La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Manuale dei/delle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici di Johan Galtung dr hc mult Docente di Studi per la Pace Direttore di TRANSCEND: A Peace and Development Network (Una Rete per la Pace e lo Sviluppo) Traduzione di Carla Toscana United Nations Disaster Management Training Programme Centro Studi Sereno Regis Torino, 2006 Progetto realizzato con il contributo del Bando 2004 della Provincia di Torino - L.R. 38/94, Valorizzazione e promozione del volontariato e di Fondazione CRT Compagnia di San Paolo Johan Galtung è direttore di TRANSCEND: A Peace and Development Network e docente di Studi per la pace in numerose università in ogni parte del mondo. Nel 1959 ha fondato l’International Peace Research Institute e nel 1964 il “Journal of Peace Research”. È ampiamente riconosciuto come una delle figure più preminenti tra i fondatori della disciplina accademica degli Studi per la pace e sui conflitti. Ha pubblicato più di 80 libri e oltre 1000 saggi e articoli. Ha ricevuto 10 lauree ad honorem e numerose altre onorificenze, come il Right Livelihood Award (anche conosciuto come il Premio Nobel Alternativo per la Pace), il Norwegian Humanist Prize, il Socrates Price for Adult Education, il Bajaj International Award for Promoting Gandhian Values e l’Alo’ha International Award. In qualità di direttore di TRANSCEND è impegnato in programmi di consulenza relativi a più di 20 conflitti inter- e intra-nazionali. L’autore desidera ringraziare tutte le persone che hanno contribuito a questo lavoro, che sarebbe stato irrealizzabile senza la loro collaborazione. Redazione a cura di Carla Toscana Grafica e impaginazione a cura di Enzo Gargano Centro Studi Sereno Regis Via Garibaldi, 13 - 10122 Torino Tel. +39 011532824 Fax +39 0115158000 e-mail [email protected] web http://www.cssr-pas.org © United Nations, 2000 L’utilizzo e la duplicazione di questo Manuale e dei suoi contenuti sono permessi; tuttavia, è richiesta l’attribuzione della fonte allo United Nations Disaster Management Training Programme (DMTP) La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Indice della Prima Parte Un sommario dell’appproccio Un diagramma di flusso Punti per un/a formatore/trice, con un diagramma di flusso Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: versione in una pagina Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: un esempio Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva Risultati del conflitto e procedimenti del conflitto Commenti a Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva Creatività, trascendimento, trasformazione del conflitto Teoria del conflitto, pratica del conflitto: qualche passo in più Corso d’addestramento alla trasformazione dei conflitti: qualche esercizio supplementare Codici per operatori/trici nei conflitti/per la pace: 12 cose da fare Codici per operatori/trici nei conflitti/per la pace: 12 cose da non fare Due racconti: di cammelli, numeri e tante altre cose Dialogo fra l’autore (JG) e l’avvocato del diavolo (AD) 7 9 11 13 14 16 24 27 30 36 42 44 45 46 47 Indice della Seconda Parte Le 50 unità per il training 55 MODULO I Unità 1 Unità 2 Unità 3 Unità 4 Unità 5 Gli/le operatori/trici nei conflitti Una professione emergente Un profilo personale e un’autoanalisi Un profilo sociale (la relazione con la società) La relazione con l’Altro; le parti in conflitto Gli/le operatori/trici nei conflitti: e l’obiettività? 57 58 60 62 64 66 MODULO II Unità 6 Unità 7 Unità 8 Unità 9 Unità 10 Il dialogo Lo strumento dei/lle operatori/trici nei conflitti Separatamente o con tutte le parti intorno al tavolo? Riflessioni sul setting La prospettiva sociale profonda La prospettiva a lungo termine 69 70 72 74 76 78 MODULO III Unità 11 Unità 12 Unità 13 Unità 14 Unità 15 Teoria del conflitto Il triangolo Atteggiamento – Comportamento (Behavior) – Contraddizione Una regola aurea: ampliare il numero delle parti e degli obiettivi Bisogni fondamentali, diritti fondamentali, conflitti fondamentali Ritiro, compromesso, trascendimento Prima – durante – dopo la violenza/la creatività 81 82 84 86 88 90 5 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IV Unità 16 Unità 17 Unità 18 Unità 19 Unità 20 Pratica del conflitto Il triangolo Empatia – Nonviolenza – Creatività L’empatia per ammorbidire gli atteggiamenti La nonviolenza per ammorbidire il comportamento La creatività per ammorbidire le contraddizioni Alle radici della creatività 93 94 96 98 100 102 MODULO V Unità 21 Unità 22 Unità 23 Unità 24 Unità 25 Teoria della violenza Il triangolo violenza diretta – strutturale – culturale Violenza diretta: effetti visibili e invisibili Violenza strutturale: le cattive strutture annientano lentamente Violenza culturale: le cattive culture giustificano la violenza Il triangolo Diagnosi – Prognosi – Terapia 105 106 108 110 112 114 MODULO VI Unità 26 Unità 27 Unità 28 Unità 29 Unità 30 Pratica della violenza Diagnosi: radici della violenza diretta Violenza diretta: cattivi attori, malviventi e bulli Violenza strutturale: la sindrome PSFM Violenza culturale: la sindrome EGT e la sindrome DMA Prognosi: allarme precoce, azione precoce 117 118 120 122 124 126 MODULO VII Unità 31 Unità 32 Unità 33 Unità 34 Unità 35 La trasformazione Non c’è alternativa alla trasformazione L’empatia per cambiare gli atteggiamenti La nonviolenza per cambiare il comportamento La creatività per cambiare le contraddizioni Scambiare un conflitto con un altro? 129 130 132 134 136 138 MODULO VIII Unità 36 Unità 37 Unità 38 Unità 39 Unità 40 I dialoghi di pace L’approccio prevalente/verticale L’approccio alternativo/orizzontale, La socio-analisi Risultati del conflitto o procedimenti nel conflitto? Governare lo stress e la tensione 141 142 144 146 148 150 MODULO IX Unità 41 Unità 42 Unità 43 Unità 44 Unità 45 La trasformazione del conflitto Conflitti connessi al potere e a linee di faglia a livello sociale Conflitti connessi al potere e a linee di faglia a livello mondiale Conflitti intra-personali Conflitti inter-personali Alcune proposte TRANSCEND 153 154 156 158 160 162 MODULO X Unità 46 Unità 47 Unità 48 Unità 49 Unità 50 La trasformazione di pace L’educazione alla pace: le persone come partner Il giornalismo di pace: i media come partner La ricostruzione dopo la violenza La riconciliazione dopo la violenza Rendere reversibili le trasformazioni 165 166 168 170 172 174 Appendice 1 Ulteriori letture: alcune pubblicazioni recenti Altri testi utili Bibliografia Italiana Organizzazioni del settore 177 180 181 183 Appendice 2 6 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Un sommario dell’approccio Questo Sommario segue la logica dell’Indice. C’è un altro riassunto: Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata. Operatori/trici nei conflitti I Gli/le operatori/trici nei conflitti (gli/le operatori/trici di pace) chiedono di essere inclusi/e come parti esterne nella formazione conflittuale. Credenziali: essi/e si pongono come esseri umani consimili, che apportano conoscenze e competenze generali sul conflitto, con compassione e perseveranza, senza agende nascoste. Dialogo II Il dialogo è lo strumento per esplorare il conflitto: si incontrano le parti una alla volta, senza fare alcun sforzo per “vincere”/persuadere, bensì avviando un continuo processo di brainstorming, in cui si condivide il tempo, si fanno domande e si risponde su una base di uguaglianza, e si è onesti, schietti, pieni di tatto, attenti e “normali”. Il rispetto per le parti in conflitto che dialogano con noi è essenziale: per loro il conflitto è tremendamente serio, hanno sofferto, sono spesso molto istruite, hanno molte conoscenze ed esperienza, ma sono intrappolate nel e dal conflitto e non vedono via d’uscita. In cambio, richiedete loro rispetto/eguaglianza come condizione per lavorare bene insieme. Affinché gli/le operatori/trici nei conflitti-per la pace si accostino a un conflitto in modo genuino, occorre evitare la specializzazione sulle parti in conflitto e sulle questioni problematiche. Mirate alla qualità del dialogo e al coinvolgimento, non solo ad “alto livello” (le Unità 3-5 possono essere utili); trattate bene chiunque senza badare minimamente al livello; ciascun dialogo tra i molti è il dialogo. Il setting per il dialogo può essere da qualsiasi parte, anche uffici ad “alto livello”, ma la cosa migliore è che i tempi siano indeterminati/aperti. Evitate registrazioni/annotazioni, a meno che siano state concordate. Teoria del conflitto III Teoria del conflitto: il conflitto sia come Distruttore sia come Creatore, come potenzialmente pericoloso sia adesso sia in futuro a causa della violenza, e come occasione d’oro per creare qualcosa di nuovo. Pratica del conflitto IV Introducete nella pratica del conflitto empatia, nonviolenza e creatività, cercando di comprendere le parti coinvolte nel conflitto dall’interno e di sentirne la logica, identificando obiettivi validi e approcci nonviolenti per conseguirli, e facendo emergere in tutte le parti coinvolte una creatività collaborativa per trovare modi di trascendere le incompatibilità. Teoria della violenza V Teoria della violenza: violenza diretta, che colpisce in modo diretto; violenza strutturale, che colpisce in modo indiretto, e violenza culturale, che le giustifica. 7 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 8 Pratica della violenza VI Pratica della violenza: identificate le radici della violenza nelle culture, nelle strutture, negli attori e nei conflitti non trasformati; allarmi precoci. Trasformazione VII Non c’è alternativa alla trasformazione, che si verifica attraverso il mutamento degli atteggiamenti e dei comportamenti violenti, e mediante l’applicazione della creatività alle contraddizioni. Dialoghi di pace VIII Dialoghi di pace: esplorate insieme diagnosi, prognosi e terapia. Evitate la linearità, lasciate che il dialogo fluisca avanti e indietro. Sequenza: terapia per il passato (che cosa andò male in quella o quell’altra circostanza? che cosa si sarebbe potuto fare?) – prognosi – diagnosi – terapia per il futuro. Spargete semi, idee. Evidenziate i vecchi codici del sistema-stato/sistema-nazione; immagini positive per il Conflitto come Creatore e immagini negative per il Conflitto come Distruttore; enfatizzate la complementarietà dei ruoli per sviluppare codici nuovi; preparate le parti a incontrarsi prima o poi “al tavolo”. Trasformazione del conflitto IX La trasformazione del conflitto può allora aver luogo, in linea di principio, a tutti i livelli del conflitto: globale, sociale e inter/intrapersonale (macro, meso, micro). Trasformazione di pace X La trasformazione di pace presuppone anche un contesto pacifico come quello fornito dall’educazione alla pace e dal giornalismo di pace, nonché la continuazione del lavoro dopo la violenza e la disponibilità a riaprire gli accordi di pace. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Un diagramma di flusso La seconda parte del Manuale consiste di 50 unità, suddivise in dieci moduli di 5 unità, come nel seguente elenco. I II III IV V VI VII VIII IX X Moduli Gli/le operatori/trici nei conflitti Il dialogo Teoria del conflitto Pratica del conflitto Teoria della violenza Pratica della violenza La trasformazione I dialoghi di pace La trasformazione del conflitto La trasformazione di pace 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità 5 unità Unità 1-5 6-10 11-15 16-20 21-25 26-30 31-35 36-40 41-45 46-50 I In primo luogo, gli/le operatori/trici nei conflitti vengono presentati/e, coi relativi profili personali e sociali, e si esplorano le relazioni con le parti in conflitto. II Poi segue lo strumento operativo principale per gli/le operatori/trici nel conflitto, cioè il dialogo, come conversazione, brainstorming; un qualcosa di molto diverso da un dibattito. III Il conflitto viene presentato esplorando i concetti fondamentali della teoria dei conflitti, cioè gli atteggiamenti, i comportamenti e le contraddizioni. IV Tutto ciò viene posto in relazione con l’operatore/trice nei conflitti mediante i concetti della pratica del conflitto: l’empatia, la nonviolenza e la creatività. V Siccome la violenza è sempre possibile, vengono esaminati i concetti fondamentali della teoria della violenza: violenza diretta, strutturale e culturale. VI Questi concetti vengono ricollegati al lavoro dell’operatore/trice nei conflitti nel Modulo dedicato alla pratica della violenza, nel quale vengono introdotti i concetti di diagnosi, prognosi e allarme precoce. VII La tesi centrale è che per prevenire la violenza e sviluppare il potenziale creativo di un conflitto ci deve essere una trasformazione, il cui significato viene quindi esplorato. VIII Per raggiungerla, l’operatore/trice nei conflitti avvia un dialogo di pace ben articolato, che include una socio-analisi. 9 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) IX Lo scopo di tutto l’esercizio – la trasformazione del conflitto – viene esplorato a livello globale, sociale e inter/intra-personale. X Per ottenere la trasformazione di pace è necessario presentare il contesto del conflitto mediante misure come l’educazione e il giornalismo. Il Manuale si sviluppa lungo due direttrici. Una riguarda gli/le operatori/ trici nei conflitti-per la pace, lo strumento del dialogo e il compito della trasformazione; l’altra si concentra sul conflitto e la violenza, nella teoria e nella pratica. Le due direttrici hanno in comune i temi della trasformazione del conflitto e della trasformazione di pace. I Operatori/trici nei conflitti III Teoria del conflitto II Il dialogo IV Pratica del conflitto VII La trasformazione V Teoria della violenza VIII I dialoghi di pace VI Pratica della violenza ⇓ ⇓ IX La trasformazione del conflitto X La trasformazione di pace 10 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Punti per il/la formatore/trice, con un diagramma di flusso* 1 Un buon punto di partenza potrebbe essere il diagramma di flusso precedente, che fornisce la struttura del sommario. Fate due lucidi per lavagna luminosa (uno col sommario e l’altro col diagramma di flusso) e chiedete ai/alle partecipanti di tracciare frecce sul sommario. Il punto basilare è la distinzione fra “il problema”, cioè il conflitto e la violenza e “il che fare” – cioè il dialogo, il dialogo finalizzato alla pace, la trasformazione – che sfocia nella trasformazione del conflitto e nella trasformazione di pace. A questo si potrebbe aggiungere Un sommario dell’approccio, per passare alla 2 versione in una pagina, Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata, e relativi esempi tratti dalla vita reale. Come esempio di un esempio, è proposto un esercizio usato nel 1997 per testare questo Manuale: la crisi degli ostaggi a Lima, terminata dopo 126 giorni con l’attacco del 22 aprile 1997, che portò alla liberazione di tutti gli ostaggi tranne uno e all’uccisione di tutti i Tupac Amaru, con la perdita di due uomini dei commandos. Il punto importante, nello svolgimento dell’esercizio, è l’avere una visione alternativa di quanto sarebbe potuto accadere, dato che ben pochi sembrano essere stati davvero contenti di com’è andata. L’esempio serve a illustrare la distanza fra alcune pratiche correnti e i procedimenti e i risultati più desiderabili. È anche un buon tema per una discussione il chiedersi se si sarebbe davvero potuto seguire procedimenti diversi e identificare risultati alternativi. Il/la formatore/ trice potrebbe anche aggiungere un altro esempio o esaminare un altro caso per avviare una buona discussione. 3 Teoria e pratica dei conflitti: una prospettiva è il documento introduttivo basilare. Usate spesso i lucidi per la I, la II e la III Fase del diagramma e fate riferimento ai compiti di ciascuna fase. 4 Creatività, trascendimento e trasformazione del conflitto possono venir discussi in qualunque momento del corso di formazione, ma specialmente in connessione con le Unità 19, 20, 34 e 45. 5 La parte principale del Manuale dei/lle formatori/trici è la serie di commenti ed esercizi relativi al Manuale dei/lle partecipanti: le 50 Unità. In ciascuna, il Manuale dei/lle partecipanti è nella pagina a sinistra e il Manuale dei/lle formatori/trici in quella a destra. 6 Una buona notizia: c’è una versione abbreviata del Manuale – solo 15 unità: le Unità 1, 5, 6, 7, 11, 12, 15, 16, 22, 38, 46-50. Essa comprende: Gli/le operatori/trici nei conflitti e Il dialogo (2 unità per ciascun tema), Teoria del conflitto (3 unità) e Pratica del conflitto (1 unità), quindi Teoria della violenza (1 unità), I dialoghi di pace (1 unità) e infine La trasformazione di pace (tutte le 5 unità). Potete provare prima questa versione per poi aggiungere il resto. (* Naturalmente il/la formatore/trice e il/la partecipante possono essere la stessa persona, che si sta impegnando in un processo di autoformazione) 11 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 7 8 12 Stima del tempo necessario per il corso di formazione al Metodo TRANSCEND: • per la versione integrale: due sessioni al giorno per una settimana; svolgimento di un modulo per ciascuna sessione e distribuzione del materiale di presentazione; • per la versione abbreviata: quattro sessioni su due giorni; una per il materiale di presentazione, poi cinque unità per sessione; • per la mini-versione: due sessioni, Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: versione di due pagine con un esempio, e Punti per il/la formatore/trice, con un diagramma di flusso; • per la micro-versione: una sola sessione, Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: versione in una pagina, con un esempio. Si spera che i/le partecipanti leggano altro per proprio conto. Due racconti: di cammelli, numeri e molto altro: va bene in qualsiasi momento! La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Il Metodo Transcend in un’occhiata: versione in una pagina I Premessa Base II Premessa Base III Premessa Base IV Premessa Base V Premessa Base VI Premessa Base Seguendo il pensiero hinduista, ricordate: il Conflitto come Distruttore e il Conflitto come Creatore; il conflitto come fonte di violenza, ma anche come fonte di sviluppo. L’operatore/trice nei conflitti ha il terzo ruolo di Preservatore/trice, che trasforma il conflitto evitando la violenza e promuovendo lo sviluppo. Seguendo il pensiero buddhista, ricordate: l’origine è interdipendente, tutto cresce insieme in mutua relazione causale. I conflitti non hanno inizio né fine, tutti ne siamo corresponsabili; nessun singolo attore (come gli statisti) ha tutta la responsabilità (monopolio) e nessun singolo attore porta tutta la colpa. Seguendo il pensiero cristiano, ricordate: in ultima analisi la responsabilità della trasformazione dei conflitti sta negli individui, nelle loro personali responsabilità e decisioni di agire per la promozione della pace piuttosto che della violenza; richiamate inoltre il principio della speranza. Seguendo il pensiero taoista, ricordate: tutto è yin e yang, buono e cattivo; è altamente probabile che l’azione scelta abbia anche conseguenze negative e che l’azione non scelta potesse avere conseguenze positive; di qui sorge la necessità della reversibilità: fate solo quanto può essere disfatto. Seguendo il pensiero islamico, ricordate: la forza proviene dal sottoporsi tutti/e a uno scopo comune, compresa la responsabilità concreta per il benessere di tutti/e. Seguendo il pensiero giudaico, ricordate: la verità sta meno in una formula verbale che nel dialogo per giungere a tale formula, e questo dialogo non ha inizio né fine. Questi punti, tratti dalle religioni mondiali, hanno ispirato il procedimento seguente: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Fare una mapppa della formazione conflittuale, elencando tutte le parti coinvolte, tutti gli obiettivi e tutte le questioni in gioco; dare spazio alle parti dimenticate con poste importanti nel conflitto; tenere dialoghi intensamente empatici con tutte le parti singolarmente; ogni operatore/trice nei conflitti può specializzarsi su una parte in conflitto; nel corso dei dialoghi con ciascuna parte, identificare alcuni obiettivi accettabili; introdurre obiettivi dimenticati che possono aprire nuove prospettive; pervenire a fini sovraordinati accettabili da tutte le parti; pervenire a formulazioni concise ed evocative dell’obiettivo; aiutare a definire i compiti per tutte le parti con tale obiettivo in mente: disancorando il conflitto da dove si trovava, ancorandolo altrove, introducendo parti e/o obiettivi trascurati; verificare se la realizzazione di quell’obiettivo realizzerebbe gli obiettivi delle singole parti; aiutare le parti a incontrarsi “al tavolo” per un processo che si autosostenga; ritirarsi dal conflitto, passare al successivo, rimanendo a disposizione per eventuali richieste. 13 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Il Metodo Transcend in un’occhiata: un esempio La crisi degli ostaggi di Lima: una trasfomazione possibile del conflitto L’occupazione dell’Ambasciata giapponese a Lima, in Perù, si verificò il 17 dicembre 1996. Almeno sei parti vi erano coinvolte e i loro obiettivi principali sembravano essere i seguenti: 1 il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru (MRTA – 14 guerriglieri) • ottenere il rilascio di 450 detenuti appartenenti al MRTA (in seguito solo di 30), • continuare la lotta armata, “dalla giungla”; 2 i 72 ostaggi rimanenti (gli altri furono rilasciati) • essere rilasciati, illesi; 3 il governo peruviano (il Presidente Fujimori) • non cedere al terrorismo, e quindi non rilasciare nessun detenuto del MRTA, • ottenere il rilascio degli ostaggi, illesi; 4 i detenuti appartenenti al MRTA • essere rilasciati, • continuare la lotta; 5 il governo statunitense • evitare che il governo peruviano, o altri, cedano al terrorismo, • ottenere il rilascio degli ostaggi, illesi; 6 il governo giapponese • ottenere il rilascio degli ostaggi, illesi, • ottenere il rispetto dei diritti extra-territoriali giapponesi, • evitare la violenza. Ma vi erano anche gli attori dimenticati: • “la società peruviana” in cerca di modi per abolire la miseria, • “l’opinione pubblica mondiale”, in favore di tutto quanto sopra. Il fine sovraordinato poteva essere la riduzione/abolizione della miseria, e – se tutte le parti avessero ceduto appena un po’ – avrebbero potuto trovare ciascuna il proprio spazio: 14 1 il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru abbandona le armi ed entra nel processo politico in una società democratica, con accesso ai media e alle elezioni; 2 gli ostaggi vengono rilasciati, e si trovano dei modi in cui essi possono contribuire ad alleviare la miseria; La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 3 il governo peruviano migliora le condizioni carcerarie e abbrevia la durata delle condanne, offrendo ai detenuti corsi di formazione per diventare operatori sociali/di villaggio; inoltre accetta il MRTA come movimento nonviolento e comincia a fare dei passi per l’abolizione della miseria; 4 i detenuti del MRTA accettano di seguire in prigione il corso da operatori sociali/di villaggio e s’impegnano a gettare le armi; 5 il governo statunitense mette a disposizione fondi/competenze per progetti di abolizione della miseria; 6 il governo giapponese mette a disposizione fondi/competenze per progetti di abolizione della miseria e terrà i futuri ricevimenti per il compleanno dell’Imperatore in alberghi provvisti di più uscite. Per raggiungere tali obiettivi sarebbero inoltre utili quattro colloqui bilaterali: A B C negoziati diretti fra il MRTA e il governo peruviano; D dialoghi tra il MRTA e gli ostaggi sulla società peruviana. negoziati diretti fra i detenuti del MRTA e il governo peruviano; incontri tra gli ostaggi e i detenuti e formazione di un gruppo di pressione congiunto; Inoltre, occorrerebbero mediatori che godano la fiducia di tutte le parti (Fidel Castro, il Papa); e pressioni da parte della “società peruviana” e della “opinione pubblica mondiale”. 15 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) TEORIA E PRATICA DEL CONFLITTO: UNA PROSPETTIVA Un conflitto ha un proprio ciclo vitale, quasi come un organismo. Compare, raggiunge un apice emotivo o addirittura violento, poi si riduce, scompare – e spesso riappare. C’è una logica: gli individui e i gruppi (come peraltro gli stati e le nazioni) hanno degli obiettivi: Nonviolenza (violenza fisica e verbale) Comportamento (da Behavior) B • gli obiettivi possono essere incompatibili e tali da escludersi reciprocamente, come due stati che vogliano lo stesso territorio, o due nazioni che vogliano lo stesso stato; • quando gli obiettivi sono incompatibili, nasce una contraddizione, una questione; • qualunque attore/parte in causa con obiettivi non realizzati si sente frustrato, tanto più quanto più è basilare l’obiettivo, come quando si tratta di bisogni e interessi fondamentali; A Atteggiamento (odio, sfiducia, apatia) Empatia C Contraddizione (blocco, paralisi) Creatività • la frustrazione può condurre all’aggressione, interiorizzandosi in atteggiamenti d’odio o esteriorizzandosi in comportamenti di violenza verbale o fisica; • odio e violenza possono essere volti contro chi abbia obiettivi contrapposti, ma le cose non sono sempre così “razionali”; • la violenza è intenzionalmente volta a procurare danno e dolore (anche a se stessi) e può alimentare una spirale di contro-violenza come difesa e/o vendetta; • tale spirale di odio e violenza diventa un meta-conflitto (come una metastasi nel caso di un tumore), incentrato sugli obiettivi della difesa e della distruzione. In tal modo un conflitto può quasi acquisire una vita perenne, crescendo e decrescendo, scomparendo e riapparendo. Il conflitto originario, di base, recede sullo sfondo, come quando, durante la guerra fredda, l’attenzione si focalizzava principalmente sui mezzi di distruzione, come i missili nucleari. I conflitti possono combinarsi, in serie o in parallelo, in formazioni conflittuali complesse con più parti e più obiettivi, in quanto possono concernere le stesse parti e/o gli stessi obiettivi. La formazione conflittuale elementare con due parti che perseguono un obiettivo è rara, salvo che a scopi pedagogici o come prodotto polarizzato di odio e violenza, che portano a formazioni conflittuali semplificate. Il conflitto normale ha molti attori, molti obiettivi e molte questioni in gioco, è complesso e non è facile farne la mappa; eppure la sua mappatura è essenziale. 16 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Il ciclo di vita di un conflitto CONFLITTO Il ciclo di vita di un conflitto può essere diviso in tre fasi: rispettivamente prima, durante e dopo la violenza, separate da scontri armati e tregue. Il che non implica che la violenza sia inevitabile o che il conflitto equivalga a violenza/distruzione. A = ATTEGGIAMENTO (odio) + B (da Behavior) COMPORTAMENTO (violenza) C + CONTRADDIZIONE (questione in gioco) Il diagramma seguente, nonostante l’aspetto, è piuttosto semplice. Sull’asse orizzontale c’è il tempo, nel senso greco di khronos (χρόνος), il tempo fisico, che scorre. Ma ci sono poi due punti kairos (καιρός), il tempo che si ferma, che segna un punto di rottura nel proprio fluire: l’esplosione della violenza e la cessazione della violenza, il cessate il fuoco – eventi senza dubbio rilevanti. PACE FASE I PRIMA DELLA VIOLENZA INIZIATIVE DI PACE SOSTENIBILI ESPLOSIONE DELLA VIOLENZA FASE II DURANTE LA VIOLENZA FASE II DOPO LA VIOLENZA PEACE-KEEPING RISOLUZIONE ● Carta dell’ONU - Cap. VI RICOSTRUZIONE ● Competenze militari RICONCILIAZIONE ● Competenze di polizia ● Competenze nonviolente ● 50% di donne * * CESSAZIONE DELLA VIOLENZA PERSONE/SOCIETÀ/MONDO LACERATI DALLA GUERRA CULTURE VIOLENTE + STRUTTURE VIOLENTE + ATTORI VIOLENTI = CONFLITTI FONDAMENTALI (profondamente radicati CULTURE PEGGIORI + STRUTTURE PEGGIORI + ATTORI PEGGIORI = CONFLITTI PEGGIORI protratti TRASFORMAZIOE ATTORI DI PACE + STRUTTURE DI PACE + CULTURE DI PACE TRASFORMAZIOE ATTORI DI PACE + STRUTTURE DI PACE + CULTURE DI PACE PACE TEMPO VIOLENZA VIOLENZA Ma il conflitto c’era già prima dell’esplosione della violenza. Si possono individuare quattro punti focali per l’analisi del conflitto: culture violente che legittimano la violenza, come il machismo; strutture violente che sfruttano le persone, le reprimono e le portano all’alienazione; attori violenti, bulli senza riguardo per i danni e il dolore che arrecano; e il modo con cui essi si combinano in conflitti fondamentali che, per di più, rimangono trascurati. Il diagramma indica poi che cosa fare nelle tre fasi. Questo Manuale si concentra sulla I Fase, con qualche accenno alla II e alla III Fase. 17 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) I. Prima della violenza Descriverla come fase di “prevenzione” per evitare la violenza è molto cinico. Un conflitto fondamentale è una ragione di per sé sufficiente per essere preso seriamente in considerazione. Le persone stanno già soffrendo. Inoltre un conflitto è un invito alle parti in causa, alla società e al mondo intero ad andare avanti, affrontando di petto la sfida costituita dalle questioni sul tappeto, con un atteggiamento di empatia (verso tutte le parti), nonviolenza (anche per impedire lo sviluppo di meta-conflitti) e creatività (per trovare vie d’uscita). Il compito è trasformare il conflitto, verso l’alto, positivamente, trovando obiettivi stimolanti per ogni parte coinvolta, modi fantasiosi per combinarli, il tutto senza violenza. È l’incapacità di trasformare i conflitti che porta alla violenza. Ogni atto di violenza può essere considerato come un monumento a tale incapacità degli esseri umani. Il diagramma suggerisce quattro punti nodali su cui intervenire: nella I Fase la violenza può essere radicata in culture violente che la giustificano; in strutture violente (di repressione, sfruttamento e alienazione, che costringono a stare insieme persone che preferiscono stare separate o separano persone che vorrebbero convivere); in attori violenti attratti dalla violenza (per mostrare grinta, per acquisire potere) e dall’odio (per costruire la loro identità contro altri gruppi); e nel modo con cui tali elementi si combinano. Con l’aumento dell’odio e della propensione alla violenza, l’empatia, gli approcci nonviolenti e la creatività sono ancor più necessari, ma questi talenti hanno meno chances in una formazione conflittuale già profondamente polarizzata. Comunque, non ci si dimentichi mai del conflitto stesso, di quegli obiettivi che si contrappongono reciprocamente. Sono proprio i conflitti che portano con sé le culture violente, le strutture violente e gli attori violenti; ogni disattenzione lascia dietro di sé più danni e più sofferenza. Un esempio concreto: i lavoratori immigrati turchi in Germania (spesso già cittadini tedeschi). Un programma minimo su quattro punti nodali. 18 Il nodo delle culture Stiamo parlando in generale di culture di nazionalismo duro che esigono “la Germania ai tedeschi, la Turchia ai turchi”, e di culture di violenza: i conflitti non sono da risolvere in modo soddisfacente per tutte le parti coinvolte, bensì da vincere. Contrastare tali culture è necessario, ma richiederà molto tempo. Le culture violente dovranno essere sostituite con culture di pace che ancora mancano. Il nodo delle strutture C’è di solito una combinazione di sfruttamento ed eccessiva prossimità. Dovranno essere introdotte strutture di pace mancanti, come un Consiglio per le Relazioni Intergruppo, dove le diverse nazionalità possano incontrarsi e risolvere le questioni prima che diventino ancor meno trattabili a causa delle spirali di violenza. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Il nodo degli attori Talvolta li si può riconoscere in quanto essi stessi annunciano la loro immediata disponibilità a far ricorso alla violenza. Bisogna prenderli sul serio, coinvolgendoli in dialoghi su ogni aspetto della situazione. Il trascurarli li renderebbe più intrattabili. Se si arriva alla violenza, un processo giudiziario che li tenga in prigione non basta. Il dialogo deve continuare, se non con le vittime o i loro familiari, con altri della stessa nazionalità. Il nodo dei conflitti Le questioni possono comprendere scarsità di scuole, abitazioni e posti di lavoro, e minacce all’identità. Ovviamente, c’è un limite alla capacità di accoglienza di stranieri da parte di un paese. Il fissare un tetto massimo non è necessariamente una concessione al nazionalismo più intransigente, così come l’aumentare la capacità d’accoglienza non equivale a fare concessioni in seguito a pressioni esterne. Un’identità basata su un nazionalismo duro è più problematica. Nel nostro mondo sempre più piccolo c’è posto solo per nazionalismi morbidi, pieni di rispetto e curiosità verso l’altro e di capacità di stabilire un dialogo. Il compito generale è chiaro: spingere verso l’alto il processo conflittuale, nell’“area di pace”, rendendo più pacifici culture, strutture e attori, in modo da poter trattare i conflitti senza violenza. L’intera sindrome conflittuale viene trasformata e ricollocata nella metà superiore del diagramma, dove dovrebbe appunto stare. Concretamente, il focalizzare l’attenzione su culture pacifiche può introdurre la tradizione dei diritti umani, così come il focalizzare l’attenzione su strutture di pace si richiama alla tradizione democratica. Entrambe costituiscono utili esempi di approcci più ampi, benché non siano esenti da problemi, in particolare a causa di differenze culturali. Tali tradizioni si adattano meglio alle “culture dell’Io” occidentali, con grande enfasi sull’individualismo, sui diritti e le opinioni individuali, nonché su procedure elettorali mediante le quali si contano i voti e si attribuisce il governo alla maggioranza. Si adattano meno a “culture del Noi” con grande enfasi sui gruppi (clan, tribù, nazioni), sui diritti collettivi e sui dialoghi per ottenere un vasto consenso. Il focalizzare l’attenzione su attori pacifici può comportare un maggiore spazio per le donne e per attori appartenenti alle tradizioni religiose/intellettuali o mercantili, anziché per quelli della tradizione aristocratico/guerriera. Questo può servire a mobilitare abbastanza empatia, nonviolenza e creatività per trasformare il conflitto, sia mediante dialoghi separati con ogni parte coinvolta, sia mediante dialoghi diretti “attorno al tavolo”. La violenza strutturale può essere altrettanto o maggiormente dannosa di quella diretta. Si muore o si conducono vite miserabili in quanto politicamente repressi, economicamente sfruttati, o privati della libertà di stare vicino a coloro con i quali ci si identifica, o costretti gomito a gomito con gente sgradita. Il riferirsi a queste situazioni come “allarmi precoci”di una futura violenza diretta è, come già detto, cinico e irrispettoso della sofferenza già in essere. La violenza diretta dovrebbe essere considerata come segnale troppo tardivo di condizioni strutturali e culturali insostenibili, sfruttate da attori cinici. 19 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Ma i paesi più ricchi si sono originariamente sviluppati producendo per conto proprio quanto importavano. Le importazioni per ridurre i deficit sono simili a trapianti che possono non attecchire ed essere rigettati dopo un po’. E qualunque importazione significa più risorse per alcuni e meno per altri. Sorgeranno necessariamente conflitti; e l’attrito e l’eventuale violenza possono ben cancellare ogni guadagno materiale a causa della mancanza di attenzione alla cultura e alla struttura. Il conosciutissimo Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’UNDP (United Nations Development Program) misura una gran varietà di fattori – fra i quali: economia, consumi, sanità, istruzione, genere, ambiente, accesso all’informazione e alla comunicazione, spese militari e sicurezza alimentare – pervenendo a un confronto generale dello sviluppo umano su scala globale. Questo pregevole rapporto, tuttavia, non prende in considerazione alcuna misura della pace sociale. Non si chiede se le persone nei paesi esaminati vivono col timore di violenza diretta: da parte di rappresentanti dello stato (per esempio da parte di una polizia violenta o di un sistema giudiziario che autorizzi la pena di morte); da parte di vicini (per esempio, a causa di conflitti etnici o di un elevato livello di criminalità); o da parte di membri della propria famiglia (per esempio, perché viene tollerata la violenza contro le donne). L’edizione 1998 ha un indice dei ricorsi degli stati a strumenti del diritto umanitario, ma nessun indicatore del loro rispetto dei diritti umani. Per misurare la “libertà dalla paura” può essere utile considerare i tassi di incarcerazione, di criminalità violenta e di aggressione militare intra e internazionale. Una definizione più basilare di sviluppo può essere: lo sviluppo è la costruzione di capacità di trasformazione del conflitto Fate diminuire la violenza culturale mediante un lavoro nelle scuole, deglorificando e demistificando la violenza e insegnando come trattare i conflitti con empatia, nonviolenza e creatività. Fate diminuire la violenza strutturale mediante la Convenzione sui diritti umani del 1966 contro la repressione (diritti politici e civili) e lo sfruttamento (diritti economici, sociali e culturali). Questo non è un sostituto dello sviluppo economico summenzionato, tuttavia, dopo una qualche ricostruzione culturale e strutturale, una società può essere pronta a uno sviluppo economico più significativo. Progetti tesi a migliorare il livello di vita di milioni di persone potrebbero avere radici più salde. Quindi la I Fase dovrebbe comprendere le “3 R”: Risoluzione, Ricostruzione e Riconciliazione, senza aspettare che scoppi la violenza o che finisca. 20 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) II. Durante la violenza Durante la violenza, lo scopo primario è ovviamente fermarla, poiché è un male in sé e rende il conflitto originario più intrattabile. Cominciamo con alcune riflessioni sul perché gli esseri umani attuino il passaggio dalla I Fase alla II Fase. La prima risposta deriva dal conflitto originario, basilare: la violenza è usata per mettere nell’impossibilità d’agire la/e parte/i avversa/e e così imporre i propri fini; il che è chiamato talvolta “soluzione militare”, un ossimoro se il termine “soluzione” significa “accettabile”. La seconda risposta proviene anch’essa dal conflitto originario, ma è meno razionale: aggressione provocata da frustrazione, perché si è bloccati da qualcuno; violenza dovuta all’odio. La terza risposta risulta dalla logica del meta-conflitto: il conflitto come opportunità di ottenere onore e gloria se si vince, di mostrare coraggio e ottenere onore e dignità mediante la violenza se non si vince. Anche la quarta risposta proviene dal meta-conflitto: violenza come vendetta per la violenza subita, nel presente o in passato. Queste sono quattro motivazioni importanti, da prendere molto sul serio. In nessun punto, tuttavia, si asserisce che la violenza sia insita nella natura umana, come gli impulsi relativi al cibo e al sesso, i quali si riscontrano ovunque ci siano esseri umani, in ogni luogo e in ogni tempo. Tali istinti possono essere soppressi, ma questo non è che una prova della loro universalità. La violenza sussiste sempre come potenziale, ma questo potenziale viene attivato solo quando: • rimane trascurato un conflitto basilare (causa negativa!), perché non ci sono empatia, nonviolenza e/o creatività per arrivare a un risultato, o per frustrazione; oppure • la cultura giustifica la transizione dal conflitto al meta-conflitto come occasione di vittoria, di ottenere onore mediante la violenza; o giustifica la violenza come compensazione per qualche altra violenza. La conclusione è chiara: i conflitti fondamentali, come le ferite serie, non dovrebbero essere trascurati, né si dovrebbe giustificare la violenza. Comunque, la violenza non dura né si diffonde per sempre; se così fosse, non ci sarebbero esseri umani in circolazione. La violenza diminuisce, per esempio, perché i belligeranti rimangono privi di • mezzi di distruzione (hardware/armi, software/persone); • bersagli da distruggere (materiali/persone); • volontà di distruggere (meno “spirito combattivo”, più disgusto); • speranza di vincere; le varie parti prevedono lo stesso risultato. Lo stare ad aspettare che ciò accada – che siano stufi, pronti a trovarsi attorno a un tavolo – significa sacrificare esseri umani, ai nostri tempi donne e bambini. Piuttosto, ecco quattro modi di por fine alla violenza: imporre embarghi su armi e mercenari; evacuare la popolazione e spostare i bersagli (tattica della terra bruciata); demoralizzare le truppe rendendo evidenti le conseguenze visibili e invisibili della violenza, per indurle a qualche forma di obiezione di coscienza; sottolineare che alla lunga tutte le parti ci perdono per la spirale autoalimentantesi della violenza. 21 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) C’è però anche la quinta possibilità, l’intercessione fra le parti. Se l’interesse verte sulla pace con mezzi pacifici, si apre la strada per le operazioni trattate al Capitolo VI, ma non VII, della Carta delle Nazioni Unite. Quello che il diagramma suggerisce è che le operazioni di peacekeeping potrebbero essere migliorate se ci appellasse agli esperti non solo degli strumenti della violenza e della mentalità militare, bensì anche delle tecniche di polizia, delle tecniche nonviolente e delle tecniche di mediazione. Dato che le donne tendono a porsi in relazione più con le persone che con i materiali, esse potrebbero forse costituire il 50% delle unità. Inoltre, il numero degli operatori di peace-keeping dovrebbe essere aumentato. In breve, dovrebbe essere creato un tappeto blu di peacekeeper, non solo di Caschi Blu, talmente folto da lasciare poco spazio per combattere. Questo tipo di peace-keeping non si limiterebbe ad aspettare che la violenza sia “finita”, bensì si occuperebbe anche delle “3 R”: Ricostruzione, Riconciliazione e Risoluzione. Il riformulare la definizione di peace-keeping, in modo da includervi dell’altro oltre ai Caschi Blu, significa riconoscere il contributo alla pace apportato da innumerevoli attori in ONG locali, nazionali e internazionali, in svariate organizzazioni della società civile, nonché da giornalisti e politici. Il costo finanziario di un maggiore coinvolgimento civile nel peace-making e nel peace-keeping è sensibilmente minore del costo di interventi internazionali militari e di polizia (è stato stimato che nell’Operazione Somalia le spese per la sicurezza militare siano state 10 volte superiori ai contributi per fini civili-umanitari). III. Dopo la violenza Dopo la violenza, il sollievo per la sua fine può rendere ciechi alle sue conseguenze invisibili e di lungo termine (come i traumi e il desiderio di maggior gloria o vendetta), nonché a quanto le culture, le strutture e gli attori possano esser diventati anche più violenti. Il compito è più difficile e più complesso di quanto lo fosse prima della violenza. Il mero compito della ricostruzione dopo la violenza, con la riabilitazione dei feriti e l’avvio delle opere per rimediare ai danni materiali, può essere talmente difficile da far dimenticare o posporre per sempre la riconciliazione per risolvere il meta-conflitto e la risoluzione per dissolvere i conflitti originari sottostanti. I compiti in cui impegnarsi sono enormi: Ricostruzione dopo la violenza: una panoramica • riabilitazione: approccio del trauma e del dolore collettivo; • ricostruzione: approccio dello sviluppo; • ristrutturazione: approccio della struttura di pace; • riacculturazione: approccio della cultura di pace. 22 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Riconciliazione dopo la violenza: una panoramica • Approccio della natura/struttura/cultura discolpatoria; • approccio della riparazione/restituzione; • approccio del chiedere scusa/del perdono; • approccio teologico/penitenziale; • approccio giuridico/punitivo; • approccio dell’origine interdipendente/del karma; • approccio storico/della commissione per la verità; • approccio teatrale/del rivivere gli eventi; • approccio della sofferenza/guarigione congiunte; • approccio della ricostruzione congiunta; • approccio della risoluzione congiunta del conflitto; • approccio ho’o pono pono. Il mondo è mal attrezzato per quasi tutti questi compiti. C’è un “risultato gestionale” per la violenza, ma non per annullarla. E c’è una semplice ragione per cui tutto questo è così importante: l’espressione “dopo la violenza” è troppo ottimistica. Se non si fa alcunché riguardo alle radici di un conflitto basilare, se non si opera per la sua trasformazione, la violenza si riprodurrà non appena gli orrori delle ultime violenze non saranno più nella memoria conscia, ma “solo” in quella subconscia. E così il “dopo la violenza” diventa facilmente il “prima della violenza”. 23 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Risultati del conflitto e procedimenti nei conflitti Esercizio: un tavolo, sul tavolo un’arancia, due bambini seduti al tavolo: che cosa succede? Tirate fuori quante più idee potete, avanti! E non siate arroganti: la maggior parte delle persone arriva al massimo a 8 risultati su 16. [1,2] A2 prevale [5] Trascendimento A2 O2 [4] Compromesso O1 [3] Ritiro A1 [1,2] A1 prevale Figura 1: Conflitto – i 5 risultati base (A = attore, O = obiettivo) Il diagramma (v. Unità 14) presenta i 5 tipi generali di risultato in un conflitto tra due parti. Qui [1] e [2] coincidono: in entrambi i casi prevale una parte. In un conflitto concreto ogni tipo generale ha varie interpretazioni specifiche. [1,2] Prevale una parte: regola dell’Uomo: regola della Legge: regola del Caso: compensazione: [3] si combatte, la ragione è del più potente (da evitare); aggiudicazione, secondo qualche principio (necessità, gusto); qualche metodo casuale; ampliamento (triangolo), approfondimento (doppio conflitto). Ritiro: svignarsela dalla situazione; distruggere o dare via l’arancia; limitarsi a guardare l’arancia; metterla in frigo. [4] Compromesso: tagliare l’arancia; spremerla; sbucciarla e spartirsi gli spicchi; qualsiasi altra spartizione. [5] Trascendimento: procurarsi un’altra arancia; invitare altre persone per condividere l’arancia; cucinare una torta all’arancia, metterla in palio in una lotteria e dividerne il ricavato; piantarne i semi, fare una piantagione, assumere il controllo del mercato. 24 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Tesi Basilare: più sono le alternative, meno probabile è la violenza Il Metodo TRANSCEND ha un debole per il trascendimento, il tentare di andare oltre, “disarticolando” il conflitto dal suo stato attuale e “riarticolandolo” altrimenti: andare al di là della situazione della singola arancia, procurarne un’altra (“professore, ha dimenticato un’arancia!”). Oppure concentrarsi sulla parte più importante dell’arancia, i semi, e piantarli. Tanto basti per i risultati fondamentali di un conflitto. Ma cosa si può dire dei procedimenti o degli approcci fondamentali usati nei conflitti? Come si vedrà, risultati e procedimenti sono collegati. Tesi n. 1 La violenza tende a condurre ai risultati [1, 2], ove prevale una parte. La violenza viene usata per imporre gli obiettivi del vincitore allo sconfitto, ossia: per prevalere = essere in cima, la violenza è un procedimento. Tesi n. 2 Anche un’aggiudicazione tende ai risultati [1,2], ove prevale una parte. L’aggiudicazione viene usata per stabilire chi ha ragione (è innocente, non responsabile), ossia: per prevalere = avere ragione, l’attribuzione giudiziale è un procedimento. Tesi n. 3 La prevaricazione tende a condurre al risultato [3], il ritiro: i tempi non sono maturi, si preferisce lo status quo, ossia: per il ritiro, la prevaricazione è un procedimento. Tesi n. 4 Il negoziato fra le parti tende a condurre al risultato [4], il compromesso, ammesso che nessuna della parti si imponga, ossia: per giungere a un compromesso, il negoziato è un procedimento. Tesi n. 5 Il dialogo con le parti tende a condurre al risultato [5], il trascendimento, che definisce una nuova situazione, ossia: per trascendere un conflitto, il dialogo è un procedimento. Il risultato è già nascosto nel procedimento, e il procedimento scelto dipende dal risultato voluto in un conflitto. [1,2] A2 prevale: violenza, aggiudicazione [5] Trascendimento: dialogo A2 O2 [4] Compromesso: negoziato [3] Ritiro: prevaricazione O1 A1 [1,2] A1 prevale: violenza, aggiudicazione Figura 2: Relazione fra risultato di un conflitto e procedimento in un conflitto (A = attore, O = obiettivo) 25 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Torniamo alla distinzione fra il conflitto di base originario e il meta-conflitto. Il conflitto di base riguarda l’ottenimento di qualche risultato, soluzione, via d’uscita, trasformazione che dir si voglia. Il meta-conflitto riguarda essenzialmente una sola cosa: averla vinta. C’è un solo risultato: prevale una parte. Il meta-conflitto si può combattere con mezzi fisici, violenza, guerra, e solitamente comporta la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro (in rari casi si ha parità, che si può verificare quando una guerra viene trascinata per le lunghe). O si può combattere con mezzi verbali, come in tribunale, che ne ha press’a poco la struttura. L’aggiudicazione è un modo per decidere chi ha ragione e chi non è altro che colpevole o responsabile; non è un buon processo quello che ottiene gli altri tre tipi di risultato. C’è di solito una decisione marcatamente asimmetrica che definisce il vincitore. Il meta-conflitto è spesso usato per dirimere il conflitto di base. Il vincitore si prende tutto, ivi compreso l’oggetto della disputa nel conflitto di base. Un tale risultato può essere accettabile e pure sostenibile. Ma può anche non esserlo; il meta-conflitto può essere visto solo come una esternazione di potere fisico o legale. E qualunque decisione in favore di una sola parte già suona semplicistica e causa di divisione, pur non negando che esistono conflitti dove una parte semplicemente ha ragione. Né si vuole in alcun modo negare che i tribunali siano meglio delle guerre. Il ritiro può funzionare a breve termine, ma prima o poi si dovrà pur affrontare il conflitto. L’approccio tradizionale è il negoziato fra le parti, ove il problema è che le parti possono trattare il tavolo dei negoziati come un campo di battaglia verbale e tutt’al più arrivare a un compromesso fiacco che non soddisfa nessuno e non dà opportunità di fare passi avanti. Da qui la preferenza per la quinta soluzione, il trascendimento, l’andar oltre. Il metodo migliore è il dialogo, l’uno con l’altro, ma – per cominciare – forse è meglio che ci sia un/a operatore/ trice nei conflitti. E proprio di questo ci occuperemo ora. 26 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Commenti su Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva Il diagramma, o la tabella, con l’indicazione delle tre fasi è ovviamente essenziale per tutto l’esercizio. Occorre ribadire che: • la radice del problema è sempre un conflitto trascurato nel quale confluiscono culture, strutture e attori violenti; • un grave errore è usare la violenza come segnale per dar inizio all’azione, a causa del conflitto originario. Anche peggio è lasciare che la violenza segua il suo corso finché le parti non siano “mature” per trattare; • quel che c’è da fare nelle tre fasi non è sostanzialmente diverso; non è come se una squadra lasciasse la scena e un’altra incominciasse. Le 3 R – la Risoluzione, la Ricostruzione e la Riconciliazione – sono sempre necessarie, in un modo o nell’altro: • la Risoluzione, per risolvere il conflitto basilare originario; • la Ricostruzione, per riparare il danno fatto; • la Riconciliazione, per risolvere i meta-conflitti, anche del passato. Esercizio Osservate le 12 possibilità di riconciliazione nella III Fase. Fate un brainstorming su elenchi simili per la I e la II Fase, dato che le “3 R” dovrebbero essere presenti, in un modo o nell’altro, in tutte le tre Fasi. Progettate un programma d’azione concreto. Lo stesso vale per il peace-keeping: una buona presenza militare dovrebbe essere disponibile prima dello scoppio della violenza e non ritirata appena dopo il cessate il fuoco, come una buona attività di polizia che previene sia la violenza, sia la sua ripresa. Questo è anche più importante dopo la violenza, quando la situazione si è solitamente deteriorata, dato che la violenza produce: • altri sogni di gloria e vendetta e quindi culture peggiori; • ulteriore repressione e sfruttamento per sostenere lo sforzo bellico e ulteriore polarizzazione, e quindi strutture peggiori; • inoltre abbassa la soglia contro la violenza e rende violenti attori altrimenti pacifici, e quindi produce attori peggiori. L’esempio dell’arancia può essere usato come esercizio d’apertura di una sessione di training, prima della distribuzione del Manuale dei/lle partecipanti (dove ci sono le risposte). Una sperimentazione venne fatta in Inghilterra nell’ambito di una conferenza nazionale sul bullismo nelle scuole, con ragazzi, genitori e insegnanti come partecipanti. Venti dei presenti vi parteciparono come volontari/e: stavano seduti a un lungo tavolo, uno di fronte all’altro, in coppie, con i ragazzi più giovani a un’estremità e i genitori e gli/le insegnanti all’altra, e discutevano a coppie. 27 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Si è aperto il gioco dicendo:“Ecco un’arancia e due persone; che cosa farete?”, evitando il termine “conflitto”, dato che non si poteva dare per scontato che ci sarebbe stato un conflitto, e che potevano rifiutare di prenderlo in considerazione (ad esempio, un ragazzino disse: “Ce ne andiamo via e lasciamo lì l’arancia”). Non è risultato necessario dare ai più giovani la prima chance, passando poi via via alle altre coppie lungo il tavolo: quanto a immaginazione sull’arancia i ragazzini se la cavavano come gli adulti, se non meglio. Quando fu suggerito di “giocarsela con la forza”, i proponenti dovettero sedersi nell’angolo e venne data loro un’arancia “per tirar fuori idee più creative, meno distruttive”. Le altre arance vennero usate come premi per le proposte più originali. Alla fine venne mostrata la tabella con i 16 risultati e la si confrontò con quanto era emerso, addestrando poi i/le partecipanti a raggruppare i risultati per tipo. Ci si concentrò sull’immaginazione nel conflitto: quanto più numerosi erano i risultati immaginati andando aldilà del “giocarsela con la forza”, tanto meno probabile sarebbe stata la violenza. La violenza viene allora vista come l’effetto di una causa negativa: analfabetismo sul conflitto, mancanza di creatività. Emerge così che in tutto questo approccio l’attenzione è incentrata sullo sviluppo della creatività. E inoltre si evidenzia, sempre tramite l’esempio dell’arancia, anche un altro punto: le idee che possono essere escogitate da una singola persona sono limitate, più persone ne tirano fuori di più; e se iniziano a dialogare davvero, con un brainstorm libero e aperto, ne verranno fuori ancora molte di più. Il diagramma della Figura 1 con i quattro o cinque tipi di risultato ([1] e [2] sono diversi solo quando c’importa chi prevale) è basilare in quanto può essere usato in ogni conflitto per identificare i tipi di risultato. Ma deve essere usato con attenzione: essendo bidimensionale, il diagramma funziona solo per i conflitti con due parti soltanto (A1 e A2, con gli obiettivi incompatibili O1 e O2). I conflitti effettivi sono più complessi, ma “prevalere”, “ritiro”, “compromesso” e “trascendimento” sono pur sempre significativi. Nell’esempio dell’arancia il compito è scoprire che cosa significhino tali termini in pratica: un ragazzo riesce a ottenere l’arancia, se ne vanno entrambi, se la spartiscono, ne spargono i semi. Il diagramma successivo della Figura 2 si basa ancora sugli stessi quattro o cinque risultati, ma questa volta riferiti al procedimento anziché al risultato. Prestate attenzione al termine “tende a”: c’è una relazione, ma non si tratta di una legge ferrea. 28 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Qualche partecipante può restare sorpreso per il fatto che l’aggiudicazione, il “governo della legge”, sia messa nella stessa categoria del “governo dell’uomo”, la violenza. Ma la logica è simile: si tratta dell’idea del vincitore/sconfitto o, più alla base ancora, dell’idea di “essere nel giusto”, dove “giusto” diventa quasi un qualcosa di materiale, come “aver diritto”, e può essere d’ostacolo nella ricerca di risultati più produttivi, ad esempio in un conflitto coniugale. L’approccio di questi Manuali mira al trascendimento e all’uso del dialogo per tale fine. Ma questo non implica un totale rifiuto di altri risultati e di altri approcci, incluso, in casi estremi, un uso minimo della violenza, dopo aver sperimentato altri metodi e quando la situazione sia veramente intollerabile. Trascendimento significa ridefinire la situazione in modo che quanto sembrava incompatibile, bloccato, venga sbloccato e si apra un nuovo paesaggio (v. in proposito il racconto dei cammelli alla fine). La creatività è la chiave per quella serratura, per quel blocco. Il conflitto si è trasformato e a questo ci rivolgiamo ora. 29 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Creatività, trascendimento, trasformazione del conflitto 1. C’è una formula per la creatività? Forse no. Ma ci può essere un’euristica, per così dire “la formula di una formula”, che tuttavia può essere utile per fare un po’ di luce su un fenomeno così prezioso. Ma prima prendiamo nota di alcuni commenti spesso uditi durante esercitazioni sulla creatività: “È così semplice! Come mai non ci abbiamo pensato prima!”. “Questo rende quello che avevamo l’abitudine di dire e fare così piccino, come se non fossimo capaci di staccare lo sguardo da terra e vedere la realtà”. “È come una nuova realtà che si apre davanti ai nostri occhi!”. “Alla luce di questo nuovo modo di pensare, di questa nuova idea, quello che eravamo, che facevamo è solo un caso particolare in un angolino, per così dire, del vasto spazio che si apre davanti a noi”. “Dio disse: – Ci sia Newton – e tutto fu Luce” (Pope). “È così minaccioso: siamo pronti per una novità di questa portata?”. Sembra che il vecchio e il convenzionale debbano ancor sempre esserci come caso particolare ben identificabile (“questo è ciò che eravamo”), ma ora viene visto in una nuova luce che illumina nuovi panorami; altrimenti è “pazzesco”, anziché “creativo”. Quando Colombo stabilizzò un uovo su un’estremità schiacciandola, c’era ancor sempre l’uovo instabilizzabile; e al commento “chiunque avrebbe potuto farlo se è così semplice”, la sua risposta più citata fu: “Ma l’ho fatto io”. In questa storia il vecchio è nascosto nel nuovo. Si potrebbero via via rimpicciolire le crepe all’estremità dell’uovo, mantenendolo tuttavia in equilibrio fintanto che non si raggiunga un qualche limite. A quel punto diventa evidente che il vecchio non potrebbe risolvere il problema, così come la geometria euclidea non può affrontare i problemi di Einstein: egli infatti dovette esplorare le geometrie quadridimensionali di Riemann e Lobachevskij (con quella di Euclide come caso speciale). Qualche continuità fra i pensieri e gli atti vecchi e quelli nuovi è utile. E così via… Saltiamo quindi alla conclusione, offrendo una “formula per la creatività” suggerita come ipotesi: la creatività nel pensiero, nel discorso e nell’azione si basa su questi tre passaggi: A B identificare un fenomeno come bloccato, chiuso; identificare, nel contesto di tale fenomeno: • un parametro che sia costante, sul quale non si è ancora riflettuto, 30 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) • un mutamento di tale parametro, come esperimento mentale, • un’ipotesi: per sbloccare, per aprire il fenomeno; C testare questa ipotesi nel mondo reale. In altri termini, la creatività è connessa a un procedimento scientifico. Non sorprende, quindi, che il procedimento abbia a che fare con la creatività e la creatività con un mutamento di paradigma, qualcosa di facilmente accoglibile entro la formula appena fornita. Anche il lavoro all’interno di un dato paradigma viene identificato con la scienza, ma in tal caso più come un rompicapo (Kuhn) che come una “rivoluzione”. Tale termine viene usato anche per i negoziati, dove riflette il senso di sollievo di un ratto che si arrovella per trovare l’uscita da un labirinto e che infine la trova (la soluzione piccola), o che ne balza fuori, scoprendo che il labirinto non ha soffitto (la grande soluzione). L’esperienza assomiglia a ciò che uno scienziato sociale trova introducendo un “terza” variabile in un’analisi multi variata. Quel che appare come una totale assenza di relazione tra X e Y diventa diverso quando si introduce Z: quando Z è bassa X e Y sono correlate positivamente, mentre sono correlate negativamente quando Z è alta. La relazione nulla c’è pur sempre, nascosta in una realtà più complessa, come fosse una sorta di media. L’atto creativo consiste nell’identificare quella terza (quarta, quinta) variabile che non era stata introdotta prima nel quadro, come – per l’uovo – lo schiacciarlo prima di metterlo in equilibrio. A livello di comprensione profonda, i vantaggi sono impressionanti: dati noiosi cominciano a cantare; per una musica nuova. A proposito di musica, due esempi molto diversi arrivano dal Giappone. Il primo è il kara-oke (orchestra vuota): c’è un palcoscenico e una sala con della gente, il pubblico, gli “ascoltatori”. Sul palco ci sono un microfono e un amplificatore. Secondo la disposizione convenzionale, il cantante andrebbe sul palcoscenico e il pubblico in sala. Il kara-oke fa ruotare i presenti tra la sala e il palcoscenico, rendendoli tutti potenziali cantanti e tutti potenziali ascoltatori. Come i cantanti professionisti, i dilettanti scelgono il programma che vogliono cantare, ma, a differenza dei professionisti, non sono tenuti a sapere i testi a memoria, per cui c’è uno schermo suggeritore molto ben sincronizzato con la musica. La disposizione spaziale non è quindi stata invertita (i cantanti in sala e il pubblico sul palco); piuttosto, i cantanti e gli ascoltatori non sono più fissati nei rispettivi ruoli, per cui ruotano tra la sala e il palcoscenico. In un altro esempio più recente, ci sono ballerini provvisti di sensori su varie parti del corpo, specialmente su gambe e braccia. Non appena si muovono, producono musica, toni e ritmi. Se danzano in modi particolari, la musica diventa più attraente, proprio come una musica particolare può far entrare in pista ballerini attraenti. Con movimenti veloci e un adeguato lavoro di braccia, gambe, mani, piedi e ventre, può essere prodotta una musica complessa. Le possibilità sono legioni. 31 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) L’ordine temporale tra la musica e la danza è stato invertito: anziché essere la musica a dirigere la danza, qui è la danza che ora dirige la musica, e la musica si adegua. Il movimento si traduce in musica, cosa certo non nuova, ma qui si tratta del movimento di tutto il corpo: non solo dita, polmoni, labbra e lingua. L’elettronica avanzata è stata probabilmente la condizione necessaria, se non sufficiente, per questo specifico atto di creatività. Rimanendo al Giappone, la reazione di un orologiaio svizzero, quando gli dissero che i giapponesi ormai combinavano orologi e computer in un unico display, fu questa: “Eine Uhr ist eine Uhr und ein Rechenwerk ist ein Rechenwerk” (“un orologio è un orologio e un calcolatore è un calcolatore”), in base all’idea che “i due non si sarebbero mai combinati”. Questa separazione fisica di due diverse funzioni era proprio quello che i fabbricanti giapponesi sfidarono, e con grande successo. E così, l’atto creativo può anche non introdurre affatto elementi nuovi, ma mettere insieme elementi già esistenti in un modo nuovo, nello spazio e nel tempo. Vengono sfidate disposizioni spaziali e sequenze temporali date per scontate. È per questo che è molto facile essere creativi in culture con idee ben definite sul corretto ordine spaziale: c’è così tanto da sfidare! Una cultura che divide nettamente il mondo tra centro e periferia, che presume che la causalità scorra dal centro alla periferia piuttosto che viceversa (dal palco alla sala, ad esempio) e che concepisce il tempo in modo lineare, con un’idea precisa di quel che viene prima e di quel che viene dopo (come la musica e il movimento del corpo, ad esempio) stimola sfide creative. Ma se tali idee unilineari sono saldamente radicate come nella cultura occidentale, c’è anche da aspettarsi una notevole resistenza. Così, se causa = centro = Dio e effetto = periferia = Natura + Uomo, quest’ultimo creato a Sua immagine, allora idee come democrazia, “secolarismo” ed evoluzione risultano rivoluzionarie. La prima ha investito del potere il popolo/periferia, come un paese senza una capitale. Il secondo ha reso Dio periferico, suggerendo che Egli sia stato creato dall’Uomo a immagine dell’Uomo. E la terza comporta che l’Uomo sia un’emanazione della Natura, mediante la competizione darwinista, un po’ come la tesi di Adam Smith secondo la quale da questo processo è scaturito il migliore dei mondi possibili. 2. Dalla creatività al trascendimento Per “trascendimento” intendiamo la creazione di un nuovo tipo di realtà: qualcosa che in potenza era già presente diventa la realtà empirica. Un esempio tratto dalla teoria e pratica del conflitto potrebbe essere l’idea di un condominio: due o più paesi posseggono un territorio, conteso o meno, insieme. Tornano in mente la vecchia formula per Andorra, o per l’Antartide, certi aspetti delle soluzioni per le Spitsbergen e le Aaland, i 32 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) vecchi accordi per le Nuove Ebridi, il Camerun, ecc. Il conflitto fra due paesi per un territorio conteso può finire con la vittoria dell’uno sull’altro sul campo di battaglia o nell’aula di un tribunale, con un compromesso che spartisce il territorio, con entrambi che ritirano le loro rivendicazioni e lasciano il territorio ad altri (come i suoi abitanti), o con i due paesi che sono comproprietari del territorio. Chiaramente solo l’ultima soluzione trascende la realtà empirica, mentre le altre si conformano al principio che ogni kmq sia posseduto da uno stato e soltanto da uno. Un altro esempio: i paesi europei furono governati dal clero, dagli aristocratici e dai borghesi, cioè dalla parola, dalla spada e dal denaro. I re/imperatori erano aristocratici; essi furono detronizzati e il sistema successivo, la democrazia, combinò la parola e la contabilità, sostituendo ai duelli fisici dell’aristocrazia i duelli verbali (le campagne elettorali), e contando i voti espressi in favore di ogni partito. Col passar del tempo si allargò considerevolmente l’insieme delle persone aventi diritto al voto. Senza dubbio, una realtà politica in potenza era divenuta una realtà empirica e lo è tuttora, trascendendo il vecchio. Fu un processo altamente creativo, almeno a suo tempo; ma il vecchio era ancor sempre presente. E così c’erano ancor sempre governanti e governati; e c’era ancora la spada, nelle mani dei militari, della polizia e di coloro che li sfidano. 3. Dal trascendimento alla trasformazione Il trascendimento introduce una nuova realtà, aprendo un nuovo paesaggio. Trasformare un conflitto equivale a trapiantarlo in questa nuova realtà. Trasformare un conflitto significherebbe allora trascendere gli obiettivi delle parti in conflitto, definendo alcuni altri obiettivi, dislocando un conflitto fuori dall’alveo preparato dalle parti per quel conflitto, inclusi i discorsi per assicurare che l’incompatibilità sembri insormontabile (la contraddizione non trascendibile), e incanalandolo in un alveo più promettente. Affinché questo accada il conflitto deve essere trasformato anche nel senso di aggiungere parti in causa e obiettivi ai quali i partecipanti stessi non sempre pensano. Il semplificare mediante l’eliminazione di alcune parti (ad esempio, gli “estremisti”) sarebbe un errore gravissimo: questi si farebbero sicuramente sentire (il processo di pace in Israele/Palestina?). Il semplificare eliminando i moderati è anch’esso un errore (il processo di pace in Irlanda del Nord?). La strada per una trasformazione fruttuosa passa per la complessificazione, con la possibilità di un qualche raggruppamento di parti e obiettivi, ma cercando sempre di evitare la deformazione del conflitto. Nel caso della crisi degli ostaggi a Lima, la proposta di TRANSCEND era di considerare il conflitto non tanto come un problema di (illegittima, violenta) invasione di proprietà e presa di ostaggi, quanto piuttosto come un problema di riduzione della miseria in Perù, passando dal meta-conflitto al conflitto originario e trascendendone la definizione. Per trasformare il conflitto, era necessario espandere il conflitto stesso. Poi si propose una soluzione per tale conflitto trasformato, attribuendo alle parti specifici compiti. Si cercò anche di far in modo che la soluzione 33 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) proposta risolvesse anche il conflitto come era stato definito in un primo tempo; altrimenti si sarebbe causata una deformazione, invece di una trasformazione, e in tal caso il conflitto originario avrebbe prodotto dei contraccolpi. Se accettiamo che un conflitto possa essere fonte sia di distruzione sia di creazione, allora un approccio alla trasformazione di un conflitto consiste nell’agire in modo tale che gli aspetti creativi prevalgano. Il che significa fare molto di più che allontanarlo dalla violenza. C’è in più il guidarlo verso lo sviluppo, sia lo sviluppo umano degli attori individuali in esso coinvolti, sia lo sviluppo sociale degli attori collettivi, sia lo sviluppo globale. Coloro che intervengono in un conflitto dovrebbero avere meta-obiettivi ambiziosi, come una Iugoslavia migliore, pace e sviluppo in Medio Oriente, riduzione della miseria in Perù, ecc. La posizione qui sostenuta è che il proporre tali meta-obiettivi è privo di senso senza una profonda comprensione della cultura e della struttura entro la quale si dispiega il conflitto, degli attori e soprattutto del conflitto stesso. La pratica del conflitto deve essere radicata nella teoria del conflitto; la teoria del conflitto deve emergere dalla pratica del conflitto. Le persone concrete devono essere creative, non solo empatiche e nonviolente (una sola di queste caratteristiche non basta mai). Suggeriamo di chiamare queste persone “operatori/trici nei conflitti”. Il loro strumento principale è il dialogo, il dialogo con le parti in conflitto, e non solo la facilitazione del dialogo fra loro. Per far questo gli/le operatori/trici nei conflitti hanno bisogno di basarsi su una teoria generale del conflitto e su una pratica generale del conflitto, e più in particolare sulle differenze specifiche che possono fare l’empatia, la nonviolenza e la creatività. Ma devono conoscere pure i diversi tipi di violenza, non solo la violenza diretta ben in mostra nel meta-conflitto, ma anche la violenza culturale e strutturale, le culture e le strutture cattive che sottostanno al conflitto, l’“alveo” cattivo dal quale si deve dislocare il conflitto. Il resto è la trasformazione del conflitto per la pace, mediante dialoghi sempre più profondi. Risultato: un conflitto trasformato che può venir trattato con nonviolenza e creatività. Prendiamo ad esempio la penisola coreana. Un’enorme energia conflittuale viene profusa in quel conflitto e può venir rilasciata in una nuova guerra, in disordini interni alle due società (non solo nel Nord), con ripercussioni su tutta l’Asia orientale ed oltre. Tutta quell’energia non potrebbe essere indirizzata in compiti più positivi? Ecco un esempio di un approccio: aprire la strada/ferrovia fra le due Coree secondo il suggerimento (la ferrovia) della Commissione SocioEconomica delle Nazioni Unite per l’Asia/Pacifico. Quel confine coincide con il confine fra la parte povera (Vietnam, Cina, Corea del Nord) e la parte ricca (Corea del Sud, Giappone, Taiwan) di quello 34 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) che un giorno potrebbe diventare il Mercato Comune/Comunità Economica/Comunità/Unione dell’Asia orientale, se si seguissero gli stadi dell’Unione Europea. Ci sarebbe un mutuo scambio di merci, con creazione di ricchezza e notevoli effetti indotti per entrambe le Coree, e ci vuole solo un minimo di cooperazione per attivare i trasporti. Analiticamente la trasformazione ha vari aspetti: • si opera un mutamento di discorso: si viene a parlare di cooperazione economica e di cultura comune, anziché di strutture militari e politiche; • viene formulato un nuovo obiettivo onnicomprensivo, che coinvolge non solo le due Coree, ma i loro quattro vicini: l’Asia orientale; • ci si sforza di dislocare il conflitto da dov’era impantanato, per dirigerlo verso i problemi di cooperazione economica – insidiosi, ma non letali; • non si richiede alcun mutamento fondamentale alle due Coree, come nutrire mutuo affetto o anche solo mutua fiducia; si chiede solo che perseguano il proprio vantaggio; • non si agisce in direzione di un mero ottimo paretiano, con nessuno che sta peggio, dato che tutte le sei parti starebbero meglio; • il piano è reversibile, ma ci sarebbe nelle altre parti un interesse costituito nel fornire incentivi a proseguire; • entro questo nuovo contesto, in questo nuovo “alveo”, tutte le altre questioni possono venir gradualmente articolate, oppure possono persino dissolversi. Queste idee per la trasformazione del conflitto sono emerse nel corso di dialoghi con le parti interessate. Val la pena provarci? 35 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Teoria del conflitto, pratica del conflitto: qualche passo in più Il triangolo ABC: la terza dimensione I/le partecipanti al workshop tendono a trovare utile il triangolo ABC, che separa tre componenti del “conflitto”: C = contraddizione, cioè la radice del conflitto; A = atteggiamenti; B = comportamento (da Behavior). La tesi basilare è, ovviamente, che il lavoro sul conflitto svolto solo su A e B sia solo un cerotto; non c’è alternativa al lavorare sulla radice del conflitto, la contraddizione stessa. Aggiungiamo ora una terza dimensione: la profondità. Cercheremo quindi le contraddizioni profonde, gli atteggiamenti profondi e il comportamento profondo. Le contraddizioni profonde: le linee di faglia L’idea di fondo è che al di sotto di tutte le contraddizioni tra le parti in conflitto ci siano contraddizioni profonde che trascinano le contraddizioni superficiali nelle spire del conflitto. Si tratta delle linee di faglia nei costrutti umani di genere, generazione, razza, classe, “normalità/ devianza”, nazione/cultura/ideologia e, a livello mondiale, tra stati/regioni (Marx ne rilevò solo una, la classe, e solo la classe economica, non politica, militare e culturale; e solo in quanto proprietaria dei mezzi di produzione). Gli atteggiamenti profondi, la cultura profonda Al di sotto degli atteggiamenti ci sono gli atteggiamenti profondi, che iniziano anch’essi con una “A”: assunti, assiomi. Con un processo di deindividualizzazione e de-matematicizzazione perveniamo alla cultura profonda, una rete di nozioni sul vero, il buono, il giusto, il bello, il sacro. Il comportamento profondo, i bisogni fondamentali E al di sotto del comportamento c’è il comportamento profondo, preprogrammato, in parte dagli istinti, in parte dai bisogni primari. La linea di confine non è molto chiara, ma non è molto importante. Il dire che “c’è qualcosa sotto, più in profondità” non significa affatto che gli obiettivi esplicitati, il comportamento visibile, e gli atteggiamenti – espressi o inferiti – non dovrebbero esser tenuti in considerazione in quanto maschere. Dovrebbero essere rispettati e presi sul serio, ma essere visti alla luce di quanto vi soggiace. Il problema della legittimità 36 Come già detto, l’essenza del conflitto, la sua radice, è l’incompatibilità, la contraddizione fra due o più obiettivi perseguiti dalle parti in conflitto. Ma queste hanno il diritto di avere quegli obiettivi? Si tratta di obiettivi validi, legittimi? Per le parti gli obiettivi hanno valore, altrimenti, per definizione, non li avrebbero perseguiti. Ma tale attribuzione di valore ha di per sé valore? Prendete la schiavitù: i possessori di schiavi apprezzavano la schiavitù per la produzione e per il mercato. Essi apprezzavano anche l’avere questo valore, in termini di superiorità bianca, o perché permetteva loro La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) l’agio necessario per una cultura elevata. Anche lo schiavo, certamente, aveva un proprio valore: la libertà. Quale valore aveva più legittimità? Questa era una delle questioni che condussero alla guerra civile negli Stati Uniti tra il 1861 e il 1865. In quel momento la marea della civiltà occidentale dava più legittimità alla libertà che alla schiavitù; e questo decise il conflitto. Prendete il colonialismo: la Norvegia e la Danimarca, nel 1933, volevano la stessa cosa, la Groenlandia orientale. La Norvegia cercò di legittimare il proprio obiettivo con la scoperta originaria, la Danimarca con l’aver “civilizzato” il luogo. La Corte dell’Aja decise in favore della Danimarca. Ma la marea si volse in favore degli indigeni ed entrambi gli obiettivi divennero illegittimi. Legittima divenne l’autodeterminazione. Tre tipi di conflitto 1 2 3 Come facciamo a sapere se un obiettivo è legittimo? Quanto sopra ci fornisce una tipologia con tre tipi di conflitto: gli obiettivi di tutte le parti hanno (qualche) legittimità; gli obiettivi di alcune parti sono legittimi, quelli di altre non lo sono; gli obiettivi di tutte le parti sono illegittimi. Il primo tipo è di gran lunga il più frequente, ed è quanto ci concerne. Non solo le parti hanno le loro verità, ma queste verità sono verità valide, sono Verità. Come abbiamo già sottolineato, è lì che fallisce il paradigma giuridico, mentre può essere molto utile nel secondo e nel terzo caso. Una risposta è: perché la legge dice così. La giustizia è il bene prodotto dal sistema giuridico, e la giustizia si serve rispettando la legittimità. Se le parti concordano, con o senza appelli, si può arrivare alla chiusura del conflitto, come in un processo. Particolarmente importante è la fonte della legittimità, che si trova in quello che de facto è un elemento di diritto costituzionale mondiale: la Carta Internazionale dei Diritti Umani, che consiste fondamentalmente nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 e nelle due Convenzioni del 16 dicembre 1966 (quella sui diritti civili e politici e quella sui diritti economici, sociali e culturali [N.d.T.]). Ma le parti possono anche non concordare, ed entrambe possono sentire i propri obiettivi come legittimi. Come procediamo quando l’approccio giuridico ha esaurito il suo iter e i tribunali hanno dichiarato che “il caso è archiviato”? Un approccio è quello di inserire il tema nell’agenda delle discussioni, con una semplice domanda dopo che la parte ha presentato il suo obiettivo: “E perché pensate di averne diritto?”. Le risposte a loro volta fanno sorgere un’ulteriore domanda: “E perché questo dovrebbe essere rilevante?” e così via. Alla fine ci possono essere riferimenti alla fonte ultima di legittimità nei loro pensieri, Dio. O ai bisogni fondamentali, con affermazioni come “non posso farne senza, la vita perde ogni senso”. Le parti con una preparazione filosofica diranno cose come “perché può essere universalizzato, ognuno può averlo” (Kant) oppure “sono anche disposto a concederlo ad altri” (la Regola Aurea). O far riferimento ai bisogni fondamentali (v. infra). 37 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Ma come la mettiamo con la risposta: “Non me ne importa, lo voglio e basta!”? A meno che ci sia un caso evidente di infrazione della legge, nazionale o internazionale, non dovremmo lasciarla cadere. Il problema è se ci sia un qualche contrasto con altri obiettivi, e se tale contrasto possa essere trasceso. Il trascendimento è guardare in avanti, la legittimità è basata sull’esperienza passata. Abbiamo bisogno di entrambi. La rilevanza dei bisogni fondamentali Il punto fondamentale riguardo ai diritti umani fondamentali è che sono non-negoziabili. Il bisogno di sopravvivere, con un minimo di benessere, il bisogno di identità e il bisogno di libertà di scelta su come soddisfare gli altri tre, sono assoluti. Gli esseri umani continueranno a lottare per loro praticamente in ogni circostanza, come l’acqua che si espande quando gela, come i semi che spuntano da sotto l’asfalto. Forze enormi. Gli automobilisti che trascurano di mettere l’antigelo lo rimpiangeranno amaramente. La loro rilevanza per la trasformazione del conflitto è ovvia: qualsiasi risultato di un conflitto che trascuri uno o più bisogni umani fondamentali è una non-trasformazione. Si faranno vivi, prima o poi. Qualsiasi idea semplicistica sul fatto che i morti non hanno più pretese sulla vita trascura la reazione dei loro congiunti, non solo la vendetta/rivalsa, ma la lotta per la propria sopravvivenza. Qualsiasi sforzo di lucrare un accordo a costo della miseria in qualche altra parte del sistema si ritorcerà su chi l’ha tentato. Ogni mancanza di rispetto per l’identità culturale degli altri, per il loro idioma, per la loro fede, può persino rafforzare il bisogno di soddisfare questi bisogni. I limiti alla libertà possono essere tollerati per qualche tempo, ma – non appena le opzioni diventeranno visibili e disponibili – le gemme sbocceranno. Due importanti promemoria La “soluzione antigelo” è una tentazione: cambiare il liquido. Cambiare gli esseri umani, ingegnarsi a eliminare la loro sete di senso e di scelta, limitarsi a tenerli in funzione come robot. Huxley, Orwell. Due promemoria importanti: • c’è qualcosa di talmente ovvio nei bisogni umani fondamentali che diventano obiettivi non detti, non articolati. L’operatore/trice nei conflitti-per la pace dovrebbe continuamente tenerli a mente; • i “gestori” del conflitto lassù in alto non danno peso a tali obiettivi perché danno per scontata la loro soddisfazione, per se stessi. L’operatore/trice nei conflitti-per la pace dovrebbe tener a mente anche questo, specialmente gli uomini, che spesso sono meno sensibili a qualcosa di così basilare. Obiettivi dichiarati vs. obiettivi effettivi 38 I partiti, le persone esplicitano i loro obiettivi, producono testi. Ma sono questi i loro reali obiettivi? L’operatore/trice nei conflitti di certo terrà a mente che potrebbe esserci altro: al disotto, un sub-testo del quale la parte è consapevole, ma sul quale preferisce tacere; qualcosa anche più profondo, del quale la parte non è consapevole, cioè un testo profondo; La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) qualcosa proveniente dai dintorni, ma non proprio l’obiettivo di quella parte, in altri termini un con-testo; per non parlare di qualcosa che proviene dall’alto, un super-testo. Naturalmente negli ultimi due casi ci sono anche obiettivi, per esempio conformità e obbedienza, che però differiscono dal dichiarato. Questi testi nascosti, da soli o in combinazione, possono trasformare il testo in un pre-testo. Nessun conflitto può essere trasformato con successo senza prestar attenzione ai testi nascosti, inclusi quelli dell’operatore/trice nei conflitti, noti anche come agende nascoste (che non dovrebbero esserci). Regola n. 1 La Regola n. 1 rimane: prendete sul serio il testo esposto a voce, assumete che sia genuino, ricordate che tutti questi testi possono coesistere. Regola n. 2 Esplorate dettagliatamente in quali circostanze una certa parte sentirebbe che l’obiettivo è stato raggiunto, cosa che potrebbe essere poi verificata in pratica. Potrebbe essere qualcosa di più rispetto alle affermazioni iniziali; ma anche qualcosa di meno, o una reinterpretazione. Comunque, non presumete sub-testi, usate il testo esplicitato come punto di partenza. Regola n. 3 Sondate le altre parti i cui obiettivi sono rilevanti, e poi cercate il dialogo con loro, per capire come si possano imporre conformità e obbedienza, per esempio nei conflitti familiari. Regola n. 4 Ricercate accuratamente eventuali obiettivi più profondi, dei quali le parti potrebbero non essere consapevoli. Potrete trovare interessi, spesso connessi ai bisogni, derivanti dalla struttura profonda, e obiettivi immersi nella cultura profonda. Non confondete la mancanza di consapevolezza con la disonestà. Il significato del linguaggio corporeo Fra il discorso e le azioni c’è il linguaggio corporeo, osservabile come un atto, comunicativo come un discorso, magari con altrettante sfumature che un discorso, con una sua grammatica e un suo dizionario, una sua sintassi e una sua semantica, un linguaggio standard (come una stretta di mano) e versioni vernacolari (come l’uso brasiliano di toccarsi il gomito l’un l’altro). Vi sono tabù (come il toccare la testa a un thai) e gli equivalenti delle parolacce, i gesti osceni. E vi sono interpretazioni sbagliate. Avvertenze per l’operatore/trice nei conflitti Tenendo a mente quest’ultima osservazione, ecco alcune avvertenze per l’operatore/trice nei conflitti: Regola n. 1 Non sporgetevi troppo in avanti, potreste assomigliare ad un animale pronto al salto. Piuttosto, appoggiatevi all’indietro, siate/apparite rilassati/e. Regola n. 2 Non puntate il dito (ricordatevi pure che, quando lo fate, qualche vostro dito punta contro di voi). Ci sono ovvi paralleli violenti. Gli uomini spesso lo fanno. 39 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Regola n. 3 Astenetevi da qualsiasi movimento brusco, repentino e/o ritmico; può davvero disturbare: “e adesso che succede?”. Regola n. 4 Movimenti lenti, morbidi, arrotondati, con una mano o entrambe, possono avere un effetto rilassante, indicativo di olismo, completamento, conclusione. Li fanno spesso le donne. Regola n. 5 Siate sensibili al linguaggio corporeo che esprime disagio, come cambiare spesso posizione (o anche sedia), inumidirsi le labbra, sudare. Non state conducendo un interrogatorio. L’interlocutore dovrebbe sentirsi a proprio agio. Fate una pausa. Regola n. 6 Non statevene lì immobili, come se foste congelati! Potreste sembrare un osservatore, anziché una parte attiva nel dialogo. Regola n. 7 Ricordate gli aspetti non verbali del discorso: tono né troppo alto né troppo basso, volume moderato, non parlare troppo a lungo. Regola n. 8 Fatevi la vostra lista, basandovi sulle vostre esperienze. Un caso di trascendimento: il Metodo TRANSCEND Il Metodo TRANSCEND riguarda la trasformazione del conflitto. Applichiamolo a un conflitto speciale: l’importantissimo conflitto sulla trasformazione del conflitto. Ci sono due posizioni nette: 1 la risoluzione del conflitto è compito di/appartiene alle parti, che hanno diritto di esigere e ottenere l’autonomia nel conflitto; 2 la risoluzione del conflitto è compito di/appartiene a un gestore del conflitto (un sacerdote, un giudice, una grande potenza, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU): “Avete un conflitto pericoloso: ve lo risolvo io”. Costui ottiene il monopolio del conflitto in cambio del metter fine alla violenza. Il risultato ideale è il caso 1: sono le parti stesse ad essere in grado di trasformare il conflitto, cioè di trattarlo in modo nonviolento e creativo. Non c’è niente di meglio: la strada per la pace è la pace stessa; le parti crescono assumendo la sfida e crescono insieme. Il problema con il caso 1 è il seguente: le parti possono non esserne capaci, l’odio e l’ignoranza ostacolano la creatività e favoriscono la violenza, sia essa quella verbale, quella del linguaggio corporeo o quella fisica. Il problema col caso 2 è che il gestore del conflitto si appropri del processo di sfida in esso contenuto e si intitoli del risultato, diventando così un ladro di conflitto. Ed ecco le altre possibilità: 3 4 40 il ritiro: il non fare nulla, lasciando che le ferite del conflitto suppurino; la scappatoia del codardo, ovviamente inaccettabile; oppure il compromesso: l’esterno facilita un negoziato fra le parti, stabilisce l’agenda, la struttura del discorso, la sede, paga perfino le spese; e infine La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 5 il trascendimento: l’esterno, nel corso di dialoghi successivi con ciascuna delle parti, cerca di dare un aiuto, formando le parti, stimolando la creatività, cercando insieme soluzioni nonviolente, rendendole “pronte per il tavolo”, e allora i tempi possono essere maturi per il caso 1 di cui sopra. Gli operatori/trici nei conflitti spariscono dalla scena, sostituiti/e direttamente dai proprietari. Che le parti trasformino il conflitto da sole è bello, certo, ma può essere necessario qualche aiuto esterno. L’amico che parla con la moglie e con il marito, separatamente, cercando di capire i loro obiettivi, non tanto “cosa è andato storto”, quanto piuttosto “cos’è un buon matrimonio”. Insieme costruiscono un nuovo progetto. Questo è TRANSCEND. Udire il non-detto, vedere l’invisibile L’operatore/trice nei conflitti ascolterà molto attentamente gli obiettivi delle parti, li prenderà sul serio, cercando addirittura di formularli meglio di quanto non facciano le parti stesse. Ascolterà le parole dette ed osserverà il linguaggio corporeo. I testi profondi, nel subconscio, sono per definizione non articolati, ma possono trasparire nel linguaggio del corpo e in un grido d’aiuto: “Capisci quello che voglio dire?”. Ma talvolta non c’è nulla, né udito né visto. Il non-detto può essere troppo ovvio per essere esplicitato dalle parti, come i bisogni fondamentali di cui si è già detto. Può anche risiedere nell’inconscio piuttosto che nel subconscio. Molte persone, nazioni, stati hanno l’abitudine di vedersi come esseri eccezionali, ma possono essere inconsapevoli dei loro presupposti. Quando due di loro si incontrano, c’è competizione, gelosia, astio: chi sarà più eccezionale? Ma può esserci anche una tacita ricerca d’alleanza: come possiamo essere eccezionali, insieme al di sopra della legge? Un esempio meno drammatico: due paesi vicini litigano per una zona di un territorio ambito. Al fondo c’è una premessa condivisa, troppo ovvia per essere espressa: ciascun pezzo di terreno sul Pianeta Terra appartiene a un paese e a un solo paese; quindi si devono tracciare i confini. Il problema non sta solo in quello che dicono: “Voglio il confine qui”/ “No, là”, bensì in quella premessa condivisa e inespressa: ci deve essere un confine. Un condominio, la proprietà congiunta della zona sarebbe un risultato trascendente. Le premesse condivise e inespresse possono essere la base salda su cui costruire un risultato accettabile e sostenibile. Ma possono anche bloccare un risultato sostenibile, nonviolento. Gli/le operatori/trici nei conflitti non dovrebbero lasciarsi ingannare dai vari “c’è una buona alchimia”/“c’è una buona intesa”: le parti possono capirsi anche troppo bene; ma ci vuole aria fresca. 41 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Corso d’addestramento per la trasformazione del conflitto: qualche esercizio supplementare 42 Esercizio 1 Tuo padre è un giapponese-hawaiano che è stato internato in un campo durante la seconda guerra mondiale. Ha lottato con altri ex-internati e ha ottenuto un qualche indennizzo dal governo statunitense. Un giorno arrivi a casa con un amico/a nero/a. Tuo padre ti dice: “Se vuoi stare con lui/lei, esci da casa mia!”. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ Esercizio 2 Tua madre indossa un abito da sera decisamente troppo giovanile per la sua età. Viene a chiederti: “Come sto?”, con gli occhi avidi di complimenti. Tu vuoi essere onesto, ma anche riguardoso verso tua madre. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ Esercizio 3 Hai intense aspirazioni spirituali e vuoi meditare, focalizzando l’attenzione sul tuo percorso spirituale. Ma ti piacciono anche le cose materiali: i pattini, andare in giro in auto, la pesca, libri e musica non solo su materie spirituali. Quindi hai due obiettivi distinti. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ Esercizio 4 Insieme ad altri lavoratori vuoi condizioni di lavoro migliori e paghe più alte. L’azienda ti dice che non può permetterselo, altrimenti fallirà. Questa volta hanno ragione: in effetti ci sono aziende che falliscono. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ Esercizio 5 Hai costruito una casetta estiva per gli ospiti; i tuoi ospiti sono di solito docenti universitari e così hai messo nelle camere scaffali e tavoli per computer. Tua moglie ti fa giustamente notare che hai dimenticato il guardaroba per gli abiti e i vestiti. Ma non c’è più spazio, e allora suggerisci: “Non andrebbe bene una valigia sotto il letto?”. Non accettato, e con buone ragioni. D’altra parte non vuoi fare a meno di un tavolino. I rapporti coniugali cominciano a deteriorarsi. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Esercizio 6 Un paese con una sola nazione e che includa (quasi) tutti i membri della nazione è uno stato-nazione. • Immagina che la nazione viva in due paesi distinti. Che fai?________________________________________ ______________________________________________ _______________________________________________ • Immagina che ci siano due nazioni in un solo paese e che abbiano una lunga storia di cattivi rapporti. Che fai?________________________________________ ______________________________________________ _______________________________________________ • Immagina che ci siano due paesi e due nazioni che vivono in entrambi i paesi, con cattive relazioni da tempo. Che fai?_______________________________________ ______________________________________________ _______________________________________________ Esercizio 7 Secondo alcune previsioni, entro il 2050 ci sarà più di un miliardo di profughi e sfollati, per motivi militari, politici, economici, culturali. Prova la DPT (Diagnosi-Prognosi-Terapia), cogliendo gli aspetti essenziali. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ Esercizio 8 Viene da te una donna in lacrime, arrabbiata: “Mio marito mi ha tradita, con la mia migliore amica; ero l’unica a non saperlo! Lo uccido, quello lì!”. Che fai?________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ Suggerimento: allarga il discorso dalla (in)fedeltà sessuale alla (in)fedeltà anche della mente, dello spirito (progetti di vita comuni), nella sfera sociale ed economica; verifica cosa stanno facendo entrambi nei cinque ambiti. Inoltre, coinvolgi figli, genitori, amici, vicini, colleghi... Esci fuori dall’approccio [2,1], cioè 2 parti e 1 obiettivo! 43 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Codici per gli/le operatori/trici nei conflitti: dodici cose da fare 44 1 Cercate di identificare elementi positivi in ogni parte, qualcosa di cui quella parte sia orgogliosa; incoraggiate ulteriori sviluppi. 2 Cercate di identificare elementi positivi nel conflitto: il Conflitto, come potenziale Creatore, dovrebbe essere tenuto a mente ed essere glorificato. 3 Siate creativi nel vostro modo di lavorare, non abbiate troppo timore di non fare le cose perbene, non prendete troppo sul serio i manuali (come questo), seguite le vostre intuizioni e soprattutto la vostra esperienza. 4 Trovate insieme una formula breve e facile da ricordare per esprimere il risultato (come “sicurezza comune” o “sviluppo sostenibile”), la quale, pur non rendendo giustizia a tutta la complessità, possa tuttavia facilitare la comunicazione. 5 Siate onesti con voi stessi e con gli altri, se pensate che qualcosa sia sbagliato ditelo; se pensate che la proposta di una parte sia oltraggiosa ditelo, senza però etichettare quella parte. Spesso un buon modo di essere “diplomatico” è essere “poco diplomatico”. 6 Lasciate trasparire i vostri sentimenti; se siete soddisfatti dell’andamento della conversazione ditelo, se ne siete insoddisfatti ditelo ugualmente, ma non interrompete la relazione: questo lusso a buon mercato non è per voi. 7 Permettete alle parti interne al conflitto di sfidarvi. Ci possono essere quelli che si stancano delle vostre domande e ribattono per simmetria, mettendo in questione voi, la vostra nazione, il vostro paese, ecc. Usate le sfide per esplorare insieme anche i vostri conflitti allo stesso modo: radici, prospettive, ecc. 8 Suggerite sempre percorsi alternativi, “in questo caso potete fare questo, ma anche quello”; non presentate mai un solo rimedio. 9 Il vostro compito è rendervi superflui, non quello di rendere gli altri dipendenti da voi (dovete però restare reperibili per consultazioni). 10 11 Ricordate: idealismo del cuore, e realismo della mente. 12 Ricordate: il lavoro sul conflitto è l’arte dell’impossibile. Ricordate: il pessimismo/cinismo vale poco; l’ottimismo è quel che fa per voi. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Codici per gli/le operatori/trici nei conflitti: dodici cose da non fare 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Non manipolate. Mettete le vostre carte in tavola, dite apertamente cosa cercate di raggiungere, inclusa la condivisione dei Manuali con loro; esplicitate la vostra volontà di mettere in discussione i vostri stessi assunti. Non distribuite disprezzo e colpa. Enfatizzate le radici comuni come le cattive strutture e le cattive culture, piuttosto che i cattivi attori, e la responsabilità comune di trovare soluzioni. Il vostro compito è aiutare. Non cominciate a giocare il ruolo del prete o del giudice. Non siete autorizzati né qualificati a sedere in giudizio al di sopra delle parti. Non preoccupatevi troppo del consenso. Il compito è giungere a buone idee; se sono buone sono probabilmente nuove, almeno per le parti; e se sono nuove ci vorrà probabilmente un po’ di tempo per un consenso generale. Non esigete un impegno esplicito dalle parti, orale o (tanto meno) scritto; le idee faranno il loro corso “se ne è giunta l’ora”. Non pretendete che le parti cooperino. Se non si vanno a genio e preferiscono seguire percorsi separati, sia pure; lo stare insieme non è un obiettivo. Forse si troveranno più tardi. Non rompete promesse di riservatezza. Non dovreste costituire un motivo per cui le parti temano di esprimersi liberamente. Non cercate pubblicità, ma cercate di arruolare i media come coadiutori nella ricerca di vie d’uscita dal/la conflitto/violenza. Non cercate espressioni di gratitudine, la vostra ricompensa sta nel giungere a maturazione dei semi da voi sparsi, il vostro castigo nella loro mancata maturazione. Non accettate istruzioni dettagliate da chicchessia, le parti interne al conflitto hanno il diritto di sentire che parlano solo con voi. Non cercate di programmare troppo le persone, il vostro compito è dar loro potere e renderle capaci di andare avanti per conto proprio. Non distorcete il conflitto, sottraendolo alle parti col sospingere l’agenda troppo oltre rispetto ai loro interessi immediati. 45 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Due racconti: di cammelli, numeri e tante altre cose C’era una volta un mullah che sul suo cammello si recava alla Mecca. Mentre si avvicinava a un’oasi, vide tre uomini che piangevano. E così fermò il cammello e chiese loro: “Figli miei, cosa succede?”, ed essi risposero: “È appena morto nostro padre, e noi lo amavamo tanto”. “Ma – disse il mullah – sono sicuro che vi amava anche lui, e sicuramente vi ha lasciato qualcosa”. I tre uomini risposero: “Sì, certo, l’ha fatto. Ci ha lasciato dei cammelli e le sue ultime volontà stabiliscono che 1/2 vada al figlio maggiore, 1/3 al secondo, e 1/9 al più giovane. Ci piacciono i cammelli, siamo d’accordo sulle parti assegnate a ciascuno di noi, ma c’è un problema: ci ha lasciato 17 cammelli e noi siamo andati a scuola e sappiamo che 17 è un numero primo. Noi amiamo i cammelli, non possiamo farli a pezzi!”. Il mullah rifletté un momento, e poi disse: “Vi dò io il mio cammello, così ne avete diciotto”. Ed essi gridarono: “No, non puoi farlo, sei in cammino per qualcosa di importante”. Il mullah li interruppe: “Figli miei, prendete il cammello, e andate avanti”. Così divisero 18 per 2 e il figlio maggiore ricevette 9 cammelli, 18 per 3 e il secondo figlio ricevette 6 cammelli, 18 per 9 e il figlio più giovane ebbe 2 cammelli: un totale di 9 + 6 + 2 = 17 cammelli. Rimaneva un cammello, uno solo: quello del mullah. Il mullah disse: “Siete contenti? Bene, allora posso forse avere indietro il mio cammello?”. E i tre uomini, colmi di gratitudine, dissero: “Ma certo!”, senza capire bene cos’era successo. Il mullah li benedisse, salì sul suo cammello ed essi videro solo più una lieve nuvola di polvere, che rapida si depositava nel sole ardente della sera. C’era una volta un avvocato che nella sua auto di lusso se ne andava in giro per il deserto. Passando per un’oasi vide tre uomini che piangevano. E così si fermò e chiese loro: “Che succede?”. Ed essi risposero: “È appena morto nostro padre, e noi lo amavamo tanto”. “Ma – disse l’avvocato – sono sicuro che ha fatto testamento. Forse potrei aiutarvi, se mi pagate il mio onorario, ovviamente”. E i tre uomini risposero “Sì, certo, l’ha fatto. Ci ha lasciato dei cammelli e le sue ultime volontà stabiliscono che 1/2 vada al figlio maggiore, 1/3 al secondo, e 1/9 al più giovane. Ci piacciono i cammelli, siamo d’accordo sulle parti assegnate a ciascuno di noi, ma c’è un problema: ci ha lasciato 17 cammelli e noi siamo andati a scuola e sappiamo che 17 è un numero primo. Noi amiamo i cammelli, non possiamo farli a pezzi!”. L’avvocato ci pensò su un momento e poi disse: “Semplicissimo. Mi date 5 cammelli, così ve ne restano 12; dividendo per 2, per 3 e per 6 ottenete 6, 4 e 2 cammelli a testa”. E così fecero. L’avvocato legò i 5 malcapitati cammelli all’auto ed essi videro solo più una grossa nuvola di polvere che copriva il sole della sera. Due modi di trattare un conflitto. A voi la scelta. 46 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Un dialogo tra l’Autore (JG) e l’Avvocato del Diavolo (AD) Questo dialogo si basa su commenti fatti durante le sessioni di training. Le risposte, come al solito, portano ad altre ulteriori domande. AD: Spiegami, senza troppe parole e senza usare il gergo sociologico, gli assunti che stanno alla base di questo cosiddetto Metodo TRANSCEND! JG: Giusta richiesta. Ecco le tesi in cui credo, almeno all’80%: Tesi 1 Tesi 2 Tesi 3 Tesi 4 Tesi 5 Tesi 6 Tesi 7 Tesi 8 Tesi 9 Tesi 10 Tesi 11 Tesi 12 Tesi 13 Tesi 14 Tesi 15 Tesi 16 Non esistono soluzioni militari/violente dei conflitti. Non sono sostenibili per via del trauma e della inaccettabilità per il perdente, e perché la gloria è come una droga che rende assuefatto il vincitore. La violenza genera altra violenza; il sottolinearlo serve come ancoraggio negativo. In un conflitto si usa la violenza quando l’obiettivo bloccato è importante e non si vedono vie d’uscita alternative. Il meta-conflitto e il “chi vince” espelle il conflitto originario; la trasformazione del conflitto passa in secondo piano. Non si vedono alternative perché l’analfabetismo sul conflitto limita il repertorio dei risultati e perché la creatività è bloccata. Siamo analfabeti sul conflitto perché l’approccio del “giochiamocelo, e il vincitore si prende tutto” è sempre stato quello dominante. La creatività è bloccata dall’odio causato dalla violenza, nonché dai grossi personaggi e dalle grandi potenze che monopolizzano l’intervento sul conflitto. I grossi personaggi e le grandi potenze monopolizzano l’intervento sul conflitto per aumentare il loro potere e per trarre beneficio dalla ridistribuzione del conflitto. Per decidere sui conflitti, li vedono come se riguardassero due parti che hanno bisogno di loro come “terze parti disinteressate”. Non esistono “parti disinteressate”; nei conflitti reali ci sono molte parti con obiettivi in conflitto più o meno accettabili. “Tutte le parti attorno a un tavolo” rende le parti ancora meno creative e più facili da gestire da parte di grossi personaggi e di grandi potenze. Un/a vero/a “operatore/trice nei conflitti” ha come obiettivo una trasformazione sostenibile e accettabile del conflitto e non ha nessuna agenda nascosta. Un approccio per far emergere obiettivi accettabili è impegnarsi in dialoghi empatici con tutte le parti separatamente, a una a una. Un approccio per rendere accettabili obiettivi compatibili è impegnarsi in dialoghi con tutte le parti, facendo emergere la creatività. Un approccio per trasformare i conflitti in modo nonviolento è dislocarli da dove stavano e ricollocarli altrove. L’osservazione del conflitto da questa nuova angolatura serve a sviluppare un nuovo punto di riferimento, un ancoraggio positivo per i dialoghi. A questo punto “tutte le parti attorno a un tavolo” può risultare utile, oppure superfluo in quanto è emerso un sistema nuovo, sostenibile e accettabile per tutti, cosicché l’intero conflitto è svanito. 47 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) AD: Ferma! Non riesco più a sopportarlo. Non sono d’accordo con nessuna di queste tesi, e inoltre sei già immerso nel bla-bla sociologico fino al collo. JG: OK. Accetteresti di usare le tesi come una sorta di agenda e sottoporle a critica una per una nell’ordine che preferisci? AD: Sì, come punto di partenza, se questo è il Metodo TRANSCEND. Ma avrei anche qualcosa da ridire su questo discorso. JG: Mio caro avvocato del diavolo, “discorso” è già un termine del vocabolario delle scienze sociali! AD: È un termine che esisteva già prima che voialtri lo cooptaste. Comunque, cominciamo con il termine “violenza”. La tua posizione è negativa, astratta e ideologica. La violenza è compatibile con l’accettazione da parte della vittima, in quanto: a) questa può vedere la sconfitta come se fosse dettata da forze superiori, oppure b) può celebrare la propria liberazione dal perseguimento di un obiettivo impossibile. JG: Qualcosa posso concederlo; e aggiungere che in effetti le mie formulette possono essere un po’ troppo semplificate. Ma se quelle “forze superiori” sono Dio, allora l’accettazione probabilmente dipenderebbe dal livello di fede sia nell’infallibilità di Dio, sia nell’uso da parte di Dio della potenza per indicare cosa è giusto. Temo che questa duplice fede non sia molto diffusa oggigiorno. Un successore di Dio è lo stato e il tipo di infallibilità attualmente in costruzione sull’assunto “gli stati democratici non possono sbagliare” dovrebbe servire da incentivo per unirsi a questo gruppo. Il che è un bene, ma porta al problema che è subentrato a “i paesi cristiani non possono entrare in guerra gli uni con gli altri”, cioè “i paesi democratici non possono entrare in guerra gli uni con gli altri”. Quanti più ce n’è, di un tipo o dell’altro, e quanto più sono diversi per struttura e cultura, tanto più è probabile che entrino comunque in guerra. AD: Può darsi. Ma cosa hai da dire riguardo al secondo punto, sbarazzarsi dell’obiettivo? JG: Tenderei a essere d’accordo. Però potrei sempre dire: perché non impegnarsi piuttosto in un dialogo ante bellum per rinunciare a quell’obiettivo? AD: Ti faccio tre esempi di soluzioni militari: la guerra civile negli Stati Uniti, la seconda guerra mondiale in Europa, la guerra nel Pacifico. Gli stati schiavisti, il nazismo tedesco e il militarismo giapponese furono battuti, accettarono la sconfitta e rinunciarono ai propri obiettivi. JG: Potrei asserire invece che i veri vincitori furono la guerra e l’apparato militare. Dalla prima vennero fuori quegli Stati Uniti militarizzati che realizzarono le conquiste del 1898-1902; dalla seconda degli Stati Uniti, un’Unione Sovietica e una Cina in grado di combattere guerre di grossa portata. AD: E dalla terza? JG: Una grave conseguenza invisibile della sconfitta è la sete di vendetta, il ritornare sulla questione problematica. Temo che non conosciamo le conseguenze dei traumi colossali sofferti dalla Germania e dal Giappone. Sono cose che possono venir fuori dopo generazioni. Tuttavia posso rafforzare la tua posizione: la violenza teorizzata da Sun Tzu, come un potenziale non utilizzato, può funzionare, ma non la violenza teorizzata da Clausewitz, la famosa “continuazione della politica con altri mezzi”, cioè “con ogni mezzo necessario”. Fu proprio quest’ultima a essere usata dalla coalizione capeggiata dagli Stati Uniti nella guerra del Golfo. Credo che non ci fu nessuna accettazione. E per questa ragione non ci fu neanche nessuna sostenibilità. AD: Può darsi che Sun Tzu non sia abbastanza diabolico per me. JG: Ma Clausewitz lo è di sicuro. Estrapolando dai suoi assunti diventa razionale l’eliminazione totale del nemico, l’Altro. Un obiettivo allora prevarrà perché non è rimasto più nessuno a sostenere l’obiettivo che è d’ostacolo. Le implicazioni logiche sono gli olocausti, così come lo furono il colonialismo, il nazismo, il bolscevismo. Mentre Sun Tzu per me è un precursore del Capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite (il peace-keeping) e della difesa difensiva, Clausewitz è un fautore del Capitolo VII: l’imposizione della 48 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) AD: JG: AD: JG: AD: JG: AD: pace, il peace enforcement. Sono in molti, oggigiorno, a vedere la violenza come ultima risorsa. Ma allora, facciamole tutte quelle cose, e sono tante, che possono ricadere sotto le etichette di empatia e creatività. A mio parere, il nostro mondo scarseggia proprio di queste capacità, mentre è colmo di violenza, quindi decisamente troppo incline a farne uso. Ciò che mi preoccupa di più, tuttavia, non è la tua posizione sull’aspetto strumentale della violenza, che tu dica che non funziona e anzi è controproducente per via del revanscismo del perdente e della gloria del vincitore, cose di cui entrambi possono non essere mai sazi. Potrei essere d’accordo su questo. Ma è una posizione troppo razionale; dov’è la sua parte espressiva? Non è “la continuazione della politica”, che è già strumentale. Il mio collega diabolico non è Clausewitz, ma un numero indicibile di esseri umani, probabilmente soprattutto uomini, ragazzi – come potresti far notare – che semplicemente godono della violenza, per quello che fa alle vittime, danneggiandole/ferendole, e per quello che offre loro: rischio, pericolo, coraggio, sacrificio, eroismo, dedizione, cameratismo! Per non parlare del puro desiderio di arraffare, di stuprare: quello che vuoi, l’ottieni! La storia offre dati in quantità più che sufficiente per darti ragione anche qui. Ma io non sostengo che non c’è pericolo di violenza; certo che c’è, e per ragioni anche più profonde, come l’attivazione di archetipi nel subconscio collettivo. La mia tesi è che si deve stroncare la violenza sul nascere, intervenire in qualche modo sul conflitto prima che arrivi a una fase violenta con le sue sofferenze indicibili, le complicazioni per il futuro e la mancata attenzione al conflitto originario. Non è perché non sono d’accordo con te su questi punti, ma proprio perché sono d’accordo con te che trovo tutto questo così importante. E sembra che tutti siano d’accordo sulla “diplomazia preventiva”. Il Metodo TRANSCEND è uno di questi approcci. Andiamo avanti. Tu vedi la violenza come una reazione a un obiettivo bloccato, una variazione della vecchia ipotesi frustrazione-aggressione. Ma questo non dipende dalla cultura? E che mi dici in merito al ritiro dal conflitto, semplicemente con il rifiuto di entrarci? Certo. O a causa di mera apatia. Quello che sostengo è che quando c’è violenza è prevalentemente perché gli obiettivi principali sono bloccati. Tuttavia, altre reazioni, alla lunga, possono essere altrettanto disastrose, come la rinuncia, la sofferenza interminabile per la violenza strutturale, invece di mettersi a lottare per trasformare i bisogni fondamentali in diritti fondamentali. In altre parole, l’obiettivo non è solo l’assenza della violenza diretta, ma anche l’assenza della violenza strutturale, dell’ingiustizia sociale. Ma allora, non stai appunto giustificando la violenza diretta? Può darsi, come ultima risorsa quando si sia provato tutto il resto. Non sono un assolutista, ma sono più interessato a esplorare quel “tutto il resto”. E vorrei sapere come giustifichino la propria violenza coloro che diventano violenti. Vorrei proprio conoscere quelle ragioni, dato che credo che siano fra gli obiettivi non dichiarati dei conflitti e che dovrebbero essere prese sul serio. Fammi qualche esempio di meta-conflitti che scacciano il conflitto originario. JG: Torna col pensiero alla guerra fredda. Il conflitto originario riguardava interessi come i confini e chi dovesse farla da padrone in Europa orientale; e a livello più profondo riguardava l’ideologia, il capitalismo contro il socialismo, la democrazia contro la dittatura del proletariato, e le visioni del mondo soggiacenti, il liberalismo e il marxismo. Tuttavia, la preoccupazione di fondo, il dibattito e il conflitto vertevano sul meta-conflitto, sui mezzi della violenza in generale e sulle armi nucleari e i loro vettori in particolare. Era questo che stava al centro delle preoccupazioni sia dei governi, sia del movimento per la pace, per la maggior parte del tempo, fin dal 1949. È interessante notare che quando finalmente la conferenza di Helsinki del 1973-1975 cominciò a occuparsi dei problemi reali, i conflitti originari – con i famosi tre panieri sui confini, sulle relazioni economiche e sui diritti umani – parvero evaporare. La gente cominciò a chiedersi se quelle divergenze valessero davvero una guerra di grossa portata. Il movimento dissidente dell’Europa orientale riuscì meglio del movimento per la pace a far sì che il conflitto originario diventasse la questione vera, insistendo sulla democrazia e sui diritti umani. E nessuno credette più che la guerra 49 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) AD: JG: AD: JG: AD: JG: fredda diventasse calda. La trasformazione del conflitto originario, a quel punto, scacciò il meta-conflitto; l’idea è questa. Quello che m’infastidisce è che sembri non tenere nel dovuto conto la violenza, e tutto il suo apparato, nella tua insistenza sulla trasformazione del conflitto, in modo da renderlo gestibile dalle parti senza violenza. Se non presti attenzione al meta-conflitto e preferisci aggirarlo (dando retta al Boeygen del Peer Gynt di Henrik Ibsen, un tuo connazionale – come anche a Brandt, credo che abbia detto “Aggiratelo!” quando c’è qualche grosso ostacolo), non è che, così facendo, dai tempo alle forze del male di organizzarsi e perfezionare i loro apparati? Non hai bisogno del disarmo o, in sua mancanza, di un qualche equilibrio tra le potenze o, in sua mancanza, della loro eliminazione con mezzi violenti? Inoltre, come puoi aspettarti che le parti aprano negoziati sul conflitto originario con la spada di Damocle della violenza sospesa sulle loro teste? Tutte le volte che si focalizza l’attenzione sui mezzi della violenza si rafforza coloro che li controllano, conferendo loro un diritto di veto. La fine della guerra fredda fu ritardata da un’attenzione troppo scarsa ai problemi veri e da un’attenzione eccessiva alla questione armamenti/disarmo. La trasformazione della guerra fredda non avvenne al tavolo della conferenza sul controllo degli armamenti. Terrei d’occhio il potenziale della violenza, accelerando però la trasformazione del conflitto originario. Trovo arrogante la tua affermazione sull’“analfabetismo sul conflitto”. Probabilmente tu non ti metti in quella categoria. Con quale diritto distribuisci diplomi del genere a grandi potenze/grossi personaggi? Le persone che intervengono in conflitti internazionali sono di solito statisti che perseguono gli interessi del loro paese/regione, oppure diplomatici, che sono perfino pagati per farlo e che devono attenersi alle disposizioni dei loro statisti. A livello di politica interna la situazione è migliore: le modalità di Risoluzione Alternativa delle Dispute stanno prendendo piede. Ma gran parte del lavoro sul conflitto è dominato da un paradigma religioso che colloca le radici del conflitto stesso dentro gli esseri umani, piuttosto che nelle realtà sociali, e da un paradigma giuridico troppo dualistico, colpevole/innocente. Inoltre la gente si sente privata del potere, è pronta ad accettare una divisione del lavoro fra “gestori” del conflitto e “gestiti” nel conflitto. È qui che interviene l’operatore/trice nei conflitti-per la pace, in linea di principio. Ma non è quello che tentano di fare tutte le terze parti che intervengono? Ne ho viste che sembrano addirittura aspettare che la violenza faccia il suo corso, che il conflitto “maturi”, che la situazione diventi “pronta”, con le parti che pregano in ginocchio per un intervento liberatorio dalla maledizione della violenza. Allora entrano in gioco per dettare la pace, per spartirsi le spoglie come avvoltoi che volano in circolo in attesa che cessi il combattimento sul terreno. Un buon chirurgo deve guarire il corpo del paziente, non minarlo per cavarne i reni, la retina, magari anche il cuore. AD: Questo mi suona “realistico”; attribuisci delle motivazioni a quelli che chiami i grossi personaggi/le grandi potenze, che di solito sminuisci. JG: Sono scettico riguardo a personaggi/potenze che diventano “grossi” con la violenza, perché ho paura che diventi una droga. “A chi ha un martello il mondo sembra un chiodo”. Il mondo non godrebbe di servizi migliori se venissero da terze parti o da “operatori/trici nel conflitto” con precedenti più pacifici? AD: E se questo termine che suona così modesto, “operatore/trice”, non fosse nient’altro che una copertura per una nuova professione in cerca esattamente di quello che dici di voler evitare, cioè lo status di gestore dei conflitti? JG: 50 È un problema, d’accordo. Forse è più adeguato “specialista dei conflitti”, ma “gestore” proprio no. Tieni presente che l’operatore/trice nei conflitti non ha nessun potere del tipo bastone e carota. Non può nemmeno premiare o punire. Può dare suggerimenti, ma l’accettazione deve provenire dalla convinzione interiore che un “ancoraggio positivo” è meglio delle implicazioni di un “ancoraggio negativo”. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) AD: Ma non li stai solo manipolando, con tutti i tuoi “ancoraggi”? JG: È dinuovo un rischio. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe mettere apertamente le sue carte sul tavolo: la ricerca di una trasformazione del conflitto con mezzi pacifici, grazie all’empatia e alla creatività, cercando vie d’uscita accettabili e sostenibili. Qualunque cosa suggerisca, dovrebbe essere frutto di dialoghi approfonditi con le parti, non sulle parti. Questi dialoghi hanno una funzione coscientizzante, nel senso attribuitogli dal mio amico Paulo Freire, che è mancato; se no, l’operatore/trice nei conflitti non ha fatto altro che discutere, cercando di imporre il proprio punto di vista. AD: OK, OK. Ma ti rendi conto, voglio sperare, che questo può suonare come un gran bla-bla, mentre nel frattempo l’operatore/trice nei conflitti emerge come la forza dominante nel conflitto? JG: Sì che me ne rendo conto. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe trovare dei modi per rapportarsi a questo problema, anche per evitare di diventare il comune nemico delle parti, anziché il loro comune amico. Un modo è l’uso sistematico dei punti interrogativi al posto di quelli esclamativi. Il giudice ti darà un risultato in base a quanto è disposto per legge. L’arbitro ti darà un risultato vincolante in base a quanto ha deciso lui stesso, dopo un previo accordo delle parti che si impegnano ad accettarlo. Il mediatore proporrà un risultato non vincolante, da prendere o lasciare. L’operatore/trice nei conflitti fa sia di meno, sia di più di tutto questo: serve da catalizzatore per il dialogo, prima con ciascuna parte separatamente, poi – se lo desiderano – insieme. Può formulare visioni non formulate dalle parti, perfino suggerire cose che possono fare separatamente o insieme. Ma soprattutto prova a farle crescere, rendendole più empatiche, nonviolente e creative, capaci di andare avanti senza assistenza esterna. AD: E questo non lo chiami esercizio del potere? JG: Certo che questo è un esercizio nel potere, ma non del potere. Un cattivo professore vuole clonarsi negli studenti/assistenti. Un buon professore cerca di stimolare una sufficiente creatività negli studenti, in modo che non diventino dei discepoli, ma si rapportino criticamente e costruttivamente con il loro professore. In altre parole: condivisione del potere grazie all’empowerment. Cioè, il potere di cui parliamo è il potere normativo/culturale, non il potere della carota/remunerativo/economico di un trattato commerciale, né il potere del bastone/punitivo/militare, con le sanzioni, i boicottaggi, l’“imposizione della pace” dietro l’angolo. AD: Ma resta il fatto che l’operatore/trice nei conflitti accumula molta più esperienza di colui sul quale si è “operato” nel corso del conflitto. E questa esperienza può convertirsi in potere. JG: Senza dubbio. Come in ogni professione. E anzi peggio: può diventare scolastico, riducendo i conflitti e le parti a casi da trattare in base a formule che ha già sviluppato, senza badare alle specificità di ciascun caso. Si spera che verrà criticato/a dai colleghi e dalle parti in conflitto, che sarà grato per l’allarme, precoce o anche tardivo. AD: Ma quest’idea di separare le parti, non è anche una strategia di potere nota come frammentazione? Invece di incontrarle insieme, l’operatore/trice nei conflitti se ne fa carico una alla volta. JG: Se il conflitto è profondo, quando si riuniscono allo stesso tavolo lo fanno solo in senso fisico. Sono divise dalle problematiche del conflitto, e sono ancor più divise dal meta-conflitto traumatico, nonché dal trauma di infliggere traumi ad altri. Quando l’operatore/trice nel conflitto le incontra sono persone ridotte a molto meno di quello che avrebbero potuto essere. Perciò è suo compito farle crescere, metterle in grado di rendersi conto delle loro proprie forze, ripensando il conflitto. In questo processo, guardandosi in faccia, può anche darsi che le parti comincino a criticare l’operatore/trice nei conflitti, prima separatamente e poi insieme, quando o se si trovano fra di loro. Ma non è detto che finisca così; la mia esperienza è più positiva: c’è una qualche forma di gratitudine quando vengono indicate possibili vie d’uscita. Nuove possibilità sono emerse, sta a loro esplorarle o attuarle. 51 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) AD: Ma se un/a operatore/trice nei conflitti usa empatia-nonviolenza-creatività fino al punto di dislocare e ricollocare il conflitto, in realtà non sta forzandolo in un’altra direzione? Con che diritto si lanciano nuove prospettive come punti di riferimento, “ancoraggi” come li chiami tu? JG: L’operatore/trice nei conflitti non può imporre alcuna ridefinizione della situazione; può solo dare suggerimenti. Chiunque ha il diritto di farlo. AD: Nonostante tutto ho l’impressione che tu arrivi come un angelo salvatore, discendendo sul conflitto e dicendo alle parti il da farsi! JG: Non cerco mai di suggerire qualcosa che non provenga dai dialoghi con le parti in conflitto, si tratti di attori ben noti o meno noti. Si innescano certi processi in me e in loro; e da questi processi emergono proposte, prospettive. AD: Ma perché mai dovresti proporre un qualche cosa? Perché non lasciare il conflitto a loro, alle parti insieme; è il loro conflitto! JG: Hai ragione, sarebbe l’approccio ideale. Le due parti si cercano, si siedono al famoso tavolo che io cerco di rendere famigerato, dialogano una con l’altra, e le proposte non solo fioriscono, ma vengono anche attuate! Sarebbe certo la mia prima scelta, e la gente ragionevole si comporta così nei conflitti morbidi. Nel mondo reale, tuttavia, non tutti sono ragionevoli e non tutti i conflitti sono morbidi. Rifiutano di incontrarsi. Se si incontrano, si urlano contro. Se non urlano, se ne stanno ben bene sulle loro, se no vengono considerati cedevoli. Se propongono qualcosa, è per far sfigurare l’altro. Se dovessero mettersi d’accordo su qualcosa, potrebbe essere un piatto compromesso che non soddisfa nessuno. AD: Li ritrai come se fossero me, in varie forme, tutti attorno al tavolo, intenti a procrastinare, a prevaricare! JG: Tu sei ragionevole al confronto. Noi abbiamo almeno una qualche forma di dialogo. Ma permettimi di chiederti: cosa faresti tu? AD: Sono io il solo a fare le domande qui, a te tocca rispondere! Ed ecco la mia prossima domanda: perché non aspettare che siano loro stessi a formulare le proposte? JG: Risponderò, ma non per sempre. Loro non sono liberi di formulare proposte. Hanno i loro elettori che gli stanno seduti sulla schiena. Talvolta tentano di instillare delle idee nella mia testa, con la speranza che sia io a esporle. Il compito della parte esterna è quello di cercare di mutare il discorso, di aiutarli a parlare del conflitto in qualche altro modo, per esempio discutendo sul modo in cui le repubbliche dell’ex-Iugoslavia potrebbero cooperare, su come uno stato palestinese riconosciuto si rapporterebbe a Israele, ecc. AD: Bene, bene. E tutto questo senza violenza? JG: Se appena possibile, sì. Se si trovano proposte ragionevoli dappertutto, è molto più difficile che si scateni la violenza. Se i media e la società civile, le organizzazioni sociali e le autorità locali circondano le parti con proposte con le quali riescano, dopo qualche riflessione, a vivere, o perfino a convivere, la violenza e la guerra sembreranno non solo immorali, ma stupide. AD: Ma non è piuttosto ingenuo tutto questo? Al mondo ci sono forze enormi, grossi personaggi e grandi potenze, come li chiami tu, per non parlare del grosso capitale. Non finisci solo per mantenere in funzione il sistema, con qualche lavoretto di riparazione qua e là? La creatività non è un cambiamento piuttosto piccolo rispetto a quanto può investire in armamenti il grosso capitale? JG: 52 La creatività, nondimeno, può sortire piccoli miracoli, se la gente impara a fidarsi di più di se stessa. Inoltre, non permettere che le grosse risposte siano d’ostacolo alle piccole risposte. Una persona gravemente ferita in un incidente stradale ha bisogno di aiuto, non delle analisi brillanti di un esperto del traffico, per non parlare del sistema capitalista col suo traffico eccessivo. Io opterei per tutt’e tre gli approcci: la risposta La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) immediata, quella a medio termine e quella a lungo termine. Può darsi che noi conosciamo meglio le risposte immediate. AD: Ma non stai portando via il grosso del divertimento a quei ragazzi? Magari gli piace un po’ di violenza di tanto in tanto. Chi ti dice che puoi farlo? Con che diritto? JG: Semplicemente questo: la maggioranza vuole creazione e costruzione, non distruzione. Vogliono di più che un cessate il fuoco; vogliono la pace. 53 LE 50 UNITÀ PER IL TRAINING Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) GLI/LE OPERATORI/TRICI NEI CONFLITTI Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO I UNITÀ 1 - 5 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I 1 UNA PROFESSIONE EMERGENTE 1 2 3 4 5 Cominciate questa professione quando vi coinvolgete (o lavorate) in una formazione conflittuale come parte esterna, invitati o meno, a tempo pieno o meno. Quali sono i vostri obiettivi nel conflitto e qual è la vostra legittimazione? In quanto esseri umani siete coinvolti nella sofferenza degli altri in ogni parte del mondo, non perché un giorno potrà “travalicare” gli attuali confini colpendo voi/il vostro paese, ma perché la loro sofferenza è la vostra; in quanto esseri umani la vostra agenda consiste nel ridurre la distruzione e nell’esaltare l’aspetto creativo del conflitto; siete indipendenti, per conto vostro; non c’è nessuna agenda nascosta, nessun interesse nascosto, nessun potere economico/politico a spalleggiarvi; voi portate un insieme di nozioni generali e di competenze nei conflitti; empatia, nonviolenza, creatività; compassione; perseveranza; niente bastone e carota, premio/promesse, castigo/minacce; può darsi che siate carenti di informazioni specifiche sul conflitto locale, ma in compenso sarete ben disposti a imparare dai dialoghi con i partecipanti interni al conflitto, scambiando le nozioni generali con le nozioni locali, quelle sugli aspetti comuni a tutti i conflitti con quelle sugli aspetti peculiari di quel preciso conflitto, in cerca di soluzioni. Anche se appartenete a un’organizzazione (inter-)governativa o (inter-)nongovernativa, operando sul campo potete essere voi stessi, e questo incide in una certa misura sulla scelta del termine usato per descrivere il vostro lavoro: PROPOSTA Parole sbagliate: gestione del conflitto, conflict manager, delegato, consulente per i conflitti. Gli/le operatori/trici nei conflitti-per la pace, come gli/le operatori/ trici sociali, non stanno al di sopra degli altri. Dovrebbero cercare di portare aiuto e di fare un lavoro onesto, da bravi lavoratori, e non da consulenti profumatamente pagati. Anche i termini “mediatore” (che sta nel mezzo?, che mira al compromesso?) e “facilitatore” (che aumenta il conflitto?) possono essere troppo limitativi. “Operatore/trice nei conflitti” e/o “operatore/trice per la pace” sono termini più neutrali. Il termine francese animateur ne dà una buona descrizione. GIUSTIFICAZIONE Considerato • che in un mondo sempre più globalizzato le parti e gli obiettivi sono interconnessi, • che in tutte le questioni ci sono complicazioni e opportunità nascoste, e • che i mezzi della violenza sono facilmente accessibili, è ovvio che il mondo ha bisogno di migliaia di operatori/trici nei conflitti modesti/e e competenti/e, che sappiano introdurre una cultura superiore sul conflitto e sulla pace. PROBLEMA Ci si può trovare tra Scilla e Cariddi: non essere all’altezza della legittimazione indicata oppure avere un’agenda nascosta troppo grossa, inclusa quella nascosta a voi stessi/e. 58 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici 1 UNA PROFESSIONE EMERGENTE Forse bisogna sottolineare che l’operatore/trice nei conflitti non si limita • a fare un’analisi della situazione, • a lanciare allarmi sotto forma di predizioni, • a tenere discorsi e conferenze, o a scrivere articoli e libri. Lavorare sul conflitto significa prender parte a un conflitto, avendo sviluppato dialoghi con le parti volti a trasformare insieme il conflitto, cosicché le parti stesse possano governarlo da sole in modo nonviolento e creativo. Ma con quale diritto prendono parte a un conflitto persone non direttamente interessate in quanto attori interni o vittime? Vengono date cinque risposte (tutti gli elenchi del genere in questo Manuale possono essere usati come lucidi). Discutete le risposte con i/le partecipanti. Siete d’accordo? Ne siete all’altezza? Se no, cosa si dovrebbe o potrebbe fare in merito? Quali altre risposte possono essere (più) utili? Ovviamente, nel nostro mondo sempre più stretto e democratizzato i conflitti interpellano ognuno, non solo coloro che per ruolo politico o professionale devono impegnarvisi. In altre parole, c’è una sfida alla vecchia divisione del lavoro, in base alla quale i conflitti, in qualche modo, appartengono esclusivamente agli statisti e ai diplomatici. Il termine “operatore/trice nei conflitti” esprime appunto tale sfida. ESERCIZIO Vi sentite a vostro agio con il termine “operatore/trice nei conflitti” o “operatore/trice per la pace”? Fino a che punto? Avete qualche idea per un termine migliore? Magari “specialista”? I termini “giustificazione” e “problemi” compaiono in ciascuna Unità del Manuale e si potrebbe e dovrebbe discuterne. Che c’è da dire sull’idea che la globalizzazione implichi una partecipazione generalizzata al lavoro sul conflitto? E sull’idea che la democratizzazione globale implichi anche il diritto e il dovere di partecipare attivamente ai conflitti in ogni parte del mondo? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 59 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I 2 UN PROFILO PERSONALE (LA RELAZIONE CON IL SÉ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 60 State per prender parte a un conflitto. Niente di più facile che abbiate solo una conoscenza di seconda (terza, quarta) mano. Allora ponetevi prima qualche domanda personale. Ecco una lista di controllo in 10 punti: Motivazione: perché lo faccio, per amor loro o più che altro per me, per la mia promozione, per la mia eventuale fama, reputazione, esperienza? Conoscenza generale: possiedo effettivamente una visione generale dei conflitti, o più che altro un retaggio su cui non ho mai riflettuto, del “buon senso”? Conoscenza specifica/locale: ne so abbastanza per fare domande valide, o non sono disposto a capire gli aspetti specifici? Abilità: ho sufficienti abilità mentali, interlocutorie, d’ascolto (compreso il silenzio!), o intendo imporre le mie vedute? Empatia: ho una sufficiente maturità personale da percepire le elaborazioni interiori di Altri, o tendo ai pre-giudizi e alle proiezioni? Nonviolenza: sono nonviolento nelle azioni, nel discorso e nel pensiero, o perdo facilmente le staffe, diventando verbalmente violento? Creatività: il Conflitto come Creatore mi stimola a produrre idee, o vedo soltanto il Conflitto come Distruttore? Compassione: sento davvero la sofferenza potenziale o effettiva delle vittime del Conflitto come Distruttore, o per me sono solo oggetti? Perseveranza: ho la capacità di andare avanti, ancora e ancora, a dispetto dei pronostici, o mi sento avvilito quando “loro” non seguono i miei consigli? Processo: ho la volontà e il desiderio di migliorare, o piuttosto una tendenza a considerarmi pronto, completo, del tutto preparato? Contate i vostri punti forti (la prima risposta): “sotto 7”= non va; “da 7 a 8”= lavorate sui vostri punti deboli; “da 9 a 10” (se siete onesti) = buono, sembrate pronti come operatori/trici nei conflitti. Potete sempre migliorare in tutte le dimensioni: le troverete gratificanti in ogni contesto umano. State per svolgere un ruolo potenzialmente importante nella vita di altre persone. Avete un compito importante. Non c’è bisogno che siate super-umani, ma siate preparati, pronti al lavoro, miglioratevi. Sarà un’esperienza dura anche per voi. Come faccio a sapere qual è la risposta vera? Dentro di voi, la sapete per quasi tutti i dieci punti; ma poi chiedete ad altri! Invitate altre parti coinvolte nel conflitto a dirvelo, non offendetevi; sopportate le critiche, possono solo farvi crescere. Inoltre c’è un metodo: la meditazione. Non prendete parte ad alcuna sessione come operatore/trice nei conflitti senza quest’intimo dialogo per accrescere la consapevolezza dei vostri punti forti e dei vostri punti deboli. Create una discussione interiore tipo tavola rotonda sui vostri pro e contro, ammettendo le vostre carenze. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici 2 UN PROFILO PERSONALE (LA RELAZIONE CON IL SÉ La lista dei dieci punti raccoglie i punti trattati nella precedente Unità 1. Prestate attenzione all’idea che l’operatore/trice nei conflitti non è tenuto/a a essere un/a esperto/a delle condizioni locali, come la cultura e la struttura locali. E ci sono due ragioni: 1 pochissime persone lo sono, al di fuori di quelle del posto; non è detto che lo siano nemmeno coloro che vivono in altre parti dello stesso paese e coloro che spesso non sanno nient’altro (gli “specialisti di area”), e che si trovano ad avere una visione troppo ristretta per accorgersi del contesto. Inoltre, può darsi che non sappiano nulla sui conflitti; 2 voi state per partecipare a un dialogo, che significa dare e prendere da entrambi i lati. Un’ottima base per uno scambio paritario è che voi apportiate la conoscenza generale sui conflitti, e il vostro interlocutore quella specifica, locale. Questo vi rende uguali e stabilisce un’ottima base per una serie di dialoghi in cui voi chiedete se questa o quell’idea generale funzionerebbe, ed essi vi dicono i motivi locali del perché sì o perché no. Se padroneggiaste appieno la conoscenza generale e quella locale, sareste troppo preponderante come parte esterna! Ma questo comporta un problema. Dopo qualche tempo non sarete più “innocenti” in merito alla conoscenza locale, bensì probabilmente ne saprete di più di quasi ogni altro, inclusa la maggior parte delle persone del posto, su questioni che riguardano il conflitto. I vostri interlocutori locali saranno stati i vostri informatori. Magari farete ancora domande, che però potranno suonare ipocrite; è altrettanto probabile che le persone del posto comincino a farvi domande sulla situazione locale. La soluzione può apparire brutale, ma ha i suoi buoni motivi: il tempo è scaduto, passate a qualche altro conflitto, salvo tornare indietro quando ci sia una qualche novità nella situazione che la renda come nuova. Come i diplomatici, anche gli/le operatori/trici nei conflitti possono dover essere riciclati. D’altronde, l’obiettivo non è diventare professori in studi di area. Come preparazione, che cosa pensate di dover recuperare/qual è il vostro deficit principale? Parlatene con qualcuno che vi conosca bene e voglia aiutarvi, non denigrarvi. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 61 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I 3 UN PROFILO SOCIALE (LA RELAZIONE CON LA SOCIETÀ 1 2 3 4 5 6 IDEALE PROBLEMI 62 Chi sono gli/le operatori/trici nei conflitti? Ognuno, chiunque, tu e io. Tuttavia qualcuno sembra essere più uguale degli altri, in base ai seguenti criteri: Genere: le donne piuttosto che gli uomini. Le donne generalmente si cimentano meno nella violenza fisica, sono più sensibili agli altri esseri umani e ai loro bisogni fondamentali, meno impressionate dalle strutture materiali e sociali, più olistiche, meno inclini a dominare l’altra parte, migliori ascoltatrici. Con gli uomini i dialoghi facilmente degenerano in dibattiti, i dibattiti in violenza verbale, ecc. Generazione: le persone più anziane e le più giovani piuttosto che quelle di mezza età. L’esperienza conta, e altrettanto l’idealismo; specie se insieme. Razza: nessuna differenza, salvo che per le relazioni sociali. Gli/le operatori/trici nei conflitti di altre razze non si mescolano bene con i razzisti. Ceto: di ceto medio piuttosto che di ceto elevato. Le classi superiori possono identificarsi di più con le élites di stato, nazionali e di classe. Possono essere trans-statali/-nazionali, ma solo in modo molto elitario. Potrebbero essere più promettenti persone con una buona cultura, di ceto medio, di medio reddito, con molte interazioni con altre persone. Nazione: nazioni morbide piuttosto che dure. Non si esclude alcuna religione né alcuna ideologia, salvo le varianti dure, che escludono gli altri e sono intolleranti verso chi ha fedi diverse. Territorio: piccolo piuttosto che grande. Le persone che provengono da stati grandi spesso assumono atteggiamenti autoritari da grande potenza. Chi viene dalle capitali è abituato a considerare pericolose e sotto-amministrate le periferie. Le persone che provengono da luoghi più modesti sono più abituate a risolvere i problemi senza gli eserciti. Le persone che fanno parte di organizzazioni non-governative sono anch’esse abituate a risolvere i problemi senza far ricorso alla polizia e ai soldi, e inoltre hanno una mentalità più mondialista. Una donna non troppo giovane, di qualunque razza, di ceto medio per status/reddito e istruzione, ispirata da una religione/ideologia morbida, proveniente da un paese piccolo, collegata alle realtà locali e alle ONG di tutto il mondo. Prendere tutto ciò troppo seriamente, o prenderlo troppo alla leggera. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici 3 UN PROFILO SOCIALE (LA RELAZIONE CON LA SOCIETÀ Anche qui, non prendete questi punti troppo sul serio, ma nemmeno troppo poco. I conflitti più fondamentali e più duri del mondo in realtà sono “gestiti” da persone con un profilo opposto: uomini di età media, bianchi, di ceto elevato per status, reddito o istruzione, spesso radicati in una religione/ideologia molto dura e intransigente (e spesso senza che se ne rendano conto), collegati più a livello di stati e loro raggruppamenti o a livello globale che a livello locale e di ONG. Anche se qualcuna delle sei ipotesi elencate dovesse essere modificata, l’esperienza quarantennale dell’autore è risolutamente a favore dell’introduzione di un maggior numero di persone con il profilo raccomandato. Ma quello che in fondo conta di più sono i fattori personali esposti nelle Unità 1 e 2. D’altro canto, valide esperienze e relazioni con le ONG sono pur sempre cruciali. I governi sono vincolati dalle regole del gioco e dai ruoli – talvolta letali – che sostengono. Soprattutto, si presume che promuovano l’interesse del proprio paese, che non s’identifica necessariamente con la pace. Proprio perché ciò che fanno è potenzialmente pericoloso, possono essere indotti sia a sopravvalutare ciò che si può ottenere con la forza, sia ad avere timore a usarla. In effetti, i governi possono andarsene dai luoghi in cui i volontari restano ancora. Le ONG sono spesso più flessibili, possono permettersi di attingere alle loro esperienze nel mondo intero per nuovi spunti, anziché solo a persone e paesi dello stesso colore politico. In genere le ONG possono organizzare coalizioni più velocemente dei governi. Possono oltrepassare i confini del conflitto, costruendo le società civili. Questo ovviamente ha portato molti governi a operare mediante ONG, che allora diventano OGNG ambigue, “organizzazioni governative/non-governative”. Ma perfino queste possono essere più flessibili e costituire una proiezione “dal volto umano” del proprio governo, forse in particolare quando vi siano coinvolte delle donne. Tale atteggiamento è una forma di patrocinio verso le donne? È essenzialista, preconcetto/discriminatorio verso gli uomini? E com’è riguardo alle altre dimensioni, quali generazione, razza, classe, nazione, paese d’appartenenza? E se si trascurasse del tutto il profilo sociale, focalizzando l’attenzione solo sulla personalità individuale? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 63 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I 4 LA RELAZIONE CON GLI ALTRI, CON LE PARTI IN CONFLITTO L’atteggiamento di base verso le parti interne in un conflitto dovrebbe essere il rispetto, anche quando non siete in grado di provare alcuna simpatia, o di comprendere la loro causa a livello intellettuale. Considerate quanto segue: tutti loro vogliono decisamente conseguire qualche obiettivo, altrimenti il conflitto non sarebbe così serio rispetto all’entità del loro coinvolgimento e delle possibili conseguenze. Le altre parti vengono viste come ostacoli che bloccano il conseguimento dei loro obiettivi. Se l’altra parte è altrettanto risoluta a non cedere su qualche suo obiettivo, del tutto o in parte, allora sono preclusi sia il ritiro che il compromesso. Se, per giunta, non sono in grado di trascendere il conflitto, “andando al di là”, esplorando nuove vie d’uscita, allora le parti sono bloccate. Come la maggior parte degli esseri umani, tenderanno a dare la colpa agli altri, alle parti che gli stanno tra i piedi. E così s’instaurano atteggiamenti distruttivi, che passano via via dai pensieri o dai desideri alle parole e poi alle azioni, per fare fuori l’altra parte. La violenza, in una parola. Nessuno ne è immune, a casa, a scuola, al lavoro. Dovreste riconoscerla, quando la vedete. Ma voi avete un vantaggio: dato che siete una parte esterna al conflitto, gli obiettivi delle parti interne per voi non sono altrettanto costrittivi. Quindi non siete bloccati come lo sono loro, ma – in linea di principio – siete liberi di essere creativi, insieme a loro. Il vostro compito è aiutarle a liberare la loro creatività e la vostra, mediante il dialogo. GIUSTIFICAZIONE Il dialogo, lo strumento chiave in questo approccio, presuppone il rispetto reciproco, da pari a pari. Il vostro compito consiste nel rispettarli, e nel meritare il loro rispetto. PROBLEMI Invece di rispettare gli/le altri/e, potreste essere tentati di: • psichiatrizzare, considerandoli alla stregua di malati mentali, da curare; • criminalizzare, considerandoli come degli immorali, da punire; • idiotizzare, considerandoli semplicemente come degli stupidi, da educare. Se fate così, vi mettete al di fuori dell’approccio rispettoso raccomandato qui. Cercate di recuperare questo rispetto per l’Altro/a. Un giorno, l’Altro/a potreste essere voi. 64 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici 4 LA RELAZIONE CON GLI ALTRI, CON LE PARTI IN CONFLITTO A questo punto val la pena rammentare gli atteggiamenti standard che di solito abbiamo, tutti quanti, verso le parti in un conflitto. Vediamo le parti e i loro obiettivi. Di solito ci identifichiamo di più con una parte (o con un gruppo di parti) che con l’altra, e di solito più con un obiettivo che con gli altri. La formula è semplice: ci identifichiamo di più con coloro che sono più simili a noi (per età, genere, razza, classe, nazionalità, paese, raggruppamento internazionale) e con gli obiettivi (religione/ideologia) più simili ai nostri. E dall’identificazione al desiderio che siano loro a prevalere il passo è breve. In breve, dicotomizziamo, suddividendo la formazione conflitttuale in due parti perché è la cosa più facile da fare, e trattiamo gli obiettivi alla stessa stregua. L’unico problema ci si pone quando la parte/le parti che ci è/sono più congeniale/i tende/tendono ad avere gli obiettivi che ci sono meno congeniali e viceversa. Ma di solito la nostra mente ci protegge da dilemmi del genere con formule del tipo: “questo è soltanto quello che dice, ma in fondo quello che effettivamente intende è...”. All’operatore/trice nei conflitti si richiede davvero di mettere da parte tutto questo in favore di un atteggiamento più simmetrico riguardo alle parti e ai loro obiettivi, di ascoltare pazientemente nei dialoghi le loro verità, di fare delle verifiche, forse anche di protestare, ma senza condannare o rifiutare mai nessuno. Inoltre ci si aspetta che egli/ella veda ciò che succede alle parti in un conflitto come una cosa normale, e un test consiste proprio nel chiedersi come avrebbe effettivamente reagito egli/ella stesso/a in un conflitto simile. Come funziona quanto appena detto per un medico? Immaginiamo che egli/ella suddivida i pazienti in gradevoli e non, favorendo gli uni e rifiutando gli altri per le cure. Un medico, in qualche modo, deve accettarli tutti, senza badare a età, genere, razza, classe, nazione, territorio. Deve cercare di assisterli tutti, evitando idee come “questo è quello che si meritano”, “devono soffrire ancora prima di essere maturi per la cura”, “non sono ancora maturi”. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 65 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I 5 GLI/LE OPERATORI/TRICI NEI CONFLITTI: E L’OBIETTIVITÀ? Si dice spesso che un/a operatore/trice nei conflitti dev’essere obiettivo/a, neutrale. Bene, ma cosa significa? Nella selezione dei membri di una giuria, uno dei criteri è che le persone non abbiano alcuna posizione predefinita, ma siano pronte ad ascoltare le prove e le argomentazioni pro e contro. Le persone devono iniziare come una tabula rasa, una lavagna pulita, senza essere esposte alla presentazione del caso nei media. Ma questo presuppone un isolamento sociale incompatibile con l’impegnativo lavoro nella giuria. La richiesta più blanda di “un’esposizione al caso, ma senza una presa di posizione”, per indicare una persona che può essere “informata” senza essere però “impressionata”, definisce anch’essa un essere abbastanza strano. Piuttosto, il vostro compito consiste nell’ascoltare tutte le parti, e poi nell’essere creativi, magari cercando di favorirle tutte almeno un po’. Il temine modesto di “operatore/trice” porta con sé quest’idea, a differenza di “gestore”, manager. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe essere abbastanza vicino a ogni parte per avere una conoscenza sufficiente del conflitto, e tuttavia abbastanza distante da non essere troppo attaccato/a ad alcune parti a spese delle altre. Ma l’essenziale è l’obiettività nel senso di avere criteri espliciti per formulare opinioni e proposte, quali i bisogni e i diritti umani fondamentali. Non va altrettanto bene essere “obiettivisti” e semplicisti, alla ricerca di un risultato equidistante, nel mezzo (da “mediatore”). Il compromesso è di solito un risultato non creativo, in quanto opposto a un trascendimento. Meglio giocare apertamente, con criteri espliciti, e cercare qualcosa di nonviolento, creativo e costruttivo. GIUSTIFICAZIONE Le parti hanno diritto di sapere chi sia l’operatore/trice nei conflitti, nel senso di conoscere le basi per le posizioni che assume. Quindi, questi criteri possono e devono essere esplicitati. PROBLEMI L’operatore/trice nei conflitti verrà giudicato/a sulla base di dati di fondo, quali nazionalità, cittadinanza, genere ecc. Criteri espliciti, quali la nonviolenza e la creatività, possono essere utili, ma possono anche diventare una gabbia del pensiero, insufficiente a sopportare il carico di conflitti complessi. 66 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici 5 GLI/LE OPERATORI/TRICI NEI CONFLITTI: E L’OBIETTIVITÀ? Queste considerazioni verranno riprese in seguito. C’è un certo scetticismo verso il termine “mediatore” in quanto può indicare l’assunzione di una posizione “nel mezzo” e una preferenza per il compromesso, mentre vengono trascurati il ritiro e soprattutto il trascendimento. Il termine può anche suggerire il fare la spola fra le parti, allo stesso tavolo o no. Il che può essere utile, ma può anche non esserlo. Può anche darsi che la chiave per la trasformazione del conflitto risieda in una delle parti soltanto, come quando gli statunitensi bianchi abolirono la schiavitù, o come quando il blocco orientale nella guerra fredda si dissolse all’improvviso, implose. Quel che accadde non fu un compromesso risultante da una mediazione; non ci fu alcun negoziato, né alcun accordo: semplicemente, una parte/un ruolo sparì. Un altro punto è l’obiettività come esplicitazione. Questo è un ammonimento contro la tentazione della manipolazione. L’operatore/ trice nei conflitti dovrebbe esplicitare quali sono i valori fondamentali, come “rispettare i bisogni e i diritti fondamentali”, “evitare la violenza”, “essere creativi”. E il metodo: il “dialogo”, basato sull’“empatia”. Un possibile punto d’ancoraggio per il lavoro sul conflitto (e anche per il lavoro per lo sviluppo) sono i bisogni umani fondamentali. Eccone un breve elenco: SOPRAVVIVENZA Morte BENESSERE Miseria LIBERTÀ Repressione IDENTITÀ Alienazione BISOGNI FONDAMENTALI Contrari Non si dovrebbe cercare di metterli in un ordine gerarchico, dando la priorità a uno di loro rispetto agli altri, perché sono tutti fondamentali, non-negoziabili, basilari. L’operatore/trice nei conflitti non farà mai grossi errori se li richiede tutti e quattro per tutte le parti in un conflitto. Il che significa preoccuparsi maggiormente delle parti che hanno maggiori deficit da colmare nei bisogni, cercando di promuovere un trascendimento in loro favore senza creare carenze analoghe nelle altre parti. E qualsiasi accordo che non rispetti i bisogni fondamentali delle parti è un fallimento. Immaginate di essere un/a operatore/trice nei conflitti ai tempi della schiavitù. • Cosa vorrebbe dire “obiettività”? • Essere una “terza parte”? • Neutralità? • Compromesso? • Trascendimento? • Che cosa proporreste voi? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 67 IL DIALOGO Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO II UNITÀ 6 - 10 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II 6 LO STRUMENTO DELL’OPERATORE/TRICE NEI CONFLITTI Il dialogo (διάλογος), mediante le parole, è il metodo chiave degli/lle operatori/trici nei conflitti-per la pace. Tale metodo sta ad altri approcci più duri come la psicanalisi sta alla psichiatria. Lo strumento è la parola, logos: non solo proferire la parola, ma condividere la parola, insieme. Un “dialogo” è un brainstorming reciproco. Un buon modello è la conversazione: rilassata (prestate attenzione al linguaggio corporeo!), godendo del flusso delle parole. Nessuno parla per più di X (60?) secondi alla volta, ascoltando, facendo associazioni, senza combattere. Un altro modello è un buon seminario/convegno: siete lì per aiutare gli altri, arrivando insieme a riflessioni profonde, che non sono proprietà o trofeo di qualcuno, bensì appartengono a tutti/e – senza degradare o umiliare gli/le altri/e. La storia che le parti raccontano, la loro verità, può essere la storia più importante della loro vita. Ascoltate. Fate domande e verifiche, date aiuto, mostrate rispetto. Se credete di avere già la risposta e che il vostro lavoro consiste solo nel persuadere quei matti/criminali/ imbecilli, siete sulla strada sbagliata. Un indicatore di quella giusta è la capacità di concludere le vostre frasi con punti interrogativi anziché esclamativi. Un altro è la vostra capacità di imparare. Mai promettere ricompense o minacciare punizioni. Il vostro compito è facilitare un loro cammino verso la trasformazione del conflitto, facendo emergere le loro intuizioni, aumentando la loro capacità di essere creative. Il vostro metodo è cognitivo ed emozionale, non ha niente a che fare col potere del bastone (militare) o della carota (economico). GIUSTIFICAZIONE Non si può fare tutto con le parole e con il linguaggio corporeo. Ci sono approcci “muscolosi” più duri, stile bastone e carota; ma non nell’àmbito di questo lavoro morbido sul conflitto, che ne ricerca la trasformazione con mezzi pacifici. PROBLEMI Ci sono due trappole principali. Un primo pericolo è che, in realtà, promettiate ricompense e/o minacciate castighi, cioè che abbandoniate l’incontro di menti e spiriti in cerca di vie d’uscita. E l’altro pericolo è lo slittamento dal dialogo al dibattito su “chi ha ragione”, nel tentativo d’imporre la vostra “soluzione”. Il vostro compito non è lottare verbalmente con gli altri, bensì comprendere le loro verità tanto profondamente quanto loro stessi/e, e poi cercare un risultato accettabile, sostenibile. 70 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici 6 LO STRUMENTO DELL’OPERATORE/TRICE NEI CONFLITTI Il linguaggio corporeo è una parte importante del dialogo, e dipende a sua volta dal setting. Le sedie dovrebbero essere comode, in modo che il corpo si rilassi invece di stare diritto, come se si aspettasse momenti di tensione, pronto a correre o a combattere; e non dovrebbero essere disposte una di fronte all’altra, perché così si indica una contrapposizione, ma piuttosto essere quasi parallele, come se guardassero insieme un obiettivo lontano, appena angolate per favorire il contatto visivo reciproco. Affinché uno scambio verbale sia davvero un dialogo, nessuna parte dovrebbe avere idee troppo definite su una qualche conclusione, né sulla propria, né su quella che – nelle sue speranze – dovrebbe essere la conclusione altrui. Ricordate sempre che il “dia” del “dialogo” non sta per “due”, per cui il dialogo è aperto a qualsiasi numero di interlocutori possa prender parte in modo confortevole a una conversazione; probabilmente non più di sette. Potrebbe non esserci neppure una conclusione, il processo essendo più importante del risultato. Ma la prova che c’è stato davvero un dialogo è data dalla sensazione di arricchimento e dal desiderio condiviso di continuare. Cercate di terminare la sessione con un qualche giustificato ottimismo. Come esempio di un non-dialogo, leggetevi un qualsiasi dialogo di Platone, senza badare a tutta la saggezza che fluisce dalla bocca di Socrate, bensì prestando attenzione a quello che “l’altro” dice: – Sì, Socrate. – Ben detto, Socrate. – Adesso capisco, Socrate. E così via. Il problema è che molti hanno Socrate come modello di dialogo, senza riflettere su cosa significhi: un modo brillante di far valere il proprio punto di vista usando la forma dialogica per discutere su obiettivi. Provate a dialogare in coppia senza discutere. Trovate una tematica su cui nessuno dei due abbia una posizione ben netta, poi provate a passare a una tematica più controversa. Riprovate. Riprovate ancora. È così facile come credevate? ESERCIZIO Quale tipo di tematica era più gestibile nel dialogo e quale meno? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 71 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II 7 SEPARATAMENTE O CON TUTTE LE PARTI ATTORNO A UN TAVOLO? Quello che si raccomanda qui è di non mettere insieme le “parti”. Prima o poi potrebbero doversi incontrare, ma non cedete all’ossessione diplomatico/politica di “riunirle attorno a un tavolo”. Ecco alcune delle tante ragioni: 1 2 3 4 5 6 Il tavolo può servire come continuazione della guerra con mezzi verbali, passando dalla violenza fisica a quella verbale, dagli spari alle urla, dal conflitto basilare al meta-conflitto. Le parti si trovano sotto una duplice pressione negoziale: quella esercitata dalle altre parti e quella esercitata dai propri rappresentati o dai propri superiori, relativamente ai mandati che hanno ricevuto. In questo tipo di setting qualsiasi speculazione, qualsiasi segno di creatività può essere interpretato come debolezza e quindi non venir espresso. Un grande pericolo è che questa ripetizione verbale della logica militare possa essere usata da “terze parti”, come qualche grande potenza, per dominare la situazione di stallo – e infatti esse spesso “presiedono” questi campi di battaglia verbali. Il tavolo può anche trasformare i partecipanti in altrettanti ipocriti che si impegnano in una gara di autocolpevolizzazione e di offerte stravaganti. La tesi che debbano imparare a vivere l’uno con l’altro presuppone la convivenza come risultato, mentre può essere molto meglio la separazione o un atto unilaterale che faccia svanire il conflitto (come nell’autunno 1989 nell’Europa Orientale). Piuttosto, l’operatore/trice nei conflitti-per la pace dovrebbe sedersi con ciascuna delle parti, una per volta, facendo verifiche (Socrate!), immaginando possibili futuri insieme, senza fare negoziati. Il compito è quello di comprendere e contribuire a liberare la creatività di quella specifica parte, e la presenza di qualunque altra parte può impedire questo processo. Si dovrebbe fare così con tutte le parti, una alla volta, meglio se contemporaneamente, il che richiederebbe un gruppo di operatori/trici nei conflitti. GIUSTIFICAZIONE Riunire le parti attorno a un tavolo sotto una presidenza ispirata è soltanto uno dei vari approcci praticabili. Il do ut des mirato a risultati di compromesso vale quanto l’argento; la creatività per andare oltre (“trascendere”) vale quanto l’oro. Un’atmosfera cooperativa/creativa non emerge facilmente fra parti timorose di sembrare deboli, o che semplicemente si odiano. PROBLEMI Ovviamente, ciascuna parte chiederà: “Come reagiscono gli altri a questo tipo di proposte?”. Voi potete fare da intermediario, da navetta; potete incoraggiare un contatto diretto; potete dire: “Un momento, sviluppiamo la cosa un po’ meglio”. Ma non dovreste mai rivelare le posizioni delle altre parti, a meno che non lo vogliano loro stesse. 72 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici 7 SEPARATAMENTE O CON TUTTE LE PARTI ATTORNO A UN TAVOLO? Per favore, tenete presente che questa non è un una presa di posizione generale contro i tavoli, bensì solo contro la “tavolomania”, contro il voler far incontrare le parti prematuramente. Le parti possono non essere pronte a incontrarsi attorno a un tavolo. Ci sono buoni motivi per cui i terapeuti delle famiglie tendono a parlare, in un primo momento, con un familiare per volta. Il tavolo può dare l’illusione che stia succedendo qualcosa, può persino offrire una concreta opportunità per una foto di gruppo, mentre, in realtà, non è che un setting per monologhi paralleli, spesso violenti e non creativi. D’altro canto, il tavolo è uno spazio pubblico che ha il vantaggio di rendere visibile e udibile a tutti qualsiasi cosa vi accada. Ma attenzione: è proprio per sfuggire a questo che le parti s’incontrano bilateralmente, nei corridoi e altrove, il che rafforza la tesi che potrebbe essere più produttivo se incontrassero anche un operatore/trice nei conflitti esperto/a. Molte parti attorno a un tavolo possono essere “gestite” da un presidente, definibile allora propriamente come “gestore di conflitti” (il che può anche costituire una forte motivazione per questo tipo di approccio). Molte parti impegnate in dialoghi con operatori/trici nei conflitti potrebbero richiedere tanti/e operatori/trici nei conflitti quante sono le parti stesse, con ciascun operatore/trice che si specializza nel trattare con una data parte in base ai livelli di empatia. Ciò permetterebbe di poter condurre i dialoghi contemporaneamente con ciascuna parte, anziché in sequenza, cosa che potrebbe ingenerare il sospetto che la prima parte contattata definisca l’agenda a proprio beneficio. Inoltre sarebbe possibile specializzarsi nella relazione con determinate parti. Ovviamente, gli/le operatori/trici nei conflitti dovrebbero lavorare come una squadra, condividendo le riflessioni. E potrebbero anche dover affrontare qualche tensione del conflitto originario, ma a un livello più basso, come quando un inviato di Castro che sta negoziando con i Tupac Amaru ha un dialogo con un inviato del Papa che sta negoziando con il governo peruviano (v. l’esempio proposto prima, Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: un esempio, a pag. 14). Provate a fare un gioco di ruolo, immaginandovi proprio nei quattro ruoli suddetti. Provate a esercitare l’empatia, scrivete una scenetta, recitatela anche! La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 73 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II 8 RIFLESSIONI SUL SETTING Di fondo, il setting è in sé indifferente, può essere qualsiasi posto in qualsiasi momento. Sarebbe auspicabile che fosse rasserenante per lo spirito, piacevole allo sguardo (ma non talmente bello da diventare fonte di disturbo), all’udito (né rumoroso, né mortalmente silenzioso; si può anche aggiungere un po’ di buona musica), all’odorato e al gusto: mangiare insieme, con buoni cibi e buone bevande, è un’ottima cosa; vanno bene anche le passeggiate insieme. Potrebbe anche andar bene, se fatto con cautela, riunire insieme tutte le parti e i/le rispettivi/e operatori/trici nei conflitti; ma non è detto che siano pronte a tanto, perché i dialoghi possono non essere giunti a uno stadio sufficientemente avanzato. La regola fondamentale è la concentrazione, l’ascoltare attentamente la voce dell’Altro e le voci interiori nel Sé. Ci sono vari modi di accorgersi di quando una parte è “matura”, ha delle idee ed è disposta a condividerle. Se fosse possibile, il tempo non dovrebbe avere un limite definito. Un termine temporale prefissato non va bene; può indurre un senso di fallimento se i partner non sono capaci di utilizzare produttivamente il tempo loro assegnato. Se sono presenti altri soggetti (come l’ospite, l’organizzatore, le persone affette da presenzialismo, il ricercatore in cerca di dati per una tesi, per avanzare ipotesi, o per produrre materiale didattico), le parti in dialogo hanno il diritto di sapere chi siano costoro, perché stiano lì, e di chieder loro di andarsene se li trovano d’ostacolo. Siccome il modello è una conversazione a ruota libera, tali persone in genere non c’entrano. I partecipanti al dialogo dovrebbero essere liberi di fantasticare e venir liberati da qualsiasi pressione a mettersi in posa per degli estranei, giornalisti inclusi, per non dire dottorandi che raccolgono dati. Si dovrebbe anche evitare di registrare e prendere appunti perché è sconveniente in una buona conversazione. GIUSTIFICAZIONE Tutto ciò serve a facilitare il libero flusso delle idee e l’emergere di idee nuove, a scoraggiare la degenerazione dei dialoghi in dibattiti e l’assunzione di pose per le altre parti e per terze parti di ogni sorta. PROBLEMI Può risultare difficile vivere con la pressione di arrivare a qualcosa di nuovo; quindi date un grande benvenuto anche a piccole idee. 74 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici 8 RIFLESSIONI SUL SETTING Di solito gli hotel non sono posti da raccomandare se ci sono altri ospiti; inoltre possono avere troppi aspetti che distraggono l’attenzione. Ci sono invece buone ragioni in favore di luoghi appartati, persino di monasteri di ordini religiosi, anche per ispirare rispetto per l’occasione. In questa fase della trasformazione di un conflitto bisogna evitare qualsiasi cosa che possa ricordare un tavolo negoziale. Si deve anche cercare di non rendere troppo bello il contesto: può sì innalzare lo spirito e creare una sensazione di adempimento, ma questa sensazione può essere appunto dovuta più al contesto che a un qualsiasi testo prodotto dalle parti stesse, e inoltre può dissolversi velocemente. Mentre si attua un brainstorming o analoghe pratiche seminariali, specialmente quando siano presenti varie parti e operatori/trici nei conflitti, certi semplici strumenti tecnici risultano utili. Lavagne tradizionali, lavagne a fogli mobili e/o fogli alle pareti, con gessi e pennarelli in quantità – a disposizione di tutti, non solo del conduttore – servono a rendere le idee più visibili, quando la conversazione comincia a produrre idee. Ricordatevi che quello che un/a partecipante può avere a disposizione nella sua testa per un uso produttivo in un dato momento è limitato. Si possono stabilire relazioni fra le idee emerse numerandole, raggruppandole, tracciando frecce e così via. Se le idee vengono trasposte su schede, si può effettuare l’operazione perfino fisicamente, con un politico e un/a operatore/trice nei conflitti accovacciati insieme a sistemarle sul pavimento. Ma potete anche usare un tavolo! Disegnate con una matita un buon setting per un buon dialogo. Fatelo semplice, non dispendioso, ma attraente. ESERCIZIO Avviate un dialogo sui disegni appena fatti, in modo da moltiplicarli e migliorarli; usate lavagne, blocchi di fogli appesi e schede per organizzare le idee emerse. È meglio pensarci in anticipo: il tempo può essere scarso quando un conflitto si surriscalda. ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 75 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II 9 LA PROSPETTIVA SOCIALE PROFONDA Il Medio Evo è ancora con noi. La guerra è ancora vista come una responsabilità delle élites: se le guerre hanno origine nelle menti delle élites, allora sarà nelle menti delle élites che le guerre vengono concluse. Tutto sbagliato. I soggetti passivi di quei tempi andati sono i cittadini d’oggi potenzialmente attivi, consapevoli e istruiti almeno come la gran parte dei diplomatici e degli statisti, che richiedono di assumersi la loro quota di responsabilità per la guerra come per la pace. L’operatore/trice nei conflitti opera con la gente comune, con le élites e con i livelli intermedi. L’operatore o l’operatrice nei conflitti si rivolge allo Stato (ai suoi poteri legislativo ed esecutivo), al Capitale (persone chiave del mondo degli affari sono molto importanti), alla Società Civile (ONG, istituzioni accademiche, religiose, ideologiche), ai Media, cercando ovunque di liberare idee creatrici di trasformazione. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI Approccio sbagliato Proposta Approccio sbagliato Proposta Approccio sbagliato Proposta L’idea che il lavoro sui conflitti sia appannaggio di leader/élites è incompatibile con gli ideali democratici di partecipazione popolare, con la partecipazione creativa di ognuno/a. Siamo tutti motivati, in quanto vittime o beneficiari dei conflitti. Per riassumere/anticipare trappole e proposte: “Fateli incontrare intorno a un tavolo!”. Il “tavolo” può andar bene al termine di un percorso che prepari le parti a un nuovo inizio, mediante l’empatia, la nonviolenza, la creatività. L’operatore/trice nei conflitti è un/a interlocutore/trice di ogni parte, e non usa il bastone e la carota per imporre loro una “soluzione”. Tavoli che riuniscono soltanto i leader/le élites. Fate fiorire diecimila dialoghi, fra le élites e la gente, fate confluire tutte le idee in un serbatoio per la pace, un Bacino Nazionale Lordo delle Idee (BNLI). I leader firmano accordi negoziati/ratificati. È utile come elemento di un processo di pace, ma l’approccio è elitario, addirittura feudale. È meglio un processo di pace negoziato con referendum popolari, revisione e reversibilità. Il problema concreto con questi tre “approcci sbagliati” è che sono così intessuti nella nostra cultura sulla pace e sui conflitti che la gente ha difficoltà a scorgere alternative. Mirate a dialoghi profondi che si sommino ai tavoli, alla gente comune oltre che alle élites, alla struttura e alla cultura, anziché alle sole parole. 76 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici 9 LA PROSPETTIVA SOCIALE PROFONDA L’approccio convenzionale al conflitto si basa su una prospettiva sociale superficiale che coinvolge solo i vertici. Esempio ne fu/è il conflitto in e per la Iugoslavia, che ha coinvolto a Dayton in Ohio solo tre persone (i presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia), gestite da un diplomatico statunitense. La prospettiva sociale profonda coinvolgerebbe invece vari gruppi della società civile, non solo uomini di stato e leader nazionali. Il risultato sarebbe una serie di dialoghi paralleli. Nel caso iugoslavo le persone selezionate per il tavolo negoziale erano prevalentemente dei “signori della guerra”, mentre erano trascurate le “signore della pace” di ogni parte del paese e la gente in generale, che s’incontrava e dialogava ovunque in Iugoslavia, nei villaggi, nei bar, nei ristoranti. Le idee che ne emergevano andarono disperse, senza registrazione, comunicazione e attenzione, il che equivale a uno spreco enorme di energie umane, per focalizzarsi su idee forse neanche tanto buone di una manciata di politici di vertice maschi. Come rendere visibili e udibili informaticamente le idee emerse in centinaia o forse migliaia di dialoghi? Come organizzare un flusso elettronico di idee verso la società? Ecco alcune proposte da vagliare: ESERCIZIO • fare animare/stimolare i dialoghi da operatori/trici nei conflitti, registrando sistematicamente le idee che ne emergono; • pervenire a un formato standard come Idea/Giustificazione/ Problemi; • praticare una guida garbata dei dialoghi per toccare tutti i tre aspetti; • far fluire tutte le idee in un qualche punto centrale; • molte idee saranno essenzialmente identiche, per cui è opportuno arrivare a una formulazione comune che le includa tutte (si conservino però le formulazioni originali); • altre idee possono essere non-tanto-buone (si conservano lo stesso per un momento successivo?); • pubblicare il resto, dare premi, e festeggiare il Bacino Nazionale Lordo delle Idee (BNLI). La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 77 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II 10 LA PROSPETTIVA A LUNGO TERMINE Il lavoro profondo sul conflitto è ad alta intensità di lavoro e di tempo, per cui politici, militari e mercanti prendono scorciatoie. I politici possono tendere a dettare “soluzioni” sopra la testa della gente per sopravvivere politicamente, specialmente nelle democrazie, vincendo le successive elezioni. I militari possono tendere a imporre “soluzioni” di forza alla svelta per sopravvivere militarmente, per rimpatriare le truppe per Natale e così via. I mercanti possono tendere a comprare “soluzioni” alla svelta per sopravvivere economicamente, per esempio quando gli azionisti esigono dividendi. Piuttosto che dettare, imporre o comprare “soluzioni”, sarebbe meglio combinare l’analisi profonda del conflitto con i bisogni e i diritti umani fondamentali della gente comune coinvolta in un conflitto. Il fine è pervenire a risultati accettabili e sostenibili, non solo per i leader o le élites, bensì per quante più persone possibile, impiegando tutto il tempo necessario per farlo. Come sempre in politica il problema è non solo se i leader si accordano, ma anche se la gente concorda con i propri leader. Il giardinaggio come metafora 1 Seminare: sviluppare idee, offrire immagini, prospettive; 2 innaffiare, diserbare: osservare, nutrire, setacciare le idee e curarle; 3 raccogliere: quando le idee sono maturate abbastanza in un numero sufficientemente grande di persone. GIUSTIFICAZIONE L’intervento sul conflitto da parte degli kshatriya (i militari) e dei vaishya (i mercanti) è molto spesso del tipo “bastone e carota”, piuttosto che basato sul ragionamento (con argomentazioni e dati). I politici negoziano e ragionano, ma dall’alto. È necessario che un maggior lavoro sul conflitto venga svolto da intellettuali/professionisti/religiosi (bramini) e dalla gente comune (shudra), senza particolari deformazioni professionali. PROBLEMI Ovviamente un grosso problema è che può volerci troppo tempo per la creatività; dal che deriva la necessità di alimentare un processo continuo e di costruire sull’ottimismo che emana da idee nuove, capaci di trascendere. Un cambiamento del linguaggio e del discorso può già essere un primo passo per trasformare un conflitto. 78 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici 10 LA PROSPETTIVA A LUNGO TERMINE Ci sono due ragioni per estendere la prospettiva temporale. Le élites hanno troppa fretta per via delle esigenze pressanti di sopravvivenza politica, militare, economica. E anche la gente ha fretta, dato che lotta per la mera sopravvivenza fisica. Ma è più interessata a soluzioni durevoli. I conflitti violenti apporteranno in genere meno benefici alla gente che alle élites, le quali possono convertire la violenza in prestigio politico, fama militare o profitto economico. La gente – le donne, i giovani e gli anziani – preferisce risultati nonviolenti e creativi. Che però richiedono tempo. Cominciate adesso! Aspettare che un conflitto “maturi” è la prospettiva degli uomini di mezz’età e dei vecchi. D’altronde, i conflitti sono complessi, ci sono molti fattori all’opera, come sarà chiaro dopo aver considerato le unità sul conflitto e la violenza e su teoria e pratica. Per un buon lavoro ci vuole tempo; è probabile che con meno tempo il lavoro sia trasandato. Inoltre, affinché emerga una trasformazione meno superficiale deve arrivare in soccorso un po’ di creatività, e quanto più creativa sarà un’idea, tanto più tempo ci vorrà perché la gente ci si abitui. In breve: quantità di tempo per qualità di lavoro sul conflitto. Il prezzo pagato per la creatività è il tempo che ci vuole perché la gente si abitui alle novità, e più ancora per realizzarle. La questione è se quel lasso di tempo sia disponibile. Se è già scoppiata la violenza c’è poco tempo, per via delle sofferenze che porta con sé. Ma la tesi qui sostenuta è, ovviamente, di non aspettare l’eruzione della violenza, che comprime l’orizzonte temporale e incide anche sulla prospettiva del conflitto, con una focalizzazione sul meta-conflitto che giunge al punto di far dimenticare il conflitto soggiacente. Trovate un esempio di conflitto nel mondo d’oggi dove, secondo voi, bisognerebbe cominciare fin d’ora a intervenire, anche per evitare che il conflitto entri nella II Fase, la violenza. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 79 TEORIA DEL CONFLITTO Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO III UNITÀ 11-15 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III 11 IL TRIANGOLO ATTEGGIAMENTO – COMPORTAMENTO (Behavior) – CONTRADDIZIONE Il punto centrale del lavoro sul conflitto è il conflitto stesso, un termine usato spesso, ma non ben compreso. Da qualche parte vi è una incompatibilità o Contraddizione (C): un obiettivo si contrappone a un altro. Qualcuno vuole una porzione di territorio, qualcuno vuole il controllo dello stato, qualcuno vuole aver ragione; e qualcun altro vuole esattamente le stesse cose. Ma l’Atteggiamento (A) e il Comportamento (B, da Behavior) sono altrettanto fondamentali, per cui: Conflitto = A + B + C Ci sarà odio/sfiducia verso l’Altro che si contrappone o verso se stessi, in quanto apatici/irresoluti. Può allora svilupparsi la violenza, fisica o verbale contro quell’Altro odiato o quel Sé disprezzato. La violenza introduce un meta-conflitto (come il cancro che induce le metastasi) sulla contraddizione fra il non essere molestati e il ricorrere alla violenza per infliggere un danno, e sul vincere. I meta-conflitti assumono una vita propria, cacciando nell’ombra il conflitto originario che risiedeva nell’incompatibilità, nella contraddizione primaria. Ma in ogni contraddizione ci sono anche potenzialità per nuove relazioni con l’Altro (come condividere il territorio, ricorrere alla democrazia per decidere chi detenga il potere, comprendere insieme che la Verità è un processo, da sviluppare tramite un dialogo). C’è il pericolo del Conflitto come Distruttore, ma pure la promessa del Conflitto come Creatore. Il triangolo ABC può diventare un triangolo odio-violenzablocco: tutte le parti si irrigidiscono, la polarizzazione e l’escalation della violenza aumentano. Ma può anche diventare un triangolo di sfida, cooperazione e aperture. Il compito è far leva per aprire questo triangolo, incoraggiando un atteggiamento di apertura, un comportamento di autolimitazione e molta, molta creatività. PROBLEMI Una piccola anticipazione: la terminologia è importante per evitare errori cruciali. Uso sbagliato delle parole Conflitto = violenza. Non identificare mai il conflitto con la violenza, perché entrambi i concetti sono ben più ampi. Il conflitto può sviluppare un meta-conflitto sulla violenza diretta, ma – prima e dopo – la violenza strutturale/culturale può essere anche più insidiosa, in quanto meno visibile. I conflitti hanno anche aspetti positivi. Tali formule provengono spesso da persone che hanno paura dei semi di cambiamento. Proposta Uso sbagliato delle parole Proposta 82 Tregua/cessate il fuoco = pace. Non identificare mai la tregua che pone fine alla violenza diretta, al meta-conflitto, con la pace; parlare in tal modo può perfino nascondere il conflitto originario. “Pace” o “processo di pace” significano riduzione di ogni tipo di violenza, così da poter trattare i conflitti in modo più nonviolento e creativo in futuro. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici 11 IL TRIANGOLO ATTEGGIAMENTO – COMPORTAMENTO (Behavior) – CONTRADDIZIONE Il triangolo ABC può servire da lista di controllo, ricordando sempre che il conflitto risulta dalle tre componenti A+B+C (v. anche il Capitolo Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva, da pag. 16). Molte delle trappole che scattano in un lavoro inadeguato sul conflitto derivano dalla mancata osservanza di tale regola. Quindi, per dirla espressamente: il focalizzare l’attenzione solo sugli atteggiamenti porta a ritenere che i problemi derivino da menti stravolte dall’odio o distorte, decisamente bisognose di conversione religiosa/ideologica, di psicoterapia e/o di educazione alla pace e al conflitto, rimanendo ciechi/e di fronte al fatto che anche la mente più normale può uccidere o tollerare le uccisioni quando le contraddizioni che frustrano le persone si protraggono nel tempo. La cristianità può aver reso meno rancorosi gli schiavi, ma la schiavitù non è scomparsa per questo. Questa è la fallacia liberale, che persegue solo l’edificazione della mentalità giusta. Il focalizzare l’attenzione solo sul comportamento è molto frequente, dato che è lì che risiede la violenza. Sottomettere le persone può servire a spazzare sotto il tappeto la violenza, il “guaio”, rendendola meno evidente, ma può benissimo non influire affatto sulla contraddizione soggiacente. Questa è la fallacia conservatrice, che bada solo al comportamento disciplinato. Il focalizzare l’attenzione solo sulla contraddizione, basandosi sull’ingegneria sociale, corre il rischio di intensificare l’odio e la violenza, se l’approccio alla contraddizione è violento. Questa è la fallacia marxista, che cerca solo di superare la contraddizione fra il lavoro e il capitale senza badare alle conseguenze nell’atteggiamento e nel comportamento, distruggendo alla fin fine i frutti dell’ingegneria sociale – come, per esempio, in Unione Sovietica. Adottando questa prospettiva, discutete i concetti di peace-making (che opera prevalentemente sugli atteggiamenti), di peace-keeping (che opera prevalentemente sui comportamenti), e di peace-building (che opera prevalentemente sulle contraddizioni sottostanti). Come si possono evitare le rispettive fallacie combinando le tre attività? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 83 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III 12 UNA REGOLA AUREA: AMPLIARE IL NUMERO DELLE PARTI E DEGLI OBIETTIVI In un conflitto ci sono più parti e ciascuna ha i propri obiettivi. Quando gli obiettivi sono incompatibili (contraddittori), abbiamo delle problematiche, con i relativi schemi di atteggiamenti e comportamenti. La somma di tutto ciò è il conflitto. L’insieme complessivo delle parti con i rispettivi obiettivi costituisce la formazione conflittuale, e la sua mappatura è importantissima per il lavoro sul conflitto. Se si identifica un numero più ampio di soggetti con una posta in gioco e i loro obiettivi, si aumentano le possibili combinazioni creative di interessi e obiettivi, che possono condurre a soluzioni e a relazioni trasformate. Regola Aurea: un conflitto [2,1], con due sole parti che hanno lo stesso obiettivo (si tratti di un territorio, del controllo, della vittoria), esiste solo nei modelli astratti. I conflitti reali sono più complessi: ci sono più parti in causa e più obiettivi. Parti potenti, con grosse poste in gioco e che vogliono un dato risultato, spesso si presentano come “terze parti”, come se fossero “neutrali/obiettive”, nascondendo così i propri reali obiettivi. Esse possono far apparire i conflitti nella periferia come “conflitti etnici” fra due gruppi violenti che “si odiano”, mentre il centro gioca i ruoli di peace-keeper, peace-maker, peace-builder e giudice, e proietta lo schema [2,1] su situazioni più complesse e più promettenti. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI Parola sbagliata Proposta Approccio sbagliato Proposta Approccio sbagliato Proposta 84 Una mappa dev’essere adeguata, se si vuole sapere con chi avviare un dialogo. Lasciar fuori i più potenti, fingere che il conflitto sia “interno”, “infrastatale”, può essere una tattica prudente per non incorrere nella loro collera. Ma allora è meglio non farsi illusioni su un’effettiva trasformazione. Dinuovo, cautela con la terminologia per evitare trappole. “Terza parte”. “Parti esterne”; non si deve assumere che ci siano soltanto due “parti interne”, come implica il termine “terza”. Molte formazioni conflittuali sono complesse e presentano m attori/parti e n obiettivi, per cui m+n dà un risultato ben più alto che 2+1=3. Analogamente, non è detto che ci debba essere una sola parte esterna (la terza): ce ne potrebbero essere di più. Identificare il conflitto con il dove. Non tracciate confini geografici; il conflitto può avere radici e ripercussioni ovunque. Non identificate mai il conflitto con il luogo in cui si manifesta la violenza, che può persino essere un’arena ben scelta. Non cadete nella trappola di credere che il lavoro sul conflitto debba essere svolto solo dove si manifesta il meta-conflitto, ossia la violenza. Identificare il conflitto con il quando. Non tracciate confini storici; il conflitto può avere radici e ripercussioni in qualsiasi momento. Non identificate mai il conflitto con il momento in cui si manifesta la violenza; c’è sempre un post-fatto e un ante-fatto per il radicamento di cause/condizioni. C’è bisogno di intervenire sul conflitto prima, durante e dopo il meta-conflitto, la fase violenta. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici 12 UNA REGOLA AUREA: AMPLIARE IL NUMERO DELLE PARTI E DEGLI OBIETTIVI Per tracciare una mappa della formazione conflittuale è bene chiedersi: “chi ha una posta in gioco?”, scrutando ovunque, oltre i mari e i monti e proprio lì dove si è, proprio adesso, e nel passato e nel futuro, senza farsi fuorviare dall’arena, cioè dal luogo in cui si svolge effettivamente il conflitto, non importa se violento o no; importanti radici del conflitto possono essere ovunque. Poi vi è la domanda seguente: “quale tipo di posta hanno in gioco?”. Ricordate di cercare non solo gli obiettivi politici e militari, bensì anche quelli economici (inclusi quelli ecologici), culturali, sociali, personali (ambizioni!), ecc. La mappatura adeguata di un conflitto è un esercizio altamente politico. Altrettanto essenziale è una mappatura adeguata della formazione conflittuale, specialmente perché c’è la forte tentazione di cadere nella trappola del discorso [2,1], cioè le due parti che lottano per un solo e medesimo obiettivo, lasciandosi così sfuggire non soltanto la presa analitica sul conflitto, ma anche leve importanti per la sua trasformazione. Il conflitto [2,1] è molto spoglio, c’è ben poco su cui giocare, come se si trattasse di un mero conflitto linguistico in un paese con due soli gruppi linguistici. Quando il conflitto è più complesso, si possono fare transazioni più costruttive, per esempio: X cede qualcosa a Y su un certo obiettivo, Y cede a Z qualcos’altro su un altro obiettivo e Z cede a X qualcosa su un altro obiettivo ancora (soluzione per triangolazione, facilmente estensibile a quadrangolazione). Discutete, cercando di arrivare a definizioni consensuali, delle formazioni conflittuali nei casi del “conflitto del Golfo”, del “conflitto della Iugoslavia”, del “conflitto del Medio Oriente”, del “conflitto del Guatemala”, del “conflitto dei Grandi Laghi”. Prima elencate le parti, poi fate una matrice con tutte le parti disposte verticalmente e orizzontalmente, identificate le questioni problematiche e cercate di capire gli obiettivi alla luce delle stesse. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 85 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III 13 BISOGNI FONDAMENTALI, DIRITTI FONDAMENTALI, CONFLITTI FONDAMENTALI Un conflitto fondamentale verte su obiettivi fondamentali, fra i quali ci sono i bisogni fondamentali, che sono non-negoziabili. Essi variano a seconda del tempo e del luogo, ma in linea generale si possono identificare le seguenti quattro classi di bisogni come requisiti umani: 1 la sopravvivenza, individuale, collettiva, in opposizione alla morte; 2 il benessere, cioè essenzialmente cibo, vestiti, un riparo, la salute; 3 l’identità, vale a dire qualcosa per cui vivere, non solo di cui vivere; 4 la libertà, nel senso di avere delle opportunità di scelta per gli altri tre. Alcuni fra questi bisogni fondamentali sono riconosciuti istituzionalmente come diritti umani. I bisogni/diritti sono sentiti, frustrati, o soddisfatti a livello degli individui; le loro violazioni gravi vengono sentite intensamente. I bisogni non vengono percepiti da generi, generazioni, razze, classi sociali, nazioni e stati, in quanto gruppi; ma questi possono definire gli interessi, come essere il N° 1, la gloire. Gli interessi fondamentali comprendono i bisogni fondamentali di membri del gruppo e possono condurre a conflitti collettivi fondamentali, per esempio per la scarsità delle risorse idriche. I conflitti fondamentali tendono a essere più violenti, protratti nel tempo, più resistenti alla trasformazione. GIUSTIFICAZIONE 1 2 PROBLEMI 86 Gli elenchi dei bisogni servono a due fini: per capire quando i conflitti si inaspriscono: quando vertono su obiettivi fondamentali, come i bisogni fondamentali di acqua, sesso, affetto, riconoscimento; come guida alla trasformazione del conflitto: si devono preservare, anzi accentuare, i bisogni fondamentali di tutte le parti, poiché non sono negoziabili. Non date per scontato che alcune di queste classi di bisogni siano più fondamentali e altre meno, e che quelle più fondamentali debbano essere soddisfatte prima che entrino in scena bisogni più elevati. Si sa che le persone sono disposte a sacrificare la vita per la propria identità religiosa e culturale (per esempio, il diritto di usare la propria lingua) e a sacrificare il benessere nella lotta per la propria libertà. Ascoltate piuttosto la loro definizione dei loro bisogni, come pure le loro priorità del momento. Non sovrapponete le vostre idee, o quelle di qualche autore. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici 13 BISOGNI FONDAMENTALI, DIRITTI FONDAMENTALI, CONFLITTI FONDAMENTALI I bisogni fondamentali servono a spiegare come mai certi conflitti diventino così duri, così protratti nel tempo, così fondamentali e intrattabili. La risposta qui suggerita è molto semplice: perché sono fondamentali, nel senso che vertono su obiettivi (valori e interessi) fondamentali. Ma che cos’è un valore fondamentale? Una definizione ragionevole probabilmente sarebbe “qualcosa senza la quale un attore non può continuare a vivere, un requisito, una conditio sine qua non”. Tali valori sono noti come bisogni umani fondamentali a livello individuale, e qui è stato suggerito che possano essere divisi in 4 classi significative in ogni cultura. A livello collettivo gli obiettivi fondamentali sono noti come interessi fondamentali. E direi che un interesse fondamentale assolutamente legittimo è l’interesse di una collettività a veder soddisfatti i bisogni fondamentali degli individui appartenenti a quel dato gruppo. Pertanto, un paese può definire il cibo per i propri abitanti come interesse fondamentale (nazionale). Ma può anche definire allo stesso modo il potere del paese, soddisfacendo così solo coloro che traggono la loro identità dall’avere la cittadinanza di un paese potente e dall’essere membri di una nazione gloriosa. Un esempio azzeccato e attuale sarebbe l’acqua: c’è un bisogno umano fondamentale d’acqua, e quindi un interesse fondamentale per gli stati e le nazioni di cui gli individui sono membri. Così i paesi arabi dipendono per l’acqua da quattro fiumi (il Nilo, il Litany/Giordano, l’Eufrate e il Tigri) che sono controllati da stati non arabi: Etiopia, Israele e Turchia. Una situazione molto problematica sorge quando i rubinetti sono nelle mani degli antagonisti. Che tipo di risultato suggerireste per conflitti su bisogni/interessi fondamentali, come per l’acqua? ESERCIZIO Immaginate che l’aria diventi un problema come l’acqua: cosa proporreste come risultato? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 87 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III 14 RITIRO, COMPROMESSO E TRASCENDIMENTO Se i conflitti in condizioni reali sono complessi, all’interno di questa complessità si possono pur sempre identificare conflitti elementari con due parti che vogliono conseguire un solo e medesimo obiettivo. Nei conflitti elementari ci sono sempre, come si è già detto, cinque risultati che val la pena identificare, in quanto possono servire da punti d’ancoraggio per pensare, parlare e agire nel conflitto. Eccoli: 1 2 3 4 5 vittoria per uno: una parte prevale, l’altra rinuncia; vittoria per l’altro: l’altra parte prevale; ritiro: entrambe le parti rinunciano ai rispettivi obiettivi (per qualche tempo); compromesso: entrambe le parti rinunciano a qualcosa, guadagnando qualcos’altro; trascendimento: si ridefinisce la situazione; entrambe le parti guadagnano più di quanto perdono. In un conflitto blando una delle parti o entrambe è/sono disposta/e a cedere, almeno per il momento. In un conflitto duro gli obiettivi sono non-negoziabili, e può scoppiare la violenza. L’unico approccio è tentare di operare un trascendimento, di “andare oltre”, di trovare qualcosa di nuovo. Le parti rimangono bloccate perché hanno difficoltà a uscire dalla ristretta prospettiva definita dai loro stessi obiettivi. È vostro compito sbloccarle. Così facendo potete discuterere con loro la possibilità di approcci morbidi. Ma esse possono tendere a insistere che il loro obiettivo è fondamentale e che la controparte non cederà mai, a meno di esservi costretta. Il vostro compito non è persuaderle che il conflitto “in realtà” è blando (se così fosse, il conflitto sarebbe probabilmente svanito da tempo), bensì aiutarle a esplorare nuovi approcci, “andando oltre” creativamente, operando una trasformazione. GIUSTIFICAZIONE Il trascendimento è l’approccio più esigente e, allo stesso tempo, è anche il più gratificante. Ne risulta che non solo viene evitato o ridotto l’aspetto distruttivo del conflitto, ma che l’aspetto costruttivo può realizzarsi aprendo piste del tutto nuove. PROBLEMI C’è il rischio di scartare approcci morbidi senza essere in grado di far emergere idee trascendenti. 88 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici 14 RITIRO, COMPROMESSO E TRASCENDIMENTO Il termine “risultati”, nel caso dei conflitti, è neutrale. Ma nella descrizione appena fatta c’è un’implicita gerarchia dei risultati stessi. In basso ci sono i risultati [1] e [2]: una parte prevale con o senza violenza, mentre l’altra parte non ottiene alcunché. Un risultato misero. Poi vengono i risultati [3] e [4], ritiro e compromesso, perché – in fin dei conti – non fanno emergere niente di nuovo. Ritiro vuol dire “aspetta un po’” (magari per sempre), e compromesso essenzialmente vuol dire dividere qualcosa, sempre che sia divisibile, senza che nessuno sia soddisfatto. Più in alto di tutti c’è il risultato [5], il trascendimento, che significa introdurre qualcosa di nuovo (ovviamente qui sta l’origine del nome “TRANSCEND”, e anche il metodo). Non si tratta esattamente di quello che le parti parti avevano come obiettivo: nel migliore dei casi questo qualcosa di nuovo muta la situazione in modo tale che le parti ottengono effettivamente più di quanto volessero, o qualcosa che rende meno interessante ciò per cui originariamente combattevano. Volevano un pezzo di terra, e si ritrovano con una proprietà in condominio, senza avere il monopolio del territorio che volevano, ma con il pieno accesso e inoltre con qualcos’altro: la pace, nessuna minaccia di guerra esterna e una promettente cooperazione economica. Volevano dominare uno stato come nazione leader, e si ritrovano a condividere il potere con altre nazioni, però con la pace interna e nuove aperture grazie alle relazioni che quelle altre nazioni hanno con i propri connazionali in diaspora in altri paesi. Volevano dimostrare di aver ragione in un dibattito e si ritrovano coinvolte in dialoghi affascinanti in una ricerca comune che apre la mente di tutte le parti a nuove prospettive. E così via. Definite un conflitto, magari uno che conoscete di prima mano. Che cosa corrisponde ai cinque risultati summenzionati? Potreste immaginare più di un modo per trascenderlo? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 89 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III 15 PRIMA, DURANTE E DOPO LA VIOLENZA/LA CREATIVITÀ Il focalizzare la nostra attenzione sulla violenza (fatto giustificabile, date le conseguenze distruttive, visibili e invisibili) ci ha portati a pensare ai conflitti in tre stadi distinti: prima, durante e dopo la violenza (analogamente a quanto si dice di una malattia: prima, durante e dopo il manifestarsi dei sintomi). Un modo alternativo di pensare al conflitto, che peraltro non esclude assolutamente l’altro, sarebbe prima, durante e dopo la creatività (per le malattie: prima, durante e dopo aver assunto il governo della propria salute). L’operatore/trice nei conflitti dev’essere creativo/a sempre, prima, durante e dopo la violenza, tanto meglio se abbastanza creativo/a da evitare altra violenza. Infatti, i postumi di una fase violenta possono ben essere i prodromi di un’altra. Il mondo reale rifiuta le immagini semplici, lineari. Negli approcci attualmente prevalenti l’attenzione è per lo più focalizzata sul meta-conflitto, mentre c’è un lavoro importante da fare sul conflitto in tutte le tre fasi: • prima della violenza: prevenzione della violenza, eliminazione/ riduzione delle cause della violenza/guerra (violenza collettiva); • durante la violenza: riduzione della violenza, intercessione, intervento; • dopo la violenza: ricostruzione, riconciliazione e risoluzione. Questo corrisponde sì al peace-making, al peace-keeping e al peacebuilding, ma tutti i tipi di lavoro sul conflitto dovrebbero venir svolti in tutti gli stadi del conflitto. In particolare, una delle tesi fondamentali di tutto questo approccio al conflitto e alla violenza è che non c’è alternativa alla trasformazione nonviolenta e creativa di un conflitto, o alla sua “risoluzione”, come viene spesso chiamata quando un conflitto è meno acuto, meno duro. La violenza non risolve nulla, alimenta solo nuova violenza per una rivalsa/vendetta o per altre più “dolci” vittorie che ci saranno più tardi – e illusioni. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 90 È utile avere una qualche idea del punto in cui ci si trova nei cicli dei conflitti. Essi scorrono, come il tempo-khronos (χρόνος). Ma ci sono anche punti di cesura, il tempo-kairos (καιρός), in cui il tempo sembra fermarsi, come il primo e l’ultimo atto di violenza. Il conflitto è un dramma, e l’operatore/trice nei conflitti ha un ruolo da giocarvi. Non assolutizzate questa suddivisione e siate sensibili ad altre. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici 15 PRIMA, DURANTE E DOPO LA VIOLENZA/LA CREATIVITÀ Riprendiamo quest’ultimo punto sulla “maturità”. Molto spesso i politici usano l’espressione “i tempi sono maturi/immaturi” per dire “è/non è arrivato il momento” per qualche tipo di intervento, come offrirsi di mediare, iniziare un negoziato, lanciare un’operazione di peace-keeping, cominciare la riconciliazione. Senza dubbio c’è del vero in questo prima-durante-dopo: i quattro tipi appena citati di attività per la pace sono più facili in certe condizioni e più difficili in altre. C’è la tentazione di aspettare finché si ritiene che le condizioni siano più propizie. Ma questo cosa vuol dire, in pratica? Vuol dire aspettare finché una parte, la parte meno favorita da potenziali mediatori, dà qualche segno di cedimento? Vuol dire aspettare finché c’è già stata così tanta violenza che le parti sono disgustate e vogliono farla finita, in qualsiasi modo, con tutto quanto? Vuol dire che è passato così tanto tempo che nessuno ricorda più bene le sofferenze, il dolore, e allora la riconciliazione diventa più facile? In questi casi, invece di parlare dei tempi che sono ormai maturi o del conflitto che è maturato, non dovremmo – forse – parlare piuttosto dei politici che non sono all’altezza del loro lavoro e che cercano di rendersi il compito più facile? Quanta gente deve essere ammazzata prima che loro prendano sul serio il conflitto? E chi sono mai, loro, per giudicare, dato che non soffrono in prima persona le pene di chi si trova nell’arena del conflitto? In breve: la maturità è qualsiasi momento, adesso, qui. Non statevene lì ad aspettare. Come vi sentite? Sapete fare qualche esempio? ESERCIZIO Come fate a convincere le persone che la questione è urgente quanto basta in qualsiasi momento: prima della violenza perché il conflitto devia/sottrae energie sociali e personali da altri scopi più costruttivi; durante la violenza perché la violenza fa male, danneggia, ferisce, uccide; dopo la violenza perché i traumi subìti si mangiano i loro cuori (e le loro menti)? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 91 PRATICA DEL CONFLITTO Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO IV UNITÀ 16 - 20 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV 16 IL TRIANGOLO EMPATIA-NONVIOLENZA-CREATIVITÀ Per far progressi, lo strumento è il dialogo. Empatia, nonviolenza e creatività sono l’approccio dell’operatore/trice nei conflitti ai triangoli ABC. Queste sono le disposizioni d’animo alternative che egli/ella dovrebbe tentare di far arrivare alle parti interne al conflitto, al posto delle culture del conflitto violente, dei comportamenti violenti e della sensazione di essere bloccati. Un’operazione che non si fa con le prediche, ma con la pratica. Il lavoro, a questo punto, diventa più arduo. Empatia: è la capacità di comprensione profonda, a livello cognitivo ed emotivo, dell’Altro, della logica che muove quella parte. Un possibile modello di riferimento è quello di un attore che studia una parte (in questo caso una “parte in conflitto”) al punto di potervisi immedesimare. Non si richiede alcuna simpatia, ma un rispetto sufficiente per la verità dell’Altro, per cercare di capirla fino al punto da poterla recitare. Nonviolenza: è la duplice capacità di resistere alla tentazione di attuare (o di raccomandare) la violenza e di proporre concrete vie d’uscita nonviolente a un conflitto consolidato, in parte attingendo alla riserva delle esperienze del passato e in parte generandole come nuove idee. Creatività: è la capacità di andare oltre le strutture mentali delle parti in conflitto, aprendo la strada a nuovi modi di concepire la relazione sociale nella formazione conflittuale. GIUSTIFICAZIONE Il nocciolo dell’idea consiste nell’aprire l’armatura rigida che ingabbia il triangolo ABC mentre il conflitto si inasprisce: odio, violenza e blocco. L’operatore/trice nei conflitti entra nel conflitto dall’esterno con l’esplicito obiettivo di cambiare il modo in cui ci si accosta al conflitto. Non si può farlo attraverso le prediche o convertendo le parti, ma appunto praticando il triangolo ENC (Empatia-NonviolenzaCreatività). Tutt’altro che facile. PROBLEMI L’empatia viene facilmente bloccata da troppa antipatia; la nonviolenza dal non sapere cosa è già stato fatto e cosa può essere fatto; e la creatività dall’essere gli inconsapevoli o consenzienti prigionieri mentali di precedenti paradigmi/discorsi controproducenti. Quindi, è su questo punto che deve essere svolto un training intensivo. 94 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici 16 IL TRIANGOLO EMPATIA-NONVIOLENZA-CREATIVITÀ A proposito del training: il problema è che questa combinazione specifica di empatia-nonviolenza-creatività non viene insegnata in nessuna parte del mondo. Come al solito, gli interventi sul conflitto e per la pace sono le vittime di malaugurate divisioni nelle nostre società. Le persone probabilmente più dotate di empatia sono gli/le artisti/e, i/le religiosi/e, gli/le psicologi/he; le persone bene informate sulla nonviolenza sono poche e disperse; le persone creative sono probabilmente artisti/e, architetti/e, ingegneri e scienziati/e in modo alquanto limitato, e in qualche caso i politici. Le persone sono divise, e lo stesso vale per il training; nessuno ha le competenze degli altri. Parlando in termini di genere e rischiando semplificazioni grossolane, le donne possono essere migliori degli uomini riguardo all’empatia e alla nonviolenza, e gli uomini riguardo alla creatività. Generazione, razza e classe sono probabilmente meno correlate al triangolo ENC. La nazionalità, invece, lo è di sicuro. Un’ovvia soluzione, o almeno un approccio, sarebbe formare un team di operatori/trici nei conflitti i cui membri siano reciprocamente complementari rispetto a queste abilità specifiche. Ma c’è una difficoltà: non è detto che si piacciano, si rispettino o lavorino bene insieme, per cui parecchia energia andrebbe sprecata nel risolvere le tensioni interne al team. Quindi è meglio addestrare ciascuno/a in tutt’e tre le abilità. Qualora un team sia stato costituito mettendo insieme specialisti in E, N e C, essi/e dovrebbero lavorare insieme oppure l’uno dopo l’altro con una parte in conflitto? In parallelo o in serie, per usare una metafora tratta dalla fisica? Esempio di una serie: andate in ospedale per una diagnosi e vi si manda da uno specialista dopo l’altro: raggi X, esame del sangue, delle urine ecc. Oppure, fa tutto un’infermiera. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 95 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV 17 L’EMPATIA PER AMMORBIDIRE GLI ATTEGGIAMENTI Il problema non è capire in che modo voi, come operatori/trici nei conflitti, avreste (re)agito nei panni di una parte in conflitto. Le vostre reazioni non sono affatto interessanti (tranne che per voi, come esperimento mentale). L’importante è il modo in cui essi/e (re)agiscono, e il modo in cui voi potete capirne al meglio le ragioni. Questo processo di comprensione profonda permetterà alle vostre emozioni profonde di venire alla luce, si tratti di antipatia o di simpatia. Tout comprendre c’est tout pardonner (comprendere tutto è perdonare tutto) esprime una parte di questo processo. Ma voi probabilmente sentirete i due forti poli opposti del rifiuto totale o dell’accettazione totale della parte in conflitto, inclusa l’oscillazione tra i due poli. Se vi lascerete andare a questi sentimenti, allora reagirete come una parte interna al conflitto. Umano, troppo umano. Ma non è il vostro compito. La raccomandazione è di non lasciarsi andare a nessuno dei due sentimenti, bensì di cercare di identificare alcuni obiettivi legittimi in base a criteri più universali. Obiettivi che talvolta possono non essere nemmeno stati espressi dalle parti. Tra gli esempi di obiettivi legittimi si possono includere il rifiuto da parte di Hitler del Trattato di Versailles, il rifiuto da parte del Giappone del colonialismo occidentale in Asia, e il rifiuto da parte dei guerriglieri dello sfruttamento più plateale. Il che non comporta l’accettazione dell’anti-semitismo, del colonialismo giapponese in Asia e della violenza della guerriglia, o della violenza di risposta alla violenza del sistema. La tesi generale qui sostenuta è che ogni parte in conflitto, al di sotto degli atti e delle parole violente, ha un obiettivo valido su cui costruire, quando sia incoraggiata a operare in modo nonviolento e creativo. GIUSTIFICAZIONE Non si può trovare alcuna via d’uscita se una parte in conflitto si sente completamente rifiutata. Il negare qualsiasi umanità a quella parte è disumanizzante e denota un pregiudizio. Abbiamo tutti/e bisogno di essere riconosciuti/e almeno in una certa misura, se non in modo pieno e totale. PROBLEMI Qualsivoglia approvazione di un obiettivo deve essere accompagnata da idee sul come procedere in modo nonviolento e creativo. Sostenere un obiettivo senza avere la minima idea sul come realizzarlo è gravemente irresponsabile. 96 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici 17 L’EMPATIA PER AMMORBIDIRE GLI ATTEGGIAMENTI Come si fa a sviluppare l’empatia? Probabilmente ponendosi in relazione profonda con le persone, con molte persone e con persone di diverso tipo, e facendo tesoro dell’opera degli artisti che abbiamo fra noi: scrittori, poeti e quanti non hanno nome né fama, ma si possono incontrare ovunque. Forse anche con l’aprirci completamente agli altri. Due piccoli esercizi possono essere abbastanza utili. Due amici sono all’aeroporto, il loro aereo è stato cancellato e così staranno insieme per ore senza niente di particolare da fare. A uno di loro viene quest’idea: “Perché non ci raccontiamo la storia della nostra vita? Ci conosciamo già abbastanza bene, ma c’è sempre qualcos’altro da dire, volendo”. Come integrazione: “Dimmi, o dillo anche solo a te stesso, quali sono le forze interiori che ti guidano. Quali sono i tuoi obiettivi fondamentali? E le tue paure di fondo?”. Decidete voi quanto volete andare in profondità. Il criterio della verità non fa mai male. Potrebbe anche essere un esercizio liberatorio: la vostra vita scorre davanti ai vostri occhi (pure un tranquillo viaggio in auto può essere un buon setting, mentre anche il paesaggio scorre davanti ai vostri occhi). Un buon amico può forse fare qualche domanda di verifica: “A quel punto, perché hai deciso così e non in un altro modo?”. La risposta può chiarire qualcosa su voi stessi/e. E voi ovviamente ringrazierete l’amico che vi tratta con tanta attenzione facendo altrettanto. Rivolgetevi al vostro vicino di corso, ponendogli le due domande sulle sue motivazioni e suoi suoi timori, ma senza andare più in profondità di quanto permesso dalla situazione. Magari troverete interessante tracciare uno schema di voi stessi su un foglio, per poi confrontarlo col vostro vicino/a, che avrà fatto lo stesso. Quando lavorerete in un conflitto, farete domande sugli obiettivi di quel dato conflitto, e dovreste esservi trovati/e almeno una volta nei panni di chi dovrà rispondere, per capire meglio come impostare la domanda e cosa si prova cercando di rispondere. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 97 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV 18 LA NONVIOLENZA PER AMMORBIDIRE IL COMPORTAMENTO 1 2 3 Col termine “nonviolenza” si intende qualcosa che la gran parte di noi pratica ogni giorno: l’assertività, cioè il cercare di raggiungere certi obiettivi senza violenza, senza l’intenzione di ferire e far del male agli altri. Ma la nonviolenza non equivale a non essere violenti, perché il non essere violenti comprende anche la passività, il non far nulla, la rassegnazione al proprio destino. Al contrario, la nonviolenza dovrebbe coinvolgere il pensiero, la parola e l’azione: nonviolenza nel pensiero: meditazione, dialogo interiore, preparazione al lavoro sul conflitto, momenti di silenzio, cercando di identificare e sradicare i propri impulsi distruttivi; nonviolenza nella parola: il dialogo esterno con le parti in conflitto, evitando d’attribuire certificati di colpa/vergogna, cercando radici comuni, un futuro comune e responsabilità condivise, esponendo accuratamente le proprie ansie, le proprio paure, i propri bisogni non soddisfatti, cercando d’immaginare futuri che tutte le parti potrebbero desiderare di vivere; nonviolenza nell’azione: dimostrazioni, utilizzo dei mass media, incontri per facilitare un negoziato; in altri termini, la lotta politica ordinaria, morbida. Ma poi c’è la lotta politica straordinaria della nonviolenza forte, come la difesa non-militare (DNM) contro la violenza diretta esterna, e la rivoluzione nonviolenta (RNV) contro la violenza strutturale interna (violenza diretta in una forma congelata). GIUSTIFICAZIONE Secondo una tesi piuttosto solida delle scienze sociali, la violenza genera violenza. Quindi, si deve evitare la violenza affinché un conflitto non si deteriori ulteriormente. Tuttavia, anche se un mutuo ritiro delle parti da un conflitto può essere talvolta una buona idea, lasciando che sia il “tempo” ad aggiustare le cose, l’assertività, entro certi limiti, è un bisogno umano. La nonviolenza, almeno in teoria, colma questo divario. PROBLEMI Ovviamente, la nonviolenza deve stare in equilibrio fra Scilla e Cariddi, fra la passività e la violenza, tenendo presente che si può provocare la violenza dell’altra parte con un’intensa nonviolenza. 98 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici 18 LA NONVIOLENZA PER AMMORBIDIRE IL COMPORTAMENTO In linea di principio si presume che la nonviolenza dovrebbe evitare che un conflitto entri nella pericolosa II Fase, la fase della violenza, grazie al rifiuto di impiegare la violenza, che lascia l’altra parte senza persone che reagiscano in modo violento. Naturalmente le cose non vanno sempre così e c’è ben altro da tener presente riguardo alla nonviolenza. Ma siamo concreti: immaginate di essere portati direttamente dall’aeroporto di Belgrado, nel gennaio 1997, alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado, dove si coordina la campagna nonviolenta contro il governo di Milosevic, responsabile di aver “rubato” 14 elezioni locali col mancato riconoscimento della vittoria dell’opposizione. Vi ragguagliano sulla situazione e vi chiedono qualche consiglio. Pieni d’ammirazione per tutto quello che studenti e professori stanno facendo, creando forme di nonviolenza nuove e ricche d’immaginazione, a fronte di notevoli rischi, avreste potuto dare questa serie di consigli: 1 chiarite bene che il vostro obiettivo è l’attuazione della democrazia, che vuol dire restituire alla gente il risultato della loro scelta elettorale, nulla di più, nulla di meno. Non espandete gli obiettivi. 2 Non demonizzate Milosevic aldilà di questa problematica. Se siete per la democrazia, confrontatevi con lui democraticamente, cioè alla prossima elezione. 3 Qualunque confronto con Ceausescu vuol dire augurarsi la morte di Milosevic, che significa la sua totale disumanizzazione. Invitatelo invece a dialogare, mandategli un dolce a casa. Ma rifiutate la collaborazione a livello istituzionale fino a che non abbia reindetto le elezioni. 4 Riconoscete il consiglio comunale che sarebbe risultato eletto. 5 Fate sì che tale consiglio chieda ai cittadini di fare qualcosa per ripulire e abbellire Belgrado; fatelo come azione costruttiva. Cercate sempre di combinare le proteste con qualcosa di costruttivo. 6 Riferite aspetti positivi delle politiche di Milosevic, se siete in grado di identificarne qualcuno. Discutete se quanto proposto è sensato. Troppo morbido? Troppo forte? Troppo esigente nei confronti del gruppo nonviolento? Sarebbe meglio limitarsi a scendere in strada e fare dimostrazioni rumorose per non lasciar sentire i notiziari ufficiali? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 99 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV 19 LA CREATIVITÀ PER AMMORBIDIRE LE CONTRADDIZIONI Come si è già detto, la mediazione può essere identificata con una posizione intermedia che non soddisfa davvero nessuno. Un condominio, una “sovranità congiunta”, con un flusso libero di persone e di idee, di fattori di produzione e di prodotti, può essere più vitale della divisione in due parti di un territorio conteso. Una soluzione di compromesso può anche essere molto dolorosa, come la proposta di Salomone di tagliare a metà il bambino reclamato da due madri: egli poi riconobbe la madre vera nella donna che preferì lasciarlo all’altra pur di salvarlo, e lo assegnò a lei (Libro dei Re 3, 16-28). Da qui l’idea di unire le forze per condividere, anziché per dividere, un territorio/bimbo conteso: una possibile soluzione per l’Ecuador e il Perù. La difficoltà non sta solo nell’odio fra le parti, ma nella stessa novità dell’idea in un mondo convinto che ogni chilometro quadrato appartiene a uno stato e a uno stato soltanto. Il prezzo della creatività è il tempo necessario per capire e assimilare l’idea. Questo tipo di proposta è extra-paradigmatica, fuori dalla corrente principale, come la proposta di una “Commissione di Sicurezza per l’Europa” nel lontano 1967. La semina, l’innaffiatura, la mietitura richiedono tempo e passano attraverso i tipici quattro stadi del silenzio, della ridicolizzazione, dell’opposizione violenta, e dell’accettazione come “ovvietà” (gli ultimi tre sono tratti da Schopenhauer). L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe accettare tutto questo come parte del suo lavoro. Il lavoro creativo su un conflitto richiede tempo, tutto qui: una ragione in più per cominciare subito, senza aspettare che il conflitto o i tempi siano “maturi”. GIUSTIFICAZIONE La creatività, lo sviluppo di nuove idee, è indispensabile nei conflitti duri, fondamentali. Quasi tutti seguono la corrente principale; se le vie d’uscita dai conflitti si trovassero lì, sarebbero già state localizzate. Comunque, nuotando controcorrente, gli/le operatori/trici nei conflitti si avvicinano anche di più alle scaturigini del conflitto e così facendo acquisiscono forza. PROBLEMI Trovare un varco fra qualcosa di non creativo e un’idea talmente creativa da sembrare assurda. Spesso questo è un problema che riguarda la forma della presentazione: occorre collegare il nuovo a qualcosa di ben noto mediante analogie, metafore, ecc. 100 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici 19 LA CREATIVITÀ PER AMMORBIDIRE LE CONTRADDIZIONI Un’esperienza molto chiara dell’autore di questo Manuale è questa: tra quello che vogliono i leader trincerati e immersi in un conflitto ci sono sicuramente la compassione nei loro confronti e la giustificazione di tutto quello che hanno fatto. Ma le ottengono già entrambe dai vari Yes-men che li attorniano. Quello che poi vogliono non è tanto una diagnosi, un’analisi del conflitto, o una prognosi che specifichi cosa accadrà: è proprio quello che fanno già loro tutto il tempo. Ancor meno vogliono i No-men dell’opposizione, pronti a dir loro che non ne combinano una giusta. Quello che vogliono è qualcosa che nelle loro speranze dovrebbe arrivare da un esterno: qualche idea creativa su come venir fuori dal conflitto, non solo con “onore” o avendo “salvato la faccia”, ma con qualcosa di creativo che li faccia approdare a una situazione nuova e migliore. Possono essere disposti a partecipare a qualche seduta su diagnosi e prognosi se alla fine ne traggono qualche gratificazione. Però non possono gratificarvi a loro volta dicendovi “che bella idea!”, perché vorrebbe dire che loro non ci avevano mai pensato. In effetti, vi possono gratificare con un silenzio eloquente: è arrivata l’idea e non ci sono contro-argomentazioni ovvie. Il vostro compito è aiutarli a formulare queste argomentazioni, non segnare una vittoria. Il vostro ruolo è essere l’uomo-del-Forse. Non è un compito facile, e la tesi sostenuta in questo Manuale è che i dialoghi fra le parti interne ed esterne al conflitto sono una buona formula per far emergere idee creative, anche se non c’è alcuna garanzia di successo. Molte di loro verranno immediatamente respinte come irrilevanti per quel conflitto specifico. Ma può darsi che qualche idea buona arrivi a destinazione, e proprio il silenzio, come si è detto, può essere un indicatore del fatto che è stato recepito qualcosa che val la pena di prendere in considerazione. Il lavoro, la riflessione vanno avanti. Cosa potete volere di più? Immaginate che il dialogo vi faccia pensare a un’idea nuova, creativa. Come la esporreste a qualcuno che sta vivendo un conflitto ed è frustrato, arrabbiato, ostile, sospettoso? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 101 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV 20 ALLE RADICI DELLA CREATIVITÀ In quali condizioni si è creativi? Ci sono scritti sulla creatività scientifica, artistica e militare, su quella per l’invenzione di problemi, ma non sulla creatività per il conflitto/la pace. Il compito è trovare risultati nonviolenti che trascendano la contraddizione. Ma come si fa? La formula generale è introdurre un nuovo aspetto/dimensione/ prospettiva, un modo nuovo di guardare la situazione che cambi il conflitto – condizione necessaria affinché il conflitto si sblocchi. Ma la creatività non salta fuori automaticamente. Qualche suggerimento: creatività individuale per analogia, “questo caso mi fa venire in mente...”: • conflitti dello stesso tipo, per esempio un altro conflitto fra nazioni; • conflitti allo stesso livello, per esempio conflitti fra classi; • conflitti a livelli diversi, per esempio intra-personali/inter-personali; • altri problemi, per esempio problemi medici, ingegneristici, architettonici; creatività collettiva mediante il brainstorming, che potenzialmente fa emergere qualcosa di più della somma della creatività dei singoli individui che vi partecipano. Le tecniche standard prescrivono di attaccare fogli alle pareti, dotarsi di molti pennarelli, discutere annotando tutto quello che emerge nel flusso di coscienza sul muro, fare una pausa, riprendere il lavoro per raccogliere ancora nuove idee, riportare ciascuna idea su una scheda e poi tracciare frecce e organizzare le schede secondo le 3C, cioè CondizioniConseguenze-Contesto. La nascita di una nuova idea valida si presenta come un salto dalla quantità alla qualità; dopo che si è accumulato tantissimo lavoro individuale e collettivo del tipo descritto, e dopo che ce ne siamo allontanati un po’ (una bella e lunga dormita). Ed eccola lì, l’idea, all’improvviso, come nelle scienze o nelle arti. Spremetevi all’inverosimile, poi rilassatevi e aspettate. E sperate. Pregate. Meditate. Ricordatevi che le idee veramente buone di solito sono idee nuove, al di fuori dell’impostazione del discorso che va per la maggiore. GIUSTIFICAZIONE Le fasi prima-durante-dopo la creatività possono giungere prima-durantedopo la violenza. Non state ad aspettare che la violenza inizi per mettervi a cercare modi per trattare creativamente i conflitti: è quasi uno sconfinamento nel fascismo (usare la violenza come un mezzo per scopi politici). PROBLEMI Non c’è alcuna garanzia che emergano idee nuove; pertanto, siate un serbatoio ambulante di vecchie idee che hanno funzionato in passato in situazioni simili. Attingete alla memoria collettiva: gli aneddoti sono essenziali. E non trascurate del tutto l’impostazione prevalente, la corrente principale: nel fango ci possono essere pepite d’oro! 102 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici 20 ALLE RADICI DELLA CREATIVITÀ Su questo argomento consultate anche il Capitolo Creatività, trascendimento e trasformazione del conflitto in questo Manuale, a pag. 27. Un punto importante è che la creatività ha un effetto sottile e spiazzante su dimensioni fondamentali come lo spazio, il tempo, la sequenza temporale. E si può tranquillamente aggiungere sul chi e sul come – tutte questioni che meritano di essere ponderate: “Abbiamo sempre fatto in questo vecchio modo, non c’è proprio nessun modo nuovo?”. Beh, può darsi, ma non rendetelo troppo nuovo, come già si è detto nel Capitolo citato. Il nuovo dovrebbe preferibilmente essere presentato come un’estensione del convenzionale, dove il convenzionale resta come caso speciale. In linea di principio, un ritorno al convenzionale dovrebbe essere sempre possibile (v. l’Unità 50); e questo suona come una critica a Colombo: come avrebbe fatto a ripristinare il famoso uovo ammaccato? Questo argomento è importante in relazione alla creatività militare: senza dubbio gli “uomini di guerra” sono spesso molto più creativi degli “uomini di pace”. Ma la loro azione distruttiva di solito è irreversibile: una critica schiacciante! Nel 1967 l’autore di questo Manuale suggerì ai ministeri degli esteri del sistema della guerra fredda una Commissione di Sicurezza delle Nazioni Unite per l’Europa, a Ginevra. Il nome faceva riferimento alla Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa (ECE): cambiando soltanto una parola, la comunicazione veniva facilitata. La proposta consisteva nell’usare il dialogo, invece di puntarsi addosso i missili nucleari. L’idea fu recepita. Vi trovate al Polo Sud e vi chiedono di spostarvi, ma non avete il permesso di andare verso Nord. Risposta? ESERCIZIO Trovate un esempio di un conflitto simile nella vita vera. ESERCIZIO Vi siete cacciati in un vicolo cieco e volete uscirne fuori. Che fate? ESERCIZIO Trovate un esempio di un conflitto simile nella vita vera. ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 103 TEORIA DELLA VIOLENZA Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO V UNITÀ 21 - 25 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V 21 IL TRIANGOLO VIOLENZA DIRETTA – STRUTTURALE – CULTURALE La violenza danneggia/ferisce il corpo, la mente e lo spirito. Si possono identificare almeno tre tipi di violenza, a seconda di come agisce: 1 2 3 violenza diretta: è intenzionale; è attuata da attori violenti per danneggiare/ferire; violenza strutturale: non è intenzionale, è abituale; tutti/e vi sono coinvolti/e; violenza culturale: legittima le altre due come buone e giuste. La violenza diretta, visibile, distruttiva, intesa a fare danni, è la forma più temuta. La violenza strutturale è invisibile, non c’è la volontà di danneggiare, l’uccisione è lenta, ma può essere altrettanto o perfino più distruttiva. Confrontate gli oltre 12 milioni di bambini che muoiono ogni anno di malnutrizione con i quasi 9 milioni di morti in media all’anno a causa della mega-violenza della seconda guerra mondiale. La violenza strutturale può essere il congelamento della violenza diretta di passate conquiste e/o repressioni, come il colonialismo, la schiavitù, lo sfruttamento economico. La conseguenza può essere una violenza rivoluzionaria e contro-rivoluzionaria. L’intensità della violenza dipende dal livello di violenza culturale: la violenza è glorificata? Le alternative nonviolente sono rese invisibili? Anche la violenza culturale è invisibile, ma c’è un chiaro intento di offendere, perfino di uccidere, indirettamente, con parole e immagini, cioè simbolicamente. Questa è la violenza dei sacerdoti, degli intellettuali, dei professionisti; i militari si specializzano nella violenza diretta e l’economia spesso costruisce strutture violente e su di esse si basa. A spese di chi? Della gente comune. GIUSTIFICAZIONE In un conflitto gli atteggiamenti sono alimentati dalla violenza o dalla pace culturale della società d’appartenenza, i comportamenti dalla violenza o dalla pace diretta, e le contraddizioni dalla violenza o dalla pace strutturale generale. Nella terminologia delle Nazioni Unite, il peace-making crea presidi politici per metter fine alla violenza diretta e cominciare a occuparsi della violenza culturale, il peace-keeping mantiene sotto controllo la violenza diretta, mentre il peace-building è un tentativo di edificare strutture migliori e talvolta si occupa anche della violenza culturale. PROBLEMI Qualunque dialogo sui conflitti prima o poi toccherà tutti questi temi. Siate preparati ad affrontare la complessità della materia. 106 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici 21 IL TRIANGOLO VIOLENZA DIRETTA – STRUTTURALE – CULTURALE Ci inoltreremo ora ulteriormente nella complessità di questa materia, e il lettore comincerà a vedere la violenza dappertutto. C’è chi focalizza l’attenzione solo sulla violenza diretta, e ci sono talvolta buoni motivi per dare precedenza assoluta alla violenza kshatriyah, la violenza della casta guerriera. Ma i vaishya, i mercanti, erigono strutture economiche locali, nazionali, regionali, globali che creano ricchezza per alcuni e imprigionano altri nella miseria. I più dotati, fra cui anche alcuni malviventi, trovano comunque il modo per emergere o per cavarsela; ma questa è una prospettiva senza compassione e solidarietà umana. Per il bramino delle parole/dei simboli che di professione fa l’economista la disoccupazione è un bene, perché così i padroni possono essere più selettivi (ma applicherebbe a se stesso questa teoria?). Lo stesso vale per gli scritti che glorificano la violenza per l’indipendenza nazionale, la difesa dello stato o la rivoluzione di classe. In effetti, queste sono questioni controverse. Il problema è che chiunque voglia andare avanti riducendo la violenza diretta s’imbatterà in solide strutture resilienti al cambiamento che generano violenza dal basso e dall’alto, nonché in solide culture resilienti al cambiamento che sembrano giustificare ogni tipo di violenza. Prendiamo un caso come il Guatemala: una struttura altamente repressiva e sfruttatrice, con la maggioranza indigena maya (54%) al fondo e i ladinos in cima; per giunta, una cultura intensamente machista, che glorifica la violenza come un modo per i ragazzi per farsi riconoscere uomini fatti. Un accordo per il cessate il fuoco. La tesi di questo Manuale è che, se non si fa qualcosa di profondo a livello della struttura e della cultura, la violenza diretta si riprodurrà, magari sotto un’altra forma (per esempio, come criminalità rampante). Se in linea di massima ritenete ragionevole questa tesi, discutete sul che fare in materia di strutture e culture violente. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 107 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V 22 VIOLENZA DIRETTA: EFFETTI VISIBILI E INVISIBILI La violenza danneggia e ferisce, spesso in modo irreversibile, ben al di là delle conseguenze visibili sui corpi e sulle proprietà, solitamente riportate con la formula superficiale “uccisi, feriti, sfollati, danni materiali”. Ecco una visione d’insieme: AMBITO EFFETTI materiali, visibili EFFETTI immateriali, invisibili Ambiente Degrado e inquinamento, danni alla biodiversità e alla simbiosi Minor rispetto per la natura non-umana, rafforzamento dell’idea dell’“uomo al di sopra della natura” Esseri umani Effetti somatici: numero di persone uccise, ferite, violentate, sfollate Effetti spirituali: smarrimento, traumi, odio, ricerca compulsiva di vendetta e di vittoria Società Danni materiali a edifici e infrastrutture Danni alla struttura sociale e alla cultura sociale Mondo Danni materiali a infrastrutture Danni alla struttura mondiale e a quella sociale Tempo Violenza dilazionata nel futuro; violenza trasmessa dalle mine nascoste nel terreno; mutazioni genetiche Proiezione di struttura e di cultura; punti kairòs di trauma e di gloria Cultura Danno irreversibile al patrimonio culturale umano Cultura di violenza, di trauma e gloria; deterioramento delle capacità di risoluzione del conflitto Tavola 1: Effetti visibili e invisibili della violenza GIUSTIFICAZIONE Per dirla in termini molto chiari: Approccio sbagliato gli effetti della guerra/violenza sono effetti visibili. Proposta Non identificare mai i costi della guerra/violenza soltanto con gli effetti visibili, come le vittime, gli sfollati, le perdite materiali. Effetti invisibili come basse soglie per la violenza, traumi, miti di traumi/gloria alla lunga possono essere anche più importanti. Le conseguenze della violenza per le generazioni presenti e future, come lo smarrimento/odio e la ricerca compulsiva di vendetta e di vittoria (una vera e propria dipendenza), dovrebbero essere esplorate come parte di qualsiasi tentativo di prognosi ed essere usate per scongiurare la violenza. Si dovrebbe reagire a espressioni sfacciate come “si riproducono come conigli”, “la distruzione significa grossi contratti per le imprese”, o “una piccola riconciliazione e se ne saranno già dimenticati”. PROBLEMI Quando si fa notare come funziona la violenza, ci si può imbattere in reazioni del tipo “è quello che si meritano”, “hanno solo da arrendersi”; ma anche in un profondo silenzio, che può indicare che qualche argomentazione è stata recepita. 108 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici 22 VIOLENZA DIRETTA: EFFETTI VISIBILI E INVISIBILI Ovviamente, il punto fondamentale è che se si rende visibile soltanto una frazione dell’effetto complessivo della violenza, come nel caso dei comunicati militari/politici e dei reportage di guerra (dei “corrispondenti di guerra”), allora la guerra (e la violenza in generale) diventa meno inaccettabile, o addirittura più accettabile. La presentazione del conto complessivo – in cui si mostrassero non solo i costi degli armamenti, ma anche i costi di opportunità (come si sarebbe potuto usare per “il burro” e gli investimenti il denaro speso in cannoni) – potrebbe generare un rinsavimento. Un altro esempio sono le esternalità, ossia gli effetti collaterali di un’azione economica: se fossero note appieno, la gente sarebbe probabilmente più cauta; il che è ovviamente una della ragioni principali per cui non sono note e restano appunto “esternalità”, al di fuori del discorso accademico prevalente. Ma quel che si vuole sottolineare qui è che non si tratta solo di aumentare la resistenza contro la guerra nella I Fase, bensì di avere anche una visione d’insieme che serva da lista di controllo, in parte per osservare cosa succede nella II Fase e per tentare di impedire che accada, in parte per avere una valutazione realistica dei compiti tremendi della III Fase. In altri termini: la guerra è simile a un’epidemia, anzi a una pandemia; quindi: • • • Prima della guerra: Durante la guerra: Dopo la guerra: massima prevenzione massima terapia massima riabilitazione In generale, questo è più di quanto gli esseri umani sono in grado di fare. La trasformazione del conflitto a uno stadio precoce è molto meglio, meno dispendiosa, più facile. Ma affinché sia possibile gli allarmi precoci non bastano: ci vuole l’azione precoce. Confrontate la seconda guerra mondiale con la guerra fredda, la guerra che non è diventata calda. Cercate di dare un’idea degli effetti, visibili e invisibili, che la guerra fredda avrebbe prodotto se fosse diventata calda, e nucleare, per giunta. ESERCIZIO Quel conflitto fu trasformato e ci fu risparmiata quella guerra calda. Poi, d’improvviso, nell’autunno del 1989, la guerra fredda svanì, l’Unione Sovietica implose. Per quali motivi, secondo voi? Che cosa possiamo imparare da quella importantissima trasformazione? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 109 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V 23 VIOLENZA STRUTTURALE: LE STRUTTURE CATTIVE ANNIENTANO LENTAMENTE Non c’è nulla di misterioso riguardo a una struttura: è un modello di interazione in cui le persone interpretano dei ruoli senza riflettere su ciò che fanno, perché “tutti fanno così” (nello spazio sociale) e perché “abbiamo sempre fatto così” (nel corso del tempo). Qualsiasi interazione (come quella cassiere-cliente ) ripetuta miliardi e miliardi di volte – una struttura – diventa così solida che anche una variazione minima, come porgere il denaro sul dorso della mano alzando al contempo una gamba, può ben sollevare uno stupore perplesso (se ne dubitate, fate una prova in un negozio). Una struttura violenta danneggia alcune persone, magari perfino tutte (un ottimo argomento per cambiarla); ed è dannosa nel senso che frustra i bisogni fondamentali. Si possono identificare due tipi di violenza strutturale, come se fossero un potere “congelato”: violenza strutturale verticale: repressione (potere politico), sfruttamento (potere economico) e alienazione (potere culturale); violenza strutturale orizzontale: tenere separate persone che vogliono vivere insieme; tenere insieme persone che vogliono vivere separate. Nel caso verticale i bisogni offesi sono la libertà, il benessere e l’identità; quando il quarto bisogno, la sopravvivenza, è offeso dalla classe militare, si tratta di violenza diretta. Nel caso orizzontale il bisogno offeso è l’identità: la nazione coreana vuole un’unione che le è negata dai governi, e due delle nazioni presenti in Bosnia non vogliono una convivenza che viene loro imposta. GIUSTIFICAZIONE Questo spiega come sia possibile la violenza pur senza alcuna intenzione di nuocere; è così e basta, oppure è diventato così perché “tutti lo fanno” e perché “abbiamo sempre fatto così”. PROBLEMI Questo sposta l’attenzione dai cattivi attori alla cattiva struttura – come dal colonizzatore al colonialismo – e libera dai vincoli morali coloro che stanno in alto. Tuttavia, le omissioni deliberate e il non rimediare alla situazione da parte di coloro che stanno in alto, costituiscono una vera e propria realtà sociale. 110 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici 23 VIOLENZA STRUTTURALE: LE STRUTTURE CATTIVE ANNIENTANO LENTAMENTE Le strutture appaiono solide. Prendiamo coraggio dalle cattive strutture che sono state superate, come il colonialismo e la schiavitù, senza negare che altri problemi possono essersi presentati nella loro scia. Inoltre, sarebbe arduo negare che qualcosa stia accadendo oggi a una terza cattiva struttura, il patriarcato. È in corso una liberazione delle donne, grazie ad azioni concrete di persone concrete. C’è anche un problema filosofico: la struttura fa sembrare le persone piccole, anonime, inefficaci, sollevandole così da qualsiasi responsabilità personale. Prendiamo, per esempio, le “masse”, per usare un certo gergo politico. A una più attenta osservazione le “masse” diventano meno anonime e possono assumere le sembianze di un potente capo di partito che ha preso alcune decisioni o avviato alcune iniziative in nome delle “masse”. Un altro esempio: il “mercato”, un’altra struttura anonima. Il “mercato” decide i prezzi. A un esame più ravvicinato il “mercato” diventa meno anonimo e assume le sembianze di potenti dirigenti di imprese transnazionali che decidono prezzi, salari, dividendi ecc., tutto in nome del “mercato”. In breve, le strutture cominciano ad assumere visi, nomi, intestazioni, home pages. Ma questo non inficia il concetto: moltissimi soggetti minuscoli costituiscono le “masse” e moltissimi piccoli venditoricompratori i “mercati”, come risultato finale di miriadi di minuscole azioni. La realtà è una commistione di attori forti e di folle anonime. Impegnate in un dialogo gli attori forti, aumentate il livello di consapevolezza dei tanti attori minori: potenzialmente sono tutti forti. Discutete su cosa succede quando gli stessi operatori/trici nei conflittiper la pace beneficiano delle strutture che possono produrre, e riprodurre, i conflitti. Agiranno contro se stessi? Hanno un interesse acquisito nel perdurare dei conflitti? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 111 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V 24 VIOLENZA CULTURALE: LE CATTIVE CULTURE GIUSTIFICANO Non c’è nulla di misterioso riguardo alla cultura: è un insieme di norme apprese presto nella vita riguardo a buono/cattivo, giusto/sbagliato, vero/falso, sacro/profano, bello/brutto, ecc. La cultura si esprime in vari modi: nei discorsi e nelle azioni, nelle strutture e nelle leggi, nelle scienze e nelle arti. Dopodiché applichiamo questi criteri per vedere se i nostri prodotti vi si adeguano. Il problema è che ci sono aspetti di culture che definiscono come bene la violenza/guerra, e certi tipi d’uccisione come giusti o addirittura sacri (guerra santa) e belli (estetica della violenzaguerra). E affermazioni come “sfortunatamente c’è bisogno di qualche struttura ingiusta” spesso sono prese per vere. Evidentemente, una simile “violenza culturale” può essere allora usata per giustificare la violenza diretta o quella strutturale. C’è quindi bisogno di “pace culturale”, di una cultura di pace che definisca buona, giusta, sacra e bella la pace, e cattiva, sbagliata, profana e brutta la violenza; e vere le affermazioni in tal senso. Oggi le abbiamo entrambe, in una cultura schizofrenica che definisce cattiva la violenza individuale, ma perfino gloriosa certa violenza nel nome di genere-generazione-etnia-classe e di certo nel nome della nazione e dello stato. GIUSTIFICAZIONE Questo spiega come la violenza diventi più accettabile, in quanto alla gente è stato insegnato a concepire certi tipi di violenza come validi e giusti o addirittura sacri e belli. In questo preciso periodo storico è cruciale il modo in cui si giustifica la violenza da parte di nazioni, stati, sistema degli stati e comunità internazionale. PROBLEMI Ciò dà all’operatore/trice nei conflitti il vantaggio di spostare l’attenzione dai cattivi attori e dalle cattive strutture alle cattive culture, analizzando e perfino ridimensionando vari “modelli di legittimizzazione” (per usare il termine politologico). Tuttavia, ciò non deve significare che i cattivi attori e tanto meno le cattive strutture devono essere lasciate perdere. Una struttura può essere violenta di per se stessa, come una dittatura, e un preciso attore potrebbe nascondersi dietro una cattiva cultura, come quella del machismo. L’attenzione dovrebbe rivolgersi a tutt’e tre, al fine di rendere tutt’e tre migliori. 112 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici 24 VIOLENZA CULTURALE: LE CATTIVE CULTURE GIUSTIFICANO La violenza culturale è anche più problematica della violenza strutturale perché ce la portiamo dentro tutti, non solo qualche attore “cattivo”. La violenza strutturale beneficia quelli che stanno in alto, ma la gran parte di noi non sta lassù. Sicché possiamo leggere testi sul “neo-colonialismo” e sullo “sfruttamento del Terzo Mondo” rallegrandoci di non far parte di quelli che stanno in alto (la qual cosa può essere illusoria, ma questa è un’altra faccenda). Le strutture vengono viste come qualcosa d’esteriore. Ma le culture sono interiori, ci nutrono il cuore di religione/ideologia, di linguaggio, di cultura non passata al vaglio che struttura la nostra identità. Tutto quello che c’è di sbagliato in loro, è sbagliato in noi, come hanno dovuto ammettere gli uomini sfidati dal femminismo. L’analisi culturale ci fa soffrire più dell’analisi strutturale, fatta eccezione per quelli al vertice delle strutture. In ogni parte del mondo i ragazzi vengono allevati in culture che li preparano a difendere la propria famiglia, a rischio della propria vita, e alla fin fine, se necessario, a “morire da uomini”, senza piangere o implorare pietà. E le ragazze vengono allevate in culture che le preparano a essere difese, a vedere i propri uomini come fonti di sicurezza e a prepararli a “morire da uomini”, se necessario. Senza smantellare tali idee, focalizziamo piuttosto l’attenzione sul fatto che né gli uni né le altre vengono allevati in una cultura di pace, colma di idee fantasiose su come trattare i conflitti in maniera nonviolenta e creativa. E qui si inserisce bene l’esempio delle arance, in due modi. In primo luogo, nell’introduzione alla teoria e alla pratica del conflitto si indicano 16 risultati qualitativamente diversi. Un aspetto della creatività è appunto la capacità di immaginare molti risultati. In secondo luogo, un altro aspetto è la capacità di passare da un conflitto all’altro. Il dividere le arance nel caso dell’Irlanda del Nord potrebbe significare l’attribuzione delle tre contee protestanti ai protestanti e delle tre contee miste ai cattolici, invitando tutti gli altri ad andarsene; ma sembra che tutti siano d’accodo nel ritenerlo un risultato che vale davvero poco. Sono molto meglio altri modelli desumibili dal gioco delle arance! Trovate trasposizioni adeguate di risultati basati sul trascendimento per l’Irlanda del Nord. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 113 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V 25 IL TRIANGOLO DIAGNOSI-PROGNOSI-TERAPIA (Se non vi piacciono questi termini che si rifanno alla medicina usate invece “analisi-previsione-rimedi”). 1 2 3 4 Ecco un’altra triade di parole e l’acronimo DPT per elencare separatamente alcune idee, badando nello stesso tempo a tenerle unite, per ricordare sempre di considerarle tutt’e tre assieme. La diagnosi della violenza si riferisce al passato, perché solo il passato può produrre i dati necessari a un’analisi descrittiva. La prognosi è anch’essa descrittiva, ma della violenza a venire; in altri termini, è predittiva. Il che vale anche per la terapia, che però è prescrittiva: dovremmo fare questo, non quello. Ciò significa che manca una categoria: la terapia del passato. Bene, ce n’è una? Ha un grande valore il chiedersi “quand’è che è successo qualcosa di sbagliato, e che cosa si sarebbe potuto fare in quel momento critico?”. L’idea generale sarebbe di esplorare il passato in termini prescrittivi, come una “storia controfattuale”, una “storia nel modo congiuntivo”, una “storia come se”, mettendoci al di sopra della storia, anziché permettere alla storia di mettersi al di sopra di noi. Dopo di che, sarebbe raccomandabile una qualche prognosi: “data la situazione attuale, cosa pensi accadrà?”. Al che potrebbe seguire una diagnosi: “perché le cose stanno così?”. E infine: “bene, come possiamo uscire da questo pantano?”; o modi più elaborati di far emergere suggerimenti terapeutici. GIUSTIFICAZIONE Passare direttamente alla diagnosi o alla terapia è spesso futile. Le parti hanno i loro racconti sull’accaduto troppo ben confezionati. Il percorso attraverso la terapia del passato e la prognosi può servire a “spacchettare” alcuni di quei racconti. Essenziale è l’ascolto. PROBLEMI Non percorrete queste tappe troppo alla svelta, né una volta soltanto. Siamo proprio alle radici dell’intero processo di dialogo. Questo percorso dev’essere sviluppato con estrema cura, avanti e indietro, tutte le volte che è necessario, inframmezzandolo con altri temi dell’agenda del dialogo. 114 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici 25 IL TRIANGOLO DIAGNOSI-PROGNOSI-TERAPIA Ecco i quattro modi di parlare di un conflitto in forma di tabella: MODO DI Descrittivo PARLARE Orientato al passato (A) Diagnosi (D) Terapia del passato Orientato al futuro (B) Prognosi (C) Terapia Normativo Il procedere con la sequenza ABC è molto seduttivo per la logica. Ma attenzione! La diagnosi dovrebbe comprendere la descrizione della formazione conflittuale, cioè l’elenco delle parti con una posta in gioco nel conflitto e dei loro obiettivi. La prognosi e la terapia dipendono moltissimo dalla diagnosi, e di conseguenza è improbabile che ci sia un consenso su questa insidiosa questione. Meglio aggirarla esplorando alcuni eventi concreti del passato (“quand’è che qualcosa è andato storto?”). Spesso c’è un alto livello di consenso su questo punto, che può servire come base di partenza. La domanda successiva – “che cosa si sarebbe potuto fare in quel momento critico?” – serve a tentare di uscire dallo schema mentale secondo il quale quanto è accaduto era inevitabile: si sarebbe potuto fare qualcosa, e allora quel qualcosa potrebbe anche funzionare in futuro. Padroneggiate gli eventi, anziché al contrario. Si consiglia la sequenza D-B-A-C, eventualmente ripetendo anche un paio di volte la fase D-BA, esplorando il passato e il futuro, la descrizione e la prescrizione, prima di fare il salto nell’arduo compito di combinarli in una prescrizione per il futuro, detta anche terapia. Questo passaggio si verifica nel dialogo fra parte interna e parte esterna, insieme, e non dev’essere presentato dall’esterno come un fait accompli alle parti interne. Cercate di progettare qualche altro percorso fra le quattro caselle della tabella, dandogli una qualche giustificazione. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 115 PRATICA DELLA VIOLENZA Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO VI UNITÀ 26 - 30 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI 26 LA DIAGNOSI: LE RADICI DELLA VIOLENZA DIRETTA Nell’approccio qui adottato non si sostiene che la violenza è insita nella “natura umana”. Se così fosse ci sarebbero state meno variazioni nell’incidenza della violenza nello spazio e nel tempo, ed essa sarebbe stata più simile alla generale tendenza umana a mangiare, dormire e avere rapporti sessuali. Piuttosto, le radici della violenza vengono individuate in due costrutti umani, le cattive strutture e le cattive culture. Ma ci sono anche persone e paesi che si possono caratterizzare più che altro come malviventi, bulli, come cattivi attori, violenti ben oltre l’autodifesa o qualsiasi giusta causa. Senza dubbio ci sono cause più remote di natura strutturale e culturale per la loro violenza. Ma questa diagnosi può anche non essere d’aiuto; tali soggetti individuali e collettivi possono costituire problemi di polizia. La quarta causa della violenza diretta è un conflitto trascurato, in particolare un conflitto duro e basilare su questioni fondamentali lasciato a suppurare, come una ferita. Questo comporta la domanda: qual è la radice di un conflitto duro e basilare? Tre le risposte ovvie: cattive strutture che generano nuove offese ai bisogni fondamentali, cattive culture che giustificano la violenza, e cattivi attori che strumentalizzano il conflitto per promuovere la violenza. Quindi, non c’è alternativa alla trasformazione nonviolenta e creativa del conflitto, a meno di accettare come alternativa la violenza a livello personale, sociale e globale. Di conseguenza, abbiamo un enorme bisogno di dialoghi con gli attori su come cambiare le strutture e le culture cattive, per sfuggire a questi circoli viziosi. GIUSTIFICAZIONE Se non ritrovate il vostro fattore di violenza favorito in quanto si è detto sopra, tenete presente che i concetti di struttura e cultura sono molto vasti; è altamente probabile che il vostro fattore vi si trovi incluso. PROBLEMI Queste sono prospettive controverse e il vostro compito non consiste nel prender parte a seminari sulla violenza. Tuttavia, scoprirete che la gente vuole discutere questi temi e dovreste essere preparati per tale discussione, facendo molte domande. 118 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici 26 LA DIAGNOSI: LE RADICI DELLA VIOLENZA DIRETTA Guardiamo ora più in profondità nella pratica e contro-pratica della violenza, con ulteriori dettagli su cosa cercare. Il lettore si sarà accorto che il Manuale è scritto in una forma a spirale, che si riesaminano dinuovo gli stessi punti, ma presumibilmente “a un livello superiore”, con il vantaggio di orizzonti più ampi. La pericolosa commistione di fattori che produce la violenza ha questa forma: Più generale, [a] CATTIVE STRUTTURE [b] CATTIVE CULTURE duratura Più specifica, [c] CATTIVI ATTORI temporanea [d] CATTIVI CONFLITTI Le strutture democratiche e le culture dei diritti umani possono essere problematiche anch’esse, perché persone di cultura non-occidentale possono sentirsi a disagio, ma sono comunque di grande aiuto. Il metodo usato dai regimi autoritari (e non tutti sono dittature; tra di loro ci sono anche democrazie, con la democrazia in vigore solo il giorno delle elezioni) è quello di mettere le mani sui presunti cattivi attori prima della violenza, nella I Fase, in modo preventivo, proattivo, senza toccare gli altri fattori. L’esperienza sembra indicare che questo metodo non funziona, poiché si limita a posporre la violenza e le trasformazioni. Cattive condizioni producono nuovi “cattivi attori”. Purtroppo, si fa quasi lo stesso in modo retroattivo nella III Fase, dopo la violenza, arrestando i cattivi soggetti e chiamandoli in giudizio nei tribunali per un verdetto di colpevolezza spesso ben meritato e la relativa punizione. Ma questo modo di procedere si concentra solo sugli attori. Il fare poco o niente riguardo agli altri tre fattori non farà che riprodurre la situazione, creando nuovi cattivi attori. In linea di principio, ci si dovrebbe occupare contemporaneamente di tutti i quattro i fattori. Ma se, per carenza di risorse, foste costretti a concentrarvi su uno solo, da quale comincereste in linea di massima? Perché? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 119 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI 27 VIOLENZA DIRETTA: CATTIVI ATTORI, MALVIVENTI E BULLI Ci sono molti tipi di attori e una distinzione fondamentale è quella tra individui e collettività. Ci sono anche molti tipi di collettività e una distinzione fondamentale è quella fra le autonomie locali, gli stati (con i governi che agiscono in loro nome), le organizzazioni non-territoriali e non-govenative (le ONG), e le imprese nazionali e transnazionali. Come le caste guerriere in precedenti formazioni sociali, i governi hanno il monopolio delle armi in ultima istanza. E, come i guerrieri, si offendono facilmente e possono non considerare i conflitti come qualcosa da trasformare in modo pacifico, bensì come qualcosa da usare in modo violento per ottenere onore e prestigio. Quindi gli stati possono essere problematici, e lo stesso vale per i gruppi che aspirano a diventarne i padroni, come le nazioni e le colonie, e in una certa misura le etnie e le classi. I generi e le generazioni sono di solito raggruppamenti meno problematici, poiché hanno ovviamente bisogno l’uno dell’altro. Gli attori possono essere valutati in base alle intenzioni (violenti o nonviolenti), la capacità (forti o deboli) e la modalità (attivi o passivi). Il compito dell’operatore/trice nei conflitti dovrebbe essere quello di fare il contrario di quello che fanno i media e i paesi. Si dovrebbe porre meno l’accento sugli attivi-forti-violenti (i Tarzan/Rambo presenti sia fra gli individui che fra gli stati/nazione) e più sui nonviolenti, rafforzando i (finora) passivi e più deboli fra loro. Ciò spesso significa dare maggiore potere alle donne, ai bambini, ai giovani e ai più anziani, rendendoli capaci di opporsi contro quella che può essere una minoranza molto piccola, mettendo in evidenza gli effetti visibili e invisibili della violenza, cercando alternative e dando loro voce. GIUSTIFICAZIONE Anche la migliore analisi strutturale e culturale richiede attori concreti (come gli/le insegnanti) per attuare i cambiamenti; bisogna definire i loro compiti per la trasformazione del conflitto e la riduzione della violenza. PROBLEMI Può essere una buona tattica non perdere troppo tempo con i Tarzan/ Rambo. Tuttavia, alcuni di loro possono non veder l’ora di venire liberati da tale ruolo, e altri possono diventare ancor più intrattabili se vengono definiti “estremisti” ed esclusi da un processo di pace (v. il caso Israele/Palestina). Ciò ovviamente vale anche per i “moderati” esclusi (per lungo tempo un grosso problema in Irlanda del Nord). 120 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici 27 VIOLENZA DIRETTA: CATTIVI ATTORI, MALVIVENTI E BULLI Focalizzando dinuovo l’attenzione sulla I Fase, qual è il migliore approccio ai cattivi attori, i malviventi, i bulli? Non hanno (ancora) commesso un atto criminale, per cui non possono venir arrestati e deferiti a un tribunale. Ma nella comunità si sa abbastanza bene chi siano, anche se si può sempre migliorare l’informazione. La polizia (segreta) presumibilmente lo saprebbe. Un punto importante riguardo ai cattivi attori, oggi denominati “estremisti” o “fondamentalisti”, è che spesso sono portatori dell’articolazione più esplicita e semplicistica dell’oggetto del conflitto. Spesso possono essere odiati non per quello che fanno, ma per quello che dicono, in base al presupposto che quel che pensano è ancor peggio. La loro eliminazione non comporta l’eliminazione del conflitto. Altri possono sentire e pensare allo stesso modo, ma non essere abbastanza onesti o coraggiosi per dirlo. D’altro lato, il permetter loro di mettere in atto la loro violenza porterebbe a una esacerbazione del conflitto. L’idea qui proposta è quella di mobilitare altri cittadini con profili opposti e farli lavorare coi cattivi attori, sfidandoli a esporre apertamente le loro opinioni attraverso molti dialoghi e indicando le conseguenze delle azioni che potrebbero intraprendere. Stare ad aspettare che alcuni malviventi tedeschi brucino vive delle donne turche per poi agire non può essere la sola risposta. Ci devono essere modi in cui i cittadini possano organizzare comitati inter-gruppo per prevenire gli eventi. Alcuni terroristi (non terroristi di stato) sono stati convertiti a lottare per i loro obiettivi mediante la nonviolenza, per esempio in Irlanda del Nord. Il processo passa attraverso il dialogo per identificare obiettivi accettabili e rifiutare mezzi inaccettabili, esaminando le conseguenze degli uni e degli altri. Progettate un dialogo tra un/a “operatore/trice nei conflitti” e un “cattivo attore”, lavorando in coppia e recitandolo davanti agli altri. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 121 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI 28 VIOLENZA STRUTTURALE: LA SINDROME PSFM Le strutture esercitano violenza sul corpo, sulla mente e sullo spirito perché sono repressive, sfruttatrici e alienanti. Alcune strutture sono peggiori di altre; sono rigide e super-resistenti al cambiamento, come la schiavitù, il colonialismo, il patriarcato. Questo è importante nel diagnosticare la violenza. Potrebbe essere dovuta a una struttura rigida come una camicia di forza, tale per cui i repressi, gli sfruttati e/o gli alienati non vedono alternativa se non il combattere per liberarsene? La sindrome viziosa PSFM consiste nei seguenti quattro aspetti delle strutture sociali fra le persone e delle strutture globali fra i paesi: 1 2 3 4 penetrazione: la misura in cui quelli che stanno sopra possono condizionare psicologicamente quelli che stanno sotto, in modo tale che accettino la struttura, magari come qualcosa di naturale (“proprio come una montagna, la società ha una vetta e una base”) o dato da Dio (“è la punizione della pigrizia/del peccato; ma in paradiso l’ultimo può essere il primo”); segmentazione: la misura in cui solo chi ha in mano la politica o l’economia sa che cosa succede e quelli di sotto vedono solo minuscoli segmenti di realtà, che non possono formare immagini più complete; frammentazione: la misura in cui quelli di sopra interagiscono fra di loro in ogni modo possibile, mentre quelli di sotto sono tenuti separati, come le donne e i bambini all’interno delle loro famiglie; marginalizzazione: la misura in cui quelli di sotto (spesso di un’altra etnia) sono (pressoché) tagliati fuori da ogni interazione con il vertice della società, esclusi dall’interazione sociale e globale. La combinazione di questi quattro meccanismi spiega come mai un ristrettissimo numero di persone o paesi possano dominare tante persone e tanti paesi: appunto combinando insieme repressione/sfruttamento/ alienazione, con livelli bassi di violenza diretta. L’empowerment delle persone che stanno in basso comporta la lotta contro la sindrome PSFM, mediante il rafforzamento della loro identità, delle loro immagini della società e della loro solidarietà, nonché mediante la richiesta di una piena partecipazione – tutti aspetti essenziali in una democrazia vibrante. GIUSTIFICAZIONE Nell’ambito della sindrome PSFM una minuscola élite può anche controllare il risultato delle elezioni e sovvertire gli ideali democratici. PROBLEMI E questo può essere appunto quello che la minuscola élite preferisce; il che significa che i dialoghi su queste problematiche saranno controversi. 122 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici 28 VIOLENZA STRUTTURALE: LA SINDROME PSFM Vale la pena rammentare che non è trascorso molto tempo dal periodo feudale e che il feudalesimo prevale tuttora in vaste aree del mondo. Il concetto di feudalesimo non comprende soltanto i modelli di possesso della terra e dei titoli nobiliari. La struttura profonda del feudalismo è esattamente il condizionamento dall’alto, costringendo le persone in piccole nicchie dove vedono ben poco, tenendole separate le une dalle altre e mettendo ben in chiaro chi è dentro e chi no; in breve: PSFM, appunto. Questi sono temi perenni, che trovano via via nuove forme d’espressione, nuove arene. Il punto fondamentale, qui, è la loro relazione con la democrazia. Come si può costruire un ordine democratico senza che la gente sia ragionevolmente libera di pensare con la sua testa? Senza rendere la società ragionevolmente trasparente a tutti i cittadini? Senza far sì che la gente sviluppi solidarietà verso chi è in difficoltà? Senza esigere una piena partecipazione, che riguardi anche i modi in cui si affrontano i conflitti nella società stessa? L’empowerment è la chiave, e la sindrome PSFM è la serratura da aprire con l’empowerment. Qui Internet potrebbe essere uno strumento importantissimo, mediante la costruzione di reti capaci di attraversare ogni tipo di confine PSFM – con il rischio, però, di escludere coloro che non vi hanno accesso. In che modo la penetrazione, la segmentazione, la frammentazione e la marginalizzazione hanno lavorato per il colonialismo, la schiavitù e il patriarcato? ESERCIZIO Per la schiavitù la penetrazione consisteva ovviamente nello sforzo di indurre i neri a considerarsi inferiori; la segmentazione nella visione estremamente limitata della società che potevano avere dalle capanne e dai campi di cotone; la frammentazione nel modo in cui fu loro impedito di riunirsi in un’unica forza; la marginalizzazione nello spartiacque bianchi/neri. Fattori potenti. Tentate di identificare gli elementi equivalenti per il colonialismo e il patriarcato. Come si può lavorare su fattori del genere, al fine di ridurre la violenza strutturale in tutti i tre casi? CHIAVE La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 123 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI 29 VIOLENZA CULTURALE: LA SINDROME EGT E LA SINDROME DMA Nell’ambito della violenza culturale ci sono due sindromi viziose molto gravi: la sindrome EGT, che concerne soprattutto le emozioni, e la sindrome DMA, che riguarda le nozioni, le immagini. La sindrome EGT si trova nelle culture di genere, generazione, etnia, classe e nazione: • Elezione: un certo gruppo è eccezionale, è stato scelto da forze supreme (Dio, la Storia): “abbiamo una missione nel mondo, gli altri dovrebbero stare attenti, se no (molto) peggio per loro”; • Gloria: miti relativi a un passato aureo (spesso molto remoto), oppure a un futuro glorioso, quando la missione sarà stata compiuta, secondo i precetti di certe forze supreme; • Trauma: l’essere stati scelti provoca l’invidia altrui, per cui la gloria si mescola con l’amarezza per i gravi traumi sofferti nella lotta per portare a termine la missione, vivendo in conformità ai comandamenti supremi. La sindrome DMA è un elemento costitutivo della civiltà dell’Occidente, nonché di altre: • Dicotomia: la tendenza a dividere nettamente il mondo in due, la suddivisione più rozza (cristiani versus pagani, l’Occidente e il Resto); • Manicheismo: si concepisce una delle due parti come soltanto buona, mentre l’altra è soltanto cattiva e lotta per la nostra rovina; • Armageddon: in una simile lotta non c’è possibilità di riconciliazione, può finire solo con il trionfo del bene o del male; per cui è opportuno rafforzare noi stessi (i buoni) e indebolire gli altri (i cattivi). GIUSTIFICAZIONE Quando si combinano, questi miti giustificano la violenza diretta per ottenere la gloria futura, uscendo al contempo dal trauma del passato (e riscattandolo) e contando sul supporto di forze supreme, con un clero che provvede a che i comandamenti vengano seguiti. Per la classe eletta di Marx, il proletariato, il clero era costituito dai funzionari di partito capeggiati dal Politbüro; Dio era la Storia e Marx il profeta della Storia. Se il mondo è già diviso fra il Sé e l’Altro, i meccanismi psicologici di repressione/proiezione operano con facilità estrema, proiettando le nostre cattive inclinazioni sull’Altro e tutte le buone inclinazioni sul Sé. DMA prepara il terreno a EGT e viceversa. Un possibile antidoto: un testo scolastico con 50 affascinanti racconti che indichino come rapportarsi ai conflitti in modo creativo e nonviolento. PROBLEMI 124 Tutto questo deve in qualche modo venire a galla nei dialoghi, e la cosa non sarà mai facile, perché vengono toccate le identità profonde dei popoli. Il modo in cui procedere sarà sviluppato nelle prossime unità. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici 29 VIOLENZA CULTURALE: LA SINDROME EGT E LA SINDROME DMA Immaginate un uomo appartenente alla classe superiore di una nazione dominante in un paese dominante: quattro volte eletto. La modestia e l’identificazione con gli oppressi non gli verranno spontanee, dato che la sua coscienza è annebbiata dal greve bagaglio subconscio di tipo EGT e DMA. A livello di paese/classe la somma E+G+T+D+M+A equivale a una patologia, come esemplificato dalla Germania nazista, dall’Italia fascista, dal Giappone militarista, dall’Unione Sovietica stalinista e dalla Cina della rivoluzione culturale. Questi sei aspetti possono servire per preparare psicogrammi per certi gruppi. Di tutti i problemi trattati in questo Manuale questo è probabilmente il più difficoltoso, anche perché in tutti noi c’è un briciolo di tali sindromi. La nostra capacità di lavorare contro noi stessi è limitata. L’antidoto indicato è così modesto da sembrare uno scherzo di cattivo gusto. Tuttavia, si deve sottolineare che è anche possibile sentirsi eletti per la pace, come i quaccheri, i mennoniti e altri, fra i quali alcuni gruppi buddhisti. La gloria sarebbe allora un Regno di Pace, ispirato dal passato e che dovrà essere ricreato nel futuro. Il trauma, in questo caso, sarebbe la sofferenza di alcuni di coloro che si sono dedicati alla pace: un Martin Luther King Jr., un Yitzhak Rabin. Ma la sindrome DMA è più complicata: potrebbe condurre a distinzioni troppo nette fra le persone orientate alla pace e quelle orientate alla violenza (questo stesso Manuale vi si accosta pericolosamente nell’Unità 3!), con visioni di lotta inconciliabile in luogo del riconoscimento della presenza di violenza nei primi e di pace nei secondi, e del bisogno di accostarsi l’un l’altro nel dialogo. Immaginate di credere nella violenza: come cerchereste di convincere un “pacioso”? E viceversa? ESERCIZIO Come si configurerebbe un’alternativa all’EGT? ESERCIZIO Come si configurerebbe un’alternativa alla DMA? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 125 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI 30 PROGNOSI: ALLARME PRECOCE, AZIONE PRECOCE Parliamo qui di allarme precoce relativamente alla violenza, non al conflitto. I conflitti sono onnipresenti, la violenza diretta meno; i batteri sono onnipresenti, come nel tratto oto-rino-laringeo, le malattie meno. L’esposizione a molti batteri è insufficiente per dare un allarme precoce di malattia, salvo per alcune specie molto virulente; ma combinata con una scarsa resistenza (ad esempio, un sistema immunitario danneggiato), può già bastare. Alla stessa stregua, alti livelli di violenza strutturale e culturale, non di una soltanto, servono da indicatori per l’allarme precoce per la violenza diretta. Ma vale anche l’opposto: la violenza diretta serve da segnale (troppo) tardivo della presenza di violenza strutturale e culturale. Le persone possono deplorare di dover lavorare sotto il giogo di cattive strutture, eppure non fare nulla di violento perché “la violenza non è nella loro cultura”. Possono assorbire violenza culturale da media violenti, ma non essere coinvolte in grandi lotte, e avere solo controversie private. Tuttavia, se vengono in contatto con cattivi attori e se ci sono conflitti fondamentali abbandonati a se stessi, si ottiene la ricetta ideale per la violenza diretta. Aspettare che si manifesti per cambiare lo stile sociale (= strutturale + culturale) è come aspettare il primo attacco cardiaco per cambiare il proprio stile di vita. GIUSTIFICAZIONE Un allarme precoce basato sulla violenza strutturale e culturale può servire a predire la violenza diretta, soprattutto se l’analisi della struttura include gli indicatori PSFM e l’analisi della cultura gli indicatori EGT e DMA. PROBLEMI Il problema principale è percepire la violenza strutturale e culturale soltanto come preavviso della violenza diretta, anziché come cattive di per sé. La violenza strutturale può ridurre la vitalità delle persone che stanno più in basso nella stessa misura, o in misura maggiore, della violenza diretta, anche se con una velocità minore. E si può anche sostenere che la violenza culturale (come la pornografia, i polizieschi, i gialli ecc.) impoverisce la mente delle persone e le rende inferiori a quello che potrebbero essere. In breve: allarme precoce significa: “Non aspettare, mettiti al lavoro. Ci sono persone che soffrono!”. 126 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici 30 PROGNOSI: ALLARME PRECOCE, AZIONE PRECOCE Questa è la problematica perenne della I Fase: dobbiamo stare fermi ad aspettare che si manifesti la violenza o agire? Ovviamente la seconda opzione. Ma allora si presenta subito una nuova domanda: dobbiamo agire per prevenire un’eventuale violenza o lo dobbiamo fare a causa dei problemi della I Fase in quanto tali? Preferibilmente tutt’e due, altrimenti può capitarci di non risolvere i problemi della I Fase e di non prevenire la violenza della II Fase perché non abbiamo fatto un buon lavoro. E allora arriva il verdetto: violenza diretta come segnale (troppo) tardivo della presenza di violenza strutturale/culturale, come epitaffio per il lavoro fatto male da statisti, diplomatici, politici o altri. Sfortunatamente troviamo entrambe le tendenze seguenti in molti interventi (dilettanteschi) sui conflitti oggi: • non far nulla contro la violenza strutturale finché i primi segni di violenza diretta vengono presi come indicatori della possibile gravità della situazione; • non far nulla contro la violenza diretta, lasciarli combattere finché i primi segni di affaticamento indicano che la situazione è “matura per il tavolo delle trattative”. Entrambe possono essere considerare posizioni da pantofolai, molto distanti da quella prossimità con una certa situazione che fa agire qui e ora semplicemente per umana compassione. Possono anche essere viste, come già accennato, come posizioni più maschili che femminili sul momento in cui agire nelle crisi. Ovviamente ci sono argomenti in favore dell’una e dell’altra posizione. Agire presuppone un qualche consenso politico, a sua volta basato su informazioni che obbligano all’azione. Il primo colpo sparato per rabbia è un fatto, così pure la notizia della disponibilità a incontrarsi al tavolo dei negoziati. Ma il primo sparo può essere insignificante in rapporto alle sofferenze di migliaia di persone che vivono nel malsviluppo, e il tavolo può esser il posto sbagliato per trovare una soluzione. In entrambi i casi è molto tardi: un buon motivo perché la società civile prenda l’iniziativa, senza aspettare che i governi “facciano qualcosa”. Come mai sembra che la violenza diretta sia presa più sul serio delle altre forme di violenza? Cosa possiamo fare in proposito? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 127 LA TRASFORMAZIONE Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO VII UNITÀ 31 - 35 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII 31 NON C’È ALTERNATIVA ALLA TRASFORMAZIONE In linea di massima i conflitti non si risolvono, né si dissolvono. Le parti, gli obiettivi e le incompatibilità (le questioni problematiche) di solito continuano a essere presenti. Il pensare di avere il conflitto completamente alle nostre spalle può essere un grave errore. Tuttavia, mediante la sua trasformazione, il conflitto così com’era – con l’odio, le (minacce di) violenze e la sensazione di essere bloccati/ immobilizzati – recede nello sfondo. La trasformazione del conflitto è come lasciare un ospedale: non equivale esattamente a un certificato di buona salute. La prognosi è che la piena salute sopraggiungerà come risultato del Sé che agisce come proprio operatore sanitario, ivi compreso l’affidarsi alle capacità di autoguarigione del corpo (sistema immunitario), con il corpo, la mente e lo spirito che spingono nella stessa direzione. E con l’assistenza occasionale di operatori sanitari disponibili su chiamata. Il parallelo fra malattia/salute e violenza/pace è ovvio. La pace può essere definita come la capacità di rapportarsi a un conflitto in modo autonomo, nonviolento, creativo, con la partecipazione di tutti, proprio come la salute può definirsi come “la capacità di rapportarsi da soli a una malattia, senza fare violenza al corpo” (come accade con la chirurgia, la chemioterapia, la radioterapia). Talvolta possiamo trovarci a dover usare un minimo di violenza per il maggior bene della salute/ pace. Ma non dovremmo idealizzare quei mezzi: sono dei tappabuchi e i mezzi nonviolenti dovrebbero sempre essere utilizzati per primi. Lo scopo della trasformazione del conflitto è la pace, la capacità di rapportarsi a un conflitto in modo creativo e nonviolento. La visione di un risultato sostenibile e accettabile da tutte le parti può trasformare il conflitto ben prima di un qualsiasi accordo. Il discorso sul conflitto è cambiato perché la visione serve da punto di riferimento, da áncora. Si comincia a parlare di qualcosa di nuovo; le vecchie questioni sulle quali si incentrava il conflitto evaporano o passano in secondo piano. Gli esterni si ritirano, le parti cominciano a costruire la propria capacità di trasformazione del conflitto. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 130 L’obiettivo non è una soluzione definitiva, bensì trasformare il conflitto e costruire la capacità delle parti stesse di rapportarsi al conflitto da sé in modo nonviolento e creativo. L’abbandonare a se stesse le parti troppo presto; o troppo tardi. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici 31 NON C’È ALTERNATIVA ALLA TRASFORMAZIONE Adesso stiamo entrando nello stadio della trasformazione e in questa Unità si tratteggiano, in termini piuttosto generali, alcune prospettive sul da farsi. Per essere più specifici, prendiamo il caso della Iugoslavia. Il conflitto fra, poniamo, croati e serbi non sparirà nella prossima generazione. Ci vorranno secoli, o perfino un millennio. Ma può essere affrontato in modo meno violento (evitate i termini “primitivo” o “incivile”; i confronti con l’Europa del XX secolo sono insulti ai cosiddetti popoli primitivi o incivili). Immaginiamo che la Croazia avesse accettato che l’autodeterminazione per la Croazia implicasse necessariamente l’autodeterminazione per i serbi della Croazia, diciamo della Krajina. Essi avrebbero potuto votare per la secessione, magari con qualche ridefinizione dei confini della Krajina. Ma perché la Croazia dovrebbe accettare questo senza contropartita? La Serbia potrebbe estendere la stessa offerta agli albanesi del Kosovo/a, dinuovo con la possibilità di negoziare e ritracciare i confini. Ma per aiutare i croati, i croati della Bosnia-Erzegovina avrebbero anch’essi dovuto fruire del diritto all’autodeterminazione, inclusa la possibilità di integrarsi nello stato croato. A questo punto manca però il quarto lato del quadrangolo: i musulmani albanesi che diano qualcosa ai musulmani slavi, per esempio l’uso di un qualche porto in Albania, insieme a un qualche tipo di corridoio. Con appena un pochino di buona volontà questo accordo quadrilaterale potrebbe funzionare. Ma è anche vulnerabile. Tuttavia, immaginate che funzioni: un mucchio di obiettivi bloccati si sbloccherebbero e forse si ridurrebbe anche la percezione che si possa risolvere qualcosa soltanto con la violenza. In breve, si passerebbe da un aspro conflitto su interessi fondamentali a un conflitto lieve su dettagli minori, quasi amministrativi. Discutete lo scenario, evidenziandone i punti positivi e negativi. Come si potrebbe migliorarlo? Chi potrebbe/avrebbe potuto metterlo in atto? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 131 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII 32 L’EMPATIA PER CAMBIARE GLI ATTEGGIAMENTI Applicando l’approccio DPT ad A (gli atteggiamenti), l’operatore/trice nei conflitti si trova prima o poi a dover usare l’empatia per esplorare gli obiettivi più profondi di ciascuna parte, cosa impossibile a farsi quando le altre parti stanno ascoltando. Lo scopo qui è la diagnosi: identificare obiettivi validi sui quali costruire. Essi possono aver a che fare con i bisogni fondamentali e i diritti fondamentali, cioè con qualcosa di “universale” che anche gli altri attori possono celebrare come obiettivo. Si tratta di un punto importante: qualsiasi parte ha bisogno di sostegno su qualche punto. Come già argomentato prima, “la revisione del trattato di Versailles” e “l’Asia agli asiatici” erano obiettivi del genere, anche se la Germania e il Giappone li giustificavano in termini EGT. Il collegamento fra gli obiettivi e le loro giustificazioni diventa allora un tema importante nell’ordine del giorno dei dialoghi. Un altro tema, rivolto invece alla prognosi, sono le emozioni nei confronti dell’Altro. Il dialogo su che cos’è più importante, se il conseguimento di un obiettivo valido oppure l’odio verso l’Altro, riguarda la priorità del conflitto originario su determinati obiettivi rispetto al meta-conflitto sui mezzi violenti, con spirali crescenti di rivalsa e contro-rivalsa. “Siete davvero sicuri che l’Altro vi sia d’ostacolo? Potreste immaginare di ottenere il vostro scopo in altro modo? Potrebbe darsi che l’ostacolo maggiore sia il vostro atteggiamento? Quale pensate che sia la conseguenza del vostro modo di pensare? Cos’è che vi fa più paura nell’Altro? Vedete qualcosa di positivo nell’Altro? E l’Altro, vede qualcosa di buono in voi?”. Un terzo tema, orientato alla terapia, è lo sforzo congiunto per cambiare gli atteggiamenti. L’essenziale, qui, è celebrare il conflitto come una sfida e pertanto badare al conseguimento di un obiettivo, ma forse non di tutti gli obiettivi. L’atteggiamento verso il conflitto deve cambiare, come apertura potenziale per una relazione migliore – non peggiore – con l’Altro. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 132 Un atteggiamento rilassato, meno fissato sull’odio, è una condizione per il progresso, ammesso che un qualche obiettivo venga accettato. Le immagini di Sé e dell’Altro ancorate agli schemi EGT-DMA. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici 32 L’EMPATIA PER CAMBIARE GLI ATTEGGIAMENTI Fin dove possiamo arrivare con l’empatia? La risposta dev’essere in negativo: senza empatia siamo perduti in mezzo a tante e tali difficoltà. La ricerca quacchera di “ciò che è di Dio” in ognuno e la ricerca buddhista del “Buddha nascosto” possono venir tradotte, nella terminologia della trasformazione dei conflitti, come la ricerca di un obiettivo accettabile, in chiunque. Ma tale obiettivo dev’essere riconosciuto dalle parti, e a questo riconoscimento si può giungere illuminando l’obiettivo stesso: “Ecco, guardate, proprio adesso avete detto qualcosa che tutti comprenderebbero e su cui sarebbero anche d’accordo; perché non farne l’elemento portante della vostra piattaforma?”. Un modo di arrivare a tanto è nascosto nel termine “obiettivo”, ma più in particolare negli obiettivi negativi, nelle ansie, nelle paure, piuttosto che negli obiettivi positivi. Esempio (Irlanda del Nord) D: Che cosa direste di temere, voi unionisti? R: Siamo protestanti e temiamo di perdere qualcosa del nostro protestantesimo in un’Irlanda a maggioranza cattolica. Ma temiamo anche di perdere il multi-culturalismo della Gran Bretagna passando all’Irlanda mono-culturale; mi piace tutta quella varietà. E, ovviamente, abbiamo paura per la vita dei nostri figli, siamo spaventati dalla loro violenza. E così abbiamo bisogno di protezione. D: Che cosa direste di temere, voi repubblicani? R: Siamo cattolici, ci sentiamo schiacciati in un angolo nell’Irlanda del Nord a maggioranza protestante. E non siamo troppo entusiasti delle varie mode che di questi tempi arrivano dall’Inghilterra; l’Irlanda dà una certa protezione contro di loro. Soprattutto abbiamo paura per la vita dei nostri figli, siamo spaventati dalla loro violenza. E così abbiamo bisogno di protezione. Immagina la persona con la quale hai avuto finora il conflitto più aspro della tua vita. Qual era il suo obiettivo valido? Quali erano le sue paure? E le tue? Pensi che dei risultati nonviolenti avrebbero potuto essere compatibili con i suoi atteggiamenti? Quale credi che fosse, secondo lui/lei, un tuo obiettivo valido, ammesso che pensasse che ne avessi uno? Quanto nonviolenti sono stati i tuoi atti, discorsi, pensieri e sentimenti? Con quella tua controparte hai avuto soprattutto dialoghi interiori arrabbiati, o hai cercato di porti in relazione reciproca? Ti sei posto in relazione con le paure di quella persona e non solo con le tue? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 133 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII 33 LA NONVIOLENZA PER CAMBIARE IL COMPORTAMENTO Passando al settore B (da Behavior, cioè comportamento) del mondo reale dell’azione, ci lasciamo dietro il mondo interiore virtuale delle emozioni/immagini. Per quanto concerne la diagnosi, la domanda qui sarebbe: perché quella parte è violenta? E una risposta potrebbe essere: “perché la violenza è l’unica via d’uscita in questa faccenda”; oppure “perché l’altra parte è violenta, quindi la violenza è l’unico linguaggio che capiscono”; o ancora, più promettente, “perché siamo tutti violenti; gli esseri umani lo sono e noi siamo umani”. Promettente perché è facile dimostrare che è una risposta erronea. Per la prognosi si dovrebbero esplorare questioni come la reciprocità e le spirali della violenza: “Se tu vai avanti con la tua violenza e lui con la sua, dove si va a finire?”. Se risulta che la vittoria è “l’unico modo per portare a termine questo conflitto”, può venir sollevato il problema della vendetta, con tutti i suoi vari effetti invisibili. L’operatore/trice nei conflitti può anche richiedere la valutazione di ciascuna parte sulla prognosi delle altre parti. Se le prognosi coincidono, c’è una buona ragione per metter fine a ogni violenza, dato che esse concordano sul modo in cui la vicenda andrà a finire. Tutto ciò per esplorare la futilità della violenza. Il tema della terapia potrebbe vertere sull’obiettivo valido che è stato identificato e sull’azione nonviolenta necessaria per promuovere tale obiettivo (i dialoghi con Hitler e con Hirohito che non ebbero mai luogo). In pratica questo significa operare contro le strutture e le culture prevalenti, costruendo identità, immagini di società, solidarietà e partecipazione. Un milione di persone che presentino tali istanze in modo nonviolento a qualsivoglia potere e al mondo intero sono un argomento stringente, soprattutto se le azioni si svolgono anche a livello locale. Mille scuole che insegnino una cultura di pace sono un argomento in più. Cento media di grande risonanza che pratichino un giornalismo di pace ne sono un terzo. Ma arrivare a tanto non è facile. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 134 Facile da sostenere come base per la democrazia. Molti preferiscono una democrazia formale, con una struttura e una cultura che favoriscano in anticipo lo status quo come risultato. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici 33 LA NONVIOLENZA PER CAMBIARE IL COMPORTAMENTO Immaginate che a un certo punto, nei primi anni ‘80, aveste voluto fare qualcosa per metter fine alla guerra fredda. La vostra diagnosi verte su due problemi fondamentali: il nuclearismo all’Ovest e all’Est, più all’Ovest, in realtà, perché l’Est è più emulativo; e lo stalinismo o il post-stalinismo all’Est, che lede i diritti umani. La vostra intuizione è che il (post-)stalinismo è effettivamente assai vulnerabile, come un castello di carte. Sono stati fatti progressi significativi in Polonia, ma sembra esserci un certo stallo. Un paese ad alto livello di coraggio civile è la Germania orientale; vi si studia con interesse la nonviolenza del movimento per la pace della Germania occidentale, pur rilevando che i missili statunitensi a media gittata vengono comunque installati. Sarebbe tanto irragionevole vedere una trasformazione della guerra fredda in termini di azione nonviolenta da parte di gruppi della società civile della Repubblica Democratica Tedesca, come in effetti poi successe? Ci sono sì alte probabilità contro, specialmente se si crede al modello monolitico dei paesi socialisti, alla loro prontezza illimitata al ricorso alla violenza, e che quindi l’unico mezzo accessibile alla gente sarebbe la resistenza violenta, come quella dell’autunno 1956 in Ungheria. E questa era più o meno la visione occidentale prevalente su come la guerra fredda potesse giungere a termine: spremere l’Unione Sovietica con la corsa agli armamenti finché non s’arrivasse a una rivolta. Arrivò invece la nonviolenza. E il muro cadde, un mese dopo. E le motivazioni addotte non furono tanto in termini di carenza di merci sugli scaffali (i consumisti se ne andarono in Occidente), quanto in termini di diritti umani e di ricerca di un socialismo democratico. O accadde qualcos’altro? Comunque sia, il castello di carte collassò, come un effetto domino. Provate a immaginare ancora altre conclusioni diverse della guerra fredda, inclusa la continuazione di cicli di tensione e distensione. Confrontatele con quel che accadde davvero. Quale conclusione si può trarre? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 135 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII 34 LA CREATIVITÀ PER CAMBIARE LE CONTRADDIZIONI La contraddizione, cioè C nel triangolo ABC, è l’elemento centrale di un conflitto. Ma un approccio unilaterale orientato solo su C, semplicistico rispetto all’odio e alla violenza (una grave fallacia marxista), non è migliore di un approccio altrettanto unilaterale orientato su A (cioè al mutamento di atteggiamento, una grave fallacia liberale) o su B (un approccio behavioristico volto al controllo della violenza, una grave fallacia conservatrice). Tutt’e tre devono procedere di pari passo. In base alla formula Conflitto = A+B+C, un conflitto dev’essere trasformato agendo su tutt’e tre le componenti. Il tema della diagnosi nel dialogo consisterebbe nel saggiare il nucleo duro della contraddizione, indirizzando i dialoghi lungo un percorso che va dalla terapia del passato, alla prognosi, alla diagnosi e alla terapia per il futuro. Ecco alcuni esempi di possibili risultati: 1 per due stati, un territorio conteso: condominio, governo congiunto. Rendere il territorio una zona di pace, organizzare iniziative pubbliche e globalizzanti con enti intergovernativi e non-governativi, e in più istituire una zona economica con alcuni privilegi per le imprese transnazionali, un campeggio per i giovani, un aeroporto, un centro radio/TV/Internet per la pace, conferenze per la pace, una riserva naturale bi-nazionale; 2 per due nazioni, uno stato conteso: • per una maggioranza deprivata del potere, una formula è l’indipendenza da poteri esterni e/o il governo della maggioranza; • per una minoranza in cerca di autonomia, un’opzione può essere la secessione o il federalismo, sempre che si possano tracciare linee di confini. Se no: 2a federalismo non territoriale: ogni persona viene registrata come membro di qualche nazione (includendo le miste?); ogni nazione elegge il proprio parlamento con una vasta autonomia per ciò che concerne tempi e spazi sacri, religione e lingua (cfr. il parlamento Sami in Norvegia); 2b indipendenza funzionale: si compila un elenco dei – diciamo – 25 ámbiti solitamente di competenza statale e si definisce mediante dialoghi la zona grigia fra l’autonomia (entro uno stato) e l’indipendenza (da uno stato). È necessaria una propria forza armata? No, però polizia e tribunali propri sì. Una propria valuta? No, però propri francobolli sì. L’insegnamento della lingua nazionale, sì; l’insegnamento nella propria lingua nazionale, sì; la lingua nazionale come la sola lingua usata dalla pubblica amministrazione, no. E così via. Alla fine può emergere un trattato d’indipendenza accettabile per entrambe le parti, come una polizza assicurativa, da rinegoziare periodicamente. GIUSTIFICAZIONE L’obiettivo è non solo evitare la violenza, bensì promuovere il senso di umanità, creando nuove realtà aggreganti. E tutt’e tre le formule favoriscono dialoghi/negoziati democratici. PROBLEMI Le parti interne potrebbero opporre resistenza a qualsiasi trascendimento della contraddizione, perché così si minerebbe la giustificazione del ricorso alla violenza, “e la violenza è l’unica via d’uscita in questa faccenda”. 136 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici 34 LA CREATIVITÀ PER CAMBIARE LE CONTRADDIZIONI L’esempio della Iugoslavia, usato prima per illustrare l’agenda per un dialogo DPT incentrato sugli atteggiamenti, mostrava chiaramente che anche i comportamenti e le contraddizioni entrano in gioco. In modo analogo, qualsiasi dialogo incentrato sui comportamenti va a coinvolgere gli atteggiamenti e le contraddizioni. Hanno tutti a che fare l’uno con l’altro. Ma è cruciale il livello di creatività richiesto per trattare la contraddizione, perno del conflitto. Il “federalismo non-territoriale” e l’“indipendenza funzionale” sono esempi di risposte possibili ai problemi di 2000 nazioni che lottano per l’autonomia in un mondo di 200 paesi, ma con solo 20 stati-nazione. Il tracciare confini può portare a penosissimi movimenti di masse di persone e, nei casi peggiori, a pulizie etniche, anche se c’è stato un plebiscito. I due approcci più morbidi dovrebbero dare alti livelli di autonomia e di indipendenza. Ma ci sono due problemi non da poco: • la separazione geografica delle nazioni è fortemente impressa nelle nostre mappe mentali, anche se i problemi delle classi vengono affrontati in modo non-territoriale, per esempio con negoziati fra i sindacati degli imprenditori e dei lavoratori, ove le serrate e gli scioperi valgono come armi cui ricorrere in ultima istanza; • le persone possono essere disposte a pagare un prezzo di violenza per l’autonomia e l’indipendenza, che produrranno (o almeno così credono) non soltanto identità, ma anche una base per la sopravvivenza, il benessere e la libertà. La creatività è bella, ma può scontrarsi con gli atteggiamenti e i comportamenti. Si possono di certo portare argomenti in favore dei tre possibili risultati proposti: condominio, federalismo non-territoriale e indipendenza funzionale. Se verranno accettati, trasformeranno il conflitto. Ed è plausibile che ci saranno ancora conflitti, ma potranno essere affrontati entro le nuove configurazioni istituzionali, mediante negoziati ecc. Quali argomenti portereste in favore del condominio? ESERCIZIO Quali argomenti portereste in favore dell’autonomia non-territoriale? ESERCIZIO Quali argomenti portereste in favore dell’indipendenza funzionale? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 137 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII 35 SCAMBIARE UN CONFLITTO CON UN ALTRO? Pensate a un ospedale. Vi entrate con una malattia, e ne uscite, presumibilmente, curati. Tuttavia la cura può anche introdurre nuove malattie note come “effetti collaterali” (spesso un eufemismo), come quelle indotte dai medici (malattie iatrogene) e dall’ospedale stesso (ospedalismo). Gli ottimisti considerano l’affare comunque positivo: ne esci con mali meno gravi di quando ci sei entrato. I pessimisti negano che sia così, ritenendo la cura peggiore della malattia, sul lungo periodo. Solo gli ingenui sono convinti di uscire con tutte le malattie alle spalle e senza essersi presi nient’altro in cambio. Come già messo in risalto nelle introduzioni sul conflitto e la creatività, l’idea sottostante alla trasformazione del conflitto è il suo “dislocamento” da dov’era stato posto dalle parti e la sua “ricollocazione” (“riradicamento”) altrove – proprio come spostare un paziente dal letto di casa a quello d’ospedale (e viceversa). La metafora ci rammenta che non è affatto scontato che si possano affrontare meglio i nuovi problemi. Ma guardate le tre formule nell’Unità 34: ecco che i problemi sono diventati tecnici. I costi dovrebbero esser calcolati in anticipo e sostenuti più dai forti che dai deboli. La creazione di una nuova situazione che minimizzi i costi e massimizzi i benefici per tutti è un aspetto fondamentale di una buona trasformazione, che richiede un profondo trascendimento. PROBLEMI Nessuna generazione ha il diritto di scaricare l’onere dei misfatti ecologici, di una cattiva gestione ecc. sulle generazioni future. Lo stesso vale per la cattiva trasformazione dei conflitti: se l’onere viene scaricato sulle generazioni future, allora il lavoro è stato svolto male. GIUSTIFICAZIONE Un’apertura troppo angusta alle conseguenze in termini di generazione di nuovi conflitti è ingiusta nei confronti delle generazioni future. Ma un’eccessiva consapevolezza di tali conseguenze, fino ad arrivare alla paralisi, all’inazione, è altrettanto ingiusta nei confronti dell’attuale generazione. Occorre trovare soluzioni intermedie, che tendono a essere complesse. 138 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici 35 SCAMBIARE UN CONFLITTO CON UN ALTRO? Dobbiamo tenere a mente lo scopo complessivo della trasformazione del conflitto: creare una nuova situazione che può essere trattata in modo nonviolento e creativo perché i conflitti si sono ammorbiditi. Se di fatto la situazione conflittuale è peggiore, allora la trasformazione ha operato in modo regressivo, non progressivo; è stata una trasformazione negativa, anziché positiva. Molti ritengono che sia appunto questo il caso dopo la guerra fredda: la tensione era alta, ma c’era poca violenza, mentre ora c’è molta violenza e molta tensione diffusa. In questo tipo di calcoli si deve tener conto degli enormi costi della guerra fredda – per esempio le guerre nel Terzo Mondo – e degli orribili rischi di una guerra nucleare, finora evitata. Ma ci si può pur sempre porre la domanda: la trasformazione è stata un buon affare? Di certo non fu programmata da nessuno e colse impreparato il mondo. Ci furono discorsi ingenui sul “dividendo della pace” e perfino sulla “fine della storia” da parte di persone troppo stravolte dalla guerra fredda per poter immaginare altri conflitti. Ma è come se tutte le nazioni avessero ripreso la loro vecchia agenda, accantonata dalla guerra fredda, cioè l’autodeterminazione nazionale, per mezzo di un referendum o per mezzo della violenza. A questo punto bisogna ricorrere all’empatia. Di solito la domanda è: “come ti sentiresti nei suoi panni?”. Il linguaggio della trasformazione suggerisce invece: “come si sentirebbero le parti in questo nuovo setting del conflitto?”, una volta che questo fosse stato “dislocato” e “ricollocato”. Non lo sanno, ma il mutamento del discorso sul conflitto – sviluppando i dialoghi come se fossero stati realizzati il condominio, o il federalismo non-territoriale e/o l’indipendenza funzionale – rende possibile un’esplorazione mentale e verbale. Discutete questo tema per le tre proposte, usando come esempi i conflitti tra Ecuador e Perù (condominio), in Irlanda del Nord e nei Paesi Baschi (federalismo non-territoriale e indipendenza funzionale). La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 139 I DIALOGHI DI PACE Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici Manuale dei/lle formatori/trici MODULO VIII UNITÀ 36 - 40 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII 36 L’APPROCCIO PREVALENTE/VERTICALE Torniamo ora al processo della trasformazione del conflitto. Ecco un modello di svolgimento di un negoziato “riuscito” che si trova di frequente: 1 le parti – di solito ne vengono identificate solo due – sono viste come inconciliabili; la violenza è imminente, è già scoppiata, o è andata avanti così a lungo che le parti sono affaticate, “mature” per un qualche accordo; 2 una terza parte, una grande potenza, un’organizzazione, o l’ONU viene chiamata per/si offre di mediare, portando le parti “intorno al tavolo”; 3 le parti s’incontrano, sotto gli auspici della “terza parte”, e la prima stretta di mano è la prima occasione per una bella fotografia; 4 i colloqui si svolgono al “tavolo” presieduto dalla terza parte; gli incontri sono segreti, chiusi al pubblico; 5 i portavoce trasmettono messaggi anodini, come “nessun progresso”, “buona atmosfera/bell’alchimia”, “cedimento”, “sfondamento”; 6 sessione finale fino a notte fonda, annuncio dell’accordo di prima mattina, firma, strette di mano, e seconda occasione per una fotografia. GIUSTIFICAZIONE È necessaria un’autorità per sbloccare il conflitto; sono indispensabili promesse/minacce, la carota e il bastone. Le parti devono conoscersi e conoscere le rispettive opinioni, collaborando insieme per imparare a vivere poi insieme, attraverso i buoni uffici di una “terza” parte. Politici e diplomatici hanno esperienza di negoziati “delicati”; il pubblico è invece una seccatura. PROBLEMI Tutto sbagliato. L’approccio non è democratico in quanto ignora le competenze nei conflitti delle persone comuni. Il procedimento scommette sulle élites (spesso violente) e su un singolo tavolo, mentre può esserci bisogno di molti gruppi, livelli e tavoli paralleli. I partecipanti sono di solito dei leader che presentano visioni estreme, non la “maggioranza silenziosa, moderata” desiderosa di un qualsiasi risultato che non riproduca la violenza. La violenza viene premiata con l’accesso al tavolo. L’ipotesi che solo attorno al tavolo possano emergere idee fruttuose è dubbia, e altrettanto lo è l’ipotesi che accordi vincolanti per milioni di persone possano essere conclusi da una manciata di negoziatori appartenenti all’élite. La cosa può aver funzionato quando a firmare erano dei re la cui autorità si credeva derivasse da Dio (rex gratia Dei), qualità rara fra i governanti di oggi. Chi è impegnato in negoziati e/o dialoghi ha bisogno di lavorare indisturbato. Ma la segretezza va ben aldilà di questo: simboleggia il monopolio dell’élite: “non è affar vostro (cioè del resto del mondo)”; e serve pure a nascondere la mancanza di metodo, i metodi sbagliati, il dilettantismo, l’attività di potenze impegnate a servire se stesse e a forzare la mano ad altri attori. E ancor peggio: la segretezza può nascondere il fatto che non hanno proprio nessun segreto, salvo quanto malamente stiano “gestendo” il conflitto. 142 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici 36 L’APPROCCIO PREVALENTE/VERTICALE Si può obiettare che questa presentazione del tipo prevalente di risoluzione di un conflitto è l’analisi del peggior caso possibile. La Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1972-1975, con relativa preparazione) tenutasi a Helsinki può servire da esempio contrario, perfino con un carattere esemplare. Perché? Come? Non ci fu una riduzione polarizzante su due sole parti, Est e Ovest; c’erano anche i neutrali/non-allineati a rendere più complessi e flessibili i negoziati sul conflitto. Si utilizzò un periodo di fiacca della guerra fredda, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e prima dell’invasione dell’Afghanistan e della decisione della NATO di dispiegare missili a media gittata. I negoziati in condizioni di crisi di solito portano a cattivi accordi. Nessuna grande potenza aveva portato (o costretto con bombardamenti) le parti al tavolo: una piccola potenza (la Finlandia) le aveva invitate. Nessuno pretendeva di essere una terza parte, al di fuori o al di sopra del conflitto; s’incontrarono tutti in quanto europei, insieme agli USA e al Canada. I negoziati si svolgevano a porte chiuse; i comunicati stampa erano frequenti e ampi. Tuttavia, sarebbe stato ancor meglio se i finlandesi avessero tratto un insegnamento dalla conferenza dell’ONU sull’ambiente a Stoccolma di quello stesso anno (1972) e organizzato un forum non-governativo su grande scala. La conferenza impiegò il tempo che ci voleva per dividere le diverse questioni in “panieri” e negoziare un accordo (l’URSS ottenne la “stabilità dei confini” nel paniere 1, cedette sui “diritti umani” nel paniere 3 e ci fu un compromesso sulla “cooperazione economica” nel paniere 2). In breve: tutte le questioni sul tavolo, tutte le parti presenti al tavolo, un ambiente cordiale e favorevole, e tempo a disposizione. Prendete un problema oggi di primaria importanza (la Iugoslavia, il Golfo) e progettate una conferenza multilaterale “nello spirito di Helsinki”. Che cosa potrebbe impedire il verificarsi di una conferenza del genere? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 143 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII 37 L’APPROCCIO ALTERNATIVO/ORIZZONTALE Un’immagine alternativa, promossa da questo Manuale, ha le seguenti caratteristiche: 1 non ci sono mai due parti soltanto; le parti sono bloccate, piuttosto che inconciliabili; la violenza è profondamente deplorata e da evitarsi, ma il problema fondamentale è il conflitto originario; 2 non c’è una “terza parte” obiettiva; e prima degli incontri “al tavolo”, alle parti sarebbero utilissimi dialoghi profondi, una alla volta, con operatori/ trici nei conflitti molto capaci. Non c’è alcun assunto a priori in base al quale le parti debbano vivere insieme, o debbano separarsi; 3 sarebbe meglio che tali incontri colloquiali avessero luogo in circostanze semplici e senza i riflettori dei media; 4 poiché un incontro è una conversazione, nessuno presiede; le persone sono incoraggiate a organizzare da sole tali incontri; 5 si dovrebbe coinvolgere anche il pubblico, informandolo sui problemi e incoraggiandolo a contribuire con le sue idee (educazione alla pace); quanto ai media, dovrebbero cooperare con articoli di fondo, tavole rotonde, programmi aperti al pubblico, informazione (giornalismo di pace); 6 non c’è un finale vistoso, né una messa in scena per celebrare chicchessia per “averci dato la pace”, e forse neppure un accordo firmato. Si tratta qui di operare una trasformazione del conflitto mediante un’evaporazione del conflitto duro. Vengono presentate idee valide, qualcosa viene sbloccato. Niente del tipo “inchiodare qualcuno alle sue dichiarazioni”, dato che potrebbe anche non esserci una tale dichiarazione. “Solo” un processo; qualcosa di simile al modo in cui evaporò la guerra fredda. GIUSTIFICAZIONE La vera trasformazione arriva dall’interno delle parti stesse; l’operatore/ trice nei conflitti è un catalizzatore, che dà un aiuto, senza imporre alcunché dall’alto. Solo così il processo di trasformazione può essere non solo accettabile, ma anche autosostenentesi. PROBLEMI Le grandi potenze, e non soltanto loro, tendono a preferire l’approccio prevalente per simboleggiare e aumentare il proprio potere, cosa che spesso per loro è più importante dell’effettiva trasformazione del conflitto. Una conferenza che non approda a un accordo può anche servire da pretesto per degli interventi. Tuttavia, l’approccio prevalente e quelli alternativi possono anche essere combinati in processi a binario duplice o multiplo, scommettendo su due o più approcci. 144 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici 37 L’APPROCCIO ALTERNATIVO/ORIZZONTALE L’approccio negoziale prevalente soffre di un altro grosso inconveniente: le parti possono semplicemente rifiutare d’incontrarsi, o piantarsi in asso a vicenda nel corso degli incontri. Questo dà all’approccio basato sul dialogo un vantaggio immediato: “Perché vi rifiutate di venire?”, oppure: “Volete restare?”, come domande d’apertura. Ci sono buone probabilità che siano impazienti di rispondere. Tuttavia, come già sottolineato, questi approcci sono complementari. La tesi è che l’approccio alternativo, orizzontale, dev’essere maggiormente utilizzato. In linea di principio, come già si è detto, in un luogo come la Iugoslavia ci dovrebbero essere centinaia, migliaia di operatori/trici nei conflitti che organizzino dialoghi dappertutto. Ogni peace-keeper dell’ONU, fino al livello del comune soldato semplice, dovrebbe avere un qualche addestramento che gli/le permetta di far questo. Il risultato netto, come si è sostenuto, sarebbe una riserva di idee provenienti dalla gente che si trova dentro il conflitto e, si spera, un bel numero di “paci” locali: un villaggio qui, un’ONG là, un gruppo di cittadini, magari un’intera provincia, come “zona di pace”. Tutte tessere ricomponibili in un mosaico più grande, eventualmente con iniziative locali che diano ispirazioni ai livelli nazionale, regionale e globale, oltre che viceversa. Non c’è bisono di dire che qui c’è una contraddizione, perché alcune persone del Binario 1 vogliono monopolizzare tutto il processo di elaborazione del conflitto, rifacendosi alla vecchia dottrina secondo la quale sono gli stati a detenere il potere supremo. L’immagine speculare di questa mentalità si può trovare in alcune persone del Binario 2. Ma il lavoro recente ha trasceso questo conflitto abbastanza bene, mediante modelli di “diplomazia a doppio binario”, lavorando insieme. Inoltre, il metodo, o stile, qui suggerito può essere anche usato da persone che operano sul Binario 1. Piuttosto, il problema è che il Binario 1 spesso diventa il Binario “meno 1” a causa dell’arroganza del sistema degli stati, o no? Discutete i modelli di cooperazione, compresi quelli attinenti alle forme di divisione del lavoro fra il Binario 1 e il Binario 2. Che ne dite di un Binario 3 per gli uomini d’affari? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 145 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII 38 LA SOCIO-ANALISI Approfondiamo ora il contenuto dei dialoghi, e immaginate che sia stato accettato il seguente assunto: sociale = strutturale + culturale. Gli attori umani, individuali e collettivi, vivono nella struttura; e la cultura vive in loro. Per vivere in una struttura di pace, questa dev’essere relativamente solida, “istituzionalizzata” direbbero i sociologi, e la cultura di pace dev’essere “interiorizzata”, accettata. Il problema di sempre con i conflitti è che le contraddizioni spesso sono incapsulate in strutture rigide e pertanto sono ricorrenti, e che la violenza è spesso incapsulata in culture rigide ed è anch’essa ricorrente. “Fare qualcosa rispetto alla struttura e alla cultura” è più facile a dirsi che a farsi, dato che sono i pilastri della società. Una condizione è che le persone siano consapevoli delle forze sociali che si urtano al di sopra di loro, e dentro di loro. Per arrivare a questo l’operatore/trice nei conflitti deve esplorare la struttura e la cultura locale/nazionale/regionale insieme alle parti, cercando i fattori che riproducono i conflitti duri e la violenza, e facendoli affiorare alla luce del giorno. Se si scopre che alcuni aspetti sono nocivi, allora bisogna cercare alternative che possano essere innestate nella struttura e nella cultura. Verbalizzatele, trasformatele mediante le parole, dia-logos. Questo procedimento è una socio-analisi. Se limitato a una persona, allora “socio” diventa “psico” e il procedimento è noto come psicoanalisi, e occorre sottolineare che l’analista o lo psicoterapeuta lavora insieme al “paziente”. Anche questo procedimento dovrebbe essere una esplorazione congiunta, dialogica. La verbalizzazione rende pubblico e condiviso ciò che è privato, addirittura subconscio. L’agenda fondamentale per un dialogo socio-analitico è già stata fornita nelle Unità 28 e 29, che vertono sulle forme frequenti di violenza strutturale e culturale: le sindromi PSFM ed EGT/DMA. Si possono porre alcune domande: è prevalente P, oppure S, F, M, E, G, T, D, M, A? Qualcuno di/tutti questi dieci aspetti costituisce/costituiscono un problema? Che cosa si può fare in merito? Ma prima accertatevi di avere capito abbastanza questi aspetti, tanto da poterne sviluppare una comprensione personalizzata. GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 146 La struttura e la cultura sono forti, capaci di riprodurre il conflitto e la violenza. Gli individui umani sono deboli, per cui questa teoria può suonare deterministica. Ma quelle forze possono funzionare senza opposizione solo fintanto che le persone non riescono a capirle. La comprensione è già metà della liberazione dal fato. L’altra metà, l’azione, viene spesso trascurata. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici 38 LA SOCIO-ANALISI Le idee generali sulla psicanalisi, compresi i pregiudizi, non dovrebbero interferire con gli sforzi di vedere nella stessa luce la socio-analisi. Non è necessario essere freudiani per condividere l’idea che ci sono forze subconsce che determinano gran parte del nostro comportamento, che una condizione per cambiare tali forze è esserne coscienti, che un modo per diventarlo è verbalizzarle, che per farlo possiamo aver bisogno di qualcuno più esperto in un dialogo focalizzato, e che una volta diventati coscienti non siamo più determinati da tali forze, bensì in grado di cambiare la nostra situazione, la nostra personalità, i nostri conflitti. Questo non significa che la socio-analisi sia una copia della psicoanalisi. Si sviluppano su binari diversi e hanno molto da imparare l’una dall’altra. La socio-analisi può avere forse più aspetti in comune con la terapia di gruppo, con la terapia famigliare o con il counseling matrimoniale, e come tutti questi sforzi (e a differenza dalla psicanalisi classica) può oscillare fra approcci individuali e di gruppo. In entrambi i casi la coppia di termini “bloccato/sbloccato” (usata molto spesso in questo Manuale) è più indicativa di ciò che un operatore/trice nei conflitti cerca di fare che non “malattia/cura”. Il conflitto è forse più simile a una maledizione che a una malattia; il problema è come togliere quella maledizione. Ma la maledizione può anche riguardare le parti in modo così profondo che sono allora appropriate le metafore psicanalitiche. Il dialogo tipico esplorerà i potenziali per negare la violenza strutturale e culturale: • non penetrazione – bensì autonomia; • non segmentazione – bensì integrazione; • non frammentazione – bensì solidarietà; • non marginalizzazione – bensì partecipazione; • non elezione – bensì “tutti/e siamo di gran valore!”; • non gloria per la violenza – bensì gloria per la pace; • non trauma – bensì guarigione, rimarginazione; • non dualismo – bensì olismo, vedere la varietà; • non manicheismo – bensì “c’è del buono e del cattivo in tutti/e”; • non Armageddon – bensì trasformazione del conflitto. Esigente? Sì, la pace è esigente. Cercate di applicare alcune idee di questo Manuale sul modo di rapportarsi al conflitto a uno dei vostri conflitti, nella vostra interiorità o con qualcuno che vi sia vicino. Passate in rassegna tutte le unità e tutti i punti dei vari elenchi e cercate di tradurre quelle formulazioni generali nella vostra particolare situazione. Chi ha più da imparare da questo confronto, voi o il Manuale? O entrambi? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 147 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII 39 RISULTATI DEL CONFLITTO O PROCEDIMENTO NEL CONFLITTO? Prendiamo il conflitto in Iugoslavia. Ha radici nello scisma fra cristiani cattolici e ortodossi del 1054 (a sua volta con radici nella divisione dell’Impero Romano del 395); nella dichiarazione di guerra santa del 1095 contro i musulmani (la prima crociata); nella sconfitta del regno di Serbia a opera degli ottomani nel 1389; nell’invasione asburgica e nell’invasione nazista. Il triangolo ABC è un triangolo ben saturo di odio-violenza-blocco. Il conflitto fu violento nella prima Iugoslavia (1918-1941), non lo fu nella seconda Iugoslavia (1945-1991), ed esplose quindi in forma violenta nel 1991-1995-2000. Si può dire che tutto ciò fu risolto a Dayton nel dicembre 1995 e con i bombardamenti della NATO nel 1999? Soltanto se conflitto = violenza, cessate il fuoco = pace e conflitto = meta-conflitto. Ma si può ovviamente sperare in un processo che trasformi il conflitto a un livello superiore: meno odio, meno violenza o fine della violenza, contraddizioni che vengono gradualmente risolte o che regrediscono nello sfondo. Come? Applicando empatia, nonviolenza e creatività; usando istituzioni democratiche a livello locale, nazionale, regionale e mondiale; facendo riferimento ai diritti umani come linea guida; mediante il peace-making, il peace-keeping e il peace-building. Risultato e procedimento insieme. Un buon lavoro per la pace produrrà risultato e procedimento, da portare avanti a cura delle élites e della gente comune, comprese la ricostruzione e la riconciliazione. L’operatore/trice nei conflitti prende parte a dialoghi da persona a persona a qualunque livello sociale per aiutare a sviluppare idee creative. Il risultato non sta solo nel numero di idee messe in pratica, bensì nel processo avviato all’interno delle varie parti, compresi gli/le operatori/ trici nel conflitto. Se tutti quanti ne escono più empatici, nonviolenti e creativi, sono stati anch’essi trasformati. E questo si manifesterà come migliori competenze a livello personale, sociale e mondiale nei conflitti futuri, risultanti in una superiore Capacità Nazionale Lorda di Risoluzione dei Conflitti (CNLRC). GIUSTIFICAZIONE PROBLEMI 148 Per superare l’analfabetismo in materia di conflitti e l’apatia è necessario un processo continuo di trasformazione del conflitto, non un risultato ottenuto in un sol colpo. Le gelosie di quelli che credono nel proprio monopolio e di quelli che si sentono esclusi dal processo. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici 39 RISULTATI DEL CONFLITTO O PROCEDIMENTO NEL CONFLITTO? È palese che la domanda è retorica: la risposta è ovviamente sia gli uni, sia l’altro. Ma, ciò nonostante, non si riesce mai a evidenziare debitamente quanto il nostro modo di essere dia forma al modo in cui agiamo nel conflitto e come questo a sua volta dia forma a quello che diventiamo. Un conflitto trasformato positivamente (come quello fra le due Coree, dopo lo storico incontro dei due Kim il 15 giugno 2000) è un regalo per il mondo intero, per la società e per le parti interne ed esterne al conflitto. “Esperienza” è un’espressione sbiadita, come per indicare un qualche bagaglio prezioso. È più importante la capacità di trasmettere agli/lle altri/e un senso di compassione, ottimismo, creatività, e questo va molto al di là dell’essere addestrati in giochi negoziali. “Un buon lavoro per la pace produrrà risultato e procedimento, da portare avanti a cura delle élites e della gente comune, comprese la ricostruzione e la riconciliazione”: questo è quanto si richiede. Ma è importante tenere a mente tutto quello che si presume produca il lavoro sul conflitto: 1 un’immagine di un risultato del conflitto accettabile e sostenibile; 2 un procedimento nel conflitto accettabile e sostenibile; 3 un procedimento che coinvolga sia le élites sia la gente in generale; 4 un procedimento che comprenda anche la riconciliazione e la ricostruzione. L’operatore/trice nei conflitti, in linea di principio, dovrebbe essere il catalizzatore che mette in moto tutti questi processi, con l’intento di rendere gli stessi capaci di autosostenersi. Poiché nessun singolo individuo può fare tutto questo, per un conflitto complesso sono necessari parecchi operatori/trici nei conflitti, come già si è sostenuto, a livello delle élites e della gente comune. Se questo fosse un processo a “effetto valanga”, con ciascun conflitto che produce operatori/trici nei conflitti in grado di fare un lavoro valido in altri conflitti (proprio come hanno fatto operatori/trici esperti dell’Irlanda del Nord e del Sud Africa), la capacità mondiale di rapportarsi ai conflitti potrebbe migliorare. Permettetevi di essere egocentrici: come vi piacerebbe emergere da un conflitto come persona? Che genere di persona vorreste diventare? In che modo questo vostro desiderio è compatibile con un buon lavoro sul conflitto? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 149 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII 40 GOVERNARE LO STRESS E LA TENSIONE Invariabilmente, quando questioni molto complicate sul piano intellettuale e molto coinvolgenti sul piano emotivo vengono discusse per ore, giorni, settimane, insorgerà un affaticamento nelle persone coinvolte e quindi tensioni fra di loro. Il conflitto viene proiettato all’interno, dal contesto là fuori nella società dove la gente soffre e/o è intrappolata in duri conflitti fondamentali a quel gruppetto, anche solo di due persone, in cerca di risposte, e inoltre fin nell’interiorità di quelle persone. Ci sono espressioni somatiche come alterazioni nel livello della voce e della respirazione, della pressione sanguigna e dell’adrenalina. Emergono e trovano espressione nel linguaggio verbale e corporeo sensazioni di soffocamento, di non riuscire a pensare lucidamente, di intensa avversione verso l’altra persona, che viene considerata matta, criminale e/o stupida. E poi c’è la voglia di mollare, di tirarsene fuori. È il momento di ricorrere ad alcuni espedienti classici: 1 2 3 4 5 6 controllatevi, parlate di meno, respirate lentamente, aspettate; buttate lì un aneddoto o una barzelletta, con tatto, senza ironia o sarcasmo; se non c’è nessuno da prendere benevolmente in giro, prendete in giro voi stessi; cambiate argomento con un sorriso: “non sembra che arriveremo molto più in là con questo tema, potremmo passare a...” prendetevi una pausa, senza fare necessariamente riferimento allo stress perché potrebbe avere l’effetto di aumentarlo, ma solo per mangiare o bere qualcosa, fare quattro passi, ascoltare un po’ di musica; dormiteci sopra; ma è meglio, ovviamente, finire la giornata con la sensazione di aver concluso qualcosa e con una piccola festa. Ricominciate l’indomani con punti meno difficili, per passare agli altri quando il dialogo si riattiva; aggiornate la seduta, ammettendo semplicemente che “ci siamo bloccati anche noi”, ma senza una piena e definitiva capitolazione riguardo alle questioni discusse. GIUSTIFICAZIONE Questi rimedi servono a mantenere pacifici i dialoghi per la pace: siamo tutti umani, ci sono certi limiti a quello che possiamo affrontare. PROBLEMI Lo stress e la tensione devono essere visti come un altro meta-conflitto nei e fra i partecipanti. Non è il conflitto originario vero e proprio, ma esige seria attenzione. Il governarli bene non dovrebbe essere confuso con la soluzione del conflitto originario. 150 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici 40 GOVERNARE LO STRESS E LA TENSIONE Un punto fondamentale è riconoscere quando lo stress e la tensione diventano controproducenti. Fino a un certo punto possono funzionare positivamente. Come si è più volte asserito in questi due Manuali, il conflitto accumula una sorta d’energia dovuta allo stress (la frustrazione per gli obiettivi bloccati) e alla tensione (verso la parte percepita come un ostacolo). Il problema è come usare creativamente tale energia; è come una risorsa naturale che non dovrebbe andare sprecata, ma neppure sfruttata oltre la capacità di carico della natura. Un punto di rottura è segnalato dal modo in cui l’operatore/trice nei conflitti vede l’altra parte: quando emergono tendenze a considerarla come una persona da sottoporre a trattamento psichiatrico o come un criminale o un idiota, cambiate rotta. O chiedete a qualcun altro di sostituirvi. Tuttavia, uno scoppio d’ira spontaneo può anche schiarire l’aria. L’autore disse una volta a due coreani altolocati, del Nord e del Sud: “Ma prendetevi il vostro fottuto conflitto e andate all’inferno!”. Dopodiché il dialogo divenne molto produttivo, in parte per la paura comune alle due Coree di perdere l’aggancio con il mondo se si perdeva interesse ai loro problemi, e più ancora perché in fondo in fondo erano d’accordo. Ma la rabbia di qualunque specie dev’essere contenuta. E non andatevene. Le parti possono piantare in asso voi, ma voi non dovreste piantare in asso loro. Come reagireste se una parte interna in un conflitto ce l’avesse con voi e dicesse, per esempio: • “Ma non ne sa proprio niente di questo conflitto?”; • “Chi diavolo crede d’essere lei per pretendere di dare consigli?”; • “È una nuova forma di colonialismo, questa? Per cercare di dominarci?”; • “Dato il paese da cui proviene, badi ai suoi, di conflitti!”; • “Si prenda il suo fottuto lavoro sul conflitto e se ne vada al diavolo!”. ESERCIZIO Siete in grado di affrontare un’esperienza simile? Avete sufficiente forza interiore per affrontare un abuso verbale ed evitare una spirale progressiva di violenza verbale? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 151 LA TRASFORMAZIONE DEL CONFLITTO Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO IX UNITÀ 41- 45 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX 41 CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO SOCIALE Passiamo ora a qualcuno dei principali tipi di conflitto. La società è una collettività di esseri umani e la maggior parte dei conflitti sociali avvengono su linee di faglia ben note in tale collettività. Eccone otto: 1 2 3 4 5 6 7 8 DIAGNOSI ambiente: esseri umani vs. natura, specismo; genere: maschi vs. femmine, sessismo; generazione: vecchi vs. persone di mezz’età vs. giovani, “generazionalismo” razza: chiari vs. scuri, razzismo; classe: potenti vs. privi/e di potere, classismo: a. potere politico: chi decide su/chi reprime chi; b. potere militare: chi costringe/uccide chi; c. potere economico: chi sfrutta chi; d. potere culturale: chi penetra/condiziona/aliena chi; “normali” vs. “devianti”, stigmatizzazione, in quanto malati, criminali, stupidi…; nazione/cultura: dominanti vs. dominati, nazionalismo; geografia: centro vs. periferia, centralismo. Le linee di faglia servono a organizzare la violenza strutturale, spesso corredata da Penetrazione, Segmentazione, Frammentazione e Marginalizzazione. Ancor più perverse sono le strutture in cui le linee di faglia coincidono, per esempio: tutti i potenti sono uomini (patriarcato), tutti i potenti sono vecchi (gerontocrazia) o tutti i potenti appartengono alla stessa razza e/o nazione e vivono al centro. Oppure, tutti gli stati dominanti sono governati dalle nazioni dominanti. Scintille di violenza diretta possono sprizzare fra le linee di faglia. E, come se non bastasse, si può utilizzare la violenza culturale, con EGT e DMA, per giustificare l’inquisizione, i roghi delle streghe, il genocidio, qualsiasi cosa. PROGNOSI Tali strutture sono resilienti, fanno resistenza al cambiamento e tendono a rafforzarsi a vicenda. TERAPIA La nonviolenza, che produce strutture e culture alternative con parità, equità e uguaglianza attraverso tutte le linee di faglia; e la massima intersecazione di tali linee di frattura. La qualità di una società può essere misurata attraverso l’intensità con cui tutto ciò si verifica. GIUSTIFICAZIONE Questa “terapia” è niente di più e niente di meno che la base strutturale e culturale per la democrazia interna. PROBLEMI 154 Tutta la realtà del potere sociale, niente di meno. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici 41 CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO SOCIALE Può darsi che questa Unità contenga più nozioni sociologiche di quelle che siete disposti a digerire. Tuttavia, troverete che le otto linee di faglia saltano fuori in un modo o nell’altro in tutti i conflitti sociali, come struttura profonda e cultura profonda. Inoltre l’elenco è anche una lista di controllo per identificare gli aspetti che avevate tralasciato. Per esempio, prendete la Iugoslavia: tutti vedono il conflitto in termini di nazioni e le loro pretese territoriali in termini di ulteriori stati indipendenti nel mondo. Ma che ne è del genere? Si può vedere il conflitto come uomini contro donne, ove il corpo femminile funge da campo di battaglia e quello maschile da arma? Che ne è delle generazioni? Sono legate al flagello della violenza per produrre più gloria e rivalersi dei traumi? Che ne è delle classi, della rivolta contro gli strati superiori degli “iugoslavi” creati dal titoismo, per lo più a Belgrado, che traevano benefici da una federazione che era molto meno significativa a livello locale, in Bosnia-Erzegovina, tra i cetnici e gli ùstascia e in Kosovo/a? E che ne è della stigmatizzazione, del modo in cui non solo alcuni specifici gruppi nazionali, ma tutta la Iugoslavia, i Balcani interi, sono stati stigmatizzati come criminali, malati e stupidi, come l’ombra buia che l’Occidente non vuole riconoscere in sé (“OK, se è questo che pensate di noi, ve la faremo vedere! Tanto non abbiamo niente da perdere, voi continuerete a parlare così di noi, qualsiasi cosa facciamo”). Un/a buon/a operatore/trice nei conflitti immetterebbe nel quadro tutto ciò; e promuoverebbe pazientemente la parità e l’equità attraverso le linee di faglia. Qualsiasi cosa leggiate sul conflitto in e per la Iugoslavia vi darà un’idea di quanto si sia lontani da questo approccio più olistico, poiché viene usata una sola dimensione – la nazione – come se contenesse tutta la verità del conflitto, mentre vengono del tutto trascurati genere, generazione e classe. Prendete qualsiasi altro conflitto che conoscete e verificate se la lista delle linee di faglia vi sensibilizza a suoi ulteriori aspetti. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 155 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX 42 CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO MONDIALE Si può ora ripetere l’analisi delle linee di faglia per il mondo, come insieme di società (territoriali, cioè paesi, e non-territoriali, cioè ONG, multinazionali ecc). Ecco l’elenco delle otto contrapposizioni: 1 2 3 4 5 6 7 8 ambiente: paesi vs. natura; genere: paesi “maschi” vs. paesi “femmine” (violatori “protettori” vs. violati/“protetti”); generazione: paesi vecchi vs. paesi di mezz’età vs. paesi giovani; razza: paesi chiari vs. paesi scuri (maggioranze); classe: paesi potenti vs. paesi senza potere: a. potere politico: chi decide riguardo a chi/chi reprime chi; b. potere militare: chi invade/occupa chi; c. potere economico: chi sfrutta chi; d. potere culturale: chi penetra/condiziona/aliena chi; paesi “normali” vs. paesi “paria”, stigmatizzazione, paesi “canaglia”/ terroristi; nazione/cultura/civiltà: paesi dominanti vs. paesi dominati; geografia: paesi del centro vs. paesi della periferia, centralismo. DIAGNOSI Si può discutere il genere di un paese. Anche a questo livello scorre la violenza strutturale con gli aspetti PSFM e si sprigionano scintille di violenza diretta. E nella loro scia arrivano le guerre, il terrorismo e il “torturismo”, il tutto con la benedizione della violenza culturale mediante le sindromi EGT/DMA. E così si moltiplicano le linee di faglia sociali e globali e si crea il divario fra le linee di faglia a livello sociale e a livello mondiale, fra i soggetti al vertice nei paesi al vertice e quelli in basso nei paesi in basso, come fra le cime dell’Himalaya e la Fossa delle Filippine. PROGNOSI Tali strutture sono resilienti, fanno resistenza al cambiamento e tendono a rinforzarsi a vicenda. TERAPIA La nonviolenza, che produce strutture e culture alternative con parità, equità e uguaglianza attraverso le precedenti linee di faglia; e la massima intersecazione di tali linee di frattura. La qualità del mondo può essere misurata attraverso l’intensità con cui tutto ciò si verifica. GIUSTIFICAZIONE Questa “terapia” è niente di più e niente di meno che la base strutturale e culturale per la democrazia globale. PROBLEMI 156 Tutta la realtà del potere mondiale, niente di meno. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici 42 CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO MONDIALE Può darsi che questa Unità contenga più nozioni di world studies di quante siete disposti a digerire. Tuttavia, troverete che le suddette otto linee di faglia saltano fuori in un modo o nell’altro in tutti i conflitti mondiali. Inoltre l’elenco è anche una lista di controllo per identificare gli aspetti che avete tralasciato. Ad esempio, prendete dinuovo la Iugoslavia: molti vedono questo conflitto come se fosse esclusivamente interno alla Iugoslavia. Introduciamo invece il mondo nel quadro. Ci sono altri paesi che considerano i popoli iugoslavi e balcanici in generale come un gruppo di donne linguacciute e piagnucolose, con un gran bisogno di uomini forti che le separino. La Iugoslavia viene anche considerata come un neofita giovane e inesperto nel consesso degli stati. Etnicamente li si considera scuri, olivastri, mediterranei, misti, mescolati, dinuovo bisognosi di venir separati da qualche popolo nordico alto, bello e con gli occhi azzurri. Chi fa la separazione e chi la subisce è già deciso dalla classe, dalla posizione a livello mondiale, vale a dire da chi ha il potere a livello mondiale. E chi abbia più bisogno di essere separato dagli altri è deciso in base alla nazione/cultura: gli ortodossi e i musulmani, ovviamente, non certo i cattolici e i protestanti. In questo modo il conflitto si struttura territorialmente: il resto del mondo contro la Iugoslavia in generale e in particolare contro i serbi e i musulmani, laddove i serbi vengono ostracizzati e isolati, mentre ai musulmani non viene permesso di avere uno stato per proprio conto. In breve, si attivano tutte le linee di faglia, aggravando il conflitto in modo considerevole. Le singole parti della Iugoslavia poi ci giocano sopra, cercando sostenitori rispettivamente nel mondo cattolico/protestante, in quello ortodosso e in quello musulmano. E d’improvviso queste tre parti d’Europa – e non solo – si trovano arroccate l’una contro l’altra, come avveniva al tempo delle crociate. Terribile. C’è bisogno di molto lavoro sul conflitto per evitare già solo che divampi una violenza maggiore su vasta scala. Provate a fare qualcosa di simile per il conflitto del Golfo. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 157 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX 43 CONFLITTI INTRA-PERSONALI Trasponiamo ora quest’approccio ai conflitti intra-personali, nel senso della lotta fra le varie inclinazioni o voci interiori, come l’Es, l’Io e il Super-Io freudiani, separate da linee di faglia interiori. L’operatore/trice nei conflitti è ora lo psicoterapeuta di se stesso/a e si occupa della psico-analisi piuttosto che della socio-analisi. Il metodo consiste nel sondarsi cautamente, con un dialogo interiore, per identificare le forze interiori che guidano la persona, il modo in cui è strutturata la relazione fra Es, Io e Super-Io, nonché il codice, la cultura personale profonda sottostante a tale struttura. “Dialogo interiore” significa ascoltare le voci interiori dell’Es, dell’Io e del Super-Io, sondando con attenzione e con tatto, come un bravo moderatore. Solo una voce per volta, per garantirle un ascolto adeguato e chiaro. Un altro termine per questo processo è meditazione. Il dialogo interiore equivale a dire: “Sì, Es, lì hai un punto valido, sviluppalo ancora; puoi raggiungere lo scopo senza fare violenza ad altri Sé, incluso il tuo”. State all’erta continuamente per cogliere segni di violenza; uno di essi può reprimere, schiacciare l’altro/gli altri, che allora si nasconderà/si nasconderanno nei recessi più profondi della mente, in cerca di un qualche modo per ritornare e per vendicarsi. Ecco una metafora per la psico-analisi/socio-analisi: il paesaggio mentale, o il paesaggio sociale, è simile a un paesaggio fisico, a un giardino; l’operatore/trice nei conflitti è chi lo osserva, il giardiniere. Non tutti sono giardinieri ed è quindi del tutto ammissibile richiedere la consulenza di un/a professionista; che arriva con qualche idea per il dialogo: qui c’è qualche erbaccia, come possiamo liberarcene? Qui c’è un terreno contaminato, dove non può crescere nulla; qui dei bellissimi fiori, innaffiamoli, su!; più sole, del terreno ancora migliore; qui c’è una recinzione, una siepe, che chiude fuori gli altri: togliamola, abbassiamola. La scelta sta a voi. Voi, come qualsiasi parte, siete condizionati/e; ma non predeterminati/e. In breve, si fa proprio nello stesso modo che per la trasformazione del conflitto in generale. 158 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici 43 CONFLITTI INTRA-PERSONALI Questa Unità svolge nel Manuale un duplice ruolo. In primo luogo, come l’Unità sulla socio-analisi, indica alcune analogie che possono servire a scopo pedagogico. Una contraddizione o incompatibilità può saltar fuori dappertutto. Un manuale sul conflitto sarebbe decisamente incompleto se non facesse qualche accenno al conflitto intra-personale. In secondo luogo, mentre lavorate su un conflitto dovreste essere in grado di rapportarvi a qualche vostro conflitto interiore. Dovreste essere capaci di essere il/la vostro/a personale operatore/trice nei conflitti, conducendo il vostro dialogo interiore, essendo creativi, trascendendo e trasformando, almeno un po’. Per esempio, fino a che punto cercate di mostrare quanto siete (pensate di essere) bravi, per dominare gli altri, un’abitudine presumibilmente molto maschile? E fino a che punto esibite la vostra gentilezza per controllare gli altri con gesti garbati, un’abitudine presumibilmente più femminile? Bene, in che misura lo fate? In realtà, a questo mondo si può fare molto di peggio, ma essere consapevoli di tali dinamiche può tornare utile. ESERCIZIO Una dimensione molto difficile da controllare nel lavoro sui conflitti è la differenza fra dialogo e dibattito. Il dialogo, nel senso di fare domande e cercare, è facile nella fase iniziale, quando il livello di conoscenza specifica è basso. Ma poi la situazione cambia, le nozioni si accumulano, il conflitto trova inevitabilmente la sua collocazione in qualche tipologia. Il conflitto diventa un caso e si porta appresso un catalogo di rimedi, che vengono poi inizialmente proposti con dei punti interrogativi; ma quando arrivano le contro-argomentazioni, i punti interrogativi spariscono e compaiono invece quelli esclamativi: voi, che siete una parte esterna, state cercando di convincere una parte interna della validità della vostra idea. Come fate a evitare che ciò si verifichi, a mantenere i punti interrogativi? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 159 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX 44 CONFLITTI INTER-PERSONALI 1 2 3 4 5 Un conflitto inter-personale si situa all’interfaccia fra quelli intrapersonali e quelli sociali/mondiali. Arrivano delle persone, con conflitti interiori più o meno trasformati; e s’incontrano, spesso attraverso linee di faglia sociali o addirittura mondiali. Ogni famiglia è intersecata, per definizione, da due di queste linee: genere e generazione; ogni scuola da una: insegnante-allievo; ogni posto di lavoro pure da una, quella tra imprenditore e lavoratore (classe economica/politica). Fra vicini, come fra amici, possono anche non esserci linee di faglia, ragion per cui reagiscono in modo tanto intenso se sopraggiunge un’altra etnia/classe/ nazione, per “preservare la pace”. Si possono lasciare gli amici, i quartieri e i posti di lavoro, e lo si fa; si presume che gli allievi lascino la propria scuola; i figli lasciano le rispettive famiglie, talvolta con l’esplodere delle rivolte adolescenziali. Cala una tremenda pressione sul legame coniugale attraverso la linea di faglia dei generi, un possibile motivo per certi matrimoni omosessuali d’oggigiorno. Cinque obiettivi, protetti da forti norme di fedeltà, servono a proteggere il legame coniugale dallo sfaldamento dei matrimoni e dalla separazione dei coniugi, ma c’è sempre uno scarto tra il dire e il fare: la fedeltà del corpo – contro la sessualità extra-coniugale; la fedeltà della mente – contro l’amore extra-coniugale; la fedeltà dello spirito – per l’unione spirituale tra i coniugi; la fedeltà sociale – per il sostegno in ogni contesto sociale; la fedeltà economica – per il sostegno in ogni contesto economico. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe combinare la DPT (DiagnosiPrognosi-Terapia) della linea di faglia sociale, la DPT inter-personale/ intra-coniugale e la DPT intra-personale. Raccomanderebbe parità/ equità/uguaglianza a livello strutturale, di liberarsi dalla violenza culturale, di rendere i matrimoni così cooperativi che tutti i cinque tipi di fedeltà si presentino automaticamente. Nessuna voce interiore dovrebbe essere dominante al punto di travolgere l’intera persona, la famiglia, il matrimonio o altro. Aggiungete i figli, che prima o poi raggiungono la pubertà, cioè si separano dai genitori, ed ecco che il/la terapeuta matrimoniale/familiare si trova sicuramente ad aver a che fare con un microcosmo sociale/mondiale. Il ridurre una tale formazione conflittuale a due persone e alla monogamia sessuale è ovviamente fuorviante. Deve riempirsi di qualcosa di positivo, di costruttivo, come un progetto di vita in comune – al di là dell’allevare i figli. 160 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici 44 CONFLITTI INTER-PERSONALI Mentre l’Unità precedente riguarda lo stress, questa riguarda la tensione. E una delle considerazioni ha moltissimo a che fare con la società postmoderna: la gente, cioè gli individui, si sposta; interrompe le relazioni quando diventano complicate – una delle ragioni per cui nei conflitti ci sono torme di “sfollati” che se ne vanno, invece di cercare di fare qualcosa per sanare il conflitto. Gruppi tradizionalmente solidi (i colleghi, il vicinato, i gruppi d’affinità, d’amicizia) si disintegrano o hanno quanto meno un intenso ricambio. Alla fin fine la pressione si scarica sul legame coniugale, che allora cede anch’esso, rompendosi nel 50% dei casi. Una cosa cui l’operatore/trice nei conflitti deve badare è rimanere con il conflitto anche se è dura, usando strategie di sopravvivenza come quelle indicate nell’Unità 40. Ma anche qui c’è un punto di svolta: potete decidere che siete tanto controproducenti per il conflitto quanto il conflitto lo è per voi. Può darsi che semplicemente non abbiate più nulla da offrire, che le vostre risorse per quel conflitto siano esaurite. Può darsi che sia giunto il momento di passare ad altro. Per di più, in queste pagine non si sostiene mai che il lavoro sul conflitto sia riservato a coloro che lo considerano un impegno per tutta la vita. Chiunque viene interpellato per portare aiuto, ma non per portare aiuto senza un minimo di preparazione. E parte di questa preparazione ha a che fare con il modo in cui voi stessi intrattenete le vostre relazioni con colleghi, vicini, parenti e amici. Bene, come vi regolate? Questo è un àmbito in cui si può usare la Regola Aurea. Immaginate di essere bloccati/e in un conflitto duro. Come vorreste che vi si rivolgesse un/a operatore/trice nei conflitti esterno/a? Senza dubbio, in modo amichevole, utile, competente. Ma volete anche che vi dica che avete ragione? E che l’altra parte ha torto? ESERCIZIO Allora, fate proprio così? Come reagirà l’altra parte? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 161 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX 45 ALCUNE PROPOSTE DI TRANSCEND Ecco dieci formulazioni DPT (Diagnosi/Prognosi/Terapia) di una riga, tratte da più di quarant’anni di lavoro su quaranta conflitti, mediante dialoghi a tutti i livelli. L’anno indica il momento in cui l’organizzazione TRANSCEND ha cominciato a cercare una prospettiva sul procedimento e sui risultati per i vari conflitti: Conflitto “Est-Ovest”, 1953 Conflitto “Nord-Sud”, 1962- D Riduzionismo a un conflitto del tipo [2,1]; stalinismo, nuclearismo P Protrazione, guerre continue nel Terzo Mondo, guerra nucleare/ genocidio reciproco T CSCE, GRIT/difesa difensiva, diplomazia popolare, nonviolenza D Imperialismo, economismo, esternalità asimmetriche P Miseria diffusa, violenza, migrazione dal Sud, disoccupazione al Nord T Economia alternativa, autosufficienza I, autosufficienza II Israele-Palestina, 1964- D Colonialismo da parte dei coloni ebrei, un popolo eletto e traumatizzato contro la gente del posto P Violenza strutturale e diretta protratta, escalation T Nonviolenza (Intifada), autonomia/due stati/confederazione Irlanda del Nord, 1970- D Istituzionalizzazione di oltre 300 anni di conquista storica P Alienazione per entrambe le parti, polarizzazione, violenza protratta T Condominio anglo-irlandese, ampia autonomia/indipendenza per l’Ulster Corea, 1972- Iugoslavia I (Nord-Ovest), 1991- Crociate: relazioni cristianimusulmani, 1995Ecuador-Perù, 1995- Euskal Herria (Paesi Baschi), 1997- Iugoslavia II (Sud-Est), 1998- 162 D Separazione di una nazione, divisione di uno stato, a opera di esterni P Ripetizione della guerra 1950-1953, con alcune modifiche T Inserimento della Corea nella Comunità dell’Asia Orientale, apertura di collegamenti stradali/ferroviari D Riduzionismo alla formula [2,1]; Dio vs. Satana, Armageddon; EGT P Genocidio massiccio, anche mediante le sanzioni, grossa escalation T Uguale diritto all’autodeterminazione, confederazione; CSCSEE D Dichiarazione di guerra santa del 1095, senza relativa dichiarazione di pace P Micro/macro-violenza protratta, Dio vs. Satana, Armageddon T Dialogo cristiano-musulmano e cooperazione locale concreta D Classica disputa territoriale; apparato militare in cerca di legittimazione P Instaurazione di un modello di guerra continua inter-statale per l’America Latina T Proprietà condivisa, uso della zona contesa come zona di pace bi-nazionale D Due paesi che separano una nazione P Violenza, terrorismo e uccisioni continui e protratti T Indipendenza funzionale e condominio franco-spagnolo D Movimento d’indipendenza albanese sulla sacra e ricca terra serba P Occupazione e funzioni di governo esercitate da una terza parte, come per la Bosnia-Erzegovina T Kosovo/a come terza repubblica della Federazione Iugoslava, confederazione Sud-Balcanica. La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici 45 ALCUNE PROPOSTE DI TRANSCEND La pagina precedente sembra criptica, ma dovrebbe essere facile da decifrare per chi abbia seguito il Manuale fin qui. La DPT e l’EGT sono state esposte nelle Unità 25 e 29, mentre alcuni conflitti sono stati usati come esempi nelle pagine precedenti. Qui ne vengono elencati dieci e per ciascuno di essi c’è una descrizione di tre righe: rispettivamente una riga per la diagnosi, una per la prognosi e una per la terapia. Dietro queste linee ci sono innumerevoli dialoghi a “livello alto, medio e basso”. Chiariamo alcune sigle: [2,1]: conflitto polarizzato con 2 parti che lottano per uno stesso obiettivo; CSCE: Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; CSCSEE: Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione nell’Europa Sud-Orientale; GRIT: Graduale Riduzione della Tensione Internazionale; AUTOSUFFICIENZA I: autoproduzione per soddisfare i bisogni primari; AUTOSUFFICIENZA II: scambi commerciali con altri allo stesso livello. Il conflitto Est-Ovest del 1949-1989 è terminato come si è detto qui, mentre il conflitto Nord-Sud si è dinuovo aggravato. L’accordo del Venerdì Santo del 1998 per l’Irlanda del Nord è forse orientato nella direzione indicata, mentre l’accordo di Oslo del 1993 per Israele-Palestina non fu un accordo simmetrico fra due stati, considerato qui come unica soluzione. Non c’è stata autodeterminazione paritetica in Iugoslavia, e tutti gli altri casi sono in attesa di qualche passo avanti. Per maggiori dettagli, consultate la home page del sito di TRANSCEND, www.transcend.org. Se trovate irragionevoli le proposte, che cosa si potrebbe fare per migliorarle? ESERCIZIO Se trovate ragionevoli le proposte, che cosa si potrebbe fare per attuarle? ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 163 LA TRASFORMAZIONE DI PACE Manuale dei/lle partecipanti Manuale dei/lle formatori/trici MODULO X UNITÀ 46-50 Manuale dei/lle partecipanti - MODULO X 46 EDUCAZIONE ALLA PACE: LE PERSONE COME PARTNER La maggior parte delle persone sarebbe d’accordo sul fatto che non basta volere la salute: ci vogliono anche conoscenze e competenze. Lo stesso vale per la pace. L’educazione alla pace dovrebbe colmare il divario fra il volere e l’agire, se la si definisce come competenza nella trasformazione del conflitto. Il campo è controverso. C’è controversia sui mezzi per ottenere la pace (solo pacifici, o no?), sul fine (pace = sicurezza = assenza di violenza diretta, oppure pace = qualcosa di più?). Inoltre, non tutti vogliono la pace, o la vogliono assai male. Questa controversia, che si ritrova anche in campo sanitario, è salutare se partiamo dal principio che “una controversia al giorno toglie il dogmatismo di torno”. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe sostenere gli/le educatori/trici alla pace a ogni livello, dalla scuola materna all’università (quanto prima, tanto meglio, per favorire l’interiorizzazione), nonché negli organi direttivi delle amministrazioni locali, del governo nazionale e delle organizzazioni sub-continentali, sradicando così l’analfabetismo sui conflitti e sulla pace. All’operatore/trice nei conflitti può perfino capitare di dover essere anche educatore/trice alla pace. Questo Manuale può servire affinché altre persone ci aggiungano o tolgano del proprio o lo respingano; e sono comunque disponibili altri testi. Ecco l’elenco dei programmi di training/educazione di TRANSCEND. I TRASFORMAZIONE PACIFICA DEI CONFLITTI, per sviluppare prospettive, mediante dialoghi con le parti, sulla trasformazione pacifica in direzione di risultati accettabili, sostenibili, autonomi e partecipativi. II EMPOWERMENT DI ATTORI DI PACE, per esplorare, mediante dialoghi, in quali modi si possano rafforzare attori e parti per interventi di pace, costruendo una società civile transnazionale. III PEDAGOGIA DI PACE, per progettare e avviare programmi dialogici di educazione alla pace nella scuola materna, nella scuola dell’obbligo, nelle scuole superiori e nelle università, nonché corsi di educazione per adulti, anche mediante musei per la pace. IV GIORNALISMO DI PACE, per contribuire a un mutamento nel modo di dare notizie sui conflitti, passando dall’attuale focalizzazione sulla violenza e sulla guerra (il “meta-conflitto”) a quella sulla trasformazione pacifica del conflitto. V ZONE DI PACE, per favorire l’avvio e lo sviluppo di ulteriori zone di pace nel mondo, con un calo della violenza e un aumento di un peace-building cooperativo nelle relazioni interne ed esterne. VI PEACE-KEEPING, allo scopo di diminuire la violenza mediante la presenza di peace-keeper addestrati nei metodi difensivi della polizia e dei militari, nella nonviolenza, nella mediazione e nel peace-building. VII RICONCILIAZIONE PACIFICA, per esplorare, avviare e sviluppare attività finalizzate a riconciliare le parti traumatizzate dalla violenza e dalla guerra. VIII BUSINESS PER LA PACE E LO SVILUPPO, per esplorare, avviare e sviluppare attività economiche chiaramente orientate al peace-building. IX SUSSISTENZA, EQUITÀ E SOSTENIBILITA’ DELLO SVILUPPO, per esplorare, avviare e sviluppare ulteriori iniziative locali atte a soddisfare i bisogni fondamentali minimi di tutti/e con valute locali, organizzazione locale e tecnologie appropriate. X CULTURA DI PACE E DIALOGO TRA LE CIVILTÀ, per esplorare i modi per trasformare schemi culturali profondamente radicati che impediscono la pace e lo sviluppo e possono causare genocidi. XI APPROCCI NONVIOLENTI ALLA SICUREZZA, per esplorare i vari modi in cui le società possono proteggere i/le propri/e cittadini/e da violenze interne ed esterne mediante mezzi pacifici, nella prospettiva dell’abolizione della guerra. XII DIRITTI UMANI, DEMOCRATIZZAZIONE E AUTODETERMINAZIONE, per esplorare in che modo la Carta Internazionale dei Diritti Umani, universale e indivisibile, può essere implementata democraticamente in tutte le nazioni del mondo e migliorata. XIII GOVERNABILITÀ GLOBALE, per esplorare il sorgere di istituzioni democratiche e globali, compresa la riforma dell’ONU. XIV PACE E DONNE, per esplorare lo speciale contributo delle donne a tutti i programmi di pace. XV ANALISI DELLA PACE E DELLO SVILUPPO, per esplorare le domande specifiche sulle nostre capacità analitiche. GIUSTIFICAZIONE Anche se l’enfasi di questo Manuale è sul dialogo per trovare soluzioni a breve termine alle emergenze, ci sono anche le prospettive a medio e lungo termine. Alcune buone idee possono emergere rapidamente; ma affinché i semi mettano radici possono essere necessari il medio termine e molta educazione alla pace per preparare il terreno. Sul più lungo termine, l’educazione alla pace può anche avere un notevole effetto preventivo, poiché aumenta la capacità di ciascuno/a di trasformare il conflitto, mediante nozioni e competenze, empatia, nonviolenza e creatività. PROBLEMI Nonostante eccellenti risoluzioni dell’UNESCO sull’educazione alla pace, non c’è un gran progresso, se non in circoli non-governativi. L’intervento sul conflitto viene tuttora visto in una prospettiva feudale/patriarcale come gestione dall’alto, come monopolio degli stati e delle relative élites. 166 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici 46 EDUCAZIONE ALLA PACE: LE PERSONE COME PARTNER In questo Modulo finale, il lavoro sul conflitto/per la pace viene estrapolato dal conflitto concreto e dalle parti impegnate nel dialogo, e viene introdotto il “contesto” di altre persone e altri aspetti del conflitto e della pace che hanno a che fare con il medio e lungo termine. Pensate alle persone che scoprirono alcuni elementi chiave per la salute: per loro l’educazione alla salute era un approccio fondamentale. Le persone dovevano possedere alcune nozioni essenziali, prendere le dovute precauzioni con il cibo, il vestiario e l’abitazione, praticare l’igiene personale, cercare di non venire contaminate né contaminare altri/e, e imparare a gestire lo stress. Non si vuole sostenere che tutto questo sia stato un successo sfolgorante. In nome della medicina moderna si sono fatti anche errori, e così tanti che dobbiamo sperare che gli/le operatori/trici nei conflitti non imiteranno l’arroganza di certi medici, bensì la capacità di essere d’aiuto e l’umiltà di tante brave infermiere. Nei due Manuali si è ricordata più volte la potenziale utilità di – poniamo – una cinquantina di stimolanti racconti sulla trasformazione positiva dei conflitti, in particolare in paesi con un’altissima violenza culturale (ad esempio il Guatemala). In effetti, l’idea è tratta dalla Bibbia e da altri fondamentali testi religiosi, da quei racconti edificanti sulle buone azioni di Gesù, di Buddha e altri, come Gandhi. Tali racconti continuano a vivere in una persona per tutta la vita, indipendentemente dall’orientamento religioso. Immaginate storie del genere diffuse in lungo e in largo, sfidate, cambiate, rivisitate e adattate: quale grande riserva cui attingere nei conflitti concreti! Riuscireste a contribuire anche voi con un racconto di questo tipo? Ricordatevi che il racconto dovrebbe preferibilmente riguardare della “gente comune” con la quale il lettore possa identificarsi. Sì, avrei potuto farcela anch’io! La luce dei grandi fondatori di religioni può essere troppo forte. ESERCIZIO Si può fare una distinzione tra il training per acquisire specifiche abilità e l’educazione per acquisire conoscenze. Osservate i 15 programmi di educazione alla pace prima proposti e formulate per ciascuno di loro un esempio di quello che voi vorreste essere capaci di fare e di quello che vorreste sapere. Va da sé che a TRANSCEND siamo molto interessati/e alle risposte. ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 167 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X 47 GIORNALISMO DI PACE: I MEDIA COME PARTNER Nelle società moderne, basate sui tre pilastri dello Stato, del Capitale e della Società Civile, che comprendono milioni e milioni o addirittura più di un miliardo di individui (Cina), i Media sono il quarto pilastro. I media hanno il diritto-dovere di rendere trasparente quanto succede in ciascuno dei tre pilastri agli altri due. Lo scopo è la trasparenza sociale. Di conseguenza è ancora più deplorevole che i media tendano a focalizzare l’attenzione sul meta-conflitto della guerra e della violenza (il “corrispondente di guerra”), e per giunta solo sulle conseguenze visibili. Si concepisce la pace come un cessate il fuoco. Qualsiasi analisi del conflitto di base tende a essere semplicistica: le parti sarebbero solo due, di cui una viene favorita, le notizie per lo più riguardano solo i combattimenti: vittoria e sconfitta. I reportage sono orientati sui singoli attori e sulle élites, un’espressione della violenza culturale per cui la violenza/guerra è vista come dovuta solo a cattivi attori, e la pace come un dono delle élites di paesi d’élite. Se l’improvviso, il negativo, l’elitario fanno notizia, allora le guerre sono l’ideale. Abbiamo bisogno di giornalisti/e di pace che diano informazioni sugli effetti invisibili delle guerre, sulla formazione conflittuale sottostante, sulle radici del conflitto, sulle tante persone di buona volontà all’interno e all’esterno dell’arena conflittuale che lottano per porre fine alla violenza e per una trasformazione del conflitto, che cerchino alternative alla violenza (risultati e procedimenti), che riferiscano le idee che emergono. Gli/le operatori/trici nei conflitti devono rendere i/le giornalisti/e e i media loro partner per la pace; l’operatore/trice può perfino dover essere in prima persona un/a giornalista di pace (per manuali in merito, si veda www.transcend.org). Abbiamo invece molto meno bisogno di un giornalismo di guerra che ci informi solo sulla violenza grandemente visibile – spesso in maniera pornografica – con un’immagine semplicistica del conflitto da partita di calcio, con poca o nulla comprensione delle radici del conflitto, con trascuratezza o perfino disprezzo verso la gente comune e la loro lotta per la pace e la dignità, preoccupato prevalentemente del chi vince e del modo in cui può essere imposta la “nostra pace”, con una visione limitatissima dei possibili risultati e processi di pace. GIUSTIFICAZIONE Dato il potere dei media, riveste grande importanza se favoriscono la violenza culturale o la pace culturale. Potrebbero continuare a favorire la “nostra parte”, ma senza vedere le guerre come gare sportive (chi vince!) e riferire il numero dei morti e feriti come se si trattasse di un punteggio. E potrebbero fare ben di più per capire i motivi del conflitto, esplorando la formazione conflittuale, invece di mandare solo reportage dall’arena del conflitto, e mettersi a collaborare nella ricerca di soluzioni. PROBLEMI Un giornalismo di pace potrebbe portare a dare troppo poche informazioni sulla guerra e la violenza e troppe informazioni sugli sforzi per contrapporsi alla violenza e trasformare il conflitto. Trovare un equilibrio è fondamentale. C’è anche bisogno di un po’ di giornalismo di guerra. 168 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici 47 GIORNALISMO DI PACE: I MEDIA COME PARTNER Il giornalismo di pace non ha soltanto lo scopo di arrivare alla verità, ma di arrivare alla pace. Ecco le domande che si potrebbero fare per ogni piano di pace: 1 qual è il metodo in base al quale è stato elaborato il piano? È stato il dialogo con le parti e, in tal caso, con tutte le parti? Oppure qualche negoziato di prova? L’analogia con altri conflitti? L’intuizione? 2 Fino a che punto il piano è accettabile da tutte le parti? Che cosa si può fare altrimenti? 3 Fino a che punto il piano, se attuato, è autosostenibile? Che cosa si può fare altrimenti? 4 Il piano si basa sull’azione autonoma delle parti in conflitto o dipende da esterni? 5 Nel piano c’è l’indicazione di un procedimento (chi fa cosa, come, quando e dove), oppure vi si delinea solo un risultato? 6 Fino a che punto il piano si basa su ciò che possono fare le élites da sole, o la gente da sola, oppure su quello che possono fare entrambe? 7 Il piano prevede una soluzione progressiva del conflitto o si intende fare subito un accordo definitivo? 8 Il piano prevede l’inclusione dell’educazione alla trasformazione del conflitto e alla trasformazione di pace per la gente, per le élites o per tutt’e due? 9 Se c’è già stata violenza, fino a che punto il piano include anche elementi di riconciliazione? 10 Se c’è già stata violenza, fino a che punto il piano include anche elementi di riabilitazione/ricostruzione? 11 Se non funzionasse, il piano è reversibile? 12 Anche se il piano funziona per questo specifico conflitto, crea forse nuovi conflitti o nuovi problemi? In tal caso, è un buon accordo? Il conflitto dev’essere mappato, le sue radici devono essere capite meglio, tenendo conto del fatto che, in un mondo che si sta globalizzando, anche le radici si globalizzano. E la pace deve comprendere i diritti umani e la democrazia. Un problema è l’incompatibilità fra le notizie – drammatiche, negative, elitarie – e la pace, intesa come un qualcosa di positivo, che lenisce, che vale per tutti/e: la pace come diritto a vivere la vita senza violenza e senza interferenze superflue. La soluzione potrebbe essere che i/le giornalisti/e evidenziassero che la lotta per la pace è drammatica ma positiva, intrapresa da molte persone, eroi ed eroine della vita quotidiana; che sentissero la loro angoscia nel girare a vuoto, ritraessero il loro dolore, li rendessero visibili, e li sollevassero. Su cosa verte la democrazia se non sulla lotta della gente per una vita migliore? Scrivete una breve storia, vera o inventata, sulla lotta per la pace. L’accetterebbero i media? Perché? Perché no? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 169 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X 48 LA RICOSTRUZIONE DOPO LA VIOLENZA La violenza distrugge, spesso in modo irreversibile, come le uccisioni. Ma qualche danno può essere riparato, e questo è un aspetto molto importante del lavoro sul conflitto. Dato l’ampio spettro delle conseguenze della violenza – visibili e non – ci sarà parecchio da ricostruire, e molto lavoro richiederà le competenze di esperti. Compito dell’operatore/trice nei conflitti sarà sensibilizzare la gente alla gamma dei possibili interventi e impegnarla in un dialogo generale su come procedere per: 1 2 3 4 la riabilitazione delle persone: ferite, stuprate, sfollate, in lutto, rese deformi; la ricostruzione della società: l’approccio dello sviluppo; la ristrutturazione: l’approccio delle strutture di pace, costruendole realmente; il rinnovamento culturale: l’approccio delle culture di pace, costruendo culture pacifiche. Agenzie per profughi/e, fisioterapeuti/e e psicoterapeuti/e (e altri guaritori/trici) possono fare un ottimo lavoro. Bisognerebbe distinguere fra la restaurazione di quello che c’era prima, e lo sviluppo, l’andare oltre. C’è un problema fondamentale: una società scossa dalla distruzione può avere l’abitudine di giustificare la violenza per introdurre un mutamento sociale (come nel caso della Russia nel 1917). Un altro problema: dare un significato a “ristrutturazione” e a “rinnovamento culturale”: la prima certamente comprende strutture democratiche, partecipative, e il secondo culture sensibili ai diritti umani. Entrambi sono essenziali per avere una presa sul conflitto, e non si dovrebbe aspettare il cessate il fuoco per cominciare ad attivarli. Sarebbero utilissimi dei sussidiari per la scuola elementare che riportassero – diciamo – una cinquantina di casi riusciti di trasformazione dei conflitti. GIUSTIFICAZIONE Un compito si svolge meglio quando è chiara tutta la sua effettiva portata: in tal caso, i suoi diversi aspetti si articolano meglio l’uno con l’altro. Per di più, il ricostruire insieme ha un enorme potenziale come percorso per la riconciliazione delle parti in conflitto: “d’accordo, abbiamo fatto una cosa molto stupida, adesso proviamo a disfarla insieme quanto più possibile”. Ogni contratto con soggetti esterni è un’opportunità persa per la riconciliazione mediante la ricostruzione. PROBLEMI La gente può sentirsi schiacciata dall’immensità del compito e così può mettere da parte tutto quel che non sia la ricostruzione concreta. Impresari locali e stranieri sperano in grossi contratti e una rapida ricostruzione viene preferita all’usare la ricostruzione per la riconciliazione, mediante la cooperazione degli ex-belligeranti nel ricostruire quello che hanno distrutto. 170 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici 48 LA RICOSTRUZIONE DOPO LA VIOLENZA Ovviamente, nessuno direbbe che compito della III Fase sia tornare alla I Fase, ma si agisce spesso come se appunto questa fosse tutta la “filosofia”. Ci può essere un certo accordo sulla riabilitazione, ma quando si tratta degli altri tre compiti, i problemi si ammucchiano. Si è fatto notare nell’introduzione che ci sono moltissime cose da fare nella I Fase per superare quella curva fatale che conduce alla violenza. Se una delle radici del conflitto, e della violenza che ne consegue, sta nella struttura, allora – per amor del cielo! – cambiate quella struttura! La democrazia è una bella formula, ma funziona meglio per le maggioranze, e anche per le maggioranze (dinuovo il Guatemala) resta il problema di quante risorse possono investire nel processo democratico. Un altro problema è il seguente: che cosa succederebbe se i marginalizzati vincessero semplicemente le elezioni ed esigessero qualche cambiamento più radicale? I diritti umani vengono introdotti come una protezione, ma la loro parte essenziale – nota come diritti economici, sociali e culturali – non è affatto operativa. La ristrutturazione comprenderebbe compiti chiave come costruire una società civile basata su organizzazioni volontarie e soprattutto trasversali rispetto ai confini dei conflitti attuali e dei potenziali conflitti futuri. I conflitti polarizzano, la ristrutturazione depolarizzerebbe. Il rinnovamento culturale comprenderebbe compiti chiave come la denuncia delle culture belliciste che esaltano la violenza e collegano l’eroismo agli atti violenti in generale e al machismo in particolare. Se si possono organizzare campagne contro le droghe, perché non lo si fa anche contro la violenza? Che cosa si può fare per ampliare l’orizzonte nella fase in cui la società è veramente lacerata dalla guerra? In altri termini: che cosa si può fare per andare al di là della riabilitazione e della ricostruzione, incidendo sui fattori che riproducono la violenza e possono rendere la III Fase uguale alla I Fase? La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) ESERCIZIO 171 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X 49 LA RICONCILIAZIONE DOPO LA VIOLENZA Quando la parte in conflitto A fa violenza alla parte in conflitto B, entrambe risultano traumatizzate: la seconda dal male subìto, la prima dalla colpa di averlo causato. Le emozioni sono profonde. Lo scopo della riconciliazione è la guarigione delle ferite e la chiusura del conflitto, cosicché le parti siano meno traumatizzate e possano vivere insieme; proprio in questo consiste una parte considerevole dell’intervento sul conflitto dopo un metaconflitto violento nella II Fase. La Commissione per la Riconciliazione e la Verità del Sud Africa sta aprendo nuove piste. Ecco dodici approcci generali (per un manuale, si veda www.transcend.org): 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 l’approccio del fattore discolpatorio (orientato ad A&B); l’approccio della restituzione/riparazione (orientato ad A&B); l’approccio della presentazione di scuse/perdono (orientato ad A&B); l’approccio teologico/penitenziale (orientato ad A, indirettamente a B); l’approccio giuridico/punitivo (orientato ad A, indirettamente a B); l’approccio del karma/dell’origine co-dipendente (orientato ad A&B); l’approccio della commissione per la ricostruzione degli eventi storici/ della verità (orientato ad A&B); l’approccio teatrale, basato sul rivivere insieme gli eventi traumatici (orientato ad A&B); l’approccio del dolore e della guarigione comuni (orientato ad A&B); l’approccio della ricostruzione congiunta (orientato ad A&B); l’approccio della risoluzione congiunta del conflitto (orientato ad A&B); l’approccio ho’o pono pono (orientato ad A&B). Per portare avanti compiti a così alta intensità d’impegno e di tempo si richiede una competenza specifica, come quella dei preti per il [4] e dei giudici per il [5]. Purtroppo questi due approcci non coinvolgono direttamente A e B e non sono quindi molto promettenti. Sull’operatore/trice nei conflitti verranno esercitate pressioni affinché assuma tali ruoli, riceva confessioni e distribuisca perdoni, dica chi ha ragione e chi ha torto. Col resistere a queste pressioni, egli/ella potrà agevolare una discussione sugli approcci. Nessuno è del tutto buono o cattivo; può darsi che il miglior approccio sia una combinazione di alcuni di loro, a seconda della cultura locale. L’esperienza dell’autore è che durante le discussioni sui diversi approcci alla riconciliazione, si può già attuare un po’ di riconciliazione. GIUSTIFICAZIONE La fase violenta può giungere a una qualche conclusione soltanto attraverso processi di riconciliazione; altrimenti i traumi contribuiranno a un karma negativo e durevole fra le parti. PROBLEMI Non esiste un processo di riconciliazione a prova di stupido che possa funzionare quando sia stato inflitto un male grave, e il tempo non guarisce tutte le ferite. 172 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici 49 LA RICONCILIAZIONE DOPO LA VIOLENZA Scorrendo la lista degli approcci alla riconciliazione, ci accorgiamo immediatamente della tentazione di vedere il conflitto in termini di una singola causa, i cattivi attori, e la riconciliazione in termini di un solo approccio: quello giuridico-punitivo. Infatti, i tribunali internazionali sono praticamente l’unico approccio utilizzato oggi da parte della comunità internazionale per ottenere quella che i tedeschi chiamano Vergangenheitsbewältigung, cioè la rielaborazione del passato. Non si tratta tanto di argomentare contro tale approccio, bensì contro il suo uso esclusivo. Esso è punitivo, in quanto aggiunge violenza a violenza. Le vittime hanno certamente diritto a ottenere la massima attenzione pubblica per il loro caso, il che può anche avere effetti risanatori; ma è dubbio che le vittime ricevano una profonda gratificazione dal venir a conoscenza della punizione dei perpetratori dei misfatti, o persino dall’assistervi. Una forma ben più efficace di riconciliazione consiste probabilmente nel far disarmare i vari combattenti e poi nell’impegnarli nella ricostruzione in comune di quello che hanno distrutto. Questo sarebbe d’ostacolo alle opportunità di far affari di parti esterne, ma chi è in grado di dire che quelle opportunità sono più importanti delle opportunità perse per la riconciliazione? Un’altra forma è la risoluzione congiunta del conflitto, discutendo insieme la calamità che ha colpito tutti/e e progettando precorsi per prevenirne una ripetizione in futuro. Se questo approccio sarà attivato sia a livello delle élites, sia a livello popolare, sarà molto potente. Ma il meglio è ovviamente che il vincitore e lo sconfitto si mettano insieme per produrre una reale trasformazione del conflitto di base. Prendete un conflitto dall’elenco nell’Unità 45. Cercate di costruire una forma di riconciliazione che tenga conto dei 12 approcci. ESERCIZIO Siete un giudice con davanti un criminale estremamente violento. Elaborate una sentenza che includa tutti i dodici approcci, non soltanto il [5]. ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 173 Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X 50 RENDERE REVERSIBILE LA TRASFORMAZIONE La reversibilità è più ampia della nonviolenza, e si basa sul principio di fare solo ciò che può essere disfatto. La violenza letale è irreversibile: noi umani possiamo creare la vita, ma non ricreare una vita. Lo stesso vale per la violenza verso la natura: le tre specie che si estinguono ogni ora sono perse. Ogni atto irreversibile è una violenza verso le generazioni future in quanto limita le opzioni future. La stessa violenza non-letale è in larga misura irreversibile, considerati i traumi che provoca nello spirito, nella mente e nel corpo. Di conseguenza, non solo gli atti dovrebbero essere reversibili nelle loro conseguenze, ma lo stesso processo decisionale che conduce a tali atti dovrebbe essere reversibile anch’esso. Non si dovrebbero mai firmare trattati/convenzioni senza una clausola di revisione in base alla quale si riaprano i negoziati dopo x (= 5?) anni. Noi umani siamo fallibili, nessuno è infallibile, anche i nostri migliori prodotti o idee possono rivelarsi men che perfetti dopo qualche tempo. La costruzione più solida, come uno stato unitario o una federazione, facilmente diventa violenta, all’interno e verso l’esterno: un forte argomento – questo – a favore della flessibilità della confederazione e dei sistemi cooperativi e/o associativi, meno vincolanti. I decisori le cui decisioni hanno una certa forma di infallibilità (il papa, l’imperatore/il re, le grandi potenze e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU) sono problematici; le generazioni successive possono trovarsi a pagare un prezzo salato. Quindi, raccomandate solo ciò che può essere disfatto dopo un processo di revisione. GIUSTIFICAZIONE Le decisioni incorporate nei trattati possono condurre a istituzioni che diventano strutture, le quali, col tempo, possono essere percepite come violente camicie di forza (dinuovo il caso del Trattato di Versailles). Poiché questo processo si può appunto verificare, alcune formule di decostruzione pacifica dovrebbero essere contemplate nella costruzione. PROBLEMI Le soluzioni possono essere troppo rigide (= fragili); ma anche troppo deboli. La gente può ignorarle, sapendo che probabilmente dopo un po’ di tempo saranno “disfatte”, “decostruite”. Ci sono anche validi argomenti in favore della solidità, ma non dell’eternità. L’eternità è un termine un po’ troppo lungo e non molto utile, per esempio nei Balcani o nelle Isole Britanniche. 174 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici 50 RENDERE REVERSIBILI LE TRASFORMAZIONI I diplomatici fecero un gran passo avanti quando incorporarono nei loro protocolli una “conferenza di revisione” come elemento standard, di certo in parte ispirati (negativamente) dal Trattato di Versailles. Ciò che si vuole sostenere qui è semplicemente la necessità di approcci morbidi alla pace per favorire un atterraggio morbido. Incidere il trattato nell’acciaio presuppone un’infallibilità che non è umana; e tale tradizione proviene da coloro che si considerarono rappresentanti di Dio in terra. Incidentalmente, dovrebbe anche venir ricordato che la riapertura di un protocollo non significa necessariamente, come spesso succede, trattare per una delle parti. Per esempio, nel 1965 ci fu un trattato di pace fra la Repubblica di Corea e il Giappone; ma fu tralasciata la questione delle “donne di conforto”, che all’epoca non era una questione aperta, per lo meno non per gli uomini che stesero il trattato. Non c’era una clausola di revisione del trattato, e quindi nemmeno la possibilità di ricorso all’interno di tale quadro. Il mondo empirico tende a presentarsi con una serie di problemi interconnessi che nessuno (o solo un ristretto numero di persone) aveva previsto. Quindi, è meglio essere modesti; anche le nostre formule preferite (incluse quelle di questo Manuale) possono lasciare a desiderare, a un esame più approfondito. La reversibilità può suonare attraente. Potreste sollevare qualche argomento contro questa tesi? ESERCIZIO Guardate le proposte dell’Unità 45. Ci sono soluzioni già note, come il condominio/la sovranità congiunta, in cui due stati condividono la responsabilità di un territorio, e le confederazioni di stati basate su di una comunità, con gli altri stati come suoi partner più stretti. La reversibilità sta alla base di tali proposte. Come si fa a rendere reversibili una comproprietà e una confederazione, se lasciano a desiderare? Quali sarebbero le posizioni di ripiego? Quali altre proposte sarebbero difficilmente reversibili? Una risposta è la federazione. ESERCIZIO La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) 175 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Appendice 1 – Ulteriori letture: alcune pubblicazioni recenti Bondurant, Joan V., Conquest of Violence: The Gandhian Philosophy of Conflict, University of California Press, Berkeley 1971, 271 pp. Questo libro presenta una rassegna e un’analisi delle idee centrali del pensiero politico di Gandhi ed evidenzia la sfida che esse rappresentano per la filosofia politica occidentale. Un testo che si accompagna in modo eccellente a M. K. Gandhi, An Autobiography or The Story of My Experiments With Truth. Burrowes, R. J., The Strategy of Nonviolent Defense, A Gandhian Approach, State University of New York Press, Albany 1996, 367 pp. Nel libro si discute la de-escalation della violenza in un conflitto, che si verifica allorché una delle parti usa la nonviolenza, anziché la violenza. Il punto non è “la nonviolenza funziona sempre?” – non c’è niente che funzioni sempre – bensì capire in che modo funziona, quando funziona. Una questione più interessante potrebbe essere, in effetti, se la violenza funziona sempre, considerato che (come si sostiene in questo Manuale) si lascia dietro almeno due parti traumatizzate e sogni di maggior gloria e vendetta. Büttner, C. W., Friedensbrigaden: Zivile Konfliktbearbeitung mitgewaltfreien Methoden. Peace Brigades: Civilian Conflict Processing By Nonviolent Means, LIT Verlag, Münster 1995, 147 pp. Senza dubbio questo concetto, il servizio civile di pace nelle brigate di pace, giocherà un ruolo considerevole in futuro, portando con sé empatia, nonviolenza e creatività. Vengono analizzati molti casi concreti. Camplisson, Joe e Hall, Michael, Hidden Frontiers. Addressing deep-rooted violent conflict in Northern Ireland and the Republic of Moldova, Island Publications, Newtownabbey, Co Antrim BT36 7JQ, Northern Ireland 1996, Island Pamphlets No. 16, 44 pp. Questo pamphlet è un affascinante resoconto sul modo in cui l’essere diventato un operatore nei conflitti in un dato conflitto abbia preparato Joe Camplisson per svolgere un significativo lavoro sul conflitto in un altro ambito, la Repubblica di Moldova. L’approccio è molto compatibile col presente Manuale. Chetkow-Yanoov, Benyamin, Social Work Approaches to Conflict Resolution: Making Fighting Obsolete, The Haworth Press, Binghamton, NY 1996, 174 pp. Un libro che si legge facilmente, pieno di un buon senso che deriva da una ricca esperienza personale. Una buona introduzione al settore. Curle, Adam, Another Way: Positive Response to Contemporary Violence, Jon Carpenter, Oxford 1995. Un veterano tra gli operatori nei conflitti, con esperienze che vanno dall’India e Pakistan, alla Nigeria, al Sud Africa, allo Zimbabwe, all’Irlanda, allo Sri Lanka, alla Iugoslavia, per menzionarne solo alcune. Il libro tratta più il meta-conflitto che il conflitto, e in particolare la “Nuova Violenza”, “assolutamente sanguinosa”, senza alcuna causa o razionalità, e ciò che può essere fatto al riguardo. Altrettanto da raccomandare è il suo Tools for Transformation: A Personal Study, Hawthorn Press, 1990, e il classico Making Peace, Tavistock, 1971, 301 pp. European Platform for Conflict Prevention and Transformation, Prevention and Management of Violent Conflicts: An International Directory, 1998 Edition, Amsterdam, 1998, 466 pp. Contiene informazioni su 475 organizzazioni coinvolte nel lavoro sul conflitto a livello globale, coi relativi indirizzi. Fischer, Dietrich, Nonmilitary Aspects of Security: A Systems Approach, Dartmouth, for UNIDIR, Geneva 1993, 222 pp. Il libro contiene una messe di idee per il peace-building; sarebbe difficile immaginare un conflitto in cui alcune di loro non possano venir applicate. 177 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Galtung, Johan, Peace by Peaceful Means: Peace and Conflict, Development and Civilization, SAGE, London, New Delhi, Thousand Oaks 1996, 280 pp. Il libro – organizzato in quattro parti che grosso modo corrispondono ai temi della violenza diretta, della trasformazione del conflitto, della violenza strutturale e della violenza culturale – contiene le basi teoretiche di questo Manuale. Non è da raccomandare ai/lle principianti, a meno che siano particolarmente motivati/e. Galtung, Johan e Jacobson, Carl G., con contributi di Kai Frithjof Brand-Jacobson e Finn Tschudi, Searching for Peace, The Road to TRANSCEND, Pluto Press, London-Sterling, Virginia, in association with TRANSCEND. Lederach, John Paul, Preparing for Peace: Conflict Transformation Across Cultures, Syracuse University Press, Syracuse, NJ 1995, 100 pp. Questo libro è basato sull’ampia esperienza del suo autore in America Latina, Asia e Africa, e sul suo approccio “elicitativo” per comprendere gli obiettivi delle parti. Un’impostazione molto vicina a quella di questo Manuale. Lumsden, Malvern, Peacebuilding in Macedonia, PRIO, Oslo 1997, 76 pp. Un resoconto della ricerca per rendere la Macedonia meno vulnerabile alla violenza, per mezzo di progetti a livello di base con le comunità etniche. Mahony, Liam e Eguren, Luis Enrique, Unarmed Bodyguards: International Accompaniment for the Protection of Human Rights, Kumarian Press, West Harford, CT 1997, 275 pp. Il libro ha per tema “l’accompagnamento internazionale” di attivisti per i diritti umani e di altri/e in zone in cui è in atto la violenza. Le guardie del corpo non-armate vanno incontro a rischi considerevoli, ma la loro nonviolenza, così come è praticata dalle Peace Brigades International, sembra funzionare bene. Mindell, Arnold, The Leader as Martial Artist: Techniques and Strategies for Resolving Conflict and Creating Community, An Introduction to Deep Democracy, HarperCollins, New York 1993, 168 pp. Questo libro concentra l’attenzione sulla psicologia dell’operatore/trice nei conflitti (non necessariamente solo sui/sulle “leader”), e sui profondi problemi che probabilmente incontrerà. Contiene esercizi molto fantasiosi. Mitchell, Christopher e Banks, Michael, Handbook of Conflict Resolution: The Analytical ProblemSolving Approach, Pinter, London 1996, 187 pp. L’approccio descritto in questo eccellente manuale differisce da quello del presente Manuale perché suggerisce di riunire tutte le parti in un workshop comune per risolvere insieme i problemi, e di affrontare in seguito il problema del riesame. Mörland, Liv, Megling i konfliktråd; Hva skjer? Mediation in Conflict Councils; What happens?, HöyskoleForiaget, Kristiansand S. 1995, 176 pp. Il libro contiene un’analisi di quello che succede nell’istituzione norvegese “konfliktråd” (un’istituzione simile funziona in Nuova Zelanda) per la mediazione volontaria svolta da mediatori profani per prevenire la criminalità e come sostituto per i processi civili. Una conclusione è che la mediazione ha maggior successo quando le parti formulano il conflitto dalle loro proprie prospettive e nel loro linguaggio, e quando i mediatori (un team, con elevata empatia) non sono troppo diversi dalle parti in conflitto. L’informalità è preferita alla burocratizzazione. Ortega, Zoilamérica, Desmovilizados de guerra en la construcción de la paz en Nicaragua (Demobilized soldiers constructing peace in Nicaragua), Centro de Estudios Internacionales, Managua 1996, 91 pp. Il libro riferisce di un esperimento colmo di promesse per il futuro: si narra di soldati appartenti a entrambe le parti della guerra civile nicaraguense, smobilizzati e poi coinvolti in un lavoro congiunto di ricostruzione di quanto avevano distrutto in tempo di guerra; un processo durante il quale sono giunti a riconciliarsi e a dare un contributo alla risoluzione del conflitto. 178 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Patfoort, Pat, Uprooting Víolence, Building Nonviolence, Cobblesmith, Freeport, ME 1995, 128 pp. Un eccellente manuale sul significato della nonviolenza al livello intra e interpersonale, nonché sulla comunicazione come nonviolenza verbale e come cultura di pace. Ross, Marc Howard, The Management of Conflict: Interpretations and Interests in Comparative Perspective, Yale University Press, New Haven 1993, 226 pp. Il libro tratta della psico-cultura della trasformazione del conflitto e dei tipi di assunti (consci e subconsci) che i/le partecipanti e i /le mediatori/trici hanno sui conflitti, nonché delle condizioni per giungere a una società del conflitto costruttivo. Sandole, D. e van der Merwe, H., eds., Conflict Resolution: Theory and Practice, Manchester University Press, Manchester and New York 1993, 298 pp. Un’introduzione molto utile a diversi approcci statunitensi nel campo della risoluzione del conflitto. Stutzman, J. e Schrock-Shenk, C., eds., Mediation and Facilitation Training Manual, Mennonite Conciliation Service, PO Box 500 Akron, PA 17501-0500, 1996, 310 pp. Un eccellente manuale, molto ricco di contenuti, con esempi tratti dalla vita quotidiana. Thompson, W. S. e Jensen, K. M. eds., Approaches to Peace: An Intellectual Map, United States Institute of Peace, Washington DC 1992, 414 pp. Una raccolta molto utile di sedici saggi, che delineano in modo essenziale gli approcci alla pace più correnti. Unit for Justice, Peace and Creation, Christian Council of Sweden, Empowerment for Peace Service, Stockholm, Box 1764, 11187 Stockholm 1996, 109 pp. Un’eccellente rassegna del training per gli/le operatori/trici nei conflitti-per la pace, con indicazioni su come trovare ulteriore materiale. Volkan, Vamik D., et. al., eds., The Psychodynamics of Intemational Relationships: Vol. I, Concepts and Theories e Vol. II, Unofficial Diplomacy at Work, Lexington Books, Lexington, MA 1990. Questi due volumi presentano prospettive che si ispirano a una vasta gamma di discipline, tra cui psicanalisi, psichiatria, psicologia, scienze politiche, analisi delle politiche pubbliche, scienze diplomatiche e antropologia. Vengono esplorate le radici del comportamento umano e se ne traggono lezioni per il peace-making: un testo dirompente in questo settore. Wehr, Paul, Burgess, Heidi e Burgess, Guy, eds., Justice Without Violence, Lynne Rienner, Boulder & London 1994, 300 pp. Tredici saggi sull’azione nonviolenta contro la violenza diretta e strutturale, in generale, in Nicaragua, nell’Europa Orientale, nell’ex-Unione Sovietica, in Cina, in Africa, in Medio Oriente e in India. 179 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Altri testi utili Avruch, K., Black, P. e Scimecca, J., Conflict Resolution: Cross-Cultural Perspectives, Greenwood Press, Westport, CT 1991. Burton, John W. e Dukes, Frank, Conflict: Practices in Management, Settlement and Resolution, St. Martin’s Press, New York 1990. Burton, John W. e Dukes, Frank, eds., Conflict: Readings in Management and Resolution, Macmillan, London 1990. Burton, John W., Conflict: Resolution and Prevention, St. Martin’s Press, New York 1990. Burton, John W., Conflict: Human Needs Theory, St. Martin’s Press, New York 1990. De Bono, Edward, Conflicts. A Better Way to Resolve Them, Penguin, London 1991 (prima edizione 1985). Fitzduff, Mari Christine, Community Conflict Skills, 3rd Edition, Commmunity Conflict Skills project/ Community Relations Council project, Waltham, MA 1998. Mitchell, Christopher R.,The Structure of International Conflict, Macmillan, London 1981. Sandole, Dennis J. D. e Sandole-Staroste, Ingrid, eds., Conflict Management and Problem Solving, New York University Press, New York 1987. Tannen, Deborah, The Argument Culture, Random House, New York 1999. 180 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Bibliografia italiana (a cura del Centro Studi Sereno Regis) Arielli, Emanuele e Scotto, Giovanni, Conflitti e mediazione, Bruno Mondatori, Milano 2003. Camino, Elena e Dogliotti Marasso, Angela, Conflitto. Rischio e opportunità, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 2004. Dogliotti Marasso, Angela e Tropea, Maria Chiara, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro. Un gioco di ruolo per capire il conflitto israelo-palestinese, EGA, Torino 2003. Galtung, Johan, Gandhi oggi, EGA, Torino 1997. Galtung, Johan, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000. Martello, Maria, Conflitti: parliamone. Dallo scontro al confronto con il metodo della mediazione, Sperling & Kupfer, Milano 2006. Morelli, Ugo, Conflitto. Identità, interessi, culture, Meltemi, Roma 2006. Patfoort, Pat, Io voglio tu non vuoi, EGA, Torino 2001. Patfoort, Pat, Difendersi senza aggredire. La potenza della nonviolenza, EGA, Torino 2006. 181 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Appendice 2 - Organizzazioni del settore - Indirizzi ACCESS Mary Lord, Director 1511 K Street, NW, Suite 643 WASHINGTON, DC 20005, USA Tel. +1 202 783 6050 Fax +1 202 783 4767 [email protected] ACORD - Great Lakes Region P.O. Box 1019 Kigali - Rwanda Tel. +250 74619 Fax +250 73614 ACORD Development House 56-64 Leonard Street London EC2A 4JX - United Kingdom Tel. +44 (0)20 70650850 Fax +44 (0)20 70650851 e-mail [email protected] Austrian Study Center For Peace and Conflict Resolution (ASPR) Rochusplatz 1/Burg A-7461 Stadtschlaining - Austria Tel. +43 (0)3355 2498 Fax: +43 (0)3355 2662 e-mail [email protected] Web http://www.aspr.ac.at/aspr.htm Balkans Peace Centre of the University of Skopje Faculty of Philosophy Institute of Defence and Peace Studies Bul. Krste Misirkov b.b. 1000 Skopje - Macedonia Tel. +389 2 3116 520 e-mail [email protected] Web http://odb.fzf.ukim.edu.mk Berghof Research Center for Constructive Conflict Management Altensteinstrasse 48a D-14195 Berlin - Germania Tel. +49 (0)30 844154-0 Fax +49 (0)30 844154-99 e-mail [email protected] Web http://www.berghof-center.org/ Campaign for a More Democratic United Nations (CAMDUN) Contatti: Jeffrey Segall (London), e-mail [email protected] Contatti: Harry Lerner (New York) New York Office: 301 E, 45th Street, New York NY10017 Casa de los Amigos Ignacio Mariscal 132, Col. Tabacalera - México D.F. 06030 Tel +52 55 5705 0521 Web http://www.casadelosamigos.org/index.html Catholic Relief Services - USCC P.O. Box 17090 Baltimore - Maryland 21203-7090 Tel. +1 410 625 2220 Web http://www.crs.org/ Caucasian Institute for Peace, Democracy and Development P.O. Box 4 (158) Contatti: David Aghmashenebeli Ave. 89/24 (Floor 6) 380008 Tblisi - Georgia Tel. +995 32 954723 Fax +995 32 954497 Web http://www.cipdd.org/ e-mail [email protected] profi[email protected] 183 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Center for Global Nonviolence 3653 Tantalus Drive Honolulu - Hawai’i 96822-5033 - U.S.A. Tel. +1 808 536 7442 e-mail [email protected] Web www.globalnonviolence.org Civic Peace Association 15-1 Degtyarny Lane Moscow 103 050, Russia Tel +7 095 299 6342/331 Fax +7 095 299 0563 [email protected] Centre for Conflict Resolution University of Cape Town PO Box 1228 Cape Town 8000 - South Africa Tel. +27 21 422 2512 Fax +27 21 422 2622 Web http://ccrweb.ccr.uct.ac.za/ e-mail [email protected] Conciliation Resources An International Service for Conflict Prevention and Resolution 173 Upper Street London - N1 1RG - United Kingdom Tel. +44 (0) 20 7359 7728 Fax +44 (0) 20 7359 4081 e-mail [email protected] Web www.c-r.org Centro de Estudios Internacionales P.O. Box: 1747 Managua - Nicaragua Tel. +505 278 5413 Fax +505 267 0517 e-mail [email protected] Web http://www.ceinicaragua.org.ni/ Centro de Investigacíon para la Paz Calle Duque de Sesto, 40 28009 Madrid - España Tel. +34 91 576 3299 Fax +34 91 577 4726 e-mail [email protected] Web http://www.fuhem.es/portal/areas/paz/ Christian Peacemaker Teams (CPT) Negli U.S.A.: P.O. Box 6508 Chicago, IL 60680-6508 Tel. +1 773 277 0253 Fax +1 773-277 0291 e-mail [email protected] In Canada: 25 Cecil St, Unit 307 Toronto ON M5T 1N1 Tel. +1 416 423 5525 Fax +1 416 423 7140 e-mail [email protected] Web http://www.cpt.org/ 184 Conflict Analysis and Transformation Program Professor John Paul Lederach Eastern Mennonite University Harrisburg, VA 22801-2462, USA Tel. +1 540 432 4490 Fax +1 540 432 4449 e-mail [email protected], [email protected] Web http://www.emu.edu/cjp/ Conflict Research Consortium Heidi Burgess and Guy Burgess CB 327 University of Colorado BOULDER, CC 80309, USA Tel. +1 303 492 1635 Fax +1 303 492 2154 e-mail [email protected] Web http://www.colorado.edu/conflict/index_ orig.html The Carter Center One Copenhill 453 Freedom Parkway Atlanta, GA 30307 Tel. +1 404 420 5100 e-mail [email protected] Web http://www.cartercenter.org/homepage.html La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Coordination Sud 14 Passage Dubail Paris 75010, France Tel. +33 (0)1 44729372 Fax +33 (0)1 44729373 e-mail [email protected] Web: http://www.coordinationsud.org/ European Centre for Conflict Prevention Laan van Meerdervoort 70 2517 AN The Hague The Netherlands Tel. +31 (0)70 3110970 Fax +31 (0)70 3600194 e-mail info@conflict-prevention.net Web http://www.gppac.net/index.html Culture of Peace Programme Leslie Atherley, Director David Adams, Senior Programme Specialist UNESCO - 7, Place de Fontenoy F-75352 Paris, France Tel. +33 (0)1 45 681000 Fax +33 (0)1 45 671690 [email protected], [email protected] [email protected] http://www.unesco.org Fellowship of Reconciliation - USA 521 N. Broadway Nyack, New York 10960 - USA Tel. +1 845 3584601 Fax +1 845 3584924 Web http://www.forusa.org/ Department of Peace and Conflict Research Uppsala University P.O. Box 514 75120 Uppsala, Sweden Tel. +46 (0)18 471 00 00 Fax +46 (0)18 69 51 02 e-mail [email protected] Web http://www.pcr.uu.se/ Department of Peace Studies University of Bradford Richmond Road Bradford, BD7 1DP, West Yorkshire, UK Tel. +44 (0)1274 235235 Fax +44 (0)1274 235240 e-mail [email protected] Web http://www.bradford.ac.uk/acad/peace/ European Conference on Peacemaking and Conflict Resolution (ECPCR) The UMUT Foundation UMUT VAKFI MERKEZ ADRESİ Yıldız Posta Cad. NO:52 Esentepe 34340 - İstanbul Tel. +90 212 3372900/2993 Fax +90 212 2886675 e-mail [email protected] Web www. umut.org.tr Finding Common Ground 6th Floor 400 University Avenue Toronto ON M7A 2R9 - Canada Tel. +1 416 3255225 Fax +1 416 3255221 Web http://www.findingcommonground.ca/ Gernika Gogoratuz Peace Research Center Artekalea, 1 - 1o E - 48300 Gernika-Lumo/Bizkaia - Spain Tel. + 34 94 6253558 Fax + 34 94 6256765 e-mail [email protected] Web http//www.gernikagogoratuz.org Groupe Urgence de Réhabilitation et Développement Le Cypres-Les-Guards 26110 Nyons, France Tel. +33 (0)4 75262271 Fax +33 (0)4 75266427 e-mail [email protected] INCORE University of Ulster, Magee Campus, Aberfoyle House, Northland Road, Londonderry, BT48 7JA. Tel. +44(0)28 71375500 Fax +44 (0)28 71375510 e-mail [email protected] Web http://www.incore.ulst.ac.uk/ 185 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) India Peace Center Hansi and S. K. De C-K Naidu Road CIVIL LINES, NAGPUR 440001, INDIA Institute for Multitrack Diplomacy 1901 North Fort Myer Drive, Suite 405 Arlington, VA 22209 Tel. +1 703 5283863 Fax +1 703 5285776 e-mail [email protected] Web http://www.imtd.org/ Institut de recherche sur la Résolution Non-violente des Conflits 14, rue des Meuniers 93100 Montreuil, France Tel. +33 (0)1 42879469 Fax +33 (0)1 48579297 e-mail [email protected] Web http://www.irnc.org/ Institute for Journalism in Transition Chlumova 22 130 00 Prague 3 Czech Republic Tel. 420 222 780 805 Fax 420 222 780 804 e-mail: [email protected] Web http://www.tol.cz/look/TOL/home.tpl?IdLa nguage=1&IdPublication=4&NrIssue=187 Instituto de la Paz y los Conflictos Universidad de Granada Dirección Oficial Centro de Documentación Científica 18071 Granada (ESPAÑA) Tel. +34 958 244142 (Amministrazione) +34 958 248355 (Segreteria tecnica) Fax +34 958 248974 e-mail [email protected] Web http://www.ugr.es/~eirene 186 International Alert 346 Clapham Road London SW9 9AP United Kingdom Tel. +44 (0)20 76276800 Fax +44 (0)20 76276900 e-mail [email protected] Web http://www.international-alert.org International Fellowship of Reconciliation Spoorstraat 38 Alkmaar, 1815 BK The Netherlands / Pays-Bas Tel. +31 (0)72 5123014 Fax +31 (0)72 5151102 e-mail offi[email protected] Web http://www.ifor.org/index.html International Jewish Peace Union B. P. 44 75462 Paris, Cedex 10, France Tel. +33 (0)1 48009660 Fax +33 (0)1 48009645 ISC - International Service Community Swarthmore College P. 0. Box 380 Swarthmore, PA 19081-0380 - USA Web http://www.swarthmore.edu/go/isc/main. html IPRA - International Peace Research Association Foundation 1705 14th St. 363 Boulder, CO USA 80302 e-mail [email protected] Web https://www.iprafoundation.org/index.html IRIPAZ - International Relations and Peace Research Institue la Calle 9-52 - Zona 1 Ciudad de Guatemala - Guatemala Tel. +502 232 8260/250 0421 Fax +502 253 1532 e-mail [email protected] Web http://www.gdnet.org/middle.php?oid=211 &zone=org&action=org&org=1053 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Israel/Palestine Center for Research and Information P.O. Box 9321 Jerusalem 91092 - Israel Tel. +972 2 6769460 Fax +972 2 6768011 e-mail [email protected] Web http://www.ipcri.org/ JUST - Just World Trust P.O. Box 448 10760 Penang - Malaysia Fax +604 656 3990 e-mail [email protected] Life & Peace Institute Indirizzo postale: Sysslomansgatan 7 SE-753 11 Uppsala - Sweden Sede operativa: Sysslomansgatan 7, 1st floor Uppsala, Sweden Tel. +46 (0)18 169500 Fax +46 (0)18 693059 e-mail [email protected] Web h t t p : / / w w w. l i f e - p e a c e . o r g / d e f a u l t 2 . asp?xid=297 Local Capacities for Peace Project c/o Collaborative for Development Action 130 Prospect Street, Suite 202 Cambridge, MA, 02143 - USA Tel. +1 617 6616310 Fax +1 617 6613805 e-mail [email protected] Web www.cdainc.com Médecins du Monde International 62 rue Marcadet 75018 Paris, France Tel. +33 (0)1 44921414 Fax +33 (0)1 44921455 e-mail [email protected] Web http://www.mdm-international.org/ Michigan Faith and Resistance Peace Team 1516 Jerome St. Lansing , MI 48912 - USA Tel. +1 517 4843178 e-mail [email protected] Nairobi Peace Initiative 5th Floor, New Waumini House Chiromo Road - Waiyaki Way Westlands, Nairobi P.O. Box 14894-00800 Nairobi - Kenya Tel. +254 20 4441444/4440098 Fax +254 20 4440097 e-mail [email protected] Web http://www.npi-africa.org/default.asp Nonviolence International 4545 42nd St. NW Suite 209 Washington, DC - USA 20016 Tel. +1 202 2440951 Fax +1 202 2446396 e-mail [email protected] Web http://www.nonviolenceinternational.net/ Norwegian People’s Aid Storgt. 33 A, 9. etg, 0028 Oslo - Norway Tel. +47 22 037700 Fax +47 22 200870 e-mail [email protected] Web h t t p : / / a p u . i d i u m . n o / f o l k e h j e l p. n o / ?template=english;lang=eng Observatoire Politique et Stratégique de l’Afrique 9 Rue Malher 75181 Paris, Cedex 04, France Tel. +33 (0)1 64493499 Fax +33 (0)1 64493499 OSCE - The Organization for Security and Cooperation in Europe Kaerntner Ring 5-7 1010 Vienna, Austria Tel. +43 1 514360 Fax +43 1 5143696 e-mail [email protected] Web http://www.osce.org/ Parliamentarians for Global Action 211 East 43rd St, Suite 1604 New York, NY 10017 - USA Tel. +1 212 6877755 Fax +1 212 6878409 e-mail [email protected] Web http://www.pgaction.org/ 187 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Peace Brigades International International Office Development House 56-64 Leonard Street London EC2A 4JX - U.K. Tel. +0 207 0650775 Web http://www.peacebrigades.org/index.html Quaker United Nations Office - Geneva 13 Avenue du Mervelet 1209 Geneva - Switzerland Tel. +41 22 7484800 Fax +41 22 7484819 e-mail [email protected] Web http://www.quno.org/ Peace Desk - International Affairs Salpy Eskididjian Justice, Peace and Creation Programme Unit III Worid Councíl of Churches PO Box 2100 CH-1211 Geneva 2 - Switzerland Web http://www.oikoumene.org/en/home.html Responding to Conflict 1046 Bristol Road Selly Oak Birmingham B29 6L3 - UK Tel. +44 (0)121 4155641 Fax +44 (0)121 4154119 e-mail [email protected] Web http://www.respond.org/ Peace Research Informatíon Unit Bonn Beethovenallee 4 53173 Bonn, Germany Tel. +49 (0)228 356032 Fax +49 (0)228 356050 e-mail [email protected] Web http://www.priub.org/index.html SIPAZ - Servicio Internacional Para La Paz Avenida Chilón 8 Barrio El Cerrillo San Cristóbal de las Casas 29220 Chiapas, México Tel/Fax +52 967 6316055 e-mail [email protected] Web http://www.sipaz.org/ Peacefund Canada 206-145 Spruce Street Ottawa, Ontario K1R 6P1 - Canada Tel. +1 613 2300860 Fax +1 613 5630017 e-mail [email protected] Web http://www.web.ca/~pfcan/ Programa por la Paz de la Compañía de Jesús Calle 35 n. 21-19 Bogotá - Colombia Tel. +57 1 338 37 90 Fax +57 1 338 37 92 e-mail [email protected] Web http://www.jesuitas.org.co Quaker Peace & Social Witness Friends House 173 - 177 Euston Road London NW1 2BJ - UK Tel. +44 207 663 1000 e-mail [email protected] Web http://www.quaker.org.uk/ 188 SURVIE 210 rue St Martin 75003 Paris - France Tel. +33 (0)1 44 610325 Fax +33 (0)1 44 610320 e-mail [email protected] Web http://www.survie-france.org/ Swiss Platform on Conflict Prevention and Transformation c/o Centre for Applied Studies in International Negotiations (CASIN) 7 bis avenue de la Paix P.O. Box 1340 1211 Geneva 1 - Switzerland Tel. +41 (0)22 7308660 Fax +41 (0)22 73086 90 e-mail [email protected] Web http://www.casin.ch/web/media/index.htm La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) TFF - The Transnational Foundation for Peace and Future Research Jan Oberg, Director Vegagatan 25 S 224 57 Lund - Sweden Tel. +46 46 145909 Fax +46 46 144512 e-mail [email protected] Web http://www.transnational.org The Arias Foundation for Peace and Human Progress P.O. Box 86410-1000, Costa Rica Tel. +506 255 2955/255 2885 Fax +506 255 2244 e- mail [email protected] Web http://www.arias.or.cr/ The Lester B. 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Pio V, 17/b 10125 Torino Tel. +39 0116501126 Fax +39 0116696130 e-mail [email protected] Web h t t p : / / w w w. g r u p p o a b e l e . o r g / In d e x . aspx?idmenu=311 Università degli studi di Firenze Corso di laurea intefacoltà. Scienze sociali per la Cooperazione, lo sviluppo e la pace Master di I livello “Mediatore dei Conflitti Operatore di Pace” in collaborazione con la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. Piazza San Marco, 4 50121 Firenze Tel. 800 450150 Web http://www.operatoriperlapace.unifi.it/ Università degli studi di Pisa Centro Interdisciplinare Scienze per la pace Master di I livello in “Gestione dei conflitti interculturali ed interreligiosi” Via Gioberti, 39 56124 Pisa Tel. +39 0502211201 Fax +39 0502211206 e-mail [email protected] Web htpp://www.pace.unipi.it/didattica/master Università degli studi di Roma Tre Facoltà di Giurisprudenza Master 2006-2007 di II livello in “Gestione e Risoluzione dei Conflitti” Web http://www.giur.uniroma3.it/materiale/ master/gestione_risoluzione_conflitti.html International University Institute for European Studies Master di I livello in “Operatori internazionali di pace” (120 crediti). Via Mazzini, 13 34170 Gorizia Tel. +39 0481533632 Fax +39 0481532094 e-mail [email protected] Web www.interuniv.isig.it 191 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Appunti 193 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Appunti 194 La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND) Appunti 195 Finito di stampare nel dicembre 2006 in Torino