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Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
Sommario
EDITORIALE
A. BRUSCO, Non piangere non ridere, ma comprendere.. .................................... pag. 3
IL MESSAGGIO DEL TRIMESTRE. .........................................................................
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STUDI
F. CARRETTA, La presenza della donna nella pastorale della salute.. ....................
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C. BETTINELLI, Il genio femminile, oggi. ..........................................................
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INTERMEZZO ..................................................................................................
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PASTORALE
UNA CHIESA PARTICOLARE S'INTERROGA .........................................................
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* G. SANGUINETI, ComunitaÁ ecclesiale e pastorale della salute. ..........................
30
* G.ZANINETTA, Risposta al Vescovo.. .............................................................
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* C. BRESCIANI, Quale futuro per la sanitaÁ cattolica a Brescia?............................
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O. SCARAMUZZI, Una dialisi difficile. ...............................................................
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ESPERIENZE
S. SERAFINI Accompagnare i morenti a domicilio...............................................
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VARIAZIONI ...................................................................................................
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TESTIMONI CONTEMPORANEI
Chiara Badano ................................................................................................
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DOCUMENTI
Messaggio di Giovanni Paolo II per l'XI Giornata mondiale del malato ...............
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Ruolo del `cappellano' nelle Cure Palliative .......................................................
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NOTIZIE ..........................................................................................................
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VITA DELL'ASSOCIAZIONE
G. CERVELLERA, Verbale del Consiglio nazionale..............................................
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SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE ....................................................................
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EDITORIALE
NON PIANGERE, NON RIDERE
MA COMPRENDERE!
Il coinvolgimento dei laici nella pastorale della salute
Angelo Brusco
Durante questi ultimi mesi ho avuto occasione di partecipare a vari incontri e convegni di pastorale della salute, notando e ammirando il cammino di crescita compiuto
da numerose comunitaÁ ecclesiali nel servizio del malato e nella promozione della salute.
In piuÁ di una di queste riunioni eÁ stato messo a tema il ruolo dei laici nella pastorale
della salute. In diversi ospedali, infatti, stanno costituendosi delle cappellanie, in cui
accanto ai sacerdoti si muovono religiosi/e e laici, impegnati in vari servizi tra cui la visita ai malati, la distribuzione dell'eucaristia, la partecipazione alle celebrazioni liturgiche. Si tratta di un fenomeno giaÁ consolidato in molti Paesi, ma che in Italia eÁ ancora
soggetto alle gioie e alle sofferenze degli inizi. Le gioie percheÂ, come ogni fenomeno
allo stato nascente, la cappellania accende le luci del nuovo, le sofferenze percheÂ
permangono ancora numerose le resistenze che si oppongono al suo crearsi.
Tornando da questi raduni, sono stato spesso accompagnato dall'impressione che
di fronte a quanto sta avvenendo nel mondo della pastorale della salute, e in particolare nell'area del coinvolgimento dei laici, si consumino troppe energie nel ridere o
nel piangere a spese del comprendere. Tanti lamenti e grida di soddisfazione spesso
non sono accompagnanti da quel pensiero meditante che consente di illuminare le
problematiche, aprendo la strada a linee operative piuÁ sicure.
Nell'ambito che stiamo considerando, infatti, tale pensiero meditante potrebbe aiutare a prendere una maggiore consapevolezza di alcuni passi da compiere, che ora
intendo brevemente indicare:
* Una piuÁ profonda riflessione teologica.
In tanti raduni accade di assistere a gravi superficialitaÁ dottrinali nell'affrontare temi
di ordine pastorale. L'appello frequente all'ecclesiologia di comunione, uno dei frutti
piuÁ significativi del Concilio e del post-concilio, rischia di cadere nella retorica se non
eÁ accompagnato da una chiara comprensione di tutti gli elementi che essa comporta.
Mi riferisco:
- All'identitaÁ del laico e alla sua missione nella Chiesa. Nel porre l'accento sui ministeri cui i laici giustamente potrebbero avere accesso nel mondo della salute, spesso
si corre il rischio di trascurare il compito precipuo che loro compete e che una delle
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EDITORIALE
relazioni nel Convegno di Collevalenza dello scorso anno e pubblicata nel presente
numero della rivista illustra in modo eccellente -,quello cioeÁ di ordinare effettivamente
il mondo della salute a Cristo (cf. Apostolicam Actuositatem, 2).
- Al rapporto tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune. In molti laici, e anche in alcuni sacerdoti, vi eÁ ancora mancanza di chiarezza a questo riguardo, con il
pericolo di acuire le giaÁ esistenti difficoltaÁ dovute a incompetenza relazionale.
- Alla natura della pastorale della salute. Se anche tra gli specialisti vi sono differenze nel definire la pastorale, che dire della comprensione che hanno molti laici, e alcuni sacerdoti, della presenza e dell'azione della comunitaÁ ecclesiale nel mondo della
salute? In tanti discorsi e conversazioni la pastorale viene ridotta ad un incontro di cui
si sottolineano prevalentemente gli aspetti umani che, pur importanti, non esprimono il
significato dell'azione salvifica se non sono tesi all'evangelizzazione e alla santificazione.
* L'istituzione di ministeri specifici per il mondo della salute.
L'interruzione del discorso sui ministeri laicali dopo la pubblicazione della Christifideles laici, rende piuÁ lenta la definizione di ruoli pastorali specifici dei laici nel mondo
della salute. Di grande vantaggio riuscirebbe uno studio sistematico per individuare,
anche alla luce della tradizione, precisi ministeri per il mondo sanitario, istituibili sia a
livello universale che locale.
* Una formazione piuÁ organica.
Il tema della riflessione teologica introduce a quello della formazione. In questi ultimi due decenni eÁ stato fatto molto in questo settore. Sono, infatti, sorte scuole, accademiche e non, si sono moltiplicati sessioni e convegni. Tutto questo fervore merita riconoscimento, indicando la volontaÁ di migliorare la qualitaÁ del ministero. Sono, tuttavia, rilevabili alcuni limiti:
- In molti programmi, il cammino formativo non supera il livello dell'informazione.
- A differenza di quanto avviene, per esempio, nell'ambito dell'insegnamento di religione, per gli operatori pastorali nel mondo della salute non sono stabiliti precisi requisiti formativi ne da parte dei vescovi ne da parte delle amministrazioni. Per i sacerdoti non eÁ richiesta la specializzazione in pastorale sanitaria, per i laici che potrebbero o vorrebbero far parte di una cappellania esistono programmi generici, che variano
da luogo e luogo, in termini sia quantitativi che qualitativi.
* Una struttura giuridica piuÁ adeguata.
Attualmente, in Italia, sono riconosciuti come cappellani unicamente i sacerdoti. In
alcune regioni le ASL accettano d'integrare nella cappellania religiosi/e e laici a patto
che non vi siano oneri finanziari. I tentativi di superare gli ostacoli che impediscono di
assumere a pieno titolo giuridico persone non ordinate quali operatori pastorali nel
mondo della salute sono molto rari e vengono scoraggiati dall'autoritaÁ superiore. Tranne qualche rara eccezione, i vescovi si trincerano dietro il Concordato. A nessuno
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EDITORIALE
sfugge che il mancato riconoscimento giuridico, con conseguente rimunerazione finanziaria, incide molto sul numero e sulla qualitaÁ delle persone che vengono coinvolte nella cappellania, riducendone l'impegno in termini sia di tempo che di continuitaÁ.
Se il pensiero meditante eÁ importante per camminare nella chiarezza e su basi sicure, esso peroÁ eÁ chiamato ad aprirsi all'operativitaÁ. Un passaggio difficile, praticabile
unicamente con l'ausilio di mediazioni efficaci.
Tale considerazione mi porta a terminare con un interrogativo: acquisendo un maggior peso politico, l'A.I.Pa.S non potrebbe essere una di tali mediazioni?
Degli Atti del Convegno di Collevalenza 2002, nel presente numero
sono pubblicati gli interventi della Dott.ssa Flavia Carretta
e di Sr. Carla Bettinelli,
e la presentazione della figura di Chiara Badano.
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I L M E S S A G G I O D E L T R I M E S T R E
L'anno del disabile
L'anno europeo dedicato alle persone disabili
offre agli operatori pastorali l'occasione di approfondire
e mettere in pratica il dono di seÂ, nella linea indicata dal sussidio
dell'Ufficio nazionale della CEI per la XI giornata mondiale del malato,
sensibilizzando le comunitaÁ in cui operano e aiutando gli stessi
portatori di handicap ad essere soggetti attivi e responsabili
dell'evangelizzazione e della salvezza.
E' quanto suggeriscono le parole del Papa che riportiamo.
«Con la vostra presenza,
carissimi fratelli e sorelle,
voi riaffermate che la disabilitaÁ non eÁ soltanto bisogno,
eÁ anche e soprattutto stimolo e sollecitazione.
Certo, essa eÁ domanda di aiuto, ma eÁ prima ancora
provocazione nei confronti degli egoismi individuali e collettivi;
eÁ invito a forme sempre nuove di fraternitaÁ.
Con la vostra realtaÁ, voi mettete in crisi le concezioni
della vita legate soltanto all'appagamento,
all'apparire, alla fretta, all'efficienza.
Anche la comunitaÁ ecclesiale si pone in ascolto rispettoso;
essa sente il bisogno di lasciarsi interrogare
dalla fatica di tante vostre esistenze segnate misteriosamente
e dalla sofferenza e dal disagio di eventi lesivi, congeniti o acquisiti.
Vuole farsi piuÁ vicina a voi e alle vostre famiglie,
consapevole che la disattenzione acuisce sofferenza e solitudine,
mentre la fede testimoniata dall'amore e nella gratuitaÁ
dona forza e senso alla vita».
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S
T
U
D
I
LA PRESENZA DELLA DONNA
NELLA PASTORALE DELLA SALUTE
Flavia Carretta
Istituto di Medicina Interna e Geriatria, UniversitaÁ Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria «Camillianum», Roma
ferma quanto Giovanni Paolo II sostiene nella Sua stupenda Lettera alle
donne: (...) «Certo molto ancora resta
da fare perche l'essere donna e madre
non comporti una discriminazione.».1
Infatti spesso la percentuale femminile tra i medici di piuÁ alto livello
(primari) o tra i vertici gestionali (direttori generali) eÁ molto bassa. Vi sono tuttavia notevoli differenze tra le
tre ``grandi regioni europee'' (Nord,
Centro e Sud Europa): la partecipazione delle donne ai livelli decisionali
elevati eÁ maggiore nei cinque paesi
del Nord Europa (Svezia, Finlandia,
Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna).
Essa si riduce, invece, nei sei paesi
dell'Europa Centrale (Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Germania, Austria) e nei quattro paesi del
Sud Europa (Italia, Spagna Portogallo e Grecia).2 Benche le donne siano
presenti in tutte le professioni sanitarie, esse sono concentrate in alcune
professioni: sono piuÁ numerose tra
biologi, psicologi, fisioterapisti, costituiscono ancora la maggioranza degli
infermieri ± oggi professione anche
maschile ± e delle professioni sanitarie non mediche, inoltre costituiscono la quasi totalitaÁ delle ostetriche.
Introduzione
Nella Carta degli Operatori Sanitari del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari si
afferma che la Chiesa ha sempre
guardato alla medicina come ad un
sostegno importante della propria
missione redentrice nei confronti dell'uomo: «Il servizio allo spirito dell'uomo non puoÁ attuarsi pienamente,
se non ponendosi come servizio alla
sua unitaÁ psicofisica» (n. 5). Ne consegue che anche l'impegno professionale degli operatori sanitari partecipa
all'azione pastorale della Chiesa.
Per l'elevata presenza femminile il
mondo sanitario, che rappresenta
l'ambito in cui si inserisce la pastorale
della salute, costituisce certamente
un importante punto di osservazione
del ruolo delle donne.
Guardando ad esempio all'Europa, nel mondo della sanitaÁ le donne
costituiscono, in tutti i paesi europei,
i due terzi dell'occupazione in questo
settore e sono presenti in tutte le professioni sanitarie. Nello stesso tempo
peroÁ, si puoÁ notare che sono quasi
ovunque sotto ± rappresentate ai vertici decisionali. Dato questo che con7
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
STUDI
Cenni storici
loro femminile anima poetica, istituiscono il loro diritto; alle dottoresse la
donna e il bambino, nella prevenzione, nella tutela e nella cura».
Una situazione che eÁ andata modificandosi nei decenni successivi, tanto
che giaÁ da alcuni anni ± ed eÁ una tendenza generale nei paesi occidentali ±
gli studenti delle facoltaÁ di medicina
(in Italia giaÁ a partire dal 1996), sono
sempre piuÁ donne. Proprio a sottolineare questa inversione di tendenza, il
numero speciale di Lancet, la prestigiosa rivista medica inglese, uscito alla
fine dell'anno 1999, riportava due
schede dedicate alla «femminilizzazione della medicina».5
Se consideriamo ora piuÁ in generale il ruolo della donna in tutte le professioni sanitarie, eÁ evidente che alle
donne veniva attribuito un ruolo subordinato e complementare. Ma anche in questo campo si sono verificati
profondi cambiamenti, dovuti anche
al diversificarsi delle varie occupazioni sanitarie.
Se verso la metaÁ dell'Ottocento, lo
scenario sanitario era dominato da solo 3 professioni ± medici, farmacisti,
ostetriche ± nel volgere di alcuni decenni eÁ mutato il modo di esercitare
queste professioni e ne eÁ nata una
nuova: l'infermiere. Per arrivare ai nostri giorni, il numero di tali occupazioni si aggira su circa una trentina.
La sociologia delle professioni evidenzia l'esistenza di relazioni complesse fra queste varie professioni, tali
da configurare l'ambito sanitario come un sistema occupazionale che presenta caratteristiche uniche nel mondo del lavoro .6 Un esempio della trasformazione avvenuta eÁ costituita dal
Stando all'antico mito latino riportato nel Liber fabularum dallo storiografo Igino (II sec. d.C.) Cura eÁ una
dea, di genere femminile, che ha la
responsabilitaÁ dell'essere umano, cosõÁ
come ancora di sesso femminile sono
le dee Igea e Panacea, invocate all'inizio del Giuramento di Ippocrate, che
sembrano avere un ruolo rilevante
per la salute. Come eÁ noto, il Giuramento di Ippocrate costituisce ancora
oggi il codice etico che il medico sottoscrive al momento della laurea.
Dalle civiltaÁ amerindie, a quelle africane, alle asiatiche, a quel crogiuolo
di popolazioni eurasiatiche che fu la
Mesopotamia, le testimonianze ci
confermano il ruolo della donna come soggetto attivo ed esclusivo, portatore di sollievo, equilibrio, salute e
benessere per i suoi congiunti e per
le comunitaÁ di cui faceva parte integrante.
A titolo di curiositaÁ si puoÁ ricordare che in epoca azteca esistevano
donne alle quali era consentita la professione di guaritrice; l'unico limite
era che dovevano praticarla in etaÁ
matura, dopo la menopausa.3
Tuttavia l'evoluzione storica ha
portato la medicina ad essere prevalentemente una attivitaÁ professionale
gestita da uomini:4 evoluzione alla
quale forse ha contribuito la donna
stessa, limitando giaÁ da se stessa il
suo raggio d'azione professionale, se
nel 1921 in Italia, l'Associazione
Donne Medico, che comprendeva
circa 200 donne laureate a quell'epoca in Italia, stabiliva testualmente che
«... le donne medico, mantenendo la
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LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta)
fatto che, parallelamente all'aumento
delle donne medico, molti uomini
hanno trovato nel nursing una realizzazione professionale e personale.
evidenziandone le diversitaÁ a livello
biologico, che fanno sõÁ che la donna
pensi in modo diverso dall'uomo, che
percepisca ed elabori le informazioni
in maniera differente.
Grazie alle nuove tecniche di indagine di neuroimmagine, che permettono di determinare con sempre maggior precisione non solo la morfologia, ma anche la funzione, cioeÁ di
``vedere'' il cervello al lavoro, le indicazioni dell'esistenza di un ``cervello
maschile'' e un ``cervello femminile''
sono sempre piuÁ numerose e riguardano sia differenze anatomiche, sia
differenze cognitive e funzionali.
Joseph Laureto, un radiologo dell'UniversitaÁ dell'Indiana specializzato
proprio nelle piuÁ avanzate tecniche di
neuroimmagine, ha rilevato che gli
uomini registrano ed elaborano suoni
usando solo una zona della corteccia
cerebrale, collocata nell'emisfero sinistro, quello abitualmente associato a
funzioni e comportamenti razionali.
Le donne al contrario, utilizzano anche l'emisfero destro, attivando quindi
una porzione di cervello piuÁ estesa.
Quindi, nella donna vi eÁ l'attivazione
di entrambi gli emisferi cerebrali in
ogni funzione (se parla, se pensa,
etc.): da cioÁ consegue che la donna
non puoÁ facilmente dissociare il ragionamento logico (prerogativa dell'emisfero sinistro del cervello) dalla sua
componente emozionale, mentre l'uomo puoÁ utilizzare il ragionamento logico-formale come alternativa alla
elaborazione emozionale.
Per quanto riguarda le differenze
cognitive nel dettaglio, eÁ stato dimostrato che la donna raggiunge una
performance piuÁ efficace nelle abilitaÁ
Basi biologiche delle differenze
di genere
Prima di considerare le ricadute sul
piano pastorale di una presenza femminile nella sanitaÁ, ritengo utile fare
un accenno ai presupposti scientifici
che sono alla base delle caratteristiche
della donna, caratteristiche che si evidenziano poi con apporti peculiari anche in ambito professionale.
Tra uomo e donna, esistono differenze giaÁ a partire dal cervello. Anzi,
il cervello si conferma come una delle
parti del corpo umano in cui la diversitaÁ sessuale appare piuÁ accentuata, una
diversitaÁ che ± secondo un numero
crescente di studiosi ± potrebbe essere la radice biologica delle differenze
comportamentali e psicologiche tra
uomini e donne, differenze che vengono invece generalmente attribuite a
fattori esclusivamente culturali.
In realtaÁ, la diversitaÁ tra uomini e
donne non eÁ un fattore unicamente
sociale, da attribuire soltanto a problematiche culturali, ai ruoli di genere, al pregiudizio.
Si tratta di una differenza giaÁ a partire dalla modalitaÁ di pensiero, che,
se non adeguatamente compresa,
puoÁ diventare un fattore discriminante e un ostacolo oggettivo alla comunicazione tra uomo e donna. Le neuroscienze hanno permesso di chiarire
in cosa consistano le differenze tra il
cervello maschile e quello femminile,
9
STUDI
linguistiche, sia nella ricezione che
nella produzione linguistica, nella
fluiditaÁ verbale, nell'utilizzo di strategie verbali, nel problem-solving, nella
memoria a breve termine. L'uomo invece presenta una notevole abilitaÁ
nella analisi dello spazio, nei ragionamenti matematici.
Si sottolinea inoltre che la donna eÁ
piuÁ abile nella comprensione delle
emozioni, dello sguardo, della comunicazione non verbale.7 Traendone le
conseguenze nell'ambito professionale, per esempio la donna tende a non
prescindere dalla considerazione degli aspetti emozionali della situazione
(nella scelta delle opportunitaÁ professionali per esempio) e per questo eÁ
portata ad interpretazioni e scelte differenti da un uomo.
In sintesi, siamo di fronte a due
cervelli molto diversi, uno, quello
della donna, che percepisce una maggior quantitaÁ di informazioni a discapito della loro analisi, mentre l'altro,
il cervello maschile, ad una piuÁ ridotta acquisizione del numero di informazioni unisce una maggiore analisi
delle loro caratteristiche. In altre parole, l'uomo puoÁ decidere seguendo
la razionalitaÁ, senza lasciarsi deviare
dalle emozioni; la donna ha una maggiore capacitaÁ di intuire le situazioni.
Si puoÁ anche supporre che le donne, in quanto incaricate dall'evoluzione a mantenere la coesione sociale e
la continuitaÁ intergenerazionale, a comunicare con esseri non parlanti (i
propri figli), sviluppino attitudini diverse dall'uomo nella cosiddetta intelligenza emotiva e specificamente
nelle capacitaÁ di empatia e di comunicazione non verbale, nella capacitaÁ
di prendersi cura, nella disponibilitaÁ
al sacrificio per i figli, per la continuitaÁ del gruppo familiare. Occorre peroÁ
puntualizzare che proprio l'ambito
familiare fa emergere il superamento
del luogo comune che vuole la donna
in preda all'emotivitaÁ e poco incline
alla razionalitaÁ. La forma di conoscenza basata sui sentimenti e sull'esperienza eÁ anzi quella piuÁ antica e consolidata, ed eÁ anche la piuÁ completa.
Nell'esperienza morale umana, infatti, il sentimento e il pensiero entrano
in gioco come parte di un unico vissuto e la cura materna, che non separa la ragione dal sentimento, ne eÁ un
esempio.8
Il ruolo della donna a confronto con il
modello medico attuale
Si eÁ detto che l'attuale crisi del modello paternalistico della medicina
puoÁ essere interpretato anche come
la crisi di un modello maschile per
eccellenza, connotato cioeÁ da un particolare stile di comunicazione che da
sempre ha orientato la relazione medico-paziente, in cui si assegna a quest'ultimo solo il ruolo di passivo fruitore delle osservazioni e delle valutazioni di un decisore attivo. Si eÁ affermato che la maggiore valenza oggi assegnata al legame comunicativo offre
grandi possibilitaÁ al medico di sesso
femminile, che gode di una congenita
potenzialitaÁ relazionale alla quale il
medico di sesso maschile faraÁ bene
ad ispirarsi per adeguare il proprio
stile terapeutico.9
La relazione di cura simbolicamente esprime l'atteggiamento materno:
10
LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta)
eÁ un collocarsi in relazione che apre a
uno scambio vero e che richiede la
disponibilitaÁ ad ascoltare l'altro, ad
accogliere cioÁ che la persona malata
desidera comunicare, anche a livello
non verbale. Spesso eÁ necessario decodificare messaggi che non trovano
parole capaci di esprimerli. E di nuovo il riferimento al modello madrebambino eÁ spontaneo: la madre, pur
in assenza di parole, sa leggere empaticamente i bisogni del figlio.10
Le risorse personali della femminilitaÁ ± afferma Giovanni Paolo II nella
«Mulieris dignitatem» ± non sono certamente minori delle risorse della mascolinitaÁ, ma sono solamente diverse.
Cerchiamo allora, anche se in una generalizzazione, di delineare le caratteristiche di questa diversitaÁ, ricordando peroÁ che le caratteristiche biologiche non fanno da sole la persona; sono
piuttosto la base sulla quale ogni uomo e ogni donna deve poi realizzare la
sua dignitaÁ e la sua vocazione.11
Da quanto si eÁ detto, possiamo delineare quali sono qualitaÁ peculiari
della donna: la dedizione, la costanza,
una maggiore indipendenza rispetto
alle istituzioni, un maggiore coinvolgimento emotivo.
Infatti, nella realtaÁ pratica, non solo nella comunicazione, ma anche nei
modelli di relazione, maschile e femminile si comportano diversamente.
Mentre eÁ tipico del modello maschile
un modello tipicamente contrattuale,
in cui i comportamenti generalmente
discendono dalle norme, nel femminile i rapporti possono essere basati
sull'interesse amorevole per l'altro,
sull'attenzione e il contatto empatico.
EÁ evidente allora che questi elementi
fondanti l'identitaÁ di genere femminile: sensibilitaÁ, intuito, capacitaÁ di
prendersi cura, di immedesimarsi e
di assumersi la responsabilitaÁ dell'altro vengono a coincidere con i requisiti necessari allo svolgimento di una
relazione di aiuto.
Ma quando veniamo a parlare del
lavoro di cura nell'ambito dell'assistenza sanitaria, siamo costretti a notare che ± se pur riconosciamo scientificamente che questo lavoro eÁ indissolubilmente legato anche alle emozioni
degli operatori ± non sempre questa
connessione eÁ riconosciuta, ne riceve,
dentro i servizi, lo spazio necessario
alla sua elaborazione. La filosofia di
una medicina biofisica forse legata anche alla preponderanza maschile, almeno a livello direttivo ha fatto sõÁ che
nelle strutture sociosanitarie, ogni risvolto emotivo legato al lavoro, non
sia voluto leggere, oppure venga considerato eccessivo e percepito come
un intralcio alla prestazione professionale, poiche connotato come dipendenza allarmante, come incapacitaÁ di
distacco e di rigore di setting.12
In tal modo si crea una prospettiva
che non vuol quasi fare differenze di
stile maschile e femminile nel curare;
una prospettiva che sembra quasi annullare le diversitaÁ all'interno del
gran mare della professionalitaÁ, fino
ad arrivare alla concezione di operatori indistinti, generici, asettici, asessuati
e alla fine neutri: macchine operatrici
di manutenzione di corpi anonimi, anch'essi asessuati, precocemente degradati, soggetti assistenziali che riflettono e non trattengono emozioni, incapaci di ricevere, suscitare e resuscitare
sentimenti e passioni.13 Ma lo ripeto, eÁ
11
STUDI
una lettura forzata, non reale, artificiale e destinata ad essere distruttiva
per il singolo operatore.
Se quindi l'attuale ideologia della
cultura sanitaria eÁ caratterizzata dalla
svalutazione di questi aspetti di sensibilitaÁ e di emotivitaÁ, mettendo a rischio la «professionalitaÁ» dell'operatore nel suo rapporto con la persona
malata, sono molte le operatrici che
sentono di doversi adeguare a questa
visione «oggettiva» e «scientifica», almeno apparentemente, ritenendo di
poter dimostrare, attraverso una prestazione piuÁ tecnica e slegata dall'emotivitaÁ, il raggiungimento della maturitaÁ professionale, cosõÁ come viene
proposta dalla cultura maschile. In
questo modo, quella che vorrebbe essere una affermazione di paritaÁ ed
eguaglianza, risulta invece piuÁ spesso
essere una limitazione delle proprie
potenzialitaÁ ed un'alienazione rispetto alla propria identitaÁ, e per questo
la si ritrova all'origine di contraddizioni profonde e difficili da superare,
di cui il burnout puoÁ esserne una
espressione esteriore.
girebbero nei confronti dell'utenza
con comportamenti depersonalizzati.
Una ricerca sul burnout femminile e
sulla specificitaÁ femminile nel lavoro
di cura e di assistenza, ha rilevato fra
l'altro che:14
- le donne, di fronte all'insuccesso
lavorativo, tendono a cercare le cause
in se stesse, moltiplicando gli sforzi
nel tentativo di cercare soluzioni adeguate;
- gli uomini tendono ad assumere
una posizione di maggior distacco,
non sentendosi implicati nella propria identitaÁ personale e sono meno
introspettivi nella ricerca dei diversi
elementi in gioco;
- le donne hanno la tendenza a
considerarsi responsabili anche degli
errori e degli insuccessi non dipendenti soltanto da loro e si impegnano
di piuÁ affinche una situazione evolva
positivamente, considerando l'unica
variabile su cui intervenire, il loro atteggiamento personale;
- gli uomini tendono a identificare
la causa dell'insuccesso in fattori
esterni, non legati al loro impegno
personale, indulgendo in un atteggiamento meno critico verso il proprio
operato e usando una modalitaÁ difensiva che andraÁ piuÁ nella direzione del
distacco emotivo, quando la prospettiva dell'insuccesso puoÁ ridurre l'autostima.
Un accenno al burnout permette di
far emergere ancora una differenza
tra l'uomo e la donna e in particolare
per quanto riguarda le modalitaÁ di assunzione di responsabilitaÁ.
Le differenze non risiederebbero
tanto nel livello globale della sindrome, quanto nelle modalitaÁ di avvertirne gli effetti. In particolare le donne
percepirebbero piuÁ intensamente l'esaurimento emotivo, in quanto piuÁ
coinvolte emozionalmente degli uomini nelle relazioni con gli utenti,
mentre gli uomini con piuÁ facilitaÁ rea-
Sempre nello specifico della professione sanitaria, alcune ricerche evidenziano una maggiore disponibilitaÁ
al colloquio nella donna medico rispetto al maschio medico, una visione
della cura maggiormente centrata sul
paziente, una maggiore disponibilitaÁ
12
LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta)
al cambiamento, una maggiore capacitaÁ di soddisfazione personale ed esistenziale (15,16).
In ambito medico, secondo alcune
dirigenti italiane, francesi e svedesi,
all'interno delle professioni mediche
vi sarebbe una precisa gerarchia di
prestigio e potere tra le varie specialitaÁ e le donne avrebbero minori opportunitaÁ di accedere ad alcune specialitaÁ (in primis la chirurgia) a causa
della selezione di genere fatta dai
professori che sono in maggioranza
maschi. Una conferma di queste affermazioni viene dal fatto che il maggior centro ospedaliero universitario
di Stoccolma ha sentito la necessitaÁ
di avviare un programma di 'mentorship' per garantire pari opportunitaÁ alle donne.
nelle sue prerogative, non di rado
emarginata e persino ridotta in servituÁ.
CioÁ le ha impedito di essere fino in
fondo se stessa, e ha impoverito l'intera umanitaÁ di autentiche ricchezze spirituali. Non sarebbe certamente facile
additare precise responsabilitaÁ, considerando la forza delle sedimentazioni
culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalitaÁ e istituzioni».18
Con la conseguenza, che aver costruito la propria esperienza lavorativa in ambiti e professioni ritenute ± a
mio avviso a torto ± meno importanti
costituisce poi una delle principali
condizioni di svantaggio per la carriera delle donne. Una concezione che eÁ
nata dalla scissione nel tempo dei due
poli del «curare» e «del prendersi cura» intesi come in ordine gerarchico,
e che si eÁ rivelata discriminante per le
donne. Escluse in precedenza dal
«curare» medico, alle donne sono
state attribuite funzioni che afferiscono al «prendersi cura». I «saperi
spontanei» delle donne, il loro contatto storico con il corpo e con la cura, sono cosõÁ diventati attributi «bassi», contro un alto che eÁ tecnica
scientifica oggettiva e pura.19
La femminilitaÁ dell'approccio terapeutico richiede che il paziente non
debba leggere l'interesse per la sua
sofferenza solo come lo studio speculativo di un quesito scientifico ma anche come una preoccupazione che
implica la partecipazione umana, il
contatto sensibile, la capacitaÁ innanzi
tutto di accogliere, recepire e capire
il disagio, oltre che di penetrarlo attivamente con indagini mirate.
Ma parlare delle differenze uomodonna significa parlare anche di un
Ancora, le professioni in cui sono
maggiormente presenti donne (medici di base, pediatri, psicologi, infermieri, ostetriche etc.), hanno un limitato potere decisionale. In questo ambito si puoÁ osservare che, almeno fino
ad oggi, il valore dato alle diverse
professioni eÁ definito dalla cultura,
dalle relazioni di potere, dalla gerarchia esistente tra le professioni, che
potrebbe essere viziata dalla diversa
presenza maschile/femminile e da un
rapporto di potere che finora ha favorito gli uomini.17
Giovanni Paolo II descrive con
chiarezza tali ostacoli, le discriminazioni avvenute lungo i secoli: «Siamo
purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignitaÁ, travisata
13
STUDI
ripensamento creativo della medicina
stessa. Non certo nel voler porre
un'etica femminile al posto di quella
maschile, il che costituirebbe una
unilateralitaÁ sostituita da un'altra unilateralitaÁ, ma piuttosto una integrazione tra due diversi ideali di rapporto interpersonale: potremmo definire
da una parte, la medicina della mano
femminile che dovraÁ saper parlare,
cosõÁ come dall'altra parte, la medicina
della parola maschile dovraÁ imparare
ad accarezzare, per ricostruire una
comunicazione significativa che possa
illuminare migliori decisioni terapeutiche. Questo, anche se a volte nella
nostra cultura ogni essere umano
sopporta con difficoltaÁ la scoperta di
una qualitaÁ di se che tipicamente viene attribuita all'altro sesso.
- in tal modo, gli ammalati, da oggetto
di ricovero e cura, si trasformano in
soggetti della loro esperienza di malattia;
- l'azione pastorale deve farsi presente
al malato giaÁ al suo primo impatto
con l'ospedale: l'incontro con una
persona ± operatore professionale
o volontario ± che gli si rivela subito
accogliente e amica, riduce l'ansia,
gli rinnova coraggio e fiducia;
- la pastorale si situa a livello di quella
umanizzazione delle cure che eÁ alla
base di ogni autentico servizio alla
persona.21
Una pastorale poi che, almeno nella mia prospettiva, deve trovare nella
stessa professione il suo primo ambito di realizzazione. EÁ evidente che la
``professione'' eÁ di fondamentale rilevanza perche eÁ prima di tutto attraverso il lavoro che l'uomo si inserisce
nella societaÁ e nella storia.
Se la missione della chiesa considera come essenziale a se il compito
della trasformazione del mondo e
della costruzione di una vita piuÁ degna dell'uomo, senza alcun dubbio
prima di tutto essa prende consistenza nel lavoro dei credenti. Anzi, il lavoro va letto come «continuazione
dell'opera creatrice di Dio22». Di conseguenza, il lavoro va fatto «come tributo d'amore per Dio, ordinato, puntuale, piuÁ perfetto possibile»23 ± nel
raggiungimento della massima efficienza ed efficacia nel servizio da rendere ai fratelli. La pastorale della salute, allora, comincia dall'atteggiamento professionale, ad iniziare dalla
competenza. E il primo dovere della
professione eÁ la competenza, poicheÂ
Riflessi per la pastorale della salute
Vediamo ora come questa realtaÁ
femminile si possa esplicare nel mondo della pastorale, chiarendo quale
ne sia l'ambito e le modalitaÁ di realizzazione. Innanzitutto occorre considerare che l'azione pastorale nell'ambito sanitario deve fondarsi su alcuni
presupposti fondamentali:
- la malattia e la sofferenza non sono
esperienze che riguardano soltanto
la componente fisica della persona,
ma la persona nella sua interezza e
nella sua unitaÁ somato-spiritualeculturale.
- l'operatore deve possedere questa
visione integralmente umana della
malattia, unendo alla competenza
tecnico-professionale la coscienza
del significato della malattia;20
14
LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta)
la missione della Chiesa da questo
punto della vista eÁ all'altezza della
sua responsabilitaÁ, prima di tutto
quando i cristiani sul lavoro rendono
effettivamente un efficiente servizio
alla societaÁ.24 Questo va detto non
perche si tratti solo di fare propaganda al Vangelo attraverso l'esemplaritaÁ
professionale dei credenti, ma per ribadire che il sacerdozio dei fedeli a
questo livello si attua proprio nell'offerta a Dio della cosa ben fatta, a tal
punto che non sono sufficienti la
buona moralitaÁ, o la nobiltaÁ delle intenzioni, o la preghiera con cui si accompagna il lavoro, per riscattare dal
fallimento l'opera compiuta senza
competenza.
Naturalmente, la pastorale in questo mondo non passa solo attraverso
una professione sanitaria, ma anche
attraverso un impegno associativo, o
svolgendo una attivitaÁ di volontariato,
o collaborando in una cappellania, ma
ritengo di dover sottolineare l'ambito
professionale come un ambito prioritario, pur notando che tutte queste
modalitaÁ non si autoescludono.
nima, l'essenza stessa della pastorale,
e cioeÁ la caritaÁ: «(...) il fatto eÁ che la
donna ha una vocazione totalmente
diversa da quella dell'uomo, non sono uguali, sono complementari; quello che ha l'uomo non ha la donna,
ma anche quello che ha la donna non
ha l'uomo. (...) Che cosa ha la donna
di speciale, di caratteristico, come eÁ,
per esempio, il sacerdozio per gli uomini? (...) La donna, come dice il Papa nella Mulieris dignitatem, ha due
facoltaÁ caratteristiche sue, anche se
non esclusivamente sue: sa maggiormente amare, e sa maggiormente patire. E il patire (...) eÁ una condizione
per poter amare, perche l'amore costa. (...) Ora, perche sa maggiormente
amare, perche sa maggiormente patire, la donna eÁ come un calice che riceve piuÁ facilmente quello che eÁ il dono dei doni ± che, come dice san
Paolo, supera tutti i doni ± che eÁ la
caritaÁ, la caritaÁ, quella che resteraÁ
sempre; che la fede passeraÁ, la speranza passeraÁ, la caritaÁ resteraÁ. Ora la
donna eÁ particolarmente capace di
essere un contenitore stupendo di
quello che eÁ il piuÁ grande dono di
Dio: la partecipazione alla vita di Dio
stesso che eÁ la caritaÁ».25
Tornando ora allo specifico di questo Convegno, si puoÁ affermare che
lo sviluppo di una pastorale nel mondo della salute ± perlomeno di quella
parte che riguarda gli operatori professionali ± eÁ forse collegata ad una
piuÁ incisiva presenza femminile o meglio, ad una piuÁ incisiva presenza di
caratteristiche femminili?
Vorrei usare le parole di Chiara
Lubich per descrivere come la realtaÁ
femminile sia particolarmente atta a
trasmettere anche nell'ambito pastorale quella che potremmo definire l'a-
Considerando ora lo specifico del
mondo sanitario, nel quotidiano assistenziale alcune persone si mettono al
servizio di altre persone che vivono
una situazione di sofferenza; questo
servizio si attua certamente sulla base
della competenza professionale, come ricordato sopra, ma passa anche
attraverso la personalitaÁ di ogni operatore. Porsi al servizio del malato significa quindi entrare in una rete di
15
STUDI
rapporti molto intensi.
Si potrebbe dire pertanto che la
pastorale eÁ di per se stessa insita nell'assistenza, appunto perche la cura
della persona sofferente contiene necessariamente una vicinanza umana
che implica una profonda relazione
tra persone. EÁ infatti uno spazio terapeutico nel quale entra anche la spiritualitaÁ del paziente e di chi lo cura.
Per il paziente questa significa la
ricerca di un significato della situazione di vita che sta vivendo, per l'operatore la motivazione principale delle
sue azioni. Si sperimenta ad esempio
che l'attenzione autentica al malato
determina una crescita anche per la
persona dell'operatore; nel cuore dell'essere umano vi eÁ una dimensione
spirituale che si puoÁ realizzare soltanto attraverso l'apertura e l'interesse
per l'altro. EÁ nell'essere per l'altro
che si puoÁ accostare il trascendente e
si diviene cosõÁ piuÁ umani.26 La prospettiva con cui avvicinare ogni persona si potrebbe riassumere allora con
queste parole: «Chi mi sta vicino eÁ stato creato in dono per me ed io sono
stata creata in dono a chi mi sta vicino.
Sulla terra tutto eÁ in rapporto d'amore
con tutto: ogni cosa con ogni cosa.
Occorre peroÁ vivere l'amore per trovare il filo d'oro fra gli esseri».27
Una relazione nella quale la parola
fiducia comprende quel formidabile
investimento affettivo capace di generare uno spazio terapeutico fecondissimo, nel quale il curante puoÁ attivare
le piuÁ intense risorse di guarigione disponibili nel paziente che gli si affida.28
Una vicinanza che eÁ fatta di autentici contatti fisici, che racchiude den-
tro di se una capacitaÁ di accudire l'altro che sembra suggerire un tratto
addirittura connaturato alla sensibilitaÁ femminile.
Ma ancora, un principio femminile
puoÁ costituire una mediazione anche
nei confronti di un mondo, quello della sanitaÁ, sempre piuÁ dominato dalla
tecnologia, aiutando a recuperare il
valore della persona, di tutte le persone, anche di quelle degli operatori.
Infatti, si puoÁ aggiungere come questo stesso mondo sanitario sia percorso da tensioni, da contraddizioni, dalla ambivalenza delle azioni umane,
cosõÁ che puoÁ diventare un esempio
delle divisioni sociali, delle cause che
le determinano e delle conseguenze
che ne derivano. Se l'assistenza sanitaria ha quale obiettivo fondamentale
quello di incontrare un uomo o una
donna in modo particolare sulla via
del dolore, come si eÁ giaÁ detto, questa
stessa assistenza deve significare anche la preoccupazione per una ``dimensione umana e spirituale'' che costituisce addirittura un elemento dell'attivitaÁ terapeutica.
Se l'abilitaÁ e le capacitaÁ professionali sono naturalmente il primo requisito, non eÁ sufficiente un freddo,
impersonale atteggiamento scientifico
per aiutare un paziente che sta vivendo un momento difficile.
In primo luogo poiche la semplice
professione induce un mestiere mentre, nel caso dell'operatore cristiano,
dovremmo piuttosto parlare di una
vocazione che porta all'esercizio di un
servizio, cioeÁ di un ministero, che la
tradizione cristiana chiama anche
``diaconia''. E, in secondo luogo, eÁ
estremamente limitativo un atteggia16
LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta)
mento scientifico per tentare di comprendere la complessitaÁ del mondo
interiore di ogni persona, che va ben
oltre gli aspetti biofisici della malattia.
La cura di tutta la persona, allora,
nelle sue componenti fisiche, psichiche, emotive, sociali, spirituali eÁ indispensabile anche per massimizzare
l'effetto della terapia.29 Se si vuole affrontare in maniera sostanziale e integrale l'orizzonte delle richieste del
malato e non rispondervi arbitrariamente, l'attenzione alla dimensione
spirituale deve costituire un elemento
integrativo dell'attivitaÁ medica e dell'azione sociale.
Una delle sfumature piuÁ delicate di
questa dimensione interpersonale eÁ
da una parte la capacitaÁ di sostenere
nell'ammalato la preziositaÁ del momento che sta vivendo, dall'altra essere una presenza che eÁ sfondo e calore
per valorizzare quelle energie che
sempre permangono nella persona.
Da questa prospettiva di comunione sgorga un rapporto nuovo: nel
momento in cui scopro che la sua fragilitaÁ eÁ anche la mia, come eÁ mia la
sua domanda di senso e mia la sua
paura della morte, prendo coscienza
che nel malato c'eÁ una parte di me e
io sono nel malato.
Nell'ambito assistenziale, il rapporto terapeutico, per essere efficace,
presuppone un rapporto di reciprocitaÁ in cui ciascuna parte ha un contributo da dare: l'operatore la sua competenza, la sua disponibilitaÁ, il paziente i suoi bisogni, ma anche la sua
carica di umanitaÁ, la sua esperienza
di malattia con i valori che ne ha elaborato. Se leggiamo l'assistenza come
l'incontro fra persone, ambedue con i
limiti di una comune umanitaÁ, questo
rapporto terapeutico puoÁ divenire
una relazione, cioeÁ quel dinamismo
nel quale, nell'incontro con gli altri,
si comprende di piuÁ se stessi, si dona
e ci si arricchisce, si accoglie e si eÁ accolti, in una crescita reciproca.
Porsi accanto al malato significa
mettersi al suo stesso livello, quindi
non in posizione di superioritaÁ che
puoÁ derivare dalla consapevolezza
del mio sapere medico, ma in posizione di imparare dal malato. Se io non
entro nella sua soggettivitaÁ, superando il dato strettamente clinico o di laboratorio, non saroÁ efficace come
operatore. Devo poter capire il suo
vissuto, per dare la risposta che si
aspetta. Di fronte al malato terminale, al morente, dal punto di vista
scientifico mi scontro con il limite.
La scienza non eÁ in grado di darmi
risposte, soluzioni. Eppure, anche se
da questo punto di vista non c'eÁ piuÁ
niente da fare, si puoÁ dire invece che
c'eÁ ancora tutto da fare. C'eÁ da condividere l'esperienza che sta facendo
questa persona, esperienza in cui ho
sempre scoperto dimensioni nuove,
profondamente arricchenti.
Conclusioni
In sintesi, quale eÁ il significato profondo del titolo di questo Convegno?
Quali sono le ricadute che se ne auspicano, in modo che quanto eÁ emerso od emergeraÁ in questi giorni non
resti limitato ai presenti, ma possa incidere nel mondo della salute, rendendolo sempre piuÁ un ambiente in
cui non ci si limita a riconoscere la
17
STUDI
sofferenza, ma dove si aiuta ad interpretarla, a darle un senso, ad elaborarla come occasione speciale di crescita personale e comunitaria, nella
condivisione di quanti sono accanto a
chi soffre? Quale l'apporto specifico
della donna e quale consapevolezza eÁ
necessaria per noi donne?
Citando ancora Chiara Lubich, si
avverte l'esigenza che «(...) il mondo,
e il mondo femminile, si accorga che
esistono queste donne che sanno portare nel mondo l'amore e che eÁ l'amore che le realizza completamente; che
non hanno bisogno di copiare l'uomo,
ma che sono veramente loro stesse se
portano questo grande carisma».30
Del resto, lo stesso Giovanni Paolo
II eÁ convinto che «i gravi problemi
sul tappeto vedranno, nella politica
del futuro, sempre maggiormente
coinvolta la donna: tempo libero,
qualitaÁ della vita, migrazioni, servizi
sociali, eutanasia, droga, sanitaÁ e assistenza, ecologia, ecc. Per tutti questi
campi, una maggiore presenza sociale
della donna si riveleraÁ preziosa, perche contribuiraÁ a far esplodere le
contraddizioni di una societaÁ organizzata su puri criteri di efficienza e produttivitaÁ e costringeraÁ a riformulare i
sistemi a tutto vantaggio dei processi
di umanizzazione che delineano la
``civiltaÁ dell'amore''.31
D'altra parte, parlare di un apporto femminile, non significa antagonismo a quello maschile, poiche eÁ evidente che una competizione negativa
tra donna e uomo offende la pari dignitaÁ e il valore delle differenze: si
vuole piuttosto ricordare la necessitaÁ
di considerare la dignitaÁ e la vocazione che risultano dalla specifica diver-
sitaÁ e originalitaÁ dell'uomo e della
donna. «La donna eÁ il complemento
dell'uomo, come l'uomo eÁ il complemento della donna: donna e uomo
sono tra loro complementari. La femminilitaÁ realizza l'umano quanto la
mascolinitaÁ, ma con una modulazione
diversa e complementare».32
Importante affermazione questa di
Giovanni Paolo II, che trova riscontro
anche da un punto di vista scientifico,
sul piano psicologico. «Psicologicamente, per un individuo, non eÁ possibile avere il ``senso della propria identitaÁ'' se non ci sono altri che lo riconoscono come soggetto. Psicologi di
ogni tendenza affermano che gli uomini e le donne hanno bisogno di confermarsi l'un l'altro nel loro essere individuale mediante incontri e contatti
genuini. Si ha infatti bisogno di sentirsi e di venire riconosciuti ``diversi''
per poter essere dono agli altri.33
Quindi, il riconoscimento della diversitaÁ eÁ una tappa importante per lo
sviluppo della persona, ma non eÁ sufficiente fermarsi a questa consapevolezza, percheÂ, «(...) per essere dono
personale bisogna entrare in comunione.... La comunitaÁ cristiana non si
forma (...) per motivazioni estrinseche, ma per la natura dell'amore che
crea comunione. E che questo sia
possibile eÁ un dato di esperienza.
Che la motivazione per realizzarla
venga dall'invito di GesuÁ ``Amatevi
come Io vi ho amati... Siate una cosa
sola...'' e sia di natura religiosa eÁ evidente, ma gli effetti psicologici sono
straordinari: ciascuno, essendo relazione d'amore agli altri, si realizza di
fatto persona autentica».34
18
LA PRESENZA DELLA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE (F. Carretta)
a meta-analytic review, JAMA, (2002),
288(6), pp.756-764.
17
SASSI L., op. cit.
18
GIOVANNI Paolo II, Lettera alle Donne,
29 giugno 1995, n. 3
19
SPINSANTI S., Se la cura eÁ di genere femminile, «Prospettive Sociali e Sanitarie»
(2002) 9, p. 8.
20
FILIPPI T., I contenuti del mondo della
sanitaÁ e le sue espressioni, Atti del Congresso
Internazionale «La salute dell'uomo oggi: un
equilibrio raggiungibile», Castelgandolfo 30/
3-1/4/2001.
21
cfr. CASERA D., Malato in AA.VV., Enciclopedia di Pastorale IV volume Servizio
ComunitaÁ, Piemme, Casale Monferrato
1993, pp. 56-66.
22
LUBICH C. Il lavoro e l'economia oggi
nella visione cristiana. Atti del Convegno,
Roma 3/6/1984, pp. 19-20.
23
id.
24
DIANICH. (ed), Dossier sui laici, Queriniana, Brescia 1987, p. 143
25
LUBICH C., Ad un incontro con docenti e
studenti, UniversitaÁ di Lublino , 20 giugno
1996 (reg.)
26
CARETTA F., PETRINI M., Accanto al malato. Lineamenti di assistenza sanitaria e pastorale, CittaÁ Nuova, Roma 1999
27
LUBICH C., Scritti spirituali/1, L'attrattiva del tempo moderno, CittaÁ Nuova Roma
1991, p. 134.
28
E. LONGO, Il genere che ascolta, «Janus»
(2002), 5, p. 30
29
WATSON A.J., Suffering, loss, grief and
care: A journal of professional practice.(198687), 2, pp. 186-187.
30
LUBICH C., Ad un incontro con un gruppo di membri del Movimento dei Focolari,
Vienna, 30 giugno 1997 (reg.).
31
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Donne,
29 giugno 1995, n. 4.
32
id., n. 7
33
LUBICH C., Lezione per la Laurea Honoris Causa in Lettere (Psicologia) a Chiara Lubich, Malta, Nuova UmanitaÁ (1999), 122 (6),
pp.188-189.
34
id.
Note
1
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Donne,
4, 29 giugno 1995
2
VINAY P., Presenza femminile e spostamenti di prospettiva nella sanitaÁ. Conferenza
Europea «SanitaÁ: quando le donne fanno la
differenza», Ancona, 25-26/6/1999.
3
SASSI L., Donne medico: prospettive di
pari opportunitaÁ. Commissione permanente
per lo studio dei problemi della donna medico e odontoiatra, Federazione Nazionale Ordine dei Medici
4
SPINANTI S., Se la cura eÁ di genere femminile, «Prospettive Sociali e Sanitarie» (2002),
9, pp. 7-8
5
MOQUEO C., Women and doctors in medicine, Lancet 1999 ; 354(Suppl 4):65. Kleinert S., Finale, Lancet (1999), 354(Suppl 4),
p. 66.
6
TOUSIJN W., Il sistema delle occupazioni
sanitarie, Il Mulino, Bologna 2000
7
LORETO A., PERSEGANI C., PAPESCHI L.L.,
TRIMARCHI M., Barriers to women's career in
Academia: A dialogue between social psychology and policy. International Conference,
Perugia, 6/10/2001.
8
D'ADDIO L., Il coraggio della mediazione,
«Janus» (2002), 5, p. 25.
9
LONGO E., Il genere che ascolta, «Janus»,
(2002), 5, p. 30.
10
MANCINI A., In compagnia del morente,
«Janus» (2002), 5, p. 32.
11
cfr. GIOVANNI PAOLO II, Mulieris Dignitatem, n. 10.
12
G. BADOLATO, Le donne nelle professioni di aiuto, Borla, Roma 1993.
13
Cfr. G. BRAIDI, Rosa e azzurro per l'anziano non autosufficiente, «Janus» (2002) 5,
p. 41.
14
MASLACH C., JACKSON S.E., The role of
sex and family variables in burnout, Sex roles
(1985) 12, pp.837-851.
15
SELLS J.M., SELLS C.J., Pediatrician and
parent: a challenge for female physicians. Pediatrics (1989), 84, p. 355.
16
ROTER D.L., HALL J.A., AOKI Y., Physician gender effects in medical communication:
19
IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO
IL CAMBIAMENTO CULTURALE
Bettinelli suor Carla
1. L'orizzonte culturale del postmoderno
lare, si deve tacere».
Quando la razionalitaÁ, totalitaria e
assoluta, non eÁ piuÁ monolitica, si incomincia a parlare di «ragioni», piuttosto che di vie della ragione, e di crisi della ragione. Qualcuno continueraÁ
l'opera di demolizione fino a giungere al suo «sfondamento», alla sua svalutazione. Allora incomincia a segnare i suoi percorsi il cosiddetto «pensiero debole».
Anche in questi ultimi decenni abbiamo assistito ad un cambiamento
culturale che non eÁ da poco. EÁ stato
realizzato da una corrente di pensiero
che, non avendo piuÁ le connotazioni
dell'epoca moderna, eÁ stata definita
«postmoderno».
L'epoca moderna eÁ stata dominata
dalla forte razionalitaÁ. Illuministicamente riteneva che la soggettivitaÁ
fosse capace di dispiegarsi in un
orizzonte di fini di cui possedeva la
giusta chiave per leggerli e comprenderli. Poiche il panorama del reale le
era dispiegato, ne poteva disporre.
Da qui il primato di cioÁ che eÁ pratico sul teoretico-fondativo, sul contemplativo.
EÁ nel Novecento, soprattutto nel
secondo, che si tende a svalutare la
ragione. Il postmoderno limita la razionalitaÁ ad una capacitaÁ di dominio
anche scientifico, ma per lo piuÁ tecnico-tecnologico. Sembra sia negato
l'accesso all'oltre: l'oltre il dato, l'oltre lo sperimentabile. E sull'oltre non
ci si puoÁ pronunciare. Nota eÁ la proposizione 7 del Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein, che eÁ del
1918: «Su cioÁ, di cui non si puoÁ par-
1.1 Il pensiero debole
Qui ed ora ne diamo una definizione, ma semplificata. Potrebbe essere
cosõÁ formulata: il pensiero debole eÁ il
pensiero «senza fondamento»,1 senza
una causa, senza un logos, percheÂ
l'essere non eÁ. L'essere non eÁ piuÁ da
considerare come «la stabilitaÁ nella
presenza, l'eternitaÁ». «L'essere piuttosto accade»,2 «forse anche nel senso che cade-presso, che accompagna
in quanto caducitaÁ ogni nostra rappresentazione».3 Con lo sfondamento
dell'essere, il pensiero non puoÁ che
essere debole. Si salva come «pensiero memorativo» grazie alla pietas,
«termine che evoca la mortalitaÁ, la finitezza e la caducitaÁ».4 Alla logica,
quindi, si sostituisce la retorica, l'estetismo.
20
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli)
1.2 Il problema della differenza fra essere e ente
suo fondamento, se nel mondo eÁ posto?
Grazie alla categoria della temporalitaÁ viene evidenziato il concetto di
storicitaÁ, di finitezza considerata come l'arco di tempo tra la nascita e la
morte, di precarietaÁ.
Tale problema della differenza fra
essere ed ente porteraÁ ad esiti inaspettati anche per lo stesso Heidegger. Il pensiero della differenza sessuale ne eÁ uno.
Dal pensiero totalitario e assoluto
si giunge al pensiero debole passando
dal problema della differenza.
In campo ontologico eÁ stato suscitato da Heidegger. Riguarda la differenza fra l'essere e l'ente. L'essere eÁ il
fenomeno per eccellenza. EÁ insieme il
piuÁ noto perche eÁ implicito in ogni altro concetto, e il piuÁ oscuro perche eÁ
impossibile definirlo. Ogni tentativo
di definibilitaÁ eÁ causa di vertigini. Abbiamo invece il concetto di questo o
di quest'altro, perche eÁ ente, ossia eÁ
cioÁ che eÁ o chi eÁ.
Chi eÁ l'uomo. Esso eÁ l'ente che si
pone la domanda sull'essere, ne ha la
comprensione, tuttavia non riesce ad
averne il concetto. Esiste in quanto
posto nella temporalitaÁ del passato,
presente, futuro. E, poiche gettato
nel mondo, vi esiste come un continuo tendere verso una realtaÁ che presenta situazioni sempre diverse: per
questo eÁ progetto. Continua Heidegger: l'uomo, ente ontologico, eÁ il per
cui le cose sono nel mondo. In quanto eÁ il per cui, le cose non sono oggetti indipendenti dal soggetto: essi esistono in funzione del suo progetto e
quindi sono ridotti a strumenti.
GiaÁ Edith Stein, che eÁ stata collega
di Heidegger, gli riconosce la genialitaÁ del concetto di tempo come temporalitaÁ. Gli fa peroÁ notare che il suo
Dasein, l'esserci, scorre dal passato al
presente per proiettarsi nel futuro
senza la corporeitaÁ: perche non ne
parla mai. Se ne eÁ privo, come puoÁ
entrare in relazione con l'altro e con
il mondo, e interagirvi? E qual eÁ il
2. Dalla crisi della razionalitaÁ totalitaria al problema dell'essere coniugato
al maschile e al femminile
In questa «temperie» di crisi e di
privazioni «ha fatto irruzione il pensiero femminile o pensiero della differenza sessuale, cioeÁ un sapere nuovo,
un parlare diverso, una riflessione in
precario equilibrio tra un dire e un
detto, tra parola e silenzio».5 Prima
che venisse espresso con spirito teoretico, eÁ stato preceduto da studi sulla donna.
Un poco generalizzando, parecchie
studiose fanno partire gli studi delle
donne sulle donne, women's studies,
dagli anni sessanta del secolo scorso.
In modo documentato direi che iniziano qualche decennio prima: senza
clamore, ma con coraggio. E. Stein
ne eÁ un esempio.
GiaÁ nel 1928, in Germania, tiene
conferenze sulla donna e anche sull'uomo. Sa di inoltrarsi in territori
sconosciuti. Non si spaventa e fa il
tentativo di aprire vie nuove. Avanza
nelle esplorazioni perche eÁ ben equipaggiata: ha personalitaÁ, dall'educa21
STUDI
zione avuta in famiglia ha acquisito
l'importanza dei valori, possiede
un'ampia e articolata cultura, ha affinato la capacitaÁ intuitiva, agisce solo
se sollecitata da impulsi interiori, ha
ritrovato la fede nel Dio unico che,
nello Spirito, si manifesta nel Figlio
GesuÁ, ed eÁ professionalmente impegnata come docente.
Nell'articolo Problemi dell'educazione della donna del 1932 afferma di
aver studiato attentamente gli scritti
del Movimento femminile tedesco
nato in ambienti non cattolici. E vi riporta un documento del Partito Conservatore Prussiano (Gottinga 1884):
«Ogni donna impara realmente solo
dall'uomo che la ama, e impara soltanto cioÁ e quanto l'uomo amato si
compiace di donarle con il suo amore. La regola eÁ che le ragazze si sposino, e ricevano la loro formazione nel
matrimonio; ma anche le sorelle, le figlie, le infermiere, possono diventare
qualcosa per opera dei fratelli, dei padri, degli ammalati e degli anziani, se
prestano servizio a questi uomini con
cuore affettuoso». Sferzante ne eÁ il
commento: nella dichiarazione «risuona qualcosa di quei testi scritturistici su cui si fonda quel briciolo di
veritaÁ che qui si nasconde (cioeÁ che la
donna eÁ chiamata ad essere aiuto dell'uomo). Ma prescindendo da questo
principio, tali asserzioni appaiono
una parodia grottesca, piccolo-borghese, della concezione veterotestamentaria. Quanto eÁ differente il quadro della mulier fortis (Pr 31,1031)».6
Per capire e comprendere la donna, e comprendersi come donna, occorre anzitutto chiedersi come l'esse-
re umano si declina in essere maschile
e femminile.
Leggiamo la realtaÁ umana, quella
di ogni giorno: eÁ, e si presenta differenziata in individui, in esseri corporei viventi. A differenza delle altre
realtaÁ materiali, comprese quelle che
godono di sensibilitaÁ e movimenti
adeguati alla propria natura, l'individuo eÁ essere corporeo vivente e pensante. Con il pensiero va oltre il tempo e lo spazio in cui vive e si trova. EÁ
percioÁ capace di azioni che sono
espressioni di una dimensione altra.
Chiamiamo questa dimensione altra
anima o spirito e, poiche nella realtaÁ
la persona che vediamo, avviciniamo,
amiamo eÁ una, inferiamo che essa eÁ la
medesima realtaÁ grazie alla quale la
persona umana vive, eÁ cosciente, ha
un determinato corpo con quel determinato colore degli occhi, dei capelli,
... . Nella persona umana «chi ha l'essere eÁ l'anima, che partecipa il suo essere al composto, all'uomo».7 Da tale
prospettiva antropologica consegue
che la differenziazione spirituale eÁ
prioritaria rispetto alla differenziazione di genere o sessuale. La differenza
maschile e femminile, quindi, non
puoÁ essere considerata un accidens,
qualcosa di aggiunto: eÁ essa che determina la specificitaÁ maschile e la
specificitaÁ femminile. Le quali emergono anche dal modo di pensare, per
cui possiamo parlare di pensiero femminile oltre che di pensiero maschile.
Ossia: il pensiero non eÁ neutro.
22
IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli)
2.1. Il pensiero femminile
della donna educarlo a vivere non solo cioÁ che eÁ oggettivo, ma anche a
sentire cioÁ che eÁ personale, e ad avere
una visione d'insieme della realtaÁ.
Potrebbe essere cosõÁ definito: eÁ
«pensiero pensato da donne che fanno
del loro essere donne il punto di partenza della loro esperienza pratica e
teoretica».8 EÁ il cuore, sostiene E.
Stein, che caratterizza l'essere donna.
Sentire la vita, accoglierla, coltivarla,
svilupparla in modo armonioso in ogni
sua dimensione eÁ la sua specificitaÁ.
Questo centro vitale, propulsore
determina atteggiamenti teoretici e
pratici. In Ethos della professione
femminile scrive: «Il modo naturale
di conoscere [della donna] non eÁ tanto l'analizzare concettualmente quanto l'intuire, il sentire, l'essere orientato verso cioÁ che eÁ concreto».9 Proprio
per questo la donna eÁ interessata a
cioÁ che eÁ vivo e personale e al tutto.
Non volge, invece, la sua attenzione
alla cosa, intesa come cioÁ che non ha
vita. Quando se ne interessa, lo fa
perche eÁ utile alla vita e alla persona.
«CioÁ che eÁ vivo e personale, oggetto
delle sue cure, eÁ un tutto concreto.
Che deve essere tutelato e sviluppato
nella sua completezza: non una parte
a danno delle altre, non lo spirito a
danno del corpo e viceversa, e neppure una facoltaÁ dell'anima a danno
delle altre. La donna non sopporta
cioÁ ne in se ne negli altri».10
L'uomo, invece, ha un'impostazione mentale capace di astrazione e
analiticitaÁ. PiuÁ della donna eÁ portato
a dominare il mondo e a plasmarlo. EÁ
questo un motivo per cui «si dedica
immediatamente alle sue cose», ed eÁ
«tutto preso dalle sue cose».11 Proprio percheÂ, a causa dell'analiticitaÁ ha
visioni un poco unilaterali, eÁ compito
2.2. Pensare con il cuore
In `Essere finito e essere eterno',
l'opera metafisica della Stein nella
quale fa sapere ad Heidegger che l'essere eterno eÁ il fondamento dell'essere precario dell'io che ad ogni istante
eÁ esposto al nulla, molto significativa
eÁ l'espressione pensare con il cuore.
Un pensare, che dovrebbe essere della donna e dell'uomo. Infatti viene
spiegato in questo modo: nel cuore,
in cui l'io eÁ veramente di casa, «i contenuti assorbiti dal di fuori e penetrati non rimangono solo come patrimonio della memoria, ma si possono trasformare in carne ed ossa. Possono
cosõÁ diventare fonte di forza, che eÁ dispensatrice di vita».12
Cuore pensiero ± vita: eÁ una correlazione vista e colta da sguardo femminile.
Continua la Stein: siccome ogni individuo, nella sua irrepetibilitaÁ, ha caratteristiche proprie, e in ogni essere
umano, in grado diverso, sono inscritti gli elementi maschile e femminile, lungo il cammino storico e nella
quotidianitaÁ possiamo incontrare
donne particolarmente dotate di capacitaÁ di astrazione, progettazione,
realizzazione.
2.3. La complementaritaÁ di essere maschile e essere femminile
Le differenze spirituali e di genere,
cioeÁ essere uomo e essere donna, ses23
STUDI
suati, creano le condizioni dell'essere
l'uno per l'altra e viceversa, capaci di
comunione di vita e di amore cosõÁ da
poter vivere in pienezza la comune
radice umana. Al cambiamento culturale, cui orienta la relazionalitaÁ inscritta nelle disposizioni della complementaritaÁ e reciprocitaÁ, si giunge
se il soggetto «io» non guarda se in
modo narcisistico, esce dal solipsismo
in cui nell'epoca moderna l'ha rinchiuso il Cogito cartesiano, e non si
ritiene piuÁ autoreferenziale. ComplementaritaÁ e reciprocitaÁ richiedono relazioni duali: che il soggetto «io» s'apra all'«io» dell'altro soggetto cosõÁ
che l'altro/a diventi per me un «tu»
in modo da costituire, insieme, il
«noi».
Se condizioni della complementaritaÁ sono le differenziazioni spirituali
e sessuali, l'empatia in quanto esperienza dell'esperienza dell'altro/a e il
reciproco aiuto contribuiscono a viverla in pienezza per quanto eÁ possibile.
Tutto cioÁ eÁ un dato di natura e di
cultura, avallato dall'esperienza di vita almeno fino ad oggi e dalla Bibbia
che, come ha scritto e detto piuÁ volte
ad alta voce Carlo Maria Martini, eÁ il
libro del futuro.
Di «aiuto che gli sia simile» parla
la Scrittura. Al riguardo interessante,
e meritevole di approfondimenti, eÁ il
n. 7 della Lettera alle donne di Giovanni Paolo II. EÁ del 1995, ed eÁ stata
stilata in occasione della IV Conferenza Mondiale sulla Donna voluta
dall'ONU. Interpretando Gn 2,18:
«Non eÁ bene che l'uomo sia solo: gli
voglio fare un aiuto che gli sia simile», scrive: «Nella creazione della
donna eÁ inscritto, dunque, sin dall'inizio il principio dell'aiuto: aiuto si
badi bene non unilaterale, ma reciproco. La donna eÁ il complemento
dell'uomo, come l'uomo eÁ il complemento della donna: donna e uomo
sono tra loro complementari. La femminilitaÁ realizza l'`umano' quanto la
mascolinitaÁ, ma con una modulazione
diversa e complementare.
Quando la Genesi parla di aiuto,
non si riferisce soltanto all'ambito
dell'agire, ma anche a quello dell'essere. FemminilitaÁ e mascolinitaÁ sono
tra loro complementari non solo dal
punto di vista fisico e psichico, ma
ontologico. EÁ soltanto grazie alla dualitaÁ del `maschile' e del `femminile`
che l'`umano` si realizza appieno».13
Ma, eÁ sempre Giovanni Paolo II che
lo dice: per «un'adeguata ermeneutica dell'uomo, ossia di cioÁ che eÁ `umano', eÁ necessario ricorrere a cioÁ che eÁ
`femminile'».14
3. Il genio femminile
Con la Mulieris dignitatem nel nostro linguaggio eÁ entrata l'espressione
«genio femminile». Giovanni Paolo
II ne parla ai nn. 30 e 31.
La connotazione di «genio», al n.
30, eÁ in riferimento alla sensibilitaÁ
della donna. «Nella nostra epoca i
successi della scienza e della tecnica
permettono di raggiungere un grado
finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni,
conduce altri all'emarginazione. In
tal modo, questo progresso unilaterale puoÁ comportare anche una graduale scomparsa della sensibilitaÁ per
24
IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli)
l'uomo, per cioÁ che eÁ essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la
manifestazione di quel «genio» della
donna che assicuri la sensibilitaÁ per
l'uomo in ogni circostanza: per il
fatto che eÁ uomo!». Al n. 31, eÁ presentato nella sfaccettatura della santitaÁ, i cui frutti hanno alimentato la
storia dei popoli, della nazioni e
della Chiesa.
Nella giaÁ citata Lettera alle donne eÁ
considerato nella «dimensione socioetica, che investe le relazioni umane e
i valori dello spirito» (n. 9). La maternitaÁ affettiva, culturale e spirituale,
che si irradia nel campo dell'educazione a favore dello sviluppo della
persona e del futuro della societaÁ, nel
mondo della salute, soprattutto nei
Paesi piuÁ poveri, puoÁ assumere la
connotazione di martirio: per la testimonianza di disponibilitaÁ che richiede.
Anche alcune pensatrici, quali Etty
Hillesum, Hannah Arendt, Maria
Zambrano, oltre a Edith Stein giaÁ piuÁ
volte citata, prendono in considerazione il sentire e il pensare femminile.
Il sentire eÁ «lo spazio che si apre
al fondo di ogni evento e che coinvolge le forze oscure dell'essere e
dell'io, e insieme cioÁ che non siamo,
l'altro da noi».15 Maria Zambrano diraÁ che il sentire la vita si incarna nella profonditaÁ dell'essere, che eÁ fisicocorporeo-spirituale, ed eÁ chiamata
viscere, cuore.
Sfogliando il diario della Hillesum,
impressiona la luce riposante del suo
pensare che promana da una delle
sue pagine. Eppure la realtaÁ eÁ quella
del buio pesto del lager. «In me non
c'eÁ un poeta, in me c'eÁ un pezzetto di
Dio che potrebbe farsi poesia [...]. Di
notte, mentre ero coricata nella mia
cuccetta, circondata da donne e ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e rigiravano
donne e ragazze che dicevano cosõÁ
spesso durante il giorno: «non vogliamo pensare», «non vogliamo sentire,
altrimenti diventiamo pazze», a volte
provavo un'infinita tenerezza, me ne
stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti, le fin
troppe impressioni di un giorno fin
troppo lungo, e pensavo: «Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca». Ora voglio esserlo
un'altra volta. Vorrei essere il cuore
pensante di un intero campo di concentramento. Sono coricata qui con
tanta pazienza e di nuovo calma e giaÁ
mi sento assai meglio».16
EÁ una pagina che suscita emozioni,
ed eÁ molto indicativa: quando la donna si mette in ascolto per sentire le
esperienze e i vissuti suoi, degli altri,
del mondo e li accoglie in se pensando con il cuore, sta bene. Si sente meglio, perche realizza la sua femminilitaÁ di compagna, sposa, madre, che eÁ
apertura alla vita, accoglienza della
stessa per donarla, dopo averla coltivata in seÂ, alla vita stessa, che eÁ storia,
futuro, trascendenza.
Nella donna anche il vedere avviene con il cuore. La sottolineatura eÁ di
Giovanni Paolo II. Ed eÁ un vedere
che capta la bellezza. Scrive il papa:
«Lei ... forse ancor piuÁ dell'uomo vede l'uomo, perche lo vede con il cuore. Lo vede indipendentemente dai
vari sistemi ideologici e politici. Lo
25
STUDI
vede nella sua grandezza e nei suoi limiti, e cerca di venirgli incontro e di
essergli di aiuto. In questo modo, si
realizza nella storia dell'umanitaÁ il
fondamentale disegno del Creatore e
viene alla luce incessantemente, nella
varietaÁ delle vocazioni, la bellezza
non soltanto fisica, ma soprattutto
spirituale che Dio ha elargito sin dall'inizio alla creatura umana e specialmente alla donna».17
Per quanto riguarda il pensare
femminile, che ho presentato poco
fa, completo con una suggestiva riflessione della Arendt. EÁ carica di veritaÁ e di coraggio. Dice: «Ho una metafora che non ho mai pubblicato, ma
conservo per me stessa, la chiamo
pensare senza ringhiera. Si va su e giuÁ
per le scale, si eÁ sempre trattenuti
dalla ringhiera, cosõÁ non si puoÁ cadere. Ma noi abbiamo perduto la ringhiera. Questo mi sono detta. Ed eÁ
quello che cerco di fare».18
4. La valorizzazione del genio femminile, oggi
na dal piuÁ alto destino dell'umano
che sarebbe riservato invece alla virilitaÁ».19
Insieme con l'uomo la donna, che
eÁ grembo dell'umanitaÁ, eÁ chiamata a
portare anche la responsabilitaÁ di tutto quanto eÁ relativo all'essere umano:
casa, lavoro, polis, economia, sviluppo e ambiente, etica, pace e religione.
Per conseguire questa meta, va posta
in condizione di acquisire consapevolezza di chi eÁ. Anche nel confronto
con il chi eÁ dell'uomo.
Da qui l'importanza di accostare
tematiche di antropologia culturale,
filosofica, teologica di impostazione
duale, in cui sia messa in evidenza, oltre a quanto giaÁ detto, la radice unitaria di sentimento, intelletto e religione. In tal modo il sentire della donna,
illuminato dal pensare, diverraÁ un saper sentire, che si radica nell'humus
del vitale, delle esperienze di vita
compresa la vita di fede , si affina all'ascolto della propria interioritaÁ in
cui abita Dio, e della voce degli altri,
e si orienta con l'intuitivitaÁ alle cose e
al mondo. Per renderlo piuÁ umano e
piuÁ vivibile.
Una premessa: ogni persona, sia
maschio sia femmina, di ogni fascia
d'etaÁ e in ogni condizione di vita, di
cultura, di lavoro, va rispettata nella
sua dignitaÁ piuÁ che per il ruolo che
ricopre.
La seconda, la traggo dalla Prefazione di E. Levinas al libro Le Matriarche di C. Chalier. EÁ necessaria la
valorizzazione del femminile: a patto
peroÁ che non lo si voglia «racchiudere in una condizione che, per quanto
degna sia, separerebbe ancora la don-
Della soggettivitaÁ femminile, forse,
ho evidenziato piuÁ l'aspetto teoretico
rispetto a quello che «oggi» viviamo.
Pur essendo convinta che il teoretico
penetri, attraversi, plasmi la quotidianitaÁ, eÁ bene leggere la donna nell'ottica dell'attualitaÁ: per contribuire al necessario cambiamento culturale.
Al di laÁ di tante affermazioni di
principio, si constata che la societaÁ in
cui viviamo ha tuttora un'impostazione modellata su schemi fissati dagli
uomini lungo i secoli. EÁ forse, questa,
26
IL GENIO FEMMINILE, OGGI VERSO IL CAMBIAMENTO CULTURALE (C. Bettinelli)
una delle cause per cui alcune donne
tendono ad uniformarsi a certi modelli maschili compromettendo il percorso della ricchezza e pienezza della
complementaritaÁ e reciprocitaÁ. Per
giunta ritengono che il processo di
omologazione sia espressione di
emancipazione. Come una certa fascia di uomini, sgomitano per fare
carriera oppure vivono come fine il
lavoro, di cui obiettivamente non
possiamo fare a meno, salvo poi a ritrovarsi lacerate dentro percheÂ, avendoli posti come obiettivi prioritari,
hanno disatteso il senso della persona
propria e altrui, della famiglia, della
comunitaÁ.
In forza della loro capacitaÁ intuitiva che va al concreto, le donne devono percorrere sentieri in cui l'attenzione alla persona, alle comunitaÁ, e
l'esplicitazione e realizzazione delle
proprie potenzialitaÁ nel mondo del
lavoro possano incontrarsi: senza faticosi slalom e frustranti mortificazioni.
Per conseguire questa meta, non devono stancarsi di educare quegli uomini che hanno una rigida mentalitaÁ
maschilista. E, insieme, di operare
per la modifica delle impalcature della societaÁ.
Anche le comunitaÁ cristiane talvolta appaiono come societaÁ. E lo sono,
quando in esse la condizione della
donna conosce «il disagio e la fatica
di esprimersi».20
E che dire del modo con cui eÁ vissuta la sessualitaÁ? Oltre ad essere ordinata all'altro/a e, come abbiamo visto, al «tutto-uno», eÁ proiettata verso
cieli nuovi e terra nuova in una particolare dimensione «spirituale»: dove
risorgeraÁ «un corpo spirituale», come
insegna Paolo nella 1Cor, 15,44. Forse, tante persone la vivono cosõÁ. E le
tante altre che la subiscono come
schiavituÁ? La tratta delle donne e l'abuso dei minori ne sono una denuncia.
Concludo con le riflessioni di alcune donne di «Via Dogana». Fanno
sapere che anzitutto «bisogna accettare la nostra reciproca asimmetria ...
. Noi donne lo sappiamo fare, gli uomini stanno imparando ... Abbiamo
spostato l'attenzione da noi, dal bisogno di essere viste ci auguriamo
anche dall'essere viste come oggetti
nei mezzi di comunicazione [inciso
della relatrice] , alla qualitaÁ politica
di cioÁ che proponiamo ... Quello che
va cambiato nel rapporto con gli uomini eÁ il modo di stare di fronte a
loro e di collocarsi nel contesto: non
essere seduttive e ingannevoli, neÂ
ideologiche ... Nel proporre i nostri
progetti non poniamo l'accento solo
sul vantaggio economico, ma sulla
valenza pubblica e sociale. Avviene
cosõÁ uno spostamento. La loro consapevolezza viene richiamata a qualcosa di piuÁ importante e vantaggioso
del denaro. Li invitiamo a riflettere,
li facciamo sentire partecipi e responsabili del grande cambiamento
in corso nella societaÁ ... Questo cammino eÁ difficile ma eÁ anche affascinante. Preferisco pensarmi, pensarci
in un processo di modifica fluido e
ininterrotto».21 Preferisco pensarmi,
pensarci in contemplazione del progetto di Dio: per realizzarlo.
27
STUDI
13
Giovanni Paolo II interpreta il termine
biblico «aiuto» anche nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem (n. 7), che eÁ del 1988.
A parere di chi sta tenendo la relazione se
nella Mulieris dignitatem la prospettiva eÁ per
lo piuÁ etica, nella Lettera alle donne il termine eÁ visto anche nella sua pregnanza ontologica. PercioÁ piuÁ in sintonia con quanto si sta
dicendo.
14
cf GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem, cit., n. 22.
15
L. BOELLA, Cuori pensanti, Edizioni Tre
Lune, Mantova 1998, pp.93-94.
16
E. HILLESUM, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 2000, p. 230.
17
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle donne,
cit., n. 12.
18
H. ARENDT, Political Thinking without
a Bannister, ed. By M. Hill, New York 1979,
p. 336.
19
C. CHALIER, Le Matriarche, Giuntina,
Firenze 2002, p. 16.
20
P. BIGNARDI, Una presenza di pace e di
maternitaÁ evangelica, in «L'Osservatore Romano», 2 ottobre 2002, p. 6.
21
Rivista di Pratica Politica, Mantova, n.
56/57, 09.01, pp. 11-13.
Note
1
G. VATTIMO, Le avventure della differenza, Garzanti, Milano 1980, sez. V.
2
G. VATTIMO, Dialettica, differenza, pensiero debole, in Il pensiero debole, a cura di
G. Vattimo e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano
1995, p. 19.
3
Ivi, p. 23.
4
Ivi, pp. 22/23.
5
F. BREZZI, Esplorazione di nuovi territori,
in AA. VV., Il filo(sofare) di Arianna, a cura di
A. Ales Bello e F. Brezzi, Mimesis, Milano
2001, p. 179.
6
E. STEIN, La donna, CittaÁ Nuova, Roma
1999, pp. 174-175.
7
S. VANNI Rovighi, Uomo e natura. Appunti per una antropologia filosofica, Vita e
Pensiero, Milano 1980, p. 174.
8
F. BREZZI, Esplorazione di nuovi territori,
in AA. VV., Il filo(sofare) di Arianna, op. cit.,
p. 180.
9
E. STEIN, La donna, op. cit., p. 52.
10
Ibidem.
11
Ibidem.
12
E. STEIN, Essere finito e essere eterno,
CittaÁ Nuova, Roma 1988, p. 452.
Seguendo una gloriosa tradizione, un gran numero di persone consacrate,
soprattutto donne,
esercitano il loro apostolato negli ambienti sanitari,
secondo il carisma del loro istituto.
Molte, lungo i secoli, sono state le persone consacrate che hanno consacrato
la loro vita nel servizio alle vittime di malattie contagiose,
mostrando che la dedizione fino all'eroismo appartiene all'indole profetica
della vita consacrata.
(Vita Consecrata, 83)
28
INTERMEZZO
N
on eÁ solo la storia a indicare l'importanza del ruolo femminile
nell'accompagnamento dei morenti.
La capacitaÁ femminile di decodificare i messaggi drammatici,
complessi, a volte muti
che provengono da chi muore, appartiene all'esperienza
del quotidiano ed eÁ resa possibile proprio dalla consuetudine
con quel linguaggio delle emozioni
che la cultura corrente vorrebbe relegare tra i segni di debolezza.
Nell'assistenza di chi sta per morire giocano un ruolo essenziale
la sfera dei sentimenti e il linguaggio del corpo.
Con la prima le donne entrano nella storia dell'altro
camminano con lui.
Con il linguaggio del corpo, attraversato dall'amore,
le donne sono in grado di aiutare il morente
a ritrovare la sua identitaÁ, la sua dimensione umana.
Donne che accudiscono il corpo, lo puliscono, lo lavano,
lo accarezzano, lo vestono.
Sono immagini familiari, che tutti portiamo dentro,
di dolcezza e di forza.
Madri, sorelle, mogli che spendono se stesse anche per anni,
sostenendo costi fisici e psicologici altissimi.
Non si arrendono, mentre sono proprio gli uomini,
frequentemente, a gettare la spugna di fronte al progredire
della malattia e all'interruzione di ogni terapia.
(da: «Janus»)
29
P
A
S
T
O
R
A
L
E
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
SULLA SUA PRESENZA NEL MONDO
DELLA SALUTE
Il 15 febbraio 2003, il vescovo di Brescia, Mons. Giulio Sanguineti, nel Pontificale per la solennitaÁ dei
Santi Faustino e Giovita, patroni della cittaÁ e della diocesi, sceglie come tema dell'omelia, alcune preoccupazioni sulla situazione della sanitaÁ e della pastorale della salute. L'intervento del vescovo ha suscitato varie reazioni. Ne pubblichiamo due, sottolineando la validitaÁ di questo scambio di punti di vista su
una problematica tanto importante quale quella dell'assistenza dei malati e della promozione della salute.
I
COMUNITAÁ ECCLESIALE
E PASTORALE DELLA SALUTE
Sua Ecc. Mons. Giulio Sanguineti
(...) La nostra Chiesa Diocesana si
eÁ posta in un impegnativo cammino
in questi anni, che troveraÁ una sua
tappa significativa nel Convegno Ecclesiale del prossimo maggio. Mi Auguro che vivremo un'esperienza profonda di Chiesa che intende non conformarsi alla mentalitaÁ di questo secolo, ma trasformarsi, rinnovando il
proprio modo di pensare, per poter
discernere la volontaÁ di Dio (Cf Rm
12,2), e intraprendere i cammini che
lo Spirito di Cristo ci chiama a percorrere nel prossimo avvenire.
E mentre come Chiesa affrettiamo
il passo verso il futuro, rivolgiamo lo
sguardo alla comunitaÁ civile bresciana, lei pure incamminata nella nostra
stessa pagina di storia. Mentre siamo
affiancati in questo itinerario comune
di popolo che condivide e costruisce
la casa comune, la nostra Brescia, facciamo, oggi per un poco sosta alla
fonte della grazia. Ed eÁ l'occasione,
questa, per rinfrancarci e, per me,
per fare il punto su qualche aspetto
del tragitto percorso.
Intendo percioÁ parteciparvi alcune
delle mie preoccupazioni e osservazioni sulla condizione dei malati e
sofferenti nella nostra Brescia; sulla
situazione della sanitaÁ, e sulla pastorale che, come Chiesa, dedichiamo alla promozione e difesa della
salute.
Sono pensieri resi in me ancora piuÁ
vivi dal contatto frequente con i fede30
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
li ammalati o «sani» che incontro, durante la visita pastorale in corso, nelle
parrocchie come negli ospedali. Proprio ai sofferenti rivolgo ora innanzitutto il mio pensiero affettuoso, a pochi giorni dalla Giornata mondiale a
loro dedicata, nella memoria, lo scorso 11 febbraio, della Beata Vergine di
Lourdes. A Maria, alla sua materna
intercessione desidero nuovamente
affidarvi.
La Chiesa infatti non rincorre anime, bensõÁ si prende cura della persona umana, si rivolge a tutte le persone
e a tutta la persona, nella sua completezza ed inscindibile unitaÁ di corpo e
di spirito; e si qualifica per il valore
fondamentale che riconosce alla vita
umana, dono di Dio. L'esempio e il
comando le eÁ venuto dal suo stesso
fondatore, GesuÁ Cristo, che ha dedicato spazio considerevole agli infermi.
A qualcuno, meno addentro alla
realtaÁ ecclesiale o abituato a pensare
una Chiesa che si occupi solo di anime, potraÁ forse apparire strano che
qui si parli di salute e di sanitaÁ, ma in
realtaÁ non si tratta di un tema accessorio.
La Chiesa si eÁ sempre occupata
degli infermi e dei sofferenti e non,
si badi bene, per atto di supplenza
ad uno Stato latitante, situazione che
sarebbe oggi in gran parte superata,
ma perche le eÁ proprio, perche fa
parte della sua missione di sempre.
Come dice il nostro papa: «Di fatto, la Chiesa nel corso dei secoli ha fortemente avvertito il servizio ai malati
e sofferenti come parte integrante della
sua missione e non solo ha favorito fra
i cristiani il fiorire delle varie opere di
misericordia, ma ha pure espresso dal
suo seno molte istituzioni religiose con
la specifica finalitaÁ di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l'assistenza agli infermi. I missionari, per
parte loro, nel condurre l'opera dell'evangelizzazione, hanno costantemente
associato la predicazione della Buona
Novella con l'assistenza e la cura dei
malati» (GIOVANNI PAOLO II, Dolentium Hominum, 1).
Che cosa rimane, infatti, dei vangeli, se ne togliamo i malati? Circa una
quinta parte dei quattro vangeli eÁ dedicata all'attivitaÁ di GesuÁ in loro favore ed alle discussioni generate dalle
guarigioni che Egli opera. Il Cristo si
china sui dolori e sulle sofferenze dell'umanitaÁ indipendentemente dai meriti morali o sociali degli ammalati
che incontra sulla sua strada. Egli ferma il suo cammino per un lebbroso
di cui nessuno si preoccupa, per
un'emorroissa che nessuno ha saputo
curare, per un paralitico che vive di
caritaÁ ai margini delle strade.
L'umanitaÁ nuova che eÁ venuto ad
annunciare ed iniziare nel nome del
Padre con la potenza dello Spirito
non si realizza senza prendersi cura
degli ultimi e, tra di essi, un posto
privilegiato hanno gli ammalati.
Essi ne devono fare parte! La comunitaÁ dei discepoli che Cristo riunisce non si costituisce pienamente senza prendersi cura di loro, della loro
presenza. Questa sua attivitaÁ di salvatore nei confronti dei sofferenti, non
era determinata da una scelta tra tante possibili, ma dall'impegno irrinunciabile di compiere una precisa mis31
PASTORALE
sione affidatagli da Dio, Padre «ricco
di misericordia» che nel suo disegno
di salvezza in favore di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, privilegia i suoi
figli piuÁ bisognosi di aiuto.
Alla Chiesa che continua la Sua opera
messianica nella storia, il Signore GesuÁ
affida questo medesimo compito, comandando giaÁ ai suoi primi inviati «alle pecore perdute della casa di Israele»: «quando entrerete in una cittaÁ e
vi accoglieranno, (...) curate i malati
che vi si trovano, e dite loro: si eÁ avvicinato a voi il regno di Dio» (Lc 10, 8).
PiuÁ tardi ai suoi diraÁ: «ero malato, e
mi avete assistito» (Mt 25, 36), affermando che Egli si identifica con il sofferente e conclude la parabola del
Buon Samaritano con l'invito: «va e
anche tu fa lo stesso» (Lc 10, 37).
parlare della presenza capillare di
prevenzione e cura attraverso le comunitaÁ cristiane. A questa presenza
nel mondo della malattia e della salute la Chiesa attribuisce un valore e un
significato molto alto: si tratta della
continuazione dell'opera stessa di
Cristo. Essa non puoÁ venire meno: eÁ
questione di fede.
La cultura del prendersi cura degli
ammalati eÁ entrata nella mentalitaÁ civile. Per la stragrande maggioranza
dei casi eÁ la comunitaÁ sociale, almeno
in Europa, che si fa carico di offrire
assistenza sanitaria ai cittadini. Non
ci si puoÁ che rallegrare di una tale
evoluzione positiva, e c'eÁ da augurarsi
che la nostra cultura sappia custodire
anche in futuro questo prezioso tesoro, continuando a riconoscere la responsabilitaÁ della comunitaÁ nella cura
della salute dei cittadini, senza cedere
alla tentazione di improvvide fughe
verso forme estreme di privatizzazione, quali si auspicano a volte da parte
di alcuni, i quali paiono aver eretto a
principio etico assoluto quello di pagare meno tasse e contestano la necessitaÁ di un intervento della comunitaÁ sociale nella tutela della salute, che
sarebbe da affidare piuttosto al gioco
della domanda e dell'offerta proprio
del «libero mercato», e cosõÁ caldeggiano forme di assicurazione sanitaria
privata sostitutive della responsabilitaÁ
pubblica.
Il rischio, che si evidenzia anche in
esperienze di altre nazioni, eÁ quello
di andare verso una doppia sanitaÁ,
una per chi puoÁ pagare e una, ben diversa, per i poveri.
La salute non eÁ un fatto privato! Si
E la Chiesa, a partire da GesuÁ, proprio questo ha fatto. CosõÁ ha introdotto nel mondo una nuova cultura:
quella di prendersi cura dei bisognosi. Essa, quindi, «non solo ha favorito
fra i cristiani il fiorire delle varie opere
di misericordia, ma ha pure espresso
dal suo seno molte istituzioni religiose
con la specifica finalitaÁ di promuovere,
organizzare, migliorare ed estendere
l'assistenza agli infermi» (GIOVANNI
PAOLO II, Dolentium Hominum, 1),
chiamando tutti alla solidarietaÁ verso
i fratelli sofferenti.
Ancor oggi la Chiesa Cattolica,
con gli oltre 114.000 Centri di assistenza che nel mondo ad essa fanno
riferimento, di cui oltre 6.000 ospedali e 17.000 Centri ambulatoriali
rappresenta nel suo insieme il primo
fornitore di salute al mondo. Per non
32
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
costruisce nella comunitaÁ, nelle relazioni e con le relazioni!
Il pur buon obiettivo di abbassare
il peso fiscale, non puoÁ essere perseguito al prezzo della de-responsabilizzazione dai nostri doveri verso la
comunitaÁ: siamo interpellati dal bisogno dell'altro!
Ma sarebbe troppo poco, cari fratelli
e sorelle, se come cristiani ci limitassimo ad indicare i problemi, senza dare
un nostro contributo alla loro soluzione. Non eÁ questa la tradizione della nostra Chiesa Locale.
La Chiesa che eÁ in Brescia ha attuato nei secoli una doverosa presenza vicino alla persona malata: nelle
parrocchie, innanzitutto, quindi attraverso la presenza dei religiosi negli
ospedali e la fondazione di ospedali
da parte di Istituti religiosi, sostenuta
dalla generositaÁ encomiabile dei cittadini e dei cristiani che non hanno mai
fatto mancare i mezzi necessari all'accoglienza e alla cura di chi era nel bisogno, e sorretta da un rapporto di
collaborazione con l'autoritaÁ civile
solido, anche se dialettico. L'origine
stessa e la storia dell'Ospedale Civile
ne eÁ una testimonianza luminosa, di
cui i bresciani vanno a ragione orgogliosi.
Ancor oggi, in veritaÁ, molti cristiani
contribuiscono a vario titolo a far crescere questa sensibilitaÁ con la loro
presenza, sia professionale sia di volontariato, accanto a chi soffre. Anche attraverso alcuni ordini e congregazioni religiose, case di cura ed
ospedali la nostra Chiesa continua a
realizzare la sua presenza accanto al
bisognoso di cura non solo nel corpo,
ma anche nello spirito.
Giova ricordare che i problemi di
bilancio, hanno condotto anche a
forti riforme di gestione della sanitaÁ
nel nostro Paese, che hanno portato
a trasformare i servizi sanitari in
aziende e all'applicazione di un tariffario delle prestazioni. Ancora
una volta, non si puoÁ che essere
contenti dell'intenzione e dello sforzo che la nostra sanitaÁ ha compiuto
e sta compiendo per contenere sprechi e spese inutili ed aumentare in
efficienza, ma altra cosa eÁ avere attenzione al ridimensionamento degli
sprechi ed altra cosa eÁ fare degli
obiettivi di bilancio il primo criterio
di buon funzionamento di una struttura sanitaria.
La Chiesa non puoÁ non mettere in
guardia dai pericoli di un sistema sanitario che si costruisca mettendo al
centro l'attivo economico, anziche la
persona malata. Una tale impostazione eÁ radicalmente fuorviante e disumanizzante: giaÁ se ne intravedono gli
effetti perversi sulla pelle dei cittadini. L'auspicio e l'ammonizione che io
rivolgo a tutta la comunitaÁ sociale, ed
a chi dentro di essa ha un ruolo di responsabilitaÁ, eÁ quella ad un impegno
inderogabile ad introdurre gli indispensabili correttivi.
Eppure qualcosa della nostra antica e diffusa sensibilitaÁ sembra essersi
raffreddato. Per un certo periodo la
presenza della Chiesa accanto ai sofferenti eÁ stata esercitata soprattutto
attraverso la delega ad alcuni specialisti del settore, quali sono i cari
33
PASTORALE
Cappellani ospedalieri, gli operatori
sanitari cattolici, gli Ordini e Congregazioni religiose. Questa stessa
delega ha forse favorito una minore
attenzione della comunitaÁ ecclesiale
nel suo insieme verso il mondo della
salute.
divengano ancor piuÁ attente e meglio
accoglienti dei sofferenti che in esse
si trovano.
Oggi eÁ dunque necessario recuperare un maggiore coinvolgimento ed un
maggior protagonismo di tutta la comunitaÁ cristiana e di tutte le comunitaÁ cristiane al riguardo; a maggior ragione tenendo presente che la custodia e la cura della salute sembrano
destinate a spostarsi sempre piuÁ dall'ospedale al territorio.
Rischiamo altrimenti, come comunitaÁ ecclesiale, di mancare di fedeltaÁ
all'obbligante esempio di Cristo di
non disgiungere annuncio del Vangelo e cura dei malati, e di perdere
il contatto con esperienze umane
fondamentali come sono la realtaÁ
della malattia e della morte, contribuendo ad una cultura che giaÁ oggi
tende a rimuoverle e finisce per appiattirsi sulla vita presente, che si
vorrebbe indefinitamente prolungata, offuscando lo sguardo sulla speranza della vita futura: l'unica dove
la salute si puoÁ raggiungere nella
sua pienezza. EÁ «specialmente quando si eÁ in presenza di tragiche esperienze umane», ricorda infatti il papa, che «il cristiano eÁ chiamato a testimoniare la consolante veritaÁ del
Cristo risorto, che assume le piaghe e
i mali dell'umanitaÁ, compresa la morte, e li converte in occasioni di grazia
e di vita» (GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata mondiale dell'ammalato 2003, n 3).
Proprio per aiutare questo necessario recupero, la nostra Diocesi si
sta dando un organico Progetto di
pastorale della salute.
CioÁ ha comportato alcune conseguenze che sembrano rendere piuÁ difficile continuare una presenza cristiana significativa nell'ambito della salute. Ne accenno alcune:
a) La diminuzione delle vocazioni
rende sempre piuÁ difficile continuare
le opere consegnateci dal passato, (Cf
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la
Giornata mondiale dell'ammalato
2003, n 2) ed esige di ripensare il futuro.
b) Le necessitaÁ economiche della
moderna sanitaÁ, trovano ormai difficoltaÁ ad essere coperte dal contributo
pubblico. Molti ospedali religiosi sono costretti a chiudere o si interrogano sulla loro possibilitaÁ di continuare
in un'opera cosõÁ meritoria, mentre
fanno fatica a trovare oggi la medesima generositaÁ e solidarietaÁ dei credenti che ne permise in passato, con
fatica e sacrifici, la creazione e il sostegno, col rischio che tanto patrimonio di fede, di cultura e di opere della
nostra Chiesa Bresciana vada disperso: e questo a danno di tutti, non solo
di coloro che si riconoscono nella fede cattolica.
c) La famiglia, rispetto al passato
molto ridotta di membri, ed in mutate condizioni di vita, fa piuÁ fatica a
farsi carico da sola del proprio caro
infermo e invoca che le nostre parrocchie, per quanto eÁ loro possibile,
34
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
Care comunitaÁ cristiane, dobbiamo
riscoprire che questo sanante compito ci appartiene. Non piuÁ pensare
che la vicinanza ai malati sia compito
solo del sacerdote, che sia Cappellano in ospedale o che sia parroco.
Tornare a sentire come «nostre» e da
non lasciare sole le Istituzioni sanitarie cattoliche.
la vita umana fragile. Rendiamoci
conto di cosa avviene troppo spesso
nei nostri ospedali, in violazione del
valore fondamentale della vita. Anche
nella nostra Brescia, come in altre
parti del mondo, come ha ricordato
ancora recentemente il nostro papa,
«sembra oggi profilarsi un modello di
societaÁ in cui dominano i potenti,
emarginando e persino eliminando i
deboli: penso qui ai bambini non nati,
vittime indifese dell'aborto; agli anziani ed ai malati incurabili, talora oggetto di eutanasia; ed ai tanti altri esseri
umani messi ai margini dal consumismo e dal materialismo. (...) Un simile
modello di societaÁ eÁ improntato alla
cultura della morte ed eÁ percioÁ in contrasto col messaggio evangelico (Esort.
post-sinodale Ecclesia in America,
63).
Di fronte a tale preoccupante realtaÁ,
come non porre tra le prioritaÁ pastorali
la difesa della cultura della vita? EÁ urgente compito dei cattolici, che operano nel campo medico-sanitario, fare il
possibile per difendere la vita quando
maggiormente eÁ in pericolo, agendo
con una coscienza rettamente formata
secondo la dottrina della Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la
Giornata mondiale dell'ammalato
2003, n 2).
Anche io, per il dovere che mi impone il mio ministero di Vescovo, ripropongo a tutti i credenti fra le prioritaÁ pastorali la difesa della cultura
della vita!
A coloro che giaÁ sono direttamente
impegnati nella pastorale della salute
dico invece: che eÁ necessaria una
maggiore coordinazione tra le varie
strutture di ispirazione cattolica. Non
eÁ piuÁ tempo di camminare soli, anche
se si ha alle spalle una tradizione lunga e gloriosa. Solo nel camminare insieme, nel coordinamento, si apre oggi la strada per rendere piuÁ efficacemente presente la caritaÁ di Cristo nel
mondo della sanitaÁ: diventa sempre
di piuÁ una necessitaÁ.
EÁ un invito che rivolgo alle Istituzioni sanitarie cattoliche, ma eÁ un invito che rivolgo con altrettanta forza
anche ai singoli operatori della salute
cristiani: medici, infermieri, tecnici,
amministratori, e naturalmente religiosi e sacerdoti. Come singoli siamo
destinati a restare vittime senza voce
di una cultura che per certi aspetti
contraddice lo spirito evangelico e
mina il valore intangibile della vita
umana. Oggi piuÁ che mai, eÁ opportuno trovare forme di unione ed associazione per ridivenire consapevoli
del ricco patrimonio di cultura della
nostra tradizione e per recuperare la
forza di azioni comuni.
Cari fratelli e sorelle, il nostro impegno come cristiani e come uomini
di buona volontaÁ, sarebbe nulla se
non fosse sostenuto dalla presenza
L'appello piuÁ accorato, lo rivolgo a
tutti a prendersi a cuore la difesa del35
PASTORALE
dello Spirito di Cristo. Dunque affidiamoci alla preghiera.
Preghiamo che GesuÁ salvatore
guarisca i nostri occhi e illumini tutti:
fedeli, cittadini, amministratori della
cosa pubblica e personalitaÁ politiche
nella ricerca dei modi migliori di
prendersi cura con prontezza ed efficacia dei bisognosi di cura. Soprattutto mi affido alla preghiera insistita di
voi stessi, cari fratelli sofferenti, nei
quali riconosco la presenza del Signore. A Lui ci affidiamo, in Lui operiamo.
II
RISPOSTA AL VESCOVO
Dott. Giovanni Zaninetta,
Responsabile dell'Hospice per malati terminali «Domus Salutis»
Membro della Consulta Diocesana di Pastorale della salute
Dobbiamo essere grati al nostro Vescovo per l'attenzione che ha dedicato alla sanitaÁ durante l'omelia in occasione della festa dei SS Faustino e
Giovita: le sue parole sono una sollecitazione forte per la comunitaÁ civile
e per quella cristiana, ma lo sono particolarmente per gli operatori sanitari
che nella comunitaÁ ecclesiale si riconoscono.
che gli operatori sono in grado di
compiere da soli, la comunitaÁ cristiana deve sostenerli con l'appoggio della preghiera e della riflessione sull'importanza della tutela della salute dentro la societaÁ, ma anche con la vigilanza, perche essi non deviino dal retto cammino, come recenti e dolorosi
fatti di cronaca sembrerebbero dimostrare.
Il primo richiamo, non scontato, eÁ
volto all'attenzione costante alla cura
del corpo che si incontra nella predicazione e nelle opere di GesuÁ. Questo pone gli operatori sanitari in una
particolare collocazione nel mondo:
per loro non si tratta solo di rispondere ad una ordinaria sollecitazione lavorativa ma di sforzarsi di incarnare, nel
quotidiano, l'esplicita preoccupazione
di GesuÁ di sanare, o almeno di curare,
i corpi, per entrare piuÁ efficacemente
in contatto con lo spirito.
Non si tratta peroÁ di un compito
Le parole del Vescovo passano peroÁ rapidamente alla dimensione sociale della salute, riaffermando con
decisione la necessitaÁ che la sanitaÁ rimanga sotto la responsabilitaÁ pubblica,
sia pure con l'ampia collaborazione del
privato, senza peroÁ abdicare alla tentazione di creare di fatto due sistemi
sanitari, uno di qualitaÁ per i tutelati
(o gli assicurati) ed uno di sussistenza
per gli altri; ugualmente efficace eÁ il
richiamo alle finalitaÁ del sistema sanitario: esso eÁ nato per curare i malati
non per risparmiare denaro, pur nel36
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
l'evidente necessitaÁ e dovere di evitare gli sprechi.
zazioni private profit e non profit, nello stesso tempo rendono necessarie
strutture di dimensioni e caratteristiche tecnologiche e scientifiche poco
compatibili con quelle religiose attualmente operanti.
Quali dunque le prospettive? Da
un lato certamente non si deve lasciare niente di intentato perche le risorse
esistenti possano cooperare e, se eÁ il
caso, confluire in strutture sovralocali, regionali o nazionali per fornire in
maniera coordinata ed economicamente sostenibile un servizio che la
Chiesa italiana ha storicamente offerto alla comunitaÁ civile. Dall'altro si
puoÁ forse iniziare un percorso di riflessione sul progressivo esaurimento del
ruolo profetico della comunitaÁ nella
realizzazione di un servizio sanitario
universale, riaffermando la necessitaÁ
di vigilare sul suo mantenimento e
sulla sua qualitaÁ, senza necessariamente continuare ad intervenire operativamente.
Il Vescovo analizza poi con acutezza la situazione delle istituzioni sanitarie cattoliche a livello italiano e locale, ponendo in luce i fattori critici e
suggerendo delle soluzioni: non si
puoÁ che convenire sugli uni e sugli altri, aggiungendo qualche nota a margine.
EÁ purtroppo indiscutibile il ridursi, in alcuni casi drammatico, delle
vocazioni religiose che avevano contribuito in molti casi al nascere e
prosperare di istituzioni sanitarie cattoliche: proprio questa eÁ una delle
cause, anche se non certo l'unica,
della difficoltaÁ di mantenere operative strutture peraltro meritorie e di
alta qualitaÁ, purtroppo nella sostanziale indifferenza della comunitaÁ cristiana.
CioÁ non eÁ tuttavia sorprendente se
consideriamo il cambiamento culturale avvenuto nell'ultimo mezzo secolo, in buona parte sollecitato proprio
dallo stimolo di cristiani, di ritenere
la tutela della salute un compito dello
Stato e delle Regioni e non piuÁ dei
singoli, delle famiglie e dei gruppi sociali, neppure della comunitaÁ cristiana che, di conseguenza, ha scelto e
con successo, di dedicarsi alla cura
della marginalitaÁ e dell'emarginazione, facendosi carico di aspetti piuÁ sociali che sanitari.
Il principio della competenza dello
Stato e delle Regioni in materia di salute rimane oggi assolutamente valido, ma si scontra con risorse economiche calanti e con scelte che, se privilegiano piuÁ di un tempo le organiz-
Si apre peroÁ, a mio giudizio, un'altra prospettiva che puoÁ recuperare
proprio l'aspetto profetico della
Chiesa nel campo della salute. Il richiamo di Mons. Sanguineti eÁ preciso: le famiglie faticano a far fronte all'assistenza domestica dei malati cronici e si rivolgono per un aiuto anche,
e soprattutto, alle comunitaÁ parrocchiali; contemporaneamente, le scelte
sanitarie a livello centrale si orientano
sempre piuÁ verso il territorio. Da
queste due considerazioni puoÁ nascere un nuovo campo di intervento,
meno tecnologico, ma non meno tecnico, con minor investimento di capitali finanziari, ma con grande investi37
PASTORALE
Chiesa diocesana potrebbe farsi carico di un primo stimolo e di uno schema operativo di massima da cui partire.
In ultimo il richiamo del Vescovo
alla difesa della vita ci deve sollecitare
ad un atteggiamento che definirei
«preventivo»: non dobbiamo solo difenderla ma dobbiamo propugnarla,
cercando di creare le condizioni percheÂ
essa sia valorizzata e sostenuta in particolare nella fragilitaÁ estrema, quando
non eÁ ancora venuta alla luce e quando vive gli ultimi giorni, non solo attraverso i richiami sui principi, certo
necessari, ma soprattutto con le iniziative concrete che offrano cure sollecite sia sul piano sociale (pensiamo
al sostegno alla maternitaÁ difficile ed
alle famiglie dei malati cronici soprattutto in fase terminale) sia sul piano
piuÁ specificamente sanitario (le cure
palliative).
In conclusione non possiamo che
rinnovare la gratitudine al nostro Vescovo per le sue parole ed invitarlo a
mantenere vigile la Chiesa diocesana
su questi temi perche Cristo quando
ritorneraÁ possa dire «ero malato, e mi
avete assistito» (Mt 25,36).
mento di risorse umane rivolto proprio al territorio, alle cure domiciliari
che saranno verosimilmente uno dei
traguardi del prossimo decennio.
Questa dimensione assistenziale
richiede una particolare attenzione
ed una particolare cura perche non
si realizza all'interno di una struttura predefinita ma dentro la casa di
chi soffre, a fianco delle sue persone
care, che possono collaborare e sentirsi coinvolte, recuperando pienamente la relazione umana e spirituale. Essa non potraÁ venire affrontata
con modalitaÁ estemporanee o esclusivamente volontaristiche ma dovraÁ
trovare sbocchi strutturati, esattamente come in un momento storico
differente si diede vita ad ospedali e
a case di riposo, attraverso la creazione di eÂquipe di servizio che offrano cure domiciliari di qualitaÁ, senza
finalitaÁ speculative ma con una giusta remunerazione, ma, soprattutto,
con il valore aggiunto di una vera
motivazione di caritaÁ, di ascolto, di
condivisione.
Questo compito puoÁ dunque rappresentare uno stimolo nuovo e fecondo per le nostre comunitaÁ: la
38
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
III
QUALE FUTURO PER LA SANITAÁ CATTOLICA A BRESCIA?
NOTE IN MARGINE ALL'OMELIA DEL VESCOVO
Don Carlo Bresciani
Professore di teologia morale, Seminario di Brescia
servizio sanitario universale, riaffermando la necessitaÁ di vigilare sul suo
mantenimento e sulla sua qualitaÁ,
senza necessariamente continuare ad
intervenire operativamente». Questo
sia per le difficoltaÁ obiettive degli istituti religiosi attualmente operanti negli ospedali e nelle cliniche cattoliche,
sia per la presente necessitaÁ di «strutture di dimensioni e caratteristiche
tecnologiche e scientificamente poco
compatibili con quelle religiose attualmente operanti».
Zaninetta propone, quindi, in risposta ad un bisogno sottolineato dal
Vescovo stesso, di sviluppare un altro
aspetto profetico della Chiesa nel
campo della salute: «la creazione di
eÂquipe di servizio che offrano cure
domiciliari di qualitaÁ» in grado di rispondere alle esigenze di assistenza ai
malati cronici che si rivolgono anche
alle parrocchie per un aiuto. Un campo «meno tecnologico, ma non meno
tecnico», che richiederebbe minor investimento di capitali finanziari, ma
grande investimento di risorse umane
sul territorio.
Che di questo ci sia necessitaÁ, poco
dubbio. Che questo risponda a bisogni molto diffusi sul territorio, altrettanto fuori dubbio. Gli sviluppi dell'attuale prassi sanitaria portano a ritenere che questo sia un campo nel
Il commento di Giovanni Zaninetta all'omelia del Vescovo Mons. Giulio Sanguineti sulla sanitaÁ a Brescia,
pronunciata nel giorno dei SS. Faustino e Giovita, ne focalizza molto bene alcuni aspetti importanti e coglie,
mi pare, il senso di quell'intervento.
Il Vescovo chiede che la comunitaÁ
cristiana (non solo gli ordini religiosi
che conducono ospedali o cliniche in
Brescia) si renda piuÁ attenta a partecipe alle esigenze della cura del malato nella attuale situazione dell'evoluzione della sanitaÁ a Brescia e in Lombardia. Al centro della sua riflessione
sta l'atteggiamento di GesuÁ verso i
malati che ci invita ad agire perche il
malato venga riconosciuto come parte ineliminabile della comunitaÁ cristiana. Sullo sfondo dell'intervento
del Vescovo sta il progetto di pastorale sanitaria che la diocesi si eÁ data e
che viene progressivamente portato
ad attuazione.
Un aspetto dell'intervento di Zaninetta, tuttavia, mi pare meriti qualche
riflessione in piuÁ in quanto di non secondaria importanza per gli sviluppi
futuri della presenza cristiana nella
sanitaÁ bresciana. Egli accenna alla necessitaÁ di «iniziare un percorso di riflessione sul progressivo esaurimento
del ruolo profetico della comunitaÁ
[cristiana] nella realizzazione di un
39
PASTORALE
quale la comunitaÁ cristiana possa dare molto nel prossimo futuro.
Detto questo, si deve percioÁ considerare esaurito da parte della comunitaÁ cristiana l'impegno in campo piuÁ
decisamente tecnologico e scientifico
a servizio della salute? EÁ superata l'esigenza di continuare ad impegnare
risorse (umane ed economiche) per
mantenere gli ospedali e le case di cura ad un livello in grado di offrire servizi di eccellenza anche nella terapia
delle malattie acute? Zaninetta evidentemente non sostiene questo, ma
per la necessaria brevitaÁ con la quale
affronta l'argomento potrebbe portare qualcuno a considerare quasi scontato che tale impegno sia poco compatibile con le strutture religiose attualmente operanti.
Su questo aspetto, consapevoli delle complesse difficoltaÁ esistenti, bisognerebbe che come comunitaÁ cristiana ci ponessimo qualche domanda
piuÁ puntuale. Se comprendo bene,
cioÁ eÁ parte di quanto il Vescovo aveva
intenzione di provocare ponendo il
tema all'attenzione della coscienza
credente.
EÁ giunto il momento che la comunitaÁ cristiana e gli ordini religiosi si ritirino in una specie di zona residuale
nel campo della salute (bencheÂ, sia
chiaro, di tutto rispetto e dignitaÁ), lasciando allo Stato e alle Regioni la sanitaÁ `di punta' e limitandosi alla vigilanza sulla qualitaÁ del servizio offerto?
Resta certamente indubbio, e il Vescovo lo riconosce in modo esplicito,
il grande merito dei cristiani che lavorano nelle strutture pubbliche della
sanitaÁ, ma oggi dobbiamo chiederci
se sia esaurito il senso e il valore della
presenza di strutture esplicitamente
cattoliche che si impegnino a tradurre nella pratica le convinzioni di una
sanitaÁ fedele all'uomo integrale secondo la prospettiva evangelica?
Se gli ordini religiosi sembrano
non avere piuÁ le forze, umane ed economiche, per sostenere le esigenze
dell'attuale sviluppo nel campo della
cura della salute, la comunitaÁ cristiana, i laici cristiani, non hanno nulla
da dire e da fare oltre alla constatazione che coloro che li hanno rappresentati finora nel campo della cura
del malato non hanno piuÁ le forze
sufficienti?
Se i singoli ordini religiosi da soli
non sono piuÁ in grado di mettere in
campo strutture all'altezza delle attuali esigenze e sufficienti risorse
umane ed economiche allo scopo, eÁ
impensabile cercare di attuare quella
collaborazione tra le diverse strutture
sanitarie cattoliche cui fa accenno anche il Vescovo alla fine della sua omelia? Quali contributi puoÁ dare il laicato cattolico per ovviare eventualmente in qualche modo a tale denunciata
carenza di risorse?
Oppure il laicato cattolico ritiene
superato l'impegno nella promozione
e nel sostegno di strutture, anche per
acuti, che esprimano la sensibilitaÁ e la
preoccupazione `cattolica' per il malato, promovendo anche la ricerca in
campi tecnologicamente avanzati della sanitaÁ? Si ritiene che questi siano
campi da lasciare solo al settore `profit' e allo Stato, limitandosi alla vigilanza e alla critica quando le cose non
vanno come si vorrebbe?
Si tratta solo di alcune domande,
40
UNA CHIESA PARTICOLARE SI INTERROGA
formazione di quella mentalitaÁ e sensibilitaÁ nei confronti del malato e della
cura della malattia che ci ha caratterizzato. Non necessariamente dobbiamo
conservare il passato cosõÁ come ci eÁ
stato consegnato, ma sarebbe un grave errore disperdere, per mancanza di
attenzione, quei valori che con tanta
fatica e sacrificio sono stati tradotti in
autentiche opere di caritaÁ cristiana e
di cui la Chiesa bresciana, ben a ragione, deve sentirsi orgogliosa.
ma credo molto attuali e di tutto rilievo, che devono far riflettere la nostra
Chiesa bresciana nel suo insieme. Il
Vescovo sembra averle percepite con
chiarezza, per questo ha scelto un'occasione cosõÁ solenne per porle davanti
alla nostra coscienza credente. Sarebbe un grave errore lasciarle cadere
nel silenzio.
La nostra tradizione bresciana ci
ha consegnato un patrimonio enorme
di sanitaÁ `cattolica', da cui eÁ dipesa la
Nell'attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura amorevole
verso i malati, la comunitaÁ ecclesiale eÁ coinvolta in tutte le sue componenti.
Il Concilio Vaticano II raccomanda ai vescovi di circondare
`di una caritaÁ paterna gli ammalati' (CD, 30); ai sacerdoti di avere
`cura dei malati e dei moribondi,
visitandoli e confortandoli nel Signore' (PO, 6);
ai religiosi di esercitare `al massimo grado'
il ministero della riconciliazione in loro favore e di mantenere
la fedeltaÁ al carisma della misericordia verso gli ammalati (cf. PC, 10);
ai laici di praticare `la misericordia verso i poveri e gli infermi',
ricordando che la caritaÁ cristiana deve cercarli e trovarli,
consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo loro aiuto.
(La pastorale della salute nella Chiesa Italiana, 23)
41
UNA DIALISI DIFFICILE
Dialogo pastorale
Ornella Scaramuzzi
Informazioni
M.G. sessantenne, agente di commercio, eÁ in dialisi da due anni. Divorziato da 12 anni, non ha mai accettato la rottura del nucleo familiare
piuÁ che l'assenza della moglie.
GiaÁ anni fa, racconta, fu preso per i
capelli in una situazione improvvisa
di rischio cardiaco per cui fu sottoposto con urgenza a intervento per diversi by-pass.
Ha cercato di rifarsi una vita affettiva con una compagna ma dopo alcuni anni anche questa storia si eÁ banalmente conclusa e ne eÁ fortemente
deluso per cui dice: «Non credo piuÁ a
niente!». Per lui il lavoro eÁ un punto
di forza perche in esso si realizza, eÁ
apprezzato e puoÁ incontrare gente sia
pure in un rapporto di ruolo. Sente il
bisogno di mantenere questa maschera di stabilitaÁ e di efficienza per cui,
nel posto di lavoro, nessuno conosce
la sua storia di dializzato. Infatti vi si
reca non in orari di ufficio e in un
centro poco frequentato che gli assicura l'anonimato.
L'incontro avviene per caso in
una calda giornata di metaÁ luglio.
Poiche ci conosciamo da molti anni,
circa venticinque, si apre alla confidenza e noto che ha un estremo bisogno di parlare per rompere il silenzio diffidente che ha come clicheÂ
con gli altri.
COLLOQUIO
O1 M1 -
Dove se ne va quest'estate?
Da nessuna parte. Sa ... (con un
po' di esitazione) io non posso.
Sono due anni che faccio dialisi
e nessuno lo sa al lavoro, percheÂ
sorgerebbero problemi. Invece
io ci vado in orari non di lavoro
e in un centro privato; ma adesso
sono stanco, proprio stanco di
O2
questa storia (EÁ arrabbiato e angosciato fino alle lacrime. I suoi
occhi infatti si inumidiscono appena e la voce si fa cupa). Non
l'ho accettata all'inizio e non l'accetto ancora questa macchina.
EÁ un rapporto di odio e amore,
un legame insopprimibile ma
non sempre piacevole.
42
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
UNA DIALISI DIFFICILI (O. Scaramuzzi)
M2
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M3
O4
M4
SõÁ mi sento prigioniero, messo alla sbarra, del tutto condizionato,
legato le tre volte alla settimana
che ci vado (mi stupisco della
sua foga).
EÁ proprio arrabbiato per questa
limitazione periodica alla sua libertaÁ d'azione, al punto da non
voler sentire parlare di vacanze.
(Riesco a comprendere la sua angustia e cerco lievemente di aprirgli qualche prospettiva) Eppure
sa che ci sono centri attrezzati
da questo punto di vista ormai
diffusi in qualsiasi regione. Non
si eÁ fatto nemmeno un'idea?
Si, ho un fratello a M., il piuÁ grande di noi, che mi vorrebbe lõÁ per
una vacanza (So infatti che non
gli manca la comprensione dei
numerosi fratelli e sorelle. Nella
famiglia d'origine infatti avevano
ricevuto un'impronta educativa
cristiana, forte, amorevole e solidale da parte soprattutto della
madre, per cui tutti i figli sono venuti su bene).
Ottima idea! Da prendere in considerazione. Anzi in quella cittaÁ
c'eÁ un mio amico cappellano dell'ospedale; potrebbe conoscerlo
e averne aiuto per non sentirsi
sperduto e senza compagnia
(Sto provando a infondergli una
sana fiducia per rimuovere la
sua inerzia rinunciataria). EÁ una
persona molto valida umanamente e spiritualmente e potrei darle
il nome se lo desidera.
SõÁ ... ma sono io che non voglio. A
che serve! (Capisco che sta proprio giuÁ psicologicamente e moralmente e allora annuisco e resto
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43
ad ascoltarlo). Forse i miei guai
sono iniziati dalla separazione
12 anni fa. ChissaÁ se eÁ vero che
queste cose ti fanno ammalare!
Eppure fino ad allora ero stato
sempre bene. Mia madre diceva
che ero una pellaccia fortissima e
mio fratello, quando mi ha invitato, diceva che noi in famiglia ci
pieghiamo ma non ci spezziamo.
Ma io sono ridotto cosõÁ e sento
che non ho piuÁ voglia di lottare.
Non le sembra di vedere alcun
senso positivo in cioÁ che le accade. Mi dispiace.
Che senso ha vivere cosõÁ? (Sgrana
gli occhi in cerca di ragionevolezza in cioÁ che sta vivendo) SõÁ, ho il
lavoro ma se non hai accanto la
famiglia, nel senso dei figli ...
Mio figlio piccolo viene solo
quando ha bisogno di soldi. La
grande si vede un po' di piuÁ, ma
solo un po'. Dunque sono solo e
la casa eÁ vuota.
Non le sembra di avere giustificazioni per lottare e prospettive di
valore. Infatti la sua famiglia di
origine cosõÁ unita e forte le rimanda un'immagine contrastante con
il suo vivere di oggi. Eppure eÁ
proprio lõÁ la sua forza. Aveva ragione sua madre a dire di lei che
eÁ una pellaccia. Ed eÁ piuÁ vero oggi
che allora, perche quando si sta
bene eÁ facile affermare che si eÁ
forti. Ma eÁ proprio quando si sperimenta la sofferenza quotidiana
che lo si puoÁ verificare.
(Mi guarda attento, soppesando
la cosa) Forse eÁ cosõÁ, peroÁ sento
la stanchezza della solitudine,
sento colpo su colpo: sono pro-
PASTORALE
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prio troppe queste sofferenze
(aggiunge con un sorriso lieve e
amaro).
La forza di carattere, con cui possiamo lottare, non ci impedisce,
purtroppo, di provare dolore:
siamo esseri umani! Per questo
fa bene parlarne.
Sa, mi deve credere, (dice angosciato) a volte entro in chiesa,
guardo il Crocifisso e dico: «Possibile che ti ho fatto tanto male che
quelle spine e quei chiodi li hai
messi tutti su di me?»
Si sente abbandonato anche da
Lui, ora che eÁ prigioniero della
macchina e ha poco conforto dalla famiglia e dagli amici.
Gli amici poi a volte sono malevoli e meschini quando ti sanno malato; ed io mi chiudo ancora di
piuÁ.
Il mito sociale dell'efficienza impedisce ad alcune persone di essere un po' piuÁ umane, di consoffrire, di fermarsi ad aiutare.
Vedo comunque che lei ha cercato conforto in Dio. Forse restiamo meno delusi se, dopo il giusto
lamento, cominciamo a pregare
con fiducia, lodando Dio che eÁ
comunque presente nel dolore,
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anche se il suo silenzio urta il bisogno che abbiamo di risposte
immediate. (Vedo che mi ascolta
attento e continuo con coraggio,
senza paura di fargli una predica
ma per trasmettergli la mia convinzione) A volte farGli spazio
senza domandare nulla per seÂ,
aiuta a trovarLo e a ritrovare anche il senso di cioÁ che nella vita
inevitabilmente infrange i nostri
sogni ma ci trasforma anche in
persone piuÁ forti, che lottano anche nella debolezza.
Forse eÁ anche per questo che ne
ho voluto parlare con lei.
La ringrazio della fiducia. Sa, ha
ragione suo fratello di M. sull'essere capaci di piegarsi. Essere come canne al vento della vita, significa proprio essere duttili ai
cambiamenti inaspettati e lottare
senza spezzarsi. Forse vale la pena che lei vada da lui. Stare in altri
luoghi e con persone che ci vogliono bene, puoÁ contribuire a ridare la carica e a ricuperare le risorse personali sopite.
Grazie. Ci penseroÁ. (Sorride) Arrivederci.
Arrivederci e buon viaggio!
ANALISI
Riflessione psicologica
solo), soprattutto per l'assenza dei figli. La famiglia infatti, valore in cui
credeva (M5) eÁ venuta meno, cosõÁ come la nuova situazione affettiva con
la compagna.
La malattia lo rende prigioniero e
L'uomo vive una fase di solitudine
e di amarezza non solo dovute alla
malattia e alla dialisi ma anche alla situazione familiare (divorziato, vive da
44
UNA DIALISI DIFFICILI (O. Scaramuzzi)
dipendente (M1 ed M2), mentre la
solitudine del suo vivere lo spinge
verso un continuo autocontrollo:
dunque la situazione gli sfugge e questo eÁ insopportabile. Riflette che forse il suo vissuto non accettato puoÁ
aver causato la malattia (M4).
Analisi di me stessa come aiutante
Ho cercato di ascoltarlo e di mettere in luce i vari punti della sua sofferenza (malattia, dialisi come prigionia, solitudine, assenza dei figli e degli amici, senso di colpa e lontananza
da Dio). Ho poi cercato di sostenerlo
attraverso i valori in cui crede (senso
coesivo della famiglia di origine, lavoro, affetto dei fratelli che si preoccupano di lui, capacitaÁ di resistere alle
difficoltaÁ della vita (O6 - O10). Ho
tentato inoltre di muoverlo alla fiducia in un Dio di amore, presente sempre, ancor piuÁ nella sofferenza (O9) e
di avviarlo all'azione suggerendogli di
osare il viaggio estivo dal fratello, dove si sente a casa.
Riflessione sociologica
Si aggrappa al lavoro, fonte di attivitaÁ vitale per lui, per dare ritmo alla
giornata e come occasione di incontro con gli altri ma sempre a livello di
ruolo, perche in realtaÁ eÁ deluso dall'autenticitaÁ dell'amicizia e sfugge i
rapporti umani, temendo un'ipotetica
malevolenza nei suoi riguardi e l'emarginazione se mettesse gli amici a
conoscenza della sua malattia (M4).
Risultato: eÁ sempre piuÁ solo.
Prospettive pastorali
La solitudine eÁ un punto su cui lavorare ancora, perche M. la possa accettare cogliendone gli aspetti positivi. Aprirlo alla fiducia negli altri e in
Dio inoltre, puoÁ toglierlo alla chiusura depressiva in cui sta soccombendo.
EÁ possibile percorrere i viottoli impervi del suo impegno sociale e religioso perche diventino strade importanti e M. recuperi fiducia in se stesso
e apertura verso gli altri.
Riflessione teologica
EÁ un credente e chiede a Dio di togliergli il peso eccessivo della sua sofferenza che sente ingiusta. Forse l'idea di Dio punitivo e retributivo gli
proviene dalla educazione familiare
di vecchio stampo e questo alimenta
il suo senso di colpa per il divorzio
subito e il suo disagio esistenziale,
perche si sente fuori di una norma
morale.
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ACCOMPAGNARE I MORENTI A DOMICILIO
Serena Serafini
Nell'ambito del Convegno diocesano che ha avuto luogo a Trento il 25 gennaio 2003, sul tema
«Evangelizzare la vita morente», l'infermiera professionale Serena Serafini ha descritto il lavoro da lei
compiuto nelle Cure domiciliari palliative.
EÁ fondamentale che il progetto terapeutico ± assistenziale sia definito e
condiviso da tutti i componenti dell'equipe (dal medico al volontario) e
che abbia come centro la persona
con i suoi bisogni.
La possibilitaÁ di condividere con i
componenti dell'equipe il carico
emotivo accumulato e le difficoltaÁ derivanti dall'accompagnare i malati
morenti e il supporto psicologico sono un valido sostegno ed aiuto in
questo non facile e delicato compito.
Infatti, il contatto quotidiano con la
morte ed il morire ti porta a prendere
coscienza dello spessore che questa
tematica ha nella tua vita.
Sono un'infermiera professionale,
e lavoro da tre anni, per scelta autonoma, al servizio domiciliare di Trento nell'ambito delle cure palliative.
In questa mia breve testimonianza
cercheroÁ di descrivere nel modo piuÁ
chiaro possibile il mio lavoro condividendo con voi alcune riflessioni sull'accompagnamento spirituale alla persona morente.
1. Presentazione del servizio: finalitaÁ,
tipo di attivitaÁ
La finalitaÁ del servizio in cui lavoro
eÁ quella di prendersi cura della persona malata oncologica in stato terminale e della sua famiglia, cercando di
garantire la miglior qualitaÁ di vita nell'accompagnamento in questa sua ultima fase della vita. Il mio lavoro si
svolge in collaborazione con altri professionisti: compongono l'equipe,
medici, un caposala, infermieri, un
assistente sociale, una psicologa e un
gruppo di volontari. L'attenzione di
tutte queste persone, ognuna con il
proprio ruolo, eÁ rivolta al malato nella sua globalitaÁ e nel suo contesto sociale e alla qualitaÁ della sua vita che
viene valorizzata fino alla sua morte.
2. Tipo di accompagnamento nei confronti del malato e dei suoi familiari
Il nostro lavoro si svolge per lo piuÁ
a domicilio, quindi nell'ambiente di
vita piuÁ intimo dei nostri pazienti.
Questo ci permettere di cogliere
maggiormente i loro bisogni socio-relazionali ed entrare in relazione con
la famiglia condividendo insieme, a
paziente e famiglia, le scelte terapeutiche. Quindi, nelle nostre visite a domicilio, ci prendiamo cura non sol46
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
ACCOMPAGNARE I MORENTI A DOMICILIO (S. Serafini)
tanto del malato ma sosteniamo anche i familiari che spesso si trovano
in difficoltaÁ a gestire il loro caso dal
punto di vista umano, psicologico e
spirituale.
sposte sufficienti per rispondere agli
interrogativi sulla morte, per questo eÁ
necessario che si sviluppino forme di
solidarietaÁ ed assistenza a chi muore,
cioeÁ che maturi l'accompagnamento
spirituale inteso come competenza
umana in grado di supportare il processo di identificazione di chi muore.
Questa competenza richiede innanzi
tutto:
a) il riconoscimento del valore di
ogni persona umana, della sua interioritaÁ e delle sue risorse;
b) l'aver sempre presente che
ognuno nella sua parte spirituale tende a dare un senso al proprio vivere e
spende tutta la sua vita per questo,
per confermarsi come individuo.
L'altro aspetto (della competenza
umana) considera l'essere umano come essere sociale, inserito in una determinata cultura, all'interno di reti
comunicative e strutture comunitarie.
Questo porta all'esigenza di avere
la solidarietaÁ con gli altri. Quindi una
persona morente eÁ se stessa fino alla
fine ed ha bisogno degli altri. EÁ il malato stesso che sceglie la sua guida
spirituale, che non necessariamente eÁ
un sacerdote. Talvolta eÁ un familiare,
un amico, l'infermiere, un volontario,
comunque una persona con il quale il
malato si confronta sui suoi dubbi,
sulle sue paure, con la quale condivide le sue domande esistenziali. In
ogni modo non eÁ una persona con in
tasca le risposte: una presenza, un
ascolto, un silenzio.
3.La tipologia dei malati che incontro
Le persone che accompagniamo sono di diversa etaÁ, estrazione sociale,
credo. Sono tutte accomunate peroÁ da
questo cammino verso l'ultima fase
della loro vita. Esse e le loro famiglie
manifestano un bisogno di vicinanza,
di non sentirsi sole, di non essere abbandonate. L'equipe garantisce assistenza medica ed infermieristica sette
giorni su sette, e questo per la famiglia
e il paziente eÁ un grosso punto di riferimento per portare avanti con serenitaÁ l'assistenza a domicilio.
Le visite a casa, anche solo per
controllo o per semplici prestazioni,
molte volte servono per sostenere
l'angoscia e condividere le paure dei
pazienti e della famiglia, che richiedono figure di riferimento e una presenza (anche se non fisica) costante
che cammini accanto a loro.
Un accompagnamento costante
permette di instaurare un rapporto
profondo con il paziente e la famiglia,
a volte anche di entrare in contatto
con il loro mondo interiore.
EÁ dalla profonditaÁ del cuore che
nascono le domande sui significati ultimi dell'esistenza tra cui la sofferenza
e la morte, interrogativi che il malato
rivolge alla persona con la quale ha
instaurato delle relazioni piuÁ profonde. A questo livello si inserisce l'accompagnamento spirituale.
La nostra cultura non fornisce ri-
a) Presenza: ci sono, sono disponibile a condividere con te questo cammino anche nel mio modo di pormi
verso di te, voglio confermarti come
47
ESPERIENZE
persona fino alla fine.
dalla paura di cioÁ che non conosce
del mistero della morte, il malato reagisce negando, arrabbiandosi, prendendosela con chi gli sta accanto, rimovendo il pensiero...
Uno degli aspetti piuÁ importanti
del processo di accompagnamento
spirituale puoÁ essere proprio quello
di aiutare il malato a ridimensionare
le aspettative, a vivere il presente senza rimpianti e a gustare giorno per
giorno cioÁ che la vita gli riserva in
modo costruttivo.
Un'altra difficile funzione dell'accompagnamento spirituale eÁ quella di
facilitare l'accettazione della separazione radicale dagli affetti e dalla propria storia. Chi accompagna spiritualmente si pone cosõÁ come interfaccia
nei confronti dell'ambiente circostante (familiari, amici, personale sanitario, volontari...) in modo da renderlo
partecipe del processo di separazione,
ascoltando il messaggio di chi sta per
partire e restituendogli il rispetto della sua libertaÁ di vivere questo ultimo
tempo come crede, riconoscendo cosõÁ
la sua dignitaÁ e libertaÁ di persona, di
individuo.
Come operatori sanitari ci troviamo a gestire rapporti familiari difficili, a guidare chi sta accanto al malato
nell'accompagnamento, in modo che
non si instauri la terribile «congiura
del silenzio» (non diciamo nulla per
proteggerlo, non ne parliamo, neghiamo la situazione) che molte volte
eÁ difficile da gestire (perche comunque la veritaÁ e la realtaÁ vengono a galla) ed eÁ funzionale solo a chi si difende di fronte al problema morte, ma
lascia il malato solo a camminare con
le sue paure.
b) Ascolto: non eÁ semplice, specialmente se l'argomento eÁ ancora un tabuÁ per la societaÁ, se il sentire parlare
della morte fa pensare alla propria finitezza.
c) Silenzio: l'accettare il limite della
nostra umanitaÁ, del nostro essere finiti, ma con un incolmabile sete d'infinito.
Soltanto quando siamo in grado di
accettare fino in fondo la nostra unicitaÁ e finitudine, l'altro eÁ realmente
«un'altra persona» e su questo riconoscimento si costruiranno rapporti
autentici, in modo che la relazione sia
espressione limpida di solidarietaÁ e
ulteriore accrescimento della propria
coscienza.
Non tutti i nostri pazienti sono di
religione cristiana cattolica, alcuni sono testimoni di Geova, altri mussulmani, altri atei. Nella mia esperienza
ho potuto notare come chi aveva giaÁ
un sacerdote come guida spirituale
fosse poi accompagnato da questo
anche nella sua ultima parte del cammino. Altri malati potevano contare
sull'aiuto e sul sostegno di volontari
della parrocchia e non solo per i bisogni spirituali.
Nella maggior parte dei casi vedo
peroÁ tante persone che quasi consapevoli dell'avvicinarsi della morte,
cercano la vicinanza e l'affetto di chi
li ama, rimpiangono i bei momenti
vissuti, si domandano perche non saraÁ loro possibile realizzare tanti progetti, hanno paura del dopo...
Talvolta, cercando di difendersi
48
ACCOMPAGNARE I MORENTI A DOMICILIO (S. Serafini)
avere un esempio di dono pur nella
sofferenza (GesuÁ), una comunitaÁ di
fratelli per la condivisione, la sicurezza di un amore sovrabbondante talmente grande da risultare a volte incomprensibile.
Dobbiamo passare da una logica in
cui l'organizzazione sociale, anche
quella socio-sanitaria, nega il vissuto
della morte, privatizzandola e burocratizzandola, ad una riscoperta di
quei rituali che una parte della societaÁ riconosce come idonei a vivere
questo processo (compassione cristiana, veglia al morente, recita del Rosario...) e contemporaneamente aprirci
a nuove forme, quali l'accompagnamento spirituale come spazio riconosciuto e condiviso dove si possano
esplicitare e siano accolte paure, speranze, utopie.
Trovare un posto significativo al
processo del morire nell'ambito socio-sanitario eÁ un compito faticoso e
sfibrante specialmente per chi nella
propria attivitaÁ eÁ quotidianamente
esposto al confronto con chi muore.
Per questo eÁ necessaria la valorizzazione delle associazioni di volontariato che giaÁ stanno lavorando molto
per modificare prassi e modelli in
questo ambito e per avere una preparazione adeguata per questo compito.
Auguro quindi a tutti di avere una
piuÁ diffusa consapevolezza dell'impegno ma anche dell'opportunitaÁ che
deriva dallo stare accanto a chi muore, con la speranza che questo, con il
tempo, porti ad una nuova rappresentazione sociale della morte e dell'importanza dell'accompagnamento
autentico e solidale.
L'accompagnamento spirituale cerca di introdurre i familiari e chi sta accanto al malato all'importanza dell'ascolto e della comprensione di tutte le
comunicazioni verbali e non verbali,
anche se paradossali, del morente.
La mia esperienza mi ha insegnato
questo: cioÁ che resta, cioÁ di cui si ha
maggiormente bisogno quando si ha
paura, anche quando vi eÁ una grande
speranza di fede, eÁ costituito dalla pace con se stessi (perche davanti alla
morte si arriva da soli) e dagli affetti,
le persone da cui ti senti amato, che
vuoi avere accanto e che vorresti ti
capissero e condividessero con te le
tue angosce, i tuoi dubbi.
Ho potuto assistere a tanti accompagnamenti, a belle morti che augurerei anche a me stessa per la pace e
la serenitaÁ che trasparivano dagli occhi di chi partiva e di chi restava, pur
nella sofferenza.
Ma ho visto anche cosa vuol dire
in concreto la congiura del silenzio, la
solitudine di chi non puoÁ condividere
con chi gli sta accanto questo cammino, per paura di affrontare il discorso, per paura di pesare sull'altro, per
mancanza di parole, per silenzi troppo pesanti...
Conclusioni
Penso che il mio lavoro a contatto
quotidiano con la sofferenza delle
persone sia un'opportunitaÁ ed uno
stimolo a riflettere sulla mia vita e sul
dono che posso fare di me agli altri.
Non penso che noi cristiani abbiamo
tutte le risposte ai grandi interrogativi
esistenziali, credo peroÁ che possiamo
49
VARIAZIONI
Aiutare ad essere
Nell'altro non si entra
come in una fortezza,
ma come si entra in un bosco
in una bella giornata di sole.
Bisogna che sia
un'entrata affettuosa
per chi entra
come per chi lascia entrare,
da pari a pari, rispettosamente,
fraternamente.
Si entra in una persona
non per prenderne possesso,
ma come ospite,
con riguardo, con ammirazione,
venerazione:
non per spossessarlo,
ma per tenergli compagnia,
per aiutarlo
a meglio conoscersi,
per dargli consapevolezza
di forze ancora inesplorate,
per darli una mano
a compiersi,
a essere se stesso.
don Primo Mazzolari (da: «Della Tolleranza»)
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CHIARA BADANO
Durante il Convegno di Collevalenza del 2002 eÁ stata presentata la figura di Chiara Badano, una
giovane donna morta di tumore all'etaÁ di 18 anni. Erano presenti i suoi genitori e il vescovo emerito di
Acqui Terme (AL), Mons. Livio Maritano, per il cui interessamento eÁ stata aperta la causa di beatificazione di Chiara. Presentiamo un profilo di questa autentica testimone contemporanea del vangelo. Ci saraÁ
di aiuto la breve biografia tracciata da Mariagrazia Magrini (Chiaraluce, una grande avventura: stare al
gioco di Dio, LDC, Torino, 2001)
«Occhi grandi, occhi puri come il cielo, occhi lieti, occhi vivi come il sole.
Voce calda, voce piena d'armonia...
Dio eÁ grande, dicevi tu, abbandonata a lui. Dio eÁ grande,
diciamo noi per te, Chiara...».
il sole? Come possono i suoi genitori
unirsi al canto di lode a Dio, a quel
Dio che gliel'ha strappata? PercheÂ
non si provano sentimenti di disperazione e di ribellione? Cosa sta succedendo? Com'eÁ possibile? Chi eÁ Chiara? Qual eÁ la sua storia?
Con queste parole un coro di giovani
accompagna Chiara nel giorno del funerale, nell'ottobre del 1990.
Vibrano le navate della parrocchiale di Sassello, caratteristico paese dell'Appennino ligure di 1800 abitanti,
in provincia di Savona, ma appartenente all'antica diocesi di Acqui Terme. La chiesa eÁ gremita al massimo.
Non tutti sono potuti entrare, e seguono in silenzio, con estremo rispetto, il rito nel piazzale. Gioia e commozione sono i sentimenti che ognuno prova in quel momento.
PercheÂ, insieme ai compaesani di
ogni etaÁ e ceto sociale, ci sono cosõÁ
tanti ragazzi? Com'eÁ possibile che
tutti cantino, sorridano ± pur tra le
lacrime ± e ringrazino il Signore?
Come puoÁ Mons. Livio Maritano,
il Vescovo celebrante, parlare di questa diciottenne, cosõÁ bella e amante
della vita, e definirla splendente come
Nata il 29 ottobre 1971, Chiara vive un'infanzia felice, alimentata dall'amore dei genitori Maria Teresa e
Ruggero, che l'avevano attesa per 11
anni. Il contesto in cui trascorre la
sua vita eÁ ricco di stimoli umani e cristiani, per cui la sua personalitaÁ puoÁ
svilupparsi armoniosamente.
Si mostra subito socievole, allegra
e gioiosa. EÁ un raggio di sole che porta vita intorno a seÂ: bella e fine nei
lineamenti, con grandi occhi limpidi,
snella e alta, dal sorriso aperto e comunicativo, saraÁ sempre da tutti ammirata. Intelligente e delicata d'ani51
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
TESTIMONI CONTEMPORANEI
mo, affettuosa, vivace e nello stesso
tempo riflessiva e pacata, gode nello
stare in compagnia con le altre persone. Fin da piccola, avverte una sensibilitaÁ particolare per le persone bisognose di aiuto, i bambini e gli anziani,
che copre di attenzioni e di servizi,
pronta a rinunciare anche a momenti
di svago. Il giorno in cui la mamma
ospita a pranzo una compagna di
scuola di Chiara insieme alla nonna ±
era molto povera ed orfana di madre
± lei chiede che si usi la tovaglia piuÁ
bella perche «oggi viene GesuÁ a tavola con noi!».
CosõÁ scrive in un pensierino sul
quaderno della seconda elementare:
«Io sogno il giorno in cui i figli degli
schiavi e i figli dei loro padroni si siederanno insieme al tavolo della fraternitaÁ come GesuÁ con gli Apostoli.
Sogno il giorno in cui i bambini e le
bambine negre si terranno per mano
con i bambini e le bambine bianche,
come fratelli e sorelle».
Proprio per questa sua attrattiva
verso i bambini poveri Chiara viene
invitata a parlare in una riunione dell'UNICEF e inizia a raccogliere in
una scatoletta i soldi per i piccoli africani, che ama in modo speciale tanto
da sognare di poterli un giorno raggiungere e curare come medico.
Quanto gioca felice con le sue
compagne di scuola e con le cuginette! Come ama la danza, la musica
(suona il pianoforte), lo sport, le corse sui pattini a rotelle: leggera come
in volo.
EÁ piena di vita, di sogni, di entusiasmi quando a nove anni scopre il Movimento dei Focolari, fondato da
Chiara Lubich. Vi si immerge total-
mente, ne fa suo l'ideale e riesce a
coinvolgere i genitori nel medesimo
cammino. La loro vita ne viene trasformata radicalmente.
Bambina come tante altre, ma docile all'opera della grazia, si mostra
totalmente disponibile al disegno di
Dio su di lei e mai vi si ribelleraÁ. Tre
realtaÁ si rivelano determinanti nella
sua formazione e nel cammino verso
la santitaÁ: la famiglia, la Chiesa locale,
il Movimento dell'Opera di Maria
(Focolarini).
Dai suoi quaderni o dalle letterine
scritte alle amiche e a Chiara Lubich,
che chiama «mammina» (nell'Ideale)
traspare la gioia e lo stupore nello
scoprire la bellezza della vita, se vissuta amando GesuÁ e le altre persone.
Riconoscente le scriveraÁ: «Io devo
tutto a te e a Dio».
Dopo la sua morte, si troveraÁ sulla
sua scrivania questa frase che Chiara
Lubich, tra le tante altre, cercava di
trasmettere alla nuova generazione:
«Amare, amare tutti e alla fine della
giornata poter dire: ho sempre amato».
Chiara la trascrive, la sceglie come
scopo della sua vita e la vuole continuamente sotto gli occhi per non dimenticarsene mai!
Durante il periodo della scuola
media, frequentata sempre a Sassello,
scopre «GesuÁ Abbandonato», ossia il
Crocifisso. Lo vede nelle difficoltaÁ,
nelle sofferenze e nelle contrarietaÁ
della vita. Afferma: «Lo scelgo come
mio primo sposo, preparandomi per
quando viene; devo preferirlo». Come pure: «Ho capito che posso trovare GesuÁ nei lontani, negli atei, e che
devo amarli in modo specialissimo,
52
CHIARA BADANO
senza interesse». Ha solo undici anni
e mezzo.
Chiara partecipa ai congressi GEN
ed eÁ affascinata dal Vangelo. Scrive il
29 novembre 1985, a quattordici anni: «Durante questo congresso ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova
luce. Ho capito che non ero una cristiana autentica perche non lo vivevo
fino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo
della vita. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un cosõÁ straordinario messaggio. Come per me eÁ facile imparare l'alfabeto cosõÁ deve esserlo anche vivere il Vangelo». Ed aggiunge: «Ho riscoperto quella frase
che dice: Date e vi saraÁ dato. Devo
imparare ad avere piuÁ fiducia in GesuÁ, a credere nel suo immenso amore».
Terminate le medie, i genitori decidono di trasferirsi a Savona affincheÂ
frequenti senza troppi disagi la scuola
che ha scelto: il liceo classico. EÁ un
grosso taglio per lei e ne patisce: lasciare la sua Sassello, gli amici, i parenti... le costa molto e vi ritorna contenta ogni fine settimana.
Chiara vive in pieno la sua adolescenza, con i sogni, i momenti di
gioia o di tristezza, gli entusiasmi e le
delusioni, ma mette sempre al primo
posto GesuÁ, affinche la illumini sullo
stato di vita che dovraÁ scegliere al
momento giusto.
Supera con coraggio e determinazione l'infatuazione presa per un ragazzino quando si accorge della superficialitaÁ dei sentimenti di lui. Vuol
fare le cose per bene, con serietaÁ.
Non ammette leggerezze. E gli rimane amica, semplicemente amica.
Nel vestirsi ama il bello, l'armonia
dei colori, l'ordine, ma non la ricercatezza. Alla mamma che la invita a vestire abiti un po' piuÁ eleganti replica:
«Io vado a scuola pulita ed ordinata:
cioÁ che conta eÁ essere belli dentro!»,
e si trova a disagio quando le dicono
che eÁ proprio bella.
Percorre, senza saperlo, la piccola
via di S. Teresa del Bambino GesuÁ.
Nel gennaio 1986 in una riunione di
zona, afferma: «Ho capito l'importanza di `tagliare', per essere e fare
solo la volontaÁ di Dio. E ancora quello che diceva S. Teresina: che, prima
di morire a colpo di spada, bisogna
morire a colpi di spillo. Mi accorgo
che le piccole cose sono quelle che
non faccio bene, oppure i piccoli dolori..., quelle che mi lascio sfuggire.
CosõÁ voglio andare avanti amando
tutti i colpi di spillo».
La malattia
La vita di Chiara e dei suoi cari
prosegue come in ogni famiglia: gioie,
malattie e lutti tra i parenti, successi
ed insuccessi a scuola; momenti faticosi ed altri di sollievo e di svago.
Tutto nella normalitaÁ fincheÂ, nel corso di una partita a tennis, un lancinante dolore alla spalla sinistra la costringe a lasciar cadere a terra la racchetta. Dopo una lastra ed un'errata
diagnosi, si provvede al ricovero. La
TAC evidenzia un osteosarcoma. EÁ il
2 febbraio 1989: nella Chiesa si ricorda la presentazione di GesuÁ al tempio. Chiara ha diciassette anni.
«Il mondo, dicono i genitori, pareva crollarci addosso. Poi, prosegue la
53
TESTIMONI CONTEMPORANEI
mamma, Ruggero ed io ci buttiamo
nelle mani di Dio e affidiamo nostra
figlia alla Madonna, come avevamo
fatto quand'era nata».
Inizia, insieme ai genitori, la sua
via crucis: viaggi ed esami clinici a Torino negli ospedali Molinette e Regina
Margherita. Un precipitoso e purtroppo inutile intervento alla spina
dorsale; l'annuncio del ricorso alla
chemioterapia le fa comprendere di
che si tratta. Non piange, non si ribella. Rimane assorta in un lungo silenzio. Quindi dice il suo sõÁ al Signore: mezz'ora di lotta interiore, di
buio, di passione..., per poi mai piuÁ
tirarsi indietro. Alla mamma, per rasserenarla dice: «Vedrai ce la faroÁ, sono giovane».
Passano i giorni ed il male galoppa
inesorabile. Si eÁ giaÁ trasferito al midollo spinale. Chiara si informa di
tutto, parla con i medici e con gli infermieri e, soprattutto, non perde il
suo luminoso sorriso. Ormai ha deciso di abbandonarsi docilmente e in
modo totale alla volontaÁ di Dio.
Tra i cicli di cobalto e la chemioterapia, la paralisi alle gambe che le
causa atroci spasmi e contrazioni, il
dolore che accompagna ogni respiro,
Chiara trascina nell'Amore chiunque
la avvicina.
Rifiuta la morfina perche le toglie
luciditaÁ, e dice: «Io posso offrire solo
il dolore a GesuÁ». Contemporaneamente offre ogni attimo della sua vita
per i giovani, per la Diocesi, per i lontani, per il Movimento, per le Missioni. Rimane sempre serena e forte.
Convinta che «il dolore abbracciato
rende liberi».
La sua cameretta, in ospedale pri-
ma, poi a casa, eÁ un luogo di incontro, di apostolato, di unitaÁ. EÁ la sua
chiesa . Anche i medici, talvolta non
praticanti, rimangono sconvolti dalla
pace che aleggia intorno a lei e dalla
forte unione di questa famiglia, che si
affida totalmente alla volontaÁ di Dio
ed eÁ resa capace di sopportare un dolore cosõÁ grande. Alcuni si riavvicinano al Signore.
Alla mamma, stupita per il modo
con cui Chiara accoglie i giovani intorno a seÂ, donando loro tutta se stessa fino all'ultima goccia del suo amore, risponde: «Eh, mamma... i giovani... I giovani sono il futuro. Vedi, io
non posso piuÁ correre, peroÁ vorrei
passare loro la fiaccola come alle
Olimpiadi (e fa il gesto con la mano
per accertarsi che abbia davvero capito). I giovani hanno una vita sola e
vale la pena di spenderla bene».
Mantiene un intenso rapporto anche epistolare con i GEN. Segue e
sorregge con la preghiera, e con l'offerta dei suoi dolori sempre piuÁ forti,
la tourneÂe del GEN ROSSO in Russia, come pure l'attivitaÁ di un amico
in Africa: «Va' tranquillo, gli disse, ti
seguiroÁ da qui: io il materiale ce
l'ho!».
Fare la volontaÁ di Dio
Nella sua serenitaÁ, illuminata dallo
Spirito Santo e docile alle sue ispirazioni, afferma convinta: «L'importante eÁ fare la volontaÁ di Dio. Io magari
avevo dei piani su di me, ma Dio ha
pensato a questo. La malattia mi eÁ arrivata al momento giusto... Voi peroÁ
non potete neppure immaginare qual
54
CHIARA BADANO
eÁ adesso il mio rapporto con GesuÁ...
Avverto che Dio mi chiede qualcosa
di piuÁ, di piuÁ grande. Forse potrei restare su questo letto per anni..., non
lo so. A me interessa solo la volontaÁ
di Dio, fare bene quella, nell'attimo
presente: stare al gioco di Dio».
E ancora: «Sono uscita dalla vostra
vita in un attimo. Oh, come avrei voluto fermare quel treno in corsa che
mi allontanava sempre di piuÁ! Ma ancora non capivo. Ero troppo assorbita da cose insignificanti, futili e passeggere. Un altro mondo mi attendeva, e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno
splendido disegno che a poco a poco
mi si svela».
EÁ in particolare con la mamma che
Chiara trascorre le interminabili ore
della giornata e con lei costruisce un
dialogo pervaso di fede e di amore
soprannaturale. A questa mamma il
Signore concederaÁ di ricordare esattamente ogni parola, ogni sillaba,
pronunciata dalla figlia.
Le domande si susseguono:
«Mamma, eÁ giusto morire a diciassette anni?». «Non lo so, Chiara, se eÁ
giusto; ma se Dio ha questo disegno
su di te, noi dobbiamo fare la sua volontaÁ».
«Mamma, mi piaceva cosõÁ tanto
andare in bicicletta, e Dio mi ha tolto
le gambe» [paralizzate]. «GesuÁ ti ha
tolto le gambe, ma ti ha dato le ali».
«Hai ragione; se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no,
perche cosõÁ sono piuÁ vicina a GesuÁ».
«Mamma, quando arriveroÁ in paradiso, chi mi verraÁ incontro?». «Ci saraÁ
la Madonna ad abbracciarti, e poi verraÁ la nonna che ti voleva tanto bene».
E alla mamma impensierita per la
previsione di restare senza di lei:
«Non ti preoccupare: quando io non
ci saroÁ piuÁ, segui Dio e troverai la forza per andare avanti».
I dolori non la frenano nel suo ardore apostolico. EÁ il telefono, appeso
alla testata del letto, il suo mezzo di
comunicazione. Mantiene i rapporti
con gli amici, li rasserena ed incoraggia ad andare avanti nella vita senza
paure e con rettitudine. Diviene
«consigliera d'anime».
Chiara Lubich la segue con la preghiera e con alcuni scritti che la colmano di gioia. Da lei riceve il nome
nuovo di Luce ± ed effettivamente lo
eÁ per tanti, illuminando i loro animi ±
e la Parola di Vita: «Chi rimane in
me ed io in lui porta molto frutto»
(Gv 15,5). E' la scritta che faraÁ porre
sulla sua tomba.
Chiaretta, cosõÁ molti la chiamano,
non osa neppure chiedere il miracolo
della sua guarigione e lo comunica a
Chiara Lubich: le pare di non conformarsi docilmente alla volontaÁ di Dio
anche se lo desidera molto. Si affida
alla Vergine e le scrive un bigliettino:
«Mamma celeste... ti chiedo il miracolo della mia guarigione; se cioÁ non
rientra nella Sua volontaÁ, ti chiedo la
forza necessaria a non mollare mai.
Umilmente tua Chiara».
DiraÁ il Vescovo nell'omelia del funerale: «...quello che trasforma, che
fa il miracolo, eÁ l'amore. Una fede
che accende quest'amore per GesuÁ e
che ci mette in compagnia di lui, 24
ore su 24, dispone al miracolo: trasformare il dolore in amore. E in
Chiara cioÁ eÁ avvenuto».
Dio non la lascia sola. EÁ significati55
TESTIMONI CONTEMPORANEI
vo un episodio accaduto all'ospedale
e da lei riferito ai GEN con semplicitaÁ, senza accrescerne l'importanza,
ma con grande stupore. Portata in camera operatoria senza spiegazioni su
quanto avrebbe dovuto subire, Chiara prova un forte senso di timore:
«...Mi eÁ venuta vicino una signora
con un sorriso luminosissimo. Bellissima, che mi ha presa per mano e mi
ha tranquillizzata. Subito una grande
pace eÁ entrata in me e non ho piuÁ
avuto paura. CosõÁ com'era arrivata eÁ
sparita. Ho creduto che fosse una del
Movimento... e che l'avessero mandata i miei genitori; ma quando gliene
ho parlato, essi non ne sapevano nulla. Che sia stato un angelo mandatomi dalla Madonna?».
Affidata dai genitori alla Vergine
Immacolata, Chiara impara, passo
dopo passo nella malattia, a morire a
questa vita e ad avviarsi verso il grande incontro, abbandonata all'amore
del suo GesuÁ, che brama come sposo:
«E lo Sposo che viene, vero?».
Come sempre daÁ la prioritaÁ agli altri. Dicono gli amici: «Era una ragazza normale, una come noi, anche se
molto diversa. Giocava e scherzava
con chi andava a trovarla; si mostrava
amica di tutti, ma rimaneva riservata
e pura. Credevamo di andare a farle
compagnia, ora ci accorgiamo che
eravamo noi ad uscire da quella camera arricchiti nello spirito e pieni di
gioia, quella vera»
Era guidata dalla Sapienza di Dio.
«Una ragazza come lei, dice ancora
un suo amico, una ragazza di soli diciotto anni non avrebbe potuto parlare come lei, se non fosse stata ispirata
dallo Spirito Santo!».
Raggiunge nel frattempo un grado
assai elevato di unione con Dio, attraverso il continuo colloquio con lui.
La Messa, spesso celebrata nella sua
cameretta, la recita del rosario, la meditazione della Parola divina e dei
pensieri di Chiara Lubich la portano
ad un livello superiore, tanto da declinare, alcune volte, l'incontro con
gli amici. Ai genitori stupiti chiarisce
il perche e lo spiegheraÁ agli amici negli ultimi giorni: «Non riuscivo a
scendere dall'altezza dove trascorro
le mie giornate, dove tutto eÁ silenzio
e contemplazione. Parlarvi diventava
molto faticoso e difficile. Trascinata
giuÁ, mi era molto difficile il risalire».
E alla mamma che l'ascolta stupefatta: «Ci sono due mondi, ma tu non
li puoi vedere». Esperienza mistica?
Pochi giorni prima di partire per il
cielo, luminosa inviso, di una luce soprannaturale, esclama: «Sai, mamma,
cosa stavo facendo? Cantavo: `Eccomi GesuÁ, ancora oggi davanti a te,
tutta rinnovata, proprio come tu mi
vuoi...'». Al che la mamma le risponde: «Chiara, stavo cantando anch'io,
nel cuore: `Ho bisogno di incontrarti
nel mio cuore...'».
Il paradiso c'eÁ
I genitori dichiarano: «Non eÁ facile
per chi ha conosciuto nostra figlia
pensare che il paradiso non esista.
Con lei si parlava continuamente della casa dove sarebbe andata ad abitare e dove ci avrebbe attesi tutti insieme con la Madonna».
Il 24 agosto, un mese e mezzo prima della sua morte, disse ancora all'a56
CHIARA BADANO
mico Lorenzo: «...Ti ricordi quando
abbiamo detto tutte quelle belle cose
sul paradiso? Ecco, eÁ da quella sera
che io ho un grande desiderio di andare in paradiso. EÁ un desiderio cosõÁ
grande che mi sembra di esserne attaccata. Allora mi sto chiedendo: `Ma
non saraÁ un modo per scappare da
questi dolori, dalla volontaÁ di Dio?'».
Le risponde: «Non ti preoccupare,
non bisogna aver paura di essere attaccati a Dio». E Chiara: «Non eÁ
quello; eÁ che forse non riesco a stare
radicata nell'attimo presente e a vivere solo questo. Il desiderio di andare
in paradiso eÁ forse un modo di non
amare il dolore». « Ma, Chiara, tu sei
nelle mani di Dio...». E Lorenzo ricorda ancora: «Chiara si illumina tutta e le lacrime scendono sul suo volto. In quel momento ci siamo stretti
fortissimamente le mani». Poi, immediatamente lei spicca un volo verso
l'alto e riprende a giocare e a parlare
come prima.
Ormai sente che va verso la fine.
Vorrebbe offrire tutti i suoi organi
(fin da piccola si era iscritta all'AIDO), ma, consapevole dell'opera distruttrice della chemioterapia, constata: «Ora non ho piuÁ niente (di sano),
peroÁ ho ancora il cuore e con quello
posso sempre amare!». (Poco prima
di spirare le venne chiesto il consenso
per l'offerta delle cornee. Lei si mostroÁ felice della cosa, ridando il permesso all'espianto. Le sue cornee verranno donate a due giovani).
Mamma e figlia proseguono il
cammino verso l'ultima stazione della
via del calvario, forti nella fede e nell'amore.
Le aveva detto la mamma: «Chia-
ra, la tua valigia eÁ pronta, eÁ piena di
atti d'amore e GesuÁ lo sa».
Al sacerdote che le porta GesuÁ Eucaristia, che lei attende e riceve trasformata e al suo Vescovo che la va
piuÁ volte a trovare, esprime i suoi
ideali, il pensiero per il prossimo e la
sua gioia, anche solo con lo sguardo.
Racconta la mamma: «Rivedo ancora Mons. Livio Maritano, seduto
con semplicitaÁ ed umiltaÁ su un piccolo sgabello accanto al letto di mia figlia e con quanta dolcezza si guardavano negli occhi. Pareva volessero entrambi avvolgersi nell'amore di Dio
che li circondava. Divenivano in lui
una cosa sola. E lo Spirito Santo era
presente in modo quasi tangibile. La
camera era ormai un santuario. Abbiamo vissuto in quei momenti un'esperienza religiosa eccezionale ed io
non riesco a cancellarli dalla mente».
I mesi passano, il male avanza.
Chiara non perde la gioia ne si lamenta. Dice: «Voglio che continui a
crescere con altri questo rapporto di
amore e di unitaÁ perche la gioia si
moltiplichi, e cosõÁ Dio in mezzo a
noi».
Rendendosi conto che la meta eÁ ormai prossima, manda i genitori ad
Acqui Terme ad acquistare per se
stessi un abito nuovo: quello per le
sue nozze e gioisce come nei preparativi di una festa nel vedere cioÁ che
hanno scelto.
Poco tempo prima aveva descritto
il proprio abito da sposa: bianco, lungo, molto semplice, con una fascia rosa in vita. Glielo cuce la mamma della
sua amica Chicca, che lo indosseraÁ
davanti a lei per mostrarle come le
staraÁ addosso.
57
TESTIMONI CONTEMPORANEI
Alla mamma daÁ gli ultimi dettagli:
vuole, appena spirata, essere lavata
con l'acqua, segno di purificazione quanto amava sentirla scorrere sul
corpo ±, venir pettinata, in modo
molto giovanile: con il ciuffo...
Chiara non si lascia sfuggire nessun
particolare; prepara la liturgia della
sua Messa: suggerisce le letture e propone le lodi, che prova con una amica
canticchiandole a mezza voce. Vuole
che in quel giorno anche la mamma
le canti forte, perche «io saroÁ lõÁ a cantare con te».
Il rito deve essere una festa. Non
desidera fiori: l'equivalente della spesa dovraÁ essere inviato ai bambini poveri!
Alla mamma chiede di non piangere, ma di ripetere sempre: «Ora Chiara Luce vede GesuÁ». Ma l'amore infiamma il suo cuore, ed ella vuole salutare gli amici che giungono da ogni
parte per vederla ancora una volta,
per scoprire nei suoi occhi il riflesso
del Cielo. Chiara li riceve ad uno ad
uno; come sempre in questi casi s'eÁ
fatta togliere la maschera dell'ossigeno. Poi con grande fatica scrive un
biglietto di saluti e la dedica su un libro che aveva promesso ad un medico che la curava. Ormai non ci vede
piuÁ, la mano regge con difficoltaÁ la
penna, ma lei non desiste e dopo varie prove ci riesce. EÁ il suo ultimo atto di amore.
Al compiere dei diciotto anni aveva voluto rendere felice chi soffriva
destinando tutto il denaro ricevuto in
dono ai bambini poveri dell'Africa:
«Io ho Tutto».
Chiara non ha paura di morire,
non l'ha mai avuta. Aveva detto alla
mamma: «Non chiedo piuÁ a GesuÁ di
venire a prendermi per portarmi in
paradiso, perche voglio ancora offrirgli il mio dolore, voglio dividere con
lui ancora per un po' la croce».
E il suo Sposo viene a prenderla all'alba del 7 ottobre 1990, dopo una
notte molto provata. EÁ il giorno della
Beata Vergine del Rosario.
Queste le sue ultime parole, sussurrate in un soffio alla mamma, dopo averle passata delicatamente la
mano tra i capelli: «Sii felice, percheÂ
io lo sono. Ciao».
Mamma e papaÁ si inginocchiano ai
piedi del letto e ripetono le parole
della S. Scrittura: «Dio ce l'ha data,
Dio ce l'ha tolta. Sia benedetto il Signore». Quindi recitano il Credo.
Al funerale, celebrato dal Vescovo,
accorrono centinaia di giovani e tanti
sacerdoti. I componenti del GEN
ROSSO e del GEN VERDE elevano
i canti da lei scelti. La voce argentina
di Chiara si unisce ad essi: ora eÁ divenuta canto di gioia in cielo.
Da allora, ogni 7 ottobre, i giovani
e le persone presenti alla messa in
suo suffragio crescono sempre di piuÁ.
Essi vengono spontaneamente e si invitano a vicenda per partecipare al rito che, come voleva lei, ritengono
una festa . Quindi si recano alla cappellina ove il corpo di Chiara eÁ riposto (anche se lei avrebbe voluto scendere nella terra) e lasciano i loro messaggi, confidandosi con lei.
Dal primo giorno la sua tomba eÁ
meta di pellegrinaggi: fiori, offerte
per i suoi negretti, letterine, richieste
di grazie...
Alcuni potranno pensare che Dio
58
CHIARA BADANO
amica: «L'immagine di Chiara sul letto di morte mi sembra molto simile a
quella di una sposa che finalmente
vede e parla d'Amore col suo Sposo.
Aperta alla vita. In un miracolo di luce e di felicitaÁ (....). La storia tra
Chiara e Dio non eÁ stata intrisa di
una crudele ingiustizia, ma eÁ in fondo
una storia d'amore. Un grande ed appassionato amore reciproco. Infuocato dal desiderio di condividerlo con
altri». Con ognuno di noi, con chiunque lo desideri.
Chiara ha lasciato dietro di se una
scia luminosa che porta a Dio nella
gioia e nella semplicitaÁ, nell'abbandono totale all'amore di GesuÁ.
La sua testimonianza illumina, insieme ai giovani, quanti cercano il vero significato della vita e si trovano di
fronte al mistero del dolore.
eÁ ingiusto nel portare via a dei genitori che l'avevano attesa a lungo e
che cosõÁ tanto l'amavano una ragazza
piena di vita e pronta a fare del bene
intorno a seÂ. Chiara aveva tutte le attitudini per riuscire ad affermarsi
nella societaÁ, ma egli ha voluto farne
un luminoso capolavoro. Ha voluto
dimostrare ad ognuno di noi ed ai
giovani in particolare che il cammino
di Chiara puoÁ diventare la nostra
stessa esperienza.
Un suo professore di lettere ha lasciato questo biglietto in cimitero:
«Ti ho preso per mano per guidarti
lungo la strada del sapere alla sorgente della vita. Mi hai preso per mano
per guidarmi lungo la strada del dolore alla sorgente della salvezza.
Ciao».
Ha scritto la mamma di una sua
Quanto cammino, in cosõÁ poco tempo!
Fra le varie competizioni in cui si cimentano i giovani
± sport, studio, divertimento, simpatia, amore ±
Chiara ha scelto la gara piuÁ decisiva. E l'ha vinta.
(Mons. Livio Maritano)
59
D
O
C
U
M
E
N
T
I
MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ
GIOVANNI PAOLO II
XI giornata mondiale del malato
Washington D.C., U.S.A., 11 Febbraio 2003
1. ``Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il
suo Figlio come Salvatore del mondo...
Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi'' (1 Gv
4,14.16).
cuore di ogni uomo nonostante i continui tentativi di rimuoverle o di ignorarle messi in atto da una mentalitaÁ secolarizzata, attendono risposte valide.
Specialmente quando si eÁ in presenza
di tragiche esperienze umane, il cristiano eÁ chiamato a testimoniare la
consolante veritaÁ del Cristo risorto,
che assume le piaghe e i mali dell'umanitaÁ, compresa la morte, e li converte in occasioni di grazia e di vita.
Quest'annuncio e questa testimonianza vanno comunicati a tutti, in ogni
angolo del mondo.
Queste parole dell'apostolo Giovanni ben sintetizzano anche le finalitaÁ della Pastorale della Salute, attraverso cui la Chiesa, riconoscendo la
presenza del Signore nei fratelli che
sono nel dolore, si impegna a recare
loro il lieto annuncio del Vangelo e ad
offrire a ciascuno segni credibili di
amore. In tale contesto si inserisce
l'XI Giornata Mondiale del Malato,
che si terraÁ l'11 febbraio 2003 a
Washington D.C., negli Stati Uniti,
presso la basilica dell'Immacolata
Concezione, santuario nazionale. Il
luogo e il giorno prescelti invitano i
credenti a volgere lo sguardo verso la
Madre del Signore. Affidandosi a Lei,
la Chiesa si sente spinta ad una rinnovata testimonianza di caritaÁ, per essere
icona vivente di Cristo, Buon Samaritano, nelle tante situazioni di sofferenza fisica e morale del mondo d'oggi.
Domande urgenti sul dolore e sulla
morte, drammaticamente presenti nel
2. Grazie alla celebrazione della
prossima Giornata Mondiale del Malato, possa il Vangelo della vita e dell'amore risuonare con vigore specialmente in America, dove vive piuÁ della
metaÁ dei cattolici. Nel Continente
americano, come in altre parti del
mondo, ``sembra oggi profilarsi un
modello di societaÁ in cui dominano i
potenti, emarginando e persino eliminando i deboli: penso qui ai bambini
non nati, vittime indifese dell'aborto;
agli anziani ed ai malati incurabili, talora oggetto di eutanasia; ed ai tanti
altri esseri umani messi ai margini dal
consumismo e dal materialismo. NeÂ
60
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ GIOVANNI PAOLO II
posso dimenticare il non necessario
ricorso alla pena di morte... Un simile
modello di societaÁ eÁ improntato alla
cultura della morte ed eÁ percioÁ in
contrasto col messaggio evangelico''
(Esort. post-sinodale Ecclesia in
America, 63). Di fronte a tale preoccupante realtaÁ, come non porre tra le
prioritaÁ pastorali la difesa della cultura della vita? E' urgente compito dei
cattolici, che operano nel campo medico-sanitario, fare il possibile per difendere la vita quando maggiormente
eÁ in pericolo, agendo con una coscienza rettamente formata secondo
la dottrina della Chiesa. A tale nobile
fine giaÁ concorrono in modo confortante i numerosi Centri della Salute,
attraverso i quali la Chiesa cattolica
offre un'autentica testimonianza di
fede, di caritaÁ e di speranza. Finora
essi hanno potuto contare su di un
numero significativo di religiosi e religiose a garanzia di un qualificato servizio professionale e pastorale. Auspico che una rinnovata fioritura vocazionale possa consentire agli Istituti
religiosi di proseguire in questa loro
benemerita opera ed anzi di intensificarla con l'apporto di tanti volontari
laici, per il bene dell'umanitaÁ sofferente nel Continente americano.
questa testimonianza di amore sia
sempre piuÁ credibile, gli operatori
della Pastorale della Salute devono
agire in piena comunione tra loro e
con i loro Pastori. CioÁ eÁ particolarmente urgente negli ospedali cattolici, chiamati a riflettere sempre meglio
nella loro organizzazione, rispondente alle necessitaÁ moderne, i valori
evangelici, come insistentemente ricordano le direttive sociali e morali
del Magistero. CioÁ esige un movimento unitario tra gli ospedali cattolici, che interessi tutti i settori, non
escluso quello economico-organizzativo. Gli ospedali cattolici siano centri di vita e di speranza, dove si incrementino, insieme alle cappellanie, i
comitati etici, la formazione del personale sanitario laicale, l'umanizzazione delle cure ai malati, l'attenzione
alle loro famiglie ed una particolare
sensibilitaÁ verso i poveri e gli emarginati. Il lavoro professionale si concretizzi in autentica testimonianza di caritaÁ, tenendo presente che la vita eÁ
dono di Dio, del quale l'uomo eÁ soltanto amministratore e garante.
4. Questa veritaÁ va continuamente
ribadita di fronte al progresso delle
scienze e delle tecniche mediche, finalizzate alla cura ed alla migliore
qualitaÁ dell'umana esistenza. Postulato fondamentale resta infatti che la
vita va protetta e difesa dal suo concepimento fino al suo naturale tramonto. Come ho ricordato nella Lettera apostolica Novo millennio
ineunte: ``Il servizio all'uomo ci impone di gridare, opportunamente e
importunamente, che quanti s'avvalgono delle nuove potenzialitaÁ della
3. Questo privilegiato campo di
apostolato riguarda tutte le Chiese
particolari. Occorre, quindi, che ogni
Conferenza Episcopale si impegni,
anche attraverso organismi appropriati, a promuovere, orientare e
coordinare la Pastorale della Salute,
per suscitare nell'intero Popolo di
Dio attenzione e disponibilitaÁ verso il
variegato mondo del dolore. PercheÂ
61
DOCUMENTI
scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell'etica, appellandosi magari ad una
discutibile solidarietaÁ, che finisce per
discriminare tra vita e vita, in spregio
della dignitaÁ propria di ogni essere
umano'' (n. 51).
La Chiesa, aperta all'autentico progresso scientifico e tecnologico, apprezza lo sforzo e il sacrificio di chi,
con dedizione e professionalitaÁ, contribuisce ad elevare la qualitaÁ del servizio stesso offerto agli ammalati, nel
rispetto della loro inviolabile dignitaÁ.
Ogni azione terapeutica, ogni sperimentazione, ogni trapianto deve tener conto di questa fondamentale veritaÁ. Pertanto, mai eÁ lecito uccidere
un essere umano per guarirne un altro. E se nella tappa finale della vita
possono essere incoraggiate le cure
palliative, evitando l'accanimento terapeutico, non saraÁ mai lecita alcuna
azione o omissione che di sua natura
e nelle intenzioni dell'agente sia volta
a procurare la morte.
infermi la consolante presenza del Signore attraverso la Parola di Dio e i
Sacramenti. Adeguato spazio sia riservato alla Pastorale della Salute nel
programma di formazione dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose,
perche nella cura dei malati, piuÁ che
altrove, si rende credibile l'amore e si
offre una testimonianza di speranza
nella risurrezione.
6. Carissimi cappellani, religiosi e
religiose, medici, infermieri e infermiere, farmacisti, personale tecnico e
amministrativo, assistenti sociali e volontari, la Giornata Mondiale del Malato vi offre l'occasione propizia per
impegnarvi ad essere sempre piuÁ generosi discepoli di Cristo Buon Samaritano. Consapevoli della vostra identitaÁ, scorgete nei sofferenti il Volto
del Signore dolente e glorioso. Siate
pronti a recare assistenza e speranza
soprattutto alle persone colpite dalle
malattie emergenti, quali l'AIDS, o
tuttora presenti quali la tubercolosi,
la malaria, la lebbra A voi, carissimi
Fratelli e Sorelle che soffrite nel corpo o nello spirito, auguro di vero
cuore di saper riconoscere ed accogliere il Signore che vi chiama ad essere testimoni del Vangelo della sofferenza, guardando con fiducia ed
amore al Volto di Cristo crocifisso
(cfr Novo millennio ineunte, 16), e
unendo le vostre alle sue sofferenze.
Vi affido tutti alla Vergine Immacolata, Madonna di Guadalupe, Patrona
d'America e Salute degli Infermi. Ella
ascolti l'invocazione che sale dal
mondo della sofferenza, asciughi le
lacrime di chi eÁ nel dolore, sia accanto a quanti vivono in solitudine la
5. Il mio vivo auspicio eÁ che l'XI
Giornata Mondiale del Malato susciti
nelle Diocesi e nelle comunitaÁ parrocchiali un rinnovato impegno per
la Pastorale della Salute. Adeguata attenzione sia prestata ai malati che restano nelle proprie case, dato che la
degenza ospedaliera si va sempre piuÁ
riducendo e spesso i malati si trovano
affidati ai loro familiari. Nei Paesi dove mancano appositi centri di cura,
anche i malati terminali vengono lasciati nelle loro abitazioni. I parroci e
tutti gli operatori pastorali siano attenti e mai facciano venir meno agli
62
MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ GIOVANNI PAOLO II
malattia e, con la sua materna intercessione, aiuti i credenti che operano
nell'ambito della salute a rendersi testimoni credibili dell'amore di Cristo.
A ciascuno la mia affettuosa Benedizione!
- training di base nell'hospice
- qualifica di consigliere di hospice
- qualifica in teologia pastorale/psicologia
- specializzazione in salute mentale
- training in animazione di gruppo
- supervisione professionale.
Dal Vaticano, 2 Febbraio 2003
3. Descrizione delle attivitaÁ
Il Cappellano:
- Si occupa dei problemi emotivi dei
malati e loro familiari, del personale
e dei volontari.
- Offre servizi religiosi regolari e occasionali, quali: celebrazione della
Messa, scuola di Bibbia, meditazioni
per i malati, i parenti e il personale.
- Si mantiene in contatto con i pastori
e il clero di altre denominazioni religiose, invitandoli a visitare i malati e i
loro familiari quando essi lo desiderino.
- Se richiesto, puoÁ offrire il servizio religioso in occasione di funerali.
- Accompagna le persone in lutto e
partecipa ai gruppi di sostegno per
esse.
- Consulta gli psicologi ed eÁ consultato da essi.
- Offre insegnamento per l'hospice.
- Stabilisce relazioni con altre UnitaÁ di
cure palliative per accrescere la comprensione dei bisogni dei malati in
fase terminale.
- Stabilisce relazioni professionali con
altri cappellani di hospice e con
quelli che lavorano in istituzioni sanitarie.
- Offre consigli e informazioni all'amministrazione e al personale in rap-
2. Ruolo del cappellano nelle Cure
Palliative
La SocietaÁ Ungherese di Cure Palliative ha pubblicato le linee direttive
per i professionisti impegnati nelle cure palliative dei malati di cancro in fase terminale. Pubblichiamo i paragrafi
dedicati alla figura del cappellano.
1. Descrizione generale
Il cappellano eÁ uguale agli altri
membri dell'eÂquipe dell'hospice, e similmente offre servizi su una base
ecumenica. La sua principale attivitaÁ
consiste nell'offrire supporto emotivo
e spirituale ai pazienti e ai loro parenti. Egli non eÁ di aiuto solo nell'area
religiosa, ma con l'ausilio della pastorale e della psicologia offre anche
supporto emotivo. Oltre che ai pazienti e ai loro familiari, il cappellano
offre i suoi servizi anche al personale
dell'hospice.
2. Qualificazione
Oltre al diploma in teologia e all'ordinazione, il cappellano deve
avere le seguenti qualifiche e formazione:
63
DOCUMENTI
porto alle questioni spirituali.
- Fa del suo meglio per migliorare le
conoscenze e le abilitaÁ nello sviluppo
e crescita personale e professionale.
- Partecipa a training, conferenze,
congressi e programmi scientifici.
- Temi esistenziali: esplorazione,
comprensione e aiuto.
- Aiuto nel risolvere diversi problemi
e disordini.
- Assistenza nel riconoscere la morte e
nel vivere la relazione con tale realtaÁ.
- Aiuto a mantenere la dignitaÁ umana.
- Supporto emotivo e spirituale ai
membri dell'eÂquipe.
- Assistenza nel processo del lutto.
4. FinalitaÁ e risultati
- Sollievo dell'ansietaÁ emotiva e spirituale; offerta di supporto.
Per uno svolgimento adeguato della sua missione accanto ai malati,
oltre a una profonda spiritualitaÁ il cappellano deve possedere
una competenza e preparazione professionale che gli permettano
sia di conoscere adeguatamente la psicologia del malato
e di stabilire con lui una relazione significativa,
sia di praticare una valida collaborazione interdisciplinare.
(La pastorale della salute nella Chiesa italiana, n. 40)
64
N
O
T
I
Z
I
E
ro, autentico e paritario. EÁ un esempio di vera democrazia della pace, e
Dio sa quanto ne abbiamo bisogno,
che, pur nascendo dalla turbolenza
del dolore nelle piuÁ diverse esperienze, ci apre ad una profonda accettazione dell'alteritaÁ umana e alla compassione (da cum-patire = soffrire
con) sanante.
Si tratta di un movimento eccentrico di apertura agli altri a cui segue
un movimento concentrico in cui si
torna su se stessi per riflettere su
quanto abbiamo ricevuto da tutti i
presenti: se ci pensiamo, eÁ quanto fa
fisiologicamente il nostro cuore con
la sistole e la diastole, e simbolicamente sono proprio questi due movimenti successivi che ci garantiscono la vita.
La presenza di volti nuovi che operano anche nell'accompagnamento
dei malati in fase terminale della vita
in hospice e a domicilio (Monza, Roma, Treviso, Suzzara), di giornalisti,
di operatori di centri di ascolto diocesani, ha fatto sõÁ che fossero colte sfaccettature diverse del pianeta «dolore»
e individuate ipotesi di apertura di
nuovi gruppi di mutuo aiuto per il
lutto in nuove cittaÁ italiane.
L'organizzatrice ha curato una bibliografia con diverse recensioni di libri recenti sul tema morte, lutto,
gruppi di mutuo aiuto e gestione del
dolore e ha messo a disposizione alcune pubblicazioni e testi interessanti
di autori presenti al Convegno, per
incentivare la riflessione.
1. III Convegno nazionale dei gruppi
di mutuo aiuto per il lutto: «Condividere per vivere, risorse del mutuo aiuto nel cordoglio''
La cornice del Convegno, tenutosi
dal 21 al 23 febbraio 2002, eÁ stata Assisi e in particolare S. Maria degli Angeli e la Porziuncola. La prospettiva
degli organizzatori era quella di fornire un luogo spiritualmente sereno per
ritrovarsi e conoscersi, dando anche
l'opportunitaÁ di giungervi con le famiglie, per gestire insieme lo spazio
acerbo del dolore, conoscere le opportunitaÁ nel territorio nazionale ed
esplorare nuovi percorsi creativi di
guarigione.
GiaÁ il programma rispecchiava la
volontaÁ del Comitato di coordinamento nazionale, costituito nel 2002,
di ampliare il raggio di interesse affrontando nelle varie relazioni il lutto
negli aspetti sociale (Colusso Giuffrida), spirituale (Peruggia), religioso
(Valentina e Giancarlo Migliavacca),
psicorelazionale (Pangrazzi, Scaramuzzi), gestionale (Cazzaniga), organizzativo funerario (FENIOF, Gruber), laico (Casellato-Trevisin).
Dopo il raccordo tra il passato e il
futuro espresso nella relazione inaugurale di Ornella Scaramuzzi, si eÁ dato tempo alla conoscenza reciproca in
un momento di assemblea circolare.
EÁ il momento affettivo in cui, da una
piccola fiammella, si accende un faloÁ
di condivisione che brucia mentre si
sta insieme e alimenta il dialogo libe65
Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
NOTIZIE
Non sono mancati momenti di libertaÁ personale per visitare Assisi e
opportunitaÁ comunitarie come la visione di un film: La stanza del figlio e
la Messa domenicale in Porziuncola.
Lavorare con i simboli diventa occasione per la memoria di riportarci
nel presente chi non c'eÁ piuÁ dando
un valore di concretezza parziale alla loro assenza. Abbiamo infatti un
estremo bisogno di percepire con i
sensi, di vedere, di toccare e ci manca soprattutto la loro corporeitaÁ. Il
simbolo, pur essendo una rappresentazione oggettiva, eÁ investito di
forte soggettivitaÁ e aiuta percheÂ
non ferisce quanto l'immagine degli
scomparsi. La memoria eÁ dunque
luogo di relazione.
Il passo successivo eÁ sapersi separare
dai simboli quando si interiorizzano
i significati e i sentimenti che ci legano ad essi e avviene l'assimilazione
dei doni valori del defunto che diventano radici per una nuova vita.
Gianluigi Peruggia ha introdotto il tema delle Risorse spirituali nel lutto,
sviluppato dai coniugi Migliavacca
dell'Associazione Famiglie in cammino, che hanno perso un figlio ventiduenne.
Enrico Cazzaniga ha parlato de I gruppi
di mutuo aiuto: operatore sõÁ, operatore no? Ha subito stigmatizzato che
offrire aiuto non significa aiutare
ma ottimizzare gli strumenti di aiuto, perche c'eÁ una centralitaÁ di bisogni non di ruoli. Indicatori per l'aiuto sono la solitudine del morente e la
solitudine di familiari. Occorre stabilire una rete fra servizi sociali formali e informali (i gruppi di mutuo
aiuto) che dovrebbero agire in sinergia.
Scaturisce la necessitaÁ di una relazione fra gruppi AMA e operatori
professionali basata sulla non com-
Le relazioni principali
Le relazioni principali sono state
tenute da:
Luigi Colosso: ha parlato de L'auto e
mutuo aiuto nel progetto «Rimanere insieme» dell'ADVAR di Treviso.
Arnaldo Pangrazzi: ha esposto il tema
Il gruppo: luogo per guarire il dolore.
Ornella Scaramuzzi: ha creato un'estemporanea riunione di gruppo,
invitando sul momento 4-5 partecipanti a formare un piccolo gruppo,
in un'assemblea spettatrice, su un
tema interessante: L'uso dei simboli,
strumento creativo di guarigione.
Partendo dalla ricerca di un simbolo del defunto che ciascuno conserva e ritiene importante (oggetti,
usanze, atteggiamenti), ogni persona ha narrato la storia personale legata al simbolo ed eÁ stata invitata a
riflettere e ad esprimere il valore
ad esso attribuito, per esempio memoria (a volte si teme di dimenticare
la persona cara), affetto (valore consolatorio), monito (presenza orientatrice dopo la morte), ed altre possibilitaÁ. Hanno poi condiviso il sentimento che il simbolo risveglia in
loro. Infine hanno elaborato un simbolo personale per descrivere il rapporto avuto con il proprio caro defunto facendo un nuovo passaggio
mentale.
66
NOTIZIE
renti o perche non esiste luogo diverso. Talvolta poi da alcuni parroci
viene negato il rispetto della volontaÁ
del defunto e si offre solo la possibilitaÁ di una cerimonia funeraria di tipo cattolico altrimenti il morto viene emarginato, con rabbia e ulteriore solitudine e dolore dei parenti.
Samuele Bortolozzo della Feniof-Cof
di Treviso rappresenta i giovani imprenditori funebri nati nel 1994 per
diffondere la cultura del lutto aldilaÁ
del momento del servizio funebre.
Sfidando lo scetticismo di sacerdoti
e psicologi, hanno diffuso depliants
fra la popolazione del luogo e realizzato tre incontri molto accorsati sul
lutto. Se si acquisisce una dimestichezza con la morte come evento
che appartiene alla vita, si puoÁ anche forse programmare il proprio
funerale in anticipo.
Peter Gruber espone un'iniziativa di
due colleghe assistenti spirituali dell'ospedale di Bolzano, Renate Troggler e Judith Terzer, insieme ad alcune ostetriche e medici. Per consuetudine i feti nati nel secondo trimestre di gravidanza o i bambini
nati morti o non sopravvissuti alla
prematuritaÁ (N.B.: secondo la legislazione italiana se nati prima della
28esima settimana non hanno nemmeno dati anagrafici), vengono avviati all'inceneritore se i genitori
non ne chiedono il corpo per la sepoltura nella tomba di famiglia. A
questo punto le assistenti spirituali
hanno dunque pensato a realizzare,
d'accordo con il comune di Bolzano, la tomba comune dei feti.
Si eÁ potuto restituire un valore sacro
petitivitaÁ, sulla diversitaÁ e sulla interdipendenza degli aiuti, sull'integrazione dei diversi saperi scientifico ed esperienziale, sempre aperti
al cambiamento. Attraverso lucidi
ha poi presentato il modello della
consulenza, come relazione asimmetrica, e il modello della formazione
che crea una relazione tra pari nei
gruppi di mutuo aiuto.
Gruppi autogestiti: il cuore della condivisione
EÁ stato dedicato ampio spazio, gradito a tutti, a quattro gruppi autogestiti senza tema prestabilito, in modo
da far scaturire liberamente le problematiche di maggior interesse da condividere, riassumendone poi i contenuti piuÁ tardi in una riunione plenaria
moderata da Dario Pangrazzi.
Comunicazioni: le novitaÁ nazionali
Alessandro Casellato e Angela Trevisin di Treviso in rappresentanza dell'Associazione Ginestra. Il nome
trae spunto dall'omonima poesia
di Leopardi ove si parla di un fiore
resistente ma caduco e di disperazione e di radicalitaÁ del male. Leopardi vedeva nella solidarietaÁ umana la risorsa contro la natura maligna. Con questa motivazione si
muove il loro progetto per avere
una sala cittadina, sala del commiato, per celebrare un funerale laico
tra incontro e memoria secondo la
volontaÁ laica del defunto. Si assiste
a volte a forzature di riti svolti in
Chiesa perche cosõÁ lo vogliono i pa67
NOTIZIE
con una piccola cerimonia, ad un
momento certamente molto doloroso per i genitori e assicurare un luogo gratuito dove poter tornare a ricordare il proprio figlio e vivere
piuÁ dolcemente il cordoglio nell'attesa della Risurrezione che eÁ per tutti. Inoltre nella seconda domenica
d'avvento ricordano questi bambini
che non hanno mai visto la luce.
Usano poi distribuire alle gestanti
ricoverate per gravi problemi che
potrebbero condurre alla morte
del feto, un depliant molto chiaro
e delicato, che rende nota l'iniziativa
e come possono essere poi accompagnati nel lutto da un supporto di
tipo psicologico se lo desiderano.
EÁ questo un segno di come la creativitaÁ femminile puoÁ trasformare la
Chiesa.
zonti piuÁ coraggiosi e solidali percheÂ
nascono dalla considerazione delle ferite e del limite a cui inevitabilmente
ci richiamano.
Ornella Scaramuzzi
2. Cappellani ospedalieri verso una
`rivoluzione' interreligiosa
«Tempo dieci anni, e il nostro lavoro cambieraÁ cosõÁ tanto che lo troverete irriconoscibile!». L'affermazione entusiastica eÁ del pastore luterano George Handzo, uno degli organizzatori della prima conferenza
interreligiosa dei cappellani ospedalieri del Nordamerica. Al meeting,
tenutosi a Toronto dal 23 al 26 febbraio, hanno preso parte circa 1.200
operatori del settore da Stati Uniti e
Canada, tra cristiani, ebrei, musulmani, buddhisti ed esponenti di altre
comunitaÁ di fede.
I convenuti hanno fissato le basi
per poter condividere, in futuro,
standard professionali, principi etici
e modelli pastorali, in modo da poter
parlare con un'unica voce di fronte
agli amministratori delle strutture
ospedaliere, al personale medico e alle autoritaÁ religiose. D'ora in poi i
maggiori organismi presenti all'incontro ± tra cui l'Associazione nazionale (Usa) dei cappellani cattolici ±
collaboreranno piuÁ strettamente per
arrivare, passo dopo passo, all'obiettivo che si sono prefissati.
L'incontro intendeva essere ``epocale'' fin dall'inizio, giocando sulle
quattro lettere che compongono la
parola EPIC: autorizzazione (Empo-
Conclusione
Il prossimo convegno si terraÁ a Milano dal 19 al 21 marzo 2004.
C'eÁ giaÁ un sito internet:
www.space.virgilio.it/[email protected]
al quale mi auguro si possano presto
connettere con link in rete altri gruppi per il lutto.
Presto saranno pronti anche gli Atti del Convegno perche si possa tornare a riflettere su cioÁ che si eÁ realizzato, migliorare l'attivitaÁ dei gruppi
di mutuo aiuto per il lutto e divulgarne il significato profondo di sostegno
all'essere umano che attraversa periodi critici della propria esistenza.
Maturare interiormente eÁ una sfida
per la crescita personale e per la societaÁ stessa che si orienta verso oriz68
NOTIZIE
in situazioni tragiche.
I gruppi di lavoro hanno approfondito argomenti come la risposta
delle fedi all'11 settembre, la guarigione spirituale nell'islam, l'approccio buddhista al termine della vita, la
lotta al razzismo e all'Aids, la cura
pastorale dei sopravvissuti alla Shoah
werment), Presenza, IntegritaÁ, Compassione. A promuoverlo eÁ stata
Health Care Chaplaincy, una comunitaÁ interreligiosa attiva in una quarantina di cliniche americane. I temi
trattati, quelli comuni a quanti si
prendono cura del benessere spirituale del malato: la competenza necessaria, come affrontare il momento
della morte, il servizio dei cappellani
(Da: Jesus, 4-2003, p. 20) ( d.r.)
«Nessuna forma di cooperazione, illuminata da spirito evangelico,
eÁ piuÁ urgente, maggiormente sentita e piuÁ capace d'aggregazione
di quella che si pone al servizio dell'uomo in cioÁ che all'uomo eÁ piuÁ caro
e vitale: la promozione e la difesa della vita e della salute.
La valenza ecumenica di questo servizio ed apostolato eÁ straordinaria,
soprattutto percheÂ, attraverso l'unitaÁ nell'operare nel nome della caritaÁ,
si gettano le premesse del dialogo e dell'incontro nella veritaÁ».
(Card. Fiorenzo Angelini)
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CONSIGLIO NAZIONALE
19-21 gennaio 2003
Verona, Centro Mons. Carraro
insieme ordinato, di estremo valore e
profetico.
C'eÁ stata una vera e propria svolta
culturale da cui non si puoÁ tornare
indietro. La presenza dei relatori, altamente qualificata, era anche rappresentativa delle migliori scuole di
teologia e di pastorale sanitaria attuali: Calduch-Benages (Gregoriana),
Messina (Camillianum), Castenetto
(FacoltaÁ Teologica dell'Italia Settentrionale), Caretta (UniveristaÁ Cattolica), Farina (Salesiani), non meno
competenti anche Ricci e Bettinelli.
La prima sezione si chiude alle ore
22.30.
Alle ore 9.00 si riapre la seduta del
Consiglio, dopo aver celebrato l'Eucaristia alle ore 7.30.
Si aggiunge al gruppo P. Giancarlo
Manzoni (totale presenti 13).
Si aggiungono altre considerazioni
sul convegno di Collevalenza 2002.
Tra gli aspetti critici si evidenziano: la mancata presenza di Mons.
Pintor che a detta di tutti eÁ segno di
un clima di tensione tra l'associazione
e l'ufficio nazionale e la poca attinenza dell'interevento sui cappellani col
tema generale.
Viene evidenziata la bellezza del
depliant, la cura dell'accoglienza
mentre vengono discussi sia l'orga-
Il giorno 19 gennaio 2003, alle ore
21,15 si eÁ riunito il Consiglio Nazionale dell'A.I.PA.S. presso il Centro
Mons. Carraro di Verona.
Presenti: Vesentini don Roberto
Presidente, Di Taranto P. Leonardo
VicePresidente, Martello don Antonio Tesoriere, Cervellera dr. Gianni
Segretario; i consiglieri: Arice don
Carmine, Brambilla sr. Margareth,
Carrucciu P. Giuseppe, Gavotti P.
Edoardo, Nardin Sr. Adriana, Parma
Fra Anselmo, Scaramuzzi d.ssa Ornella, Testa p. Lorenzo. Assenti: Ghilardi p. Giuseppe, Bucci p. Luca, Bufarini p. Lorenzo, Langone p. Domenico, Manzoni p. Giancarlo, Mihajlovic' diac. Arsen, Santini Fra Antonio,
La riunione viene aperta dal Presidente che introduce con una breve
preghiera.
1. Valutazione del convegno di Collevalenza 2002
I presenti iniziano una prima valutazione del convegno trascorso. L'analisi dettagliata rivela che il convegno eÁ stato uno dei piuÁ riusciti degli
ultimi anni. La qualitaÁ dei relatori, la
connessione tematica degli argomenti, la presenza massiccia e qualificata
dei partecipanti hanno composto un
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Insieme per Servire n. 55 - Anno XVII n. 1 - Gennaio-Marzo 2003
NOTIZIE
piena fiducia alla linea editoriale.
Padre Lorenzo testa si eÁ offerto
per tenere e aggiornare l'archivio
degli abbonati alla rivista.
nizzazione dell'ufficio stampa che la
liturgia.
2. Il presidente ha posto l'attenzione sugli assenti, invitando i presenti a prendere una decisione sui
consiglieri che non hanno mai partecipato alle riunioni.
3. Convegno nazionale 2003.
Il Consiglio prende in esame alcune questioni ed elabora il tema del
convegno. Dopo ampia discussione e
confronto si decide per il tema: «Felice l'uomo che ha cura del debole. La
gioia del dono», con un'attenzione
specifica al tema della felicitaÁ per chi
opera in pastorale della salute e si dona al servizio degli altri.
Viene definito il programma nei
dettagli e si procede sulla bozza che
segue:
3. Il Consiglio ha accolto la presenza di Padre Angelo Brusco in
qualitaÁ di direttore della rivista ed
ha affrontato le questioni relative.
In particolare eÁ stata contestata la
scelta di pubblicare gli Atti dell'ultimo convegno in tre numeri differenti, venendo cosõÁ a mancare il
tradizionale numero unico con gli
atti. Per il resto eÁ stata confermata
BOZZA DEL PROGRAMMA
TEMA:
DATE:
LUOGO:
Felice l'uomo che ha cura del debole. La gioia del dono
6-10 ottobre 2002
Collevalenza (PG), Santuario dell'Amore Misericordioso
LunedõÁ, 6 ottobre 2002
Arrivi e sistemazioni
18,00
Commissione Formazione per i nuovi soci
19.00
S. Messa
20,00
Cena (buffet con specialitaÁ regionali portate dai partecipanti)
21,15
Consiglio Nazionale
MartedõÁ, 7 ottobre 2002
7,15
Celebrazione Eucaristica
Fra PASCUAL PILES - Superiore Generale dei Fatebenefratelli
9,00
Saluto del Presidente
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NOTIZIE
9,30
Relazione culturale
L'universale desiderio di felicitaÁ
FRANCESCO ALBERONI
11,30
15,00
16,30
19,30
21,15
Comunicazione sul disagio sociale (comunitaÁ di recupero)
Ricostruire la gioia
FRANCESCO ZAMBOTTI (camilliano)
Assemblea Nazionale
Testimonianze
S. Giuliano di Puglia
Mutuo-aiuto - Missionaria della caritaÁ
Vespri
Film AMARSI
Á, 8 ottobre 2002
Mercoledõ
Mercoledõ,
7,30
9,00
11,00
Lodi
Relazione psicologica
FelicitaÁ e maturitaÁ umana
EUGENIO FIZZOTTI (Rettore UPS)
Comunicazione sul disagio mentale
La felicitaÁ negata
MARCO FABELLO (Fatebenefratello)
POMERIGGIO AD ORVIETO
16,30
Celebrazione Eucaristica
Fra GIACOMO BINI - Ministro Generale dei Frati Minori
21,00
FIACCOLATA COL ROSARIO
Á, 9 ottobre 2002
Giovedõ
Giovedõ,
7,15
9,00
Celebrazione Eucaristica
Mons. COCCHI - Presidente Consulta Episcopale CEI
Relazione biblico-teologica
FelicitaÁ e grazia mi saranno compagne.
Mons. BRUNO MAGGIONI
(biblista, docente UniversitaÁ Cattolica)
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NOTIZIE
11,00
Salmo attualizzato
DON SERGIO CARRARINI
11,30
Comunicazione sulle cure palliative
Il ministero della consolazione
Don GIANLUIGI PERUGGIA
16,00
Comunicazione pastorale
Sfide etiche e culturali per la pastorale della salute
Mons. SERGIO PINTOR
(Responsabile Ufficio Nazionale Pastorale della salute)
17,30
Comunicazione su ludoterapia
Ridere per vivere
SPINA FIORAVANTI
19,30
Vespri
21,00
Spettacolo: RIDERE PER VIVERE
Á, 10 ottobre 2002
Venerdõ
Venerdõ,
7,15
Celebrazione Eucaristica
Mons. BRAMBILLA - Vescovo
9,00
Relazione spirituale
La spiritualitaÁ della gioia
LUCIANO MANICARDI (comunitaÁ di Bose)
11,00
Chiusura del Convegno
Saluto del Presidente
Registrazioni: Adriana Nardin
Raccolta preghiere mensa
(Sulla gioia): Margareth Brambilla
UFFICI
Presidente: Roberto Vesentini
Moderatore: Cristina Beffa
Segretario: Gianni Cervellera
Economo: Antonio Martello
Anim. Liturgica
(messe mariane): Cecilia Stiz
Giuseppe Carrucciu
Ufficio Stampa: Ornella Scaramuzzi
Indicazioni pratiche:
a. Libretto liturgia che contenga soprattutto i canti, sia piuÁ modesto del
precedente.
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NOTIZIE
i soci nelle diverse regioni:
- struttura regionale
- presenza degli ordini religiosi
- rivista per i soci
- tessera per isoci
- elementi fondativi
- identitaÁ
- criteri di appartenenza
- formazione
- relazioni A.I.Pa.S-CEI
b. A gestire l'ufficio stampa saraÁ invitato un giornalista del Sir di nostra conoscenza che saraÁ coadiuvato dal referente interno del consiglio.
c. Al deÂpliant saraÁ allegata la scheda di
iscrizione. Le iscrizioni saranno accettate solo per iscritto, tramite scheda,
fax o via mail.
5. Infine, il Consiglio decide di rinviare
gli altri temi in discussione nell'Associazione alle assemblee del convegno
nazionale. Si propone di arrivare a
queste con una traccia comune di riflessione. Si decide che entro il mese
di giugno i consiglieri facciano arrivare
le osservazioni sui seguenti punti e nella elaborazione vengono coinvolti tutti
Il Consiglio nazionale si chiude alle ore
11.00 del giorno 21 gennaio 2003.
Il presidente
Don Roberto Vesentini
Il segretario
Giovanni Cervellera
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A cura di Ornella Scaramuzzi
di figli portatori di handicap, il rapporto
medico-immigrato, i diritti del bambino
sieropositivo, sono questioni di vita passate al vaglio della bioetica personalista.
Interessanti il capitolo della psicologia
dello sviluppo e in esso, l'abuso mediatico e di internet nei quali si sottolinea
che se manca la presenza attenta e affettivo-dialogante con un genitore, il bambino rischia l'alienazione e la massificazione.
Il capitolo della pediatria sociale mette in luce i vari tipi di abusi sui minori:
siamo di fronte a casi di coscienza frequenti e diffusi sulla platea del nostro
osceno mondo.
Che ricetta dunque eÁ possibile cogliere nel libro? Quella di essere vigilanti e
aperti alla conoscenza dei problemi, e di
reagire nella solidarietaÁ anche denunciando, ove necessario, e potenziando i
servizi medici e sociali, avendo cura di
trattare sempre con amore quei soggetti
naturalmente deboli e preziosi che sono
tutti i bambini. Per questo i Latini dicevano: «Maxima debetur puero reverentia».
1. Leone S. e Lo Giudice M., Maxima
debetur puero reverentia: una bioetica
per la promozione dell'infanzia, Istituto siciliano di bioetica, Acireale (CT)
2002
L'esistenza biografica di un neonato
inizia quando, in sala parto, «la madre
che ha tenuto in se il bambino, partorendo lo presenta al padre, ricongiungendo
cosõÁ il suo ruolo di madre a quello di moglie. Il padre, d'altra parte, che fino allora
non ha mai visto ne sentito in se il figlio,
lo conosce per la prima volta ricongiungendo il suo ruolo di marito a quello di
padre. I coniugi, nel figlio, si scoprono genitori e da nuovi genitori riconoscono il
frutto della loro coniugalitaÁ».
Credo che queste parole degli autori
siano la recensione piuÁ vera ad un parlare di bioetica per l'infanzia, perche con
poche righe si stabilisce lo sguardo con
cui si affronta l'argomento. Sono occhi
di pediatra e di ginecologo, occhi di madre e di padre, di donna e di uomo che
credono nella vita che eÁ sacra in se ma
che ha bisogno di essere riconosciuta sacra nella culla della genitorialitaÁ paritaria, per essere scoperta, con incantato
stupore, meraviglia in divenire dal primo
all'ultimo respiro.
Il testo si snoda con un parlare chiaro
e di ampio orientamento in tematiche
scottanti della nostra epoca; eppure si
nota una capacitaÁ di sintesi che rende il
libro certamente divulgativo non solo
per gli operatori sanitari ma anche per
chi eÁ interessato ad una vasta panoramica dei problemi dell'infanzia.
Temi come l'incuria del neonato, la
morte improvvisa per SIDS, l'approccio
comunicativo con i genitori nel caso di
malattie genetiche e di malformazioni, e
2. Cantelmi T. e Giardina Grifo L., La
mente virtuale. L'affascinante ragnatela di Internet, Ed. S. Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 2002
L'apertura al mondo multimediale eÁ
sempre piuÁ frequente per l'uomo d'oggi.
Il rapporto col virtuale mentre ampia le
possibilitaÁ conoscitive, non eÁ esente da
limiti e da svantaggi che gli autori, psichiatra il primo, psicologa la seconda,
stanno valutando attentamente da anni.
Nella prima parte si fa un'analisi quasi
storica della comunicazione mediatica
75
Insieme per Servire n. 54 - Anno XVI n. 4 - Ottobre-Dicembre 2002
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
3. Bertoldi S. e Vanzetta M., I gruppi di
mutuo aiuto e l'esperienza dell'Associazione A.M.A. di Trento, pubblicato
per conto dell'Associazione, A.M.A.,
Trento 2002
Alla rete informale dei servizi appartiene anche la realtaÁ dei gruppi di auto e
mutuo aiuto. Quando si vive un problema ed esso nasce da vari disordini o disagi personali e sociali, non sempre le
medicine sono una garanzia per risolverlo.
A volte le istituzioni e i professionisti,
benche utili nell'immediato, non danno
adeguato accompagnamento nel tempo
alla persona che soffre. Per questo, sulla
traccia dettata dagli alcoolisti anonimi,
varie patologie o problemi vengono affrontati dal basso, facendo leva sulle motivazioni, sull'interesse e sulle esperienze
delle persone direttamente coinvolte.
Secondo la definizione dell'OMS (Organizzazione Mondiale della SanitaÁ) l'auto mutuo aiuto eÁ dato dall'insieme di
«tutte le misure adottate da non professionisti per promuovere, mantenere o recuperare la salute intesa come completo
benessere fisico, psicologico e sociale, di
una determinata comunitaÁ».
L'associazione A.M.A. di Trento in
questo libro presenta le molteplici attivitaÁ dei gruppi da essa promossi, con uno
sguardo anche allo sviluppo e talvolta ai
risultati raggiunti.
La vita dell'uomo eÁ complessa e sfogliando l'indice del testo si vede quanti
ostacoli a volte bloccano le persone fissandole in una solitudine sterile e paralizzante.
I gruppi nascono sempre dalla capacitaÁ personale di riconoscersi nel bisogno
attivando se stessi e gli altri nel problema che si sta vivendo, e dal confronto
gradualmente emergono le risorse per
uscire dalla difficoltaÁ.
L'A.M.A. di Trento promuove ogni
passando poi a considerare fenomeni patologici come la trance dissociativa da videoterminale.
Viene poi tracciata la personalitaÁ piuÁ
frequente dei «retomani» a rischio di
IAD (Internet Addiction Disorder =
Sindrome da dipendenza da internet):
circa 30-35 anni, quasi sempre celibi o
nubili, con problemi infantili di rapporto
con le prime figure di attaccamento per
cui maturano un rapporto relazionale
difficile con gli altri.
I sintomi piuÁ comuni sono ansia, irrequietezza, apatia, bisogno di incrementare il numero di ore trascorse al computer, insieme al diminuire dell'interesse al
rapporto interpersonale e al lavoro. Il
mezzo virtuale permette inoltre di nascondere la propria identitaÁ e di rappresentarsi agli altri in modo fantastico: tutto questo puoÁ condurre ad una depersonalizzazione mentale.
Tuttavia il mezzo mediatico puoÁ favorire la comunicazione di soggetti timidi
o lontani dai centri di sostegno a cui si
rivolgono, come si deduce dall'esperienza di sostegno on-line presente sul sito
«Progetto diabete». Molto dipende dai
professionisti che sono dall'altra parte i
quali devono saper decodificare dal lessico e dalle modalitaÁ di scrittura, almeno
una parte del fondamentale messaggio
del corpo che qui viene a mancare.
PuoÁ essere molto utile per tutti gli
operatori pastorali dunque conoscere
queste possibilitaÁ comunicative nuove
per essere pronti ad affrontare tali problematiche con i malati. Utilizzando le
potenzialitaÁ positive e conoscendo anche
i rischi e i limiti, saraÁ possibile sviluppare relazioni umane ed efficaci anche nei
tempi del virtuale.
76
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
vi e tragici episodi di intolleranza insanguinano il nostro mondo e lo stridore di
ingiustizie e di guerra lacera l'armonia.
Significa cercare le ragioni di convergenza, cioÁ che ci unisce piuÁ che cioÁ che ci
divide attraverso l'antropologia, la medicina, la bioetica.
L'accoglienza dell'altro implica la conoscenza del suo modo di essere, delle
tradizioni e delle aspirazioni e il rispetto
incondizionato del suo modo di vivere e
di soffrire.
L'ecumenismo religioso si fonda necessariamente su un ecumenismo antropologico capace di rinunciare alla paralisi dello scetticismo e del gretto fondamentalismo di parte per aprire il cuore e
la mente alla diversitaÁ.
Dal confronto senza pregiudizi e senza rinunciare al proprio credo eÁ cosõÁ
possibile riconoscerci tutti, figli fragili di
un'umanitaÁ in cammino che puoÁ integrarsi nel dialogo, anche a partire dal comune denominatore della sofferenza.
anno dei corsi formativi per animatori di
gruppi per vari disagi. Inoltre ogni volta
che sta per nascere un nuovo gruppo si
prende cura di tenere alcuni corsi preliminari di orientamento, miranti a comprendere la metodologia del gruppo, a
focalizzare con l'aiuto di uno psicologo,
il problema per cui ci si attiva, a intravedere le finalitaÁ dello stare insieme. Si
tratta di una specie di lancio guidato del
gruppo stesso che poi continueraÁ a riunirsi da solo, dandosi cadenze di incontri
e modalitaÁ interne di auto aiuto specifiche.
Un libro dunque interessante per professionisti dell'aiuto e non, che possono
cosõÁ conoscere i vantaggi di una metodologia informale di sostegno su cui contare o con cui collaborare.
4. AA.VV.. Salute, malattia e morte nelle
grandi religioni,, a cura di Arnaldo
Pangrazzi, Ed. Camilliane, Torino
2002
Il testo raccoglie gli atti del Convegno
dell'AIPAS che si eÁ tenuto a Collevalenza nel 2001. EÁ diventato un libro a seÂ
perche si offre ampiamente all'interesse
non solo del clero e di quanti si impegnano per la pastorale sanitaria ma di
tutti coloro che quotidianamente, lavorando per la salute dei malati, possono
incontrare nelle corsie e nel territorio
pazienti di diverse etnie.
Attraverso le voci dei rappresentanti
delle tre religioni monoteiste ebraismo,
islamismo e cristianesimo e in quest'ultimo ascoltando gli esempi dei suoi rami
protestante, ortodosso e cattolico, e infine i buddisti, e gli induisti, si ottiene un
quadro di come ciascuno di essi si pone
dinanzi alla sofferenza, alla malattia e alla morte e ai suoi rituali.
EÁ un po' vedere le religioni al letto
del malato al giorno d'oggi, quando gra-
5. Crozzoli Aite L. (a cura di), Assenza,
piuÁ acuta presenza,, Ed. Paoline,Milano 2003
Dopo un precedente testo SaraÁ cosõÁ lasciare la vita, edito sempre dalle Edizioni
Paoline nel 2001, Livia Crozzoli torna a
mettere insieme molte voci, alcune delle
quali ascoltate durante il Convegno annuale dallo stesso titolo che si eÁ tenuto a
Roma, all'Accademia nazionale dei Lincei, il 1 marzo 2003, di ampia prospettiva intorno al tema del percorso umano
di fronte all'esperienza della perdita e
del lutto.
Il libro eÁ suddiviso in tre parti principali: I Verso la fine di una vita, II Il confronto con la perdita, III Gli operatori tra
disagio e presenza.
Professionisti dell'aiuto di varia formazione raccontano il loro modo di in77
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
bini in fase terminale della vita a cercare
un senso nel tormento: a volte le risposte
piuÁ efficaci per i malati sono scaturite
non dalla religione, a causa di apprendimenti catechetici freddi e lontani, ma
dallo sperimentare la calda vicinanza
dell'operatore cristiano capace di tradurre in atti costanti la sua fede.
Non mancano le esperienze di aiuto
sociale nel lutto sorte con i gruppi di
mutuo aiuto che seguono varie metodologie di sostegno e infine lo sguardo al
disagio degli operatori in ospedale e fuori nell'ottica di come aiutare gli aiutanti
quotidianamente di fronte al dolore a
conoscere se stessi con valori, limiti, ombre, risorse, per capire per se e per gli
altri che si sta vivendo insieme un passaggio di crescita estremamente importante.
Il libro dunque eÁ molto denso e ricco
di spunti interessanti, anche se leggere
un testo a molte voci, costringe il lettore
a un continuo riadattarsi a stili di narrazione diversi. Tuttavia l'abile e paziente
lavoro della curatrice fa riconoscere l'unitaÁ tematica nella poliedricitaÁ delle descrizioni per cui l'effetto finale eÁ quello
di un prisma dalle molte facce illuminate
dalla luce della intelligenza, dalla dolorosa esperienza conoscitiva e dall'amore.
tervenire nei luoghi della sofferenza, intesi non solo come spazi esterni ma soprattutto interiori il cui accesso eÁ legato al saper stabilire relazioni significative, cogliendo il succo della vita in comune per
chi sta per morire e per chi lo accompagna alla soglia del mistero. Il termine lutto
anticipatorio eÁ rivisitato per intenderlo
non piuÁ come cordoglio per la propria
morte della quale eÁ impossibile avere percezione concreta, ma come cordoglio per
le numerose perdite che si stanno subendo e preparazione alla morte.
Molto interessante l'analisi dei sogni
dei morenti che permette di capire che il
nostro inconscio non teme la morte come termine della vita ma come modo in
cui si muore. Dunque la ricerca ultima eÁ
quella di una riunificazione personale
che dia senso al passato e al presente in
un processo di nascita interiore o di
compimento che eÁ facilitato dalla comprensione e dalla compassione attiva di
chi sta accanto.
Ci sono squarci di accompagnamento
familiare oltre che dei bambini oncologici stessi, attraverso l'esplorazione delle
situazioni emotive vissute e con alcune
esperienze ludiche e di arte-terapia. C'eÁ
la voce di un cappellano che per lunghi
anni ha accompagnato i genitori di bam-
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