16 Febbraio 2015 - Uomo-Donna: natura o cultura?

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16 Febbraio 2015 - Uomo-Donna: natura o cultura?
UOMO – DONNA: NATURA O CULTURA?
di Don Salvatore Rinaldi
articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 16 Febbraio 2015
Il percorso che porta a riconoscersi maschio o femmina dura tutta la vita, con alcune tappe particolarmente
significative. Sono gli aspetti biologici, lo stile accuditivo dei genitori e il contesto sociale in cui si è inseriti, a
permettere l’identificazione. Decisivo il ruolo materno e paterno che si intrecciano nella relazione. L’uomo
e la donna si distinguono dal punto di vista neurologico. Numerosi studi hanno osservato la struttura e il
funzionamento del cervello maschile e di quello femminile rilevando molte similitudini e tante diversità. Ai
nostri giorni, lo scenario sociale tende ad appiattire gli aspetti che rendono unici e speciali l’uomo e la
donna. Tentativo maldestro che ignora la bellezza del dato biologico, sganciando il genere dal sesso.
Valorizzare queste “diversità” nello sviluppo aiuta a crescere in modo equilibrato, sereno e fiducioso. Gli
studi sulla sessualità e sull’identità di genere consentono di evidenziare similarità e differenze presenti fin
dalla prima infanzia nei due sessi, nonché itinerari di sviluppo peculiari. In tali percorsi si possono
rintracciare gli influssi della famiglia, della scuola e, aggiungerei, dell’immagine della sessualità così come i
media la porgono all’attenzione di tutti noi fin dall’età prescolare. Il caso della Germania, dove genitori che
hanno rifiutato che i figli partecipassero a lezioni di educazione sessuale ispirate alla teoria del genere sono
stati condannati a quarantacinque giorni di detenzione senza condizionale (febbraio 2011). Tale teoria
comporta una radicale separazione tra sesso biologico, genetico ed ormonale e identità sessuale. L’identità
sessuale (identità di genere), essendo una costruzione personale non dovrebbe essere condizionata e
guidata dal sesso di appartenenza per nascita. La naturale diversità sessuale tra uomo e donna non avrebbe
alcun rilievo per l’identità sessuale che invece sarebbe solo una costruzione culturale, e come tale dovrebbe
essere lasciata alla libera scelta del soggetto. Solo quest’ultima sarebbe veramente rilevante e ad essa si
dovrebbe fare riferimento. Ciò comporterebbe anche una plasmabilità della realtà corporale fisica
dell’essere umano, in quanto essa dovrebbe ricevere qualsiasi significato e progetto di vita che l’essere
umano ritenesse opportuno imporgli (anche con interventi chirurgici), secondo i propri soggettivi progetti e
desideri. Natura o cultura? Siamo di fronte ad un delirio della libertà soggettiva che nega la natura del
sesso, oppure a una conquista che finalmente libera l’essere umano da costrizioni e disuguaglianze sessuali
che sono fonte di discriminazione e ingiustizie verso colui che è diverso dal nostro modo di pensare la vita e
le relazioni sessuali e familiari? Forse a qualcuno può sembrare attraente poter scegliere liberamente la
propria identità sessuale, oppure che questo sia il modo per garantire alle persone omosessuali,
transessuali o bisessuali la libertà di vivere il proprio orientamento sessuale senza andare incontro a
condanne o a discriminazioni sociali. La domanda più seria che però bisogna farsi di fronte a queste
teorizzazioni riguarda il rapporto che ciascuno di noi può (deve) avere con la dimensione corporea del
nostro esistere. Noi esistiamo soltanto in un corpo specifico, il quale è geneticamente, fisicamente ed
ormonalmente ben definito dal punto di vista sessuale. Ogni nostra singola cellula è sessualmente
connotata nel senso che la 23ª coppia di cromosomi di ciascuna cellula o è composta da 2 X o da un X e da
una Y (salvo ovviamente i rari casi di patologia, ma non si può fare della patologia il criterio per
comprendere il normale). In altre parole le nostre cellule sono maschili o femminili e tali resteranno per
tutta la vita, per quante modificazioni noi volessimo introdurre chirurgicamente o in altro modo sul nostro
corpo. Non solo, ma tale differenziazione comporta non solo una diversità di organi fisici esterni o interni,
ma anche una differenza ormonale tra uomo e donna: estrogeni o progestinici sono i due ormoni diversi dei
due sessi. Molti altri sono gli elementi biologici che differenziano l’uomo dalla donna, non è qui il caso di
richiamarli tutti. Questi elementi sono ovviamente da attribuire alla natura e non dipendono da alcuna
scelta libera dell’essere umano. Egli può intervenire con la somministrazione più o meno massiccia di
ormoni alterando l’equilibrio sessuale in una direzione o in un’altra così da modificare alcuni elementi del
fenotipo, come ad esempio la crescita del seno nel maschio (nel caso di coloro che si sono sottoposti al
cosiddetto ‘cambiamento di sesso’) così che essi corrispondano meglio all’eventuale sesso di elezione. Ma
tale somministrazione dovrà essere fatta per tutta la vita, non modificando affatto la produzione naturale
dell’ormone proprio del sesso di appartenenza naturale. Ma ciò che è più importante, appartenenza a un
sesso o all’altro, è chiederci quale spazio di libertà, dentro questa ineliminabile realtà, resti all’essere
umano per plasmare la propria identità sessuale eventualmente in dissonanza dal sesso genetico di
appartenenza. E’ ovvio che molte modalità concrete di vivere il genere maschile o il genere femminile sono
determinate dalla cultura: per esempio il modo di vestire alla femminile o alla maschile o l’esplicazione di
alcune attività che in una determinata cultura sono ritenute maschili e in altre femminili. Se è vero che
dobbiamo portare il massimo rispetto e comprensione per coloro che si trovano a dover vivere con un
corpo sessualmente non chiaramente definito, non possiamo ritenere che il non definito sia la situazione di
partenza (o ideale) di ciascuno di noi. D’altra parte, non credo che il punto di partenza per la costruzione di
una identità sessuale (identità di genere) sia l’assoluta libertà e che in tale compito la costituzione genetica
e corporea, l’unica realtà nella quale è dato il nostro esistere, sia da ritenere indifferente. La diversità dei
sessi comporta una socializzazione diversa secondo il sesso di appartenenza, salvandone la diversità
(quindi, la non confusione dei sessi) e il reciproco riferimento attraverso ruoli distinti e in qualche modo
completantesi. Teorizzare l’indifferenza, o addirittura impostare l’educazione sull’assunto dell’indifferenza
tra i sessi, colliderebbe con la realtà e porterebbe ognuno a dover vivere un conflitto intrinseco alla propria
natura sessuale: conflitto tra il sé e il corpo (tra il sé e il proprio sesso), conflitto da cui non deriverebbe
guadagno alcuno né per il sé né per il corpo, né alla fine per la relazione tra i sessi. La differenza e la
reciprocità uomo-donna non è solo culturale, è la fonte stessa dell’esistenza dell’essere umano. Se non ci
fosse la differenza dei sessi non ci sarebbe generazione umana, quindi non ci sarebbe né storia né cultura,
semplicemente non ci sarebbe alcuna società nei confronti della quale rivendicare diritti di alcun genere.
Per superare il possibile conflitto tra i sessi e la eventuale prevaricazione dell’uno sull’altro, non si tratta di
promuovere una ideologica non differenza tra i sessi (e quindi una scelta libera della propria identità di
genere) quanto una cultura che sappia valorizzare il diverso, apprezzandone e promuovendone la sua
ricchezza specifica per il bene di tutti. Uomo e donna sono reali diversità sessuali: di qui la necessità di una
differenziazione di trattamento giuridico che realizzi una sostanziale eguaglianza, ad esempio liberando la
donna da una omologazione al modello maschile, imitando il quale non raggiunge l’affermazione della
propria dignità e diversità.