i miei guai sono iniziati dalla separazione 12 anni fa. ChissaÁ se eÁ vero che queste cose ti fanno ammalare! Eppure fino ad allora ero stato sempre bene. Mia madre diceva che ero una pellaccia fortissima e mio fratello, quando mi ha invitato, diceva che noi in famiglia ci pieghiamo ma non ci spezziamo. Ma io sono ridotto cosõÁ e sento che non ho piuÁ voglia di lottare. Non le sembra di vedere alcun senso positivo in cioÁ che le accade. Mi dispiace. Che senso ha vivere cosõÁ? (Sgrana gli occhi in cerca di ragionevolezza in cioÁ che sta vivendo) SõÁ, ho il lavoro ma se non hai accanto la famiglia, nel senso dei figli ... Mio figlio piccolo viene solo quando ha bisogno di soldi. La grande si vede un po' di piuÁ, ma solo un po'. Dunque sono solo e la casa eÁ vuota. Non le sembra di avere giustificazioni per lottare e prospettive di valore. Infatti la sua famiglia di origine cosõÁ unita e forte le rimanda un'immagine contrastante con il suo vivere di oggi. Eppure eÁ proprio lõÁ la sua forza. Aveva ragione sua madre a dire di lei che eÁ una pellaccia. Ed eÁ piuÁ vero oggi che allora, perche quando si sta bene eÁ facile affermare che si eÁ forti. Ma eÁ proprio quando si sperimenta la sofferenza quotidiana che lo si puoÁ verificare. (Mi guarda attento, soppesando la cosa) Forse eÁ cosõÁ, peroÁ sento la stanchezza della solitudine, sento colpo su colpo: sono pro- PASTORALE O7 M7 O8 M8 O9 prio troppe queste sofferenze (aggiunge con un sorriso lieve e amaro). La forza di carattere, con cui possiamo lottare, non ci impedisce, purtroppo, di provare dolore: siamo esseri umani! Per questo fa bene parlarne. Sa, mi deve credere, (dice angosciato) a volte entro in chiesa, guardo il Crocifisso e dico: «Possibile che ti ho fatto tanto male che quelle spine e quei chiodi li hai messi tutti su di me?» Si sente abbandonato anche da Lui, ora che eÁ prigioniero della macchina e ha poco conforto dalla famiglia e dagli amici. Gli amici poi a volte sono malevoli e meschini quando ti sanno malato; ed io mi chiudo ancora di piuÁ. Il mito sociale dell'efficienza impedisce ad alcune persone di essere un po' piuÁ umane, di consoffrire, di fermarsi ad aiutare. Vedo comunque che lei ha cercato conforto in Dio. Forse restiamo meno delusi se, dopo il giusto lamento, cominciamo a pregare con fiducia, lodando Dio che eÁ comunque presente nel dolore, M9 O10 M10 O11 anche se il suo silenzio urta il bisogno che abbiamo di risposte immediate. (Vedo che mi ascolta attento e continuo con coraggio, senza paura di fargli una predica ma per trasmettergli la mia convinzione) A volte farGli spazio senza domandare nulla per seÂ, aiuta a trovarLo e a ritrovare anche il senso di cioÁ che nella vita inevitabilmente infrange i nostri sogni ma ci trasforma anche in persone piuÁ forti, che lottano anche nella debolezza. Forse eÁ anche per questo che ne ho voluto parlare con lei. La ringrazio della fiducia. Sa, ha ragione suo fratello di M. sull'essere capaci di piegarsi. Essere come canne al vento della vita, significa proprio essere duttili ai cambiamenti inaspettati e lottare senza spezzarsi. Forse vale la pena che lei vada da lui. Stare in altri luoghi e con persone che ci vogliono bene, puoÁ contribuire a ridare la carica e a ricuperare le risorse personali sopite. Grazie. Ci penseroÁ. (Sorride) Arrivederci. Arrivederci e buon viaggio! ANALISI Riflessione psicologica solo), soprattutto per l'assenza dei figli. La famiglia infatti, valore in cui credeva (M5) eÁ venuta meno, cosõÁ come la nuova situazione affettiva con la compagna. La malattia lo rende prigioniero e L'uomo vive una fase di solitudine e di amarezza non solo dovute alla malattia e alla dialisi ma anche alla situazione familiare (divorziato, vive da 44 UNA DIALISI DIFFICILI (O. Scaramuzzi) dipendente (M1 ed M2), mentre la solitudine del suo vivere lo spinge verso un continuo autocontrollo: dunque la situazione gli sfugge e questo eÁ insopportabile. Riflette che forse il suo vissuto non accettato puoÁ aver causato la malattia (M4). Analisi di me stessa come aiutante Ho cercato di ascoltarlo e di mettere in luce i vari punti della sua sofferenza (malattia, dialisi come prigionia, solitudine, assenza dei figli e degli amici, senso di colpa e lontananza da Dio). Ho poi cercato di sostenerlo attraverso i valori in cui crede (senso coesivo della famiglia di origine, lavoro, affetto dei fratelli che si preoccupano di lui, capacitaÁ di resistere alle difficoltaÁ della vita (O6 - O10). Ho tentato inoltre di muoverlo alla fiducia in un Dio di amore, presente sempre, ancor piuÁ nella sofferenza (O9) e di avviarlo all'azione suggerendogli di osare il viaggio estivo dal fratello, dove si sente a casa. Riflessione sociologica Si aggrappa al lavoro, fonte di attivitaÁ vitale per lui, per dare ritmo alla giornata e come occasione di incontro con gli altri ma sempre a livello di ruolo, perche in realtaÁ eÁ deluso dall'autenticitaÁ dell'amicizia e sfugge i rapporti umani, temendo un'ipotetica malevolenza nei suoi riguardi e l'emarginazione se mettesse gli amici a conoscenza della sua malattia (M4). Risultato: eÁ sempre piuÁ solo. Prospettive pastorali La solitudine eÁ un punto su cui lavorare ancora, perche M. la possa accettare cogliendone gli aspetti positivi. Aprirlo alla fiducia negli altri e in Dio inoltre, puoÁ toglierlo alla chiusura depressiva in cui sta soccombendo. EÁ possibile percorrere i viottoli impervi del suo impegno sociale e religioso perche diventino strade importanti e M. recuperi fiducia in se stesso e apertura verso gli altri. Riflessione teologica EÁ un credente e chiede a Dio di togliergli il peso eccessivo della sua sofferenza che sente ingiusta. Forse l'idea di Dio punitivo e retributivo gli proviene dalla educazione familiare di vecchio stampo e questo alimenta il suo senso di colpa per il divorzio subito e il suo disagio esistenziale, perche si sente fuori di una norma morale. 45 E S P E R I E N Z E ACCOMPAGNARE I MORENTI A DOMICILIO Serena Serafini Nell'ambito del Convegno diocesano che ha avuto luogo a Trento il 25 gennaio 2003, sul tema «Evangelizzare la vita morente», l'infermiera professionale Serena Serafini ha descritto il lavoro da lei compiuto nelle Cure domiciliari palliative. EÁ fondamentale che il progetto terapeutico ± assistenziale sia definito e condiviso da tutti i componenti dell'equipe (dal medico al volontario) e che abbia come centro la persona con i suoi bisogni. La possibilitaÁ di condividere con i componenti dell'equipe il carico emotivo accumulato e le difficoltaÁ derivanti dall'accompagnare i malati morenti e il supporto psicologico sono un valido sostegno ed aiuto in questo non facile e delicato compito. Infatti, il contatto quotidiano con la morte ed il morire ti porta a prendere coscienza dello spessore che questa tematica ha nella tua vita. Sono un'infermiera professionale, e lavoro da tre anni, per scelta autonoma, al servizio domiciliare di Trento nell'ambito delle cure palliative. In questa mia breve testimonianza cercheroÁ di descrivere nel modo piuÁ chiaro possibile il mio lavoro condividendo con voi alcune riflessioni sull'accompagnamento spirituale alla persona morente. 1. Presentazione del servizio: finalitaÁ, tipo di attivitaÁ La finalitaÁ del servizio in cui lavoro eÁ quella di prendersi cura della persona malata oncologica in stato terminale e della sua famiglia, cercando di garantire la miglior qualitaÁ di vita nell'accompagnamento in questa sua ultima fase della vita. Il mio lavoro si svolge in collaborazione con altri professionisti: compongono l'equipe, medici, un caposala, infermieri, un assistente sociale, una psicologa e un gruppo di volontari. L'attenzione di tutte queste persone, ognuna con il proprio ruolo, eÁ rivolta al malato nella sua globalitaÁ e nel suo contesto sociale e alla qualitaÁ della sua vita che viene valorizzata fino alla sua morte. 2. Tipo di accompagnamento nei confronti del malato e dei suoi familiari Il nostro lavoro si svolge per lo piuÁ a domicilio, quindi nell'ambiente di vita piuÁ intimo dei nostri pazienti. Questo ci permettere di cogliere maggiormente i loro bisogni socio-relazionali ed entrare in relazione con la famiglia condividendo insieme, a paziente e famiglia, le scelte terapeutiche. Quindi, nelle nostre visite a domicilio, ci prendiamo cura non sol46 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 ACCOMPAGNARE I MORENTI A DOMICILIO (S. Serafini) tanto del malato ma sosteniamo anche i familiari che spesso si trovano in difficoltaÁ a gestire il loro caso dal punto di vista umano, psicologico e spirituale. sposte sufficienti per rispondere agli interrogativi sulla morte, per questo eÁ necessario che si sviluppino forme di solidarietaÁ ed assistenza a chi muore, cioeÁ che maturi l'accompagnamento spirituale inteso come competenza umana in grado di supportare il processo di identificazione di chi muore. Questa competenza richiede innanzi tutto: a) il riconoscimento del valore di ogni persona umana, della sua interioritaÁ e delle sue risorse; b) l'aver sempre presente che ognuno nella sua parte spirituale tende a dare un senso al proprio vivere e spende tutta la sua vita per questo, per confermarsi come individuo. L'altro aspetto (della competenza umana) considera l'essere umano come essere sociale, inserito in una determinata cultura, all'interno di reti comunicative e strutture comunitarie. Questo porta all'esigenza di avere la solidarietaÁ con gli altri. Quindi una persona morente eÁ se stessa fino alla fine ed ha bisogno degli altri. EÁ il malato stesso che sceglie la sua guida spirituale, che non necessariamente eÁ un sacerdote. Talvolta eÁ un familiare, un amico, l'infermiere, un volontario, comunque una persona con il quale il malato si confronta sui suoi dubbi, sulle sue paure, con la quale condivide le sue domande esistenziali. In ogni modo non eÁ una persona con in tasca le risposte: una presenza, un ascolto, un silenzio. 3.La tipologia dei malati che incontro Le persone che accompagniamo sono di diversa etaÁ, estrazione sociale, credo. Sono tutte accomunate peroÁ da questo cammino verso l'ultima fase della loro vita. Esse e le loro famiglie manifestano un bisogno di vicinanza, di non sentirsi sole, di non essere abbandonate. L'equipe garantisce assistenza medica ed infermieristica sette giorni su sette, e questo per la famiglia e il paziente eÁ un grosso punto di riferimento per portare avanti con serenitaÁ l'assistenza a domicilio. Le visite a casa, anche solo per controllo o per semplici prestazioni, molte volte servono per sostenere l'angoscia e condividere le paure dei pazienti e della famiglia, che richiedono figure di riferimento e una presenza (anche se non fisica) costante che cammini accanto a loro. Un accompagnamento costante permette di instaurare un rapporto profondo con il paziente e la famiglia, a volte anche di entrare in contatto con il loro mondo interiore. EÁ dalla profonditaÁ del cuore che nascono le domande sui significati ultimi dell'esistenza tra cui la sofferenza e la morte, interrogativi che il malato rivolge alla persona con la quale ha instaurato delle relazioni piuÁ profonde. A questo livello si inserisce l'accompagnamento spirituale. La nostra cultura non fornisce ri- a) Presenza: ci sono, sono disponibile a condividere con te questo cammino anche nel mio modo di pormi verso di te, voglio confermarti come 47 ESPERIENZE persona fino alla fine. dalla paura di cioÁ che non conosce del mistero della morte, il malato reagisce negando, arrabbiandosi, prendendosela con chi gli sta accanto, rimovendo il pensiero... Uno degli aspetti piuÁ importanti del processo di accompagnamento spirituale puoÁ essere proprio quello di aiutare il malato a ridimensionare le aspettative, a vivere il presente senza rimpianti e a gustare giorno per giorno cioÁ che la vita gli riserva in modo costruttivo. Un'altra difficile funzione dell'accompagnamento spirituale eÁ quella di facilitare l'accettazione della separazione radicale dagli affetti e dalla propria storia. Chi accompagna spiritualmente si pone cosõÁ come interfaccia nei confronti dell'ambiente circostante (familiari, amici, personale sanitario, volontari...) in modo da renderlo partecipe del processo di separazione, ascoltando il messaggio di chi sta per partire e restituendogli il rispetto della sua libertaÁ di vivere questo ultimo tempo come crede, riconoscendo cosõÁ la sua dignitaÁ e libertaÁ di persona, di individuo. Come operatori sanitari ci troviamo a gestire rapporti familiari difficili, a guidare chi sta accanto al malato nell'accompagnamento, in modo che non si instauri la terribile «congiura del silenzio» (non diciamo nulla per proteggerlo, non ne parliamo, neghiamo la situazione) che molte volte eÁ difficile da gestire (perche comunque la veritaÁ e la realtaÁ vengono a galla) ed eÁ funzionale solo a chi si difende di fronte al problema morte, ma lascia il malato solo a camminare con le sue paure. b) Ascolto: non eÁ semplice, specialmente se l'argomento eÁ ancora un tabuÁ per la societaÁ, se il sentire parlare della morte fa pensare alla propria finitezza. c) Silenzio: l'accettare il limite della nostra umanitaÁ, del nostro essere finiti, ma con un incolmabile sete d'infinito. Soltanto quando siamo in grado di accettare fino in fondo la nostra unicitaÁ e finitudine, l'altro eÁ realmente «un'altra persona» e su questo riconoscimento si costruiranno rapporti autentici, in modo che la relazione sia espressione limpida di solidarietaÁ e ulteriore accrescimento della propria coscienza. Non tutti i nostri pazienti sono di religione cristiana cattolica, alcuni sono testimoni di Geova, altri mussulmani, altri atei. Nella mia esperienza ho potuto notare come chi aveva giaÁ un sacerdote come guida spirituale fosse poi accompagnato da questo anche nella sua ultima parte del cammino. Altri malati potevano contare sull'aiuto e sul sostegno di volontari della parrocchia e non solo per i bisogni spirituali. Nella maggior parte dei casi vedo peroÁ tante persone che quasi consapevoli dell'avvicinarsi della morte, cercano la vicinanza e l'affetto di chi li ama, rimpiangono i bei momenti vissuti, si domandano perche non saraÁ loro possibile realizzare tanti progetti, hanno paura del dopo... Talvolta, cercando di difendersi 48 ACCOMPAGNARE I MORENTI A DOMICILIO (S. Serafini) avere un esempio di dono pur nella sofferenza (GesuÁ), una comunitaÁ di fratelli per la condivisione, la sicurezza di un amore sovrabbondante talmente grande da risultare a volte incomprensibile. Dobbiamo passare da una logica in cui l'organizzazione sociale, anche quella socio-sanitaria, nega il vissuto della morte, privatizzandola e burocratizzandola, ad una riscoperta di quei rituali che una parte della societaÁ riconosce come idonei a vivere questo processo (compassione cristiana, veglia al morente, recita del Rosario...) e contemporaneamente aprirci a nuove forme, quali l'accompagnamento spirituale come spazio riconosciuto e condiviso dove si possano esplicitare e siano accolte paure, speranze, utopie. Trovare un posto significativo al processo del morire nell'ambito socio-sanitario eÁ un compito faticoso e sfibrante specialmente per chi nella propria attivitaÁ eÁ quotidianamente esposto al confronto con chi muore. Per questo eÁ necessaria la valorizzazione delle associazioni di volontariato che giaÁ stanno lavorando molto per modificare prassi e modelli in questo ambito e per avere una preparazione adeguata per questo compito. Auguro quindi a tutti di avere una piuÁ diffusa consapevolezza dell'impegno ma anche dell'opportunitaÁ che deriva dallo stare accanto a chi muore, con la speranza che questo, con il tempo, porti ad una nuova rappresentazione sociale della morte e dell'importanza dell'accompagnamento autentico e solidale. L'accompagnamento spirituale cerca di introdurre i familiari e chi sta accanto al malato all'importanza dell'ascolto e della comprensione di tutte le comunicazioni verbali e non verbali, anche se paradossali, del morente. La mia esperienza mi ha insegnato questo: cioÁ che resta, cioÁ di cui si ha maggiormente bisogno quando si ha paura, anche quando vi eÁ una grande speranza di fede, eÁ costituito dalla pace con se stessi (perche davanti alla morte si arriva da soli) e dagli affetti, le persone da cui ti senti amato, che vuoi avere accanto e che vorresti ti capissero e condividessero con te le tue angosce, i tuoi dubbi. Ho potuto assistere a tanti accompagnamenti, a belle morti che augurerei anche a me stessa per la pace e la serenitaÁ che trasparivano dagli occhi di chi partiva e di chi restava, pur nella sofferenza. Ma ho visto anche cosa vuol dire in concreto la congiura del silenzio, la solitudine di chi non puoÁ condividere con chi gli sta accanto questo cammino, per paura di affrontare il discorso, per paura di pesare sull'altro, per mancanza di parole, per silenzi troppo pesanti... Conclusioni Penso che il mio lavoro a contatto quotidiano con la sofferenza delle persone sia un'opportunitaÁ ed uno stimolo a riflettere sulla mia vita e sul dono che posso fare di me agli altri. Non penso che noi cristiani abbiamo tutte le risposte ai grandi interrogativi esistenziali, credo peroÁ che possiamo 49 VARIAZIONI Aiutare ad essere Nell'altro non si entra come in una fortezza, ma come si entra in un bosco in una bella giornata di sole. Bisogna che sia un'entrata affettuosa per chi entra come per chi lascia entrare, da pari a pari, rispettosamente, fraternamente. Si entra in una persona non per prenderne possesso, ma come ospite, con riguardo, con ammirazione, venerazione: non per spossessarlo, ma per tenergli compagnia, per aiutarlo a meglio conoscersi, per dargli consapevolezza di forze ancora inesplorate, per darli una mano a compiersi, a essere se stesso. don Primo Mazzolari (da: «Della Tolleranza») 50 T E S T I M O N I C O N T E M P O R A N E I CHIARA BADANO Durante il Convegno di Collevalenza del 2002 eÁ stata presentata la figura di Chiara Badano, una giovane donna morta di tumore all'etaÁ di 18 anni. Erano presenti i suoi genitori e il vescovo emerito di Acqui Terme (AL), Mons. Livio Maritano, per il cui interessamento eÁ stata aperta la causa di beatificazione di Chiara. Presentiamo un profilo di questa autentica testimone contemporanea del vangelo. Ci saraÁ di aiuto la breve biografia tracciata da Mariagrazia Magrini (Chiaraluce, una grande avventura: stare al gioco di Dio, LDC, Torino, 2001) «Occhi grandi, occhi puri come il cielo, occhi lieti, occhi vivi come il sole. Voce calda, voce piena d'armonia... Dio eÁ grande, dicevi tu, abbandonata a lui. Dio eÁ grande, diciamo noi per te, Chiara...». il sole? Come possono i suoi genitori unirsi al canto di lode a Dio, a quel Dio che gliel'ha strappata? Perche non si provano sentimenti di disperazione e di ribellione? Cosa sta succedendo? Com'eÁ possibile? Chi eÁ Chiara? Qual eÁ la sua storia? Con queste parole un coro di giovani accompagna Chiara nel giorno del funerale, nell'ottobre del 1990. Vibrano le navate della parrocchiale di Sassello, caratteristico paese dell'Appennino ligure di 1800 abitanti, in provincia di Savona, ma appartenente all'antica diocesi di Acqui Terme. La chiesa eÁ gremita al massimo. Non tutti sono potuti entrare, e seguono in silenzio, con estremo rispetto, il rito nel piazzale. Gioia e commozione sono i sentimenti che ognuno prova in quel momento. PercheÂ, insieme ai compaesani di ogni etaÁ e ceto sociale, ci sono cosõÁ tanti ragazzi? Com'eÁ possibile che tutti cantino, sorridano ± pur tra le lacrime ± e ringrazino il Signore? Come puoÁ Mons. Livio Maritano, il Vescovo celebrante, parlare di questa diciottenne, cosõÁ bella e amante della vita, e definirla splendente come Nata il 29 ottobre 1971, Chiara vive un'infanzia felice, alimentata dall'amore dei genitori Maria Teresa e Ruggero, che l'avevano attesa per 11 anni. Il contesto in cui trascorre la sua vita eÁ ricco di stimoli umani e cristiani, per cui la sua personalitaÁ puoÁ svilupparsi armoniosamente. Si mostra subito socievole, allegra e gioiosa. EÁ un raggio di sole che porta vita intorno a seÂ: bella e fine nei lineamenti, con grandi occhi limpidi, snella e alta, dal sorriso aperto e comunicativo, saraÁ sempre da tutti ammirata. Intelligente e delicata d'ani51 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 TESTIMONI CONTEMPORANEI mo, affettuosa, vivace e nello stesso tempo riflessiva e pacata, gode nello stare in compagnia con le altre persone. Fin da piccola, avverte una sensibilitaÁ particolare per le persone bisognose di aiuto, i bambini e gli anziani, che copre di attenzioni e di servizi, pronta a rinunciare anche a momenti di svago. Il giorno in cui la mamma ospita a pranzo una compagna di scuola di Chiara insieme alla nonna ± era molto povera ed orfana di madre ± lei chiede che si usi la tovaglia piuÁ bella perche «oggi viene GesuÁ a tavola con noi!». CosõÁ scrive in un pensierino sul quaderno della seconda elementare: «Io sogno il giorno in cui i figli degli schiavi e i figli dei loro padroni si siederanno insieme al tavolo della fraternitaÁ come GesuÁ con gli Apostoli. Sogno il giorno in cui i bambini e le bambine negre si terranno per mano con i bambini e le bambine bianche, come fratelli e sorelle». Proprio per questa sua attrattiva verso i bambini poveri Chiara viene invitata a parlare in una riunione dell'UNICEF e inizia a raccogliere in una scatoletta i soldi per i piccoli africani, che ama in modo speciale tanto da sognare di poterli un giorno raggiungere e curare come medico. Quanto gioca felice con le sue compagne di scuola e con le cuginette! Come ama la danza, la musica (suona il pianoforte), lo sport, le corse sui pattini a rotelle: leggera come in volo. EÁ piena di vita, di sogni, di entusiasmi quando a nove anni scopre il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich. Vi si immerge total- mente, ne fa suo l'ideale e riesce a coinvolgere i genitori nel medesimo cammino. La loro vita ne viene trasformata radicalmente. Bambina come tante altre, ma docile all'opera della grazia, si mostra totalmente disponibile al disegno di Dio su di lei e mai vi si ribelleraÁ. Tre realtaÁ si rivelano determinanti nella sua formazione e nel cammino verso la santitaÁ: la famiglia, la Chiesa locale, il Movimento dell'Opera di Maria (Focolarini). Dai suoi quaderni o dalle letterine scritte alle amiche e a Chiara Lubich, che chiama «mammina» (nell'Ideale) traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la bellezza della vita, se vissuta amando GesuÁ e le altre persone. Riconoscente le scriveraÁ: «Io devo tutto a te e a Dio». Dopo la sua morte, si troveraÁ sulla sua scrivania questa frase che Chiara Lubich, tra le tante altre, cercava di trasmettere alla nuova generazione: «Amare, amare tutti e alla fine della giornata poter dire: ho sempre amato». Chiara la trascrive, la sceglie come scopo della sua vita e la vuole continuamente sotto gli occhi per non dimenticarsene mai! Durante il periodo della scuola media, frequentata sempre a Sassello, scopre «GesuÁ Abbandonato», ossia il Crocifisso. Lo vede nelle difficoltaÁ, nelle sofferenze e nelle contrarietaÁ della vita. Afferma: «Lo scelgo come mio primo sposo, preparandomi per quando viene; devo preferirlo». Come pure: «Ho capito che posso trovare GesuÁ nei lontani, negli atei, e che devo amarli in modo specialissimo, 52 CHIARA BADANO senza interesse». Ha solo undici anni e mezzo. Chiara partecipa ai congressi GEN ed eÁ affascinata dal Vangelo. Scrive il 29 novembre 1985, a quattordici anni: «Durante questo congresso ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova luce. Ho capito che non ero una cristiana autentica perche non lo vivevo fino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo della vita. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un cosõÁ straordinario messaggio. Come per me eÁ facile imparare l'alfabeto cosõÁ deve esserlo anche vivere il Vangelo». Ed aggiunge: «Ho riscoperto quella frase che dice: Date e vi saraÁ dato. Devo imparare ad avere piuÁ fiducia in GesuÁ, a credere nel suo immenso amore». Terminate le medie, i genitori decidono di trasferirsi a Savona affinche frequenti senza troppi disagi la scuola che ha scelto: il liceo classico. EÁ un grosso taglio per lei e ne patisce: lasciare la sua Sassello, gli amici, i parenti... le costa molto e vi ritorna contenta ogni fine settimana. Chiara vive in pieno la sua adolescenza, con i sogni, i momenti di gioia o di tristezza, gli entusiasmi e le delusioni, ma mette sempre al primo posto GesuÁ, affinche la illumini sullo stato di vita che dovraÁ scegliere al momento giusto. Supera con coraggio e determinazione l'infatuazione presa per un ragazzino quando si accorge della superficialitaÁ dei sentimenti di lui. Vuol fare le cose per bene, con serietaÁ. Non ammette leggerezze. E gli rimane amica, semplicemente amica. Nel vestirsi ama il bello, l'armonia dei colori, l'ordine, ma non la ricercatezza. Alla mamma che la invita a vestire abiti un po' piuÁ eleganti replica: «Io vado a scuola pulita ed ordinata: cioÁ che conta eÁ essere belli dentro!», e si trova a disagio quando le dicono che eÁ proprio bella. Percorre, senza saperlo, la piccola via di S. Teresa del Bambino GesuÁ. Nel gennaio 1986 in una riunione di zona, afferma: «Ho capito l'importanza di `tagliare', per essere e fare solo la volontaÁ di Dio. E ancora quello che diceva S. Teresina: che, prima di morire a colpo di spada, bisogna morire a colpi di spillo. Mi accorgo che le piccole cose sono quelle che non faccio bene, oppure i piccoli dolori..., quelle che mi lascio sfuggire. CosõÁ voglio andare avanti amando tutti i colpi di spillo». La malattia La vita di Chiara e dei suoi cari prosegue come in ogni famiglia: gioie, malattie e lutti tra i parenti, successi ed insuccessi a scuola; momenti faticosi ed altri di sollievo e di svago. Tutto nella normalitaÁ fincheÂ, nel corso di una partita a tennis, un lancinante dolore alla spalla sinistra la costringe a lasciar cadere a terra la racchetta. Dopo una lastra ed un'errata diagnosi, si provvede al ricovero. La TAC evidenzia un osteosarcoma. EÁ il 2 febbraio 1989: nella Chiesa si ricorda la presentazione di GesuÁ al tempio. Chiara ha diciassette anni. «Il mondo, dicono i genitori, pareva crollarci addosso. Poi, prosegue la 53 TESTIMONI CONTEMPORANEI mamma, Ruggero ed io ci buttiamo nelle mani di Dio e affidiamo nostra figlia alla Madonna, come avevamo fatto quand'era nata». Inizia, insieme ai genitori, la sua via crucis: viaggi ed esami clinici a Torino negli ospedali Molinette e Regina Margherita. Un precipitoso e purtroppo inutile intervento alla spina dorsale; l'annuncio del ricorso alla chemioterapia le fa comprendere di che si tratta. Non piange, non si ribella. Rimane assorta in un lungo silenzio. Quindi dice il suo sõÁ al Signore: mezz'ora di lotta interiore, di buio, di passione..., per poi mai piuÁ tirarsi indietro. Alla mamma, per rasserenarla dice: «Vedrai ce la faroÁ, sono giovane». Passano i giorni ed il male galoppa inesorabile. Si eÁ giaÁ trasferito al midollo spinale. Chiara si informa di tutto, parla con i medici e con gli infermieri e, soprattutto, non perde il suo luminoso sorriso. Ormai ha deciso di abbandonarsi docilmente e in modo totale alla volontaÁ di Dio. Tra i cicli di cobalto e la chemioterapia, la paralisi alle gambe che le causa atroci spasmi e contrazioni, il dolore che accompagna ogni respiro, Chiara trascina nell'Amore chiunque la avvicina. Rifiuta la morfina perche le toglie luciditaÁ, e dice: «Io posso offrire solo il dolore a GesuÁ». Contemporaneamente offre ogni attimo della sua vita per i giovani, per la Diocesi, per i lontani, per il Movimento, per le Missioni. Rimane sempre serena e forte. Convinta che «il dolore abbracciato rende liberi». La sua cameretta, in ospedale pri- ma, poi a casa, eÁ un luogo di incontro, di apostolato, di unitaÁ. EÁ la sua chiesa . Anche i medici, talvolta non praticanti, rimangono sconvolti dalla pace che aleggia intorno a lei e dalla forte unione di questa famiglia, che si affida totalmente alla volontaÁ di Dio ed eÁ resa capace di sopportare un dolore cosõÁ grande. Alcuni si riavvicinano al Signore. Alla mamma, stupita per il modo con cui Chiara accoglie i giovani intorno a seÂ, donando loro tutta se stessa fino all'ultima goccia del suo amore, risponde: «Eh, mamma... i giovani... I giovani sono il futuro. Vedi, io non posso piuÁ correre, peroÁ vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi (e fa il gesto con la mano per accertarsi che abbia davvero capito). I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene». Mantiene un intenso rapporto anche epistolare con i GEN. Segue e sorregge con la preghiera, e con l'offerta dei suoi dolori sempre piuÁ forti, la tourneÂe del GEN ROSSO in Russia, come pure l'attivitaÁ di un amico in Africa: «Va' tranquillo, gli disse, ti seguiroÁ da qui: io il materiale ce l'ho!». Fare la volontaÁ di Dio Nella sua serenitaÁ, illuminata dallo Spirito Santo e docile alle sue ispirazioni, afferma convinta: «L'importante eÁ fare la volontaÁ di Dio. Io magari avevo dei piani su di me, ma Dio ha pensato a questo. La malattia mi eÁ arrivata al momento giusto... Voi peroÁ non potete neppure immaginare qual 54 CHIARA BADANO eÁ adesso il mio rapporto con GesuÁ... Avverto che Dio mi chiede qualcosa di piuÁ, di piuÁ grande. Forse potrei restare su questo letto per anni..., non lo so. A me interessa solo la volontaÁ di Dio, fare bene quella, nell'attimo presente: stare al gioco di Dio». E ancora: «Sono uscita dalla vostra vita in un attimo. Oh, come avrei voluto fermare quel treno in corsa che mi allontanava sempre di piuÁ! Ma ancora non capivo. Ero troppo assorbita da cose insignificanti, futili e passeggere. Un altro mondo mi attendeva, e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela». EÁ in particolare con la mamma che Chiara trascorre le interminabili ore della giornata e con lei costruisce un dialogo pervaso di fede e di amore soprannaturale. A questa mamma il Signore concederaÁ di ricordare esattamente ogni parola, ogni sillaba, pronunciata dalla figlia. Le domande si susseguono: «Mamma, eÁ giusto morire a diciassette anni?». «Non lo so, Chiara, se eÁ giusto; ma se Dio ha questo disegno su di te, noi dobbiamo fare la sua volontaÁ». «Mamma, mi piaceva cosõÁ tanto andare in bicicletta, e Dio mi ha tolto le gambe» [paralizzate]. «GesuÁ ti ha tolto le gambe, ma ti ha dato le ali». «Hai ragione; se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no, perche cosõÁ sono piuÁ vicina a GesuÁ». «Mamma, quando arriveroÁ in paradiso, chi mi verraÁ incontro?». «Ci saraÁ la Madonna ad abbracciarti, e poi verraÁ la nonna che ti voleva tanto bene». E alla mamma impensierita per la previsione di restare senza di lei: «Non ti preoccupare: quando io non ci saroÁ piuÁ, segui Dio e troverai la forza per andare avanti». I dolori non la frenano nel suo ardore apostolico. EÁ il telefono, appeso alla testata del letto, il suo mezzo di comunicazione. Mantiene i rapporti con gli amici, li rasserena ed incoraggia ad andare avanti nella vita senza paure e con rettitudine. Diviene «consigliera d'anime». Chiara Lubich la segue con la preghiera e con alcuni scritti che la colmano di gioia. Da lei riceve il nome nuovo di Luce ± ed effettivamente lo eÁ per tanti, illuminando i loro animi ± e la Parola di Vita: «Chi rimane in me ed io in lui porta molto frutto» (Gv 15,5). E' la scritta che faraÁ porre sulla sua tomba. Chiaretta, cosõÁ molti la chiamano, non osa neppure chiedere il miracolo della sua guarigione e lo comunica a Chiara Lubich: le pare di non conformarsi docilmente alla volontaÁ di Dio anche se lo desidera molto. Si affida alla Vergine e le scrive un bigliettino: «Mamma celeste... ti chiedo il miracolo della mia guarigione; se cioÁ non rientra nella Sua volontaÁ, ti chiedo la forza necessaria a non mollare mai. Umilmente tua Chiara». DiraÁ il Vescovo nell'omelia del funerale: «...quello che trasforma, che fa il miracolo, eÁ l'amore. Una fede che accende quest'amore per GesuÁ e che ci mette in compagnia di lui, 24 ore su 24, dispone al miracolo: trasformare il dolore in amore. E in Chiara cioÁ eÁ avvenuto». Dio non la lascia sola. EÁ significati55 TESTIMONI CONTEMPORANEI vo un episodio accaduto all'ospedale e da lei riferito ai GEN con semplicitaÁ, senza accrescerne l'importanza, ma con grande stupore. Portata in camera operatoria senza spiegazioni su quanto avrebbe dovuto subire, Chiara prova un forte senso di timore: «...Mi eÁ venuta vicino una signora con un sorriso luminosissimo. Bellissima, che mi ha presa per mano e mi ha tranquillizzata. Subito una grande pace eÁ entrata in me e non ho piuÁ avuto paura. CosõÁ com'era arrivata eÁ sparita. Ho creduto che fosse una del Movimento... e che l'avessero mandata i miei genitori; ma quando gliene ho parlato, essi non ne sapevano nulla. Che sia stato un angelo mandatomi dalla Madonna?». Affidata dai genitori alla Vergine Immacolata, Chiara impara, passo dopo passo nella malattia, a morire a questa vita e ad avviarsi verso il grande incontro, abbandonata all'amore del suo GesuÁ, che brama come sposo: «E lo Sposo che viene, vero?». Come sempre daÁ la prioritaÁ agli altri. Dicono gli amici: «Era una ragazza normale, una come noi, anche se molto diversa. Giocava e scherzava con chi andava a trovarla; si mostrava amica di tutti, ma rimaneva riservata e pura. Credevamo di andare a farle compagnia, ora ci accorgiamo che eravamo noi ad uscire da quella camera arricchiti nello spirito e pieni di gioia, quella vera» Era guidata dalla Sapienza di Dio. «Una ragazza come lei, dice ancora un suo amico, una ragazza di soli diciotto anni non avrebbe potuto parlare come lei, se non fosse stata ispirata dallo Spirito Santo!». Raggiunge nel frattempo un grado assai elevato di unione con Dio, attraverso il continuo colloquio con lui. La Messa, spesso celebrata nella sua cameretta, la recita del rosario, la meditazione della Parola divina e dei pensieri di Chiara Lubich la portano ad un livello superiore, tanto da declinare, alcune volte, l'incontro con gli amici. Ai genitori stupiti chiarisce il perche e lo spiegheraÁ agli amici negli ultimi giorni: «Non riuscivo a scendere dall'altezza dove trascorro le mie giornate, dove tutto eÁ silenzio e contemplazione. Parlarvi diventava molto faticoso e difficile. Trascinata giuÁ, mi era molto difficile il risalire». E alla mamma che l'ascolta stupefatta: «Ci sono due mondi, ma tu non li puoi vedere». Esperienza mistica? Pochi giorni prima di partire per il cielo, luminosa inviso, di una luce soprannaturale, esclama: «Sai, mamma, cosa stavo facendo? Cantavo: `Eccomi GesuÁ, ancora oggi davanti a te, tutta rinnovata, proprio come tu mi vuoi...'». Al che la mamma le risponde: «Chiara, stavo cantando anch'io, nel cuore: `Ho bisogno di incontrarti nel mio cuore...'». Il paradiso c'eÁ I genitori dichiarano: «Non eÁ facile per chi ha conosciuto nostra figlia pensare che il paradiso non esista. Con lei si parlava continuamente della casa dove sarebbe andata ad abitare e dove ci avrebbe attesi tutti insieme con la Madonna». Il 24 agosto, un mese e mezzo prima della sua morte, disse ancora all'a56 CHIARA BADANO mico Lorenzo: «...Ti ricordi quando abbiamo detto tutte quelle belle cose sul paradiso? Ecco, eÁ da quella sera che io ho un grande desiderio di andare in paradiso. EÁ un desiderio cosõÁ grande che mi sembra di esserne attaccata. Allora mi sto chiedendo: `Ma non saraÁ un modo per scappare da questi dolori, dalla volontaÁ di Dio?'». Le risponde: «Non ti preoccupare, non bisogna aver paura di essere attaccati a Dio». E Chiara: «Non eÁ quello; eÁ che forse non riesco a stare radicata nell'attimo presente e a vivere solo questo. Il desiderio di andare in paradiso eÁ forse un modo di non amare il dolore». « Ma, Chiara, tu sei nelle mani di Dio...». E Lorenzo ricorda ancora: «Chiara si illumina tutta e le lacrime scendono sul suo volto. In quel momento ci siamo stretti fortissimamente le mani». Poi, immediatamente lei spicca un volo verso l'alto e riprende a giocare e a parlare come prima. Ormai sente che va verso la fine. Vorrebbe offrire tutti i suoi organi (fin da piccola si era iscritta all'AIDO), ma, consapevole dell'opera distruttrice della chemioterapia, constata: «Ora non ho piuÁ niente (di sano), peroÁ ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare!». (Poco prima di spirare le venne chiesto il consenso per l'offerta delle cornee. Lei si mostroÁ felice della cosa, ridando il permesso all'espianto. Le sue cornee verranno donate a due giovani). Mamma e figlia proseguono il cammino verso l'ultima stazione della via del calvario, forti nella fede e nell'amore. Le aveva detto la mamma: «Chia- ra, la tua valigia eÁ pronta, eÁ piena di atti d'amore e GesuÁ lo sa». Al sacerdote che le porta GesuÁ Eucaristia, che lei attende e riceve trasformata e al suo Vescovo che la va piuÁ volte a trovare, esprime i suoi ideali, il pensiero per il prossimo e la sua gioia, anche solo con lo sguardo. Racconta la mamma: «Rivedo ancora Mons. Livio Maritano, seduto con semplicitaÁ ed umiltaÁ su un piccolo sgabello accanto al letto di mia figlia e con quanta dolcezza si guardavano negli occhi. Pareva volessero entrambi avvolgersi nell'amore di Dio che li circondava. Divenivano in lui una cosa sola. E lo Spirito Santo era presente in modo quasi tangibile. La camera era ormai un santuario. Abbiamo vissuto in quei momenti un'esperienza religiosa eccezionale ed io non riesco a cancellarli dalla mente». I mesi passano, il male avanza. Chiara non perde la gioia ne si lamenta. Dice: «Voglio che continui a crescere con altri questo rapporto di amore e di unitaÁ perche la gioia si moltiplichi, e cosõÁ Dio in mezzo a noi». Rendendosi conto che la meta eÁ ormai prossima, manda i genitori ad Acqui Terme ad acquistare per se stessi un abito nuovo: quello per le sue nozze e gioisce come nei preparativi di una festa nel vedere cioÁ che hanno scelto. Poco tempo prima aveva descritto il proprio abito da sposa: bianco, lungo, molto semplice, con una fascia rosa in vita. Glielo cuce la mamma della sua amica Chicca, che lo indosseraÁ davanti a lei per mostrarle come le staraÁ addosso. 57 TESTIMONI CONTEMPORANEI Alla mamma daÁ gli ultimi dettagli: vuole, appena spirata, essere lavata con l'acqua, segno di purificazione quanto amava sentirla scorrere sul corpo ±, venir pettinata, in modo molto giovanile: con il ciuffo... Chiara non si lascia sfuggire nessun particolare; prepara la liturgia della sua Messa: suggerisce le letture e propone le lodi, che prova con una amica canticchiandole a mezza voce. Vuole che in quel giorno anche la mamma le canti forte, perche «io saroÁ lõÁ a cantare con te». Il rito deve essere una festa. Non desidera fiori: l'equivalente della spesa dovraÁ essere inviato ai bambini poveri! Alla mamma chiede di non piangere, ma di ripetere sempre: «Ora Chiara Luce vede GesuÁ». Ma l'amore infiamma il suo cuore, ed ella vuole salutare gli amici che giungono da ogni parte per vederla ancora una volta, per scoprire nei suoi occhi il riflesso del Cielo. Chiara li riceve ad uno ad uno; come sempre in questi casi s'eÁ fatta togliere la maschera dell'ossigeno. Poi con grande fatica scrive un biglietto di saluti e la dedica su un libro che aveva promesso ad un medico che la curava. Ormai non ci vede piuÁ, la mano regge con difficoltaÁ la penna, ma lei non desiste e dopo varie prove ci riesce. EÁ il suo ultimo atto di amore. Al compiere dei diciotto anni aveva voluto rendere felice chi soffriva destinando tutto il denaro ricevuto in dono ai bambini poveri dell'Africa: «Io ho Tutto». Chiara non ha paura di morire, non l'ha mai avuta. Aveva detto alla mamma: «Non chiedo piuÁ a GesuÁ di venire a prendermi per portarmi in paradiso, perche voglio ancora offrirgli il mio dolore, voglio dividere con lui ancora per un po' la croce». E il suo Sposo viene a prenderla all'alba del 7 ottobre 1990, dopo una notte molto provata. EÁ il giorno della Beata Vergine del Rosario. Queste le sue ultime parole, sussurrate in un soffio alla mamma, dopo averle passata delicatamente la mano tra i capelli: «Sii felice, perche io lo sono. Ciao». Mamma e papaÁ si inginocchiano ai piedi del letto e ripetono le parole della S. Scrittura: «Dio ce l'ha data, Dio ce l'ha tolta. Sia benedetto il Signore». Quindi recitano il Credo. Al funerale, celebrato dal Vescovo, accorrono centinaia di giovani e tanti sacerdoti. I componenti del GEN ROSSO e del GEN VERDE elevano i canti da lei scelti. La voce argentina di Chiara si unisce ad essi: ora eÁ divenuta canto di gioia in cielo. Da allora, ogni 7 ottobre, i giovani e le persone presenti alla messa in suo suffragio crescono sempre di piuÁ. Essi vengono spontaneamente e si invitano a vicenda per partecipare al rito che, come voleva lei, ritengono una festa . Quindi si recano alla cappellina ove il corpo di Chiara eÁ riposto (anche se lei avrebbe voluto scendere nella terra) e lasciano i loro messaggi, confidandosi con lei. Dal primo giorno la sua tomba eÁ meta di pellegrinaggi: fiori, offerte per i suoi negretti, letterine, richieste di grazie... Alcuni potranno pensare che Dio 58 CHIARA BADANO amica: «L'immagine di Chiara sul letto di morte mi sembra molto simile a quella di una sposa che finalmente vede e parla d'Amore col suo Sposo. Aperta alla vita. In un miracolo di luce e di felicitaÁ (....). La storia tra Chiara e Dio non eÁ stata intrisa di una crudele ingiustizia, ma eÁ in fondo una storia d'amore. Un grande ed appassionato amore reciproco. Infuocato dal desiderio di condividerlo con altri». Con ognuno di noi, con chiunque lo desideri. Chiara ha lasciato dietro di se una scia luminosa che porta a Dio nella gioia e nella semplicitaÁ, nell'abbandono totale all'amore di GesuÁ. La sua testimonianza illumina, insieme ai giovani, quanti cercano il vero significato della vita e si trovano di fronte al mistero del dolore. eÁ ingiusto nel portare via a dei genitori che l'avevano attesa a lungo e che cosõÁ tanto l'amavano una ragazza piena di vita e pronta a fare del bene intorno a seÂ. Chiara aveva tutte le attitudini per riuscire ad affermarsi nella societaÁ, ma egli ha voluto farne un luminoso capolavoro. Ha voluto dimostrare ad ognuno di noi ed ai giovani in particolare che il cammino di Chiara puoÁ diventare la nostra stessa esperienza. Un suo professore di lettere ha lasciato questo biglietto in cimitero: «Ti ho preso per mano per guidarti lungo la strada del sapere alla sorgente della vita. Mi hai preso per mano per guidarmi lungo la strada del dolore alla sorgente della salvezza. Ciao». Ha scritto la mamma di una sua Quanto cammino, in cosõÁ poco tempo! Fra le varie competizioni in cui si cimentano i giovani ± sport, studio, divertimento, simpatia, amore ± Chiara ha scelto la gara piuÁ decisiva. E l'ha vinta. (Mons. Livio Maritano) 59 D O C U M E N T I MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ GIOVANNI PAOLO II XI giornata mondiale del malato Washington D.C., U.S.A., 11 Febbraio 2003 1. ``Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo... Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi'' (1 Gv 4,14.16). cuore di ogni uomo nonostante i continui tentativi di rimuoverle o di ignorarle messi in atto da una mentalitaÁ secolarizzata, attendono risposte valide. Specialmente quando si eÁ in presenza di tragiche esperienze umane, il cristiano eÁ chiamato a testimoniare la consolante veritaÁ del Cristo risorto, che assume le piaghe e i mali dell'umanitaÁ, compresa la morte, e li converte in occasioni di grazia e di vita. Quest'annuncio e questa testimonianza vanno comunicati a tutti, in ogni angolo del mondo. Queste parole dell'apostolo Giovanni ben sintetizzano anche le finalitaÁ della Pastorale della Salute, attraverso cui la Chiesa, riconoscendo la presenza del Signore nei fratelli che sono nel dolore, si impegna a recare loro il lieto annuncio del Vangelo e ad offrire a ciascuno segni credibili di amore. In tale contesto si inserisce l'XI Giornata Mondiale del Malato, che si terraÁ l'11 febbraio 2003 a Washington D.C., negli Stati Uniti, presso la basilica dell'Immacolata Concezione, santuario nazionale. Il luogo e il giorno prescelti invitano i credenti a volgere lo sguardo verso la Madre del Signore. Affidandosi a Lei, la Chiesa si sente spinta ad una rinnovata testimonianza di caritaÁ, per essere icona vivente di Cristo, Buon Samaritano, nelle tante situazioni di sofferenza fisica e morale del mondo d'oggi. Domande urgenti sul dolore e sulla morte, drammaticamente presenti nel 2. Grazie alla celebrazione della prossima Giornata Mondiale del Malato, possa il Vangelo della vita e dell'amore risuonare con vigore specialmente in America, dove vive piuÁ della metaÁ dei cattolici. Nel Continente americano, come in altre parti del mondo, ``sembra oggi profilarsi un modello di societaÁ in cui dominano i potenti, emarginando e persino eliminando i deboli: penso qui ai bambini non nati, vittime indifese dell'aborto; agli anziani ed ai malati incurabili, talora oggetto di eutanasia; ed ai tanti altri esseri umani messi ai margini dal consumismo e dal materialismo. Ne 60 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ GIOVANNI PAOLO II posso dimenticare il non necessario ricorso alla pena di morte... Un simile modello di societaÁ eÁ improntato alla cultura della morte ed eÁ percioÁ in contrasto col messaggio evangelico'' (Esort. post-sinodale Ecclesia in America, 63). Di fronte a tale preoccupante realtaÁ, come non porre tra le prioritaÁ pastorali la difesa della cultura della vita? E' urgente compito dei cattolici, che operano nel campo medico-sanitario, fare il possibile per difendere la vita quando maggiormente eÁ in pericolo, agendo con una coscienza rettamente formata secondo la dottrina della Chiesa. A tale nobile fine giaÁ concorrono in modo confortante i numerosi Centri della Salute, attraverso i quali la Chiesa cattolica offre un'autentica testimonianza di fede, di caritaÁ e di speranza. Finora essi hanno potuto contare su di un numero significativo di religiosi e religiose a garanzia di un qualificato servizio professionale e pastorale. Auspico che una rinnovata fioritura vocazionale possa consentire agli Istituti religiosi di proseguire in questa loro benemerita opera ed anzi di intensificarla con l'apporto di tanti volontari laici, per il bene dell'umanitaÁ sofferente nel Continente americano. questa testimonianza di amore sia sempre piuÁ credibile, gli operatori della Pastorale della Salute devono agire in piena comunione tra loro e con i loro Pastori. CioÁ eÁ particolarmente urgente negli ospedali cattolici, chiamati a riflettere sempre meglio nella loro organizzazione, rispondente alle necessitaÁ moderne, i valori evangelici, come insistentemente ricordano le direttive sociali e morali del Magistero. CioÁ esige un movimento unitario tra gli ospedali cattolici, che interessi tutti i settori, non escluso quello economico-organizzativo. Gli ospedali cattolici siano centri di vita e di speranza, dove si incrementino, insieme alle cappellanie, i comitati etici, la formazione del personale sanitario laicale, l'umanizzazione delle cure ai malati, l'attenzione alle loro famiglie ed una particolare sensibilitaÁ verso i poveri e gli emarginati. Il lavoro professionale si concretizzi in autentica testimonianza di caritaÁ, tenendo presente che la vita eÁ dono di Dio, del quale l'uomo eÁ soltanto amministratore e garante. 4. Questa veritaÁ va continuamente ribadita di fronte al progresso delle scienze e delle tecniche mediche, finalizzate alla cura ed alla migliore qualitaÁ dell'umana esistenza. Postulato fondamentale resta infatti che la vita va protetta e difesa dal suo concepimento fino al suo naturale tramonto. Come ho ricordato nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte: ``Il servizio all'uomo ci impone di gridare, opportunamente e importunamente, che quanti s'avvalgono delle nuove potenzialitaÁ della 3. Questo privilegiato campo di apostolato riguarda tutte le Chiese particolari. Occorre, quindi, che ogni Conferenza Episcopale si impegni, anche attraverso organismi appropriati, a promuovere, orientare e coordinare la Pastorale della Salute, per suscitare nell'intero Popolo di Dio attenzione e disponibilitaÁ verso il variegato mondo del dolore. Perche 61 DOCUMENTI scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell'etica, appellandosi magari ad una discutibile solidarietaÁ, che finisce per discriminare tra vita e vita, in spregio della dignitaÁ propria di ogni essere umano'' (n. 51). La Chiesa, aperta all'autentico progresso scientifico e tecnologico, apprezza lo sforzo e il sacrificio di chi, con dedizione e professionalitaÁ, contribuisce ad elevare la qualitaÁ del servizio stesso offerto agli ammalati, nel rispetto della loro inviolabile dignitaÁ. Ogni azione terapeutica, ogni sperimentazione, ogni trapianto deve tener conto di questa fondamentale veritaÁ. Pertanto, mai eÁ lecito uccidere un essere umano per guarirne un altro. E se nella tappa finale della vita possono essere incoraggiate le cure palliative, evitando l'accanimento terapeutico, non saraÁ mai lecita alcuna azione o omissione che di sua natura e nelle intenzioni dell'agente sia volta a procurare la morte. infermi la consolante presenza del Signore attraverso la Parola di Dio e i Sacramenti. Adeguato spazio sia riservato alla Pastorale della Salute nel programma di formazione dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, perche nella cura dei malati, piuÁ che altrove, si rende credibile l'amore e si offre una testimonianza di speranza nella risurrezione. 6. Carissimi cappellani, religiosi e religiose, medici, infermieri e infermiere, farmacisti, personale tecnico e amministrativo, assistenti sociali e volontari, la Giornata Mondiale del Malato vi offre l'occasione propizia per impegnarvi ad essere sempre piuÁ generosi discepoli di Cristo Buon Samaritano. Consapevoli della vostra identitaÁ, scorgete nei sofferenti il Volto del Signore dolente e glorioso. Siate pronti a recare assistenza e speranza soprattutto alle persone colpite dalle malattie emergenti, quali l'AIDS, o tuttora presenti quali la tubercolosi, la malaria, la lebbra A voi, carissimi Fratelli e Sorelle che soffrite nel corpo o nello spirito, auguro di vero cuore di saper riconoscere ed accogliere il Signore che vi chiama ad essere testimoni del Vangelo della sofferenza, guardando con fiducia ed amore al Volto di Cristo crocifisso (cfr Novo millennio ineunte, 16), e unendo le vostre alle sue sofferenze. Vi affido tutti alla Vergine Immacolata, Madonna di Guadalupe, Patrona d'America e Salute degli Infermi. Ella ascolti l'invocazione che sale dal mondo della sofferenza, asciughi le lacrime di chi eÁ nel dolore, sia accanto a quanti vivono in solitudine la 5. Il mio vivo auspicio eÁ che l'XI Giornata Mondiale del Malato susciti nelle Diocesi e nelle comunitaÁ parrocchiali un rinnovato impegno per la Pastorale della Salute. Adeguata attenzione sia prestata ai malati che restano nelle proprie case, dato che la degenza ospedaliera si va sempre piuÁ riducendo e spesso i malati si trovano affidati ai loro familiari. Nei Paesi dove mancano appositi centri di cura, anche i malati terminali vengono lasciati nelle loro abitazioni. I parroci e tutti gli operatori pastorali siano attenti e mai facciano venir meno agli 62 MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ GIOVANNI PAOLO II malattia e, con la sua materna intercessione, aiuti i credenti che operano nell'ambito della salute a rendersi testimoni credibili dell'amore di Cristo. A ciascuno la mia affettuosa Benedizione! - training di base nell'hospice - qualifica di consigliere di hospice - qualifica in teologia pastorale/psicologia - specializzazione in salute mentale - training in animazione di gruppo - supervisione professionale. Dal Vaticano, 2 Febbraio 2003 3. Descrizione delle attivitaÁ Il Cappellano: - Si occupa dei problemi emotivi dei malati e loro familiari, del personale e dei volontari. - Offre servizi religiosi regolari e occasionali, quali: celebrazione della Messa, scuola di Bibbia, meditazioni per i malati, i parenti e il personale. - Si mantiene in contatto con i pastori e il clero di altre denominazioni religiose, invitandoli a visitare i malati e i loro familiari quando essi lo desiderino. - Se richiesto, puoÁ offrire il servizio religioso in occasione di funerali. - Accompagna le persone in lutto e partecipa ai gruppi di sostegno per esse. - Consulta gli psicologi ed eÁ consultato da essi. - Offre insegnamento per l'hospice. - Stabilisce relazioni con altre UnitaÁ di cure palliative per accrescere la comprensione dei bisogni dei malati in fase terminale. - Stabilisce relazioni professionali con altri cappellani di hospice e con quelli che lavorano in istituzioni sanitarie. - Offre consigli e informazioni all'amministrazione e al personale in rap- 2. Ruolo del cappellano nelle Cure Palliative La SocietaÁ Ungherese di Cure Palliative ha pubblicato le linee direttive per i professionisti impegnati nelle cure palliative dei malati di cancro in fase terminale. Pubblichiamo i paragrafi dedicati alla figura del cappellano. 1. Descrizione generale Il cappellano eÁ uguale agli altri membri dell'eÂquipe dell'hospice, e similmente offre servizi su una base ecumenica. La sua principale attivitaÁ consiste nell'offrire supporto emotivo e spirituale ai pazienti e ai loro parenti. Egli non eÁ di aiuto solo nell'area religiosa, ma con l'ausilio della pastorale e della psicologia offre anche supporto emotivo. Oltre che ai pazienti e ai loro familiari, il cappellano offre i suoi servizi anche al personale dell'hospice. 2. Qualificazione Oltre al diploma in teologia e all'ordinazione, il cappellano deve avere le seguenti qualifiche e formazione: 63 DOCUMENTI porto alle questioni spirituali. - Fa del suo meglio per migliorare le conoscenze e le abilitaÁ nello sviluppo e crescita personale e professionale. - Partecipa a training, conferenze, congressi e programmi scientifici. - Temi esistenziali: esplorazione, comprensione e aiuto. - Aiuto nel risolvere diversi problemi e disordini. - Assistenza nel riconoscere la morte e nel vivere la relazione con tale realtaÁ. - Aiuto a mantenere la dignitaÁ umana. - Supporto emotivo e spirituale ai membri dell'eÂquipe. - Assistenza nel processo del lutto. 4. FinalitaÁ e risultati - Sollievo dell'ansietaÁ emotiva e spirituale; offerta di supporto. Per uno svolgimento adeguato della sua missione accanto ai malati, oltre a una profonda spiritualitaÁ il cappellano deve possedere una competenza e preparazione professionale che gli permettano sia di conoscere adeguatamente la psicologia del malato e di stabilire con lui una relazione significativa, sia di praticare una valida collaborazione interdisciplinare. (La pastorale della salute nella Chiesa italiana, n. 40) 64 N O T I Z I E ro, autentico e paritario. EÁ un esempio di vera democrazia della pace, e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno, che, pur nascendo dalla turbolenza del dolore nelle piuÁ diverse esperienze, ci apre ad una profonda accettazione dell'alteritaÁ umana e alla compassione (da cum-patire = soffrire con) sanante. Si tratta di un movimento eccentrico di apertura agli altri a cui segue un movimento concentrico in cui si torna su se stessi per riflettere su quanto abbiamo ricevuto da tutti i presenti: se ci pensiamo, eÁ quanto fa fisiologicamente il nostro cuore con la sistole e la diastole, e simbolicamente sono proprio questi due movimenti successivi che ci garantiscono la vita. La presenza di volti nuovi che operano anche nell'accompagnamento dei malati in fase terminale della vita in hospice e a domicilio (Monza, Roma, Treviso, Suzzara), di giornalisti, di operatori di centri di ascolto diocesani, ha fatto sõÁ che fossero colte sfaccettature diverse del pianeta «dolore» e individuate ipotesi di apertura di nuovi gruppi di mutuo aiuto per il lutto in nuove cittaÁ italiane. L'organizzatrice ha curato una bibliografia con diverse recensioni di libri recenti sul tema morte, lutto, gruppi di mutuo aiuto e gestione del dolore e ha messo a disposizione alcune pubblicazioni e testi interessanti di autori presenti al Convegno, per incentivare la riflessione. 1. III Convegno nazionale dei gruppi di mutuo aiuto per il lutto: «Condividere per vivere, risorse del mutuo aiuto nel cordoglio'' La cornice del Convegno, tenutosi dal 21 al 23 febbraio 2002, eÁ stata Assisi e in particolare S. Maria degli Angeli e la Porziuncola. La prospettiva degli organizzatori era quella di fornire un luogo spiritualmente sereno per ritrovarsi e conoscersi, dando anche l'opportunitaÁ di giungervi con le famiglie, per gestire insieme lo spazio acerbo del dolore, conoscere le opportunitaÁ nel territorio nazionale ed esplorare nuovi percorsi creativi di guarigione. GiaÁ il programma rispecchiava la volontaÁ del Comitato di coordinamento nazionale, costituito nel 2002, di ampliare il raggio di interesse affrontando nelle varie relazioni il lutto negli aspetti sociale (Colusso Giuffrida), spirituale (Peruggia), religioso (Valentina e Giancarlo Migliavacca), psicorelazionale (Pangrazzi, Scaramuzzi), gestionale (Cazzaniga), organizzativo funerario (FENIOF, Gruber), laico (Casellato-Trevisin). Dopo il raccordo tra il passato e il futuro espresso nella relazione inaugurale di Ornella Scaramuzzi, si eÁ dato tempo alla conoscenza reciproca in un momento di assemblea circolare. EÁ il momento affettivo in cui, da una piccola fiammella, si accende un faloÁ di condivisione che brucia mentre si sta insieme e alimenta il dialogo libe65 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 NOTIZIE Non sono mancati momenti di libertaÁ personale per visitare Assisi e opportunitaÁ comunitarie come la visione di un film: La stanza del figlio e la Messa domenicale in Porziuncola. Lavorare con i simboli diventa occasione per la memoria di riportarci nel presente chi non c'eÁ piuÁ dando un valore di concretezza parziale alla loro assenza. Abbiamo infatti un estremo bisogno di percepire con i sensi, di vedere, di toccare e ci manca soprattutto la loro corporeitaÁ. Il simbolo, pur essendo una rappresentazione oggettiva, eÁ investito di forte soggettivitaÁ e aiuta perche non ferisce quanto l'immagine degli scomparsi. La memoria eÁ dunque luogo di relazione. Il passo successivo eÁ sapersi separare dai simboli quando si interiorizzano i significati e i sentimenti che ci legano ad essi e avviene l'assimilazione dei doni valori del defunto che diventano radici per una nuova vita. Gianluigi Peruggia ha introdotto il tema delle Risorse spirituali nel lutto, sviluppato dai coniugi Migliavacca dell'Associazione Famiglie in cammino, che hanno perso un figlio ventiduenne. Enrico Cazzaniga ha parlato de I gruppi di mutuo aiuto: operatore sõÁ, operatore no? Ha subito stigmatizzato che offrire aiuto non significa aiutare ma ottimizzare gli strumenti di aiuto, perche c'eÁ una centralitaÁ di bisogni non di ruoli. Indicatori per l'aiuto sono la solitudine del morente e la solitudine di familiari. Occorre stabilire una rete fra servizi sociali formali e informali (i gruppi di mutuo aiuto) che dovrebbero agire in sinergia. Scaturisce la necessitaÁ di una relazione fra gruppi AMA e operatori professionali basata sulla non com- Le relazioni principali Le relazioni principali sono state tenute da: Luigi Colosso: ha parlato de L'auto e mutuo aiuto nel progetto «Rimanere insieme» dell'ADVAR di Treviso. Arnaldo Pangrazzi: ha esposto il tema Il gruppo: luogo per guarire il dolore. Ornella Scaramuzzi: ha creato un'estemporanea riunione di gruppo, invitando sul momento 4-5 partecipanti a formare un piccolo gruppo, in un'assemblea spettatrice, su un tema interessante: L'uso dei simboli, strumento creativo di guarigione. Partendo dalla ricerca di un simbolo del defunto che ciascuno conserva e ritiene importante (oggetti, usanze, atteggiamenti), ogni persona ha narrato la storia personale legata al simbolo ed eÁ stata invitata a riflettere e ad esprimere il valore ad esso attribuito, per esempio memoria (a volte si teme di dimenticare la persona cara), affetto (valore consolatorio), monito (presenza orientatrice dopo la morte), ed altre possibilitaÁ. Hanno poi condiviso il sentimento che il simbolo risveglia in loro. Infine hanno elaborato un simbolo personale per descrivere il rapporto avuto con il proprio caro defunto facendo un nuovo passaggio mentale. 66 NOTIZIE renti o perche non esiste luogo diverso. Talvolta poi da alcuni parroci viene negato il rispetto della volontaÁ del defunto e si offre solo la possibilitaÁ di una cerimonia funeraria di tipo cattolico altrimenti il morto viene emarginato, con rabbia e ulteriore solitudine e dolore dei parenti. Samuele Bortolozzo della Feniof-Cof di Treviso rappresenta i giovani imprenditori funebri nati nel 1994 per diffondere la cultura del lutto aldilaÁ del momento del servizio funebre. Sfidando lo scetticismo di sacerdoti e psicologi, hanno diffuso depliants fra la popolazione del luogo e realizzato tre incontri molto accorsati sul lutto. Se si acquisisce una dimestichezza con la morte come evento che appartiene alla vita, si puoÁ anche forse programmare il proprio funerale in anticipo. Peter Gruber espone un'iniziativa di due colleghe assistenti spirituali dell'ospedale di Bolzano, Renate Troggler e Judith Terzer, insieme ad alcune ostetriche e medici. Per consuetudine i feti nati nel secondo trimestre di gravidanza o i bambini nati morti o non sopravvissuti alla prematuritaÁ (N.B.: secondo la legislazione italiana se nati prima della 28esima settimana non hanno nemmeno dati anagrafici), vengono avviati all'inceneritore se i genitori non ne chiedono il corpo per la sepoltura nella tomba di famiglia. A questo punto le assistenti spirituali hanno dunque pensato a realizzare, d'accordo con il comune di Bolzano, la tomba comune dei feti. Si eÁ potuto restituire un valore sacro petitivitaÁ, sulla diversitaÁ e sulla interdipendenza degli aiuti, sull'integrazione dei diversi saperi scientifico ed esperienziale, sempre aperti al cambiamento. Attraverso lucidi ha poi presentato il modello della consulenza, come relazione asimmetrica, e il modello della formazione che crea una relazione tra pari nei gruppi di mutuo aiuto. Gruppi autogestiti: il cuore della condivisione EÁ stato dedicato ampio spazio, gradito a tutti, a quattro gruppi autogestiti senza tema prestabilito, in modo da far scaturire liberamente le problematiche di maggior interesse da condividere, riassumendone poi i contenuti piuÁ tardi in una riunione plenaria moderata da Dario Pangrazzi. Comunicazioni: le novitaÁ nazionali Alessandro Casellato e Angela Trevisin di Treviso in rappresentanza dell'Associazione Ginestra. Il nome trae spunto dall'omonima poesia di Leopardi ove si parla di un fiore resistente ma caduco e di disperazione e di radicalitaÁ del male. Leopardi vedeva nella solidarietaÁ umana la risorsa contro la natura maligna. Con questa motivazione si muove il loro progetto per avere una sala cittadina, sala del commiato, per celebrare un funerale laico tra incontro e memoria secondo la volontaÁ laica del defunto. Si assiste a volte a forzature di riti svolti in Chiesa perche cosõÁ lo vogliono i pa67 NOTIZIE con una piccola cerimonia, ad un momento certamente molto doloroso per i genitori e assicurare un luogo gratuito dove poter tornare a ricordare il proprio figlio e vivere piuÁ dolcemente il cordoglio nell'attesa della Risurrezione che eÁ per tutti. Inoltre nella seconda domenica d'avvento ricordano questi bambini che non hanno mai visto la luce. Usano poi distribuire alle gestanti ricoverate per gravi problemi che potrebbero condurre alla morte del feto, un depliant molto chiaro e delicato, che rende nota l'iniziativa e come possono essere poi accompagnati nel lutto da un supporto di tipo psicologico se lo desiderano. EÁ questo un segno di come la creativitaÁ femminile puoÁ trasformare la Chiesa. zonti piuÁ coraggiosi e solidali perche nascono dalla considerazione delle ferite e del limite a cui inevitabilmente ci richiamano. Ornella Scaramuzzi 2. Cappellani ospedalieri verso una `rivoluzione' interreligiosa «Tempo dieci anni, e il nostro lavoro cambieraÁ cosõÁ tanto che lo troverete irriconoscibile!». L'affermazione entusiastica eÁ del pastore luterano George Handzo, uno degli organizzatori della prima conferenza interreligiosa dei cappellani ospedalieri del Nordamerica. Al meeting, tenutosi a Toronto dal 23 al 26 febbraio, hanno preso parte circa 1.200 operatori del settore da Stati Uniti e Canada, tra cristiani, ebrei, musulmani, buddhisti ed esponenti di altre comunitaÁ di fede. I convenuti hanno fissato le basi per poter condividere, in futuro, standard professionali, principi etici e modelli pastorali, in modo da poter parlare con un'unica voce di fronte agli amministratori delle strutture ospedaliere, al personale medico e alle autoritaÁ religiose. D'ora in poi i maggiori organismi presenti all'incontro ± tra cui l'Associazione nazionale (Usa) dei cappellani cattolici ± collaboreranno piuÁ strettamente per arrivare, passo dopo passo, all'obiettivo che si sono prefissati. L'incontro intendeva essere ``epocale'' fin dall'inizio, giocando sulle quattro lettere che compongono la parola EPIC: autorizzazione (Empo- Conclusione Il prossimo convegno si terraÁ a Milano dal 19 al 21 marzo 2004. C'eÁ giaÁ un sito internet: www.space.virgilio.it/[email protected] al quale mi auguro si possano presto connettere con link in rete altri gruppi per il lutto. Presto saranno pronti anche gli Atti del Convegno perche si possa tornare a riflettere su cioÁ che si eÁ realizzato, migliorare l'attivitaÁ dei gruppi di mutuo aiuto per il lutto e divulgarne il significato profondo di sostegno all'essere umano che attraversa periodi critici della propria esistenza. Maturare interiormente eÁ una sfida per la crescita personale e per la societaÁ stessa che si orienta verso oriz68 NOTIZIE in situazioni tragiche. I gruppi di lavoro hanno approfondito argomenti come la risposta delle fedi all'11 settembre, la guarigione spirituale nell'islam, l'approccio buddhista al termine della vita, la lotta al razzismo e all'Aids, la cura pastorale dei sopravvissuti alla Shoah werment), Presenza, IntegritaÁ, Compassione. A promuoverlo eÁ stata Health Care Chaplaincy, una comunitaÁ interreligiosa attiva in una quarantina di cliniche americane. I temi trattati, quelli comuni a quanti si prendono cura del benessere spirituale del malato: la competenza necessaria, come affrontare il momento della morte, il servizio dei cappellani (Da: Jesus, 4-2003, p. 20) ( d.r.) «Nessuna forma di cooperazione, illuminata da spirito evangelico, eÁ piuÁ urgente, maggiormente sentita e piuÁ capace d'aggregazione di quella che si pone al servizio dell'uomo in cioÁ che all'uomo eÁ piuÁ caro e vitale: la promozione e la difesa della vita e della salute. La valenza ecumenica di questo servizio ed apostolato eÁ straordinaria, soprattutto percheÂ, attraverso l'unitaÁ nell'operare nel nome della caritaÁ, si gettano le premesse del dialogo e dell'incontro nella veritaÁ». (Card. Fiorenzo Angelini) 69 V I T A D E L L ' A S S O C I A Z I O N E CONSIGLIO NAZIONALE 19-21 gennaio 2003 Verona, Centro Mons. Carraro insieme ordinato, di estremo valore e profetico. C'eÁ stata una vera e propria svolta culturale da cui non si puoÁ tornare indietro. La presenza dei relatori, altamente qualificata, era anche rappresentativa delle migliori scuole di teologia e di pastorale sanitaria attuali: Calduch-Benages (Gregoriana), Messina (Camillianum), Castenetto (FacoltaÁ Teologica dell'Italia Settentrionale), Caretta (UniveristaÁ Cattolica), Farina (Salesiani), non meno competenti anche Ricci e Bettinelli. La prima sezione si chiude alle ore 22.30. Alle ore 9.00 si riapre la seduta del Consiglio, dopo aver celebrato l'Eucaristia alle ore 7.30. Si aggiunge al gruppo P. Giancarlo Manzoni (totale presenti 13). Si aggiungono altre considerazioni sul convegno di Collevalenza 2002. Tra gli aspetti critici si evidenziano: la mancata presenza di Mons. Pintor che a detta di tutti eÁ segno di un clima di tensione tra l'associazione e l'ufficio nazionale e la poca attinenza dell'interevento sui cappellani col tema generale. Viene evidenziata la bellezza del depliant, la cura dell'accoglienza mentre vengono discussi sia l'orga- Il giorno 19 gennaio 2003, alle ore 21,15 si eÁ riunito il Consiglio Nazionale dell'A.I.PA.S. presso il Centro Mons. Carraro di Verona. Presenti: Vesentini don Roberto Presidente, Di Taranto P. Leonardo VicePresidente, Martello don Antonio Tesoriere, Cervellera dr. Gianni Segretario; i consiglieri: Arice don Carmine, Brambilla sr. Margareth, Carrucciu P. Giuseppe, Gavotti P. Edoardo, Nardin Sr. Adriana, Parma Fra Anselmo, Scaramuzzi d.ssa Ornella, Testa p. Lorenzo. Assenti: Ghilardi p. Giuseppe, Bucci p. Luca, Bufarini p. Lorenzo, Langone p. Domenico, Manzoni p. Giancarlo, Mihajlovic' diac. Arsen, Santini Fra Antonio, La riunione viene aperta dal Presidente che introduce con una breve preghiera. 1. Valutazione del convegno di Collevalenza 2002 I presenti iniziano una prima valutazione del convegno trascorso. L'analisi dettagliata rivela che il convegno eÁ stato uno dei piuÁ riusciti degli ultimi anni. La qualitaÁ dei relatori, la connessione tematica degli argomenti, la presenza massiccia e qualificata dei partecipanti hanno composto un 70 Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003 NOTIZIE piena fiducia alla linea editoriale. Padre Lorenzo testa si eÁ offerto per tenere e aggiornare l'archivio degli abbonati alla rivista. nizzazione dell'ufficio stampa che la liturgia. 2. Il presidente ha posto l'attenzione sugli assenti, invitando i presenti a prendere una decisione sui consiglieri che non hanno mai partecipato alle riunioni. 3. Convegno nazionale 2003. Il Consiglio prende in esame alcune questioni ed elabora il tema del convegno. Dopo ampia discussione e confronto si decide per il tema: «Felice l'uomo che ha cura del debole. La gioia del dono», con un'attenzione specifica al tema della felicitaÁ per chi opera in pastorale della salute e si dona al servizio degli altri. Viene definito il programma nei dettagli e si procede sulla bozza che segue: 3. Il Consiglio ha accolto la presenza di Padre Angelo Brusco in qualitaÁ di direttore della rivista ed ha affrontato le questioni relative. In particolare eÁ stata contestata la scelta di pubblicare gli Atti dell'ultimo convegno in tre numeri differenti, venendo cosõÁ a mancare il tradizionale numero unico con gli atti. Per il resto eÁ stata confermata BOZZA DEL PROGRAMMA TEMA: DATE: LUOGO: Felice l'uomo che ha cura del debole. La gioia del dono 6-10 ottobre 2002 Collevalenza (PG), Santuario dell'Amore Misericordioso LunedõÁ, 6 ottobre 2002 Arrivi e sistemazioni 18,00 Commissione Formazione per i nuovi soci 19.00 S. Messa 20,00 Cena (buffet con specialitaÁ regionali portate dai partecipanti) 21,15 Consiglio Nazionale MartedõÁ, 7 ottobre 2002 7,15 Celebrazione Eucaristica Fra PASCUAL PILES - Superiore Generale dei Fatebenefratelli 9,00 Saluto del Presidente 71 NOTIZIE 9,30 Relazione culturale L'universale desiderio di felicitaÁ FRANCESCO ALBERONI 11,30 15,00 16,30 19,30 21,15 Comunicazione sul disagio sociale (comunitaÁ di recupero) Ricostruire la gioia FRANCESCO ZAMBOTTI (camilliano) Assemblea Nazionale Testimonianze S. Giuliano di Puglia Mutuo-aiuto - Missionaria della caritaÁ Vespri Film AMARSI Á, 8 ottobre 2002 Mercoledõ Mercoledõ, 7,30 9,00 11,00 Lodi Relazione psicologica FelicitaÁ e maturitaÁ umana EUGENIO FIZZOTTI (Rettore UPS) Comunicazione sul disagio mentale La felicitaÁ negata MARCO FABELLO (Fatebenefratello) POMERIGGIO AD ORVIETO 16,30 Celebrazione Eucaristica Fra GIACOMO BINI - Ministro Generale dei Frati Minori 21,00 FIACCOLATA COL ROSARIO Á, 9 ottobre 2002 Giovedõ Giovedõ, 7,15 9,00 Celebrazione Eucaristica Mons. COCCHI - Presidente Consulta Episcopale CEI Relazione biblico-teologica FelicitaÁ e grazia mi saranno compagne. Mons. BRUNO MAGGIONI (biblista, docente UniversitaÁ Cattolica) 72 NOTIZIE 11,00 Salmo attualizzato DON SERGIO CARRARINI 11,30 Comunicazione sulle cure palliative Il ministero della consolazione Don GIANLUIGI PERUGGIA 16,00 Comunicazione pastorale Sfide etiche e culturali per la pastorale della salute Mons. SERGIO PINTOR (Responsabile Ufficio Nazionale Pastorale della salute) 17,30 Comunicazione su ludoterapia Ridere per vivere SPINA FIORAVANTI 19,30 Vespri 21,00 Spettacolo: RIDERE PER VIVERE Á, 10 ottobre 2002 Venerdõ Venerdõ, 7,15 Celebrazione Eucaristica Mons. BRAMBILLA - Vescovo 9,00 Relazione spirituale La spiritualitaÁ della gioia LUCIANO MANICARDI (comunitaÁ di Bose) 11,00 Chiusura del Convegno Saluto del Presidente Registrazioni: Adriana Nardin Raccolta preghiere mensa (Sulla gioia): Margareth Brambilla UFFICI Presidente: Roberto Vesentini Moderatore: Cristina Beffa Segretario: Gianni Cervellera Economo: Antonio Martello Anim. Liturgica (messe mariane): Cecilia Stiz Giuseppe Carrucciu Ufficio Stampa: Ornella Scaramuzzi Indicazioni pratiche: a. Libretto liturgia che contenga soprattutto i canti, sia piuÁ modesto del precedente. 73 NOTIZIE i soci nelle diverse regioni: - struttura regionale - presenza degli ordini religiosi - rivista per i soci - tessera per isoci - elementi fondativi - identitaÁ - criteri di appartenenza - formazione - relazioni A.I.Pa.S-CEI b. A gestire l'ufficio stampa saraÁ invitato un giornalista del Sir di nostra conoscenza che saraÁ coadiuvato dal referente interno del consiglio. c. Al deÂpliant saraÁ allegata la scheda di iscrizione. Le iscrizioni saranno accettate solo per iscritto, tramite scheda, fax o via mail. 5. Infine, il Consiglio decide di rinviare gli altri temi in discussione nell'Associazione alle assemblee del convegno nazionale. Si propone di arrivare a queste con una traccia comune di riflessione. Si decide che entro il mese di giugno i consiglieri facciano arrivare le osservazioni sui seguenti punti e nella elaborazione vengono coinvolti tutti Il Consiglio nazionale si chiude alle ore 11.00 del giorno 21 gennaio 2003. Il presidente Don Roberto Vesentini Il segretario Giovanni Cervellera 74 S E Z I O N E B I B L I O G R A F I C A A cura di Ornella Scaramuzzi di figli portatori di handicap, il rapporto medico-immigrato, i diritti del bambino sieropositivo, sono questioni di vita passate al vaglio della bioetica personalista. Interessanti il capitolo della psicologia dello sviluppo e in esso, l'abuso mediatico e di internet nei quali si sottolinea che se manca la presenza attenta e affettivo-dialogante con un genitore, il bambino rischia l'alienazione e la massificazione. Il capitolo della pediatria sociale mette in luce i vari tipi di abusi sui minori: siamo di fronte a casi di coscienza frequenti e diffusi sulla platea del nostro osceno mondo. Che ricetta dunque eÁ possibile cogliere nel libro? Quella di essere vigilanti e aperti alla conoscenza dei problemi, e di reagire nella solidarietaÁ anche denunciando, ove necessario, e potenziando i servizi medici e sociali, avendo cura di trattare sempre con amore quei soggetti naturalmente deboli e preziosi che sono tutti i bambini. Per questo i Latini dicevano: «Maxima debetur puero reverentia». 1. Leone S. e Lo Giudice M., Maxima debetur puero reverentia: una bioetica per la promozione dell'infanzia, Istituto siciliano di bioetica, Acireale (CT) 2002 L'esistenza biografica di un neonato inizia quando, in sala parto, «la madre che ha tenuto in se il bambino, partorendo lo presenta al padre, ricongiungendo cosõÁ il suo ruolo di madre a quello di moglie. Il padre, d'altra parte, che fino allora non ha mai visto ne sentito in se il figlio, lo conosce per la prima volta ricongiungendo il suo ruolo di marito a quello di padre. I coniugi, nel figlio, si scoprono genitori e da nuovi genitori riconoscono il frutto della loro coniugalitaÁ». Credo che queste parole degli autori siano la recensione piuÁ vera ad un parlare di bioetica per l'infanzia, perche con poche righe si stabilisce lo sguardo con cui si affronta l'argomento. Sono occhi di pediatra e di ginecologo, occhi di madre e di padre, di donna e di uomo che credono nella vita che eÁ sacra in se ma che ha bisogno di essere riconosciuta sacra nella culla della genitorialitaÁ paritaria, per essere scoperta, con incantato stupore, meraviglia in divenire dal primo all'ultimo respiro. Il testo si snoda con un parlare chiaro e di ampio orientamento in tematiche scottanti della nostra epoca; eppure si nota una capacitaÁ di sintesi che rende il libro certamente divulgativo non solo per gli operatori sanitari ma anche per chi eÁ interessato ad una vasta panoramica dei problemi dell'infanzia. Temi come l'incuria del neonato, la morte improvvisa per SIDS, l'approccio comunicativo con i genitori nel caso di malattie genetiche e di malformazioni, e 2. Cantelmi T. e Giardina Grifo L., La mente virtuale. L'affascinante ragnatela di Internet, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2002 L'apertura al mondo multimediale eÁ sempre piuÁ frequente per l'uomo d'oggi. Il rapporto col virtuale mentre ampia le possibilitaÁ conoscitive, non eÁ esente da limiti e da svantaggi che gli autori, psichiatra il primo, psicologa la seconda, stanno valutando attentamente da anni. Nella prima parte si fa un'analisi quasi storica della comunicazione mediatica 75 Insieme per Servire n. 54 - Anno XVI n. 4 - Ottobre-Dicembre 2002 SEZIONE BIBLIOGRAFICA 3. Bertoldi S. e Vanzetta M., I gruppi di mutuo aiuto e l'esperienza dell'Associazione A.M.A. di Trento, pubblicato per conto dell'Associazione, A.M.A., Trento 2002 Alla rete informale dei servizi appartiene anche la realtaÁ dei gruppi di auto e mutuo aiuto. Quando si vive un problema ed esso nasce da vari disordini o disagi personali e sociali, non sempre le medicine sono una garanzia per risolverlo. A volte le istituzioni e i professionisti, benche utili nell'immediato, non danno adeguato accompagnamento nel tempo alla persona che soffre. Per questo, sulla traccia dettata dagli alcoolisti anonimi, varie patologie o problemi vengono affrontati dal basso, facendo leva sulle motivazioni, sull'interesse e sulle esperienze delle persone direttamente coinvolte. Secondo la definizione dell'OMS (Organizzazione Mondiale della SanitaÁ) l'auto mutuo aiuto eÁ dato dall'insieme di «tutte le misure adottate da non professionisti per promuovere, mantenere o recuperare la salute intesa come completo benessere fisico, psicologico e sociale, di una determinata comunitaÁ». L'associazione A.M.A. di Trento in questo libro presenta le molteplici attivitaÁ dei gruppi da essa promossi, con uno sguardo anche allo sviluppo e talvolta ai risultati raggiunti. La vita dell'uomo eÁ complessa e sfogliando l'indice del testo si vede quanti ostacoli a volte bloccano le persone fissandole in una solitudine sterile e paralizzante. I gruppi nascono sempre dalla capacitaÁ personale di riconoscersi nel bisogno attivando se stessi e gli altri nel problema che si sta vivendo, e dal confronto gradualmente emergono le risorse per uscire dalla difficoltaÁ. L'A.M.A. di Trento promuove ogni passando poi a considerare fenomeni patologici come la trance dissociativa da videoterminale. Viene poi tracciata la personalitaÁ piuÁ frequente dei «retomani» a rischio di IAD (Internet Addiction Disorder = Sindrome da dipendenza da internet): circa 30-35 anni, quasi sempre celibi o nubili, con problemi infantili di rapporto con le prime figure di attaccamento per cui maturano un rapporto relazionale difficile con gli altri. I sintomi piuÁ comuni sono ansia, irrequietezza, apatia, bisogno di incrementare il numero di ore trascorse al computer, insieme al diminuire dell'interesse al rapporto interpersonale e al lavoro. Il mezzo virtuale permette inoltre di nascondere la propria identitaÁ e di rappresentarsi agli altri in modo fantastico: tutto questo puoÁ condurre ad una depersonalizzazione mentale. Tuttavia il mezzo mediatico puoÁ favorire la comunicazione di soggetti timidi o lontani dai centri di sostegno a cui si rivolgono, come si deduce dall'esperienza di sostegno on-line presente sul sito «Progetto diabete». Molto dipende dai professionisti che sono dall'altra parte i quali devono saper decodificare dal lessico e dalle modalitaÁ di scrittura, almeno una parte del fondamentale messaggio del corpo che qui viene a mancare. PuoÁ essere molto utile per tutti gli operatori pastorali dunque conoscere queste possibilitaÁ comunicative nuove per essere pronti ad affrontare tali problematiche con i malati. Utilizzando le potenzialitaÁ positive e conoscendo anche i rischi e i limiti, saraÁ possibile sviluppare relazioni umane ed efficaci anche nei tempi del virtuale. 76 SEZIONE BIBLIOGRAFICA vi e tragici episodi di intolleranza insanguinano il nostro mondo e lo stridore di ingiustizie e di guerra lacera l'armonia. Significa cercare le ragioni di convergenza, cioÁ che ci unisce piuÁ che cioÁ che ci divide attraverso l'antropologia, la medicina, la bioetica. L'accoglienza dell'altro implica la conoscenza del suo modo di essere, delle tradizioni e delle aspirazioni e il rispetto incondizionato del suo modo di vivere e di soffrire. L'ecumenismo religioso si fonda necessariamente su un ecumenismo antropologico capace di rinunciare alla paralisi dello scetticismo e del gretto fondamentalismo di parte per aprire il cuore e la mente alla diversitaÁ. Dal confronto senza pregiudizi e senza rinunciare al proprio credo eÁ cosõÁ possibile riconoscerci tutti, figli fragili di un'umanitaÁ in cammino che puoÁ integrarsi nel dialogo, anche a partire dal comune denominatore della sofferenza. anno dei corsi formativi per animatori di gruppi per vari disagi. Inoltre ogni volta che sta per nascere un nuovo gruppo si prende cura di tenere alcuni corsi preliminari di orientamento, miranti a comprendere la metodologia del gruppo, a focalizzare con l'aiuto di uno psicologo, il problema per cui ci si attiva, a intravedere le finalitaÁ dello stare insieme. Si tratta di una specie di lancio guidato del gruppo stesso che poi continueraÁ a riunirsi da solo, dandosi cadenze di incontri e modalitaÁ interne di auto aiuto specifiche. Un libro dunque interessante per professionisti dell'aiuto e non, che possono cosõÁ conoscere i vantaggi di una metodologia informale di sostegno su cui contare o con cui collaborare. 4. AA.VV.. Salute, malattia e morte nelle grandi religioni,, a cura di Arnaldo Pangrazzi, Ed. Camilliane, Torino 2002 Il testo raccoglie gli atti del Convegno dell'AIPAS che si eÁ tenuto a Collevalenza nel 2001. EÁ diventato un libro a se perche si offre ampiamente all'interesse non solo del clero e di quanti si impegnano per la pastorale sanitaria ma di tutti coloro che quotidianamente, lavorando per la salute dei malati, possono incontrare nelle corsie e nel territorio pazienti di diverse etnie. Attraverso le voci dei rappresentanti delle tre religioni monoteiste ebraismo, islamismo e cristianesimo e in quest'ultimo ascoltando gli esempi dei suoi rami protestante, ortodosso e cattolico, e infine i buddisti, e gli induisti, si ottiene un quadro di come ciascuno di essi si pone dinanzi alla sofferenza, alla malattia e alla morte e ai suoi rituali. EÁ un po' vedere le religioni al letto del malato al giorno d'oggi, quando gra- 5. Crozzoli Aite L. (a cura di), Assenza, piuÁ acuta presenza,, Ed. Paoline,Milano 2003 Dopo un precedente testo SaraÁ cosõÁ lasciare la vita, edito sempre dalle Edizioni Paoline nel 2001, Livia Crozzoli torna a mettere insieme molte voci, alcune delle quali ascoltate durante il Convegno annuale dallo stesso titolo che si eÁ tenuto a Roma, all'Accademia nazionale dei Lincei, il 1 marzo 2003, di ampia prospettiva intorno al tema del percorso umano di fronte all'esperienza della perdita e del lutto. Il libro eÁ suddiviso in tre parti principali: I Verso la fine di una vita, II Il confronto con la perdita, III Gli operatori tra disagio e presenza. Professionisti dell'aiuto di varia formazione raccontano il loro modo di in77 SEZIONE BIBLIOGRAFICA bini in fase terminale della vita a cercare un senso nel tormento: a volte le risposte piuÁ efficaci per i malati sono scaturite non dalla religione, a causa di apprendimenti catechetici freddi e lontani, ma dallo sperimentare la calda vicinanza dell'operatore cristiano capace di tradurre in atti costanti la sua fede. Non mancano le esperienze di aiuto sociale nel lutto sorte con i gruppi di mutuo aiuto che seguono varie metodologie di sostegno e infine lo sguardo al disagio degli operatori in ospedale e fuori nell'ottica di come aiutare gli aiutanti quotidianamente di fronte al dolore a conoscere se stessi con valori, limiti, ombre, risorse, per capire per se e per gli altri che si sta vivendo insieme un passaggio di crescita estremamente importante. Il libro dunque eÁ molto denso e ricco di spunti interessanti, anche se leggere un testo a molte voci, costringe il lettore a un continuo riadattarsi a stili di narrazione diversi. Tuttavia l'abile e paziente lavoro della curatrice fa riconoscere l'unitaÁ tematica nella poliedricitaÁ delle descrizioni per cui l'effetto finale eÁ quello di un prisma dalle molte facce illuminate dalla luce della intelligenza, dalla dolorosa esperienza conoscitiva e dall'amore. tervenire nei luoghi della sofferenza, intesi non solo come spazi esterni ma soprattutto interiori il cui accesso eÁ legato al saper stabilire relazioni significative, cogliendo il succo della vita in comune per chi sta per morire e per chi lo accompagna alla soglia del mistero. Il termine lutto anticipatorio eÁ rivisitato per intenderlo non piuÁ come cordoglio per la propria morte della quale eÁ impossibile avere percezione concreta, ma come cordoglio per le numerose perdite che si stanno subendo e preparazione alla morte. Molto interessante l'analisi dei sogni dei morenti che permette di capire che il nostro inconscio non teme la morte come termine della vita ma come modo in cui si muore. Dunque la ricerca ultima eÁ quella di una riunificazione personale che dia senso al passato e al presente in un processo di nascita interiore o di compimento che eÁ facilitato dalla comprensione e dalla compassione attiva di chi sta accanto. Ci sono squarci di accompagnamento familiare oltre che dei bambini oncologici stessi, attraverso l'esplorazione delle situazioni emotive vissute e con alcune esperienze ludiche e di arte-terapia. C'eÁ la voce di un cappellano che per lunghi anni ha accompagnato i genitori di bam- 78