Prova di resilienza - itis galileo galilei conegliano

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Prova di resilienza - itis galileo galilei conegliano
Classe 5^ - Tecnologie mecc. di proc. e prod. - UdA n° 3: Prove e controlli – Prova di resilienza
RESILIENZA
La resilienza è una proprietà meccanica. Essa rappresenta la resistenza che il materiale oppone
alle sollecitazioni dinamiche, cioè a sforzi applicati bruscamente o in un tempo brevissimo (in
pratica urti e strappi).
La resilienza è una proprietà molto importante: essa deve essere elevata per tutti gli organi di
macchine soggetti ad urti. Gli organi meccanici delle macchine sono soggetti infatti a rotture in
seguito a sollecitazioni prodotte da urti che agiscono in un tempo molto breve con rilevante
intensità (ad esempio l’asse di autoveicolo, l’albero a gomiti di un motore, bielle e manovelle).
La misura della resilienza si effettua su piccoli campioni del materiale da esaminare, che con la
prova vengono distrutti in seguito ad un colpo inferto da un corpo un movimento (mazza). La
misura viene effettuata determinando il lavoro compiuto per rompere mediante un urto una provetta
intagliata in mezzeria (in pratica l’energia cinetica assorbita dal materiale resistente). In passato, il
lavoro necessario per la rottura era rapportato all’area della sezione trasversale della provetta stessa
nel piano di simmetria dell’intaglio. In generale si aveva:
K=
L
[kg•m/cm2]
S
La norma CNR UNI 10003 del 1984 aveva stabilito che l’unità di misura della resilienza fosse
[J/m2] con sottomultiplo [J/cm2] ma veniva utilizzata anche [daJ/cm2] vicina alla precedente unità di
misura [kgf•m/cm2].
PROVA DI RESILIENZA
(UNI 3212, UNI 4431, UNI 4713, UNI 4714, UNI EN 10045, EURONORM 10-55)
La prova di resilienza consiste nel rompere con un solo colpo, con una mazza a caduta
pendolare, una provetta avente forma e dimensioni prestabilite, intagliata nella sua metà e
appoggiata agli estremi su due sostegni.
Nella prova per urto ammettiamo che l’azione di urto si ripartisca in modo uniforme ed in un
tempo brevissimo su tutta la sezione sollecitata.
La prova di resilienza appartiene alla categoria delle prove dinamiche distruttive: la
sollecitazione applicata per un tempo brevissimo e con il suo massimo valore causa la rottura del
provino.
IL PENDOLO DI CHARPY
La misura della resilienza di un materiale viene effettuata con il pendolo di Charpy. Tale
macchina è composta dalle parti seguenti:
1. incastellatura con basamento
2. pendolo ad asta con mazza
3. appoggi per la provetta
4. dispositivo misuratore della resilienza
Indipendentemente dall’energia potenziale disponibile, i pendoli di Charpy devono:
essere robusti e rigidi (per evitare vibrazioni);
avere il piano di oscillazione perfettamente verticale;
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avere la mazza e l’asta, quest’ultima collegata all’incastellatura mediante un perno,
progettate in modo da colpire con il baricentro la sezione di rottura della provetta
(per non generare sforzi secondari);
essere dimensionati (mazza e lunghezza dell’asta) in modo da avere, nel momento
dell’urto della mazza contro la provetta, la velocità prevista Vm che può essere
ricavata con sufficiente precisione (trascurando gli attriti) mediante la relazione:
Vm = 2 gH
con:
- g = l’accelerazione di gravità che può essere assunta pari a 9,81 [m/s2]
- H = l’altezza di caduta della mazza [m]
Dati tecnici del pendolo
Peso della mazza: 19,710 [Kg]
Angolo di alzata massima: 154° 30’
Distanza dall’asse di rotazione al pendolo (braccio): 0,8 [m]
Altezza di caduta: 1,52 [m]
Energia d’urto massima: 30 Kg•m (circa 300 J).
Per la verifica della macchina di prova Charpy si veda
la tabella UNI 6882 ed UNI EN 10045/2 del 1995.
Provette Unificate
Le provette utilizzate per questa prova hanno forma di
parallelepipedo 55 • 10 • 10 [mm] e hanno a metà lunghezza
un intaglio che può essere differente per forma e
dimensione.
L’intaglio deve essere eseguito accuratamente, in modo che non appaiano striature longitudinali
sul fondo dell’intaglio stesso.
L’intaglio evita il piegamento del provino, concentra lo sforzo e fa avvenire la rottura nella
sezione voluta. Questa prova, sebbene l’intaglio le tolga veridicità (nelle condizioni d’impiego il
materiale non ha intagli, che creano sollecitazioni concentrate che facilitano la rottura), offre
comunque ottimi elementi di confronto tra i materiali.
Le provette devono essere lavorate interamente alle macchine
(solitamente la fresatrice), con rugosità Ra = 3,2 [μm], facendo
attenzione a non alterare le caratteristiche del materiale: riscaldamenti
o incrudimenti potrebbero alterare il valore della resilienza. L’intaglio
è solitamente ricavato con apposita fresa a V e deve essere realizzato
in maniera che non presenti rigature o striature.
La norma UNI EU 18 prevede la necessità di indicare come è stata
ricavata la provetta rispetto alla direzione di laminazione. In mancanza
di indicazioni significa che la provetta è stata ricavata in direzione
perpendicolare alla stratificazione assunta dai cristalli per effetto della
laminazione: in tal caso la resilienza è minore.
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La faccia intagliata della provetta deve essere rivolta dalla
parte opposta a quella su cui batte la mazza: in questo modo la
rottura avviene per urto-flessione e con un colpo solo.
Le provette unificate possono essere di tre tipi, denominate
Mesnager, Charpy, con intaglio a V. La provetta Mesnager UNI
3212, utilizzata per le prove sui materiali metallici non ferrosi,
non è più prevista dalla normativa. Essa aveva le medesime
dimensioni delle altre ma, essendo l’intaglio ad U profondo 2
[mm], aveva sezione resistente S = 0,8 [cm2]. La resilienza
misurata con tale provetta era indicata col simbolo K ed il
risultato si esprimeva in [J/cm2].
Provetta CHARPY (UNI 4431 e UNI EN 10045/1)
La resilienza rilevata con la provetta Charpy (che riguarda
l’acciaio) è indicata con il simbolo KU (prima KCU).
L’intaglio, profondo 5 [mm] può essere a U oppure a buco di
chiave. L’area della sezione normale della provetta in
corrispondenza del centro dell’intaglio è in ogni caso pari a 0,5
[cm2]. La provetta deve essere rotta con un pendolo avente una
velocità della mazza al momento dell’urto compresa tra 4,5 e 7
[m/s]. I risultati si esprimono in [J].
Provetta con intaglio a V (UNI 4713 e UNI EN 10045/1)
La resilienza rilevata con la provetta “normale” avente
l’intaglio a V (che riguarda i materiali ferrosi) è indicata con il
simbolo KV. L’intaglio è profondo 2 [mm] e con un angolo di
45°. L’area della sezione normale della provetta in
corrispondenza del centro dell’intaglio è pari a 0,8 [cm2]. La
provetta deve essere rotta con un pendolo avente una energia
nominale di
300 ± 10
[J] e una
velocità della mazza al momento dell’urto
compresa tra 5 e 5,5 [m/s].
I risultati si esprimono semplicemente in
[J], senza riferimento alla sezione della
provetta.
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Condotta della prova su pendolo di Charpy Galdabini
1) Controllo preliminare degli strumenti
Si controlla il regolare sganciamento della mazza battente e della posizione di massima
altezza.
Si osserva che l’indice della scala graduata torni nella posizione iniziale dopo un’oscillazione
a vuoto.
Si controlla il funzionamento del freno per lo smorzamento delle oscillazioni del pendolo.
Il martello ha una sola altezza di caduta; il quadrante indica il valore del lavoro assorbito
dalla mazza.
2) Scelta del materiale da esaminare
Si controllano le dimensioni e la finitura superficiale della provetta, con particolare
attenzione all’intaglio.
3) Posizionamento della mazza del pendolo
Si solleva il pendolo lentamente fino all’ancoraggio, dove resta agganciato tramite un gancio
meccanico (arpione), si porta l’indice della scala graduata a contatto con il trascinatore, che è
solidale con il pendolo (valore zero della scala).
Secondo quanto previsto dalla normativa, per l’effettuazione della prova, la mazza viene
disposta con il suo baricentro G all’altezza H = 1,52 [m], rispetto alla quota minima a cui può
abbassarsi; in questa posizione la mazza possiede un’energia potenziale Am che è, per i pendoli
“normali”, di 300 J (±10 J). L’energia Am è data da:
Am = M · g · H [J]
con:
M = massa della mazza e dell’asta = 19,7 [Kg];
g = accelerazione di gravità = 9.81 [m/s2];
H = altezza di caduta della mazza = 1,52 [m]
3) Posizionamento della provetta
La provetta da esaminare deve essere disposta sull’apposito
supporto del pendolo (la distanza tra i due appoggi è di 40 mm) in
modo tale che la mazza di quest’ultimo colpisca il provino nel piano di
oscillazione del pendolo e nella mezzeria della provetta dalla parte
opposta all’intaglio. Con tale sollecitazione, la provetta viene rotta per
urto-flessione.
4) Rilascio della mazza
Una volta sganciata, la mazza scende rapidamente trasformando la sua energia potenziale in
energia cinetica; giunta nel punto più basso della corsa, la mazza colpisce e rompe in un solo colpo
la provetta e risale dall’altra parte sino all’altezza h. L’indice della macchina accompagna il
pendolo nella risalita e si ferma in corrispondenza della posizione più alta raggiunta. A questa
altezza la mazza possiede ancora l’energia potenziale residua Ar:
Ar = M · g · h
[J]
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Il pendolo viene fermato mediante un’apposita leva.
5) Il lavoro La assorbito dalla rottura
La differenza di energia Am - Ar
evidentemente è stata assorbita nella rottura
della provetta. Tenute presenti le relazioni
sopra citate la differenza di energia La è data
da:
La = Am - Ar =
= (M · g · H) – (M · g · h) = M · g · (H - h)
[J]
La risalita della mazza dall’altra parte dopo aver rotto la provetta viene indicata dalla posizione
raggiunta dall’indice sul quadrante che fornisce direttamente il lavoro La di rottura in [kg•m]. Nello
stesso tempo, essendo il quadrante composto da una duplice scala di valori (uno esterno per La e
uno più interno per La/S), ci fornisce in corrispondenza del lavoro assorbito dalla provetta anche il
valore della resilienza in Kg•m/cm2. Bisogna prestare una particolare attenzione perché, sulla
macchina di prova Galdabini presa in considerazione, tale corrispondenza è valida solo per sezioni
all’intaglio di 0,5 [cm2], cioè solo per le provette con intaglio a V e per quelle Charpy.
La prova viene ultimata sollevando lentamente la mazza ed agganciandola alla posizione più
elevata.
Si riporta infine l’indice della scala graduata a segnare zero.
Vengono eseguite tre prove sul medesimo materiale con lo scopo di ottenere un valore K dato
dalla media dei tre valori rilevati. Se la provetta non si rompe o non si piega, deve essere scartata.
6) Calcolo della resilienza
Dal valore di La si può comunque ricavare il valore della resilienza K (qualsiasi sia la sezione al
centro dell’intaglio della provetta) con la seguente relazione:
K=
La
s
[
J
]
cm 2
con:
La = energia assorbita dalla provetta [J]
S = sezione della provetta [cm2].
7) Conversione dell’unità di misura
Il pendolo di Charpy con cui viene eseguita la prova fornisce il valore La e conseguentemente il
valore della resilienza K in una unità di misura non più convenzionale, cioè, rispettivamente alle
due grandezze sopra nominate, in Kg•m e Kg•m/cm2. L’unità di misura corrente prevista è invece
rispettivamente J e J/cm2. La conversione dei valori si effettua moltiplicando il valore per
l’accelerazione gravitazionale g = 9,81 [m/s2].
Sapendo che 1J = 1N • m e 1N = 1kg • g, allora 1J = 1kg • g • m = 1Kg • m • 9,81.
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ESEMPIO DI CALCOLO
Provetta Charpy (sezione all’intaglio s = 0,5 cm2):
• La rilevato = 2,1 [Kg • m]
La [J] = 2,1• 9,81 = 20,6 [ J ]
• Calcolo KU = La/s = 2,1/0,5 = 4,2 [(Kg •m)/cm2]
• KU [J/cm2] = 4,2 • 9,81 = 41,2 [J/cm2]
Se la provetta non si rompe o non si rompe completamente, sul certificato della prova occorre
specificare, per esempio: ”provetta non rotta con KV ≥ 300 [J]”.
Se si vuole in ogni caso un valore di resilienza, è meglio modificare l’intaglio a V
trasformandolo in intaglio ad U da 5 mm di profondità e poi fare la prova KU.
Analisi della frattura
La sezione di rottura di una provetta può presentare due tipi possibili di frattura. La rottura può
avvenire per scorrimento, cioè per deformazione plastica (rotture duttili) o per decoesione, cioè
per distacco senza previa deformazione dei cristalli (rotture fragili).
Nella prima avremo una sezione di aspetto fibroso, con striature, opaco, a lucentezza setacea,
mentre nella seconda la superficie risulterà di aspetto granulare e lucentezza cristallina.
I materiali tenaci, che hanno una struttura a grana fine, presentano una frattura fibrosa; i
materiali fragili, che hanno struttura a grana grossa, presentano una sezione netta, piana e
lucente.
Fe 370
C 40
88 Mn V 8
Rame
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L’angolo di rottura dei due spezzoni di provetta
ravvicinati è pari a ≈ 180° nel caso dei materiali fragili e ≈ 100°
nel caso dei materiali tenaci.
I materiali fragili assorbono meno energia di quelli
cosiddetti tenaci, per cui il C35 (che è più duro) ha un valore di
resilienza più basso del C20 (che è meno duro).
Uno stesso materiale, però, può avere entrambe le tipologie
di frattura prima descritte (duttile e fragile). I fattori che influiscono su tale comportamento sono la
temperatura di prova, la presenza di impurezze, i difetti di preparazione della provetta, le anomalie
strutturali, il tipo di trattamento termico subito dal materiale...
Tenacità di un acciaio
La resilienza è indice della tenacità del materiale: maggiore è la resistenza agli urti maggiore
sarà la tenacità. Un materiale viene indicato con il termine tenace quando possiede buona resistenza
a trazione accoppiata ad un buon allungamento e buona resilienza.
La tenacità di un acciaio, quindi, dipende dal carico di rottura a trazione, dall’allungamento
percentuale, e dalla resilienza. Solo se le tre caratteristiche sono elevate (anche se spesso si
considera la sola resilienza) un acciaio si può considerare tenace.
Talvolta, nel linguaggio pratico, si considera l’indice di fragilità ρ, definito come l’inverso
della resilienza, cioè ρ = 1/KU oppure 1/KV. Infatti, maggiore è la resilienza, minore sarà l’indice di
fragilità e quindi sarà maggiore la tenacità del materiale.
Materiali molto tenaci possono piegarsi in seguito all’urto senza rompersi. I valori della prova,
comunque, possono ritenersi accettabili, facendo però menzione della “non avvenuta rottura della
provetta” nel certificato della prova stessa. Per esempio: ”provetta non rotta con KV ≥ 300/0,8
[J/cm2]”.
VARIAZIONE DELLA RESILIENZA IN BASE ALLA TEMPERATURA
Le modalità per la prova sugli acciai sono insite nella tabella UNI 4714. La prova “normale” è
considerata a temperatura ambiente quando è svolta alla temperatura di 23 ± 5 [°C]. Le prove
possono essere svolte anche a temperature diverse ma ciò deve essere riportato nel certificato della
prova.
Nel caso di prove effettuate alle basse temperature (< 0°, < 20°, < 50°, < 100°) la provetta deve
essere immersa in miscele refrigeranti a distanza di almeno 3 [cm] sia dal fondo del recipiente che
dal pelo libero. Anche la pinza utilizzata per l’estrazione della provetta deve rimanere immersa nel
mezzo raffreddante. La durata del raffreddamento deve essere di almeno 15 minuti e la rottura
della provetta deve avvenire entro 6 secondi.
- Temperature e bagni di raffreddamento
Per le prove effettuate a 0 °C si può utilizzare come mezzo raffreddante il ghiaccio fondente;
per temperature inferiori può essere utilizzato un miscuglio di NaCl (33 parti) e ghiaccio finemente
polverizzato (prove a – 21 °C) o anidride carbonica (CO2) solida disciolta in etere etilico fino a
saturazione (prove a – 77 °C). Temperature comprese tra – 77 °C e la temperatura ambiente si
ottengono dosando la concentrazione di CO2. Per temperature ancora inferiori si può ricorrere
all’etere etilico fondente (- 116 °C), al cloruro di etile fondente (- 138 °C) al propano liquido
bollente (- 160 °C) o all’azoto liquido bollente (- 196 °C).
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Per la maggior parte dei materiali, la resilienza varia con la temperatura di esecuzione della
prova. In particolare, al diminuire della temperatura cui si effettua la prova, la resilienza decresce.
Fa eccezione il rame.
Per rendere più chiaro quanto detto è utile osservare il seguente grafico.
Grafico resilienza-temperatura
Il grafico è caratterizzato da due
distinte linee, non molto inclinate: nella
prima parte sono rappresentate resilienze
modeste, mentre nella seconda quelle più
elevate. La parte sinistra del grafico è
detto “delle rotture fragili”, la parte destra
“delle rotture duttili”. La zona interna,
evidenziata, rappresenta un intervallo di
temperatura la cui resilienza può assumere
valori molto variabili. Questo intervallo,
dipendente dal tipo di materiale, è situato su valori della temperatura inferiori a 0 °C (da 0 a -20 o a
-40) ed è da considerare soprattutto per gli acciai che devono essere utilizzati a basse temperature.
La temperatura a cui la resilienza subisce una brusca diminuzione è detta “Temperatura di
transizione”. Le modalità di determinazione di essa sono insite nella tabella UNI 7227.
Buoni acciai hanno una temperatura di transizione intorno a -20 °C; acciai appositamente
studiati hanno temperatura di transizione intorno a -50 °C.
La conoscenza della temperatura di transizione è molto importante ai fini dell’impiego dei
materiali alle basse temperature. In particolare, gli acciai infragiliscono alle basse temperature. Ciò
è dovuto al fatto che, diminuendo la mobilità degli atomi, si ostacolano gli scorrimenti dei piani
reticolari che condizionano la deformazione.
I materiali destinati alla costruzione di particolari che devono lavorare a temperature molto
basse, devono avere una temperatura di transizione di 100÷150 °C sotto zero.
In generale: più il grano è grosso, più bassi risultano i valori della resilienza.
I metalli aventi struttura cristallina cubica a
facce centrate non presentano alcuna dipendenza
dalla temperatura e perciò non sono soggetti al
cedimento fragile; i metalli con struttura esagonale
compatta possono avere sia rottura duttile che
rottura fragile; i metalli con struttura cubica a
corpo centrato sono quelli che maggiormente
variano la rottura da duttile a fragile al diminuire
della temperatura.
La temperatura di transizione degli acciai si
abbassa diminuendo il tenore di carbonio (vedi
grafico a lato), fosforo e azoto o aumentando il
tenore di nichel, titanio, molibdeno e alluminio. Il
più efficace elemento antifragilizzante è il nichel.
Elementi negativi sono invece il cromo ed il manganese.
Gli acciai resistenti alle basse temperature sono detti “acciai criogenici”.
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Valori della resilienza per alcuni materiali:
Materiale
Acciaio dolce bonificato
Acciaio semiduro
Acciaio duro
Acciaio extraduro
Acciaio al manganese
Acciaio al Ni Cr Mo
Acciaio inossidabile
Acciaio da nitrurazione
Ottone 50 % Cu
Ottone 60 % Cu
Bronzo 13 % Sn
Lega Zama 2
Resilienza
[J/cm2]
225
98
78
29
156
137
196
98
19 - 39
39 - 69
29
20 - 29
Resilienza
[daJ/cm2]
23
10
8
3
16
14
20
10
2-4
4-7
3
2-3
Prove eseguite in condizioni particolari
Nel caso di prove eseguite in condizioni “non normali”, il simbolo KV (o KU) deve essere
seguito da un indice che indichi l’energia disponibile e quella assorbita dalla rottura.
Per esempio: KV 200 = 85 J
dove 200 è l’energia disponibile e 85 è l’energia assorbita dalla rottura della provetta.
Al posto di provette “normali” possono essere utilizzate provette “sostitutive rettangolari” a
sezione ridotta, di larghezza 7,5 mm, con l’intaglio nella faccia più stretta. In questo caso, il
simbolo KV deve essere seguito dal valore dell’energia disponibile e dalla larghezza della provetta.
Esempio: KV 100/7,5 = 58 J
Conversione dei valori della resilienza
Non vi è un sistema
generale di conversione dei
valori della resilienza ottenuti
con metodi diversi o provette
diverse. Solo per gli acciai,
escluso quelli austenitici, è stata
approntata una tabella di
conversione i cui valori sono da
ritenersi del tutto orientativi.
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Prova d’impatto su materiale plastico
Le prove di impatto si eseguono per
determinare il comportamento di un
materiale plastico sottoposto ad elevate
velocità di deformazione. Le macchine
tipiche per queste prove sono i pendoli ad
impatto, i quali quantizzano l’energia
assorbita dalla rottura di un provino
standard attraverso la misura dell’altezza di
risalita del pendolo a seguito dell’impatto.
Per questa misura sono applicabili
diversi metodi. Secondo la ISO 10350-1, il
metodo di prova più appropriato è il metodo
Charpy conforme alla ISO 179-1. La prova
viene eseguita su campioni senza intaglio,
con impatti sul lato stretto. Se con questa
configurazione di prova il campione non si
rompe, devono essere utilizzati campioni con intaglio.
Nella tabella che segue sono indicate le dimensioni in [mm] dei provini (senza intaglio):
Tipo di provino
1
2
3
Lunghezza l
80
25 x h
11 x h o 13 x h
Larghezza b
10
10 o 15
10 o 15
Spessore h
4
3
3
La procedura DIN EN ISO 179 prevede anche l’uso di provini diversi, con e senza intaglio,
come indicato di seguito.
Legenda delle procedure
Direzione del
colpo
1 barra piatta con e = di taglio
dimensioni
(lato stretto)
lungh x largh x h f = di piatto
(lato largo)
Tipo di provino
Profondità della tacca
U nessuna tacca
A tacca con raggio di 0,25
mm
B tacca con raggio di 1,00
mm
C tacca con raggio di 0,10
mm
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Distanza tra
gli appoggi
Altezza/
Forma
Raggio
larghezza
della tacca della tacca
residua
nessuna
tacca
Nome della
procedura
Provini
ISO 179/1eU
80 x 10 x 4 62
ISO 179/1eA
80 x 10 x 4 62
V
ISO 179/1fU
80 x 10 x 4 62
nessuna
tacca
ISO 179/1eB
80 x 10 x 4 62
ISO 179/1eC
80 x 10 x 4 62
0,25
8
V
1
8
V
0,1
8
Direzione del
colpo
e = di taglio
(lato stretto)
e = di taglio
(lato stretto)
f = di piatto
(lato largo)
e = di taglio
(lato stretto)
e = di taglio
(lato stretto)
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