La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici

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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
La trasformazione dei conflitti
con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Manuale dei/delle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
di
Johan Galtung
dr hc mult
Docente di Studi per la Pace
Direttore di TRANSCEND: A Peace and Development Network
(Una Rete per la Pace e lo Sviluppo)
Traduzione di Carla Toscana
United Nations Disaster Management Training Programme
Centro Studi Sereno Regis
Torino, 2006
Progetto realizzato con il contributo del Bando 2004 della Provincia di Torino - L.R. 38/94, Valorizzazione e
promozione del volontariato
e di
Fondazione CRT
Compagnia di San Paolo
Johan Galtung è direttore di TRANSCEND: A Peace and Development Network e docente di Studi per la pace
in numerose università in ogni parte del mondo. Nel 1959 ha fondato l’International Peace Research Institute
e nel 1964 il “Journal of Peace Research”. È ampiamente riconosciuto come una delle figure più preminenti
tra i fondatori della disciplina accademica degli Studi per la pace e sui conflitti. Ha pubblicato più di 80 libri e
oltre 1000 saggi e articoli. Ha ricevuto 10 lauree ad honorem e numerose altre onorificenze, come il Right Livelihood Award (anche conosciuto come il Premio Nobel Alternativo per la Pace), il Norwegian Humanist Prize,
il Socrates Price for Adult Education, il Bajaj International Award for Promoting Gandhian Values e l’Alo’ha
International Award. In qualità di direttore di TRANSCEND è impegnato in programmi di consulenza relativi
a più di 20 conflitti inter- e intra-nazionali.
L’autore desidera ringraziare tutte le persone che hanno contribuito a questo lavoro, che sarebbe stato irrealizzabile senza la loro collaborazione.
Redazione a cura di Carla Toscana
Grafica e impaginazione a cura di Enzo Gargano
Centro Studi Sereno Regis
Via Garibaldi, 13 - 10122 Torino
Tel. +39 011532824
Fax +39 0115158000
e-mail [email protected]
web http://www.cssr-pas.org
© United Nations, 2000
L’utilizzo e la duplicazione di questo Manuale e dei suoi contenuti sono permessi; tuttavia, è richiesta
l’attribuzione della fonte allo United Nations Disaster Management Training Programme (DMTP)
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Indice della Prima Parte
Un sommario dell’appproccio
Un diagramma di flusso
Punti per un/a formatore/trice, con un diagramma di flusso
Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: versione in una pagina
Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata: un esempio
Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva
Risultati del conflitto e procedimenti del conflitto
Commenti a Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva
Creatività, trascendimento, trasformazione del conflitto
Teoria del conflitto, pratica del conflitto: qualche passo in più
Corso d’addestramento alla trasformazione dei conflitti: qualche esercizio supplementare
Codici per operatori/trici nei conflitti/per la pace: 12 cose da fare
Codici per operatori/trici nei conflitti/per la pace: 12 cose da non fare
Due racconti: di cammelli, numeri e tante altre cose
Dialogo fra l’autore (JG) e l’avvocato del diavolo (AD)
7
9
11
13
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45
46
47
Indice della Seconda Parte
Le 50 unità per il training
55
MODULO I
Unità 1
Unità 2
Unità 3
Unità 4
Unità 5
Gli/le operatori/trici nei conflitti
Una professione emergente
Un profilo personale e un’autoanalisi
Un profilo sociale (la relazione con la società)
La relazione con l’Altro; le parti in conflitto
Gli/le operatori/trici nei conflitti: e l’obiettività?
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62
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66
MODULO II
Unità 6
Unità 7
Unità 8
Unità 9
Unità 10
Il dialogo
Lo strumento dei/lle operatori/trici nei conflitti
Separatamente o con tutte le parti intorno al tavolo?
Riflessioni sul setting
La prospettiva sociale profonda
La prospettiva a lungo termine
69
70
72
74
76
78
MODULO III
Unità 11
Unità 12
Unità 13
Unità 14
Unità 15
Teoria del conflitto
Il triangolo Atteggiamento – Comportamento (Behavior) – Contraddizione
Una regola aurea: ampliare il numero delle parti e degli obiettivi
Bisogni fondamentali, diritti fondamentali, conflitti fondamentali
Ritiro, compromesso, trascendimento
Prima – durante – dopo la violenza/la creatività
81
82
84
86
88
90
5
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IV
Unità 16
Unità 17
Unità 18
Unità 19
Unità 20
Pratica del conflitto
Il triangolo Empatia – Nonviolenza – Creatività
L’empatia per ammorbidire gli atteggiamenti
La nonviolenza per ammorbidire il comportamento
La creatività per ammorbidire le contraddizioni
Alle radici della creatività
93
94
96
98
100
102
MODULO V
Unità 21
Unità 22
Unità 23
Unità 24
Unità 25
Teoria della violenza
Il triangolo violenza diretta – strutturale – culturale
Violenza diretta: effetti visibili e invisibili
Violenza strutturale: le cattive strutture annientano lentamente
Violenza culturale: le cattive culture giustificano la violenza
Il triangolo Diagnosi – Prognosi – Terapia
105
106
108
110
112
114
MODULO VI
Unità 26
Unità 27
Unità 28
Unità 29
Unità 30
Pratica della violenza
Diagnosi: radici della violenza diretta
Violenza diretta: cattivi attori, malviventi e bulli
Violenza strutturale: la sindrome PSFM
Violenza culturale: la sindrome EGT e la sindrome DMA
Prognosi: allarme precoce, azione precoce
117
118
120
122
124
126
MODULO VII
Unità 31
Unità 32
Unità 33
Unità 34
Unità 35
La trasformazione
Non c’è alternativa alla trasformazione
L’empatia per cambiare gli atteggiamenti
La nonviolenza per cambiare il comportamento
La creatività per cambiare le contraddizioni
Scambiare un conflitto con un altro?
129
130
132
134
136
138
MODULO VIII
Unità 36
Unità 37
Unità 38
Unità 39
Unità 40
I dialoghi di pace
L’approccio prevalente/verticale
L’approccio alternativo/orizzontale,
La socio-analisi
Risultati del conflitto o procedimenti nel conflitto?
Governare lo stress e la tensione
141
142
144
146
148
150
MODULO IX
Unità 41
Unità 42
Unità 43
Unità 44
Unità 45
La trasformazione del conflitto
Conflitti connessi al potere e a linee di faglia a livello sociale
Conflitti connessi al potere e a linee di faglia a livello mondiale
Conflitti intra-personali
Conflitti inter-personali
Alcune proposte TRANSCEND
153
154
156
158
160
162
MODULO X
Unità 46
Unità 47
Unità 48
Unità 49
Unità 50
La trasformazione di pace
L’educazione alla pace: le persone come partner
Il giornalismo di pace: i media come partner
La ricostruzione dopo la violenza
La riconciliazione dopo la violenza
Rendere reversibili le trasformazioni
165
166
168
170
172
174
Appendice 1
Ulteriori letture: alcune pubblicazioni recenti
Altri testi utili
Bibliografia Italiana
Organizzazioni del settore
177
180
181
183
Appendice 2
6
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Un sommario dell’approccio
Questo Sommario segue la logica dell’Indice. C’è un altro riassunto:
Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata.
Operatori/trici nei conflitti
I
Gli/le operatori/trici nei conflitti (gli/le operatori/trici di
pace) chiedono di essere inclusi/e come parti esterne nella formazione
conflittuale. Credenziali: essi/e si pongono come esseri umani consimili,
che apportano conoscenze e competenze generali sul conflitto, con
compassione e perseveranza, senza agende nascoste.
Dialogo
II
Il dialogo è lo strumento per esplorare il conflitto: si incontrano le parti una alla volta, senza fare alcun sforzo per “vincere”/persuadere, bensì avviando un continuo processo di brainstorming, in
cui si condivide il tempo, si fanno domande e si risponde su una base
di uguaglianza, e si è onesti, schietti, pieni di tatto, attenti e “normali”. Il rispetto per le parti in conflitto che dialogano con noi è essenziale: per loro il conflitto è tremendamente serio, hanno sofferto,
sono spesso molto istruite, hanno molte conoscenze ed esperienza,
ma sono intrappolate nel e dal conflitto e non vedono via d’uscita.
In cambio, richiedete loro rispetto/eguaglianza come condizione per
lavorare bene insieme. Affinché gli/le operatori/trici nei conflitti-per
la pace si accostino a un conflitto in modo genuino, occorre evitare
la specializzazione sulle parti in conflitto e sulle questioni problematiche. Mirate alla qualità del dialogo e al coinvolgimento, non
solo ad “alto livello” (le Unità 3-5 possono essere utili); trattate bene
chiunque senza badare minimamente al livello; ciascun dialogo tra
i molti è il dialogo. Il setting per il dialogo può essere da qualsiasi
parte, anche uffici ad “alto livello”, ma la cosa migliore è che i tempi
siano indeterminati/aperti. Evitate registrazioni/annotazioni, a meno
che siano state concordate.
Teoria del conflitto
III
Teoria del conflitto: il conflitto sia come Distruttore sia come
Creatore, come potenzialmente pericoloso sia adesso sia in futuro a causa
della violenza, e come occasione d’oro per creare qualcosa di nuovo.
Pratica del conflitto
IV
Introducete nella pratica del conflitto empatia, nonviolenza
e creatività, cercando di comprendere le parti coinvolte nel conflitto
dall’interno e di sentirne la logica, identificando obiettivi validi e
approcci nonviolenti per conseguirli, e facendo emergere in tutte le parti
coinvolte una creatività collaborativa per trovare modi di trascendere le
incompatibilità.
Teoria della violenza
V
Teoria della violenza: violenza diretta, che colpisce in modo
diretto; violenza strutturale, che colpisce in modo indiretto, e violenza
culturale, che le giustifica.
7
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
8
Pratica della violenza
VI
Pratica della violenza: identificate le radici della violenza nelle
culture, nelle strutture, negli attori e nei conflitti non trasformati;
allarmi precoci.
Trasformazione
VII
Non c’è alternativa alla trasformazione, che si verifica attraverso
il mutamento degli atteggiamenti e dei comportamenti violenti, e
mediante l’applicazione della creatività alle contraddizioni.
Dialoghi di pace
VIII Dialoghi di pace: esplorate insieme diagnosi, prognosi e
terapia. Evitate la linearità, lasciate che il dialogo fluisca avanti e
indietro. Sequenza: terapia per il passato (che cosa andò male in quella
o quell’altra circostanza? che cosa si sarebbe potuto fare?) – prognosi
– diagnosi – terapia per il futuro. Spargete semi, idee. Evidenziate i
vecchi codici del sistema-stato/sistema-nazione; immagini positive per
il Conflitto come Creatore e immagini negative per il Conflitto come
Distruttore; enfatizzate la complementarietà dei ruoli per sviluppare
codici nuovi; preparate le parti a incontrarsi prima o poi “al tavolo”.
Trasformazione del conflitto
IX
La trasformazione del conflitto può allora aver luogo, in linea
di principio, a tutti i livelli del conflitto: globale, sociale e inter/intrapersonale (macro, meso, micro).
Trasformazione di pace
X
La trasformazione di pace presuppone anche un contesto pacifico
come quello fornito dall’educazione alla pace e dal giornalismo di pace,
nonché la continuazione del lavoro dopo la violenza e la disponibilità a
riaprire gli accordi di pace.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Un diagramma di flusso
La seconda parte del Manuale consiste di 50 unità, suddivise in dieci
moduli di 5 unità, come nel seguente elenco.
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
Moduli
Gli/le operatori/trici nei conflitti
Il dialogo
Teoria del conflitto
Pratica del conflitto
Teoria della violenza
Pratica della violenza
La trasformazione
I dialoghi di pace
La trasformazione del conflitto
La trasformazione di pace
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
5 unità
Unità
1-5
6-10
11-15
16-20
21-25
26-30
31-35
36-40
41-45
46-50
I
In primo luogo, gli/le operatori/trici nei conflitti vengono presentati/e,
coi relativi profili personali e sociali, e si esplorano le relazioni con le
parti in conflitto.
II
Poi segue lo strumento operativo principale per gli/le operatori/trici
nel conflitto, cioè il dialogo, come conversazione, brainstorming; un
qualcosa di molto diverso da un dibattito.
III
Il conflitto viene presentato esplorando i concetti fondamentali della
teoria dei conflitti, cioè gli atteggiamenti, i comportamenti e le contraddizioni.
IV
Tutto ciò viene posto in relazione con l’operatore/trice nei conflitti
mediante i concetti della pratica del conflitto: l’empatia, la nonviolenza
e la creatività.
V
Siccome la violenza è sempre possibile, vengono esaminati i concetti
fondamentali della teoria della violenza: violenza diretta, strutturale e
culturale.
VI
Questi concetti vengono ricollegati al lavoro dell’operatore/trice nei
conflitti nel Modulo dedicato alla pratica della violenza, nel quale
vengono introdotti i concetti di diagnosi, prognosi e allarme precoce.
VII
La tesi centrale è che per prevenire la violenza e sviluppare il potenziale
creativo di un conflitto ci deve essere una trasformazione, il cui significato
viene quindi esplorato.
VIII
Per raggiungerla, l’operatore/trice nei conflitti avvia un dialogo di pace
ben articolato, che include una socio-analisi.
9
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
IX
Lo scopo di tutto l’esercizio – la trasformazione del conflitto – viene
esplorato a livello globale, sociale e inter/intra-personale.
X
Per ottenere la trasformazione di pace è necessario presentare il contesto
del conflitto mediante misure come l’educazione e il giornalismo.
Il Manuale si sviluppa lungo due direttrici. Una riguarda gli/le operatori/
trici nei conflitti-per la pace, lo strumento del dialogo e il compito
della trasformazione; l’altra si concentra sul conflitto e la violenza, nella
teoria e nella pratica. Le due direttrici hanno in comune i temi della
trasformazione del conflitto e della trasformazione di pace.
I
Operatori/trici nei conflitti
III
Teoria del conflitto
II
Il dialogo
IV
Pratica del conflitto
VII
La trasformazione
V
Teoria della violenza
VIII
I dialoghi di pace
VI
Pratica della violenza
⇓
⇓
IX
La trasformazione del conflitto
X
La trasformazione di pace
10
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Punti per il/la formatore/trice, con un diagramma di
flusso*
1
Un buon punto di partenza potrebbe essere il diagramma di flusso
precedente, che fornisce la struttura del sommario. Fate due lucidi
per lavagna luminosa (uno col sommario e l’altro col diagramma di
flusso) e chiedete ai/alle partecipanti di tracciare frecce sul sommario.
Il punto basilare è la distinzione fra “il problema”, cioè il conflitto e la
violenza e “il che fare” – cioè il dialogo, il dialogo finalizzato alla pace,
la trasformazione – che sfocia nella trasformazione del conflitto e nella
trasformazione di pace. A questo si potrebbe aggiungere Un sommario
dell’approccio, per passare alla
2
versione in una pagina, Il Metodo TRANSCEND in un’occhiata, e
relativi esempi tratti dalla vita reale. Come esempio di un esempio,
è proposto un esercizio usato nel 1997 per testare questo Manuale: la
crisi degli ostaggi a Lima, terminata dopo 126 giorni con l’attacco del
22 aprile 1997, che portò alla liberazione di tutti gli ostaggi tranne uno
e all’uccisione di tutti i Tupac Amaru, con la perdita di due uomini
dei commandos. Il punto importante, nello svolgimento dell’esercizio, è
l’avere una visione alternativa di quanto sarebbe potuto accadere, dato
che ben pochi sembrano essere stati davvero contenti di com’è andata.
L’esempio serve a illustrare la distanza fra alcune pratiche correnti e
i procedimenti e i risultati più desiderabili. È anche un buon tema
per una discussione il chiedersi se si sarebbe davvero potuto seguire
procedimenti diversi e identificare risultati alternativi. Il/la formatore/
trice potrebbe anche aggiungere un altro esempio o esaminare un altro
caso per avviare una buona discussione.
3
Teoria e pratica dei conflitti: una prospettiva è il documento introduttivo
basilare. Usate spesso i lucidi per la I, la II e la III Fase del diagramma e
fate riferimento ai compiti di ciascuna fase.
4
Creatività, trascendimento e trasformazione del conflitto possono
venir discussi in qualunque momento del corso di formazione, ma
specialmente in connessione con le Unità 19, 20, 34 e 45.
5
La parte principale del Manuale dei/lle formatori/trici è la serie di
commenti ed esercizi relativi al Manuale dei/lle partecipanti: le 50 Unità.
In ciascuna, il Manuale dei/lle partecipanti è nella pagina a sinistra e il
Manuale dei/lle formatori/trici in quella a destra.
6
Una buona notizia: c’è una versione abbreviata del Manuale – solo 15 unità:
le Unità 1, 5, 6, 7, 11, 12, 15, 16, 22, 38, 46-50. Essa comprende: Gli/le
operatori/trici nei conflitti e Il dialogo (2 unità per ciascun tema), Teoria del
conflitto (3 unità) e Pratica del conflitto (1 unità), quindi Teoria della violenza
(1 unità), I dialoghi di pace (1 unità) e infine La trasformazione di pace (tutte
le 5 unità). Potete provare prima questa versione per poi aggiungere il resto.
(* Naturalmente il/la formatore/trice e il/la partecipante possono essere la stessa persona, che si sta impegnando in un processo di
autoformazione)
11
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
7
8
12
Stima del tempo necessario per il corso di formazione al Metodo
TRANSCEND:
•
per la versione integrale: due sessioni al giorno per una settimana;
svolgimento di un modulo per ciascuna sessione e distribuzione
del materiale di presentazione;
•
per la versione abbreviata: quattro sessioni su due giorni; una
per il materiale di presentazione, poi cinque unità per sessione;
•
per la mini-versione: due sessioni, Il Metodo TRANSCEND in
un’occhiata: versione di due pagine con un esempio, e Punti per
il/la formatore/trice, con un diagramma di flusso;
•
per la micro-versione: una sola sessione, Il Metodo TRANSCEND
in un’occhiata: versione in una pagina, con un esempio. Si spera
che i/le partecipanti leggano altro per proprio conto.
Due racconti: di cammelli, numeri e molto altro: va bene in qualsiasi
momento!
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Il Metodo Transcend in un’occhiata: versione in una pagina
I Premessa Base
II Premessa Base
III Premessa Base
IV Premessa Base
V Premessa Base
VI Premessa Base
Seguendo il pensiero hinduista, ricordate: il Conflitto come Distruttore
e il Conflitto come Creatore; il conflitto come fonte di violenza, ma
anche come fonte di sviluppo. L’operatore/trice nei conflitti ha il terzo
ruolo di Preservatore/trice, che trasforma il conflitto evitando la
violenza e promuovendo lo sviluppo.
Seguendo il pensiero buddhista, ricordate: l’origine è interdipendente,
tutto cresce insieme in mutua relazione causale. I conflitti non hanno
inizio né fine, tutti ne siamo corresponsabili; nessun singolo attore
(come gli statisti) ha tutta la responsabilità (monopolio) e nessun
singolo attore porta tutta la colpa.
Seguendo il pensiero cristiano, ricordate: in ultima analisi la responsabilità
della trasformazione dei conflitti sta negli individui, nelle loro personali
responsabilità e decisioni di agire per la promozione della pace piuttosto
che della violenza; richiamate inoltre il principio della speranza.
Seguendo il pensiero taoista, ricordate: tutto è yin e yang, buono e cattivo;
è altamente probabile che l’azione scelta abbia anche conseguenze negative
e che l’azione non scelta potesse avere conseguenze positive; di qui sorge
la necessità della reversibilità: fate solo quanto può essere disfatto.
Seguendo il pensiero islamico, ricordate: la forza proviene dal sottoporsi
tutti/e a uno scopo comune, compresa la responsabilità concreta per il
benessere di tutti/e.
Seguendo il pensiero giudaico, ricordate: la verità sta meno in una
formula verbale che nel dialogo per giungere a tale formula, e questo
dialogo non ha inizio né fine.
Questi punti, tratti dalle religioni mondiali, hanno ispirato il procedimento seguente:
1
2
3
4
5
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11
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Fare una mapppa della formazione conflittuale, elencando tutte le parti
coinvolte, tutti gli obiettivi e tutte le questioni in gioco;
dare spazio alle parti dimenticate con poste importanti nel conflitto;
tenere dialoghi intensamente empatici con tutte le parti singolarmente;
ogni operatore/trice nei conflitti può specializzarsi su una parte in conflitto;
nel corso dei dialoghi con ciascuna parte, identificare alcuni obiettivi accettabili;
introdurre obiettivi dimenticati che possono aprire nuove prospettive;
pervenire a fini sovraordinati accettabili da tutte le parti;
pervenire a formulazioni concise ed evocative dell’obiettivo;
aiutare a definire i compiti per tutte le parti con tale obiettivo in mente:
disancorando il conflitto da dove si trovava, ancorandolo altrove, introducendo parti e/o obiettivi trascurati;
verificare se la realizzazione di quell’obiettivo realizzerebbe gli obiettivi
delle singole parti;
aiutare le parti a incontrarsi “al tavolo” per un processo che si autosostenga;
ritirarsi dal conflitto, passare al successivo, rimanendo a disposizione
per eventuali richieste.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Il Metodo Transcend in un’occhiata: un esempio
La crisi degli ostaggi di Lima: una trasfomazione possibile del conflitto
L’occupazione dell’Ambasciata giapponese a Lima, in Perù, si verificò il
17 dicembre 1996. Almeno sei parti vi erano coinvolte e i loro obiettivi
principali sembravano essere i seguenti:
1
il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru (MRTA – 14 guerriglieri)
• ottenere il rilascio di 450 detenuti appartenenti al MRTA (in seguito
solo di 30),
• continuare la lotta armata, “dalla giungla”;
2
i 72 ostaggi rimanenti (gli altri furono rilasciati)
• essere rilasciati, illesi;
3
il governo peruviano (il Presidente Fujimori)
• non cedere al terrorismo, e quindi non rilasciare nessun detenuto del
MRTA,
• ottenere il rilascio degli ostaggi, illesi;
4
i detenuti appartenenti al MRTA
• essere rilasciati,
• continuare la lotta;
5
il governo statunitense
• evitare che il governo peruviano, o altri, cedano al terrorismo,
• ottenere il rilascio degli ostaggi, illesi;
6
il governo giapponese
• ottenere il rilascio degli ostaggi, illesi,
• ottenere il rispetto dei diritti extra-territoriali giapponesi,
• evitare la violenza.
Ma vi erano anche gli attori dimenticati:
• “la società peruviana” in cerca di modi per abolire la miseria,
• “l’opinione pubblica mondiale”, in favore di tutto quanto sopra.
Il fine sovraordinato poteva essere la riduzione/abolizione della miseria,
e – se tutte le parti avessero ceduto appena un po’ – avrebbero potuto
trovare ciascuna il proprio spazio:
14
1
il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru abbandona le armi ed
entra nel processo politico in una società democratica, con accesso ai
media e alle elezioni;
2
gli ostaggi vengono rilasciati, e si trovano dei modi in cui essi possono
contribuire ad alleviare la miseria;
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
3
il governo peruviano migliora le condizioni carcerarie e abbrevia la
durata delle condanne, offrendo ai detenuti corsi di formazione per
diventare operatori sociali/di villaggio; inoltre accetta il MRTA come
movimento nonviolento e comincia a fare dei passi per l’abolizione
della miseria;
4
i detenuti del MRTA accettano di seguire in prigione il corso da
operatori sociali/di villaggio e s’impegnano a gettare le armi;
5
il governo statunitense mette a disposizione fondi/competenze per
progetti di abolizione della miseria;
6
il governo giapponese mette a disposizione fondi/competenze per
progetti di abolizione della miseria e terrà i futuri ricevimenti per il
compleanno dell’Imperatore in alberghi provvisti di più uscite.
Per raggiungere tali obiettivi sarebbero inoltre utili quattro colloqui
bilaterali:
A
B
C
negoziati diretti fra il MRTA e il governo peruviano;
D
dialoghi tra il MRTA e gli ostaggi sulla società peruviana.
negoziati diretti fra i detenuti del MRTA e il governo peruviano;
incontri tra gli ostaggi e i detenuti e formazione di un gruppo di
pressione congiunto;
Inoltre, occorrerebbero mediatori che godano la fiducia di tutte le parti
(Fidel Castro, il Papa); e pressioni da parte della “società peruviana” e
della “opinione pubblica mondiale”.
15
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
TEORIA E PRATICA DEL CONFLITTO: UNA
PROSPETTIVA
Un conflitto ha un proprio ciclo vitale, quasi come un organismo.
Compare, raggiunge un apice emotivo o addirittura violento, poi si
riduce, scompare – e spesso riappare. C’è una logica: gli individui e i
gruppi (come peraltro gli stati e le nazioni) hanno degli obiettivi:
Nonviolenza
(violenza fisica e verbale)
Comportamento (da Behavior)
B
• gli obiettivi possono essere incompatibili e tali da escludersi
reciprocamente, come due stati che vogliano lo stesso territorio, o due
nazioni che vogliano lo stesso stato;
• quando gli obiettivi sono incompatibili, nasce una contraddizione,
una questione;
• qualunque attore/parte in causa con obiettivi non realizzati si sente
frustrato, tanto più quanto più è basilare l’obiettivo, come quando si
tratta di bisogni e interessi fondamentali;
A
Atteggiamento
(odio, sfiducia, apatia)
Empatia
C
Contraddizione
(blocco, paralisi)
Creatività
• la frustrazione può condurre all’aggressione, interiorizzandosi in
atteggiamenti d’odio o esteriorizzandosi in comportamenti di violenza
verbale o fisica;
• odio e violenza possono essere volti contro chi abbia obiettivi
contrapposti, ma le cose non sono sempre così “razionali”;
• la violenza è intenzionalmente volta a procurare danno e dolore (anche
a se stessi) e può alimentare una spirale di contro-violenza come difesa
e/o vendetta;
• tale spirale di odio e violenza diventa un meta-conflitto (come una
metastasi nel caso di un tumore), incentrato sugli obiettivi della difesa
e della distruzione.
In tal modo un conflitto può quasi acquisire una vita perenne, crescendo
e decrescendo, scomparendo e riapparendo. Il conflitto originario,
di base, recede sullo sfondo, come quando, durante la guerra fredda,
l’attenzione si focalizzava principalmente sui mezzi di distruzione, come
i missili nucleari.
I conflitti possono combinarsi, in serie o in parallelo, in formazioni
conflittuali complesse con più parti e più obiettivi, in quanto possono
concernere le stesse parti e/o gli stessi obiettivi. La formazione conflittuale
elementare con due parti che perseguono un obiettivo è rara, salvo che
a scopi pedagogici o come prodotto polarizzato di odio e violenza, che
portano a formazioni conflittuali semplificate. Il conflitto normale ha
molti attori, molti obiettivi e molte questioni in gioco, è complesso e
non è facile farne la mappa; eppure la sua mappatura è essenziale.
16
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Il ciclo di vita di un conflitto
CONFLITTO
Il ciclo di vita di un conflitto può essere diviso in tre fasi: rispettivamente
prima, durante e dopo la violenza, separate da scontri armati e tregue.
Il che non implica che la violenza sia inevitabile o che il conflitto
equivalga a violenza/distruzione.
A
=
ATTEGGIAMENTO
(odio)
+
B (da Behavior)
COMPORTAMENTO
(violenza)
C
+
CONTRADDIZIONE
(questione in gioco)
Il diagramma seguente, nonostante l’aspetto, è piuttosto semplice. Sull’asse orizzontale c’è il tempo, nel senso
greco di khronos (χρόνος), il tempo fisico, che scorre. Ma ci sono poi due punti kairos (καιρός), il tempo
che si ferma, che segna un punto di rottura nel proprio fluire: l’esplosione della violenza e la cessazione della
violenza, il cessate il fuoco – eventi senza dubbio rilevanti.
PACE
FASE I
PRIMA DELLA
VIOLENZA
INIZIATIVE
DI PACE
SOSTENIBILI
ESPLOSIONE
DELLA
VIOLENZA
FASE II
DURANTE LA
VIOLENZA
FASE II
DOPO LA
VIOLENZA
PEACE-KEEPING
RISOLUZIONE
● Carta dell’ONU - Cap. VI
RICOSTRUZIONE
● Competenze militari
RICONCILIAZIONE
● Competenze di polizia
● Competenze nonviolente
● 50% di donne
*
*
CESSAZIONE
DELLA
VIOLENZA
PERSONE/SOCIETÀ/MONDO LACERATI DALLA GUERRA
CULTURE VIOLENTE +
STRUTTURE VIOLENTE +
ATTORI VIOLENTI
=
CONFLITTI
FONDAMENTALI
(profondamente radicati
CULTURE PEGGIORI +
STRUTTURE PEGGIORI +
ATTORI PEGGIORI
=
CONFLITTI
PEGGIORI
protratti
TRASFORMAZIOE
ATTORI DI PACE + STRUTTURE DI PACE + CULTURE DI PACE
TRASFORMAZIOE
ATTORI DI PACE + STRUTTURE DI PACE + CULTURE DI PACE
PACE
TEMPO
VIOLENZA
VIOLENZA
Ma il conflitto c’era già prima dell’esplosione della violenza. Si possono individuare quattro punti focali per l’analisi
del conflitto: culture violente che legittimano la violenza, come il machismo; strutture violente che sfruttano le
persone, le reprimono e le portano all’alienazione; attori violenti, bulli senza riguardo per i danni e il dolore che
arrecano; e il modo con cui essi si combinano in conflitti fondamentali che, per di più, rimangono trascurati.
Il diagramma indica poi che cosa fare nelle tre fasi. Questo Manuale si concentra sulla I Fase, con qualche
accenno alla II e alla III Fase.
17
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
I. Prima della violenza
Descriverla come fase di “prevenzione” per evitare la violenza è molto
cinico. Un conflitto fondamentale è una ragione di per sé sufficiente
per essere preso seriamente in considerazione. Le persone stanno
già soffrendo. Inoltre un conflitto è un invito alle parti in causa, alla
società e al mondo intero ad andare avanti, affrontando di petto la sfida
costituita dalle questioni sul tappeto, con un atteggiamento di empatia
(verso tutte le parti), nonviolenza (anche per impedire lo sviluppo di
meta-conflitti) e creatività (per trovare vie d’uscita).
Il compito è trasformare il conflitto, verso l’alto, positivamente,
trovando obiettivi stimolanti per ogni parte coinvolta, modi fantasiosi
per combinarli, il tutto senza violenza. È l’incapacità di trasformare
i conflitti che porta alla violenza. Ogni atto di violenza può essere
considerato come un monumento a tale incapacità degli esseri
umani.
Il diagramma suggerisce quattro punti nodali su cui intervenire:
nella I Fase la violenza può essere radicata in culture violente che
la giustificano; in strutture violente (di repressione, sfruttamento e
alienazione, che costringono a stare insieme persone che preferiscono
stare separate o separano persone che vorrebbero convivere); in attori
violenti attratti dalla violenza (per mostrare grinta, per acquisire
potere) e dall’odio (per costruire la loro identità contro altri gruppi); e
nel modo con cui tali elementi si combinano. Con l’aumento dell’odio
e della propensione alla violenza, l’empatia, gli approcci nonviolenti
e la creatività sono ancor più necessari, ma questi talenti hanno meno
chances in una formazione conflittuale già profondamente polarizzata.
Comunque, non ci si dimentichi mai del conflitto stesso, di quegli
obiettivi che si contrappongono reciprocamente. Sono proprio i
conflitti che portano con sé le culture violente, le strutture violente
e gli attori violenti; ogni disattenzione lascia dietro di sé più danni e
più sofferenza.
Un esempio concreto: i lavoratori immigrati turchi in Germania (spesso già cittadini
tedeschi). Un programma minimo su quattro punti nodali.
18
Il nodo delle culture
Stiamo parlando in generale di culture di nazionalismo duro che esigono
“la Germania ai tedeschi, la Turchia ai turchi”, e di culture di violenza:
i conflitti non sono da risolvere in modo soddisfacente per tutte le parti
coinvolte, bensì da vincere. Contrastare tali culture è necessario, ma
richiederà molto tempo. Le culture violente dovranno essere sostituite
con culture di pace che ancora mancano.
Il nodo delle strutture
C’è di solito una combinazione di sfruttamento ed eccessiva prossimità.
Dovranno essere introdotte strutture di pace mancanti, come un
Consiglio per le Relazioni Intergruppo, dove le diverse nazionalità
possano incontrarsi e risolvere le questioni prima che diventino ancor
meno trattabili a causa delle spirali di violenza.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Il nodo degli attori
Talvolta li si può riconoscere in quanto essi stessi annunciano la loro
immediata disponibilità a far ricorso alla violenza. Bisogna prenderli
sul serio, coinvolgendoli in dialoghi su ogni aspetto della situazione. Il
trascurarli li renderebbe più intrattabili. Se si arriva alla violenza, un processo
giudiziario che li tenga in prigione non basta. Il dialogo deve continuare, se
non con le vittime o i loro familiari, con altri della stessa nazionalità.
Il nodo dei conflitti
Le questioni possono comprendere scarsità di scuole, abitazioni e
posti di lavoro, e minacce all’identità. Ovviamente, c’è un limite alla
capacità di accoglienza di stranieri da parte di un paese. Il fissare un
tetto massimo non è necessariamente una concessione al nazionalismo
più intransigente, così come l’aumentare la capacità d’accoglienza non
equivale a fare concessioni in seguito a pressioni esterne.
Un’identità basata su un nazionalismo duro è più problematica. Nel nostro
mondo sempre più piccolo c’è posto solo per nazionalismi morbidi, pieni
di rispetto e curiosità verso l’altro e di capacità di stabilire un dialogo.
Il compito generale è chiaro: spingere verso l’alto il processo conflittuale, nell’“area di pace”, rendendo più pacifici culture, strutture e attori,
in modo da poter trattare i conflitti senza violenza. L’intera sindrome
conflittuale viene trasformata e ricollocata nella metà superiore del diagramma, dove dovrebbe appunto stare.
Concretamente, il focalizzare l’attenzione su culture pacifiche può introdurre la tradizione dei diritti umani, così come il focalizzare l’attenzione su strutture di pace si richiama alla tradizione democratica.
Entrambe costituiscono utili esempi di approcci più ampi, benché non
siano esenti da problemi, in particolare a causa di differenze culturali.
Tali tradizioni si adattano meglio alle “culture dell’Io” occidentali, con
grande enfasi sull’individualismo, sui diritti e le opinioni individuali,
nonché su procedure elettorali mediante le quali si contano i voti e si
attribuisce il governo alla maggioranza. Si adattano meno a “culture
del Noi” con grande enfasi sui gruppi (clan, tribù, nazioni), sui diritti
collettivi e sui dialoghi per ottenere un vasto consenso.
Il focalizzare l’attenzione su attori pacifici può comportare un maggiore
spazio per le donne e per attori appartenenti alle tradizioni religiose/intellettuali o mercantili, anziché per quelli della tradizione aristocratico/guerriera. Questo può servire a mobilitare abbastanza empatia, nonviolenza e
creatività per trasformare il conflitto, sia mediante dialoghi separati con
ogni parte coinvolta, sia mediante dialoghi diretti “attorno al tavolo”.
La violenza strutturale può essere altrettanto o maggiormente dannosa di
quella diretta. Si muore o si conducono vite miserabili in quanto politicamente repressi, economicamente sfruttati, o privati della libertà di stare vicino
a coloro con i quali ci si identifica, o costretti gomito a gomito con gente sgradita. Il riferirsi a queste situazioni come “allarmi precoci”di una futura violenza diretta è, come già detto, cinico e irrispettoso della sofferenza già in essere.
La violenza diretta dovrebbe essere considerata come segnale troppo tardivo
di condizioni strutturali e culturali insostenibili, sfruttate da attori cinici.
19
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Ma i paesi più ricchi si sono originariamente sviluppati producendo
per conto proprio quanto importavano. Le importazioni per ridurre
i deficit sono simili a trapianti che possono non attecchire ed essere
rigettati dopo un po’. E qualunque importazione significa più risorse per
alcuni e meno per altri. Sorgeranno necessariamente conflitti; e l’attrito
e l’eventuale violenza possono ben cancellare ogni guadagno materiale a
causa della mancanza di attenzione alla cultura e alla struttura.
Il conosciutissimo Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’UNDP (United
Nations Development Program) misura una gran varietà di fattori – fra
i quali: economia, consumi, sanità, istruzione, genere, ambiente,
accesso all’informazione e alla comunicazione, spese militari e sicurezza
alimentare – pervenendo a un confronto generale dello sviluppo umano
su scala globale. Questo pregevole rapporto, tuttavia, non prende in
considerazione alcuna misura della pace sociale. Non si chiede se le
persone nei paesi esaminati vivono col timore di violenza diretta: da parte
di rappresentanti dello stato (per esempio da parte di una polizia violenta
o di un sistema giudiziario che autorizzi la pena di morte); da parte di
vicini (per esempio, a causa di conflitti etnici o di un elevato livello di
criminalità); o da parte di membri della propria famiglia (per esempio,
perché viene tollerata la violenza contro le donne). L’edizione 1998 ha un
indice dei ricorsi degli stati a strumenti del diritto umanitario, ma nessun
indicatore del loro rispetto dei diritti umani. Per misurare la “libertà dalla
paura” può essere utile considerare i tassi di incarcerazione, di criminalità
violenta e di aggressione militare intra e internazionale.
Una definizione più basilare di sviluppo può essere:
lo sviluppo è la costruzione di capacità di trasformazione del conflitto
Fate diminuire la violenza culturale mediante un lavoro nelle scuole,
deglorificando e demistificando la violenza e insegnando come trattare
i conflitti con empatia, nonviolenza e creatività.
Fate diminuire la violenza strutturale mediante la Convenzione sui
diritti umani del 1966 contro la repressione (diritti politici e civili) e lo
sfruttamento (diritti economici, sociali e culturali).
Questo non è un sostituto dello sviluppo economico summenzionato,
tuttavia, dopo una qualche ricostruzione culturale e strutturale, una
società può essere pronta a uno sviluppo economico più significativo.
Progetti tesi a migliorare il livello di vita di milioni di persone potrebbero
avere radici più salde. Quindi la I Fase dovrebbe comprendere le “3
R”: Risoluzione, Ricostruzione e Riconciliazione, senza aspettare che
scoppi la violenza o che finisca.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
II. Durante la violenza
Durante la violenza, lo scopo primario è ovviamente fermarla, poiché è
un male in sé e rende il conflitto originario più intrattabile. Cominciamo
con alcune riflessioni sul perché gli esseri umani attuino il passaggio
dalla I Fase alla II Fase.
La prima risposta deriva dal conflitto originario, basilare: la violenza è
usata per mettere nell’impossibilità d’agire la/e parte/i avversa/e e così
imporre i propri fini; il che è chiamato talvolta “soluzione militare”, un
ossimoro se il termine “soluzione” significa “accettabile”.
La seconda risposta proviene anch’essa dal conflitto originario, ma è
meno razionale: aggressione provocata da frustrazione, perché si è
bloccati da qualcuno; violenza dovuta all’odio.
La terza risposta risulta dalla logica del meta-conflitto: il conflitto come
opportunità di ottenere onore e gloria se si vince, di mostrare coraggio
e ottenere onore e dignità mediante la violenza se non si vince.
Anche la quarta risposta proviene dal meta-conflitto: violenza come
vendetta per la violenza subita, nel presente o in passato.
Queste sono quattro motivazioni importanti, da prendere molto sul serio. In
nessun punto, tuttavia, si asserisce che la violenza sia insita nella natura umana,
come gli impulsi relativi al cibo e al sesso, i quali si riscontrano ovunque ci siano
esseri umani, in ogni luogo e in ogni tempo. Tali istinti possono essere soppressi,
ma questo non è che una prova della loro universalità. La violenza sussiste
sempre come potenziale, ma questo potenziale viene attivato solo quando:
• rimane trascurato un conflitto basilare (causa negativa!), perché
non ci sono empatia, nonviolenza e/o creatività per arrivare a un
risultato, o per frustrazione; oppure
• la cultura giustifica la transizione dal conflitto al meta-conflitto
come occasione di vittoria, di ottenere onore mediante la violenza; o
giustifica la violenza come compensazione per qualche altra violenza.
La conclusione è chiara: i conflitti fondamentali, come le ferite serie,
non dovrebbero essere trascurati, né si dovrebbe giustificare la violenza.
Comunque, la violenza non dura né si diffonde per sempre; se così
fosse, non ci sarebbero esseri umani in circolazione. La violenza diminuisce, per esempio, perché i belligeranti rimangono privi di
• mezzi di distruzione (hardware/armi, software/persone);
• bersagli da distruggere (materiali/persone);
• volontà di distruggere (meno “spirito combattivo”, più disgusto);
• speranza di vincere; le varie parti prevedono lo stesso risultato.
Lo stare ad aspettare che ciò accada – che siano stufi, pronti a trovarsi
attorno a un tavolo – significa sacrificare esseri umani, ai nostri tempi
donne e bambini. Piuttosto, ecco quattro modi di por fine alla violenza:
imporre embarghi su armi e mercenari; evacuare la popolazione e spostare
i bersagli (tattica della terra bruciata); demoralizzare le truppe rendendo
evidenti le conseguenze visibili e invisibili della violenza, per indurle a
qualche forma di obiezione di coscienza; sottolineare che alla lunga tutte
le parti ci perdono per la spirale autoalimentantesi della violenza.
21
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
C’è però anche la quinta possibilità, l’intercessione fra le parti. Se
l’interesse verte sulla pace con mezzi pacifici, si apre la strada per le
operazioni trattate al Capitolo VI, ma non VII, della Carta delle Nazioni
Unite. Quello che il diagramma suggerisce è che le operazioni di peacekeeping potrebbero essere migliorate se ci appellasse agli esperti non
solo degli strumenti della violenza e della mentalità militare, bensì anche
delle tecniche di polizia, delle tecniche nonviolente e delle tecniche di
mediazione.
Dato che le donne tendono a porsi in relazione più con le persone
che con i materiali, esse potrebbero forse costituire il 50% delle unità.
Inoltre, il numero degli operatori di peace-keeping dovrebbe essere
aumentato. In breve, dovrebbe essere creato un tappeto blu di peacekeeper, non solo di Caschi Blu, talmente folto da lasciare poco spazio
per combattere. Questo tipo di peace-keeping non si limiterebbe ad
aspettare che la violenza sia “finita”, bensì si occuperebbe anche delle “3
R”: Ricostruzione, Riconciliazione e Risoluzione.
Il riformulare la definizione di peace-keeping, in modo da includervi
dell’altro oltre ai Caschi Blu, significa riconoscere il contributo alla
pace apportato da innumerevoli attori in ONG locali, nazionali e
internazionali, in svariate organizzazioni della società civile, nonché da
giornalisti e politici. Il costo finanziario di un maggiore coinvolgimento
civile nel peace-making e nel peace-keeping è sensibilmente minore del
costo di interventi internazionali militari e di polizia (è stato stimato
che nell’Operazione Somalia le spese per la sicurezza militare siano state
10 volte superiori ai contributi per fini civili-umanitari).
III. Dopo la violenza
Dopo la violenza, il sollievo per la sua fine può rendere ciechi alle sue
conseguenze invisibili e di lungo termine (come i traumi e il desiderio
di maggior gloria o vendetta), nonché a quanto le culture, le strutture
e gli attori possano esser diventati anche più violenti. Il compito è più
difficile e più complesso di quanto lo fosse prima della violenza. Il mero
compito della ricostruzione dopo la violenza, con la riabilitazione
dei feriti e l’avvio delle opere per rimediare ai danni materiali, può
essere talmente difficile da far dimenticare o posporre per sempre la
riconciliazione per risolvere il meta-conflitto e la risoluzione per
dissolvere i conflitti originari sottostanti.
I compiti in cui impegnarsi sono enormi:
Ricostruzione dopo la violenza:
una panoramica
• riabilitazione: approccio del trauma e del dolore collettivo;
• ricostruzione: approccio dello sviluppo;
• ristrutturazione: approccio della struttura di pace;
• riacculturazione: approccio della cultura di pace.
22
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Riconciliazione dopo la violenza:
una panoramica
• Approccio della natura/struttura/cultura discolpatoria;
• approccio della riparazione/restituzione;
• approccio del chiedere scusa/del perdono;
• approccio teologico/penitenziale;
• approccio giuridico/punitivo;
• approccio dell’origine interdipendente/del karma;
• approccio storico/della commissione per la verità;
• approccio teatrale/del rivivere gli eventi;
• approccio della sofferenza/guarigione congiunte;
• approccio della ricostruzione congiunta;
• approccio della risoluzione congiunta del conflitto;
• approccio ho’o pono pono.
Il mondo è mal attrezzato per quasi tutti questi compiti.
C’è un “risultato gestionale” per la violenza, ma non per annullarla. E
c’è una semplice ragione per cui tutto questo è così importante: l’espressione “dopo la violenza” è troppo ottimistica. Se non si fa alcunché
riguardo alle radici di un conflitto basilare, se non si opera per la sua trasformazione, la violenza si riprodurrà non appena gli orrori delle ultime
violenze non saranno più nella memoria conscia, ma “solo” in quella
subconscia. E così il “dopo la violenza” diventa facilmente il “prima
della violenza”.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Risultati del conflitto e procedimenti nei conflitti
Esercizio: un tavolo, sul tavolo un’arancia, due bambini seduti al tavolo: che cosa succede? Tirate fuori quante più
idee potete, avanti! E non siate arroganti: la maggior parte delle persone arriva al massimo a 8 risultati su 16.
[1,2]
A2 prevale
[5] Trascendimento
A2 O2
[4] Compromesso
O1
[3] Ritiro
A1
[1,2]
A1 prevale
Figura 1: Conflitto – i 5 risultati base (A = attore, O = obiettivo)
Il diagramma (v. Unità 14) presenta i 5 tipi generali di risultato in un conflitto tra due parti. Qui [1] e [2] coincidono:
in entrambi i casi prevale una parte. In un conflitto concreto ogni tipo generale ha varie interpretazioni specifiche.
[1,2]
Prevale una parte:
regola dell’Uomo:
regola della Legge:
regola del Caso:
compensazione:
[3]
si combatte, la ragione è del più potente (da evitare);
aggiudicazione, secondo qualche principio (necessità, gusto);
qualche metodo casuale;
ampliamento (triangolo), approfondimento (doppio conflitto).
Ritiro:
svignarsela dalla situazione;
distruggere o dare via l’arancia;
limitarsi a guardare l’arancia;
metterla in frigo.
[4]
Compromesso:
tagliare l’arancia;
spremerla;
sbucciarla e spartirsi gli spicchi;
qualsiasi altra spartizione.
[5]
Trascendimento:
procurarsi un’altra arancia;
invitare altre persone per condividere l’arancia;
cucinare una torta all’arancia, metterla in palio in una lotteria e dividerne il ricavato;
piantarne i semi, fare una piantagione, assumere il controllo del mercato.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Tesi Basilare: più sono le alternative, meno probabile è la violenza
Il Metodo TRANSCEND ha un debole per il trascendimento, il tentare di andare oltre, “disarticolando” il conflitto dal
suo stato attuale e “riarticolandolo” altrimenti: andare al di là della situazione della singola arancia, procurarne un’altra
(“professore, ha dimenticato un’arancia!”). Oppure concentrarsi sulla parte più importante dell’arancia, i semi, e piantarli.
Tanto basti per i risultati fondamentali di un conflitto. Ma cosa si può dire dei procedimenti o degli approcci
fondamentali usati nei conflitti? Come si vedrà, risultati e procedimenti sono collegati.
Tesi n. 1 La violenza tende a condurre ai risultati [1, 2], ove prevale una parte.
La violenza viene usata per imporre gli obiettivi del vincitore allo sconfitto,
ossia:
per prevalere = essere in cima, la violenza è un procedimento.
Tesi n. 2
Anche un’aggiudicazione tende ai risultati [1,2], ove prevale una parte.
L’aggiudicazione viene usata per stabilire chi ha ragione (è innocente, non responsabile),
ossia:
per prevalere = avere ragione, l’attribuzione giudiziale è un procedimento.
Tesi n. 3
La prevaricazione tende a condurre al risultato [3], il ritiro: i tempi non sono maturi, si
preferisce lo status quo,
ossia:
per il ritiro, la prevaricazione è un procedimento.
Tesi n. 4
Il negoziato fra le parti tende a condurre al risultato [4], il compromesso, ammesso che
nessuna della parti si imponga,
ossia:
per giungere a un compromesso, il negoziato è un procedimento.
Tesi n. 5
Il dialogo con le parti tende a condurre al risultato [5], il trascendimento, che definisce una
nuova situazione,
ossia:
per trascendere un conflitto, il dialogo è un procedimento.
Il risultato è già nascosto nel procedimento, e il procedimento scelto dipende dal risultato voluto in un
conflitto.
[1,2]
A2 prevale:
violenza,
aggiudicazione
[5] Trascendimento:
dialogo
A2 O2
[4] Compromesso:
negoziato
[3] Ritiro:
prevaricazione
O1
A1
[1,2]
A1 prevale:
violenza, aggiudicazione
Figura 2: Relazione fra risultato di un conflitto e procedimento in un conflitto (A = attore, O = obiettivo)
25
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Torniamo alla distinzione fra il conflitto di base originario e il meta-conflitto. Il conflitto di base riguarda
l’ottenimento di qualche risultato, soluzione, via d’uscita, trasformazione che dir si voglia. Il meta-conflitto
riguarda essenzialmente una sola cosa: averla vinta. C’è un solo risultato: prevale una parte. Il meta-conflitto
si può combattere con mezzi fisici, violenza, guerra, e solitamente comporta la vittoria dell’uno e la sconfitta
dell’altro (in rari casi si ha parità, che si può verificare quando una guerra viene trascinata per le lunghe). O si
può combattere con mezzi verbali, come in tribunale, che ne ha press’a poco la struttura. L’aggiudicazione è un
modo per decidere chi ha ragione e chi non è altro che colpevole o responsabile; non è un buon processo quello
che ottiene gli altri tre tipi di risultato. C’è di solito una decisione marcatamente asimmetrica che definisce il
vincitore.
Il meta-conflitto è spesso usato per dirimere il conflitto di base. Il vincitore si prende tutto, ivi compreso
l’oggetto della disputa nel conflitto di base. Un tale risultato può essere accettabile e pure sostenibile. Ma può
anche non esserlo; il meta-conflitto può essere visto solo come una esternazione di potere fisico o legale. E
qualunque decisione in favore di una sola parte già suona semplicistica e causa di divisione, pur non negando
che esistono conflitti dove una parte semplicemente ha ragione. Né si vuole in alcun modo negare che i
tribunali siano meglio delle guerre.
Il ritiro può funzionare a breve termine, ma prima o poi si dovrà pur affrontare il conflitto. L’approccio
tradizionale è il negoziato fra le parti, ove il problema è che le parti possono trattare il tavolo dei negoziati come
un campo di battaglia verbale e tutt’al più arrivare a un compromesso fiacco che non soddisfa nessuno e non dà
opportunità di fare passi avanti. Da qui la preferenza per la quinta soluzione, il trascendimento, l’andar oltre. Il
metodo migliore è il dialogo, l’uno con l’altro, ma – per cominciare – forse è meglio che ci sia un/a operatore/
trice nei conflitti. E proprio di questo ci occuperemo ora.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Commenti su Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva
Il diagramma, o la tabella, con l’indicazione delle tre fasi è ovviamente
essenziale per tutto l’esercizio. Occorre ribadire che:
• la radice del problema è sempre un conflitto trascurato nel quale
confluiscono culture, strutture e attori violenti;
• un grave errore è usare la violenza come segnale per dar inizio all’azione,
a causa del conflitto originario. Anche peggio è lasciare che la violenza
segua il suo corso finché le parti non siano “mature” per trattare;
• quel che c’è da fare nelle tre fasi non è sostanzialmente diverso; non è
come se una squadra lasciasse la scena e un’altra incominciasse.
Le 3 R – la Risoluzione, la Ricostruzione e la Riconciliazione – sono
sempre necessarie, in un modo o nell’altro:
• la Risoluzione, per risolvere il conflitto basilare originario;
• la Ricostruzione, per riparare il danno fatto;
• la Riconciliazione, per risolvere i meta-conflitti, anche del passato.
Esercizio
Osservate le 12 possibilità di riconciliazione nella III Fase. Fate un
brainstorming su elenchi simili per la I e la II Fase, dato che le “3 R”
dovrebbero essere presenti, in un modo o nell’altro, in tutte le tre Fasi.
Progettate un programma d’azione concreto.
Lo stesso vale per il peace-keeping: una buona presenza militare
dovrebbe essere disponibile prima dello scoppio della violenza e non
ritirata appena dopo il cessate il fuoco, come una buona attività di
polizia che previene sia la violenza, sia la sua ripresa. Questo è anche
più importante dopo la violenza, quando la situazione si è solitamente
deteriorata, dato che la violenza produce:
• altri sogni di gloria e vendetta e quindi culture peggiori;
• ulteriore repressione e sfruttamento per sostenere lo sforzo bellico e
ulteriore polarizzazione, e quindi strutture peggiori;
• inoltre abbassa la soglia contro la violenza e rende violenti attori
altrimenti pacifici, e quindi produce attori peggiori.
L’esempio dell’arancia può essere usato come esercizio d’apertura di
una sessione di training, prima della distribuzione del Manuale dei/lle
partecipanti (dove ci sono le risposte). Una sperimentazione venne fatta
in Inghilterra nell’ambito di una conferenza nazionale sul bullismo
nelle scuole, con ragazzi, genitori e insegnanti come partecipanti. Venti
dei presenti vi parteciparono come volontari/e: stavano seduti a un
lungo tavolo, uno di fronte all’altro, in coppie, con i ragazzi più giovani
a un’estremità e i genitori e gli/le insegnanti all’altra, e discutevano a
coppie.
27
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Si è aperto il gioco dicendo:“Ecco un’arancia e due persone; che cosa
farete?”, evitando il termine “conflitto”, dato che non si poteva dare
per scontato che ci sarebbe stato un conflitto, e che potevano rifiutare
di prenderlo in considerazione (ad esempio, un ragazzino disse: “Ce ne
andiamo via e lasciamo lì l’arancia”). Non è risultato necessario dare ai
più giovani la prima chance, passando poi via via alle altre coppie lungo
il tavolo: quanto a immaginazione sull’arancia i ragazzini se la cavavano
come gli adulti, se non meglio.
Quando fu suggerito di “giocarsela con la forza”, i proponenti dovettero
sedersi nell’angolo e venne data loro un’arancia “per tirar fuori idee
più creative, meno distruttive”. Le altre arance vennero usate come
premi per le proposte più originali. Alla fine venne mostrata la tabella
con i 16 risultati e la si confrontò con quanto era emerso, addestrando
poi i/le partecipanti a raggruppare i risultati per tipo. Ci si concentrò
sull’immaginazione nel conflitto: quanto più numerosi erano i risultati
immaginati andando aldilà del “giocarsela con la forza”, tanto meno
probabile sarebbe stata la violenza. La violenza viene allora vista come
l’effetto di una causa negativa: analfabetismo sul conflitto, mancanza
di creatività. Emerge così che in tutto questo approccio l’attenzione è
incentrata sullo sviluppo della creatività. E inoltre si evidenzia, sempre
tramite l’esempio dell’arancia, anche un altro punto: le idee che possono
essere escogitate da una singola persona sono limitate, più persone ne
tirano fuori di più; e se iniziano a dialogare davvero, con un brainstorm
libero e aperto, ne verranno fuori ancora molte di più.
Il diagramma della Figura 1 con i quattro o cinque tipi di risultato
([1] e [2] sono diversi solo quando c’importa chi prevale) è basilare
in quanto può essere usato in ogni conflitto per identificare i tipi di
risultato. Ma deve essere usato con attenzione: essendo bidimensionale,
il diagramma funziona solo per i conflitti con due parti soltanto (A1 e
A2, con gli obiettivi incompatibili O1 e O2). I conflitti effettivi sono più
complessi, ma “prevalere”, “ritiro”, “compromesso” e “trascendimento”
sono pur sempre significativi. Nell’esempio dell’arancia il compito è
scoprire che cosa significhino tali termini in pratica: un ragazzo riesce a
ottenere l’arancia, se ne vanno entrambi, se la spartiscono, ne spargono
i semi.
Il diagramma successivo della Figura 2 si basa ancora sugli stessi quattro
o cinque risultati, ma questa volta riferiti al procedimento anziché al
risultato. Prestate attenzione al termine “tende a”: c’è una relazione, ma
non si tratta di una legge ferrea.
28
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Qualche partecipante può restare sorpreso per il fatto che l’aggiudicazione, il “governo della legge”, sia messa nella stessa categoria del “governo dell’uomo”, la violenza. Ma la logica è simile: si tratta dell’idea
del vincitore/sconfitto o, più alla base ancora, dell’idea di “essere nel
giusto”, dove “giusto” diventa quasi un qualcosa di materiale, come
“aver diritto”, e può essere d’ostacolo nella ricerca di risultati più produttivi, ad esempio in un conflitto coniugale.
L’approccio di questi Manuali mira al trascendimento e all’uso del
dialogo per tale fine. Ma questo non implica un totale rifiuto di altri
risultati e di altri approcci, incluso, in casi estremi, un uso minimo della
violenza, dopo aver sperimentato altri metodi e quando la situazione sia
veramente intollerabile.
Trascendimento significa ridefinire la situazione in modo che quanto
sembrava incompatibile, bloccato, venga sbloccato e si apra un nuovo
paesaggio (v. in proposito il racconto dei cammelli alla fine). La
creatività è la chiave per quella serratura, per quel blocco. Il conflitto si
è trasformato e a questo ci rivolgiamo ora.
29
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Creatività, trascendimento, trasformazione del
conflitto
1. C’è una formula per la creatività?
Forse no. Ma ci può essere un’euristica, per così dire “la formula di
una formula”, che tuttavia può essere utile per fare un po’ di luce su un
fenomeno così prezioso. Ma prima prendiamo nota di alcuni commenti
spesso uditi durante esercitazioni sulla creatività:
“È così semplice! Come mai non ci abbiamo pensato prima!”.
“Questo rende quello che avevamo l’abitudine di dire e fare così piccino, come se non fossimo capaci di staccare lo sguardo da terra e vedere
la realtà”.
“È come una nuova realtà che si apre davanti ai nostri occhi!”.
“Alla luce di questo nuovo modo di pensare, di questa nuova idea, quello
che eravamo, che facevamo è solo un caso particolare in un angolino,
per così dire, del vasto spazio che si apre davanti a noi”.
“Dio disse: – Ci sia Newton – e tutto fu Luce” (Pope).
“È così minaccioso: siamo pronti per una novità di questa portata?”.
Sembra che il vecchio e il convenzionale debbano ancor sempre esserci
come caso particolare ben identificabile (“questo è ciò che eravamo”),
ma ora viene visto in una nuova luce che illumina nuovi panorami;
altrimenti è “pazzesco”, anziché “creativo”. Quando Colombo stabilizzò
un uovo su un’estremità schiacciandola, c’era ancor sempre l’uovo
instabilizzabile; e al commento “chiunque avrebbe potuto farlo se è così
semplice”, la sua risposta più citata fu: “Ma l’ho fatto io”.
In questa storia il vecchio è nascosto nel nuovo. Si potrebbero via via
rimpicciolire le crepe all’estremità dell’uovo, mantenendolo tuttavia in
equilibrio fintanto che non si raggiunga un qualche limite. A quel punto diventa evidente che il vecchio non potrebbe risolvere il problema,
così come la geometria euclidea non può affrontare i problemi di Einstein: egli infatti dovette esplorare le geometrie quadridimensionali di
Riemann e Lobachevskij (con quella di Euclide come caso speciale).
Qualche continuità fra i pensieri e gli atti vecchi e quelli nuovi è utile.
E così via… Saltiamo quindi alla conclusione, offrendo una “formula
per la creatività” suggerita come ipotesi:
la creatività nel pensiero, nel discorso e nell’azione si basa su questi tre passaggi:
A
B
identificare un fenomeno come bloccato, chiuso;
identificare, nel contesto di tale fenomeno:
• un parametro che sia costante, sul quale non si è ancora riflettuto,
30
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
• un mutamento di tale parametro, come esperimento mentale,
• un’ipotesi: per sbloccare, per aprire il fenomeno;
C
testare questa ipotesi nel mondo reale.
In altri termini, la creatività è connessa a un procedimento scientifico.
Non sorprende, quindi, che il procedimento abbia a che fare con la
creatività e la creatività con un mutamento di paradigma, qualcosa di
facilmente accoglibile entro la formula appena fornita. Anche il lavoro
all’interno di un dato paradigma viene identificato con la scienza, ma
in tal caso più come un rompicapo (Kuhn) che come una “rivoluzione”.
Tale termine viene usato anche per i negoziati, dove riflette il senso di
sollievo di un ratto che si arrovella per trovare l’uscita da un labirinto e
che infine la trova (la soluzione piccola), o che ne balza fuori, scoprendo
che il labirinto non ha soffitto (la grande soluzione).
L’esperienza assomiglia a ciò che uno scienziato sociale trova introducendo un “terza” variabile in un’analisi multi variata. Quel che appare
come una totale assenza di relazione tra X e Y diventa diverso quando
si introduce Z: quando Z è bassa X e Y sono correlate positivamente, mentre sono correlate negativamente quando Z è alta. La relazione
nulla c’è pur sempre, nascosta in una realtà più complessa, come fosse
una sorta di media. L’atto creativo consiste nell’identificare quella terza
(quarta, quinta) variabile che non era stata introdotta prima nel quadro, come – per l’uovo – lo schiacciarlo prima di metterlo in equilibrio.
A livello di comprensione profonda, i vantaggi sono impressionanti:
dati noiosi cominciano a cantare; per una musica nuova.
A proposito di musica, due esempi molto diversi arrivano dal
Giappone. Il primo è il kara-oke (orchestra vuota): c’è un palcoscenico
e una sala con della gente, il pubblico, gli “ascoltatori”. Sul palco
ci sono un microfono e un amplificatore. Secondo la disposizione
convenzionale, il cantante andrebbe sul palcoscenico e il pubblico
in sala. Il kara-oke fa ruotare i presenti tra la sala e il palcoscenico,
rendendoli tutti potenziali cantanti e tutti potenziali ascoltatori.
Come i cantanti professionisti, i dilettanti scelgono il programma
che vogliono cantare, ma, a differenza dei professionisti, non sono
tenuti a sapere i testi a memoria, per cui c’è uno schermo suggeritore
molto ben sincronizzato con la musica. La disposizione spaziale non
è quindi stata invertita (i cantanti in sala e il pubblico sul palco);
piuttosto, i cantanti e gli ascoltatori non sono più fissati nei rispettivi
ruoli, per cui ruotano tra la sala e il palcoscenico.
In un altro esempio più recente, ci sono ballerini provvisti di sensori
su varie parti del corpo, specialmente su gambe e braccia. Non appena
si muovono, producono musica, toni e ritmi. Se danzano in modi
particolari, la musica diventa più attraente, proprio come una musica
particolare può far entrare in pista ballerini attraenti. Con movimenti
veloci e un adeguato lavoro di braccia, gambe, mani, piedi e ventre,
può essere prodotta una musica complessa. Le possibilità sono legioni.
31
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
L’ordine temporale tra la musica e la danza è stato invertito: anziché
essere la musica a dirigere la danza, qui è la danza che ora dirige la
musica, e la musica si adegua. Il movimento si traduce in musica, cosa
certo non nuova, ma qui si tratta del movimento di tutto il corpo:
non solo dita, polmoni, labbra e lingua. L’elettronica avanzata è stata
probabilmente la condizione necessaria, se non sufficiente, per questo
specifico atto di creatività.
Rimanendo al Giappone, la reazione di un orologiaio svizzero, quando
gli dissero che i giapponesi ormai combinavano orologi e computer in
un unico display, fu questa: “Eine Uhr ist eine Uhr und ein Rechenwerk
ist ein Rechenwerk” (“un orologio è un orologio e un calcolatore è un
calcolatore”), in base all’idea che “i due non si sarebbero mai combinati”.
Questa separazione fisica di due diverse funzioni era proprio quello che
i fabbricanti giapponesi sfidarono, e con grande successo.
E così, l’atto creativo può anche non introdurre affatto elementi
nuovi, ma mettere insieme elementi già esistenti in un modo
nuovo, nello spazio e nel tempo. Vengono sfidate disposizioni
spaziali e sequenze temporali date per scontate. È per questo che
è molto facile essere creativi in culture con idee ben definite sul
corretto ordine spaziale: c’è così tanto da sfidare! Una cultura che
divide nettamente il mondo tra centro e periferia, che presume che
la causalità scorra dal centro alla periferia piuttosto che viceversa
(dal palco alla sala, ad esempio) e che concepisce il tempo in modo
lineare, con un’idea precisa di quel che viene prima e di quel che
viene dopo (come la musica e il movimento del corpo, ad esempio)
stimola sfide creative. Ma se tali idee unilineari sono saldamente
radicate come nella cultura occidentale, c’è anche da aspettarsi una
notevole resistenza.
Così, se causa = centro = Dio e effetto = periferia = Natura +
Uomo, quest’ultimo creato a Sua immagine, allora idee come
democrazia, “secolarismo” ed evoluzione risultano rivoluzionarie.
La prima ha investito del potere il popolo/periferia, come un paese
senza una capitale. Il secondo ha reso Dio periferico, suggerendo
che Egli sia stato creato dall’Uomo a immagine dell’Uomo. E
la terza comporta che l’Uomo sia un’emanazione della Natura,
mediante la competizione darwinista, un po’ come la tesi di Adam
Smith secondo la quale da questo processo è scaturito il migliore
dei mondi possibili.
2. Dalla creatività al trascendimento
Per “trascendimento” intendiamo la creazione di un nuovo tipo di realtà:
qualcosa che in potenza era già presente diventa la realtà empirica. Un
esempio tratto dalla teoria e pratica del conflitto potrebbe essere l’idea
di un condominio: due o più paesi posseggono un territorio, conteso o
meno, insieme. Tornano in mente la vecchia formula per Andorra, o per
l’Antartide, certi aspetti delle soluzioni per le Spitsbergen e le Aaland, i
32
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
vecchi accordi per le Nuove Ebridi, il Camerun, ecc. Il conflitto fra due
paesi per un territorio conteso può finire con la vittoria dell’uno sull’altro
sul campo di battaglia o nell’aula di un tribunale, con un compromesso
che spartisce il territorio, con entrambi che ritirano le loro rivendicazioni
e lasciano il territorio ad altri (come i suoi abitanti), o con i due paesi che
sono comproprietari del territorio. Chiaramente solo l’ultima soluzione
trascende la realtà empirica, mentre le altre si conformano al principio
che ogni kmq sia posseduto da uno stato e soltanto da uno.
Un altro esempio: i paesi europei furono governati dal clero, dagli
aristocratici e dai borghesi, cioè dalla parola, dalla spada e dal denaro.
I re/imperatori erano aristocratici; essi furono detronizzati e il sistema
successivo, la democrazia, combinò la parola e la contabilità, sostituendo
ai duelli fisici dell’aristocrazia i duelli verbali (le campagne elettorali), e
contando i voti espressi in favore di ogni partito. Col passar del tempo si
allargò considerevolmente l’insieme delle persone aventi diritto al voto.
Senza dubbio, una realtà politica in potenza era divenuta una realtà
empirica e lo è tuttora, trascendendo il vecchio. Fu un processo altamente
creativo, almeno a suo tempo; ma il vecchio era ancor sempre presente.
E così c’erano ancor sempre governanti e governati; e c’era ancora la
spada, nelle mani dei militari, della polizia e di coloro che li sfidano.
3. Dal trascendimento alla trasformazione
Il trascendimento introduce una nuova realtà, aprendo un nuovo
paesaggio. Trasformare un conflitto equivale a trapiantarlo in questa
nuova realtà. Trasformare un conflitto significherebbe allora trascendere
gli obiettivi delle parti in conflitto, definendo alcuni altri obiettivi,
dislocando un conflitto fuori dall’alveo preparato dalle parti per quel
conflitto, inclusi i discorsi per assicurare che l’incompatibilità sembri
insormontabile (la contraddizione non trascendibile), e incanalandolo in
un alveo più promettente. Affinché questo accada il conflitto deve essere
trasformato anche nel senso di aggiungere parti in causa e obiettivi ai
quali i partecipanti stessi non sempre pensano. Il semplificare mediante
l’eliminazione di alcune parti (ad esempio, gli “estremisti”) sarebbe un
errore gravissimo: questi si farebbero sicuramente sentire (il processo
di pace in Israele/Palestina?). Il semplificare eliminando i moderati è
anch’esso un errore (il processo di pace in Irlanda del Nord?). La strada
per una trasformazione fruttuosa passa per la complessificazione, con
la possibilità di un qualche raggruppamento di parti e obiettivi, ma
cercando sempre di evitare la deformazione del conflitto.
Nel caso della crisi degli ostaggi a Lima, la proposta di TRANSCEND
era di considerare il conflitto non tanto come un problema di (illegittima,
violenta) invasione di proprietà e presa di ostaggi, quanto piuttosto
come un problema di riduzione della miseria in Perù, passando dal
meta-conflitto al conflitto originario e trascendendone la definizione.
Per trasformare il conflitto, era necessario espandere il conflitto stesso.
Poi si propose una soluzione per tale conflitto trasformato, attribuendo
alle parti specifici compiti. Si cercò anche di far in modo che la soluzione
33
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
proposta risolvesse anche il conflitto come era stato definito in un primo
tempo; altrimenti si sarebbe causata una deformazione, invece di una
trasformazione, e in tal caso il conflitto originario avrebbe prodotto dei
contraccolpi.
Se accettiamo che un conflitto possa essere fonte sia di distruzione sia
di creazione, allora un approccio alla trasformazione di un conflitto
consiste nell’agire in modo tale che gli aspetti creativi prevalgano. Il che
significa fare molto di più che allontanarlo dalla violenza. C’è in più il
guidarlo verso lo sviluppo, sia lo sviluppo umano degli attori individuali
in esso coinvolti, sia lo sviluppo sociale degli attori collettivi, sia lo
sviluppo globale. Coloro che intervengono in un conflitto dovrebbero
avere meta-obiettivi ambiziosi, come una Iugoslavia migliore, pace e
sviluppo in Medio Oriente, riduzione della miseria in Perù, ecc.
La posizione qui sostenuta è che il proporre tali meta-obiettivi è privo
di senso senza una profonda comprensione della cultura e della struttura entro la quale si dispiega il conflitto, degli attori e soprattutto del
conflitto stesso. La pratica del conflitto deve essere radicata nella teoria
del conflitto; la teoria del conflitto deve emergere dalla pratica del conflitto. Le persone concrete devono essere creative, non solo empatiche
e nonviolente (una sola di queste caratteristiche non basta mai). Suggeriamo di chiamare queste persone “operatori/trici nei conflitti”. Il loro
strumento principale è il dialogo, il dialogo con le parti in conflitto, e
non solo la facilitazione del dialogo fra loro. Per far questo gli/le operatori/trici nei conflitti hanno bisogno di basarsi su una teoria generale
del conflitto e su una pratica generale del conflitto, e più in particolare
sulle differenze specifiche che possono fare l’empatia, la nonviolenza e
la creatività.
Ma devono conoscere pure i diversi tipi di violenza, non solo la violenza
diretta ben in mostra nel meta-conflitto, ma anche la violenza culturale
e strutturale, le culture e le strutture cattive che sottostanno al conflitto,
l’“alveo” cattivo dal quale si deve dislocare il conflitto. Il resto è la
trasformazione del conflitto per la pace, mediante dialoghi sempre più
profondi. Risultato: un conflitto trasformato che può venir trattato con
nonviolenza e creatività.
Prendiamo ad esempio la penisola coreana. Un’enorme energia
conflittuale viene profusa in quel conflitto e può venir rilasciata in una
nuova guerra, in disordini interni alle due società (non solo nel Nord),
con ripercussioni su tutta l’Asia orientale ed oltre. Tutta quell’energia
non potrebbe essere indirizzata in compiti più positivi?
Ecco un esempio di un approccio: aprire la strada/ferrovia fra le due
Coree secondo il suggerimento (la ferrovia) della Commissione SocioEconomica delle Nazioni Unite per l’Asia/Pacifico. Quel confine
coincide con il confine fra la parte povera (Vietnam, Cina, Corea del
Nord) e la parte ricca (Corea del Sud, Giappone, Taiwan) di quello
34
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
che un giorno potrebbe diventare il Mercato Comune/Comunità
Economica/Comunità/Unione dell’Asia orientale, se si seguissero gli
stadi dell’Unione Europea. Ci sarebbe un mutuo scambio di merci, con
creazione di ricchezza e notevoli effetti indotti per entrambe le Coree, e
ci vuole solo un minimo di cooperazione per attivare i trasporti.
Analiticamente la trasformazione ha vari aspetti:
• si opera un mutamento di discorso: si viene a parlare di cooperazione
economica e di cultura comune, anziché di strutture militari e
politiche;
• viene formulato un nuovo obiettivo onnicomprensivo, che coinvolge
non solo le due Coree, ma i loro quattro vicini: l’Asia orientale;
• ci si sforza di dislocare il conflitto da dov’era impantanato, per
dirigerlo verso i problemi di cooperazione economica – insidiosi,
ma non letali;
• non si richiede alcun mutamento fondamentale alle due Coree,
come nutrire mutuo affetto o anche solo mutua fiducia; si chiede
solo che perseguano il proprio vantaggio;
• non si agisce in direzione di un mero ottimo paretiano, con nessuno
che sta peggio, dato che tutte le sei parti starebbero meglio;
• il piano è reversibile, ma ci sarebbe nelle altre parti un interesse
costituito nel fornire incentivi a proseguire;
• entro questo nuovo contesto, in questo nuovo “alveo”, tutte le altre
questioni possono venir gradualmente articolate, oppure possono
persino dissolversi.
Queste idee per la trasformazione del conflitto sono emerse nel corso di
dialoghi con le parti interessate. Val la pena provarci?
35
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Teoria del conflitto, pratica del conflitto: qualche
passo in più
Il triangolo ABC: la terza
dimensione
I/le partecipanti al workshop tendono a trovare utile il triangolo ABC,
che separa tre componenti del “conflitto”: C = contraddizione, cioè
la radice del conflitto; A = atteggiamenti; B = comportamento (da
Behavior). La tesi basilare è, ovviamente, che il lavoro sul conflitto
svolto solo su A e B sia solo un cerotto; non c’è alternativa al lavorare
sulla radice del conflitto, la contraddizione stessa.
Aggiungiamo ora una terza dimensione: la profondità. Cercheremo
quindi le contraddizioni profonde, gli atteggiamenti profondi e il comportamento profondo.
Le contraddizioni profonde:
le linee di faglia
L’idea di fondo è che al di sotto di tutte le contraddizioni tra le parti in
conflitto ci siano contraddizioni profonde che trascinano le contraddizioni superficiali nelle spire del conflitto. Si tratta delle linee di faglia
nei costrutti umani di genere, generazione, razza, classe, “normalità/
devianza”, nazione/cultura/ideologia e, a livello mondiale, tra stati/regioni (Marx ne rilevò solo una, la classe, e solo la classe economica, non
politica, militare e culturale; e solo in quanto proprietaria dei mezzi di
produzione).
Gli atteggiamenti profondi,
la cultura profonda
Al di sotto degli atteggiamenti ci sono gli atteggiamenti profondi, che
iniziano anch’essi con una “A”: assunti, assiomi. Con un processo di deindividualizzazione e de-matematicizzazione perveniamo alla cultura
profonda, una rete di nozioni sul vero, il buono, il giusto, il bello, il
sacro.
Il comportamento profondo,
i bisogni fondamentali
E al di sotto del comportamento c’è il comportamento profondo, preprogrammato, in parte dagli istinti, in parte dai bisogni primari. La
linea di confine non è molto chiara, ma non è molto importante.
Il dire che “c’è qualcosa sotto, più in profondità” non significa
affatto che gli obiettivi esplicitati, il comportamento visibile, e gli
atteggiamenti – espressi o inferiti – non dovrebbero esser tenuti in
considerazione in quanto maschere. Dovrebbero essere rispettati e presi
sul serio, ma essere visti alla luce di quanto vi soggiace.
Il problema della
legittimità
36
Come già detto, l’essenza del conflitto, la sua radice, è l’incompatibilità,
la contraddizione fra due o più obiettivi perseguiti dalle parti in conflitto.
Ma queste hanno il diritto di avere quegli obiettivi? Si tratta di obiettivi
validi, legittimi? Per le parti gli obiettivi hanno valore, altrimenti, per
definizione, non li avrebbero perseguiti. Ma tale attribuzione di valore
ha di per sé valore?
Prendete la schiavitù: i possessori di schiavi apprezzavano la schiavitù
per la produzione e per il mercato. Essi apprezzavano anche l’avere
questo valore, in termini di superiorità bianca, o perché permetteva loro
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
l’agio necessario per una cultura elevata. Anche lo schiavo, certamente,
aveva un proprio valore: la libertà. Quale valore aveva più legittimità?
Questa era una delle questioni che condussero alla guerra civile negli
Stati Uniti tra il 1861 e il 1865. In quel momento la marea della civiltà
occidentale dava più legittimità alla libertà che alla schiavitù; e questo
decise il conflitto.
Prendete il colonialismo: la Norvegia e la Danimarca, nel 1933, volevano la stessa cosa, la Groenlandia orientale. La Norvegia cercò di
legittimare il proprio obiettivo con la scoperta originaria, la Danimarca con l’aver “civilizzato” il luogo. La Corte dell’Aja decise in favore
della Danimarca. Ma la marea si volse in favore degli indigeni ed
entrambi gli obiettivi divennero illegittimi. Legittima divenne l’autodeterminazione.
Tre tipi di conflitto
1
2
3
Come facciamo a sapere se
un obiettivo è legittimo?
Quanto sopra ci fornisce una tipologia con tre tipi di conflitto:
gli obiettivi di tutte le parti hanno (qualche) legittimità;
gli obiettivi di alcune parti sono legittimi, quelli di altre non lo sono;
gli obiettivi di tutte le parti sono illegittimi.
Il primo tipo è di gran lunga il più frequente, ed è quanto ci concerne.
Non solo le parti hanno le loro verità, ma queste verità sono verità valide,
sono Verità. Come abbiamo già sottolineato, è lì che fallisce il paradigma
giuridico, mentre può essere molto utile nel secondo e nel terzo caso.
Una risposta è: perché la legge dice così. La giustizia è il bene prodotto
dal sistema giuridico, e la giustizia si serve rispettando la legittimità. Se
le parti concordano, con o senza appelli, si può arrivare alla chiusura
del conflitto, come in un processo. Particolarmente importante è la
fonte della legittimità, che si trova in quello che de facto è un elemento
di diritto costituzionale mondiale: la Carta Internazionale dei Diritti
Umani, che consiste fondamentalmente nella Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 e nelle due Convenzioni del
16 dicembre 1966 (quella sui diritti civili e politici e quella sui diritti
economici, sociali e culturali [N.d.T.]).
Ma le parti possono anche non concordare, ed entrambe possono sentire
i propri obiettivi come legittimi. Come procediamo quando l’approccio
giuridico ha esaurito il suo iter e i tribunali hanno dichiarato che “il
caso è archiviato”?
Un approccio è quello di inserire il tema nell’agenda delle discussioni, con una semplice domanda dopo che la parte ha presentato il suo
obiettivo: “E perché pensate di averne diritto?”. Le risposte a loro volta
fanno sorgere un’ulteriore domanda: “E perché questo dovrebbe essere
rilevante?” e così via. Alla fine ci possono essere riferimenti alla fonte
ultima di legittimità nei loro pensieri, Dio. O ai bisogni fondamentali,
con affermazioni come “non posso farne senza, la vita perde ogni senso”.
Le parti con una preparazione filosofica diranno cose come “perché può
essere universalizzato, ognuno può averlo” (Kant) oppure “sono anche
disposto a concederlo ad altri” (la Regola Aurea). O far riferimento ai
bisogni fondamentali (v. infra).
37
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Ma come la mettiamo con la risposta: “Non me ne importa, lo voglio
e basta!”? A meno che ci sia un caso evidente di infrazione della legge,
nazionale o internazionale, non dovremmo lasciarla cadere. Il problema
è se ci sia un qualche contrasto con altri obiettivi, e se tale contrasto possa
essere trasceso. Il trascendimento è guardare in avanti, la legittimità è
basata sull’esperienza passata. Abbiamo bisogno di entrambi.
La rilevanza dei bisogni
fondamentali
Il punto fondamentale riguardo ai diritti umani fondamentali è che
sono non-negoziabili. Il bisogno di sopravvivere, con un minimo di
benessere, il bisogno di identità e il bisogno di libertà di scelta su come
soddisfare gli altri tre, sono assoluti. Gli esseri umani continueranno
a lottare per loro praticamente in ogni circostanza, come l’acqua che
si espande quando gela, come i semi che spuntano da sotto l’asfalto.
Forze enormi. Gli automobilisti che trascurano di mettere l’antigelo lo
rimpiangeranno amaramente.
La loro rilevanza per la trasformazione del conflitto è ovvia: qualsiasi risultato di un conflitto che trascuri uno o più bisogni umani fondamentali è una
non-trasformazione. Si faranno vivi, prima o poi. Qualsiasi idea semplicistica sul fatto che i morti non hanno più pretese sulla vita trascura la reazione
dei loro congiunti, non solo la vendetta/rivalsa, ma la lotta per la propria
sopravvivenza. Qualsiasi sforzo di lucrare un accordo a costo della miseria in
qualche altra parte del sistema si ritorcerà su chi l’ha tentato. Ogni mancanza di rispetto per l’identità culturale degli altri, per il loro idioma, per la loro
fede, può persino rafforzare il bisogno di soddisfare questi bisogni. I limiti
alla libertà possono essere tollerati per qualche tempo, ma – non appena le
opzioni diventeranno visibili e disponibili – le gemme sbocceranno.
Due importanti promemoria
La “soluzione antigelo” è una tentazione: cambiare il liquido. Cambiare
gli esseri umani, ingegnarsi a eliminare la loro sete di senso e di scelta,
limitarsi a tenerli in funzione come robot. Huxley, Orwell. Due
promemoria importanti:
• c’è qualcosa di talmente ovvio nei bisogni umani fondamentali che
diventano obiettivi non detti, non articolati. L’operatore/trice nei
conflitti-per la pace dovrebbe continuamente tenerli a mente;
• i “gestori” del conflitto lassù in alto non danno peso a tali obiettivi
perché danno per scontata la loro soddisfazione, per se stessi.
L’operatore/trice nei conflitti-per la pace dovrebbe tener a mente
anche questo, specialmente gli uomini, che spesso sono meno
sensibili a qualcosa di così basilare.
Obiettivi dichiarati vs.
obiettivi effettivi
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I partiti, le persone esplicitano i loro obiettivi, producono testi. Ma sono
questi i loro reali obiettivi? L’operatore/trice nei conflitti di certo terrà
a mente che potrebbe esserci altro: al disotto, un sub-testo del quale la
parte è consapevole, ma sul quale preferisce tacere; qualcosa anche più
profondo, del quale la parte non è consapevole, cioè un testo profondo;
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
qualcosa proveniente dai dintorni, ma non proprio l’obiettivo di quella
parte, in altri termini un con-testo; per non parlare di qualcosa che
proviene dall’alto, un super-testo. Naturalmente negli ultimi due
casi ci sono anche obiettivi, per esempio conformità e obbedienza,
che però differiscono dal dichiarato. Questi testi nascosti, da soli o in
combinazione, possono trasformare il testo in un pre-testo.
Nessun conflitto può essere trasformato con successo senza prestar
attenzione ai testi nascosti, inclusi quelli dell’operatore/trice nei conflitti,
noti anche come agende nascoste (che non dovrebbero esserci).
Regola n. 1
La Regola n. 1 rimane: prendete sul serio il testo esposto a voce, assumete
che sia genuino, ricordate che tutti questi testi possono coesistere.
Regola n. 2
Esplorate dettagliatamente in quali circostanze una certa parte sentirebbe
che l’obiettivo è stato raggiunto, cosa che potrebbe essere poi verificata
in pratica. Potrebbe essere qualcosa di più rispetto alle affermazioni
iniziali; ma anche qualcosa di meno, o una reinterpretazione.
Comunque, non presumete sub-testi, usate il testo esplicitato come
punto di partenza.
Regola n. 3
Sondate le altre parti i cui obiettivi sono rilevanti, e poi cercate il dialogo
con loro, per capire come si possano imporre conformità e obbedienza,
per esempio nei conflitti familiari.
Regola n. 4
Ricercate accuratamente eventuali obiettivi più profondi, dei quali
le parti potrebbero non essere consapevoli. Potrete trovare interessi,
spesso connessi ai bisogni, derivanti dalla struttura profonda, e obiettivi
immersi nella cultura profonda. Non confondete la mancanza di
consapevolezza con la disonestà.
Il significato del
linguaggio corporeo
Fra il discorso e le azioni c’è il linguaggio corporeo, osservabile come un
atto, comunicativo come un discorso, magari con altrettante sfumature
che un discorso, con una sua grammatica e un suo dizionario, una sua
sintassi e una sua semantica, un linguaggio standard (come una stretta
di mano) e versioni vernacolari (come l’uso brasiliano di toccarsi il
gomito l’un l’altro). Vi sono tabù (come il toccare la testa a un thai) e
gli equivalenti delle parolacce, i gesti osceni. E vi sono interpretazioni
sbagliate.
Avvertenze per l’operatore/trice
nei conflitti
Tenendo a mente quest’ultima osservazione, ecco alcune avvertenze per
l’operatore/trice nei conflitti:
Regola n. 1
Non sporgetevi troppo in avanti, potreste assomigliare ad un animale
pronto al salto. Piuttosto, appoggiatevi all’indietro, siate/apparite
rilassati/e.
Regola n. 2
Non puntate il dito (ricordatevi pure che, quando lo fate, qualche
vostro dito punta contro di voi). Ci sono ovvi paralleli violenti. Gli
uomini spesso lo fanno.
39
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Regola n. 3
Astenetevi da qualsiasi movimento brusco, repentino e/o ritmico; può
davvero disturbare: “e adesso che succede?”.
Regola n. 4
Movimenti lenti, morbidi, arrotondati, con una mano o entrambe,
possono avere un effetto rilassante, indicativo di olismo, completamento,
conclusione. Li fanno spesso le donne.
Regola n. 5
Siate sensibili al linguaggio corporeo che esprime disagio, come cambiare
spesso posizione (o anche sedia), inumidirsi le labbra, sudare. Non
state conducendo un interrogatorio. L’interlocutore dovrebbe sentirsi a
proprio agio. Fate una pausa.
Regola n. 6
Non statevene lì immobili, come se foste congelati! Potreste sembrare
un osservatore, anziché una parte attiva nel dialogo.
Regola n. 7
Ricordate gli aspetti non verbali del discorso: tono né troppo alto né troppo
basso, volume moderato, non parlare troppo a lungo.
Regola n. 8
Fatevi la vostra lista, basandovi sulle vostre esperienze.
Un caso di trascendimento:
il Metodo TRANSCEND
Il Metodo TRANSCEND riguarda la trasformazione del conflitto.
Applichiamolo a un conflitto speciale: l’importantissimo conflitto sulla
trasformazione del conflitto. Ci sono due posizioni nette:
1
la risoluzione del conflitto è compito di/appartiene alle parti, che hanno
diritto di esigere e ottenere l’autonomia nel conflitto;
2
la risoluzione del conflitto è compito di/appartiene a un gestore del
conflitto (un sacerdote, un giudice, una grande potenza, il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU):
“Avete un conflitto pericoloso: ve lo risolvo io”.
Costui ottiene il monopolio del conflitto in cambio del metter fine
alla violenza.
Il risultato ideale è il caso 1: sono le parti stesse ad essere in grado di
trasformare il conflitto, cioè di trattarlo in modo nonviolento e creativo.
Non c’è niente di meglio: la strada per la pace è la pace stessa; le parti
crescono assumendo la sfida e crescono insieme. Il problema con il caso
1 è il seguente: le parti possono non esserne capaci, l’odio e l’ignoranza
ostacolano la creatività e favoriscono la violenza, sia essa quella verbale,
quella del linguaggio corporeo o quella fisica. Il problema col caso 2 è che
il gestore del conflitto si appropri del processo di sfida in esso contenuto
e si intitoli del risultato, diventando così un ladro di conflitto. Ed ecco
le altre possibilità:
3
4
40
il ritiro: il non fare nulla, lasciando che le ferite del conflitto suppurino;
la scappatoia del codardo, ovviamente inaccettabile; oppure
il compromesso: l’esterno facilita un negoziato fra le parti, stabilisce
l’agenda, la struttura del discorso, la sede, paga perfino le spese; e infine
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
5
il trascendimento: l’esterno, nel corso di dialoghi successivi con ciascuna
delle parti, cerca di dare un aiuto, formando le parti, stimolando la
creatività, cercando insieme soluzioni nonviolente, rendendole “pronte
per il tavolo”, e allora i tempi possono essere maturi per il caso 1 di cui
sopra. Gli operatori/trici nei conflitti spariscono dalla scena, sostituiti/e
direttamente dai proprietari.
Che le parti trasformino il conflitto da sole è bello, certo, ma può essere
necessario qualche aiuto esterno. L’amico che parla con la moglie e con
il marito, separatamente, cercando di capire i loro obiettivi, non tanto
“cosa è andato storto”, quanto piuttosto “cos’è un buon matrimonio”.
Insieme costruiscono un nuovo progetto. Questo è TRANSCEND.
Udire il non-detto, vedere
l’invisibile
L’operatore/trice nei conflitti ascolterà molto attentamente gli obiettivi
delle parti, li prenderà sul serio, cercando addirittura di formularli
meglio di quanto non facciano le parti stesse. Ascolterà le parole dette
ed osserverà il linguaggio corporeo. I testi profondi, nel subconscio,
sono per definizione non articolati, ma possono trasparire nel linguaggio
del corpo e in un grido d’aiuto: “Capisci quello che voglio dire?”. Ma
talvolta non c’è nulla, né udito né visto. Il non-detto può essere troppo
ovvio per essere esplicitato dalle parti, come i bisogni fondamentali
di cui si è già detto. Può anche risiedere nell’inconscio piuttosto che
nel subconscio. Molte persone, nazioni, stati hanno l’abitudine di
vedersi come esseri eccezionali, ma possono essere inconsapevoli dei
loro presupposti. Quando due di loro si incontrano, c’è competizione,
gelosia, astio: chi sarà più eccezionale? Ma può esserci anche una tacita
ricerca d’alleanza: come possiamo essere eccezionali, insieme al di sopra
della legge?
Un esempio meno drammatico: due paesi vicini litigano per una zona di
un territorio ambito. Al fondo c’è una premessa condivisa, troppo ovvia
per essere espressa: ciascun pezzo di terreno sul Pianeta Terra appartiene
a un paese e a un solo paese; quindi si devono tracciare i confini. Il
problema non sta solo in quello che dicono: “Voglio il confine qui”/
“No, là”, bensì in quella premessa condivisa e inespressa: ci deve essere
un confine. Un condominio, la proprietà congiunta della zona sarebbe
un risultato trascendente.
Le premesse condivise e inespresse possono essere la base salda su
cui costruire un risultato accettabile e sostenibile. Ma possono anche
bloccare un risultato sostenibile, nonviolento. Gli/le operatori/trici nei
conflitti non dovrebbero lasciarsi ingannare dai vari “c’è una buona
alchimia”/“c’è una buona intesa”: le parti possono capirsi anche troppo
bene; ma ci vuole aria fresca.
41
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Corso d’addestramento per la trasformazione del
conflitto: qualche esercizio supplementare
42
Esercizio 1
Tuo padre è un giapponese-hawaiano che è stato internato in un campo
durante la seconda guerra mondiale. Ha lottato con altri ex-internati e
ha ottenuto un qualche indennizzo dal governo statunitense. Un giorno
arrivi a casa con un amico/a nero/a. Tuo padre ti dice: “Se vuoi stare con
lui/lei, esci da casa mia!”.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
Esercizio 2
Tua madre indossa un abito da sera decisamente troppo giovanile
per la sua età. Viene a chiederti: “Come sto?”, con gli occhi avidi di
complimenti. Tu vuoi essere onesto, ma anche riguardoso verso tua
madre.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
Esercizio 3
Hai intense aspirazioni spirituali e vuoi meditare, focalizzando
l’attenzione sul tuo percorso spirituale. Ma ti piacciono anche le cose
materiali: i pattini, andare in giro in auto, la pesca, libri e musica non
solo su materie spirituali. Quindi hai due obiettivi distinti.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
Esercizio 4
Insieme ad altri lavoratori vuoi condizioni di lavoro migliori e paghe
più alte. L’azienda ti dice che non può permetterselo, altrimenti
fallirà. Questa volta hanno ragione: in effetti ci sono aziende che
falliscono.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
Esercizio 5
Hai costruito una casetta estiva per gli ospiti; i tuoi ospiti sono di solito
docenti universitari e così hai messo nelle camere scaffali e tavoli per
computer. Tua moglie ti fa giustamente notare che hai dimenticato
il guardaroba per gli abiti e i vestiti. Ma non c’è più spazio, e allora
suggerisci: “Non andrebbe bene una valigia sotto il letto?”. Non
accettato, e con buone ragioni. D’altra parte non vuoi fare a meno di
un tavolino. I rapporti coniugali cominciano a deteriorarsi.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Esercizio 6
Un paese con una sola nazione e che includa (quasi) tutti i membri della
nazione è uno stato-nazione.
• Immagina che la nazione viva in due paesi distinti.
Che fai?________________________________________
______________________________________________
_______________________________________________
• Immagina che ci siano due nazioni in un solo paese e che
abbiano una lunga storia di cattivi rapporti.
Che fai?________________________________________
______________________________________________
_______________________________________________
• Immagina che ci siano due paesi e due nazioni che vivono in
entrambi i paesi, con cattive relazioni da tempo.
Che fai?_______________________________________
______________________________________________
_______________________________________________
Esercizio 7
Secondo alcune previsioni, entro il 2050 ci sarà più di un miliardo di
profughi e sfollati, per motivi militari, politici, economici, culturali. Prova la DPT (Diagnosi-Prognosi-Terapia), cogliendo gli aspetti essenziali.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
Esercizio 8
Viene da te una donna in lacrime, arrabbiata: “Mio marito mi ha
tradita, con la mia migliore amica; ero l’unica a non saperlo! Lo uccido,
quello lì!”.
Che fai?________________________________________________
______________________________________________________
______________________________________________________
Suggerimento: allarga il discorso dalla
(in)fedeltà sessuale alla (in)fedeltà
anche della mente, dello spirito (progetti
di vita comuni), nella sfera sociale ed
economica; verifica cosa stanno facendo
entrambi nei cinque ambiti. Inoltre,
coinvolgi figli, genitori, amici, vicini,
colleghi... Esci fuori dall’approccio
[2,1], cioè 2 parti e 1 obiettivo!
43
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Codici per gli/le operatori/trici nei conflitti: dodici
cose da fare
44
1
Cercate di identificare elementi positivi in ogni parte, qualcosa di
cui quella parte sia orgogliosa; incoraggiate ulteriori sviluppi.
2
Cercate di identificare elementi positivi nel conflitto: il Conflitto,
come potenziale Creatore, dovrebbe essere tenuto a mente ed essere
glorificato.
3
Siate creativi nel vostro modo di lavorare, non abbiate troppo timore
di non fare le cose perbene, non prendete troppo sul serio i manuali
(come questo), seguite le vostre intuizioni e soprattutto la vostra
esperienza.
4
Trovate insieme una formula breve e facile da ricordare per esprimere
il risultato (come “sicurezza comune” o “sviluppo sostenibile”), la
quale, pur non rendendo giustizia a tutta la complessità, possa tuttavia
facilitare la comunicazione.
5
Siate onesti con voi stessi e con gli altri, se pensate che qualcosa sia
sbagliato ditelo; se pensate che la proposta di una parte sia oltraggiosa
ditelo, senza però etichettare quella parte. Spesso un buon modo di
essere “diplomatico” è essere “poco diplomatico”.
6
Lasciate trasparire i vostri sentimenti; se siete soddisfatti dell’andamento
della conversazione ditelo, se ne siete insoddisfatti ditelo ugualmente, ma
non interrompete la relazione: questo lusso a buon mercato non è per voi.
7
Permettete alle parti interne al conflitto di sfidarvi. Ci possono essere
quelli che si stancano delle vostre domande e ribattono per simmetria,
mettendo in questione voi, la vostra nazione, il vostro paese, ecc. Usate
le sfide per esplorare insieme anche i vostri conflitti allo stesso modo:
radici, prospettive, ecc.
8
Suggerite sempre percorsi alternativi, “in questo caso potete fare
questo, ma anche quello”; non presentate mai un solo rimedio.
9
Il vostro compito è rendervi superflui, non quello di rendere gli altri
dipendenti da voi (dovete però restare reperibili per consultazioni).
10
11
Ricordate: idealismo del cuore, e realismo della mente.
12
Ricordate: il lavoro sul conflitto è l’arte dell’impossibile.
Ricordate: il pessimismo/cinismo vale poco; l’ottimismo è quel che
fa per voi.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Codici per gli/le operatori/trici nei conflitti: dodici
cose da non fare
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Non manipolate. Mettete le vostre carte in tavola, dite apertamente
cosa cercate di raggiungere, inclusa la condivisione dei Manuali con
loro; esplicitate la vostra volontà di mettere in discussione i vostri stessi
assunti.
Non distribuite disprezzo e colpa. Enfatizzate le radici comuni come
le cattive strutture e le cattive culture, piuttosto che i cattivi attori, e la
responsabilità comune di trovare soluzioni. Il vostro compito è aiutare.
Non cominciate a giocare il ruolo del prete o del giudice. Non siete
autorizzati né qualificati a sedere in giudizio al di sopra delle parti.
Non preoccupatevi troppo del consenso. Il compito è giungere a
buone idee; se sono buone sono probabilmente nuove, almeno per le
parti; e se sono nuove ci vorrà probabilmente un po’ di tempo per un
consenso generale.
Non esigete un impegno esplicito dalle parti, orale o (tanto meno)
scritto; le idee faranno il loro corso “se ne è giunta l’ora”.
Non pretendete che le parti cooperino. Se non si vanno a genio e
preferiscono seguire percorsi separati, sia pure; lo stare insieme non è
un obiettivo. Forse si troveranno più tardi.
Non rompete promesse di riservatezza. Non dovreste costituire un
motivo per cui le parti temano di esprimersi liberamente.
Non cercate pubblicità, ma cercate di arruolare i media come coadiutori
nella ricerca di vie d’uscita dal/la conflitto/violenza.
Non cercate espressioni di gratitudine, la vostra ricompensa sta nel
giungere a maturazione dei semi da voi sparsi, il vostro castigo nella loro
mancata maturazione.
Non accettate istruzioni dettagliate da chicchessia, le parti interne al
conflitto hanno il diritto di sentire che parlano solo con voi.
Non cercate di programmare troppo le persone, il vostro compito è
dar loro potere e renderle capaci di andare avanti per conto proprio.
Non distorcete il conflitto, sottraendolo alle parti col sospingere
l’agenda troppo oltre rispetto ai loro interessi immediati.
45
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Due racconti: di cammelli, numeri e tante
altre cose
C’era una volta un mullah che sul suo cammello si recava alla Mecca. Mentre
si avvicinava a un’oasi, vide tre uomini che piangevano. E così fermò il cammello e chiese loro: “Figli miei, cosa succede?”, ed essi risposero: “È appena
morto nostro padre, e noi lo amavamo tanto”. “Ma – disse il mullah – sono
sicuro che vi amava anche lui, e sicuramente vi ha lasciato qualcosa”.
I tre uomini risposero: “Sì, certo, l’ha fatto. Ci ha lasciato dei cammelli e
le sue ultime volontà stabiliscono che 1/2 vada al figlio maggiore, 1/3 al
secondo, e 1/9 al più giovane. Ci piacciono i cammelli, siamo d’accordo
sulle parti assegnate a ciascuno di noi, ma c’è un problema: ci ha lasciato
17 cammelli e noi siamo andati a scuola e sappiamo che 17 è un numero
primo. Noi amiamo i cammelli, non possiamo farli a pezzi!”.
Il mullah rifletté un momento, e poi disse: “Vi dò io il mio cammello,
così ne avete diciotto”. Ed essi gridarono: “No, non puoi farlo, sei in
cammino per qualcosa di importante”. Il mullah li interruppe: “Figli
miei, prendete il cammello, e andate avanti”.
Così divisero 18 per 2 e il figlio maggiore ricevette 9 cammelli, 18 per
3 e il secondo figlio ricevette 6 cammelli, 18 per 9 e il figlio più giovane
ebbe 2 cammelli: un totale di 9 + 6 + 2 = 17 cammelli. Rimaneva un
cammello, uno solo: quello del mullah. Il mullah disse: “Siete contenti?
Bene, allora posso forse avere indietro il mio cammello?”.
E i tre uomini, colmi di gratitudine, dissero: “Ma certo!”, senza capire
bene cos’era successo.
Il mullah li benedisse, salì sul suo cammello ed essi videro solo più una lieve
nuvola di polvere, che rapida si depositava nel sole ardente della sera.
C’era una volta un avvocato che nella sua auto di lusso se ne andava in
giro per il deserto. Passando per un’oasi vide tre uomini che piangevano.
E così si fermò e chiese loro: “Che succede?”. Ed essi risposero: “È
appena morto nostro padre, e noi lo amavamo tanto”. “Ma – disse
l’avvocato – sono sicuro che ha fatto testamento. Forse potrei aiutarvi,
se mi pagate il mio onorario, ovviamente”.
E i tre uomini risposero “Sì, certo, l’ha fatto. Ci ha lasciato dei cammelli
e le sue ultime volontà stabiliscono che 1/2 vada al figlio maggiore, 1/3 al
secondo, e 1/9 al più giovane. Ci piacciono i cammelli, siamo d’accordo
sulle parti assegnate a ciascuno di noi, ma c’è un problema: ci ha lasciato
17 cammelli e noi siamo andati a scuola e sappiamo che 17 è un numero
primo. Noi amiamo i cammelli, non possiamo farli a pezzi!”.
L’avvocato ci pensò su un momento e poi disse: “Semplicissimo. Mi
date 5 cammelli, così ve ne restano 12; dividendo per 2, per 3 e per
6 ottenete 6, 4 e 2 cammelli a testa”. E così fecero. L’avvocato legò i 5
malcapitati cammelli all’auto ed essi videro solo più una grossa nuvola
di polvere che copriva il sole della sera.
Due modi di trattare un conflitto. A voi la scelta.
46
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Un dialogo tra l’Autore (JG) e l’Avvocato del Diavolo (AD)
Questo dialogo si basa su commenti fatti durante le sessioni di training. Le risposte, come al solito,
portano ad altre ulteriori domande.
AD: Spiegami, senza troppe parole e senza usare il gergo sociologico, gli assunti che stanno alla base di questo
cosiddetto Metodo TRANSCEND!
JG: Giusta richiesta. Ecco le tesi in cui credo, almeno all’80%:
Tesi 1
Tesi 2
Tesi 3
Tesi 4
Tesi 5
Tesi 6
Tesi 7
Tesi 8
Tesi 9
Tesi 10
Tesi 11
Tesi 12
Tesi 13
Tesi 14
Tesi 15
Tesi 16
Non esistono soluzioni militari/violente dei conflitti. Non sono sostenibili per via del trauma e della
inaccettabilità per il perdente, e perché la gloria è come una droga che rende assuefatto il vincitore.
La violenza genera altra violenza; il sottolinearlo serve come ancoraggio negativo.
In un conflitto si usa la violenza quando l’obiettivo bloccato è importante e non si vedono vie
d’uscita alternative.
Il meta-conflitto e il “chi vince” espelle il conflitto originario; la trasformazione del conflitto passa
in secondo piano.
Non si vedono alternative perché l’analfabetismo sul conflitto limita il repertorio dei risultati e
perché la creatività è bloccata.
Siamo analfabeti sul conflitto perché l’approccio del “giochiamocelo, e il vincitore si prende tutto”
è sempre stato quello dominante.
La creatività è bloccata dall’odio causato dalla violenza, nonché dai grossi personaggi e dalle grandi
potenze che monopolizzano l’intervento sul conflitto.
I grossi personaggi e le grandi potenze monopolizzano l’intervento sul conflitto per aumentare il
loro potere e per trarre beneficio dalla ridistribuzione del conflitto.
Per decidere sui conflitti, li vedono come se riguardassero due parti che hanno bisogno di loro come
“terze parti disinteressate”.
Non esistono “parti disinteressate”; nei conflitti reali ci sono molte parti con obiettivi in conflitto
più o meno accettabili.
“Tutte le parti attorno a un tavolo” rende le parti ancora meno creative e più facili da gestire da parte
di grossi personaggi e di grandi potenze.
Un/a vero/a “operatore/trice nei conflitti” ha come obiettivo una trasformazione sostenibile e
accettabile del conflitto e non ha nessuna agenda nascosta.
Un approccio per far emergere obiettivi accettabili è impegnarsi in dialoghi empatici con tutte le
parti separatamente, a una a una.
Un approccio per rendere accettabili obiettivi compatibili è impegnarsi in dialoghi con tutte le
parti, facendo emergere la creatività.
Un approccio per trasformare i conflitti in modo nonviolento è dislocarli da dove stavano e
ricollocarli altrove.
L’osservazione del conflitto da questa nuova angolatura serve a sviluppare un nuovo punto di
riferimento, un ancoraggio positivo per i dialoghi.
A questo punto “tutte le parti attorno a un tavolo” può risultare utile, oppure superfluo in quanto è
emerso un sistema nuovo, sostenibile e accettabile per tutti, cosicché l’intero conflitto è svanito.
47
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
AD: Ferma! Non riesco più a sopportarlo. Non sono d’accordo con nessuna di queste tesi, e inoltre sei già immerso
nel bla-bla sociologico fino al collo.
JG: OK. Accetteresti di usare le tesi come una sorta di agenda e sottoporle a critica una per una nell’ordine
che preferisci?
AD: Sì, come punto di partenza, se questo è il Metodo TRANSCEND. Ma avrei anche qualcosa da ridire su questo
discorso.
JG: Mio caro avvocato del diavolo, “discorso” è già un termine del vocabolario delle scienze sociali!
AD: È un termine che esisteva già prima che voialtri lo cooptaste. Comunque, cominciamo con il termine “violenza”.
La tua posizione è negativa, astratta e ideologica. La violenza è compatibile con l’accettazione da parte della
vittima, in quanto:
a) questa può vedere la sconfitta come se fosse dettata da forze superiori, oppure
b) può celebrare la propria liberazione dal perseguimento di un obiettivo impossibile.
JG: Qualcosa posso concederlo; e aggiungere che in effetti le mie formulette possono essere un po’ troppo
semplificate. Ma se quelle “forze superiori” sono Dio, allora l’accettazione probabilmente dipenderebbe
dal livello di fede sia nell’infallibilità di Dio, sia nell’uso da parte di Dio della potenza per indicare cosa è
giusto. Temo che questa duplice fede non sia molto diffusa oggigiorno. Un successore di Dio è lo stato e
il tipo di infallibilità attualmente in costruzione sull’assunto “gli stati democratici non possono sbagliare”
dovrebbe servire da incentivo per unirsi a questo gruppo. Il che è un bene, ma porta al problema che è
subentrato a “i paesi cristiani non possono entrare in guerra gli uni con gli altri”, cioè “i paesi democratici
non possono entrare in guerra gli uni con gli altri”. Quanti più ce n’è, di un tipo o dell’altro, e quanto più
sono diversi per struttura e cultura, tanto più è probabile che entrino comunque in guerra.
AD: Può darsi. Ma cosa hai da dire riguardo al secondo punto, sbarazzarsi dell’obiettivo?
JG: Tenderei a essere d’accordo. Però potrei sempre dire: perché non impegnarsi piuttosto in un dialogo ante
bellum per rinunciare a quell’obiettivo?
AD: Ti faccio tre esempi di soluzioni militari: la guerra civile negli Stati Uniti, la seconda guerra mondiale in
Europa, la guerra nel Pacifico. Gli stati schiavisti, il nazismo tedesco e il militarismo giapponese furono battuti,
accettarono la sconfitta e rinunciarono ai propri obiettivi.
JG: Potrei asserire invece che i veri vincitori furono la guerra e l’apparato militare. Dalla prima vennero fuori
quegli Stati Uniti militarizzati che realizzarono le conquiste del 1898-1902; dalla seconda degli Stati
Uniti, un’Unione Sovietica e una Cina in grado di combattere guerre di grossa portata.
AD: E dalla terza?
JG: Una grave conseguenza invisibile della sconfitta è la sete di vendetta, il ritornare sulla questione problematica.
Temo che non conosciamo le conseguenze dei traumi colossali sofferti dalla Germania e dal Giappone.
Sono cose che possono venir fuori dopo generazioni. Tuttavia posso rafforzare la tua posizione: la violenza
teorizzata da Sun Tzu, come un potenziale non utilizzato, può funzionare, ma non la violenza teorizzata
da Clausewitz, la famosa “continuazione della politica con altri mezzi”, cioè “con ogni mezzo necessario”.
Fu proprio quest’ultima a essere usata dalla coalizione capeggiata dagli Stati Uniti nella guerra del Golfo.
Credo che non ci fu nessuna accettazione. E per questa ragione non ci fu neanche nessuna sostenibilità.
AD: Può darsi che Sun Tzu non sia abbastanza diabolico per me.
JG: Ma Clausewitz lo è di sicuro. Estrapolando dai suoi assunti diventa razionale l’eliminazione totale del
nemico, l’Altro. Un obiettivo allora prevarrà perché non è rimasto più nessuno a sostenere l’obiettivo che
è d’ostacolo. Le implicazioni logiche sono gli olocausti, così come lo furono il colonialismo, il nazismo,
il bolscevismo. Mentre Sun Tzu per me è un precursore del Capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite
(il peace-keeping) e della difesa difensiva, Clausewitz è un fautore del Capitolo VII: l’imposizione della
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
AD:
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AD:
JG:
AD:
pace, il peace enforcement. Sono in molti, oggigiorno, a vedere la violenza come ultima risorsa. Ma allora,
facciamole tutte quelle cose, e sono tante, che possono ricadere sotto le etichette di empatia e creatività.
A mio parere, il nostro mondo scarseggia proprio di queste capacità, mentre è colmo di violenza, quindi
decisamente troppo incline a farne uso.
Ciò che mi preoccupa di più, tuttavia, non è la tua posizione sull’aspetto strumentale della violenza, che
tu dica che non funziona e anzi è controproducente per via del revanscismo del perdente e della gloria del
vincitore, cose di cui entrambi possono non essere mai sazi. Potrei essere d’accordo su questo. Ma è una
posizione troppo razionale; dov’è la sua parte espressiva? Non è “la continuazione della politica”, che è
già strumentale. Il mio collega diabolico non è Clausewitz, ma un numero indicibile di esseri umani,
probabilmente soprattutto uomini, ragazzi – come potresti far notare – che semplicemente godono della
violenza, per quello che fa alle vittime, danneggiandole/ferendole, e per quello che offre loro: rischio, pericolo,
coraggio, sacrificio, eroismo, dedizione, cameratismo! Per non parlare del puro desiderio di arraffare, di
stuprare: quello che vuoi, l’ottieni!
La storia offre dati in quantità più che sufficiente per darti ragione anche qui. Ma io non sostengo che non
c’è pericolo di violenza; certo che c’è, e per ragioni anche più profonde, come l’attivazione di archetipi
nel subconscio collettivo. La mia tesi è che si deve stroncare la violenza sul nascere, intervenire in qualche
modo sul conflitto prima che arrivi a una fase violenta con le sue sofferenze indicibili, le complicazioni per
il futuro e la mancata attenzione al conflitto originario. Non è perché non sono d’accordo con te su questi
punti, ma proprio perché sono d’accordo con te che trovo tutto questo così importante. E sembra che
tutti siano d’accordo sulla “diplomazia preventiva”. Il Metodo TRANSCEND è uno di questi approcci.
Andiamo avanti. Tu vedi la violenza come una reazione a un obiettivo bloccato, una variazione della vecchia
ipotesi frustrazione-aggressione. Ma questo non dipende dalla cultura? E che mi dici in merito al ritiro dal
conflitto, semplicemente con il rifiuto di entrarci?
Certo. O a causa di mera apatia. Quello che sostengo è che quando c’è violenza è prevalentemente perché gli
obiettivi principali sono bloccati. Tuttavia, altre reazioni, alla lunga, possono essere altrettanto disastrose,
come la rinuncia, la sofferenza interminabile per la violenza strutturale, invece di mettersi a lottare per
trasformare i bisogni fondamentali in diritti fondamentali. In altre parole, l’obiettivo non è solo l’assenza
della violenza diretta, ma anche l’assenza della violenza strutturale, dell’ingiustizia sociale.
Ma allora, non stai appunto giustificando la violenza diretta?
Può darsi, come ultima risorsa quando si sia provato tutto il resto. Non sono un assolutista, ma sono più
interessato a esplorare quel “tutto il resto”. E vorrei sapere come giustifichino la propria violenza coloro
che diventano violenti. Vorrei proprio conoscere quelle ragioni, dato che credo che siano fra gli obiettivi
non dichiarati dei conflitti e che dovrebbero essere prese sul serio.
Fammi qualche esempio di meta-conflitti che scacciano il conflitto originario.
JG: Torna col pensiero alla guerra fredda. Il conflitto originario riguardava interessi come i confini e chi
dovesse farla da padrone in Europa orientale; e a livello più profondo riguardava l’ideologia, il capitalismo
contro il socialismo, la democrazia contro la dittatura del proletariato, e le visioni del mondo soggiacenti,
il liberalismo e il marxismo. Tuttavia, la preoccupazione di fondo, il dibattito e il conflitto vertevano sul
meta-conflitto, sui mezzi della violenza in generale e sulle armi nucleari e i loro vettori in particolare.
Era questo che stava al centro delle preoccupazioni sia dei governi, sia del movimento per la pace, per
la maggior parte del tempo, fin dal 1949. È interessante notare che quando finalmente la conferenza di
Helsinki del 1973-1975 cominciò a occuparsi dei problemi reali, i conflitti originari – con i famosi tre
panieri sui confini, sulle relazioni economiche e sui diritti umani – parvero evaporare. La gente cominciò
a chiedersi se quelle divergenze valessero davvero una guerra di grossa portata. Il movimento dissidente
dell’Europa orientale riuscì meglio del movimento per la pace a far sì che il conflitto originario diventasse
la questione vera, insistendo sulla democrazia e sui diritti umani. E nessuno credette più che la guerra
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
AD:
JG:
AD:
JG:
AD:
JG:
fredda diventasse calda. La trasformazione del conflitto originario, a quel punto, scacciò il meta-conflitto;
l’idea è questa.
Quello che m’infastidisce è che sembri non tenere nel dovuto conto la violenza, e tutto il suo apparato,
nella tua insistenza sulla trasformazione del conflitto, in modo da renderlo gestibile dalle parti senza
violenza. Se non presti attenzione al meta-conflitto e preferisci aggirarlo (dando retta al Boeygen del Peer
Gynt di Henrik Ibsen, un tuo connazionale – come anche a Brandt, credo che abbia detto “Aggiratelo!”
quando c’è qualche grosso ostacolo), non è che, così facendo, dai tempo alle forze del male di organizzarsi
e perfezionare i loro apparati? Non hai bisogno del disarmo o, in sua mancanza, di un qualche equilibrio
tra le potenze o, in sua mancanza, della loro eliminazione con mezzi violenti? Inoltre, come puoi aspettarti
che le parti aprano negoziati sul conflitto originario con la spada di Damocle della violenza sospesa sulle
loro teste?
Tutte le volte che si focalizza l’attenzione sui mezzi della violenza si rafforza coloro che li controllano,
conferendo loro un diritto di veto. La fine della guerra fredda fu ritardata da un’attenzione troppo scarsa
ai problemi veri e da un’attenzione eccessiva alla questione armamenti/disarmo. La trasformazione della
guerra fredda non avvenne al tavolo della conferenza sul controllo degli armamenti. Terrei d’occhio il
potenziale della violenza, accelerando però la trasformazione del conflitto originario.
Trovo arrogante la tua affermazione sull’“analfabetismo sul conflitto”. Probabilmente tu non ti metti in quella
categoria. Con quale diritto distribuisci diplomi del genere a grandi potenze/grossi personaggi?
Le persone che intervengono in conflitti internazionali sono di solito statisti che perseguono gli interessi
del loro paese/regione, oppure diplomatici, che sono perfino pagati per farlo e che devono attenersi alle
disposizioni dei loro statisti. A livello di politica interna la situazione è migliore: le modalità di Risoluzione
Alternativa delle Dispute stanno prendendo piede. Ma gran parte del lavoro sul conflitto è dominato da
un paradigma religioso che colloca le radici del conflitto stesso dentro gli esseri umani, piuttosto che nelle
realtà sociali, e da un paradigma giuridico troppo dualistico, colpevole/innocente. Inoltre la gente si sente
privata del potere, è pronta ad accettare una divisione del lavoro fra “gestori” del conflitto e “gestiti” nel
conflitto. È qui che interviene l’operatore/trice nei conflitti-per la pace, in linea di principio.
Ma non è quello che tentano di fare tutte le terze parti che intervengono?
Ne ho viste che sembrano addirittura aspettare che la violenza faccia il suo corso, che il conflitto “maturi”,
che la situazione diventi “pronta”, con le parti che pregano in ginocchio per un intervento liberatorio
dalla maledizione della violenza. Allora entrano in gioco per dettare la pace, per spartirsi le spoglie come
avvoltoi che volano in circolo in attesa che cessi il combattimento sul terreno. Un buon chirurgo deve
guarire il corpo del paziente, non minarlo per cavarne i reni, la retina, magari anche il cuore.
AD: Questo mi suona “realistico”; attribuisci delle motivazioni a quelli che chiami i grossi personaggi/le grandi
potenze, che di solito sminuisci.
JG:
Sono scettico riguardo a personaggi/potenze che diventano “grossi” con la violenza, perché ho paura che
diventi una droga. “A chi ha un martello il mondo sembra un chiodo”. Il mondo non godrebbe di servizi
migliori se venissero da terze parti o da “operatori/trici nel conflitto” con precedenti più pacifici?
AD: E se questo termine che suona così modesto, “operatore/trice”, non fosse nient’altro che una copertura per
una nuova professione in cerca esattamente di quello che dici di voler evitare, cioè lo status di gestore dei
conflitti?
JG:
50
È un problema, d’accordo. Forse è più adeguato “specialista dei conflitti”, ma “gestore” proprio no. Tieni
presente che l’operatore/trice nei conflitti non ha nessun potere del tipo bastone e carota. Non può
nemmeno premiare o punire. Può dare suggerimenti, ma l’accettazione deve provenire dalla convinzione
interiore che un “ancoraggio positivo” è meglio delle implicazioni di un “ancoraggio negativo”.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
AD: Ma non li stai solo manipolando, con tutti i tuoi “ancoraggi”?
JG:
È dinuovo un rischio. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe mettere apertamente le sue carte sul tavolo:
la ricerca di una trasformazione del conflitto con mezzi pacifici, grazie all’empatia e alla creatività,
cercando vie d’uscita accettabili e sostenibili. Qualunque cosa suggerisca, dovrebbe essere frutto di dialoghi
approfonditi con le parti, non sulle parti. Questi dialoghi hanno una funzione coscientizzante, nel senso
attribuitogli dal mio amico Paulo Freire, che è mancato; se no, l’operatore/trice nei conflitti non ha fatto
altro che discutere, cercando di imporre il proprio punto di vista.
AD: OK, OK. Ma ti rendi conto, voglio sperare, che questo può suonare come un gran bla-bla, mentre nel frattempo
l’operatore/trice nei conflitti emerge come la forza dominante nel conflitto?
JG: Sì che me ne rendo conto. L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe trovare dei modi per rapportarsi a questo
problema, anche per evitare di diventare il comune nemico delle parti, anziché il loro comune amico. Un
modo è l’uso sistematico dei punti interrogativi al posto di quelli esclamativi. Il giudice ti darà un risultato
in base a quanto è disposto per legge. L’arbitro ti darà un risultato vincolante in base a quanto ha deciso
lui stesso, dopo un previo accordo delle parti che si impegnano ad accettarlo. Il mediatore proporrà un
risultato non vincolante, da prendere o lasciare. L’operatore/trice nei conflitti fa sia di meno, sia di più
di tutto questo: serve da catalizzatore per il dialogo, prima con ciascuna parte separatamente, poi – se
lo desiderano – insieme. Può formulare visioni non formulate dalle parti, perfino suggerire cose che
possono fare separatamente o insieme. Ma soprattutto prova a farle crescere, rendendole più empatiche,
nonviolente e creative, capaci di andare avanti senza assistenza esterna.
AD: E questo non lo chiami esercizio del potere?
JG: Certo che questo è un esercizio nel potere, ma non del potere. Un cattivo professore vuole clonarsi negli
studenti/assistenti. Un buon professore cerca di stimolare una sufficiente creatività negli studenti, in modo
che non diventino dei discepoli, ma si rapportino criticamente e costruttivamente con il loro professore.
In altre parole: condivisione del potere grazie all’empowerment. Cioè, il potere di cui parliamo è il potere
normativo/culturale, non il potere della carota/remunerativo/economico di un trattato commerciale, né
il potere del bastone/punitivo/militare, con le sanzioni, i boicottaggi, l’“imposizione della pace” dietro
l’angolo.
AD: Ma resta il fatto che l’operatore/trice nei conflitti accumula molta più esperienza di colui sul quale si è “operato”
nel corso del conflitto. E questa esperienza può convertirsi in potere.
JG: Senza dubbio. Come in ogni professione. E anzi peggio: può diventare scolastico, riducendo i conflitti e le
parti a casi da trattare in base a formule che ha già sviluppato, senza badare alle specificità di ciascun caso.
Si spera che verrà criticato/a dai colleghi e dalle parti in conflitto, che sarà grato per l’allarme, precoce o
anche tardivo.
AD: Ma quest’idea di separare le parti, non è anche una strategia di potere nota come frammentazione? Invece di
incontrarle insieme, l’operatore/trice nei conflitti se ne fa carico una alla volta.
JG: Se il conflitto è profondo, quando si riuniscono allo stesso tavolo lo fanno solo in senso fisico. Sono
divise dalle problematiche del conflitto, e sono ancor più divise dal meta-conflitto traumatico, nonché dal
trauma di infliggere traumi ad altri. Quando l’operatore/trice nel conflitto le incontra sono persone ridotte
a molto meno di quello che avrebbero potuto essere. Perciò è suo compito farle crescere, metterle in grado
di rendersi conto delle loro proprie forze, ripensando il conflitto. In questo processo, guardandosi in faccia,
può anche darsi che le parti comincino a criticare l’operatore/trice nei conflitti, prima separatamente e
poi insieme, quando o se si trovano fra di loro. Ma non è detto che finisca così; la mia esperienza è più
positiva: c’è una qualche forma di gratitudine quando vengono indicate possibili vie d’uscita. Nuove
possibilità sono emerse, sta a loro esplorarle o attuarle.
51
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
AD: Ma se un/a operatore/trice nei conflitti usa empatia-nonviolenza-creatività fino al punto di dislocare e ricollocare
il conflitto, in realtà non sta forzandolo in un’altra direzione? Con che diritto si lanciano nuove prospettive
come punti di riferimento, “ancoraggi” come li chiami tu?
JG: L’operatore/trice nei conflitti non può imporre alcuna ridefinizione della situazione; può solo dare
suggerimenti. Chiunque ha il diritto di farlo.
AD: Nonostante tutto ho l’impressione che tu arrivi come un angelo salvatore, discendendo sul conflitto e dicendo
alle parti il da farsi!
JG: Non cerco mai di suggerire qualcosa che non provenga dai dialoghi con le parti in conflitto, si tratti di
attori ben noti o meno noti. Si innescano certi processi in me e in loro; e da questi processi emergono
proposte, prospettive.
AD: Ma perché mai dovresti proporre un qualche cosa? Perché non lasciare il conflitto a loro, alle parti insieme; è il
loro conflitto!
JG: Hai ragione, sarebbe l’approccio ideale. Le due parti si cercano, si siedono al famoso tavolo che io cerco
di rendere famigerato, dialogano una con l’altra, e le proposte non solo fioriscono, ma vengono anche
attuate! Sarebbe certo la mia prima scelta, e la gente ragionevole si comporta così nei conflitti morbidi.
Nel mondo reale, tuttavia, non tutti sono ragionevoli e non tutti i conflitti sono morbidi. Rifiutano di
incontrarsi. Se si incontrano, si urlano contro. Se non urlano, se ne stanno ben bene sulle loro, se no
vengono considerati cedevoli. Se propongono qualcosa, è per far sfigurare l’altro. Se dovessero mettersi
d’accordo su qualcosa, potrebbe essere un piatto compromesso che non soddisfa nessuno.
AD: Li ritrai come se fossero me, in varie forme, tutti attorno al tavolo, intenti a procrastinare, a prevaricare!
JG:
Tu sei ragionevole al confronto. Noi abbiamo almeno una qualche forma di dialogo. Ma permettimi di
chiederti: cosa faresti tu?
AD: Sono io il solo a fare le domande qui, a te tocca rispondere! Ed ecco la mia prossima domanda: perché non
aspettare che siano loro stessi a formulare le proposte?
JG:
Risponderò, ma non per sempre. Loro non sono liberi di formulare proposte. Hanno i loro elettori che gli
stanno seduti sulla schiena. Talvolta tentano di instillare delle idee nella mia testa, con la speranza che sia
io a esporle. Il compito della parte esterna è quello di cercare di mutare il discorso, di aiutarli a parlare del
conflitto in qualche altro modo, per esempio discutendo sul modo in cui le repubbliche dell’ex-Iugoslavia
potrebbero cooperare, su come uno stato palestinese riconosciuto si rapporterebbe a Israele, ecc.
AD: Bene, bene. E tutto questo senza violenza?
JG:
Se appena possibile, sì. Se si trovano proposte ragionevoli dappertutto, è molto più difficile che si scateni
la violenza. Se i media e la società civile, le organizzazioni sociali e le autorità locali circondano le parti
con proposte con le quali riescano, dopo qualche riflessione, a vivere, o perfino a convivere, la violenza e
la guerra sembreranno non solo immorali, ma stupide.
AD: Ma non è piuttosto ingenuo tutto questo? Al mondo ci sono forze enormi, grossi personaggi e grandi potenze,
come li chiami tu, per non parlare del grosso capitale. Non finisci solo per mantenere in funzione il sistema,
con qualche lavoretto di riparazione qua e là? La creatività non è un cambiamento piuttosto piccolo rispetto a
quanto può investire in armamenti il grosso capitale?
JG:
52
La creatività, nondimeno, può sortire piccoli miracoli, se la gente impara a fidarsi di più di se stessa. Inoltre,
non permettere che le grosse risposte siano d’ostacolo alle piccole risposte. Una persona gravemente ferita
in un incidente stradale ha bisogno di aiuto, non delle analisi brillanti di un esperto del traffico, per non
parlare del sistema capitalista col suo traffico eccessivo. Io opterei per tutt’e tre gli approcci: la risposta
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
immediata, quella a medio termine e quella a lungo termine. Può darsi che noi conosciamo meglio le
risposte immediate.
AD: Ma non stai portando via il grosso del divertimento a quei ragazzi? Magari gli piace un po’ di violenza di tanto
in tanto. Chi ti dice che puoi farlo? Con che diritto?
JG: Semplicemente questo: la maggioranza vuole creazione e costruzione, non distruzione. Vogliono di più
che un cessate il fuoco; vogliono la pace.
53
LE 50 UNITÀ PER IL TRAINING
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
GLI/LE OPERATORI/TRICI NEI CONFLITTI
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO I
UNITÀ 1 - 5
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I
1
UNA PROFESSIONE EMERGENTE
1
2
3
4
5
Cominciate questa professione quando vi coinvolgete (o lavorate) in
una formazione conflittuale come parte esterna, invitati o meno, a
tempo pieno o meno. Quali sono i vostri obiettivi nel conflitto e qual è
la vostra legittimazione?
In quanto esseri umani siete coinvolti nella sofferenza degli altri in ogni
parte del mondo, non perché un giorno potrà “travalicare” gli attuali confini
colpendo voi/il vostro paese, ma perché la loro sofferenza è la vostra;
in quanto esseri umani la vostra agenda consiste nel ridurre la distruzione
e nell’esaltare l’aspetto creativo del conflitto;
siete indipendenti, per conto vostro; non c’è nessuna agenda nascosta, nessun
interesse nascosto, nessun potere economico/politico a spalleggiarvi;
voi portate un insieme di nozioni generali e di competenze nei conflitti;
empatia, nonviolenza, creatività; compassione; perseveranza; niente
bastone e carota, premio/promesse, castigo/minacce;
può darsi che siate carenti di informazioni specifiche sul conflitto locale, ma
in compenso sarete ben disposti a imparare dai dialoghi con i partecipanti
interni al conflitto, scambiando le nozioni generali con le nozioni locali,
quelle sugli aspetti comuni a tutti i conflitti con quelle sugli aspetti peculiari
di quel preciso conflitto, in cerca di soluzioni.
Anche se appartenete a un’organizzazione (inter-)governativa o (inter-)nongovernativa, operando sul campo potete essere voi stessi, e questo incide in
una certa misura sulla scelta del termine usato per descrivere il vostro lavoro:
PROPOSTA
Parole sbagliate: gestione del conflitto, conflict manager, delegato, consulente per i conflitti.
Gli/le operatori/trici nei conflitti-per la pace, come gli/le operatori/
trici sociali, non stanno al di sopra degli altri. Dovrebbero cercare di
portare aiuto e di fare un lavoro onesto, da bravi lavoratori, e non da
consulenti profumatamente pagati. Anche i termini “mediatore” (che
sta nel mezzo?, che mira al compromesso?) e “facilitatore” (che aumenta
il conflitto?) possono essere troppo limitativi. “Operatore/trice nei
conflitti” e/o “operatore/trice per la pace” sono termini più neutrali. Il
termine francese animateur ne dà una buona descrizione.
GIUSTIFICAZIONE
Considerato
• che in un mondo sempre più globalizzato le parti e gli obiettivi sono
interconnessi,
• che in tutte le questioni ci sono complicazioni e opportunità nascoste, e
• che i mezzi della violenza sono facilmente accessibili,
è ovvio che il mondo ha bisogno di migliaia di operatori/trici nei
conflitti modesti/e e competenti/e, che sappiano introdurre una cultura
superiore sul conflitto e sulla pace.
PROBLEMA
Ci si può trovare tra Scilla e Cariddi: non essere all’altezza della legittimazione indicata oppure avere un’agenda nascosta troppo grossa,
inclusa quella nascosta a voi stessi/e.
58
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici
1
UNA PROFESSIONE EMERGENTE
Forse bisogna sottolineare che l’operatore/trice nei conflitti non si
limita
• a fare un’analisi della situazione,
• a lanciare allarmi sotto forma di predizioni,
• a tenere discorsi e conferenze, o a scrivere articoli e libri.
Lavorare sul conflitto significa prender parte a un conflitto, avendo sviluppato dialoghi con le parti volti a trasformare insieme il conflitto,
cosicché le parti stesse possano governarlo da sole in modo nonviolento
e creativo.
Ma con quale diritto prendono parte a un conflitto persone non direttamente interessate in quanto attori interni o vittime? Vengono date
cinque risposte (tutti gli elenchi del genere in questo Manuale possono
essere usati come lucidi).
Discutete le risposte con i/le partecipanti. Siete d’accordo? Ne siete
all’altezza? Se no, cosa si dovrebbe o potrebbe fare in merito? Quali
altre risposte possono essere (più) utili?
Ovviamente, nel nostro mondo sempre più stretto e democratizzato i
conflitti interpellano ognuno, non solo coloro che per ruolo politico
o professionale devono impegnarvisi. In altre parole, c’è una sfida alla
vecchia divisione del lavoro, in base alla quale i conflitti, in qualche
modo, appartengono esclusivamente agli statisti e ai diplomatici. Il
termine “operatore/trice nei conflitti” esprime appunto tale sfida.
ESERCIZIO
Vi sentite a vostro agio con il termine “operatore/trice nei conflitti” o
“operatore/trice per la pace”? Fino a che punto? Avete qualche idea per
un termine migliore? Magari “specialista”?
I termini “giustificazione” e “problemi” compaiono in ciascuna Unità del
Manuale e si potrebbe e dovrebbe discuterne. Che c’è da dire sull’idea
che la globalizzazione implichi una partecipazione generalizzata al lavoro
sul conflitto? E sull’idea che la democratizzazione globale implichi
anche il diritto e il dovere di partecipare attivamente ai conflitti in ogni
parte del mondo?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
59
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I
2
UN PROFILO PERSONALE (LA RELAZIONE CON IL SÉ
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
60
State per prender parte a un conflitto. Niente di più facile che abbiate
solo una conoscenza di seconda (terza, quarta) mano. Allora ponetevi prima qualche domanda personale. Ecco una lista di controllo in 10 punti:
Motivazione: perché lo faccio, per amor loro o più che altro per
me, per la mia promozione, per la mia eventuale fama, reputazione,
esperienza?
Conoscenza generale: possiedo effettivamente una visione generale dei
conflitti, o più che altro un retaggio su cui non ho mai riflettuto, del
“buon senso”?
Conoscenza specifica/locale: ne so abbastanza per fare domande
valide, o non sono disposto a capire gli aspetti specifici?
Abilità: ho sufficienti abilità mentali, interlocutorie, d’ascolto (compreso
il silenzio!), o intendo imporre le mie vedute?
Empatia: ho una sufficiente maturità personale da percepire le elaborazioni
interiori di Altri, o tendo ai pre-giudizi e alle proiezioni?
Nonviolenza: sono nonviolento nelle azioni, nel discorso e nel pensiero, o
perdo facilmente le staffe, diventando verbalmente violento?
Creatività: il Conflitto come Creatore mi stimola a produrre idee, o
vedo soltanto il Conflitto come Distruttore?
Compassione: sento davvero la sofferenza potenziale o effettiva delle
vittime del Conflitto come Distruttore, o per me sono solo oggetti?
Perseveranza: ho la capacità di andare avanti, ancora e ancora, a dispetto
dei pronostici, o mi sento avvilito quando “loro” non seguono i miei
consigli?
Processo: ho la volontà e il desiderio di migliorare, o piuttosto una
tendenza a considerarmi pronto, completo, del tutto preparato?
Contate i vostri punti forti (la prima risposta): “sotto 7”= non va; “da
7 a 8”= lavorate sui vostri punti deboli; “da 9 a 10” (se siete onesti)
= buono, sembrate pronti come operatori/trici nei conflitti. Potete
sempre migliorare in tutte le dimensioni: le troverete gratificanti in ogni
contesto umano.
State per svolgere un ruolo potenzialmente importante nella vita di
altre persone. Avete un compito importante. Non c’è bisogno che siate
super-umani, ma siate preparati, pronti al lavoro, miglioratevi. Sarà
un’esperienza dura anche per voi.
Come faccio a sapere qual è la risposta vera? Dentro di voi, la sapete
per quasi tutti i dieci punti; ma poi chiedete ad altri! Invitate altre parti
coinvolte nel conflitto a dirvelo, non offendetevi; sopportate le critiche,
possono solo farvi crescere. Inoltre c’è un metodo: la meditazione. Non
prendete parte ad alcuna sessione come operatore/trice nei conflitti senza
quest’intimo dialogo per accrescere la consapevolezza dei vostri punti
forti e dei vostri punti deboli. Create una discussione interiore tipo
tavola rotonda sui vostri pro e contro, ammettendo le vostre carenze.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici
2
UN PROFILO PERSONALE (LA RELAZIONE CON IL SÉ
La lista dei dieci punti raccoglie i punti trattati nella precedente Unità
1. Prestate attenzione all’idea che l’operatore/trice nei conflitti non è
tenuto/a a essere un/a esperto/a delle condizioni locali, come la cultura
e la struttura locali. E ci sono due ragioni:
1 pochissime persone lo sono, al di fuori di quelle del posto; non è
detto che lo siano nemmeno coloro che vivono in altre parti dello
stesso paese e coloro che spesso non sanno nient’altro (gli “specialisti
di area”), e che si trovano ad avere una visione troppo ristretta per
accorgersi del contesto. Inoltre, può darsi che non sappiano nulla sui
conflitti;
2 voi state per partecipare a un dialogo, che significa dare e prendere
da entrambi i lati. Un’ottima base per uno scambio paritario è
che voi apportiate la conoscenza generale sui conflitti, e il vostro
interlocutore quella specifica, locale.
Questo vi rende uguali e stabilisce un’ottima base per una serie di dialoghi
in cui voi chiedete se questa o quell’idea generale funzionerebbe, ed essi
vi dicono i motivi locali del perché sì o perché no. Se padroneggiaste
appieno la conoscenza generale e quella locale, sareste troppo
preponderante come parte esterna!
Ma questo comporta un problema. Dopo qualche tempo non sarete più
“innocenti” in merito alla conoscenza locale, bensì probabilmente ne
saprete di più di quasi ogni altro, inclusa la maggior parte delle persone
del posto, su questioni che riguardano il conflitto. I vostri interlocutori
locali saranno stati i vostri informatori. Magari farete ancora domande,
che però potranno suonare ipocrite; è altrettanto probabile che le
persone del posto comincino a farvi domande sulla situazione locale.
La soluzione può apparire brutale, ma ha i suoi buoni motivi: il tempo è
scaduto, passate a qualche altro conflitto, salvo tornare indietro quando
ci sia una qualche novità nella situazione che la renda come nuova.
Come i diplomatici, anche gli/le operatori/trici nei conflitti possono
dover essere riciclati. D’altronde, l’obiettivo non è diventare professori
in studi di area.
Come preparazione, che cosa pensate di dover recuperare/qual è il
vostro deficit principale? Parlatene con qualcuno che vi conosca bene e
voglia aiutarvi, non denigrarvi.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
61
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I
3
UN PROFILO SOCIALE (LA RELAZIONE CON LA SOCIETÀ
1
2
3
4
5
6
IDEALE
PROBLEMI
62
Chi sono gli/le operatori/trici nei conflitti? Ognuno, chiunque, tu e
io. Tuttavia qualcuno sembra essere più uguale degli altri, in base ai
seguenti criteri:
Genere: le donne piuttosto che gli uomini. Le donne generalmente
si cimentano meno nella violenza fisica, sono più sensibili agli altri
esseri umani e ai loro bisogni fondamentali, meno impressionate dalle
strutture materiali e sociali, più olistiche, meno inclini a dominare
l’altra parte, migliori ascoltatrici. Con gli uomini i dialoghi facilmente
degenerano in dibattiti, i dibattiti in violenza verbale, ecc.
Generazione: le persone più anziane e le più giovani piuttosto che
quelle di mezza età. L’esperienza conta, e altrettanto l’idealismo; specie
se insieme.
Razza: nessuna differenza, salvo che per le relazioni sociali. Gli/le
operatori/trici nei conflitti di altre razze non si mescolano bene con i
razzisti.
Ceto: di ceto medio piuttosto che di ceto elevato. Le classi superiori
possono identificarsi di più con le élites di stato, nazionali e di classe.
Possono essere trans-statali/-nazionali, ma solo in modo molto elitario.
Potrebbero essere più promettenti persone con una buona cultura, di
ceto medio, di medio reddito, con molte interazioni con altre persone.
Nazione: nazioni morbide piuttosto che dure. Non si esclude alcuna
religione né alcuna ideologia, salvo le varianti dure, che escludono gli
altri e sono intolleranti verso chi ha fedi diverse.
Territorio: piccolo piuttosto che grande. Le persone che provengono
da stati grandi spesso assumono atteggiamenti autoritari da grande
potenza. Chi viene dalle capitali è abituato a considerare pericolose e
sotto-amministrate le periferie. Le persone che provengono da luoghi
più modesti sono più abituate a risolvere i problemi senza gli eserciti.
Le persone che fanno parte di organizzazioni non-governative sono
anch’esse abituate a risolvere i problemi senza far ricorso alla polizia e ai
soldi, e inoltre hanno una mentalità più mondialista.
Una donna non troppo giovane, di qualunque razza, di ceto medio
per status/reddito e istruzione, ispirata da una religione/ideologia
morbida, proveniente da un paese piccolo, collegata alle realtà locali
e alle ONG di tutto il mondo.
Prendere tutto ciò troppo seriamente, o prenderlo troppo alla leggera.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici
3
UN PROFILO SOCIALE (LA RELAZIONE CON LA SOCIETÀ
Anche qui, non prendete questi punti troppo sul serio, ma nemmeno
troppo poco. I conflitti più fondamentali e più duri del mondo in realtà
sono “gestiti” da persone con un profilo opposto: uomini di età media,
bianchi, di ceto elevato per status, reddito o istruzione, spesso radicati in
una religione/ideologia molto dura e intransigente (e spesso senza che se
ne rendano conto), collegati più a livello di stati e loro raggruppamenti
o a livello globale che a livello locale e di ONG. Anche se qualcuna delle
sei ipotesi elencate dovesse essere modificata, l’esperienza quarantennale
dell’autore è risolutamente a favore dell’introduzione di un maggior
numero di persone con il profilo raccomandato. Ma quello che in fondo
conta di più sono i fattori personali esposti nelle Unità 1 e 2.
D’altro canto, valide esperienze e relazioni con le ONG sono pur sempre
cruciali. I governi sono vincolati dalle regole del gioco e dai ruoli – talvolta
letali – che sostengono. Soprattutto, si presume che promuovano
l’interesse del proprio paese, che non s’identifica necessariamente con
la pace. Proprio perché ciò che fanno è potenzialmente pericoloso,
possono essere indotti sia a sopravvalutare ciò che si può ottenere
con la forza, sia ad avere timore a usarla. In effetti, i governi possono
andarsene dai luoghi in cui i volontari restano ancora. Le ONG sono
spesso più flessibili, possono permettersi di attingere alle loro esperienze
nel mondo intero per nuovi spunti, anziché solo a persone e paesi
dello stesso colore politico. In genere le ONG possono organizzare
coalizioni più velocemente dei governi. Possono oltrepassare i confini
del conflitto, costruendo le società civili. Questo ovviamente ha portato
molti governi a operare mediante ONG, che allora diventano OGNG
ambigue, “organizzazioni governative/non-governative”. Ma perfino
queste possono essere più flessibili e costituire una proiezione “dal
volto umano” del proprio governo, forse in particolare quando vi siano
coinvolte delle donne.
Tale atteggiamento è una forma di patrocinio verso le donne? È
essenzialista, preconcetto/discriminatorio verso gli uomini? E com’è
riguardo alle altre dimensioni, quali generazione, razza, classe, nazione,
paese d’appartenenza? E se si trascurasse del tutto il profilo sociale,
focalizzando l’attenzione solo sulla personalità individuale?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
63
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I
4
LA RELAZIONE CON GLI ALTRI, CON LE PARTI IN CONFLITTO
L’atteggiamento di base verso le parti interne in un conflitto dovrebbe
essere il rispetto, anche quando non siete in grado di provare alcuna
simpatia, o di comprendere la loro causa a livello intellettuale.
Considerate quanto segue:
tutti loro vogliono decisamente conseguire qualche obiettivo, altrimenti il conflitto non sarebbe così serio rispetto all’entità del loro coinvolgimento e delle possibili conseguenze. Le altre parti vengono viste come
ostacoli che bloccano il conseguimento dei loro obiettivi. Se l’altra parte è altrettanto risoluta a non cedere su qualche suo obiettivo, del tutto
o in parte, allora sono preclusi sia il ritiro che il compromesso. Se, per
giunta, non sono in grado di trascendere il conflitto, “andando al di là”,
esplorando nuove vie d’uscita, allora le parti sono bloccate. Come la
maggior parte degli esseri umani, tenderanno a dare la colpa agli altri,
alle parti che gli stanno tra i piedi. E così s’instaurano atteggiamenti distruttivi, che passano via via dai pensieri o dai desideri alle parole e poi
alle azioni, per fare fuori l’altra parte. La violenza, in una parola.
Nessuno ne è immune, a casa, a scuola, al lavoro. Dovreste riconoscerla,
quando la vedete. Ma voi avete un vantaggio: dato che siete una parte
esterna al conflitto, gli obiettivi delle parti interne per voi non sono
altrettanto costrittivi. Quindi non siete bloccati come lo sono loro,
ma – in linea di principio – siete liberi di essere creativi, insieme a
loro. Il vostro compito è aiutarle a liberare la loro creatività e la vostra,
mediante il dialogo.
GIUSTIFICAZIONE
Il dialogo, lo strumento chiave in questo approccio, presuppone il rispetto reciproco, da pari a pari. Il vostro compito consiste nel rispettarli, e nel meritare il loro rispetto.
PROBLEMI
Invece di rispettare gli/le altri/e, potreste essere tentati di:
• psichiatrizzare, considerandoli alla stregua di malati mentali, da
curare;
• criminalizzare, considerandoli come degli immorali, da punire;
• idiotizzare, considerandoli semplicemente come degli stupidi, da
educare.
Se fate così, vi mettete al di fuori dell’approccio rispettoso raccomandato
qui. Cercate di recuperare questo rispetto per l’Altro/a. Un giorno, l’Altro/a
potreste essere voi.
64
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici
4
LA RELAZIONE CON GLI ALTRI, CON LE PARTI IN CONFLITTO
A questo punto val la pena rammentare gli atteggiamenti standard che
di solito abbiamo, tutti quanti, verso le parti in un conflitto. Vediamo
le parti e i loro obiettivi. Di solito ci identifichiamo di più con una
parte (o con un gruppo di parti) che con l’altra, e di solito più con un
obiettivo che con gli altri. La formula è semplice: ci identifichiamo di
più con coloro che sono più simili a noi (per età, genere, razza, classe,
nazionalità, paese, raggruppamento internazionale) e con gli obiettivi
(religione/ideologia) più simili ai nostri. E dall’identificazione al
desiderio che siano loro a prevalere il passo è breve.
In breve, dicotomizziamo, suddividendo la formazione conflitttuale in
due parti perché è la cosa più facile da fare, e trattiamo gli obiettivi
alla stessa stregua. L’unico problema ci si pone quando la parte/le parti
che ci è/sono più congeniale/i tende/tendono ad avere gli obiettivi che
ci sono meno congeniali e viceversa. Ma di solito la nostra mente ci
protegge da dilemmi del genere con formule del tipo: “questo è soltanto
quello che dice, ma in fondo quello che effettivamente intende è...”.
All’operatore/trice nei conflitti si richiede davvero di mettere da parte
tutto questo in favore di un atteggiamento più simmetrico riguardo
alle parti e ai loro obiettivi, di ascoltare pazientemente nei dialoghi le
loro verità, di fare delle verifiche, forse anche di protestare, ma senza
condannare o rifiutare mai nessuno. Inoltre ci si aspetta che egli/ella
veda ciò che succede alle parti in un conflitto come una cosa normale,
e un test consiste proprio nel chiedersi come avrebbe effettivamente
reagito egli/ella stesso/a in un conflitto simile.
Come funziona quanto appena detto per un medico? Immaginiamo
che egli/ella suddivida i pazienti in gradevoli e non, favorendo gli
uni e rifiutando gli altri per le cure. Un medico, in qualche modo,
deve accettarli tutti, senza badare a età, genere, razza, classe, nazione,
territorio. Deve cercare di assisterli tutti, evitando idee come “questo è
quello che si meritano”, “devono soffrire ancora prima di essere maturi
per la cura”, “non sono ancora maturi”.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
65
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO I
5
GLI/LE OPERATORI/TRICI NEI CONFLITTI: E L’OBIETTIVITÀ?
Si dice spesso che un/a operatore/trice nei conflitti dev’essere obiettivo/a,
neutrale. Bene, ma cosa significa? Nella selezione dei membri di una
giuria, uno dei criteri è che le persone non abbiano alcuna posizione
predefinita, ma siano pronte ad ascoltare le prove e le argomentazioni
pro e contro. Le persone devono iniziare come una tabula rasa, una
lavagna pulita, senza essere esposte alla presentazione del caso nei
media. Ma questo presuppone un isolamento sociale incompatibile con
l’impegnativo lavoro nella giuria.
La richiesta più blanda di “un’esposizione al caso, ma senza una presa di
posizione”, per indicare una persona che può essere “informata” senza
essere però “impressionata”, definisce anch’essa un essere abbastanza
strano. Piuttosto, il vostro compito consiste nell’ascoltare tutte le parti,
e poi nell’essere creativi, magari cercando di favorirle tutte almeno un
po’. Il temine modesto di “operatore/trice” porta con sé quest’idea, a
differenza di “gestore”, manager.
L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe essere abbastanza vicino a ogni
parte per avere una conoscenza sufficiente del conflitto, e tuttavia
abbastanza distante da non essere troppo attaccato/a ad alcune parti a
spese delle altre.
Ma l’essenziale è l’obiettività nel senso di avere criteri espliciti per
formulare opinioni e proposte, quali i bisogni e i diritti umani
fondamentali. Non va altrettanto bene essere “obiettivisti” e semplicisti,
alla ricerca di un risultato equidistante, nel mezzo (da “mediatore”). Il
compromesso è di solito un risultato non creativo, in quanto opposto a
un trascendimento. Meglio giocare apertamente, con criteri espliciti, e
cercare qualcosa di nonviolento, creativo e costruttivo.
GIUSTIFICAZIONE
Le parti hanno diritto di sapere chi sia l’operatore/trice nei conflitti, nel
senso di conoscere le basi per le posizioni che assume. Quindi, questi
criteri possono e devono essere esplicitati.
PROBLEMI
L’operatore/trice nei conflitti verrà giudicato/a sulla base di dati di
fondo, quali nazionalità, cittadinanza, genere ecc. Criteri espliciti, quali
la nonviolenza e la creatività, possono essere utili, ma possono anche
diventare una gabbia del pensiero, insufficiente a sopportare il carico di
conflitti complessi.
66
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO I – Manuale dei/lle formatori/trici
5
GLI/LE OPERATORI/TRICI NEI CONFLITTI: E L’OBIETTIVITÀ?
Queste considerazioni verranno riprese in seguito. C’è un certo scetticismo verso il termine “mediatore” in quanto può indicare l’assunzione di
una posizione “nel mezzo” e una preferenza per il compromesso, mentre
vengono trascurati il ritiro e soprattutto il trascendimento.
Il termine può anche suggerire il fare la spola fra le parti, allo stesso
tavolo o no. Il che può essere utile, ma può anche non esserlo. Può
anche darsi che la chiave per la trasformazione del conflitto risieda
in una delle parti soltanto, come quando gli statunitensi bianchi
abolirono la schiavitù, o come quando il blocco orientale nella guerra
fredda si dissolse all’improvviso, implose. Quel che accadde non fu un
compromesso risultante da una mediazione; non ci fu alcun negoziato,
né alcun accordo: semplicemente, una parte/un ruolo sparì.
Un altro punto è l’obiettività come esplicitazione. Questo è un
ammonimento contro la tentazione della manipolazione. L’operatore/
trice nei conflitti dovrebbe esplicitare quali sono i valori fondamentali,
come “rispettare i bisogni e i diritti fondamentali”, “evitare la violenza”,
“essere creativi”. E il metodo: il “dialogo”, basato sull’“empatia”.
Un possibile punto d’ancoraggio per il lavoro sul conflitto (e anche per
il lavoro per lo sviluppo) sono i bisogni umani fondamentali. Eccone
un breve elenco:
SOPRAVVIVENZA
Morte
BENESSERE
Miseria
LIBERTÀ
Repressione
IDENTITÀ
Alienazione
BISOGNI FONDAMENTALI
Contrari
Non si dovrebbe cercare di metterli in un ordine gerarchico, dando la
priorità a uno di loro rispetto agli altri, perché sono tutti fondamentali,
non-negoziabili, basilari. L’operatore/trice nei conflitti non farà mai
grossi errori se li richiede tutti e quattro per tutte le parti in un conflitto.
Il che significa preoccuparsi maggiormente delle parti che hanno
maggiori deficit da colmare nei bisogni, cercando di promuovere un
trascendimento in loro favore senza creare carenze analoghe nelle altre
parti. E qualsiasi accordo che non rispetti i bisogni fondamentali delle
parti è un fallimento.
Immaginate di essere un/a operatore/trice nei conflitti ai tempi della
schiavitù.
• Cosa vorrebbe dire “obiettività”?
• Essere una “terza parte”?
• Neutralità?
• Compromesso?
• Trascendimento?
• Che cosa proporreste voi?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
67
IL DIALOGO
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO II
UNITÀ 6 - 10
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II
6
LO STRUMENTO DELL’OPERATORE/TRICE NEI CONFLITTI
Il dialogo (διάλογος), mediante le parole, è il metodo chiave degli/lle operatori/trici nei conflitti-per la pace. Tale metodo sta ad altri
approcci più duri come la psicanalisi sta alla psichiatria. Lo strumento è
la parola, logos: non solo proferire la parola, ma condividere la parola,
insieme. Un “dialogo” è un brainstorming reciproco. Un buon modello
è la conversazione: rilassata (prestate attenzione al linguaggio corporeo!), godendo del flusso delle parole. Nessuno parla per più di X (60?)
secondi alla volta, ascoltando, facendo associazioni, senza combattere.
Un altro modello è un buon seminario/convegno: siete lì per aiutare
gli altri, arrivando insieme a riflessioni profonde, che non sono proprietà o trofeo di qualcuno, bensì appartengono a tutti/e – senza degradare
o umiliare gli/le altri/e.
La storia che le parti raccontano, la loro verità, può essere la storia
più importante della loro vita. Ascoltate. Fate domande e verifiche,
date aiuto, mostrate rispetto. Se credete di avere già la risposta e che
il vostro lavoro consiste solo nel persuadere quei matti/criminali/
imbecilli, siete sulla strada sbagliata. Un indicatore di quella giusta è
la capacità di concludere le vostre frasi con punti interrogativi anziché
esclamativi. Un altro è la vostra capacità di imparare. Mai promettere
ricompense o minacciare punizioni. Il vostro compito è facilitare un
loro cammino verso la trasformazione del conflitto, facendo emergere le
loro intuizioni, aumentando la loro capacità di essere creative. Il vostro
metodo è cognitivo ed emozionale, non ha niente a che fare col potere
del bastone (militare) o della carota (economico).
GIUSTIFICAZIONE
Non si può fare tutto con le parole e con il linguaggio corporeo. Ci
sono approcci “muscolosi” più duri, stile bastone e carota; ma non
nell’àmbito di questo lavoro morbido sul conflitto, che ne ricerca la
trasformazione con mezzi pacifici.
PROBLEMI
Ci sono due trappole principali. Un primo pericolo è che, in realtà,
promettiate ricompense e/o minacciate castighi, cioè che abbandoniate
l’incontro di menti e spiriti in cerca di vie d’uscita. E l’altro pericolo
è lo slittamento dal dialogo al dibattito su “chi ha ragione”, nel
tentativo d’imporre la vostra “soluzione”. Il vostro compito non è
lottare verbalmente con gli altri, bensì comprendere le loro verità
tanto profondamente quanto loro stessi/e, e poi cercare un risultato
accettabile, sostenibile.
70
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici
6
LO STRUMENTO DELL’OPERATORE/TRICE NEI CONFLITTI
Il linguaggio corporeo è una parte importante del dialogo, e dipende a
sua volta dal setting. Le sedie dovrebbero essere comode, in modo che
il corpo si rilassi invece di stare diritto, come se si aspettasse momenti
di tensione, pronto a correre o a combattere; e non dovrebbero essere
disposte una di fronte all’altra, perché così si indica una contrapposizione, ma piuttosto essere quasi parallele, come se guardassero insieme
un obiettivo lontano, appena angolate per favorire il contatto visivo
reciproco.
Affinché uno scambio verbale sia davvero un dialogo, nessuna parte
dovrebbe avere idee troppo definite su una qualche conclusione, né
sulla propria, né su quella che – nelle sue speranze – dovrebbe essere la
conclusione altrui. Ricordate sempre che il “dia” del “dialogo” non sta
per “due”, per cui il dialogo è aperto a qualsiasi numero di interlocutori
possa prender parte in modo confortevole a una conversazione;
probabilmente non più di sette. Potrebbe non esserci neppure una
conclusione, il processo essendo più importante del risultato. Ma la prova
che c’è stato davvero un dialogo è data dalla sensazione di arricchimento
e dal desiderio condiviso di continuare. Cercate di terminare la sessione
con un qualche giustificato ottimismo.
Come esempio di un non-dialogo, leggetevi un qualsiasi dialogo di
Platone, senza badare a tutta la saggezza che fluisce dalla bocca di
Socrate, bensì prestando attenzione a quello che “l’altro” dice:
– Sì, Socrate.
– Ben detto, Socrate.
– Adesso capisco, Socrate.
E così via. Il problema è che molti hanno Socrate come modello di
dialogo, senza riflettere su cosa significhi: un modo brillante di far
valere il proprio punto di vista usando la forma dialogica per discutere
su obiettivi.
Provate a dialogare in coppia senza discutere. Trovate una tematica su
cui nessuno dei due abbia una posizione ben netta, poi provate a passare
a una tematica più controversa. Riprovate. Riprovate ancora. È così
facile come credevate?
ESERCIZIO
Quale tipo di tematica era più gestibile nel dialogo e quale meno?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
71
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II
7
SEPARATAMENTE O CON TUTTE LE PARTI ATTORNO A UN TAVOLO?
Quello che si raccomanda qui è di non mettere insieme le “parti”.
Prima o poi potrebbero doversi incontrare, ma non cedete all’ossessione
diplomatico/politica di “riunirle attorno a un tavolo”. Ecco alcune delle
tante ragioni:
1
2
3
4
5
6
Il tavolo può servire come continuazione della guerra con mezzi verbali,
passando dalla violenza fisica a quella verbale, dagli spari alle urla, dal
conflitto basilare al meta-conflitto.
Le parti si trovano sotto una duplice pressione negoziale: quella esercitata
dalle altre parti e quella esercitata dai propri rappresentati o dai propri
superiori, relativamente ai mandati che hanno ricevuto.
In questo tipo di setting qualsiasi speculazione, qualsiasi segno di
creatività può essere interpretato come debolezza e quindi non venir
espresso.
Un grande pericolo è che questa ripetizione verbale della logica militare
possa essere usata da “terze parti”, come qualche grande potenza, per
dominare la situazione di stallo – e infatti esse spesso “presiedono”
questi campi di battaglia verbali.
Il tavolo può anche trasformare i partecipanti in altrettanti ipocriti
che si impegnano in una gara di autocolpevolizzazione e di offerte
stravaganti.
La tesi che debbano imparare a vivere l’uno con l’altro presuppone
la convivenza come risultato, mentre può essere molto meglio la
separazione o un atto unilaterale che faccia svanire il conflitto (come
nell’autunno 1989 nell’Europa Orientale).
Piuttosto, l’operatore/trice nei conflitti-per la pace dovrebbe sedersi
con ciascuna delle parti, una per volta, facendo verifiche (Socrate!),
immaginando possibili futuri insieme, senza fare negoziati. Il compito
è quello di comprendere e contribuire a liberare la creatività di quella
specifica parte, e la presenza di qualunque altra parte può impedire
questo processo. Si dovrebbe fare così con tutte le parti, una alla volta,
meglio se contemporaneamente, il che richiederebbe un gruppo di
operatori/trici nei conflitti.
GIUSTIFICAZIONE
Riunire le parti attorno a un tavolo sotto una presidenza ispirata è
soltanto uno dei vari approcci praticabili. Il do ut des mirato a risultati
di compromesso vale quanto l’argento; la creatività per andare oltre
(“trascendere”) vale quanto l’oro. Un’atmosfera cooperativa/creativa
non emerge facilmente fra parti timorose di sembrare deboli, o che
semplicemente si odiano.
PROBLEMI
Ovviamente, ciascuna parte chiederà: “Come reagiscono gli altri a
questo tipo di proposte?”. Voi potete fare da intermediario, da navetta;
potete incoraggiare un contatto diretto; potete dire: “Un momento,
sviluppiamo la cosa un po’ meglio”. Ma non dovreste mai rivelare le
posizioni delle altre parti, a meno che non lo vogliano loro stesse.
72
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici
7
SEPARATAMENTE O CON TUTTE LE PARTI ATTORNO A UN TAVOLO?
Per favore, tenete presente che questa non è un una presa di posizione
generale contro i tavoli, bensì solo contro la “tavolomania”, contro il
voler far incontrare le parti prematuramente. Le parti possono non essere
pronte a incontrarsi attorno a un tavolo. Ci sono buoni motivi per cui
i terapeuti delle famiglie tendono a parlare, in un primo momento, con
un familiare per volta. Il tavolo può dare l’illusione che stia succedendo
qualcosa, può persino offrire una concreta opportunità per una foto di
gruppo, mentre, in realtà, non è che un setting per monologhi paralleli,
spesso violenti e non creativi.
D’altro canto, il tavolo è uno spazio pubblico che ha il vantaggio di
rendere visibile e udibile a tutti qualsiasi cosa vi accada. Ma attenzione: è
proprio per sfuggire a questo che le parti s’incontrano bilateralmente, nei
corridoi e altrove, il che rafforza la tesi che potrebbe essere più produttivo se incontrassero anche un operatore/trice nei conflitti esperto/a.
Molte parti attorno a un tavolo possono essere “gestite” da un presidente,
definibile allora propriamente come “gestore di conflitti” (il che può
anche costituire una forte motivazione per questo tipo di approccio).
Molte parti impegnate in dialoghi con operatori/trici nei conflitti
potrebbero richiedere tanti/e operatori/trici nei conflitti quante sono le
parti stesse, con ciascun operatore/trice che si specializza nel trattare con
una data parte in base ai livelli di empatia. Ciò permetterebbe di poter
condurre i dialoghi contemporaneamente con ciascuna parte, anziché
in sequenza, cosa che potrebbe ingenerare il sospetto che la prima parte
contattata definisca l’agenda a proprio beneficio.
Inoltre sarebbe possibile specializzarsi nella relazione con determinate
parti. Ovviamente, gli/le operatori/trici nei conflitti dovrebbero lavorare
come una squadra, condividendo le riflessioni. E potrebbero anche
dover affrontare qualche tensione del conflitto originario, ma a un
livello più basso, come quando un inviato di Castro che sta negoziando
con i Tupac Amaru ha un dialogo con un inviato del Papa che sta
negoziando con il governo peruviano (v. l’esempio proposto prima, Il
Metodo TRANSCEND in un’occhiata: un esempio, a pag. 14).
Provate a fare un gioco di ruolo, immaginandovi proprio nei quattro
ruoli suddetti. Provate a esercitare l’empatia, scrivete una scenetta,
recitatela anche!
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
73
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II
8
RIFLESSIONI SUL SETTING
Di fondo, il setting è in sé indifferente, può essere qualsiasi posto in
qualsiasi momento. Sarebbe auspicabile che fosse rasserenante per lo
spirito, piacevole allo sguardo (ma non talmente bello da diventare fonte di disturbo), all’udito (né rumoroso, né mortalmente silenzioso; si
può anche aggiungere un po’ di buona musica), all’odorato e al gusto:
mangiare insieme, con buoni cibi e buone bevande, è un’ottima cosa;
vanno bene anche le passeggiate insieme. Potrebbe anche andar bene,
se fatto con cautela, riunire insieme tutte le parti e i/le rispettivi/e operatori/trici nei conflitti; ma non è detto che siano pronte a tanto, perché i dialoghi possono non essere giunti a uno stadio sufficientemente
avanzato.
La regola fondamentale è la concentrazione, l’ascoltare attentamente la
voce dell’Altro e le voci interiori nel Sé. Ci sono vari modi di accorgersi di
quando una parte è “matura”, ha delle idee ed è disposta a condividerle.
Se fosse possibile, il tempo non dovrebbe avere un limite definito. Un
termine temporale prefissato non va bene; può indurre un senso di
fallimento se i partner non sono capaci di utilizzare produttivamente il
tempo loro assegnato.
Se sono presenti altri soggetti (come l’ospite, l’organizzatore, le persone
affette da presenzialismo, il ricercatore in cerca di dati per una tesi, per
avanzare ipotesi, o per produrre materiale didattico), le parti in dialogo
hanno il diritto di sapere chi siano costoro, perché stiano lì, e di chieder
loro di andarsene se li trovano d’ostacolo. Siccome il modello è una
conversazione a ruota libera, tali persone in genere non c’entrano. I
partecipanti al dialogo dovrebbero essere liberi di fantasticare e venir
liberati da qualsiasi pressione a mettersi in posa per degli estranei,
giornalisti inclusi, per non dire dottorandi che raccolgono dati. Si
dovrebbe anche evitare di registrare e prendere appunti perché è
sconveniente in una buona conversazione.
GIUSTIFICAZIONE
Tutto ciò serve a facilitare il libero flusso delle idee e l’emergere di
idee nuove, a scoraggiare la degenerazione dei dialoghi in dibattiti e
l’assunzione di pose per le altre parti e per terze parti di ogni sorta.
PROBLEMI
Può risultare difficile vivere con la pressione di arrivare a qualcosa di
nuovo; quindi date un grande benvenuto anche a piccole idee.
74
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici
8
RIFLESSIONI SUL SETTING
Di solito gli hotel non sono posti da raccomandare se ci sono altri ospiti;
inoltre possono avere troppi aspetti che distraggono l’attenzione. Ci sono
invece buone ragioni in favore di luoghi appartati, persino di monasteri
di ordini religiosi, anche per ispirare rispetto per l’occasione. In questa
fase della trasformazione di un conflitto bisogna evitare qualsiasi cosa
che possa ricordare un tavolo negoziale. Si deve anche cercare di non
rendere troppo bello il contesto: può sì innalzare lo spirito e creare una
sensazione di adempimento, ma questa sensazione può essere appunto
dovuta più al contesto che a un qualsiasi testo prodotto dalle parti stesse,
e inoltre può dissolversi velocemente.
Mentre si attua un brainstorming o analoghe pratiche seminariali, specialmente quando siano presenti varie parti e operatori/trici nei conflitti, certi semplici strumenti tecnici risultano utili. Lavagne tradizionali, lavagne a fogli mobili e/o fogli alle pareti, con gessi e pennarelli in
quantità – a disposizione di tutti, non solo del conduttore – servono a
rendere le idee più visibili, quando la conversazione comincia a produrre idee. Ricordatevi che quello che un/a partecipante può avere a
disposizione nella sua testa per un uso produttivo in un dato momento
è limitato.
Si possono stabilire relazioni fra le idee emerse numerandole, raggruppandole, tracciando frecce e così via. Se le idee vengono trasposte su
schede, si può effettuare l’operazione perfino fisicamente, con un politico e un/a operatore/trice nei conflitti accovacciati insieme a sistemarle
sul pavimento. Ma potete anche usare un tavolo!
Disegnate con una matita un buon setting per un buon dialogo. Fatelo
semplice, non dispendioso, ma attraente.
ESERCIZIO
Avviate un dialogo sui disegni appena fatti, in modo da moltiplicarli e
migliorarli; usate lavagne, blocchi di fogli appesi e schede per organizzare
le idee emerse. È meglio pensarci in anticipo: il tempo può essere scarso
quando un conflitto si surriscalda.
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
75
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II
9
LA PROSPETTIVA SOCIALE PROFONDA
Il Medio Evo è ancora con noi. La guerra è ancora vista come una
responsabilità delle élites: se le guerre hanno origine nelle menti delle
élites, allora sarà nelle menti delle élites che le guerre vengono concluse.
Tutto sbagliato. I soggetti passivi di quei tempi andati sono i cittadini
d’oggi potenzialmente attivi, consapevoli e istruiti almeno come la gran
parte dei diplomatici e degli statisti, che richiedono di assumersi la loro
quota di responsabilità per la guerra come per la pace. L’operatore/trice
nei conflitti opera con la gente comune, con le élites e con i livelli intermedi. L’operatore o l’operatrice nei conflitti si rivolge allo Stato (ai suoi
poteri legislativo ed esecutivo), al Capitale (persone chiave del mondo
degli affari sono molto importanti), alla Società Civile (ONG, istituzioni accademiche, religiose, ideologiche), ai Media, cercando ovunque
di liberare idee creatrici di trasformazione.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
Approccio sbagliato
Proposta
Approccio sbagliato
Proposta
Approccio sbagliato
Proposta
L’idea che il lavoro sui conflitti sia appannaggio di leader/élites è
incompatibile con gli ideali democratici di partecipazione popolare,
con la partecipazione creativa di ognuno/a. Siamo tutti motivati, in
quanto vittime o beneficiari dei conflitti.
Per riassumere/anticipare trappole e proposte:
“Fateli incontrare intorno a un tavolo!”.
Il “tavolo” può andar bene al termine di un percorso che prepari le parti
a un nuovo inizio, mediante l’empatia, la nonviolenza, la creatività.
L’operatore/trice nei conflitti è un/a interlocutore/trice di ogni parte, e
non usa il bastone e la carota per imporre loro una “soluzione”.
Tavoli che riuniscono soltanto i leader/le élites.
Fate fiorire diecimila dialoghi, fra le élites e la gente, fate confluire tutte
le idee in un serbatoio per la pace, un Bacino Nazionale Lordo delle
Idee (BNLI).
I leader firmano accordi negoziati/ratificati.
È utile come elemento di un processo di pace, ma l’approccio è elitario,
addirittura feudale. È meglio un processo di pace negoziato con referendum popolari, revisione e reversibilità.
Il problema concreto con questi tre “approcci sbagliati” è che sono
così intessuti nella nostra cultura sulla pace e sui conflitti che la gente
ha difficoltà a scorgere alternative. Mirate a dialoghi profondi che si
sommino ai tavoli, alla gente comune oltre che alle élites, alla struttura
e alla cultura, anziché alle sole parole.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici
9
LA PROSPETTIVA SOCIALE PROFONDA
L’approccio convenzionale al conflitto si basa su una prospettiva sociale
superficiale che coinvolge solo i vertici. Esempio ne fu/è il conflitto in
e per la Iugoslavia, che ha coinvolto a Dayton in Ohio solo tre persone
(i presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia), gestite da un diplomatico
statunitense. La prospettiva sociale profonda coinvolgerebbe invece vari
gruppi della società civile, non solo uomini di stato e leader nazionali.
Il risultato sarebbe una serie di dialoghi paralleli. Nel caso iugoslavo le
persone selezionate per il tavolo negoziale erano prevalentemente dei
“signori della guerra”, mentre erano trascurate le “signore della pace” di
ogni parte del paese e la gente in generale, che s’incontrava e dialogava
ovunque in Iugoslavia, nei villaggi, nei bar, nei ristoranti. Le idee che
ne emergevano andarono disperse, senza registrazione, comunicazione
e attenzione, il che equivale a uno spreco enorme di energie umane,
per focalizzarsi su idee forse neanche tanto buone di una manciata di
politici di vertice maschi.
Come rendere visibili e udibili informaticamente le idee emerse in
centinaia o forse migliaia di dialoghi? Come organizzare un flusso
elettronico di idee verso la società?
Ecco alcune proposte da vagliare:
ESERCIZIO
• fare animare/stimolare i dialoghi da operatori/trici nei conflitti,
registrando sistematicamente le idee che ne emergono;
• pervenire a un formato standard come Idea/Giustificazione/
Problemi;
• praticare una guida garbata dei dialoghi per toccare tutti i tre
aspetti;
• far fluire tutte le idee in un qualche punto centrale;
• molte idee saranno essenzialmente identiche, per cui è opportuno
arrivare a una formulazione comune che le includa tutte (si conservino
però le formulazioni originali);
• altre idee possono essere non-tanto-buone (si conservano lo stesso per
un momento successivo?);
• pubblicare il resto, dare premi, e festeggiare il Bacino Nazionale
Lordo delle Idee (BNLI).
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
77
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO II
10
LA PROSPETTIVA A LUNGO TERMINE
Il lavoro profondo sul conflitto è ad alta intensità di lavoro e di tempo,
per cui politici, militari e mercanti prendono scorciatoie.
I politici possono tendere a dettare “soluzioni” sopra la testa della
gente per sopravvivere politicamente, specialmente nelle democrazie,
vincendo le successive elezioni.
I militari possono tendere a imporre “soluzioni” di forza alla svelta per
sopravvivere militarmente, per rimpatriare le truppe per Natale e così
via.
I mercanti possono tendere a comprare “soluzioni” alla svelta per
sopravvivere economicamente, per esempio quando gli azionisti esigono
dividendi.
Piuttosto che dettare, imporre o comprare “soluzioni”, sarebbe meglio
combinare l’analisi profonda del conflitto con i bisogni e i diritti umani
fondamentali della gente comune coinvolta in un conflitto. Il fine è
pervenire a risultati accettabili e sostenibili, non solo per i leader o le
élites, bensì per quante più persone possibile, impiegando tutto il tempo
necessario per farlo. Come sempre in politica il problema è non solo se i
leader si accordano, ma anche se la gente concorda con i propri leader.
Il giardinaggio come metafora
1 Seminare: sviluppare idee, offrire immagini, prospettive;
2 innaffiare, diserbare: osservare, nutrire, setacciare le idee e curarle;
3 raccogliere: quando le idee sono maturate abbastanza in un numero
sufficientemente grande di persone.
GIUSTIFICAZIONE
L’intervento sul conflitto da parte degli kshatriya (i militari) e dei
vaishya (i mercanti) è molto spesso del tipo “bastone e carota”, piuttosto che basato sul ragionamento (con argomentazioni e dati). I politici negoziano e ragionano, ma dall’alto. È necessario che un maggior
lavoro sul conflitto venga svolto da intellettuali/professionisti/religiosi
(bramini) e dalla gente comune (shudra), senza particolari deformazioni professionali.
PROBLEMI
Ovviamente un grosso problema è che può volerci troppo tempo
per la creatività; dal che deriva la necessità di alimentare un processo
continuo e di costruire sull’ottimismo che emana da idee nuove, capaci
di trascendere. Un cambiamento del linguaggio e del discorso può già
essere un primo passo per trasformare un conflitto.
78
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO II – Manuale dei/lle formatori/trici
10
LA PROSPETTIVA A LUNGO TERMINE
Ci sono due ragioni per estendere la prospettiva temporale. Le élites
hanno troppa fretta per via delle esigenze pressanti di sopravvivenza
politica, militare, economica. E anche la gente ha fretta, dato che
lotta per la mera sopravvivenza fisica. Ma è più interessata a soluzioni
durevoli. I conflitti violenti apporteranno in genere meno benefici alla
gente che alle élites, le quali possono convertire la violenza in prestigio
politico, fama militare o profitto economico. La gente – le donne, i
giovani e gli anziani – preferisce risultati nonviolenti e creativi. Che
però richiedono tempo. Cominciate adesso! Aspettare che un conflitto
“maturi” è la prospettiva degli uomini di mezz’età e dei vecchi.
D’altronde, i conflitti sono complessi, ci sono molti fattori all’opera,
come sarà chiaro dopo aver considerato le unità sul conflitto e la violenza
e su teoria e pratica. Per un buon lavoro ci vuole tempo; è probabile che
con meno tempo il lavoro sia trasandato. Inoltre, affinché emerga una
trasformazione meno superficiale deve arrivare in soccorso un po’ di
creatività, e quanto più creativa sarà un’idea, tanto più tempo ci vorrà
perché la gente ci si abitui. In breve: quantità di tempo per qualità di
lavoro sul conflitto. Il prezzo pagato per la creatività è il tempo che ci
vuole perché la gente si abitui alle novità, e più ancora per realizzarle.
La questione è se quel lasso di tempo sia disponibile. Se è già scoppiata
la violenza c’è poco tempo, per via delle sofferenze che porta con sé.
Ma la tesi qui sostenuta è, ovviamente, di non aspettare l’eruzione
della violenza, che comprime l’orizzonte temporale e incide anche sulla
prospettiva del conflitto, con una focalizzazione sul meta-conflitto che
giunge al punto di far dimenticare il conflitto soggiacente.
Trovate un esempio di conflitto nel mondo d’oggi dove, secondo voi,
bisognerebbe cominciare fin d’ora a intervenire, anche per evitare che il
conflitto entri nella II Fase, la violenza.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
79
TEORIA DEL CONFLITTO
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO III
UNITÀ 11-15
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III
11
IL TRIANGOLO ATTEGGIAMENTO – COMPORTAMENTO (Behavior) –
CONTRADDIZIONE
Il punto centrale del lavoro sul conflitto è il conflitto stesso, un
termine usato spesso, ma non ben compreso. Da qualche parte vi è una
incompatibilità o Contraddizione (C): un obiettivo si contrappone a
un altro. Qualcuno vuole una porzione di territorio, qualcuno vuole il
controllo dello stato, qualcuno vuole aver ragione; e qualcun altro vuole
esattamente le stesse cose. Ma l’Atteggiamento (A) e il Comportamento
(B, da Behavior) sono altrettanto fondamentali, per cui:
Conflitto = A + B + C
Ci sarà odio/sfiducia verso l’Altro che si contrappone o verso se stessi,
in quanto apatici/irresoluti. Può allora svilupparsi la violenza, fisica
o verbale contro quell’Altro odiato o quel Sé disprezzato. La violenza
introduce un meta-conflitto (come il cancro che induce le metastasi)
sulla contraddizione fra il non essere molestati e il ricorrere alla violenza
per infliggere un danno, e sul vincere. I meta-conflitti assumono una
vita propria, cacciando nell’ombra il conflitto originario che risiedeva
nell’incompatibilità, nella contraddizione primaria.
Ma in ogni contraddizione ci sono anche potenzialità per nuove relazioni
con l’Altro (come condividere il territorio, ricorrere alla democrazia
per decidere chi detenga il potere, comprendere insieme che la Verità
è un processo, da sviluppare tramite un dialogo). C’è il pericolo del
Conflitto come Distruttore, ma pure la promessa del Conflitto come
Creatore. Il triangolo ABC può diventare un triangolo odio-violenzablocco: tutte le parti si irrigidiscono, la polarizzazione e l’escalation della
violenza aumentano. Ma può anche diventare un triangolo di sfida,
cooperazione e aperture. Il compito è far leva per aprire questo triangolo,
incoraggiando un atteggiamento di apertura, un comportamento di
autolimitazione e molta, molta creatività.
PROBLEMI
Una piccola anticipazione: la terminologia è importante per evitare
errori cruciali.
Uso sbagliato delle parole
Conflitto = violenza.
Non identificare mai il conflitto con la violenza, perché entrambi i concetti sono ben più ampi. Il conflitto può sviluppare un meta-conflitto
sulla violenza diretta, ma – prima e dopo – la violenza strutturale/culturale può essere anche più insidiosa, in quanto meno visibile. I conflitti
hanno anche aspetti positivi. Tali formule provengono spesso da persone che hanno paura dei semi di cambiamento.
Proposta
Uso sbagliato delle parole
Proposta
82
Tregua/cessate il fuoco = pace.
Non identificare mai la tregua che pone fine alla violenza diretta, al
meta-conflitto, con la pace; parlare in tal modo può perfino nascondere
il conflitto originario. “Pace” o “processo di pace” significano riduzione
di ogni tipo di violenza, così da poter trattare i conflitti in modo più
nonviolento e creativo in futuro.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici
11
IL TRIANGOLO ATTEGGIAMENTO – COMPORTAMENTO (Behavior) –
CONTRADDIZIONE
Il triangolo ABC può servire da lista di controllo, ricordando sempre che
il conflitto risulta dalle tre componenti A+B+C (v. anche il Capitolo
Teoria e pratica del conflitto: una prospettiva, da pag. 16). Molte delle
trappole che scattano in un lavoro inadeguato sul conflitto derivano dalla
mancata osservanza di tale regola. Quindi, per dirla espressamente:
il focalizzare l’attenzione solo sugli atteggiamenti porta a ritenere
che i problemi derivino da menti stravolte dall’odio o distorte, decisamente bisognose di conversione religiosa/ideologica, di psicoterapia e/o
di educazione alla pace e al conflitto, rimanendo ciechi/e di fronte al
fatto che anche la mente più normale può uccidere o tollerare le uccisioni quando le contraddizioni che frustrano le persone si protraggono
nel tempo. La cristianità può aver reso meno rancorosi gli schiavi, ma la
schiavitù non è scomparsa per questo. Questa è la fallacia liberale, che
persegue solo l’edificazione della mentalità giusta.
Il focalizzare l’attenzione solo sul comportamento è molto frequente,
dato che è lì che risiede la violenza. Sottomettere le persone può servire
a spazzare sotto il tappeto la violenza, il “guaio”, rendendola meno
evidente, ma può benissimo non influire affatto sulla contraddizione
soggiacente. Questa è la fallacia conservatrice, che bada solo al
comportamento disciplinato.
Il focalizzare l’attenzione solo sulla contraddizione, basandosi
sull’ingegneria sociale, corre il rischio di intensificare l’odio e la
violenza, se l’approccio alla contraddizione è violento. Questa è la
fallacia marxista, che cerca solo di superare la contraddizione fra il
lavoro e il capitale senza badare alle conseguenze nell’atteggiamento e
nel comportamento, distruggendo alla fin fine i frutti dell’ingegneria
sociale – come, per esempio, in Unione Sovietica.
Adottando questa prospettiva, discutete i concetti di peace-making
(che opera prevalentemente sugli atteggiamenti), di peace-keeping
(che opera prevalentemente sui comportamenti), e di peace-building
(che opera prevalentemente sulle contraddizioni sottostanti). Come si
possono evitare le rispettive fallacie combinando le tre attività?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
83
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III
12
UNA REGOLA AUREA: AMPLIARE IL NUMERO DELLE PARTI E DEGLI
OBIETTIVI
In un conflitto ci sono più parti e ciascuna ha i propri obiettivi.
Quando gli obiettivi sono incompatibili (contraddittori), abbiamo delle
problematiche, con i relativi schemi di atteggiamenti e comportamenti.
La somma di tutto ciò è il conflitto.
L’insieme complessivo delle parti con i rispettivi obiettivi costituisce la
formazione conflittuale, e la sua mappatura è importantissima per il lavoro
sul conflitto. Se si identifica un numero più ampio di soggetti con una
posta in gioco e i loro obiettivi, si aumentano le possibili combinazioni
creative di interessi e obiettivi, che possono condurre a soluzioni e a
relazioni trasformate. Regola Aurea: un conflitto [2,1], con due sole parti
che hanno lo stesso obiettivo (si tratti di un territorio, del controllo, della
vittoria), esiste solo nei modelli astratti. I conflitti reali sono più complessi:
ci sono più parti in causa e più obiettivi. Parti potenti, con grosse poste in
gioco e che vogliono un dato risultato, spesso si presentano come “terze
parti”, come se fossero “neutrali/obiettive”, nascondendo così i propri
reali obiettivi. Esse possono far apparire i conflitti nella periferia come
“conflitti etnici” fra due gruppi violenti che “si odiano”, mentre il centro
gioca i ruoli di peace-keeper, peace-maker, peace-builder e giudice, e
proietta lo schema [2,1] su situazioni più complesse e più promettenti.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
Parola sbagliata
Proposta
Approccio sbagliato
Proposta
Approccio sbagliato
Proposta
84
Una mappa dev’essere adeguata, se si vuole sapere con chi avviare un dialogo.
Lasciar fuori i più potenti, fingere che il conflitto sia “interno”, “infrastatale”,
può essere una tattica prudente per non incorrere nella loro collera. Ma
allora è meglio non farsi illusioni su un’effettiva trasformazione.
Dinuovo, cautela con la terminologia per evitare trappole.
“Terza parte”.
“Parti esterne”; non si deve assumere che ci siano soltanto due “parti
interne”, come implica il termine “terza”. Molte formazioni conflittuali
sono complesse e presentano m attori/parti e n obiettivi, per cui m+n dà un
risultato ben più alto che 2+1=3. Analogamente, non è detto che ci debba
essere una sola parte esterna (la terza): ce ne potrebbero essere di più.
Identificare il conflitto con il dove.
Non tracciate confini geografici; il conflitto può avere radici e
ripercussioni ovunque. Non identificate mai il conflitto con il luogo in
cui si manifesta la violenza, che può persino essere un’arena ben scelta.
Non cadete nella trappola di credere che il lavoro sul conflitto debba
essere svolto solo dove si manifesta il meta-conflitto, ossia la violenza.
Identificare il conflitto con il quando.
Non tracciate confini storici; il conflitto può avere radici e ripercussioni
in qualsiasi momento. Non identificate mai il conflitto con il momento
in cui si manifesta la violenza; c’è sempre un post-fatto e un ante-fatto
per il radicamento di cause/condizioni. C’è bisogno di intervenire sul
conflitto prima, durante e dopo il meta-conflitto, la fase violenta.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici
12
UNA REGOLA AUREA: AMPLIARE IL NUMERO DELLE PARTI E DEGLI
OBIETTIVI
Per tracciare una mappa della formazione conflittuale è bene chiedersi:
“chi ha una posta in gioco?”, scrutando ovunque, oltre i mari e i monti
e proprio lì dove si è, proprio adesso, e nel passato e nel futuro, senza
farsi fuorviare dall’arena, cioè dal luogo in cui si svolge effettivamente il
conflitto, non importa se violento o no; importanti radici del conflitto
possono essere ovunque.
Poi vi è la domanda seguente: “quale tipo di posta hanno in gioco?”.
Ricordate di cercare non solo gli obiettivi politici e militari, bensì anche
quelli economici (inclusi quelli ecologici), culturali, sociali, personali
(ambizioni!), ecc.
La mappatura adeguata di un conflitto è un esercizio altamente politico.
Altrettanto essenziale è una mappatura adeguata della formazione
conflittuale, specialmente perché c’è la forte tentazione di cadere nella
trappola del discorso [2,1], cioè le due parti che lottano per un solo
e medesimo obiettivo, lasciandosi così sfuggire non soltanto la presa
analitica sul conflitto, ma anche leve importanti per la sua trasformazione.
Il conflitto [2,1] è molto spoglio, c’è ben poco su cui giocare, come se
si trattasse di un mero conflitto linguistico in un paese con due soli
gruppi linguistici. Quando il conflitto è più complesso, si possono fare
transazioni più costruttive, per esempio: X cede qualcosa a Y su un
certo obiettivo, Y cede a Z qualcos’altro su un altro obiettivo e Z cede
a X qualcosa su un altro obiettivo ancora (soluzione per triangolazione,
facilmente estensibile a quadrangolazione).
Discutete, cercando di arrivare a definizioni consensuali, delle
formazioni conflittuali nei casi del “conflitto del Golfo”, del “conflitto
della Iugoslavia”, del “conflitto del Medio Oriente”, del “conflitto
del Guatemala”, del “conflitto dei Grandi Laghi”. Prima elencate le
parti, poi fate una matrice con tutte le parti disposte verticalmente e
orizzontalmente, identificate le questioni problematiche e cercate di
capire gli obiettivi alla luce delle stesse.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
85
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III
13
BISOGNI FONDAMENTALI, DIRITTI FONDAMENTALI, CONFLITTI
FONDAMENTALI
Un conflitto fondamentale verte su obiettivi fondamentali, fra i quali
ci sono i bisogni fondamentali, che sono non-negoziabili. Essi variano
a seconda del tempo e del luogo, ma in linea generale si possono
identificare le seguenti quattro classi di bisogni come requisiti umani:
1
la sopravvivenza, individuale, collettiva, in opposizione alla morte;
2
il benessere, cioè essenzialmente cibo, vestiti, un riparo, la salute;
3
l’identità, vale a dire qualcosa per cui vivere, non solo di cui vivere;
4
la libertà, nel senso di avere delle opportunità di scelta per gli altri tre.
Alcuni fra questi bisogni fondamentali sono riconosciuti istituzionalmente come diritti umani.
I bisogni/diritti sono sentiti, frustrati, o soddisfatti a livello degli
individui; le loro violazioni gravi vengono sentite intensamente. I
bisogni non vengono percepiti da generi, generazioni, razze, classi
sociali, nazioni e stati, in quanto gruppi; ma questi possono definire
gli interessi, come essere il N° 1, la gloire. Gli interessi fondamentali
comprendono i bisogni fondamentali di membri del gruppo e possono
condurre a conflitti collettivi fondamentali, per esempio per la scarsità
delle risorse idriche. I conflitti fondamentali tendono a essere più
violenti, protratti nel tempo, più resistenti alla trasformazione.
GIUSTIFICAZIONE
1
2
PROBLEMI
86
Gli elenchi dei bisogni servono a due fini:
per capire quando i conflitti si inaspriscono: quando vertono su obiettivi
fondamentali, come i bisogni fondamentali di acqua, sesso, affetto,
riconoscimento;
come guida alla trasformazione del conflitto: si devono preservare, anzi
accentuare, i bisogni fondamentali di tutte le parti, poiché non sono
negoziabili.
Non date per scontato che alcune di queste classi di bisogni siano più
fondamentali e altre meno, e che quelle più fondamentali debbano
essere soddisfatte prima che entrino in scena bisogni più elevati. Si sa
che le persone sono disposte a sacrificare la vita per la propria identità
religiosa e culturale (per esempio, il diritto di usare la propria lingua)
e a sacrificare il benessere nella lotta per la propria libertà. Ascoltate
piuttosto la loro definizione dei loro bisogni, come pure le loro priorità
del momento. Non sovrapponete le vostre idee, o quelle di qualche
autore.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici
13
BISOGNI FONDAMENTALI, DIRITTI FONDAMENTALI, CONFLITTI
FONDAMENTALI
I bisogni fondamentali servono a spiegare come mai certi conflitti
diventino così duri, così protratti nel tempo, così fondamentali e
intrattabili. La risposta qui suggerita è molto semplice: perché sono
fondamentali, nel senso che vertono su obiettivi (valori e interessi)
fondamentali.
Ma che cos’è un valore fondamentale? Una definizione ragionevole
probabilmente sarebbe “qualcosa senza la quale un attore non può
continuare a vivere, un requisito, una conditio sine qua non”. Tali valori
sono noti come bisogni umani fondamentali a livello individuale, e qui
è stato suggerito che possano essere divisi in 4 classi significative in
ogni cultura. A livello collettivo gli obiettivi fondamentali sono noti
come interessi fondamentali. E direi che un interesse fondamentale
assolutamente legittimo è l’interesse di una collettività a veder soddisfatti
i bisogni fondamentali degli individui appartenenti a quel dato gruppo.
Pertanto, un paese può definire il cibo per i propri abitanti come
interesse fondamentale (nazionale). Ma può anche definire allo stesso
modo il potere del paese, soddisfacendo così solo coloro che traggono la
loro identità dall’avere la cittadinanza di un paese potente e dall’essere
membri di una nazione gloriosa.
Un esempio azzeccato e attuale sarebbe l’acqua: c’è un bisogno umano
fondamentale d’acqua, e quindi un interesse fondamentale per gli stati e
le nazioni di cui gli individui sono membri. Così i paesi arabi dipendono
per l’acqua da quattro fiumi (il Nilo, il Litany/Giordano, l’Eufrate e il
Tigri) che sono controllati da stati non arabi: Etiopia, Israele e Turchia.
Una situazione molto problematica sorge quando i rubinetti sono nelle
mani degli antagonisti.
Che tipo di risultato suggerireste per conflitti su bisogni/interessi
fondamentali, come per l’acqua?
ESERCIZIO
Immaginate che l’aria diventi un problema come l’acqua: cosa proporreste come risultato?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
87
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III
14
RITIRO, COMPROMESSO E TRASCENDIMENTO
Se i conflitti in condizioni reali sono complessi, all’interno di questa
complessità si possono pur sempre identificare conflitti elementari
con due parti che vogliono conseguire un solo e medesimo obiettivo.
Nei conflitti elementari ci sono sempre, come si è già detto, cinque
risultati che val la pena identificare, in quanto possono servire da punti
d’ancoraggio per pensare, parlare e agire nel conflitto. Eccoli:
1
2
3
4
5
vittoria per uno: una parte prevale, l’altra rinuncia;
vittoria per l’altro: l’altra parte prevale;
ritiro: entrambe le parti rinunciano ai rispettivi obiettivi (per qualche
tempo);
compromesso: entrambe le parti rinunciano a qualcosa, guadagnando
qualcos’altro;
trascendimento: si ridefinisce la situazione; entrambe le parti
guadagnano più di quanto perdono.
In un conflitto blando una delle parti o entrambe è/sono disposta/e a
cedere, almeno per il momento. In un conflitto duro gli obiettivi sono
non-negoziabili, e può scoppiare la violenza. L’unico approccio è tentare
di operare un trascendimento, di “andare oltre”, di trovare qualcosa di
nuovo. Le parti rimangono bloccate perché hanno difficoltà a uscire dalla
ristretta prospettiva definita dai loro stessi obiettivi. È vostro compito
sbloccarle. Così facendo potete discuterere con loro la possibilità
di approcci morbidi. Ma esse possono tendere a insistere che il loro
obiettivo è fondamentale e che la controparte non cederà mai, a meno
di esservi costretta. Il vostro compito non è persuaderle che il conflitto
“in realtà” è blando (se così fosse, il conflitto sarebbe probabilmente
svanito da tempo), bensì aiutarle a esplorare nuovi approcci, “andando
oltre” creativamente, operando una trasformazione.
GIUSTIFICAZIONE
Il trascendimento è l’approccio più esigente e, allo stesso tempo, è
anche il più gratificante. Ne risulta che non solo viene evitato o ridotto
l’aspetto distruttivo del conflitto, ma che l’aspetto costruttivo può
realizzarsi aprendo piste del tutto nuove.
PROBLEMI
C’è il rischio di scartare approcci morbidi senza essere in grado di far
emergere idee trascendenti.
88
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici
14
RITIRO, COMPROMESSO E TRASCENDIMENTO
Il termine “risultati”, nel caso dei conflitti, è neutrale. Ma nella
descrizione appena fatta c’è un’implicita gerarchia dei risultati stessi.
In basso ci sono i risultati [1] e [2]: una parte prevale con o senza violenza,
mentre l’altra parte non ottiene alcunché. Un risultato misero.
Poi vengono i risultati [3] e [4], ritiro e compromesso, perché – in
fin dei conti – non fanno emergere niente di nuovo. Ritiro vuol dire
“aspetta un po’” (magari per sempre), e compromesso essenzialmente
vuol dire dividere qualcosa, sempre che sia divisibile, senza che nessuno
sia soddisfatto.
Più in alto di tutti c’è il risultato [5], il trascendimento, che significa
introdurre qualcosa di nuovo (ovviamente qui sta l’origine del nome
“TRANSCEND”, e anche il metodo). Non si tratta esattamente di
quello che le parti parti avevano come obiettivo: nel migliore dei casi
questo qualcosa di nuovo muta la situazione in modo tale che le parti
ottengono effettivamente più di quanto volessero, o qualcosa che rende
meno interessante ciò per cui originariamente combattevano.
Volevano un pezzo di terra, e si ritrovano con una proprietà in
condominio, senza avere il monopolio del territorio che volevano,
ma con il pieno accesso e inoltre con qualcos’altro: la pace, nessuna
minaccia di guerra esterna e una promettente cooperazione economica.
Volevano dominare uno stato come nazione leader, e si ritrovano a
condividere il potere con altre nazioni, però con la pace interna e nuove
aperture grazie alle relazioni che quelle altre nazioni hanno con i propri
connazionali in diaspora in altri paesi.
Volevano dimostrare di aver ragione in un dibattito e si ritrovano
coinvolte in dialoghi affascinanti in una ricerca comune che apre la
mente di tutte le parti a nuove prospettive. E così via.
Definite un conflitto, magari uno che conoscete di prima mano. Che
cosa corrisponde ai cinque risultati summenzionati? Potreste immaginare
più di un modo per trascenderlo?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
89
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO III
15
PRIMA, DURANTE E DOPO LA VIOLENZA/LA CREATIVITÀ
Il focalizzare la nostra attenzione sulla violenza (fatto giustificabile, date
le conseguenze distruttive, visibili e invisibili) ci ha portati a pensare
ai conflitti in tre stadi distinti: prima, durante e dopo la violenza
(analogamente a quanto si dice di una malattia: prima, durante e dopo
il manifestarsi dei sintomi). Un modo alternativo di pensare al conflitto,
che peraltro non esclude assolutamente l’altro, sarebbe prima, durante
e dopo la creatività (per le malattie: prima, durante e dopo aver assunto
il governo della propria salute).
L’operatore/trice nei conflitti dev’essere creativo/a sempre, prima,
durante e dopo la violenza, tanto meglio se abbastanza creativo/a da
evitare altra violenza. Infatti, i postumi di una fase violenta possono ben
essere i prodromi di un’altra. Il mondo reale rifiuta le immagini semplici,
lineari. Negli approcci attualmente prevalenti l’attenzione è per lo più
focalizzata sul meta-conflitto, mentre c’è un lavoro importante da fare
sul conflitto in tutte le tre fasi:
• prima della violenza: prevenzione della violenza, eliminazione/
riduzione delle cause della violenza/guerra (violenza collettiva);
• durante la violenza: riduzione della violenza, intercessione,
intervento;
• dopo la violenza: ricostruzione, riconciliazione e risoluzione.
Questo corrisponde sì al peace-making, al peace-keeping e al peacebuilding, ma tutti i tipi di lavoro sul conflitto dovrebbero venir svolti in
tutti gli stadi del conflitto. In particolare, una delle tesi fondamentali di
tutto questo approccio al conflitto e alla violenza è che non c’è alternativa
alla trasformazione nonviolenta e creativa di un conflitto, o alla sua
“risoluzione”, come viene spesso chiamata quando un conflitto è meno
acuto, meno duro. La violenza non risolve nulla, alimenta solo nuova
violenza per una rivalsa/vendetta o per altre più “dolci” vittorie che ci
saranno più tardi – e illusioni.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
90
È utile avere una qualche idea del punto in cui ci si trova nei cicli
dei conflitti. Essi scorrono, come il tempo-khronos (χρόνος). Ma ci
sono anche punti di cesura, il tempo-kairos (καιρός), in cui il tempo
sembra fermarsi, come il primo e l’ultimo atto di violenza. Il conflitto è
un dramma, e l’operatore/trice nei conflitti ha un ruolo da giocarvi.
Non assolutizzate questa suddivisione e siate sensibili ad altre.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO III – Manuale dei/lle formatori/trici
15
PRIMA, DURANTE E DOPO LA VIOLENZA/LA CREATIVITÀ
Riprendiamo quest’ultimo punto sulla “maturità”. Molto spesso i
politici usano l’espressione “i tempi sono maturi/immaturi” per dire
“è/non è arrivato il momento” per qualche tipo di intervento, come
offrirsi di mediare, iniziare un negoziato, lanciare un’operazione di
peace-keeping, cominciare la riconciliazione.
Senza dubbio c’è del vero in questo prima-durante-dopo: i quattro tipi
appena citati di attività per la pace sono più facili in certe condizioni e
più difficili in altre. C’è la tentazione di aspettare finché si ritiene che le
condizioni siano più propizie.
Ma questo cosa vuol dire, in pratica? Vuol dire aspettare finché una
parte, la parte meno favorita da potenziali mediatori, dà qualche segno
di cedimento? Vuol dire aspettare finché c’è già stata così tanta violenza
che le parti sono disgustate e vogliono farla finita, in qualsiasi modo,
con tutto quanto? Vuol dire che è passato così tanto tempo che nessuno
ricorda più bene le sofferenze, il dolore, e allora la riconciliazione diventa
più facile? In questi casi, invece di parlare dei tempi che sono ormai
maturi o del conflitto che è maturato, non dovremmo – forse – parlare
piuttosto dei politici che non sono all’altezza del loro lavoro e che
cercano di rendersi il compito più facile? Quanta gente deve essere
ammazzata prima che loro prendano sul serio il conflitto? E chi sono
mai, loro, per giudicare, dato che non soffrono in prima persona le pene
di chi si trova nell’arena del conflitto? In breve: la maturità è qualsiasi
momento, adesso, qui. Non statevene lì ad aspettare.
Come vi sentite?
Sapete fare qualche esempio?
ESERCIZIO
Come fate a convincere le persone che la questione è urgente quanto
basta in qualsiasi momento: prima della violenza perché il conflitto
devia/sottrae energie sociali e personali da altri scopi più costruttivi;
durante la violenza perché la violenza fa male, danneggia, ferisce,
uccide; dopo la violenza perché i traumi subìti si mangiano i loro cuori
(e le loro menti)?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
91
PRATICA DEL CONFLITTO
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO IV
UNITÀ 16 - 20
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV
16
IL TRIANGOLO EMPATIA-NONVIOLENZA-CREATIVITÀ
Per far progressi, lo strumento è il dialogo. Empatia, nonviolenza e
creatività sono l’approccio dell’operatore/trice nei conflitti ai triangoli
ABC. Queste sono le disposizioni d’animo alternative che egli/ella
dovrebbe tentare di far arrivare alle parti interne al conflitto, al posto
delle culture del conflitto violente, dei comportamenti violenti e della
sensazione di essere bloccati. Un’operazione che non si fa con le prediche,
ma con la pratica. Il lavoro, a questo punto, diventa più arduo.
Empatia: è la capacità di comprensione profonda, a livello cognitivo ed
emotivo, dell’Altro, della logica che muove quella parte. Un possibile
modello di riferimento è quello di un attore che studia una parte (in
questo caso una “parte in conflitto”) al punto di potervisi immedesimare.
Non si richiede alcuna simpatia, ma un rispetto sufficiente per la verità
dell’Altro, per cercare di capirla fino al punto da poterla recitare.
Nonviolenza: è la duplice capacità di resistere alla tentazione di attuare
(o di raccomandare) la violenza e di proporre concrete vie d’uscita
nonviolente a un conflitto consolidato, in parte attingendo alla riserva
delle esperienze del passato e in parte generandole come nuove idee.
Creatività: è la capacità di andare oltre le strutture mentali delle parti
in conflitto, aprendo la strada a nuovi modi di concepire la relazione
sociale nella formazione conflittuale.
GIUSTIFICAZIONE
Il nocciolo dell’idea consiste nell’aprire l’armatura rigida che ingabbia
il triangolo ABC mentre il conflitto si inasprisce: odio, violenza e
blocco. L’operatore/trice nei conflitti entra nel conflitto dall’esterno
con l’esplicito obiettivo di cambiare il modo in cui ci si accosta al
conflitto. Non si può farlo attraverso le prediche o convertendo le parti,
ma appunto praticando il triangolo ENC (Empatia-NonviolenzaCreatività). Tutt’altro che facile.
PROBLEMI
L’empatia viene facilmente bloccata da troppa antipatia; la nonviolenza
dal non sapere cosa è già stato fatto e cosa può essere fatto; e la creatività
dall’essere gli inconsapevoli o consenzienti prigionieri mentali di precedenti paradigmi/discorsi controproducenti. Quindi, è su questo punto
che deve essere svolto un training intensivo.
94
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici
16
IL TRIANGOLO EMPATIA-NONVIOLENZA-CREATIVITÀ
A proposito del training: il problema è che questa combinazione specifica
di empatia-nonviolenza-creatività non viene insegnata in nessuna parte
del mondo. Come al solito, gli interventi sul conflitto e per la pace
sono le vittime di malaugurate divisioni nelle nostre società. Le persone
probabilmente più dotate di empatia sono gli/le artisti/e, i/le religiosi/e,
gli/le psicologi/he; le persone bene informate sulla nonviolenza sono
poche e disperse; le persone creative sono probabilmente artisti/e,
architetti/e, ingegneri e scienziati/e in modo alquanto limitato, e in
qualche caso i politici. Le persone sono divise, e lo stesso vale per il
training; nessuno ha le competenze degli altri.
Parlando in termini di genere e rischiando semplificazioni grossolane,
le donne possono essere migliori degli uomini riguardo all’empatia e
alla nonviolenza, e gli uomini riguardo alla creatività. Generazione,
razza e classe sono probabilmente meno correlate al triangolo ENC. La
nazionalità, invece, lo è di sicuro.
Un’ovvia soluzione, o almeno un approccio, sarebbe formare un team
di operatori/trici nei conflitti i cui membri siano reciprocamente
complementari rispetto a queste abilità specifiche. Ma c’è una difficoltà:
non è detto che si piacciano, si rispettino o lavorino bene insieme, per
cui parecchia energia andrebbe sprecata nel risolvere le tensioni interne
al team. Quindi è meglio addestrare ciascuno/a in tutt’e tre le abilità.
Qualora un team sia stato costituito mettendo insieme specialisti in E,
N e C, essi/e dovrebbero lavorare insieme oppure l’uno dopo l’altro con
una parte in conflitto? In parallelo o in serie, per usare una metafora
tratta dalla fisica? Esempio di una serie: andate in ospedale per una
diagnosi e vi si manda da uno specialista dopo l’altro: raggi X, esame del
sangue, delle urine ecc. Oppure, fa tutto un’infermiera.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
95
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV
17
L’EMPATIA PER AMMORBIDIRE GLI ATTEGGIAMENTI
Il problema non è capire in che modo voi, come operatori/trici nei
conflitti, avreste (re)agito nei panni di una parte in conflitto. Le
vostre reazioni non sono affatto interessanti (tranne che per voi, come
esperimento mentale). L’importante è il modo in cui essi/e (re)agiscono,
e il modo in cui voi potete capirne al meglio le ragioni. Questo processo
di comprensione profonda permetterà alle vostre emozioni profonde di
venire alla luce, si tratti di antipatia o di simpatia.
Tout comprendre c’est tout pardonner (comprendere tutto è perdonare
tutto) esprime una parte di questo processo. Ma voi probabilmente
sentirete i due forti poli opposti del rifiuto totale o dell’accettazione
totale della parte in conflitto, inclusa l’oscillazione tra i due poli.
Se vi lascerete andare a questi sentimenti, allora reagirete come una
parte interna al conflitto. Umano, troppo umano. Ma non è il vostro
compito.
La raccomandazione è di non lasciarsi andare a nessuno dei due
sentimenti, bensì di cercare di identificare alcuni obiettivi legittimi in
base a criteri più universali. Obiettivi che talvolta possono non essere
nemmeno stati espressi dalle parti. Tra gli esempi di obiettivi legittimi si
possono includere il rifiuto da parte di Hitler del Trattato di Versailles,
il rifiuto da parte del Giappone del colonialismo occidentale in Asia,
e il rifiuto da parte dei guerriglieri dello sfruttamento più plateale. Il
che non comporta l’accettazione dell’anti-semitismo, del colonialismo
giapponese in Asia e della violenza della guerriglia, o della violenza di
risposta alla violenza del sistema. La tesi generale qui sostenuta è che
ogni parte in conflitto, al di sotto degli atti e delle parole violente,
ha un obiettivo valido su cui costruire, quando sia incoraggiata a
operare in modo nonviolento e creativo.
GIUSTIFICAZIONE
Non si può trovare alcuna via d’uscita se una parte in conflitto si sente
completamente rifiutata. Il negare qualsiasi umanità a quella parte è
disumanizzante e denota un pregiudizio. Abbiamo tutti/e bisogno di
essere riconosciuti/e almeno in una certa misura, se non in modo pieno
e totale.
PROBLEMI
Qualsivoglia approvazione di un obiettivo deve essere accompagnata da
idee sul come procedere in modo nonviolento e creativo. Sostenere un
obiettivo senza avere la minima idea sul come realizzarlo è gravemente
irresponsabile.
96
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici
17
L’EMPATIA PER AMMORBIDIRE GLI ATTEGGIAMENTI
Come si fa a sviluppare l’empatia? Probabilmente ponendosi in
relazione profonda con le persone, con molte persone e con persone
di diverso tipo, e facendo tesoro dell’opera degli artisti che abbiamo fra
noi: scrittori, poeti e quanti non hanno nome né fama, ma si possono
incontrare ovunque. Forse anche con l’aprirci completamente agli altri.
Due piccoli esercizi possono essere abbastanza utili.
Due amici sono all’aeroporto, il loro aereo è stato cancellato e così
staranno insieme per ore senza niente di particolare da fare. A uno di
loro viene quest’idea: “Perché non ci raccontiamo la storia della nostra
vita? Ci conosciamo già abbastanza bene, ma c’è sempre qualcos’altro
da dire, volendo”.
Come integrazione: “Dimmi, o dillo anche solo a te stesso, quali sono le
forze interiori che ti guidano. Quali sono i tuoi obiettivi fondamentali?
E le tue paure di fondo?”.
Decidete voi quanto volete andare in profondità. Il criterio della verità
non fa mai male. Potrebbe anche essere un esercizio liberatorio: la vostra
vita scorre davanti ai vostri occhi (pure un tranquillo viaggio in auto può
essere un buon setting, mentre anche il paesaggio scorre davanti ai vostri
occhi). Un buon amico può forse fare qualche domanda di verifica: “A
quel punto, perché hai deciso così e non in un altro modo?”. La risposta
può chiarire qualcosa su voi stessi/e. E voi ovviamente ringrazierete
l’amico che vi tratta con tanta attenzione facendo altrettanto.
Rivolgetevi al vostro vicino di corso, ponendogli le due domande sulle
sue motivazioni e suoi suoi timori, ma senza andare più in profondità di
quanto permesso dalla situazione. Magari troverete interessante tracciare
uno schema di voi stessi su un foglio, per poi confrontarlo col vostro
vicino/a, che avrà fatto lo stesso. Quando lavorerete in un conflitto,
farete domande sugli obiettivi di quel dato conflitto, e dovreste esservi
trovati/e almeno una volta nei panni di chi dovrà rispondere, per
capire meglio come impostare la domanda e cosa si prova cercando di
rispondere.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
97
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV
18
LA NONVIOLENZA PER AMMORBIDIRE IL COMPORTAMENTO
1
2
3
Col termine “nonviolenza” si intende qualcosa che la gran parte di noi
pratica ogni giorno: l’assertività, cioè il cercare di raggiungere certi
obiettivi senza violenza, senza l’intenzione di ferire e far del male agli
altri. Ma la nonviolenza non equivale a non essere violenti, perché il
non essere violenti comprende anche la passività, il non far nulla, la
rassegnazione al proprio destino. Al contrario, la nonviolenza dovrebbe
coinvolgere il pensiero, la parola e l’azione:
nonviolenza nel pensiero: meditazione, dialogo interiore, preparazione
al lavoro sul conflitto, momenti di silenzio, cercando di identificare e
sradicare i propri impulsi distruttivi;
nonviolenza nella parola: il dialogo esterno con le parti in conflitto,
evitando d’attribuire certificati di colpa/vergogna, cercando radici
comuni, un futuro comune e responsabilità condivise, esponendo
accuratamente le proprie ansie, le proprio paure, i propri bisogni non
soddisfatti, cercando d’immaginare futuri che tutte le parti potrebbero
desiderare di vivere;
nonviolenza nell’azione: dimostrazioni, utilizzo dei mass media,
incontri per facilitare un negoziato; in altri termini, la lotta politica
ordinaria, morbida. Ma poi c’è la lotta politica straordinaria della
nonviolenza forte, come la difesa non-militare (DNM) contro la
violenza diretta esterna, e la rivoluzione nonviolenta (RNV) contro la
violenza strutturale interna (violenza diretta in una forma congelata).
GIUSTIFICAZIONE
Secondo una tesi piuttosto solida delle scienze sociali, la violenza
genera violenza. Quindi, si deve evitare la violenza affinché un conflitto
non si deteriori ulteriormente. Tuttavia, anche se un mutuo ritiro delle
parti da un conflitto può essere talvolta una buona idea, lasciando che
sia il “tempo” ad aggiustare le cose, l’assertività, entro certi limiti, è
un bisogno umano. La nonviolenza, almeno in teoria, colma questo
divario.
PROBLEMI
Ovviamente, la nonviolenza deve stare in equilibrio fra Scilla e Cariddi,
fra la passività e la violenza, tenendo presente che si può provocare la
violenza dell’altra parte con un’intensa nonviolenza.
98
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici
18
LA NONVIOLENZA PER AMMORBIDIRE IL COMPORTAMENTO
In linea di principio si presume che la nonviolenza dovrebbe evitare che
un conflitto entri nella pericolosa II Fase, la fase della violenza, grazie al
rifiuto di impiegare la violenza, che lascia l’altra parte senza persone che
reagiscano in modo violento. Naturalmente le cose non vanno sempre
così e c’è ben altro da tener presente riguardo alla nonviolenza.
Ma siamo concreti: immaginate di essere portati direttamente dall’aeroporto di Belgrado, nel gennaio 1997, alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado, dove si coordina la campagna nonviolenta contro
il governo di Milosevic, responsabile di aver “rubato” 14 elezioni locali
col mancato riconoscimento della vittoria dell’opposizione. Vi ragguagliano sulla situazione e vi chiedono qualche consiglio. Pieni d’ammirazione per tutto quello che studenti e professori stanno facendo, creando
forme di nonviolenza nuove e ricche d’immaginazione, a fronte di notevoli rischi, avreste potuto dare questa serie di consigli:
1 chiarite bene che il vostro obiettivo è l’attuazione della democrazia,
che vuol dire restituire alla gente il risultato della loro scelta elettorale,
nulla di più, nulla di meno. Non espandete gli obiettivi.
2 Non demonizzate Milosevic aldilà di questa problematica. Se siete
per la democrazia, confrontatevi con lui democraticamente, cioè alla
prossima elezione.
3 Qualunque confronto con Ceausescu vuol dire augurarsi la morte
di Milosevic, che significa la sua totale disumanizzazione. Invitatelo
invece a dialogare, mandategli un dolce a casa. Ma rifiutate la
collaborazione a livello istituzionale fino a che non abbia reindetto
le elezioni.
4 Riconoscete il consiglio comunale che sarebbe risultato eletto.
5 Fate sì che tale consiglio chieda ai cittadini di fare qualcosa per
ripulire e abbellire Belgrado; fatelo come azione costruttiva. Cercate
sempre di combinare le proteste con qualcosa di costruttivo.
6 Riferite aspetti positivi delle politiche di Milosevic, se siete in grado
di identificarne qualcuno.
Discutete se quanto proposto è sensato. Troppo morbido? Troppo forte?
Troppo esigente nei confronti del gruppo nonviolento? Sarebbe meglio
limitarsi a scendere in strada e fare dimostrazioni rumorose per non
lasciar sentire i notiziari ufficiali?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
99
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV
19
LA CREATIVITÀ PER AMMORBIDIRE LE CONTRADDIZIONI
Come si è già detto, la mediazione può essere identificata con una posizione intermedia che non soddisfa davvero nessuno. Un condominio,
una “sovranità congiunta”, con un flusso libero di persone e di idee, di
fattori di produzione e di prodotti, può essere più vitale della divisione
in due parti di un territorio conteso. Una soluzione di compromesso
può anche essere molto dolorosa, come la proposta di Salomone di tagliare a metà il bambino reclamato da due madri: egli poi riconobbe la
madre vera nella donna che preferì lasciarlo all’altra pur di salvarlo, e
lo assegnò a lei (Libro dei Re 3, 16-28). Da qui l’idea di unire le forze per condividere, anziché per dividere, un territorio/bimbo conteso:
una possibile soluzione per l’Ecuador e il Perù. La difficoltà non sta
solo nell’odio fra le parti, ma nella stessa novità dell’idea in un mondo
convinto che ogni chilometro quadrato appartiene a uno stato e a uno
stato soltanto. Il prezzo della creatività è il tempo necessario per capire
e assimilare l’idea.
Questo tipo di proposta è extra-paradigmatica, fuori dalla corrente
principale, come la proposta di una “Commissione di Sicurezza per
l’Europa” nel lontano 1967. La semina, l’innaffiatura, la mietitura
richiedono tempo e passano attraverso i tipici quattro stadi del silenzio,
della ridicolizzazione, dell’opposizione violenta, e dell’accettazione come
“ovvietà” (gli ultimi tre sono tratti da Schopenhauer). L’operatore/trice
nei conflitti dovrebbe accettare tutto questo come parte del suo lavoro.
Il lavoro creativo su un conflitto richiede tempo, tutto qui: una ragione
in più per cominciare subito, senza aspettare che il conflitto o i tempi
siano “maturi”.
GIUSTIFICAZIONE
La creatività, lo sviluppo di nuove idee, è indispensabile nei conflitti
duri, fondamentali. Quasi tutti seguono la corrente principale; se le
vie d’uscita dai conflitti si trovassero lì, sarebbero già state localizzate.
Comunque, nuotando controcorrente, gli/le operatori/trici nei conflitti
si avvicinano anche di più alle scaturigini del conflitto e così facendo
acquisiscono forza.
PROBLEMI
Trovare un varco fra qualcosa di non creativo e un’idea talmente creativa
da sembrare assurda. Spesso questo è un problema che riguarda la forma
della presentazione: occorre collegare il nuovo a qualcosa di ben noto
mediante analogie, metafore, ecc.
100
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici
19
LA CREATIVITÀ PER AMMORBIDIRE LE CONTRADDIZIONI
Un’esperienza molto chiara dell’autore di questo Manuale è questa: tra
quello che vogliono i leader trincerati e immersi in un conflitto ci sono
sicuramente la compassione nei loro confronti e la giustificazione di
tutto quello che hanno fatto. Ma le ottengono già entrambe dai vari
Yes-men che li attorniano. Quello che poi vogliono non è tanto una
diagnosi, un’analisi del conflitto, o una prognosi che specifichi cosa
accadrà: è proprio quello che fanno già loro tutto il tempo. Ancor
meno vogliono i No-men dell’opposizione, pronti a dir loro che non ne
combinano una giusta.
Quello che vogliono è qualcosa che nelle loro speranze dovrebbe
arrivare da un esterno: qualche idea creativa su come venir fuori dal
conflitto, non solo con “onore” o avendo “salvato la faccia”, ma con
qualcosa di creativo che li faccia approdare a una situazione nuova
e migliore. Possono essere disposti a partecipare a qualche seduta su
diagnosi e prognosi se alla fine ne traggono qualche gratificazione. Però
non possono gratificarvi a loro volta dicendovi “che bella idea!”, perché
vorrebbe dire che loro non ci avevano mai pensato. In effetti, vi possono
gratificare con un silenzio eloquente: è arrivata l’idea e non ci sono
contro-argomentazioni ovvie. Il vostro compito è aiutarli a formulare
queste argomentazioni, non segnare una vittoria. Il vostro ruolo è essere
l’uomo-del-Forse.
Non è un compito facile, e la tesi sostenuta in questo Manuale è che
i dialoghi fra le parti interne ed esterne al conflitto sono una buona
formula per far emergere idee creative, anche se non c’è alcuna garanzia
di successo. Molte di loro verranno immediatamente respinte come
irrilevanti per quel conflitto specifico. Ma può darsi che qualche idea
buona arrivi a destinazione, e proprio il silenzio, come si è detto, può
essere un indicatore del fatto che è stato recepito qualcosa che val la
pena di prendere in considerazione. Il lavoro, la riflessione vanno avanti.
Cosa potete volere di più?
Immaginate che il dialogo vi faccia pensare a un’idea nuova, creativa.
Come la esporreste a qualcuno che sta vivendo un conflitto ed è
frustrato, arrabbiato, ostile, sospettoso?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
101
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IV
20
ALLE RADICI DELLA CREATIVITÀ
In quali condizioni si è creativi? Ci sono scritti sulla creatività scientifica, artistica e militare, su quella per l’invenzione di problemi, ma
non sulla creatività per il conflitto/la pace. Il compito è trovare risultati
nonviolenti che trascendano la contraddizione. Ma come si fa?
La formula generale è introdurre un nuovo aspetto/dimensione/
prospettiva, un modo nuovo di guardare la situazione che cambi il
conflitto – condizione necessaria affinché il conflitto si sblocchi. Ma la
creatività non salta fuori automaticamente. Qualche suggerimento:
creatività individuale
per analogia, “questo caso mi fa venire in mente...”:
• conflitti dello stesso tipo, per esempio un altro conflitto fra nazioni;
• conflitti allo stesso livello, per esempio conflitti fra classi;
• conflitti a livelli diversi, per esempio intra-personali/inter-personali;
• altri problemi, per esempio problemi medici, ingegneristici, architettonici;
creatività collettiva
mediante il brainstorming, che potenzialmente fa emergere qualcosa di
più della somma della creatività dei singoli individui che vi partecipano.
Le tecniche standard prescrivono di attaccare fogli alle pareti, dotarsi
di molti pennarelli, discutere annotando tutto quello che emerge nel
flusso di coscienza sul muro, fare una pausa, riprendere il lavoro per
raccogliere ancora nuove idee, riportare ciascuna idea su una scheda e poi
tracciare frecce e organizzare le schede secondo le 3C, cioè CondizioniConseguenze-Contesto.
La nascita di una nuova idea valida si presenta come un salto dalla quantità
alla qualità; dopo che si è accumulato tantissimo lavoro individuale e
collettivo del tipo descritto, e dopo che ce ne siamo allontanati un po’
(una bella e lunga dormita). Ed eccola lì, l’idea, all’improvviso, come
nelle scienze o nelle arti. Spremetevi all’inverosimile, poi rilassatevi e
aspettate. E sperate. Pregate. Meditate. Ricordatevi che le idee veramente
buone di solito sono idee nuove, al di fuori dell’impostazione del
discorso che va per la maggiore.
GIUSTIFICAZIONE
Le fasi prima-durante-dopo la creatività possono giungere prima-durantedopo la violenza. Non state ad aspettare che la violenza inizi per mettervi
a cercare modi per trattare creativamente i conflitti: è quasi uno sconfinamento nel fascismo (usare la violenza come un mezzo per scopi politici).
PROBLEMI
Non c’è alcuna garanzia che emergano idee nuove; pertanto, siate un
serbatoio ambulante di vecchie idee che hanno funzionato in passato
in situazioni simili. Attingete alla memoria collettiva: gli aneddoti
sono essenziali. E non trascurate del tutto l’impostazione prevalente, la
corrente principale: nel fango ci possono essere pepite d’oro!
102
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IV – Manuale dei/lle formatori/trici
20
ALLE RADICI DELLA CREATIVITÀ
Su questo argomento consultate anche il Capitolo Creatività, trascendimento e trasformazione del conflitto in questo Manuale, a pag. 27. Un
punto importante è che la creatività ha un effetto sottile e spiazzante su
dimensioni fondamentali come lo spazio, il tempo, la sequenza temporale. E si può tranquillamente aggiungere sul chi e sul come – tutte
questioni che meritano di essere ponderate: “Abbiamo sempre fatto in
questo vecchio modo, non c’è proprio nessun modo nuovo?”. Beh, può
darsi, ma non rendetelo troppo nuovo, come già si è detto nel Capitolo
citato.
Il nuovo dovrebbe preferibilmente essere presentato come un’estensione
del convenzionale, dove il convenzionale resta come caso speciale. In
linea di principio, un ritorno al convenzionale dovrebbe essere sempre
possibile (v. l’Unità 50); e questo suona come una critica a Colombo:
come avrebbe fatto a ripristinare il famoso uovo ammaccato? Questo
argomento è importante in relazione alla creatività militare: senza
dubbio gli “uomini di guerra” sono spesso molto più creativi degli
“uomini di pace”. Ma la loro azione distruttiva di solito è irreversibile:
una critica schiacciante!
Nel 1967 l’autore di questo Manuale suggerì ai ministeri degli esteri
del sistema della guerra fredda una Commissione di Sicurezza delle
Nazioni Unite per l’Europa, a Ginevra. Il nome faceva riferimento alla
Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa (ECE):
cambiando soltanto una parola, la comunicazione veniva facilitata. La
proposta consisteva nell’usare il dialogo, invece di puntarsi addosso i
missili nucleari. L’idea fu recepita.
Vi trovate al Polo Sud e vi chiedono di spostarvi, ma non avete il
permesso di andare verso Nord. Risposta?
ESERCIZIO
Trovate un esempio di un conflitto simile nella vita vera.
ESERCIZIO
Vi siete cacciati in un vicolo cieco e volete uscirne fuori. Che fate?
ESERCIZIO
Trovate un esempio di un conflitto simile nella vita vera.
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
103
TEORIA DELLA VIOLENZA
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO V
UNITÀ 21 - 25
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V
21
IL TRIANGOLO VIOLENZA DIRETTA – STRUTTURALE – CULTURALE
La violenza danneggia/ferisce il corpo, la mente e lo spirito. Si possono
identificare almeno tre tipi di violenza, a seconda di come agisce:
1
2
3
violenza diretta: è intenzionale; è attuata da attori violenti per
danneggiare/ferire;
violenza strutturale: non è intenzionale, è abituale; tutti/e vi sono
coinvolti/e;
violenza culturale: legittima le altre due come buone e giuste.
La violenza diretta, visibile, distruttiva, intesa a fare danni, è la forma
più temuta. La violenza strutturale è invisibile, non c’è la volontà di
danneggiare, l’uccisione è lenta, ma può essere altrettanto o perfino più
distruttiva. Confrontate gli oltre 12 milioni di bambini che muoiono
ogni anno di malnutrizione con i quasi 9 milioni di morti in media
all’anno a causa della mega-violenza della seconda guerra mondiale.
La violenza strutturale può essere il congelamento della violenza diretta
di passate conquiste e/o repressioni, come il colonialismo, la schiavitù,
lo sfruttamento economico. La conseguenza può essere una violenza
rivoluzionaria e contro-rivoluzionaria. L’intensità della violenza dipende
dal livello di violenza culturale: la violenza è glorificata? Le alternative
nonviolente sono rese invisibili?
Anche la violenza culturale è invisibile, ma c’è un chiaro intento di
offendere, perfino di uccidere, indirettamente, con parole e immagini,
cioè simbolicamente. Questa è la violenza dei sacerdoti, degli
intellettuali, dei professionisti; i militari si specializzano nella violenza
diretta e l’economia spesso costruisce strutture violente e su di esse si
basa. A spese di chi? Della gente comune.
GIUSTIFICAZIONE
In un conflitto gli atteggiamenti sono alimentati dalla violenza o dalla
pace culturale della società d’appartenenza, i comportamenti dalla
violenza o dalla pace diretta, e le contraddizioni dalla violenza o dalla
pace strutturale generale. Nella terminologia delle Nazioni Unite, il
peace-making crea presidi politici per metter fine alla violenza diretta
e cominciare a occuparsi della violenza culturale, il peace-keeping
mantiene sotto controllo la violenza diretta, mentre il peace-building
è un tentativo di edificare strutture migliori e talvolta si occupa anche
della violenza culturale.
PROBLEMI
Qualunque dialogo sui conflitti prima o poi toccherà tutti questi temi.
Siate preparati ad affrontare la complessità della materia.
106
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici
21
IL TRIANGOLO VIOLENZA DIRETTA – STRUTTURALE – CULTURALE
Ci inoltreremo ora ulteriormente nella complessità di questa materia, e
il lettore comincerà a vedere la violenza dappertutto.
C’è chi focalizza l’attenzione solo sulla violenza diretta, e ci sono talvolta
buoni motivi per dare precedenza assoluta alla violenza kshatriyah, la
violenza della casta guerriera.
Ma i vaishya, i mercanti, erigono strutture economiche locali, nazionali,
regionali, globali che creano ricchezza per alcuni e imprigionano altri
nella miseria. I più dotati, fra cui anche alcuni malviventi, trovano
comunque il modo per emergere o per cavarsela; ma questa è una
prospettiva senza compassione e solidarietà umana.
Per il bramino delle parole/dei simboli che di professione fa l’economista
la disoccupazione è un bene, perché così i padroni possono essere più
selettivi (ma applicherebbe a se stesso questa teoria?). Lo stesso vale per
gli scritti che glorificano la violenza per l’indipendenza nazionale, la
difesa dello stato o la rivoluzione di classe.
In effetti, queste sono questioni controverse. Il problema è che chiunque
voglia andare avanti riducendo la violenza diretta s’imbatterà in solide
strutture resilienti al cambiamento che generano violenza dal basso
e dall’alto, nonché in solide culture resilienti al cambiamento che
sembrano giustificare ogni tipo di violenza.
Prendiamo un caso come il Guatemala: una struttura altamente
repressiva e sfruttatrice, con la maggioranza indigena maya (54%)
al fondo e i ladinos in cima; per giunta, una cultura intensamente
machista, che glorifica la violenza come un modo per i ragazzi per farsi
riconoscere uomini fatti. Un accordo per il cessate il fuoco. La tesi di
questo Manuale è che, se non si fa qualcosa di profondo a livello della
struttura e della cultura, la violenza diretta si riprodurrà, magari sotto
un’altra forma (per esempio, come criminalità rampante). Se in linea
di massima ritenete ragionevole questa tesi, discutete sul che fare in
materia di strutture e culture violente.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
107
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V
22
VIOLENZA DIRETTA: EFFETTI VISIBILI E INVISIBILI
La violenza danneggia e ferisce, spesso in modo irreversibile, ben al di là
delle conseguenze visibili sui corpi e sulle proprietà, solitamente riportate
con la formula superficiale “uccisi, feriti, sfollati, danni materiali”. Ecco
una visione d’insieme:
AMBITO
EFFETTI materiali, visibili
EFFETTI immateriali, invisibili
Ambiente
Degrado e inquinamento,
danni alla biodiversità
e alla simbiosi
Minor rispetto per la natura non-umana,
rafforzamento dell’idea
dell’“uomo al di sopra della natura”
Esseri
umani
Effetti somatici:
numero di persone uccise,
ferite, violentate, sfollate
Effetti spirituali:
smarrimento, traumi, odio, ricerca
compulsiva di vendetta e di vittoria
Società
Danni materiali a edifici
e infrastrutture
Danni alla struttura sociale
e alla cultura sociale
Mondo
Danni materiali
a infrastrutture
Danni alla struttura mondiale
e a quella sociale
Tempo
Violenza dilazionata nel futuro; violenza
trasmessa dalle mine nascoste nel terreno;
mutazioni genetiche
Proiezione di struttura e di cultura;
punti kairòs di trauma e di gloria
Cultura
Danno irreversibile
al patrimonio culturale umano
Cultura di violenza, di trauma e gloria;
deterioramento delle capacità di
risoluzione del conflitto
Tavola 1: Effetti visibili e invisibili della violenza
GIUSTIFICAZIONE
Per dirla in termini molto chiari:
Approccio sbagliato
gli effetti della guerra/violenza sono effetti visibili.
Proposta
Non identificare mai i costi della guerra/violenza soltanto con gli effetti
visibili, come le vittime, gli sfollati, le perdite materiali. Effetti invisibili
come basse soglie per la violenza, traumi, miti di traumi/gloria alla lunga
possono essere anche più importanti. Le conseguenze della violenza per
le generazioni presenti e future, come lo smarrimento/odio e la ricerca
compulsiva di vendetta e di vittoria (una vera e propria dipendenza),
dovrebbero essere esplorate come parte di qualsiasi tentativo di prognosi
ed essere usate per scongiurare la violenza. Si dovrebbe reagire a espressioni
sfacciate come “si riproducono come conigli”, “la distruzione significa grossi
contratti per le imprese”, o “una piccola riconciliazione e se ne saranno già
dimenticati”.
PROBLEMI
Quando si fa notare come funziona la violenza, ci si può imbattere in
reazioni del tipo “è quello che si meritano”, “hanno solo da arrendersi”;
ma anche in un profondo silenzio, che può indicare che qualche
argomentazione è stata recepita.
108
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici
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VIOLENZA DIRETTA: EFFETTI VISIBILI E INVISIBILI
Ovviamente, il punto fondamentale è che se si rende visibile soltanto
una frazione dell’effetto complessivo della violenza, come nel caso dei
comunicati militari/politici e dei reportage di guerra (dei “corrispondenti
di guerra”), allora la guerra (e la violenza in generale) diventa meno
inaccettabile, o addirittura più accettabile. La presentazione del conto
complessivo – in cui si mostrassero non solo i costi degli armamenti,
ma anche i costi di opportunità (come si sarebbe potuto usare per “il
burro” e gli investimenti il denaro speso in cannoni) – potrebbe generare
un rinsavimento. Un altro esempio sono le esternalità, ossia gli effetti
collaterali di un’azione economica: se fossero note appieno, la gente
sarebbe probabilmente più cauta; il che è ovviamente una della ragioni
principali per cui non sono note e restano appunto “esternalità”, al di
fuori del discorso accademico prevalente.
Ma quel che si vuole sottolineare qui è che non si tratta solo di aumentare
la resistenza contro la guerra nella I Fase, bensì di avere anche una
visione d’insieme che serva da lista di controllo, in parte per osservare
cosa succede nella II Fase e per tentare di impedire che accada, in parte
per avere una valutazione realistica dei compiti tremendi della III Fase.
In altri termini: la guerra è simile a un’epidemia, anzi a una pandemia;
quindi:
•
•
•
Prima della guerra:
Durante la guerra:
Dopo la guerra:
massima prevenzione
massima terapia
massima riabilitazione
In generale, questo è più di quanto gli esseri umani sono in grado
di fare. La trasformazione del conflitto a uno stadio precoce è molto
meglio, meno dispendiosa, più facile. Ma affinché sia possibile gli
allarmi precoci non bastano: ci vuole l’azione precoce.
Confrontate la seconda guerra mondiale con la guerra fredda, la guerra
che non è diventata calda. Cercate di dare un’idea degli effetti, visibili e
invisibili, che la guerra fredda avrebbe prodotto se fosse diventata calda,
e nucleare, per giunta.
ESERCIZIO
Quel conflitto fu trasformato e ci fu risparmiata quella guerra calda. Poi,
d’improvviso, nell’autunno del 1989, la guerra fredda svanì, l’Unione
Sovietica implose. Per quali motivi, secondo voi? Che cosa possiamo
imparare da quella importantissima trasformazione?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
109
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V
23
VIOLENZA STRUTTURALE: LE STRUTTURE CATTIVE ANNIENTANO
LENTAMENTE
Non c’è nulla di misterioso riguardo a una struttura: è un modello di
interazione in cui le persone interpretano dei ruoli senza riflettere su
ciò che fanno, perché “tutti fanno così” (nello spazio sociale) e perché
“abbiamo sempre fatto così” (nel corso del tempo). Qualsiasi interazione
(come quella cassiere-cliente ) ripetuta miliardi e miliardi di volte – una
struttura – diventa così solida che anche una variazione minima, come
porgere il denaro sul dorso della mano alzando al contempo una gamba,
può ben sollevare uno stupore perplesso (se ne dubitate, fate una prova
in un negozio).
Una struttura violenta danneggia alcune persone, magari perfino
tutte (un ottimo argomento per cambiarla); ed è dannosa nel senso
che frustra i bisogni fondamentali. Si possono identificare due tipi di
violenza strutturale, come se fossero un potere “congelato”:
violenza strutturale verticale: repressione (potere politico), sfruttamento (potere economico) e alienazione (potere culturale);
violenza strutturale orizzontale: tenere separate persone che vogliono
vivere insieme; tenere insieme persone che vogliono vivere separate.
Nel caso verticale i bisogni offesi sono la libertà, il benessere e l’identità;
quando il quarto bisogno, la sopravvivenza, è offeso dalla classe militare,
si tratta di violenza diretta.
Nel caso orizzontale il bisogno offeso è l’identità: la nazione coreana
vuole un’unione che le è negata dai governi, e due delle nazioni presenti
in Bosnia non vogliono una convivenza che viene loro imposta.
GIUSTIFICAZIONE
Questo spiega come sia possibile la violenza pur senza alcuna intenzione
di nuocere; è così e basta, oppure è diventato così perché “tutti lo fanno”
e perché “abbiamo sempre fatto così”.
PROBLEMI
Questo sposta l’attenzione dai cattivi attori alla cattiva struttura – come
dal colonizzatore al colonialismo – e libera dai vincoli morali coloro che
stanno in alto. Tuttavia, le omissioni deliberate e il non rimediare alla
situazione da parte di coloro che stanno in alto, costituiscono una vera
e propria realtà sociale.
110
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici
23
VIOLENZA STRUTTURALE: LE STRUTTURE CATTIVE ANNIENTANO
LENTAMENTE
Le strutture appaiono solide. Prendiamo coraggio dalle cattive strutture
che sono state superate, come il colonialismo e la schiavitù, senza negare
che altri problemi possono essersi presentati nella loro scia. Inoltre,
sarebbe arduo negare che qualcosa stia accadendo oggi a una terza
cattiva struttura, il patriarcato. È in corso una liberazione delle donne,
grazie ad azioni concrete di persone concrete. C’è anche un problema
filosofico: la struttura fa sembrare le persone piccole, anonime, inefficaci,
sollevandole così da qualsiasi responsabilità personale.
Prendiamo, per esempio, le “masse”, per usare un certo gergo politico.
A una più attenta osservazione le “masse” diventano meno anonime
e possono assumere le sembianze di un potente capo di partito che
ha preso alcune decisioni o avviato alcune iniziative in nome delle
“masse”.
Un altro esempio: il “mercato”, un’altra struttura anonima. Il “mercato”
decide i prezzi. A un esame più ravvicinato il “mercato” diventa
meno anonimo e assume le sembianze di potenti dirigenti di imprese
transnazionali che decidono prezzi, salari, dividendi ecc., tutto in nome
del “mercato”.
In breve, le strutture cominciano ad assumere visi, nomi, intestazioni,
home pages. Ma questo non inficia il concetto: moltissimi soggetti
minuscoli costituiscono le “masse” e moltissimi piccoli venditoricompratori i “mercati”, come risultato finale di miriadi di minuscole
azioni. La realtà è una commistione di attori forti e di folle anonime.
Impegnate in un dialogo gli attori forti, aumentate il livello di
consapevolezza dei tanti attori minori: potenzialmente sono tutti forti.
Discutete su cosa succede quando gli stessi operatori/trici nei conflittiper la pace beneficiano delle strutture che possono produrre, e riprodurre,
i conflitti. Agiranno contro se stessi? Hanno un interesse acquisito nel
perdurare dei conflitti?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
111
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V
24
VIOLENZA CULTURALE: LE CATTIVE CULTURE GIUSTIFICANO
Non c’è nulla di misterioso riguardo alla cultura: è un insieme di norme
apprese presto nella vita riguardo a buono/cattivo, giusto/sbagliato,
vero/falso, sacro/profano, bello/brutto, ecc. La cultura si esprime in vari
modi: nei discorsi e nelle azioni, nelle strutture e nelle leggi, nelle scienze
e nelle arti. Dopodiché applichiamo questi criteri per vedere se i nostri
prodotti vi si adeguano. Il problema è che ci sono aspetti di culture che
definiscono come bene la violenza/guerra, e certi tipi d’uccisione come
giusti o addirittura sacri (guerra santa) e belli (estetica della violenzaguerra). E affermazioni come “sfortunatamente c’è bisogno di qualche
struttura ingiusta” spesso sono prese per vere.
Evidentemente, una simile “violenza culturale” può essere allora usata
per giustificare la violenza diretta o quella strutturale. C’è quindi bisogno
di “pace culturale”, di una cultura di pace che definisca buona, giusta,
sacra e bella la pace, e cattiva, sbagliata, profana e brutta la violenza; e
vere le affermazioni in tal senso.
Oggi le abbiamo entrambe, in una cultura schizofrenica che definisce
cattiva la violenza individuale, ma perfino gloriosa certa violenza nel
nome di genere-generazione-etnia-classe e di certo nel nome della
nazione e dello stato.
GIUSTIFICAZIONE
Questo spiega come la violenza diventi più accettabile, in quanto alla
gente è stato insegnato a concepire certi tipi di violenza come validi
e giusti o addirittura sacri e belli. In questo preciso periodo storico è
cruciale il modo in cui si giustifica la violenza da parte di nazioni, stati,
sistema degli stati e comunità internazionale.
PROBLEMI
Ciò dà all’operatore/trice nei conflitti il vantaggio di spostare l’attenzione
dai cattivi attori e dalle cattive strutture alle cattive culture, analizzando
e perfino ridimensionando vari “modelli di legittimizzazione” (per usare
il termine politologico). Tuttavia, ciò non deve significare che i cattivi
attori e tanto meno le cattive strutture devono essere lasciate perdere.
Una struttura può essere violenta di per se stessa, come una dittatura, e
un preciso attore potrebbe nascondersi dietro una cattiva cultura, come
quella del machismo. L’attenzione dovrebbe rivolgersi a tutt’e tre, al fine
di rendere tutt’e tre migliori.
112
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici
24
VIOLENZA CULTURALE: LE CATTIVE CULTURE GIUSTIFICANO
La violenza culturale è anche più problematica della violenza strutturale perché ce la portiamo dentro tutti, non solo qualche attore “cattivo”.
La violenza strutturale beneficia quelli che stanno in alto, ma la gran
parte di noi non sta lassù. Sicché possiamo leggere testi sul “neo-colonialismo” e sullo “sfruttamento del Terzo Mondo” rallegrandoci di non
far parte di quelli che stanno in alto (la qual cosa può essere illusoria,
ma questa è un’altra faccenda). Le strutture vengono viste come qualcosa d’esteriore. Ma le culture sono interiori, ci nutrono il cuore di
religione/ideologia, di linguaggio, di cultura non passata al vaglio che
struttura la nostra identità. Tutto quello che c’è di sbagliato in loro, è
sbagliato in noi, come hanno dovuto ammettere gli uomini sfidati dal
femminismo. L’analisi culturale ci fa soffrire più dell’analisi strutturale,
fatta eccezione per quelli al vertice delle strutture.
In ogni parte del mondo i ragazzi vengono allevati in culture che li
preparano a difendere la propria famiglia, a rischio della propria vita,
e alla fin fine, se necessario, a “morire da uomini”, senza piangere o
implorare pietà. E le ragazze vengono allevate in culture che le preparano
a essere difese, a vedere i propri uomini come fonti di sicurezza e a
prepararli a “morire da uomini”, se necessario.
Senza smantellare tali idee, focalizziamo piuttosto l’attenzione sul fatto
che né gli uni né le altre vengono allevati in una cultura di pace, colma
di idee fantasiose su come trattare i conflitti in maniera nonviolenta e
creativa. E qui si inserisce bene l’esempio delle arance, in due modi.
In primo luogo, nell’introduzione alla teoria e alla pratica del conflitto si
indicano 16 risultati qualitativamente diversi. Un aspetto della creatività
è appunto la capacità di immaginare molti risultati.
In secondo luogo, un altro aspetto è la capacità di passare da un conflitto
all’altro. Il dividere le arance nel caso dell’Irlanda del Nord potrebbe
significare l’attribuzione delle tre contee protestanti ai protestanti e
delle tre contee miste ai cattolici, invitando tutti gli altri ad andarsene;
ma sembra che tutti siano d’accodo nel ritenerlo un risultato che vale
davvero poco. Sono molto meglio altri modelli desumibili dal gioco
delle arance!
Trovate trasposizioni adeguate di risultati basati sul trascendimento per
l’Irlanda del Nord.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
113
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO V
25
IL TRIANGOLO DIAGNOSI-PROGNOSI-TERAPIA
(Se non vi piacciono questi termini che si rifanno alla medicina usate invece
“analisi-previsione-rimedi”).
1
2
3
4
Ecco un’altra triade di parole e l’acronimo DPT per elencare
separatamente alcune idee, badando nello stesso tempo a tenerle unite,
per ricordare sempre di considerarle tutt’e tre assieme.
La diagnosi della violenza si riferisce al passato, perché solo il passato
può produrre i dati necessari a un’analisi descrittiva.
La prognosi è anch’essa descrittiva, ma della violenza a venire; in altri
termini, è predittiva.
Il che vale anche per la terapia, che però è prescrittiva: dovremmo fare
questo, non quello.
Ciò significa che manca una categoria: la terapia del passato. Bene, ce
n’è una?
Ha un grande valore il chiedersi “quand’è che è successo qualcosa di
sbagliato, e che cosa si sarebbe potuto fare in quel momento critico?”.
L’idea generale sarebbe di esplorare il passato in termini prescrittivi,
come una “storia controfattuale”, una “storia nel modo congiuntivo”,
una “storia come se”, mettendoci al di sopra della storia, anziché
permettere alla storia di mettersi al di sopra di noi.
Dopo di che, sarebbe raccomandabile una qualche prognosi: “data la
situazione attuale, cosa pensi accadrà?”.
Al che potrebbe seguire una diagnosi: “perché le cose stanno così?”.
E infine: “bene, come possiamo uscire da questo pantano?”; o modi più
elaborati di far emergere suggerimenti terapeutici.
GIUSTIFICAZIONE
Passare direttamente alla diagnosi o alla terapia è spesso futile. Le parti
hanno i loro racconti sull’accaduto troppo ben confezionati. Il percorso
attraverso la terapia del passato e la prognosi può servire a “spacchettare”
alcuni di quei racconti. Essenziale è l’ascolto.
PROBLEMI
Non percorrete queste tappe troppo alla svelta, né una volta soltanto.
Siamo proprio alle radici dell’intero processo di dialogo. Questo
percorso dev’essere sviluppato con estrema cura, avanti e indietro, tutte
le volte che è necessario, inframmezzandolo con altri temi dell’agenda
del dialogo.
114
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO V – Manuale dei/lle formatori/trici
25
IL TRIANGOLO DIAGNOSI-PROGNOSI-TERAPIA
Ecco i quattro modi di parlare di un conflitto in forma di tabella:
MODO DI
Descrittivo
PARLARE
Orientato al passato (A) Diagnosi
(D) Terapia del passato
Orientato al futuro (B) Prognosi
(C) Terapia
Normativo
Il procedere con la sequenza ABC è molto seduttivo per la logica. Ma
attenzione! La diagnosi dovrebbe comprendere la descrizione della
formazione conflittuale, cioè l’elenco delle parti con una posta in gioco
nel conflitto e dei loro obiettivi. La prognosi e la terapia dipendono
moltissimo dalla diagnosi, e di conseguenza è improbabile che ci sia
un consenso su questa insidiosa questione. Meglio aggirarla esplorando
alcuni eventi concreti del passato (“quand’è che qualcosa è andato
storto?”). Spesso c’è un alto livello di consenso su questo punto, che
può servire come base di partenza.
La domanda successiva – “che cosa si sarebbe potuto fare in quel momento critico?” – serve a tentare di uscire dallo schema mentale secondo il quale quanto è accaduto era inevitabile: si sarebbe potuto fare
qualcosa, e allora quel qualcosa potrebbe anche funzionare in futuro.
Padroneggiate gli eventi, anziché al contrario. Si consiglia la sequenza
D-B-A-C, eventualmente ripetendo anche un paio di volte la fase D-BA, esplorando il passato e il futuro, la descrizione e la prescrizione, prima di fare il salto nell’arduo compito di combinarli in una prescrizione
per il futuro, detta anche terapia. Questo passaggio si verifica nel dialogo fra parte interna e parte esterna, insieme, e non dev’essere presentato
dall’esterno come un fait accompli alle parti interne.
Cercate di progettare qualche altro percorso fra le quattro caselle della
tabella, dandogli una qualche giustificazione.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
115
PRATICA DELLA VIOLENZA
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO VI
UNITÀ 26 - 30
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI
26
LA DIAGNOSI: LE RADICI DELLA VIOLENZA DIRETTA
Nell’approccio qui adottato non si sostiene che la violenza è insita
nella “natura umana”. Se così fosse ci sarebbero state meno variazioni
nell’incidenza della violenza nello spazio e nel tempo, ed essa sarebbe
stata più simile alla generale tendenza umana a mangiare, dormire e
avere rapporti sessuali.
Piuttosto, le radici della violenza vengono individuate in due costrutti
umani, le cattive strutture e le cattive culture. Ma ci sono anche persone
e paesi che si possono caratterizzare più che altro come malviventi, bulli,
come cattivi attori, violenti ben oltre l’autodifesa o qualsiasi giusta
causa. Senza dubbio ci sono cause più remote di natura strutturale e
culturale per la loro violenza. Ma questa diagnosi può anche non essere
d’aiuto; tali soggetti individuali e collettivi possono costituire problemi
di polizia.
La quarta causa della violenza diretta è un conflitto trascurato, in
particolare un conflitto duro e basilare su questioni fondamentali
lasciato a suppurare, come una ferita.
Questo comporta la domanda: qual è la radice di un conflitto duro e
basilare? Tre le risposte ovvie: cattive strutture che generano nuove offese
ai bisogni fondamentali, cattive culture che giustificano la violenza,
e cattivi attori che strumentalizzano il conflitto per promuovere la
violenza. Quindi, non c’è alternativa alla trasformazione nonviolenta e
creativa del conflitto, a meno di accettare come alternativa la violenza a
livello personale, sociale e globale. Di conseguenza, abbiamo un enorme
bisogno di dialoghi con gli attori su come cambiare le strutture e le
culture cattive, per sfuggire a questi circoli viziosi.
GIUSTIFICAZIONE
Se non ritrovate il vostro fattore di violenza favorito in quanto si è detto
sopra, tenete presente che i concetti di struttura e cultura sono molto
vasti; è altamente probabile che il vostro fattore vi si trovi incluso.
PROBLEMI
Queste sono prospettive controverse e il vostro compito non consiste
nel prender parte a seminari sulla violenza. Tuttavia, scoprirete che la
gente vuole discutere questi temi e dovreste essere preparati per tale
discussione, facendo molte domande.
118
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici
26
LA DIAGNOSI: LE RADICI DELLA VIOLENZA DIRETTA
Guardiamo ora più in profondità nella pratica e contro-pratica della
violenza, con ulteriori dettagli su cosa cercare. Il lettore si sarà accorto
che il Manuale è scritto in una forma a spirale, che si riesaminano
dinuovo gli stessi punti, ma presumibilmente “a un livello superiore”,
con il vantaggio di orizzonti più ampi. La pericolosa commistione di
fattori che produce la violenza ha questa forma:
Più generale, [a] CATTIVE STRUTTURE [b] CATTIVE CULTURE
duratura
Più specifica, [c] CATTIVI ATTORI
temporanea
[d] CATTIVI CONFLITTI
Le strutture democratiche e le culture dei diritti umani possono essere
problematiche anch’esse, perché persone di cultura non-occidentale
possono sentirsi a disagio, ma sono comunque di grande aiuto. Il metodo
usato dai regimi autoritari (e non tutti sono dittature; tra di loro ci
sono anche democrazie, con la democrazia in vigore solo il giorno delle
elezioni) è quello di mettere le mani sui presunti cattivi attori prima
della violenza, nella I Fase, in modo preventivo, proattivo, senza toccare
gli altri fattori. L’esperienza sembra indicare che questo metodo non
funziona, poiché si limita a posporre la violenza e le trasformazioni.
Cattive condizioni producono nuovi “cattivi attori”.
Purtroppo, si fa quasi lo stesso in modo retroattivo nella III Fase, dopo
la violenza, arrestando i cattivi soggetti e chiamandoli in giudizio nei
tribunali per un verdetto di colpevolezza spesso ben meritato e la relativa
punizione. Ma questo modo di procedere si concentra solo sugli attori.
Il fare poco o niente riguardo agli altri tre fattori non farà che riprodurre
la situazione, creando nuovi cattivi attori.
In linea di principio, ci si dovrebbe occupare contemporaneamente di
tutti i quattro i fattori. Ma se, per carenza di risorse, foste costretti a
concentrarvi su uno solo, da quale comincereste in linea di massima?
Perché?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
119
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI
27
VIOLENZA DIRETTA: CATTIVI ATTORI, MALVIVENTI E BULLI
Ci sono molti tipi di attori e una distinzione fondamentale è quella tra
individui e collettività. Ci sono anche molti tipi di collettività e una
distinzione fondamentale è quella fra le autonomie locali, gli stati (con
i governi che agiscono in loro nome), le organizzazioni non-territoriali
e non-govenative (le ONG), e le imprese nazionali e transnazionali.
Come le caste guerriere in precedenti formazioni sociali, i governi
hanno il monopolio delle armi in ultima istanza. E, come i guerrieri,
si offendono facilmente e possono non considerare i conflitti come
qualcosa da trasformare in modo pacifico, bensì come qualcosa da
usare in modo violento per ottenere onore e prestigio. Quindi gli stati
possono essere problematici, e lo stesso vale per i gruppi che aspirano a
diventarne i padroni, come le nazioni e le colonie, e in una certa misura
le etnie e le classi. I generi e le generazioni sono di solito raggruppamenti
meno problematici, poiché hanno ovviamente bisogno l’uno dell’altro.
Gli attori possono essere valutati in base alle intenzioni (violenti o
nonviolenti), la capacità (forti o deboli) e la modalità (attivi o passivi).
Il compito dell’operatore/trice nei conflitti dovrebbe essere quello di
fare il contrario di quello che fanno i media e i paesi. Si dovrebbe porre
meno l’accento sugli attivi-forti-violenti (i Tarzan/Rambo presenti sia fra
gli individui che fra gli stati/nazione) e più sui nonviolenti, rafforzando
i (finora) passivi e più deboli fra loro. Ciò spesso significa dare maggiore
potere alle donne, ai bambini, ai giovani e ai più anziani, rendendoli
capaci di opporsi contro quella che può essere una minoranza molto
piccola, mettendo in evidenza gli effetti visibili e invisibili della violenza,
cercando alternative e dando loro voce.
GIUSTIFICAZIONE
Anche la migliore analisi strutturale e culturale richiede attori concreti
(come gli/le insegnanti) per attuare i cambiamenti; bisogna definire
i loro compiti per la trasformazione del conflitto e la riduzione della
violenza.
PROBLEMI
Può essere una buona tattica non perdere troppo tempo con i Tarzan/
Rambo. Tuttavia, alcuni di loro possono non veder l’ora di venire
liberati da tale ruolo, e altri possono diventare ancor più intrattabili se
vengono definiti “estremisti” ed esclusi da un processo di pace (v. il caso
Israele/Palestina). Ciò ovviamente vale anche per i “moderati” esclusi
(per lungo tempo un grosso problema in Irlanda del Nord).
120
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici
27
VIOLENZA DIRETTA: CATTIVI ATTORI, MALVIVENTI E BULLI
Focalizzando dinuovo l’attenzione sulla I Fase, qual è il migliore approccio ai cattivi attori, i malviventi, i bulli? Non hanno (ancora) commesso un atto criminale, per cui non possono venir arrestati e deferiti a
un tribunale. Ma nella comunità si sa abbastanza bene chi siano, anche
se si può sempre migliorare l’informazione. La polizia (segreta) presumibilmente lo saprebbe.
Un punto importante riguardo ai cattivi attori, oggi denominati “estremisti” o “fondamentalisti”, è che spesso sono portatori dell’articolazione più esplicita e semplicistica dell’oggetto del conflitto. Spesso possono essere odiati non per quello che fanno, ma per quello che dicono,
in base al presupposto che quel che pensano è ancor peggio. La loro
eliminazione non comporta l’eliminazione del conflitto. Altri possono
sentire e pensare allo stesso modo, ma non essere abbastanza onesti o
coraggiosi per dirlo. D’altro lato, il permetter loro di mettere in atto la
loro violenza porterebbe a una esacerbazione del conflitto.
L’idea qui proposta è quella di mobilitare altri cittadini con profili
opposti e farli lavorare coi cattivi attori, sfidandoli a esporre apertamente
le loro opinioni attraverso molti dialoghi e indicando le conseguenze
delle azioni che potrebbero intraprendere. Stare ad aspettare che alcuni
malviventi tedeschi brucino vive delle donne turche per poi agire non
può essere la sola risposta. Ci devono essere modi in cui i cittadini
possano organizzare comitati inter-gruppo per prevenire gli eventi.
Alcuni terroristi (non terroristi di stato) sono stati convertiti a lottare
per i loro obiettivi mediante la nonviolenza, per esempio in Irlanda del
Nord. Il processo passa attraverso il dialogo per identificare obiettivi
accettabili e rifiutare mezzi inaccettabili, esaminando le conseguenze
degli uni e degli altri.
Progettate un dialogo tra un/a “operatore/trice nei conflitti” e un
“cattivo attore”, lavorando in coppia e recitandolo davanti agli altri.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
121
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI
28
VIOLENZA STRUTTURALE: LA SINDROME PSFM
Le strutture esercitano violenza sul corpo, sulla mente e sullo spirito
perché sono repressive, sfruttatrici e alienanti. Alcune strutture sono
peggiori di altre; sono rigide e super-resistenti al cambiamento, come
la schiavitù, il colonialismo, il patriarcato. Questo è importante nel
diagnosticare la violenza. Potrebbe essere dovuta a una struttura rigida
come una camicia di forza, tale per cui i repressi, gli sfruttati e/o gli
alienati non vedono alternativa se non il combattere per liberarsene?
La sindrome viziosa PSFM consiste nei seguenti quattro aspetti delle
strutture sociali fra le persone e delle strutture globali fra i paesi:
1
2
3
4
penetrazione: la misura in cui quelli che stanno sopra possono
condizionare psicologicamente quelli che stanno sotto, in modo tale
che accettino la struttura, magari come qualcosa di naturale (“proprio
come una montagna, la società ha una vetta e una base”) o dato da Dio
(“è la punizione della pigrizia/del peccato; ma in paradiso l’ultimo può
essere il primo”);
segmentazione: la misura in cui solo chi ha in mano la politica o
l’economia sa che cosa succede e quelli di sotto vedono solo minuscoli
segmenti di realtà, che non possono formare immagini più complete;
frammentazione: la misura in cui quelli di sopra interagiscono fra di
loro in ogni modo possibile, mentre quelli di sotto sono tenuti separati,
come le donne e i bambini all’interno delle loro famiglie;
marginalizzazione: la misura in cui quelli di sotto (spesso di un’altra
etnia) sono (pressoché) tagliati fuori da ogni interazione con il vertice
della società, esclusi dall’interazione sociale e globale.
La combinazione di questi quattro meccanismi spiega come mai un
ristrettissimo numero di persone o paesi possano dominare tante persone
e tanti paesi: appunto combinando insieme repressione/sfruttamento/
alienazione, con livelli bassi di violenza diretta. L’empowerment delle
persone che stanno in basso comporta la lotta contro la sindrome PSFM,
mediante il rafforzamento della loro identità, delle loro immagini della
società e della loro solidarietà, nonché mediante la richiesta di una piena
partecipazione – tutti aspetti essenziali in una democrazia vibrante.
GIUSTIFICAZIONE
Nell’ambito della sindrome PSFM una minuscola élite può anche
controllare il risultato delle elezioni e sovvertire gli ideali democratici.
PROBLEMI
E questo può essere appunto quello che la minuscola élite preferisce; il che
significa che i dialoghi su queste problematiche saranno controversi.
122
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici
28
VIOLENZA STRUTTURALE: LA SINDROME PSFM
Vale la pena rammentare che non è trascorso molto tempo dal periodo
feudale e che il feudalesimo prevale tuttora in vaste aree del mondo. Il
concetto di feudalesimo non comprende soltanto i modelli di possesso
della terra e dei titoli nobiliari. La struttura profonda del feudalismo è
esattamente il condizionamento dall’alto, costringendo le persone in
piccole nicchie dove vedono ben poco, tenendole separate le une dalle
altre e mettendo ben in chiaro chi è dentro e chi no; in breve: PSFM,
appunto. Questi sono temi perenni, che trovano via via nuove forme
d’espressione, nuove arene.
Il punto fondamentale, qui, è la loro relazione con la democrazia.
Come si può costruire un ordine democratico senza che la gente sia
ragionevolmente libera di pensare con la sua testa? Senza rendere la
società ragionevolmente trasparente a tutti i cittadini? Senza far sì che
la gente sviluppi solidarietà verso chi è in difficoltà? Senza esigere una
piena partecipazione, che riguardi anche i modi in cui si affrontano i
conflitti nella società stessa? L’empowerment è la chiave, e la sindrome
PSFM è la serratura da aprire con l’empowerment. Qui Internet potrebbe
essere uno strumento importantissimo, mediante la costruzione di reti
capaci di attraversare ogni tipo di confine PSFM – con il rischio, però,
di escludere coloro che non vi hanno accesso.
In che modo la penetrazione, la segmentazione, la frammentazione e la
marginalizzazione hanno lavorato per il colonialismo, la schiavitù e il
patriarcato?
ESERCIZIO
Per la schiavitù la penetrazione consisteva ovviamente nello sforzo di
indurre i neri a considerarsi inferiori; la segmentazione nella visione
estremamente limitata della società che potevano avere dalle capanne
e dai campi di cotone; la frammentazione nel modo in cui fu loro
impedito di riunirsi in un’unica forza; la marginalizzazione nello
spartiacque bianchi/neri. Fattori potenti. Tentate di identificare gli
elementi equivalenti per il colonialismo e il patriarcato. Come si può
lavorare su fattori del genere, al fine di ridurre la violenza strutturale in
tutti i tre casi?
CHIAVE
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
123
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI
29
VIOLENZA CULTURALE: LA SINDROME EGT E LA SINDROME DMA
Nell’ambito della violenza culturale ci sono due sindromi viziose molto
gravi: la sindrome EGT, che concerne soprattutto le emozioni, e la
sindrome DMA, che riguarda le nozioni, le immagini.
La sindrome EGT si trova nelle culture di genere, generazione, etnia,
classe e nazione:
• Elezione: un certo gruppo è eccezionale, è stato scelto da forze
supreme (Dio, la Storia): “abbiamo una missione nel mondo, gli
altri dovrebbero stare attenti, se no (molto) peggio per loro”;
• Gloria: miti relativi a un passato aureo (spesso molto remoto),
oppure a un futuro glorioso, quando la missione sarà stata compiuta,
secondo i precetti di certe forze supreme;
• Trauma: l’essere stati scelti provoca l’invidia altrui, per cui la
gloria si mescola con l’amarezza per i gravi traumi sofferti nella
lotta per portare a termine la missione, vivendo in conformità ai
comandamenti supremi.
La sindrome DMA è un elemento costitutivo della civiltà dell’Occidente,
nonché di altre:
• Dicotomia: la tendenza a dividere nettamente il mondo in due, la
suddivisione più rozza (cristiani versus pagani, l’Occidente e il Resto);
• Manicheismo: si concepisce una delle due parti come soltanto buona,
mentre l’altra è soltanto cattiva e lotta per la nostra rovina;
• Armageddon: in una simile lotta non c’è possibilità di riconciliazione,
può finire solo con il trionfo del bene o del male; per cui è opportuno
rafforzare noi stessi (i buoni) e indebolire gli altri (i cattivi).
GIUSTIFICAZIONE
Quando si combinano, questi miti giustificano la violenza diretta per
ottenere la gloria futura, uscendo al contempo dal trauma del passato (e
riscattandolo) e contando sul supporto di forze supreme, con un clero
che provvede a che i comandamenti vengano seguiti. Per la classe eletta
di Marx, il proletariato, il clero era costituito dai funzionari di partito
capeggiati dal Politbüro; Dio era la Storia e Marx il profeta della Storia.
Se il mondo è già diviso fra il Sé e l’Altro, i meccanismi psicologici
di repressione/proiezione operano con facilità estrema, proiettando le
nostre cattive inclinazioni sull’Altro e tutte le buone inclinazioni sul Sé.
DMA prepara il terreno a EGT e viceversa.
Un possibile antidoto: un testo scolastico con 50 affascinanti racconti che
indichino come rapportarsi ai conflitti in modo creativo e nonviolento.
PROBLEMI
124
Tutto questo deve in qualche modo venire a galla nei dialoghi, e la cosa
non sarà mai facile, perché vengono toccate le identità profonde dei
popoli. Il modo in cui procedere sarà sviluppato nelle prossime unità.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici
29
VIOLENZA CULTURALE: LA SINDROME EGT E LA SINDROME DMA
Immaginate un uomo appartenente alla classe superiore di una nazione
dominante in un paese dominante: quattro volte eletto. La modestia e
l’identificazione con gli oppressi non gli verranno spontanee, dato che
la sua coscienza è annebbiata dal greve bagaglio subconscio di tipo EGT
e DMA.
A livello di paese/classe la somma E+G+T+D+M+A equivale a una
patologia, come esemplificato dalla Germania nazista, dall’Italia
fascista, dal Giappone militarista, dall’Unione Sovietica stalinista e dalla
Cina della rivoluzione culturale. Questi sei aspetti possono servire per
preparare psicogrammi per certi gruppi.
Di tutti i problemi trattati in questo Manuale questo è probabilmente il
più difficoltoso, anche perché in tutti noi c’è un briciolo di tali sindromi.
La nostra capacità di lavorare contro noi stessi è limitata. L’antidoto
indicato è così modesto da sembrare uno scherzo di cattivo gusto.
Tuttavia, si deve sottolineare che è anche possibile sentirsi eletti per la
pace, come i quaccheri, i mennoniti e altri, fra i quali alcuni gruppi
buddhisti. La gloria sarebbe allora un Regno di Pace, ispirato dal passato
e che dovrà essere ricreato nel futuro. Il trauma, in questo caso, sarebbe
la sofferenza di alcuni di coloro che si sono dedicati alla pace: un Martin
Luther King Jr., un Yitzhak Rabin.
Ma la sindrome DMA è più complicata: potrebbe condurre a distinzioni
troppo nette fra le persone orientate alla pace e quelle orientate alla
violenza (questo stesso Manuale vi si accosta pericolosamente nell’Unità
3!), con visioni di lotta inconciliabile in luogo del riconoscimento della
presenza di violenza nei primi e di pace nei secondi, e del bisogno di
accostarsi l’un l’altro nel dialogo.
Immaginate di credere nella violenza: come cerchereste di convincere
un “pacioso”? E viceversa?
ESERCIZIO
Come si configurerebbe un’alternativa all’EGT?
ESERCIZIO
Come si configurerebbe un’alternativa alla DMA?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
125
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VI
30
PROGNOSI: ALLARME PRECOCE, AZIONE PRECOCE
Parliamo qui di allarme precoce relativamente alla violenza, non al
conflitto. I conflitti sono onnipresenti, la violenza diretta meno; i batteri
sono onnipresenti, come nel tratto oto-rino-laringeo, le malattie meno.
L’esposizione a molti batteri è insufficiente per dare un allarme precoce
di malattia, salvo per alcune specie molto virulente; ma combinata con
una scarsa resistenza (ad esempio, un sistema immunitario danneggiato),
può già bastare. Alla stessa stregua, alti livelli di violenza strutturale
e culturale, non di una soltanto, servono da indicatori per l’allarme
precoce per la violenza diretta.
Ma vale anche l’opposto: la violenza diretta serve da segnale (troppo)
tardivo della presenza di violenza strutturale e culturale.
Le persone possono deplorare di dover lavorare sotto il giogo di cattive
strutture, eppure non fare nulla di violento perché “la violenza non è nella
loro cultura”. Possono assorbire violenza culturale da media violenti, ma
non essere coinvolte in grandi lotte, e avere solo controversie private.
Tuttavia, se vengono in contatto con cattivi attori e se ci sono conflitti
fondamentali abbandonati a se stessi, si ottiene la ricetta ideale per la
violenza diretta. Aspettare che si manifesti per cambiare lo stile sociale
(= strutturale + culturale) è come aspettare il primo attacco cardiaco per
cambiare il proprio stile di vita.
GIUSTIFICAZIONE
Un allarme precoce basato sulla violenza strutturale e culturale può
servire a predire la violenza diretta, soprattutto se l’analisi della struttura
include gli indicatori PSFM e l’analisi della cultura gli indicatori EGT
e DMA.
PROBLEMI
Il problema principale è percepire la violenza strutturale e culturale
soltanto come preavviso della violenza diretta, anziché come cattive di
per sé. La violenza strutturale può ridurre la vitalità delle persone che
stanno più in basso nella stessa misura, o in misura maggiore, della
violenza diretta, anche se con una velocità minore. E si può anche
sostenere che la violenza culturale (come la pornografia, i polizieschi,
i gialli ecc.) impoverisce la mente delle persone e le rende inferiori a
quello che potrebbero essere.
In breve:
allarme precoce significa: “Non aspettare, mettiti al lavoro. Ci sono
persone che soffrono!”.
126
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VI – Manuale dei/lle formatori/trici
30
PROGNOSI: ALLARME PRECOCE, AZIONE PRECOCE
Questa è la problematica perenne della I Fase: dobbiamo stare fermi ad
aspettare che si manifesti la violenza o agire? Ovviamente la seconda
opzione. Ma allora si presenta subito una nuova domanda: dobbiamo
agire per prevenire un’eventuale violenza o lo dobbiamo fare a causa
dei problemi della I Fase in quanto tali? Preferibilmente tutt’e due,
altrimenti può capitarci di non risolvere i problemi della I Fase e di non
prevenire la violenza della II Fase perché non abbiamo fatto un buon
lavoro.
E allora arriva il verdetto: violenza diretta come segnale (troppo)
tardivo della presenza di violenza strutturale/culturale, come
epitaffio per il lavoro fatto male da statisti, diplomatici, politici o altri.
Sfortunatamente troviamo entrambe le tendenze seguenti in molti
interventi (dilettanteschi) sui conflitti oggi:
• non far nulla contro la violenza strutturale finché i primi segni di
violenza diretta vengono presi come indicatori della possibile gravità
della situazione;
• non far nulla contro la violenza diretta, lasciarli combattere finché i
primi segni di affaticamento indicano che la situazione è “matura per
il tavolo delle trattative”.
Entrambe possono essere considerare posizioni da pantofolai, molto
distanti da quella prossimità con una certa situazione che fa agire qui e
ora semplicemente per umana compassione. Possono anche essere viste,
come già accennato, come posizioni più maschili che femminili sul
momento in cui agire nelle crisi.
Ovviamente ci sono argomenti in favore dell’una e dell’altra posizione.
Agire presuppone un qualche consenso politico, a sua volta basato su
informazioni che obbligano all’azione. Il primo colpo sparato per rabbia
è un fatto, così pure la notizia della disponibilità a incontrarsi al tavolo
dei negoziati. Ma il primo sparo può essere insignificante in rapporto
alle sofferenze di migliaia di persone che vivono nel malsviluppo, e il
tavolo può esser il posto sbagliato per trovare una soluzione. In entrambi
i casi è molto tardi: un buon motivo perché la società civile prenda
l’iniziativa, senza aspettare che i governi “facciano qualcosa”.
Come mai sembra che la violenza diretta sia presa più sul serio delle
altre forme di violenza? Cosa possiamo fare in proposito?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
127
LA TRASFORMAZIONE
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO VII
UNITÀ 31 - 35
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII
31
NON C’È ALTERNATIVA ALLA TRASFORMAZIONE
In linea di massima i conflitti non si risolvono, né si dissolvono. Le
parti, gli obiettivi e le incompatibilità (le questioni problematiche)
di solito continuano a essere presenti. Il pensare di avere il conflitto
completamente alle nostre spalle può essere un grave errore.
Tuttavia, mediante la sua trasformazione, il conflitto così com’era – con
l’odio, le (minacce di) violenze e la sensazione di essere bloccati/
immobilizzati – recede nello sfondo. La trasformazione del conflitto è
come lasciare un ospedale: non equivale esattamente a un certificato
di buona salute. La prognosi è che la piena salute sopraggiungerà
come risultato del Sé che agisce come proprio operatore sanitario, ivi
compreso l’affidarsi alle capacità di autoguarigione del corpo (sistema
immunitario), con il corpo, la mente e lo spirito che spingono nella
stessa direzione. E con l’assistenza occasionale di operatori sanitari
disponibili su chiamata.
Il parallelo fra malattia/salute e violenza/pace è ovvio. La pace può
essere definita come la capacità di rapportarsi a un conflitto in
modo autonomo, nonviolento, creativo, con la partecipazione di tutti,
proprio come la salute può definirsi come “la capacità di rapportarsi da
soli a una malattia, senza fare violenza al corpo” (come accade con la
chirurgia, la chemioterapia, la radioterapia). Talvolta possiamo trovarci
a dover usare un minimo di violenza per il maggior bene della salute/
pace. Ma non dovremmo idealizzare quei mezzi: sono dei tappabuchi e
i mezzi nonviolenti dovrebbero sempre essere utilizzati per primi.
Lo scopo della trasformazione del conflitto è la pace, la capacità di
rapportarsi a un conflitto in modo creativo e nonviolento. La visione
di un risultato sostenibile e accettabile da tutte le parti può trasformare
il conflitto ben prima di un qualsiasi accordo. Il discorso sul conflitto è
cambiato perché la visione serve da punto di riferimento, da áncora. Si
comincia a parlare di qualcosa di nuovo; le vecchie questioni sulle quali
si incentrava il conflitto evaporano o passano in secondo piano. Gli
esterni si ritirano, le parti cominciano a costruire la propria capacità di
trasformazione del conflitto.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
130
L’obiettivo non è una soluzione definitiva, bensì trasformare il conflitto
e costruire la capacità delle parti stesse di rapportarsi al conflitto da sé
in modo nonviolento e creativo.
L’abbandonare a se stesse le parti troppo presto; o troppo tardi.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici
31
NON C’È ALTERNATIVA ALLA TRASFORMAZIONE
Adesso stiamo entrando nello stadio della trasformazione e in questa
Unità si tratteggiano, in termini piuttosto generali, alcune prospettive
sul da farsi. Per essere più specifici, prendiamo il caso della Iugoslavia.
Il conflitto fra, poniamo, croati e serbi non sparirà nella prossima
generazione. Ci vorranno secoli, o perfino un millennio. Ma può
essere affrontato in modo meno violento (evitate i termini “primitivo”
o “incivile”; i confronti con l’Europa del XX secolo sono insulti ai
cosiddetti popoli primitivi o incivili).
Immaginiamo che la Croazia avesse accettato che l’autodeterminazione
per la Croazia implicasse necessariamente l’autodeterminazione per i
serbi della Croazia, diciamo della Krajina. Essi avrebbero potuto votare
per la secessione, magari con qualche ridefinizione dei confini della
Krajina.
Ma perché la Croazia dovrebbe accettare questo senza contropartita?
La Serbia potrebbe estendere la stessa offerta agli albanesi del Kosovo/a,
dinuovo con la possibilità di negoziare e ritracciare i confini. Ma per
aiutare i croati, i croati della Bosnia-Erzegovina avrebbero anch’essi
dovuto fruire del diritto all’autodeterminazione, inclusa la possibilità di
integrarsi nello stato croato.
A questo punto manca però il quarto lato del quadrangolo: i musulmani
albanesi che diano qualcosa ai musulmani slavi, per esempio l’uso di un
qualche porto in Albania, insieme a un qualche tipo di corridoio. Con
appena un pochino di buona volontà questo accordo quadrilaterale
potrebbe funzionare. Ma è anche vulnerabile. Tuttavia, immaginate
che funzioni: un mucchio di obiettivi bloccati si sbloccherebbero e
forse si ridurrebbe anche la percezione che si possa risolvere qualcosa
soltanto con la violenza. In breve, si passerebbe da un aspro conflitto
su interessi fondamentali a un conflitto lieve su dettagli minori, quasi
amministrativi.
Discutete lo scenario, evidenziandone i punti positivi e negativi. Come
si potrebbe migliorarlo? Chi potrebbe/avrebbe potuto metterlo in
atto?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
131
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII
32
L’EMPATIA PER CAMBIARE GLI ATTEGGIAMENTI
Applicando l’approccio DPT ad A (gli atteggiamenti), l’operatore/trice
nei conflitti si trova prima o poi a dover usare l’empatia per esplorare gli
obiettivi più profondi di ciascuna parte, cosa impossibile a farsi quando
le altre parti stanno ascoltando. Lo scopo qui è la diagnosi: identificare
obiettivi validi sui quali costruire. Essi possono aver a che fare con i
bisogni fondamentali e i diritti fondamentali, cioè con qualcosa di
“universale” che anche gli altri attori possono celebrare come obiettivo.
Si tratta di un punto importante: qualsiasi parte ha bisogno di sostegno
su qualche punto. Come già argomentato prima, “la revisione del
trattato di Versailles” e “l’Asia agli asiatici” erano obiettivi del genere,
anche se la Germania e il Giappone li giustificavano in termini EGT. Il
collegamento fra gli obiettivi e le loro giustificazioni diventa allora un
tema importante nell’ordine del giorno dei dialoghi.
Un altro tema, rivolto invece alla prognosi, sono le emozioni nei
confronti dell’Altro. Il dialogo su che cos’è più importante, se il
conseguimento di un obiettivo valido oppure l’odio verso l’Altro,
riguarda la priorità del conflitto originario su determinati obiettivi
rispetto al meta-conflitto sui mezzi violenti, con spirali crescenti di
rivalsa e contro-rivalsa. “Siete davvero sicuri che l’Altro vi sia d’ostacolo?
Potreste immaginare di ottenere il vostro scopo in altro modo? Potrebbe
darsi che l’ostacolo maggiore sia il vostro atteggiamento? Quale pensate
che sia la conseguenza del vostro modo di pensare? Cos’è che vi fa più
paura nell’Altro? Vedete qualcosa di positivo nell’Altro? E l’Altro, vede
qualcosa di buono in voi?”.
Un terzo tema, orientato alla terapia, è lo sforzo congiunto per
cambiare gli atteggiamenti. L’essenziale, qui, è celebrare il conflitto
come una sfida e pertanto badare al conseguimento di un obiettivo, ma
forse non di tutti gli obiettivi. L’atteggiamento verso il conflitto deve
cambiare, come apertura potenziale per una relazione migliore – non
peggiore – con l’Altro.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
132
Un atteggiamento rilassato, meno fissato sull’odio, è una condizione
per il progresso, ammesso che un qualche obiettivo venga accettato.
Le immagini di Sé e dell’Altro ancorate agli schemi EGT-DMA.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici
32
L’EMPATIA PER CAMBIARE GLI ATTEGGIAMENTI
Fin dove possiamo arrivare con l’empatia? La risposta dev’essere in
negativo: senza empatia siamo perduti in mezzo a tante e tali difficoltà.
La ricerca quacchera di “ciò che è di Dio” in ognuno e la ricerca buddhista
del “Buddha nascosto” possono venir tradotte, nella terminologia della
trasformazione dei conflitti, come la ricerca di un obiettivo accettabile,
in chiunque.
Ma tale obiettivo dev’essere riconosciuto dalle parti, e a questo
riconoscimento si può giungere illuminando l’obiettivo stesso: “Ecco,
guardate, proprio adesso avete detto qualcosa che tutti comprenderebbero
e su cui sarebbero anche d’accordo; perché non farne l’elemento portante
della vostra piattaforma?”. Un modo di arrivare a tanto è nascosto nel
termine “obiettivo”, ma più in particolare negli obiettivi negativi, nelle
ansie, nelle paure, piuttosto che negli obiettivi positivi.
Esempio (Irlanda del Nord)
D: Che cosa direste di temere, voi unionisti?
R: Siamo protestanti e temiamo di perdere qualcosa del nostro
protestantesimo in un’Irlanda a maggioranza cattolica. Ma temiamo
anche di perdere il multi-culturalismo della Gran Bretagna passando
all’Irlanda mono-culturale; mi piace tutta quella varietà. E, ovviamente,
abbiamo paura per la vita dei nostri figli, siamo spaventati dalla loro
violenza. E così abbiamo bisogno di protezione.
D: Che cosa direste di temere, voi repubblicani?
R: Siamo cattolici, ci sentiamo schiacciati in un angolo nell’Irlanda del
Nord a maggioranza protestante. E non siamo troppo entusiasti delle
varie mode che di questi tempi arrivano dall’Inghilterra; l’Irlanda dà
una certa protezione contro di loro. Soprattutto abbiamo paura per la
vita dei nostri figli, siamo spaventati dalla loro violenza. E così abbiamo
bisogno di protezione.
Immagina la persona con la quale hai avuto finora il conflitto più aspro
della tua vita. Qual era il suo obiettivo valido? Quali erano le sue paure?
E le tue?
Pensi che dei risultati nonviolenti avrebbero potuto essere compatibili
con i suoi atteggiamenti?
Quale credi che fosse, secondo lui/lei, un tuo obiettivo valido, ammesso
che pensasse che ne avessi uno?
Quanto nonviolenti sono stati i tuoi atti, discorsi, pensieri e
sentimenti?
Con quella tua controparte hai avuto soprattutto dialoghi interiori
arrabbiati, o hai cercato di porti in relazione reciproca?
Ti sei posto in relazione con le paure di quella persona e non solo con
le tue?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
133
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII
33
LA NONVIOLENZA PER CAMBIARE IL COMPORTAMENTO
Passando al settore B (da Behavior, cioè comportamento) del mondo
reale dell’azione, ci lasciamo dietro il mondo interiore virtuale delle
emozioni/immagini.
Per quanto concerne la diagnosi, la domanda qui sarebbe: perché quella
parte è violenta? E una risposta potrebbe essere: “perché la violenza
è l’unica via d’uscita in questa faccenda”; oppure “perché l’altra parte
è violenta, quindi la violenza è l’unico linguaggio che capiscono”; o
ancora, più promettente, “perché siamo tutti violenti; gli esseri umani
lo sono e noi siamo umani”. Promettente perché è facile dimostrare che
è una risposta erronea.
Per la prognosi si dovrebbero esplorare questioni come la reciprocità e
le spirali della violenza: “Se tu vai avanti con la tua violenza e lui con
la sua, dove si va a finire?”. Se risulta che la vittoria è “l’unico modo
per portare a termine questo conflitto”, può venir sollevato il problema
della vendetta, con tutti i suoi vari effetti invisibili. L’operatore/trice
nei conflitti può anche richiedere la valutazione di ciascuna parte sulla
prognosi delle altre parti. Se le prognosi coincidono, c’è una buona
ragione per metter fine a ogni violenza, dato che esse concordano sul
modo in cui la vicenda andrà a finire. Tutto ciò per esplorare la futilità
della violenza.
Il tema della terapia potrebbe vertere sull’obiettivo valido che è stato
identificato e sull’azione nonviolenta necessaria per promuovere tale
obiettivo (i dialoghi con Hitler e con Hirohito che non ebbero mai
luogo). In pratica questo significa operare contro le strutture e le culture
prevalenti, costruendo identità, immagini di società, solidarietà e partecipazione. Un milione di persone che presentino tali istanze in modo
nonviolento a qualsivoglia potere e al mondo intero sono un argomento
stringente, soprattutto se le azioni si svolgono anche a livello locale.
Mille scuole che insegnino una cultura di pace sono un argomento in
più. Cento media di grande risonanza che pratichino un giornalismo di
pace ne sono un terzo. Ma arrivare a tanto non è facile.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
134
Facile da sostenere come base per la democrazia.
Molti preferiscono una democrazia formale, con una struttura e una
cultura che favoriscano in anticipo lo status quo come risultato.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici
33
LA NONVIOLENZA PER CAMBIARE IL COMPORTAMENTO
Immaginate che a un certo punto, nei primi anni ‘80, aveste voluto
fare qualcosa per metter fine alla guerra fredda. La vostra diagnosi verte
su due problemi fondamentali: il nuclearismo all’Ovest e all’Est, più
all’Ovest, in realtà, perché l’Est è più emulativo; e lo stalinismo o il
post-stalinismo all’Est, che lede i diritti umani.
La vostra intuizione è che il (post-)stalinismo è effettivamente assai vulnerabile, come un castello di carte. Sono stati fatti progressi significativi
in Polonia, ma sembra esserci un certo stallo. Un paese ad alto livello di
coraggio civile è la Germania orientale; vi si studia con interesse la nonviolenza del movimento per la pace della Germania occidentale, pur
rilevando che i missili statunitensi a media gittata vengono comunque
installati. Sarebbe tanto irragionevole vedere una trasformazione della
guerra fredda in termini di azione nonviolenta da parte di gruppi della
società civile della Repubblica Democratica Tedesca, come in effetti poi
successe? Ci sono sì alte probabilità contro, specialmente se si crede al
modello monolitico dei paesi socialisti, alla loro prontezza illimitata al
ricorso alla violenza, e che quindi l’unico mezzo accessibile alla gente sarebbe la resistenza violenta, come quella dell’autunno 1956 in Ungheria. E questa era più o meno la visione occidentale prevalente su come la
guerra fredda potesse giungere a termine: spremere l’Unione Sovietica
con la corsa agli armamenti finché non s’arrivasse a una rivolta.
Arrivò invece la nonviolenza. E il muro cadde, un mese dopo. E le
motivazioni addotte non furono tanto in termini di carenza di merci
sugli scaffali (i consumisti se ne andarono in Occidente), quanto in
termini di diritti umani e di ricerca di un socialismo democratico. O
accadde qualcos’altro? Comunque sia, il castello di carte collassò, come
un effetto domino.
Provate a immaginare ancora altre conclusioni diverse della guerra
fredda, inclusa la continuazione di cicli di tensione e distensione.
Confrontatele con quel che accadde davvero. Quale conclusione si può
trarre?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
135
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII
34
LA CREATIVITÀ PER CAMBIARE LE CONTRADDIZIONI
La contraddizione, cioè C nel triangolo ABC, è l’elemento centrale di un
conflitto. Ma un approccio unilaterale orientato solo su C, semplicistico
rispetto all’odio e alla violenza (una grave fallacia marxista), non è migliore
di un approccio altrettanto unilaterale orientato su A (cioè al mutamento di
atteggiamento, una grave fallacia liberale) o su B (un approccio behavioristico
volto al controllo della violenza, una grave fallacia conservatrice). Tutt’e tre
devono procedere di pari passo. In base alla formula Conflitto = A+B+C,
un conflitto dev’essere trasformato agendo su tutt’e tre le componenti.
Il tema della diagnosi nel dialogo consisterebbe nel saggiare il nucleo
duro della contraddizione, indirizzando i dialoghi lungo un percorso
che va dalla terapia del passato, alla prognosi, alla diagnosi e alla
terapia per il futuro. Ecco alcuni esempi di possibili risultati:
1
per due stati, un territorio conteso: condominio, governo congiunto.
Rendere il territorio una zona di pace, organizzare iniziative pubbliche e
globalizzanti con enti intergovernativi e non-governativi, e in più istituire
una zona economica con alcuni privilegi per le imprese transnazionali,
un campeggio per i giovani, un aeroporto, un centro radio/TV/Internet
per la pace, conferenze per la pace, una riserva naturale bi-nazionale;
2
per due nazioni, uno stato conteso:
• per una maggioranza deprivata del potere, una formula è l’indipendenza da poteri esterni e/o il governo della maggioranza;
• per una minoranza in cerca di autonomia, un’opzione può essere la secessione
o il federalismo, sempre che si possano tracciare linee di confini. Se no:
2a federalismo non territoriale: ogni persona viene registrata come membro
di qualche nazione (includendo le miste?); ogni nazione elegge il proprio
parlamento con una vasta autonomia per ciò che concerne tempi e spazi
sacri, religione e lingua (cfr. il parlamento Sami in Norvegia);
2b indipendenza funzionale: si compila un elenco dei – diciamo – 25 ámbiti solitamente di competenza statale e si definisce mediante dialoghi la zona
grigia fra l’autonomia (entro uno stato) e l’indipendenza (da uno stato). È necessaria una propria forza armata? No, però polizia e tribunali propri sì. Una
propria valuta? No, però propri francobolli sì. L’insegnamento della lingua
nazionale, sì; l’insegnamento nella propria lingua nazionale, sì; la lingua nazionale come la sola lingua usata dalla pubblica amministrazione, no. E così via.
Alla fine può emergere un trattato d’indipendenza accettabile per entrambe le
parti, come una polizza assicurativa, da rinegoziare periodicamente.
GIUSTIFICAZIONE
L’obiettivo è non solo evitare la violenza, bensì promuovere il senso di
umanità, creando nuove realtà aggreganti. E tutt’e tre le formule favoriscono dialoghi/negoziati democratici.
PROBLEMI
Le parti interne potrebbero opporre resistenza a qualsiasi trascendimento
della contraddizione, perché così si minerebbe la giustificazione del ricorso
alla violenza, “e la violenza è l’unica via d’uscita in questa faccenda”.
136
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici
34
LA CREATIVITÀ PER CAMBIARE LE CONTRADDIZIONI
L’esempio della Iugoslavia, usato prima per illustrare l’agenda per un
dialogo DPT incentrato sugli atteggiamenti, mostrava chiaramente
che anche i comportamenti e le contraddizioni entrano in gioco. In
modo analogo, qualsiasi dialogo incentrato sui comportamenti va a
coinvolgere gli atteggiamenti e le contraddizioni. Hanno tutti a che
fare l’uno con l’altro. Ma è cruciale il livello di creatività richiesto per
trattare la contraddizione, perno del conflitto.
Il “federalismo non-territoriale” e l’“indipendenza funzionale” sono
esempi di risposte possibili ai problemi di 2000 nazioni che lottano per
l’autonomia in un mondo di 200 paesi, ma con solo 20 stati-nazione.
Il tracciare confini può portare a penosissimi movimenti di masse di
persone e, nei casi peggiori, a pulizie etniche, anche se c’è stato un
plebiscito.
I due approcci più morbidi dovrebbero dare alti livelli di autonomia e
di indipendenza. Ma ci sono due problemi non da poco:
• la separazione geografica delle nazioni è fortemente impressa nelle
nostre mappe mentali, anche se i problemi delle classi vengono
affrontati in modo non-territoriale, per esempio con negoziati fra
i sindacati degli imprenditori e dei lavoratori, ove le serrate e gli
scioperi valgono come armi cui ricorrere in ultima istanza;
• le persone possono essere disposte a pagare un prezzo di violenza
per l’autonomia e l’indipendenza, che produrranno (o almeno
così credono) non soltanto identità, ma anche una base per la
sopravvivenza, il benessere e la libertà.
La creatività è bella, ma può scontrarsi con gli atteggiamenti e i
comportamenti.
Si possono di certo portare argomenti in favore dei tre possibili risultati proposti: condominio, federalismo non-territoriale e indipendenza funzionale. Se verranno accettati, trasformeranno il conflitto. Ed è
plausibile che ci saranno ancora conflitti, ma potranno essere affrontati
entro le nuove configurazioni istituzionali, mediante negoziati ecc.
Quali argomenti portereste in favore del condominio?
ESERCIZIO
Quali argomenti portereste in favore dell’autonomia non-territoriale?
ESERCIZIO
Quali argomenti portereste in favore dell’indipendenza funzionale?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
137
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VII
35
SCAMBIARE UN CONFLITTO CON UN ALTRO?
Pensate a un ospedale. Vi entrate con una malattia, e ne uscite,
presumibilmente, curati. Tuttavia la cura può anche introdurre nuove
malattie note come “effetti collaterali” (spesso un eufemismo), come
quelle indotte dai medici (malattie iatrogene) e dall’ospedale stesso
(ospedalismo). Gli ottimisti considerano l’affare comunque positivo: ne
esci con mali meno gravi di quando ci sei entrato. I pessimisti negano
che sia così, ritenendo la cura peggiore della malattia, sul lungo periodo.
Solo gli ingenui sono convinti di uscire con tutte le malattie alle spalle
e senza essersi presi nient’altro in cambio.
Come già messo in risalto nelle introduzioni sul conflitto e la creatività,
l’idea sottostante alla trasformazione del conflitto è il suo “dislocamento”
da dov’era stato posto dalle parti e la sua “ricollocazione” (“riradicamento”) altrove – proprio come spostare un paziente dal letto di
casa a quello d’ospedale (e viceversa). La metafora ci rammenta che non
è affatto scontato che si possano affrontare meglio i nuovi problemi.
Ma guardate le tre formule nell’Unità 34: ecco che i problemi sono
diventati tecnici.
I costi dovrebbero esser calcolati in anticipo e sostenuti più dai forti che
dai deboli. La creazione di una nuova situazione che minimizzi i costi e
massimizzi i benefici per tutti è un aspetto fondamentale di una buona
trasformazione, che richiede un profondo trascendimento.
PROBLEMI
Nessuna generazione ha il diritto di scaricare l’onere dei misfatti
ecologici, di una cattiva gestione ecc. sulle generazioni future. Lo stesso
vale per la cattiva trasformazione dei conflitti: se l’onere viene scaricato
sulle generazioni future, allora il lavoro è stato svolto male.
GIUSTIFICAZIONE
Un’apertura troppo angusta alle conseguenze in termini di generazione
di nuovi conflitti è ingiusta nei confronti delle generazioni future. Ma
un’eccessiva consapevolezza di tali conseguenze, fino ad arrivare alla
paralisi, all’inazione, è altrettanto ingiusta nei confronti dell’attuale
generazione. Occorre trovare soluzioni intermedie, che tendono a essere
complesse.
138
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VII – Manuale dei/lle formatori/trici
35
SCAMBIARE UN CONFLITTO CON UN ALTRO?
Dobbiamo tenere a mente lo scopo complessivo della trasformazione
del conflitto: creare una nuova situazione che può essere trattata in
modo nonviolento e creativo perché i conflitti si sono ammorbiditi. Se
di fatto la situazione conflittuale è peggiore, allora la trasformazione ha
operato in modo regressivo, non progressivo; è stata una trasformazione
negativa, anziché positiva. Molti ritengono che sia appunto questo il
caso dopo la guerra fredda: la tensione era alta, ma c’era poca violenza,
mentre ora c’è molta violenza e molta tensione diffusa. In questo tipo di
calcoli si deve tener conto degli enormi costi della guerra fredda – per
esempio le guerre nel Terzo Mondo – e degli orribili rischi di una guerra
nucleare, finora evitata.
Ma ci si può pur sempre porre la domanda: la trasformazione è stata
un buon affare? Di certo non fu programmata da nessuno e colse
impreparato il mondo. Ci furono discorsi ingenui sul “dividendo della
pace” e perfino sulla “fine della storia” da parte di persone troppo
stravolte dalla guerra fredda per poter immaginare altri conflitti. Ma
è come se tutte le nazioni avessero ripreso la loro vecchia agenda,
accantonata dalla guerra fredda, cioè l’autodeterminazione nazionale,
per mezzo di un referendum o per mezzo della violenza.
A questo punto bisogna ricorrere all’empatia. Di solito la domanda è:
“come ti sentiresti nei suoi panni?”. Il linguaggio della trasformazione
suggerisce invece: “come si sentirebbero le parti in questo nuovo setting
del conflitto?”, una volta che questo fosse stato “dislocato” e “ricollocato”. Non lo sanno, ma il mutamento del discorso sul conflitto – sviluppando i dialoghi come se fossero stati realizzati il condominio, o il
federalismo non-territoriale e/o l’indipendenza funzionale – rende possibile un’esplorazione mentale e verbale.
Discutete questo tema per le tre proposte, usando come esempi i conflitti
tra Ecuador e Perù (condominio), in Irlanda del Nord e nei Paesi Baschi
(federalismo non-territoriale e indipendenza funzionale).
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
139
I DIALOGHI DI PACE
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO VIII
UNITÀ 36 - 40
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII
36
L’APPROCCIO PREVALENTE/VERTICALE
Torniamo ora al processo della trasformazione del conflitto. Ecco un modello
di svolgimento di un negoziato “riuscito” che si trova di frequente:
1
le parti – di solito ne vengono identificate solo due – sono viste come inconciliabili; la violenza è imminente, è già scoppiata, o è andata avanti così a lungo
che le parti sono affaticate, “mature” per un qualche accordo;
2
una terza parte, una grande potenza, un’organizzazione, o l’ONU viene
chiamata per/si offre di mediare, portando le parti “intorno al tavolo”;
3
le parti s’incontrano, sotto gli auspici della “terza parte”, e la prima
stretta di mano è la prima occasione per una bella fotografia;
4
i colloqui si svolgono al “tavolo” presieduto dalla terza parte; gli incontri
sono segreti, chiusi al pubblico;
5
i portavoce trasmettono messaggi anodini, come “nessun progresso”,
“buona atmosfera/bell’alchimia”, “cedimento”, “sfondamento”;
6
sessione finale fino a notte fonda, annuncio dell’accordo di prima mattina,
firma, strette di mano, e seconda occasione per una fotografia.
GIUSTIFICAZIONE
È necessaria un’autorità per sbloccare il conflitto; sono indispensabili
promesse/minacce, la carota e il bastone. Le parti devono conoscersi e
conoscere le rispettive opinioni, collaborando insieme per imparare a
vivere poi insieme, attraverso i buoni uffici di una “terza” parte. Politici
e diplomatici hanno esperienza di negoziati “delicati”; il pubblico è
invece una seccatura.
PROBLEMI
Tutto sbagliato. L’approccio non è democratico in quanto ignora le
competenze nei conflitti delle persone comuni. Il procedimento scommette sulle élites (spesso violente) e su un singolo tavolo, mentre può
esserci bisogno di molti gruppi, livelli e tavoli paralleli. I partecipanti
sono di solito dei leader che presentano visioni estreme, non la “maggioranza silenziosa, moderata” desiderosa di un qualsiasi risultato che
non riproduca la violenza. La violenza viene premiata con l’accesso al
tavolo. L’ipotesi che solo attorno al tavolo possano emergere idee fruttuose è dubbia, e altrettanto lo è l’ipotesi che accordi vincolanti per milioni di persone possano essere conclusi da una manciata di negoziatori
appartenenti all’élite. La cosa può aver funzionato quando a firmare
erano dei re la cui autorità si credeva derivasse da Dio (rex gratia Dei),
qualità rara fra i governanti di oggi.
Chi è impegnato in negoziati e/o dialoghi ha bisogno di lavorare
indisturbato. Ma la segretezza va ben aldilà di questo: simboleggia il
monopolio dell’élite: “non è affar vostro (cioè del resto del mondo)”; e
serve pure a nascondere la mancanza di metodo, i metodi sbagliati, il
dilettantismo, l’attività di potenze impegnate a servire se stesse e a forzare
la mano ad altri attori. E ancor peggio: la segretezza può nascondere il
fatto che non hanno proprio nessun segreto, salvo quanto malamente
stiano “gestendo” il conflitto.
142
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici
36
L’APPROCCIO PREVALENTE/VERTICALE
Si può obiettare che questa presentazione del tipo prevalente di
risoluzione di un conflitto è l’analisi del peggior caso possibile. La
Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1972-1975,
con relativa preparazione) tenutasi a Helsinki può servire da esempio
contrario, perfino con un carattere esemplare. Perché? Come?
Non ci fu una riduzione polarizzante su due sole parti, Est e Ovest;
c’erano anche i neutrali/non-allineati a rendere più complessi e flessibili i
negoziati sul conflitto. Si utilizzò un periodo di fiacca della guerra fredda,
dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e prima dell’invasione
dell’Afghanistan e della decisione della NATO di dispiegare missili a
media gittata. I negoziati in condizioni di crisi di solito portano a cattivi
accordi.
Nessuna grande potenza aveva portato (o costretto con bombardamenti)
le parti al tavolo: una piccola potenza (la Finlandia) le aveva invitate.
Nessuno pretendeva di essere una terza parte, al di fuori o al di sopra
del conflitto; s’incontrarono tutti in quanto europei, insieme agli USA
e al Canada.
I negoziati si svolgevano a porte chiuse; i comunicati stampa erano
frequenti e ampi. Tuttavia, sarebbe stato ancor meglio se i finlandesi
avessero tratto un insegnamento dalla conferenza dell’ONU
sull’ambiente a Stoccolma di quello stesso anno (1972) e organizzato
un forum non-governativo su grande scala.
La conferenza impiegò il tempo che ci voleva per dividere le diverse
questioni in “panieri” e negoziare un accordo (l’URSS ottenne la
“stabilità dei confini” nel paniere 1, cedette sui “diritti umani” nel
paniere 3 e ci fu un compromesso sulla “cooperazione economica” nel
paniere 2).
In breve: tutte le questioni sul tavolo, tutte le parti presenti al tavolo, un
ambiente cordiale e favorevole, e tempo a disposizione.
Prendete un problema oggi di primaria importanza (la Iugoslavia, il
Golfo) e progettate una conferenza multilaterale “nello spirito di
Helsinki”. Che cosa potrebbe impedire il verificarsi di una conferenza
del genere?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
143
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII
37
L’APPROCCIO ALTERNATIVO/ORIZZONTALE
Un’immagine alternativa, promossa da questo Manuale, ha le seguenti
caratteristiche:
1
non ci sono mai due parti soltanto; le parti sono bloccate, piuttosto che
inconciliabili; la violenza è profondamente deplorata e da evitarsi, ma il
problema fondamentale è il conflitto originario;
2
non c’è una “terza parte” obiettiva; e prima degli incontri “al tavolo”, alle
parti sarebbero utilissimi dialoghi profondi, una alla volta, con operatori/
trici nei conflitti molto capaci. Non c’è alcun assunto a priori in base al
quale le parti debbano vivere insieme, o debbano separarsi;
3
sarebbe meglio che tali incontri colloquiali avessero luogo in circostanze
semplici e senza i riflettori dei media;
4
poiché un incontro è una conversazione, nessuno presiede; le persone
sono incoraggiate a organizzare da sole tali incontri;
5
si dovrebbe coinvolgere anche il pubblico, informandolo sui problemi e
incoraggiandolo a contribuire con le sue idee (educazione alla pace); quanto ai
media, dovrebbero cooperare con articoli di fondo, tavole rotonde, programmi
aperti al pubblico, informazione (giornalismo di pace);
6
non c’è un finale vistoso, né una messa in scena per celebrare chicchessia
per “averci dato la pace”, e forse neppure un accordo firmato.
Si tratta qui di operare una trasformazione del conflitto mediante
un’evaporazione del conflitto duro. Vengono presentate idee valide,
qualcosa viene sbloccato. Niente del tipo “inchiodare qualcuno alle
sue dichiarazioni”, dato che potrebbe anche non esserci una tale
dichiarazione. “Solo” un processo; qualcosa di simile al modo in cui
evaporò la guerra fredda.
GIUSTIFICAZIONE
La vera trasformazione arriva dall’interno delle parti stesse; l’operatore/
trice nei conflitti è un catalizzatore, che dà un aiuto, senza imporre
alcunché dall’alto. Solo così il processo di trasformazione può essere
non solo accettabile, ma anche autosostenentesi.
PROBLEMI
Le grandi potenze, e non soltanto loro, tendono a preferire l’approccio
prevalente per simboleggiare e aumentare il proprio potere, cosa che
spesso per loro è più importante dell’effettiva trasformazione del
conflitto. Una conferenza che non approda a un accordo può anche
servire da pretesto per degli interventi. Tuttavia, l’approccio prevalente
e quelli alternativi possono anche essere combinati in processi a binario
duplice o multiplo, scommettendo su due o più approcci.
144
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici
37
L’APPROCCIO ALTERNATIVO/ORIZZONTALE
L’approccio negoziale prevalente soffre di un altro grosso inconveniente:
le parti possono semplicemente rifiutare d’incontrarsi, o piantarsi in
asso a vicenda nel corso degli incontri. Questo dà all’approccio basato
sul dialogo un vantaggio immediato: “Perché vi rifiutate di venire?”,
oppure: “Volete restare?”, come domande d’apertura. Ci sono buone
probabilità che siano impazienti di rispondere.
Tuttavia, come già sottolineato, questi approcci sono complementari. La
tesi è che l’approccio alternativo, orizzontale, dev’essere maggiormente
utilizzato. In linea di principio, come già si è detto, in un luogo come
la Iugoslavia ci dovrebbero essere centinaia, migliaia di operatori/trici
nei conflitti che organizzino dialoghi dappertutto. Ogni peace-keeper
dell’ONU, fino al livello del comune soldato semplice, dovrebbe avere
un qualche addestramento che gli/le permetta di far questo.
Il risultato netto, come si è sostenuto, sarebbe una riserva di idee
provenienti dalla gente che si trova dentro il conflitto e, si spera, un
bel numero di “paci” locali: un villaggio qui, un’ONG là, un gruppo di
cittadini, magari un’intera provincia, come “zona di pace”. Tutte tessere
ricomponibili in un mosaico più grande, eventualmente con iniziative
locali che diano ispirazioni ai livelli nazionale, regionale e globale, oltre
che viceversa.
Non c’è bisono di dire che qui c’è una contraddizione, perché alcune
persone del Binario 1 vogliono monopolizzare tutto il processo di
elaborazione del conflitto, rifacendosi alla vecchia dottrina secondo la
quale sono gli stati a detenere il potere supremo. L’immagine speculare
di questa mentalità si può trovare in alcune persone del Binario 2. Ma
il lavoro recente ha trasceso questo conflitto abbastanza bene, mediante
modelli di “diplomazia a doppio binario”, lavorando insieme. Inoltre,
il metodo, o stile, qui suggerito può essere anche usato da persone che
operano sul Binario 1. Piuttosto, il problema è che il Binario 1 spesso
diventa il Binario “meno 1” a causa dell’arroganza del sistema degli
stati, o no?
Discutete i modelli di cooperazione, compresi quelli attinenti alle forme
di divisione del lavoro fra il Binario 1 e il Binario 2. Che ne dite di un
Binario 3 per gli uomini d’affari?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
145
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII
38
LA SOCIO-ANALISI
Approfondiamo ora il contenuto dei dialoghi, e immaginate che sia
stato accettato il seguente assunto: sociale = strutturale + culturale.
Gli attori umani, individuali e collettivi, vivono nella struttura; e la
cultura vive in loro. Per vivere in una struttura di pace, questa dev’essere
relativamente solida, “istituzionalizzata” direbbero i sociologi, e la
cultura di pace dev’essere “interiorizzata”, accettata.
Il problema di sempre con i conflitti è che le contraddizioni spesso
sono incapsulate in strutture rigide e pertanto sono ricorrenti, e che la
violenza è spesso incapsulata in culture rigide ed è anch’essa ricorrente.
“Fare qualcosa rispetto alla struttura e alla cultura” è più facile a dirsi
che a farsi, dato che sono i pilastri della società.
Una condizione è che le persone siano consapevoli delle forze sociali
che si urtano al di sopra di loro, e dentro di loro. Per arrivare a questo
l’operatore/trice nei conflitti deve esplorare la struttura e la cultura
locale/nazionale/regionale insieme alle parti, cercando i fattori che
riproducono i conflitti duri e la violenza, e facendoli affiorare alla luce
del giorno. Se si scopre che alcuni aspetti sono nocivi, allora bisogna
cercare alternative che possano essere innestate nella struttura e nella
cultura. Verbalizzatele, trasformatele mediante le parole, dia-logos.
Questo procedimento è una socio-analisi. Se limitato a una persona,
allora “socio” diventa “psico” e il procedimento è noto come psicoanalisi, e occorre sottolineare che l’analista o lo psicoterapeuta lavora
insieme al “paziente”. Anche questo procedimento dovrebbe essere una
esplorazione congiunta, dialogica. La verbalizzazione rende pubblico e
condiviso ciò che è privato, addirittura subconscio.
L’agenda fondamentale per un dialogo socio-analitico è già stata fornita
nelle Unità 28 e 29, che vertono sulle forme frequenti di violenza
strutturale e culturale: le sindromi PSFM ed EGT/DMA. Si possono
porre alcune domande: è prevalente P, oppure S, F, M, E, G, T, D,
M, A? Qualcuno di/tutti questi dieci aspetti costituisce/costituiscono
un problema? Che cosa si può fare in merito? Ma prima accertatevi di
avere capito abbastanza questi aspetti, tanto da poterne sviluppare una
comprensione personalizzata.
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
146
La struttura e la cultura sono forti, capaci di riprodurre il conflitto
e la violenza. Gli individui umani sono deboli, per cui questa teoria
può suonare deterministica. Ma quelle forze possono funzionare senza
opposizione solo fintanto che le persone non riescono a capirle. La
comprensione è già metà della liberazione dal fato.
L’altra metà, l’azione, viene spesso trascurata.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici
38
LA SOCIO-ANALISI
Le idee generali sulla psicanalisi, compresi i pregiudizi, non dovrebbero
interferire con gli sforzi di vedere nella stessa luce la socio-analisi. Non
è necessario essere freudiani per condividere l’idea che ci sono forze
subconsce che determinano gran parte del nostro comportamento, che
una condizione per cambiare tali forze è esserne coscienti, che un modo
per diventarlo è verbalizzarle, che per farlo possiamo aver bisogno di
qualcuno più esperto in un dialogo focalizzato, e che una volta diventati
coscienti non siamo più determinati da tali forze, bensì in grado di
cambiare la nostra situazione, la nostra personalità, i nostri conflitti.
Questo non significa che la socio-analisi sia una copia della psicoanalisi. Si sviluppano su binari diversi e hanno molto da imparare
l’una dall’altra. La socio-analisi può avere forse più aspetti in comune
con la terapia di gruppo, con la terapia famigliare o con il counseling
matrimoniale, e come tutti questi sforzi (e a differenza dalla psicanalisi
classica) può oscillare fra approcci individuali e di gruppo.
In entrambi i casi la coppia di termini “bloccato/sbloccato” (usata molto
spesso in questo Manuale) è più indicativa di ciò che un operatore/trice nei
conflitti cerca di fare che non “malattia/cura”. Il conflitto è forse più simile
a una maledizione che a una malattia; il problema è come togliere quella
maledizione. Ma la maledizione può anche riguardare le parti in modo
così profondo che sono allora appropriate le metafore psicanalitiche.
Il dialogo tipico esplorerà i potenziali per negare la violenza strutturale
e culturale:
• non penetrazione – bensì autonomia;
• non segmentazione – bensì integrazione;
• non frammentazione – bensì solidarietà;
• non marginalizzazione – bensì partecipazione;
• non elezione – bensì “tutti/e siamo di gran valore!”;
• non gloria per la violenza – bensì gloria per la pace;
• non trauma – bensì guarigione, rimarginazione;
• non dualismo – bensì olismo, vedere la varietà;
• non manicheismo – bensì “c’è del buono e del cattivo in tutti/e”;
• non Armageddon – bensì trasformazione del conflitto.
Esigente? Sì, la pace è esigente.
Cercate di applicare alcune idee di questo Manuale sul modo di
rapportarsi al conflitto a uno dei vostri conflitti, nella vostra interiorità
o con qualcuno che vi sia vicino. Passate in rassegna tutte le unità e tutti
i punti dei vari elenchi e cercate di tradurre quelle formulazioni generali
nella vostra particolare situazione. Chi ha più da imparare da questo
confronto, voi o il Manuale? O entrambi?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
147
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII
39
RISULTATI DEL CONFLITTO O PROCEDIMENTO NEL CONFLITTO?
Prendiamo il conflitto in Iugoslavia. Ha radici nello scisma fra cristiani
cattolici e ortodossi del 1054 (a sua volta con radici nella divisione
dell’Impero Romano del 395); nella dichiarazione di guerra santa del
1095 contro i musulmani (la prima crociata); nella sconfitta del regno
di Serbia a opera degli ottomani nel 1389; nell’invasione asburgica e
nell’invasione nazista. Il triangolo ABC è un triangolo ben saturo di
odio-violenza-blocco. Il conflitto fu violento nella prima Iugoslavia
(1918-1941), non lo fu nella seconda Iugoslavia (1945-1991), ed
esplose quindi in forma violenta nel 1991-1995-2000.
Si può dire che tutto ciò fu risolto a Dayton nel dicembre 1995 e con i
bombardamenti della NATO nel 1999? Soltanto se conflitto = violenza,
cessate il fuoco = pace e conflitto = meta-conflitto. Ma si può ovviamente
sperare in un processo che trasformi il conflitto a un livello superiore:
meno odio, meno violenza o fine della violenza, contraddizioni che
vengono gradualmente risolte o che regrediscono nello sfondo.
Come? Applicando empatia, nonviolenza e creatività; usando istituzioni
democratiche a livello locale, nazionale, regionale e mondiale; facendo
riferimento ai diritti umani come linea guida; mediante il peace-making,
il peace-keeping e il peace-building. Risultato e procedimento insieme.
Un buon lavoro per la pace produrrà risultato e procedimento, da
portare avanti a cura delle élites e della gente comune, comprese la
ricostruzione e la riconciliazione.
L’operatore/trice nei conflitti prende parte a dialoghi da persona a
persona a qualunque livello sociale per aiutare a sviluppare idee creative.
Il risultato non sta solo nel numero di idee messe in pratica, bensì nel
processo avviato all’interno delle varie parti, compresi gli/le operatori/
trici nel conflitto. Se tutti quanti ne escono più empatici, nonviolenti
e creativi, sono stati anch’essi trasformati. E questo si manifesterà
come migliori competenze a livello personale, sociale e mondiale nei
conflitti futuri, risultanti in una superiore Capacità Nazionale Lorda di
Risoluzione dei Conflitti (CNLRC).
GIUSTIFICAZIONE
PROBLEMI
148
Per superare l’analfabetismo in materia di conflitti e l’apatia è necessario
un processo continuo di trasformazione del conflitto, non un risultato
ottenuto in un sol colpo.
Le gelosie di quelli che credono nel proprio monopolio e di quelli che
si sentono esclusi dal processo.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici
39
RISULTATI DEL CONFLITTO O PROCEDIMENTO NEL CONFLITTO?
È palese che la domanda è retorica: la risposta è ovviamente sia gli
uni, sia l’altro. Ma, ciò nonostante, non si riesce mai a evidenziare
debitamente quanto il nostro modo di essere dia forma al modo in cui
agiamo nel conflitto e come questo a sua volta dia forma a quello che
diventiamo. Un conflitto trasformato positivamente (come quello fra le
due Coree, dopo lo storico incontro dei due Kim il 15 giugno 2000)
è un regalo per il mondo intero, per la società e per le parti interne ed
esterne al conflitto.
“Esperienza” è un’espressione sbiadita, come per indicare un qualche
bagaglio prezioso. È più importante la capacità di trasmettere agli/lle
altri/e un senso di compassione, ottimismo, creatività, e questo va
molto al di là dell’essere addestrati in giochi negoziali.
“Un buon lavoro per la pace produrrà risultato e procedimento, da
portare avanti a cura delle élites e della gente comune, comprese la
ricostruzione e la riconciliazione”: questo è quanto si richiede. Ma è
importante tenere a mente tutto quello che si presume produca il lavoro
sul conflitto:
1 un’immagine di un risultato del conflitto accettabile e sostenibile;
2 un procedimento nel conflitto accettabile e sostenibile;
3 un procedimento che coinvolga sia le élites sia la gente in generale;
4 un procedimento che comprenda anche la riconciliazione e la
ricostruzione.
L’operatore/trice nei conflitti, in linea di principio, dovrebbe essere il
catalizzatore che mette in moto tutti questi processi, con l’intento di
rendere gli stessi capaci di autosostenersi.
Poiché nessun singolo individuo può fare tutto questo, per un conflitto
complesso sono necessari parecchi operatori/trici nei conflitti, come
già si è sostenuto, a livello delle élites e della gente comune. Se questo
fosse un processo a “effetto valanga”, con ciascun conflitto che produce
operatori/trici nei conflitti in grado di fare un lavoro valido in altri
conflitti (proprio come hanno fatto operatori/trici esperti dell’Irlanda
del Nord e del Sud Africa), la capacità mondiale di rapportarsi ai conflitti
potrebbe migliorare.
Permettetevi di essere egocentrici: come vi piacerebbe emergere da un
conflitto come persona? Che genere di persona vorreste diventare? In
che modo questo vostro desiderio è compatibile con un buon lavoro sul
conflitto?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
149
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO VIII
40
GOVERNARE LO STRESS E LA TENSIONE
Invariabilmente, quando questioni molto complicate sul piano
intellettuale e molto coinvolgenti sul piano emotivo vengono discusse
per ore, giorni, settimane, insorgerà un affaticamento nelle persone
coinvolte e quindi tensioni fra di loro. Il conflitto viene proiettato
all’interno, dal contesto là fuori nella società dove la gente soffre e/o
è intrappolata in duri conflitti fondamentali a quel gruppetto, anche
solo di due persone, in cerca di risposte, e inoltre fin nell’interiorità di
quelle persone.
Ci sono espressioni somatiche come alterazioni nel livello della voce
e della respirazione, della pressione sanguigna e dell’adrenalina.
Emergono e trovano espressione nel linguaggio verbale e corporeo
sensazioni di soffocamento, di non riuscire a pensare lucidamente, di
intensa avversione verso l’altra persona, che viene considerata matta,
criminale e/o stupida. E poi c’è la voglia di mollare, di tirarsene fuori. È
il momento di ricorrere ad alcuni espedienti classici:
1
2
3
4
5
6
controllatevi, parlate di meno, respirate lentamente, aspettate;
buttate lì un aneddoto o una barzelletta, con tatto, senza ironia
o sarcasmo; se non c’è nessuno da prendere benevolmente in giro,
prendete in giro voi stessi;
cambiate argomento con un sorriso: “non sembra che arriveremo molto
più in là con questo tema, potremmo passare a...”
prendetevi una pausa, senza fare necessariamente riferimento allo stress
perché potrebbe avere l’effetto di aumentarlo, ma solo per mangiare o
bere qualcosa, fare quattro passi, ascoltare un po’ di musica;
dormiteci sopra; ma è meglio, ovviamente, finire la giornata con
la sensazione di aver concluso qualcosa e con una piccola festa.
Ricominciate l’indomani con punti meno difficili, per passare agli altri
quando il dialogo si riattiva;
aggiornate la seduta, ammettendo semplicemente che “ci siamo bloccati
anche noi”, ma senza una piena e definitiva capitolazione riguardo alle
questioni discusse.
GIUSTIFICAZIONE
Questi rimedi servono a mantenere pacifici i dialoghi per la pace: siamo
tutti umani, ci sono certi limiti a quello che possiamo affrontare.
PROBLEMI
Lo stress e la tensione devono essere visti come un altro meta-conflitto
nei e fra i partecipanti. Non è il conflitto originario vero e proprio, ma
esige seria attenzione. Il governarli bene non dovrebbe essere confuso
con la soluzione del conflitto originario.
150
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO VIII – Manuale dei/lle formatori/trici
40
GOVERNARE LO STRESS E LA TENSIONE
Un punto fondamentale è riconoscere quando lo stress e la tensione
diventano controproducenti. Fino a un certo punto possono funzionare
positivamente. Come si è più volte asserito in questi due Manuali, il
conflitto accumula una sorta d’energia dovuta allo stress (la frustrazione
per gli obiettivi bloccati) e alla tensione (verso la parte percepita come un
ostacolo). Il problema è come usare creativamente tale energia; è come
una risorsa naturale che non dovrebbe andare sprecata, ma neppure
sfruttata oltre la capacità di carico della natura.
Un punto di rottura è segnalato dal modo in cui l’operatore/trice nei
conflitti vede l’altra parte: quando emergono tendenze a considerarla
come una persona da sottoporre a trattamento psichiatrico o come un
criminale o un idiota, cambiate rotta. O chiedete a qualcun altro di
sostituirvi.
Tuttavia, uno scoppio d’ira spontaneo può anche schiarire l’aria.
L’autore disse una volta a due coreani altolocati, del Nord e del Sud: “Ma
prendetevi il vostro fottuto conflitto e andate all’inferno!”. Dopodiché il
dialogo divenne molto produttivo, in parte per la paura comune alle due
Coree di perdere l’aggancio con il mondo se si perdeva interesse ai loro
problemi, e più ancora perché in fondo in fondo erano d’accordo. Ma
la rabbia di qualunque specie dev’essere contenuta. E non andatevene.
Le parti possono piantare in asso voi, ma voi non dovreste piantare in
asso loro.
Come reagireste se una parte interna in un conflitto ce l’avesse con voi
e dicesse, per esempio:
• “Ma non ne sa proprio niente di questo conflitto?”;
• “Chi diavolo crede d’essere lei per pretendere di dare consigli?”;
• “È una nuova forma di colonialismo, questa? Per cercare di
dominarci?”;
• “Dato il paese da cui proviene, badi ai suoi, di conflitti!”;
• “Si prenda il suo fottuto lavoro sul conflitto e se ne vada al diavolo!”.
ESERCIZIO
Siete in grado di affrontare un’esperienza simile? Avete sufficiente
forza interiore per affrontare un abuso verbale ed evitare una spirale
progressiva di violenza verbale?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
151
LA TRASFORMAZIONE DEL CONFLITTO
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO IX
UNITÀ 41- 45
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX
41
CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO
SOCIALE
Passiamo ora a qualcuno dei principali tipi di conflitto. La società è
una collettività di esseri umani e la maggior parte dei conflitti sociali
avvengono su linee di faglia ben note in tale collettività. Eccone otto:
1
2
3
4
5
6
7
8
DIAGNOSI
ambiente: esseri umani vs. natura, specismo;
genere: maschi vs. femmine, sessismo;
generazione: vecchi vs. persone di mezz’età vs. giovani,
“generazionalismo”
razza: chiari vs. scuri, razzismo;
classe: potenti vs. privi/e di potere, classismo:
a. potere politico: chi decide su/chi reprime chi;
b. potere militare: chi costringe/uccide chi;
c. potere economico: chi sfrutta chi;
d. potere culturale: chi penetra/condiziona/aliena chi;
“normali” vs. “devianti”, stigmatizzazione, in quanto malati, criminali,
stupidi…;
nazione/cultura: dominanti vs. dominati, nazionalismo;
geografia: centro vs. periferia, centralismo.
Le linee di faglia servono a organizzare la violenza strutturale, spesso
corredata da Penetrazione, Segmentazione, Frammentazione e
Marginalizzazione. Ancor più perverse sono le strutture in cui le
linee di faglia coincidono, per esempio: tutti i potenti sono uomini
(patriarcato), tutti i potenti sono vecchi (gerontocrazia) o tutti i potenti
appartengono alla stessa razza e/o nazione e vivono al centro. Oppure,
tutti gli stati dominanti sono governati dalle nazioni dominanti.
Scintille di violenza diretta possono sprizzare fra le linee di faglia. E,
come se non bastasse, si può utilizzare la violenza culturale, con EGT e
DMA, per giustificare l’inquisizione, i roghi delle streghe, il genocidio,
qualsiasi cosa.
PROGNOSI
Tali strutture sono resilienti, fanno resistenza al cambiamento e tendono
a rafforzarsi a vicenda.
TERAPIA
La nonviolenza, che produce strutture e culture alternative con parità,
equità e uguaglianza attraverso tutte le linee di faglia; e la massima
intersecazione di tali linee di frattura. La qualità di una società può
essere misurata attraverso l’intensità con cui tutto ciò si verifica.
GIUSTIFICAZIONE
Questa “terapia” è niente di più e niente di meno che la base strutturale
e culturale per la democrazia interna.
PROBLEMI
154
Tutta la realtà del potere sociale, niente di meno.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici
41
CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO
SOCIALE
Può darsi che questa Unità contenga più nozioni sociologiche di quelle
che siete disposti a digerire. Tuttavia, troverete che le otto linee di
faglia saltano fuori in un modo o nell’altro in tutti i conflitti sociali,
come struttura profonda e cultura profonda. Inoltre l’elenco è anche
una lista di controllo per identificare gli aspetti che avevate tralasciato.
Per esempio, prendete la Iugoslavia: tutti vedono il conflitto in termini
di nazioni e le loro pretese territoriali in termini di ulteriori stati
indipendenti nel mondo.
Ma che ne è del genere? Si può vedere il conflitto come uomini contro
donne, ove il corpo femminile funge da campo di battaglia e quello
maschile da arma?
Che ne è delle generazioni? Sono legate al flagello della violenza per
produrre più gloria e rivalersi dei traumi?
Che ne è delle classi, della rivolta contro gli strati superiori degli
“iugoslavi” creati dal titoismo, per lo più a Belgrado, che traevano
benefici da una federazione che era molto meno significativa a livello
locale, in Bosnia-Erzegovina, tra i cetnici e gli ùstascia e in Kosovo/a?
E che ne è della stigmatizzazione, del modo in cui non solo alcuni
specifici gruppi nazionali, ma tutta la Iugoslavia, i Balcani interi, sono
stati stigmatizzati come criminali, malati e stupidi, come l’ombra buia
che l’Occidente non vuole riconoscere in sé (“OK, se è questo che pensate
di noi, ve la faremo vedere! Tanto non abbiamo niente da perdere, voi
continuerete a parlare così di noi, qualsiasi cosa facciamo”).
Un/a buon/a operatore/trice nei conflitti immetterebbe nel quadro tutto
ciò; e promuoverebbe pazientemente la parità e l’equità attraverso le
linee di faglia. Qualsiasi cosa leggiate sul conflitto in e per la Iugoslavia
vi darà un’idea di quanto si sia lontani da questo approccio più
olistico, poiché viene usata una sola dimensione – la nazione – come
se contenesse tutta la verità del conflitto, mentre vengono del tutto
trascurati genere, generazione e classe.
Prendete qualsiasi altro conflitto che conoscete e verificate se la lista
delle linee di faglia vi sensibilizza a suoi ulteriori aspetti.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
155
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX
42
CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO
MONDIALE
Si può ora ripetere l’analisi delle linee di faglia per il mondo, come
insieme di società (territoriali, cioè paesi, e non-territoriali, cioè ONG,
multinazionali ecc). Ecco l’elenco delle otto contrapposizioni:
1
2
3
4
5
6
7
8
ambiente: paesi vs. natura;
genere: paesi “maschi” vs. paesi “femmine” (violatori “protettori” vs.
violati/“protetti”);
generazione: paesi vecchi vs. paesi di mezz’età vs. paesi giovani;
razza: paesi chiari vs. paesi scuri (maggioranze);
classe: paesi potenti vs. paesi senza potere:
a. potere politico: chi decide riguardo a chi/chi reprime chi;
b. potere militare: chi invade/occupa chi;
c. potere economico: chi sfrutta chi;
d. potere culturale: chi penetra/condiziona/aliena chi;
paesi “normali” vs. paesi “paria”, stigmatizzazione, paesi “canaglia”/
terroristi;
nazione/cultura/civiltà: paesi dominanti vs. paesi dominati;
geografia: paesi del centro vs. paesi della periferia, centralismo.
DIAGNOSI
Si può discutere il genere di un paese. Anche a questo livello scorre
la violenza strutturale con gli aspetti PSFM e si sprigionano scintille
di violenza diretta. E nella loro scia arrivano le guerre, il terrorismo
e il “torturismo”, il tutto con la benedizione della violenza culturale
mediante le sindromi EGT/DMA. E così si moltiplicano le linee di
faglia sociali e globali e si crea il divario fra le linee di faglia a livello
sociale e a livello mondiale, fra i soggetti al vertice nei paesi al vertice
e quelli in basso nei paesi in basso, come fra le cime dell’Himalaya e la
Fossa delle Filippine.
PROGNOSI
Tali strutture sono resilienti, fanno resistenza al cambiamento e tendono
a rinforzarsi a vicenda.
TERAPIA
La nonviolenza, che produce strutture e culture alternative con parità,
equità e uguaglianza attraverso le precedenti linee di faglia; e la massima
intersecazione di tali linee di frattura. La qualità del mondo può essere
misurata attraverso l’intensità con cui tutto ciò si verifica.
GIUSTIFICAZIONE
Questa “terapia” è niente di più e niente di meno che la base strutturale
e culturale per la democrazia globale.
PROBLEMI
156
Tutta la realtà del potere mondiale, niente di meno.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici
42
CONFLITTI CONNESSI AL POTERE E A LINEE DI FAGLIA A LIVELLO
MONDIALE
Può darsi che questa Unità contenga più nozioni di world studies di
quante siete disposti a digerire. Tuttavia, troverete che le suddette otto
linee di faglia saltano fuori in un modo o nell’altro in tutti i conflitti
mondiali. Inoltre l’elenco è anche una lista di controllo per identificare
gli aspetti che avete tralasciato.
Ad esempio, prendete dinuovo la Iugoslavia: molti vedono questo
conflitto come se fosse esclusivamente interno alla Iugoslavia.
Introduciamo invece il mondo nel quadro. Ci sono altri paesi che
considerano i popoli iugoslavi e balcanici in generale come un gruppo
di donne linguacciute e piagnucolose, con un gran bisogno di uomini
forti che le separino. La Iugoslavia viene anche considerata come un
neofita giovane e inesperto nel consesso degli stati. Etnicamente li
si considera scuri, olivastri, mediterranei, misti, mescolati, dinuovo
bisognosi di venir separati da qualche popolo nordico alto, bello e con
gli occhi azzurri. Chi fa la separazione e chi la subisce è già deciso dalla
classe, dalla posizione a livello mondiale, vale a dire da chi ha il potere
a livello mondiale. E chi abbia più bisogno di essere separato dagli
altri è deciso in base alla nazione/cultura: gli ortodossi e i musulmani,
ovviamente, non certo i cattolici e i protestanti.
In questo modo il conflitto si struttura territorialmente: il resto del
mondo contro la Iugoslavia in generale e in particolare contro i serbi
e i musulmani, laddove i serbi vengono ostracizzati e isolati, mentre ai
musulmani non viene permesso di avere uno stato per proprio conto.
In breve, si attivano tutte le linee di faglia, aggravando il conflitto in
modo considerevole.
Le singole parti della Iugoslavia poi ci giocano sopra, cercando
sostenitori rispettivamente nel mondo cattolico/protestante, in quello
ortodosso e in quello musulmano. E d’improvviso queste tre parti
d’Europa – e non solo – si trovano arroccate l’una contro l’altra, come
avveniva al tempo delle crociate. Terribile. C’è bisogno di molto lavoro
sul conflitto per evitare già solo che divampi una violenza maggiore su
vasta scala.
Provate a fare qualcosa di simile per il conflitto del Golfo.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
157
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX
43
CONFLITTI INTRA-PERSONALI
Trasponiamo ora quest’approccio ai conflitti intra-personali, nel senso
della lotta fra le varie inclinazioni o voci interiori, come l’Es, l’Io e il
Super-Io freudiani, separate da linee di faglia interiori.
L’operatore/trice nei conflitti è ora lo psicoterapeuta di se stesso/a e si
occupa della psico-analisi piuttosto che della socio-analisi. Il metodo
consiste nel sondarsi cautamente, con un dialogo interiore, per
identificare le forze interiori che guidano la persona, il modo in cui è
strutturata la relazione fra Es, Io e Super-Io, nonché il codice, la cultura
personale profonda sottostante a tale struttura. “Dialogo interiore”
significa ascoltare le voci interiori dell’Es, dell’Io e del Super-Io,
sondando con attenzione e con tatto, come un bravo moderatore. Solo
una voce per volta, per garantirle un ascolto adeguato e chiaro. Un altro
termine per questo processo è meditazione.
Il dialogo interiore equivale a dire: “Sì, Es, lì hai un punto valido,
sviluppalo ancora; puoi raggiungere lo scopo senza fare violenza ad altri
Sé, incluso il tuo”. State all’erta continuamente per cogliere segni di
violenza; uno di essi può reprimere, schiacciare l’altro/gli altri, che allora
si nasconderà/si nasconderanno nei recessi più profondi della mente, in
cerca di un qualche modo per ritornare e per vendicarsi.
Ecco una metafora per la psico-analisi/socio-analisi: il paesaggio
mentale, o il paesaggio sociale, è simile a un paesaggio fisico, a un
giardino; l’operatore/trice nei conflitti è chi lo osserva, il giardiniere.
Non tutti sono giardinieri ed è quindi del tutto ammissibile richiedere
la consulenza di un/a professionista; che arriva con qualche idea per il
dialogo: qui c’è qualche erbaccia, come possiamo liberarcene? Qui c’è
un terreno contaminato, dove non può crescere nulla; qui dei bellissimi
fiori, innaffiamoli, su!; più sole, del terreno ancora migliore; qui c’è una
recinzione, una siepe, che chiude fuori gli altri: togliamola, abbassiamola.
La scelta sta a voi. Voi, come qualsiasi parte, siete condizionati/e; ma
non predeterminati/e.
In breve, si fa proprio nello stesso modo che per la trasformazione del
conflitto in generale.
158
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici
43
CONFLITTI INTRA-PERSONALI
Questa Unità svolge nel Manuale un duplice ruolo.
In primo luogo, come l’Unità sulla socio-analisi, indica alcune analogie
che possono servire a scopo pedagogico. Una contraddizione o
incompatibilità può saltar fuori dappertutto. Un manuale sul conflitto
sarebbe decisamente incompleto se non facesse qualche accenno al
conflitto intra-personale.
In secondo luogo, mentre lavorate su un conflitto dovreste essere in
grado di rapportarvi a qualche vostro conflitto interiore. Dovreste essere
capaci di essere il/la vostro/a personale operatore/trice nei conflitti,
conducendo il vostro dialogo interiore, essendo creativi, trascendendo
e trasformando, almeno un po’. Per esempio, fino a che punto cercate
di mostrare quanto siete (pensate di essere) bravi, per dominare gli altri,
un’abitudine presumibilmente molto maschile? E fino a che punto
esibite la vostra gentilezza per controllare gli altri con gesti garbati,
un’abitudine presumibilmente più femminile?
Bene, in che misura lo fate?
In realtà, a questo mondo si può fare molto di peggio, ma essere
consapevoli di tali dinamiche può tornare utile.
ESERCIZIO
Una dimensione molto difficile da controllare nel lavoro sui conflitti
è la differenza fra dialogo e dibattito. Il dialogo, nel senso di fare
domande e cercare, è facile nella fase iniziale, quando il livello di
conoscenza specifica è basso. Ma poi la situazione cambia, le nozioni
si accumulano, il conflitto trova inevitabilmente la sua collocazione
in qualche tipologia. Il conflitto diventa un caso e si porta appresso
un catalogo di rimedi, che vengono poi inizialmente proposti con dei
punti interrogativi; ma quando arrivano le contro-argomentazioni, i
punti interrogativi spariscono e compaiono invece quelli esclamativi:
voi, che siete una parte esterna, state cercando di convincere una parte
interna della validità della vostra idea.
Come fate a evitare che ciò si verifichi, a mantenere i punti
interrogativi?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
159
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX
44
CONFLITTI INTER-PERSONALI
1
2
3
4
5
Un conflitto inter-personale si situa all’interfaccia fra quelli intrapersonali e quelli sociali/mondiali. Arrivano delle persone, con conflitti
interiori più o meno trasformati; e s’incontrano, spesso attraverso linee
di faglia sociali o addirittura mondiali. Ogni famiglia è intersecata, per
definizione, da due di queste linee: genere e generazione; ogni scuola
da una: insegnante-allievo; ogni posto di lavoro pure da una, quella
tra imprenditore e lavoratore (classe economica/politica). Fra vicini,
come fra amici, possono anche non esserci linee di faglia, ragion per cui
reagiscono in modo tanto intenso se sopraggiunge un’altra etnia/classe/
nazione, per “preservare la pace”.
Si possono lasciare gli amici, i quartieri e i posti di lavoro, e lo si fa;
si presume che gli allievi lascino la propria scuola; i figli lasciano le
rispettive famiglie, talvolta con l’esplodere delle rivolte adolescenziali.
Cala una tremenda pressione sul legame coniugale attraverso la linea di
faglia dei generi, un possibile motivo per certi matrimoni omosessuali
d’oggigiorno. Cinque obiettivi, protetti da forti norme di fedeltà, servono
a proteggere il legame coniugale dallo sfaldamento dei matrimoni e dalla
separazione dei coniugi, ma c’è sempre uno scarto tra il dire e il fare:
la fedeltà del corpo – contro la sessualità extra-coniugale;
la fedeltà della mente – contro l’amore extra-coniugale;
la fedeltà dello spirito – per l’unione spirituale tra i coniugi;
la fedeltà sociale – per il sostegno in ogni contesto sociale;
la fedeltà economica – per il sostegno in ogni contesto economico.
L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe combinare la DPT (DiagnosiPrognosi-Terapia) della linea di faglia sociale, la DPT inter-personale/
intra-coniugale e la DPT intra-personale. Raccomanderebbe parità/
equità/uguaglianza a livello strutturale, di liberarsi dalla violenza
culturale, di rendere i matrimoni così cooperativi che tutti i cinque
tipi di fedeltà si presentino automaticamente. Nessuna voce interiore
dovrebbe essere dominante al punto di travolgere l’intera persona, la
famiglia, il matrimonio o altro. Aggiungete i figli, che prima o poi
raggiungono la pubertà, cioè si separano dai genitori, ed ecco che il/la
terapeuta matrimoniale/familiare si trova sicuramente ad aver a che fare
con un microcosmo sociale/mondiale. Il ridurre una tale formazione
conflittuale a due persone e alla monogamia sessuale è ovviamente
fuorviante. Deve riempirsi di qualcosa di positivo, di costruttivo, come
un progetto di vita in comune – al di là dell’allevare i figli.
160
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici
44
CONFLITTI INTER-PERSONALI
Mentre l’Unità precedente riguarda lo stress, questa riguarda la tensione.
E una delle considerazioni ha moltissimo a che fare con la società postmoderna: la gente, cioè gli individui, si sposta; interrompe le relazioni
quando diventano complicate – una delle ragioni per cui nei conflitti ci
sono torme di “sfollati” che se ne vanno, invece di cercare di fare qualcosa per sanare il conflitto. Gruppi tradizionalmente solidi (i colleghi, il
vicinato, i gruppi d’affinità, d’amicizia) si disintegrano o hanno quanto
meno un intenso ricambio. Alla fin fine la pressione si scarica sul legame
coniugale, che allora cede anch’esso, rompendosi nel 50% dei casi.
Una cosa cui l’operatore/trice nei conflitti deve badare è rimanere con
il conflitto anche se è dura, usando strategie di sopravvivenza come
quelle indicate nell’Unità 40. Ma anche qui c’è un punto di svolta:
potete decidere che siete tanto controproducenti per il conflitto quanto
il conflitto lo è per voi. Può darsi che semplicemente non abbiate più
nulla da offrire, che le vostre risorse per quel conflitto siano esaurite.
Può darsi che sia giunto il momento di passare ad altro. Per di più, in
queste pagine non si sostiene mai che il lavoro sul conflitto sia riservato
a coloro che lo considerano un impegno per tutta la vita. Chiunque
viene interpellato per portare aiuto, ma non per portare aiuto senza un
minimo di preparazione. E parte di questa preparazione ha a che fare
con il modo in cui voi stessi intrattenete le vostre relazioni con colleghi,
vicini, parenti e amici.
Bene, come vi regolate?
Questo è un àmbito in cui si può usare la Regola Aurea. Immaginate di
essere bloccati/e in un conflitto duro. Come vorreste che vi si rivolgesse
un/a operatore/trice nei conflitti esterno/a? Senza dubbio, in modo
amichevole, utile, competente. Ma volete anche che vi dica che avete
ragione? E che l’altra parte ha torto?
ESERCIZIO
Allora, fate proprio così? Come reagirà l’altra parte?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
161
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO IX
45
ALCUNE PROPOSTE DI TRANSCEND
Ecco dieci formulazioni DPT (Diagnosi/Prognosi/Terapia) di una riga,
tratte da più di quarant’anni di lavoro su quaranta conflitti, mediante
dialoghi a tutti i livelli. L’anno indica il momento in cui l’organizzazione TRANSCEND ha cominciato a cercare una prospettiva sul procedimento e sui risultati per i vari conflitti:
Conflitto “Est-Ovest”, 1953
Conflitto “Nord-Sud”, 1962-
D Riduzionismo a un conflitto del tipo [2,1]; stalinismo, nuclearismo
P Protrazione, guerre continue nel Terzo Mondo, guerra nucleare/
genocidio reciproco
T CSCE, GRIT/difesa difensiva, diplomazia popolare, nonviolenza
D Imperialismo, economismo, esternalità asimmetriche
P Miseria diffusa, violenza, migrazione dal Sud, disoccupazione al Nord
T Economia alternativa, autosufficienza I, autosufficienza II
Israele-Palestina, 1964-
D Colonialismo da parte dei coloni ebrei, un popolo eletto e
traumatizzato contro la gente del posto
P Violenza strutturale e diretta protratta, escalation
T Nonviolenza (Intifada), autonomia/due stati/confederazione
Irlanda del Nord, 1970-
D Istituzionalizzazione di oltre 300 anni di conquista storica
P Alienazione per entrambe le parti, polarizzazione, violenza protratta
T Condominio anglo-irlandese, ampia autonomia/indipendenza per l’Ulster
Corea, 1972-
Iugoslavia I (Nord-Ovest), 1991-
Crociate: relazioni cristianimusulmani, 1995Ecuador-Perù, 1995-
Euskal Herria (Paesi Baschi), 1997-
Iugoslavia II (Sud-Est), 1998-
162
D Separazione di una nazione, divisione di uno stato, a opera di esterni
P Ripetizione della guerra 1950-1953, con alcune modifiche
T Inserimento della Corea nella Comunità dell’Asia Orientale, apertura
di collegamenti stradali/ferroviari
D Riduzionismo alla formula [2,1]; Dio vs. Satana, Armageddon; EGT
P Genocidio massiccio, anche mediante le sanzioni, grossa escalation
T Uguale diritto all’autodeterminazione, confederazione; CSCSEE
D Dichiarazione di guerra santa del 1095, senza relativa dichiarazione di pace
P Micro/macro-violenza protratta, Dio vs. Satana, Armageddon
T Dialogo cristiano-musulmano e cooperazione locale concreta
D Classica disputa territoriale; apparato militare in cerca di legittimazione
P Instaurazione di un modello di guerra continua inter-statale per
l’America Latina
T Proprietà condivisa, uso della zona contesa come zona di pace bi-nazionale
D Due paesi che separano una nazione
P Violenza, terrorismo e uccisioni continui e protratti
T Indipendenza funzionale e condominio franco-spagnolo
D Movimento d’indipendenza albanese sulla sacra e ricca terra serba
P Occupazione e funzioni di governo esercitate da una terza parte,
come per la Bosnia-Erzegovina
T Kosovo/a come terza repubblica della Federazione Iugoslava,
confederazione Sud-Balcanica.
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO IX – Manuale dei/lle formatori/trici
45
ALCUNE PROPOSTE DI TRANSCEND
La pagina precedente sembra criptica, ma dovrebbe essere facile da
decifrare per chi abbia seguito il Manuale fin qui. La DPT e l’EGT sono
state esposte nelle Unità 25 e 29, mentre alcuni conflitti sono stati usati
come esempi nelle pagine precedenti. Qui ne vengono elencati dieci
e per ciascuno di essi c’è una descrizione di tre righe: rispettivamente
una riga per la diagnosi, una per la prognosi e una per la terapia. Dietro
queste linee ci sono innumerevoli dialoghi a “livello alto, medio e
basso”. Chiariamo alcune sigle:
[2,1]: conflitto polarizzato con 2 parti che lottano per uno stesso
obiettivo;
CSCE: Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa;
CSCSEE: Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione nell’Europa
Sud-Orientale;
GRIT: Graduale Riduzione della Tensione Internazionale;
AUTOSUFFICIENZA I: autoproduzione per soddisfare i bisogni
primari;
AUTOSUFFICIENZA II: scambi commerciali con altri allo stesso
livello.
Il conflitto Est-Ovest del 1949-1989 è terminato come si è detto
qui, mentre il conflitto Nord-Sud si è dinuovo aggravato. L’accordo
del Venerdì Santo del 1998 per l’Irlanda del Nord è forse orientato nella direzione indicata, mentre l’accordo di Oslo del 1993 per
Israele-Palestina non fu un accordo simmetrico fra due stati, considerato qui come unica soluzione. Non c’è stata autodeterminazione
paritetica in Iugoslavia, e tutti gli altri casi sono in attesa di qualche
passo avanti. Per maggiori dettagli, consultate la home page del sito
di TRANSCEND, www.transcend.org.
Se trovate irragionevoli le proposte, che cosa si potrebbe fare per
migliorarle?
ESERCIZIO
Se trovate ragionevoli le proposte, che cosa si potrebbe fare per
attuarle?
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
163
LA TRASFORMAZIONE DI PACE
Manuale dei/lle partecipanti
Manuale dei/lle formatori/trici
MODULO X
UNITÀ 46-50
Manuale dei/lle partecipanti - MODULO X
46
EDUCAZIONE ALLA PACE: LE PERSONE COME PARTNER
La maggior parte delle persone sarebbe d’accordo sul fatto che non basta volere la salute: ci vogliono anche conoscenze e competenze.
Lo stesso vale per la pace. L’educazione alla pace dovrebbe colmare il divario fra il volere e l’agire, se la si definisce come competenza
nella trasformazione del conflitto.
Il campo è controverso. C’è controversia sui mezzi per ottenere la pace (solo pacifici, o no?), sul fine (pace = sicurezza =
assenza di violenza diretta, oppure pace = qualcosa di più?). Inoltre, non tutti vogliono la pace, o la vogliono assai male.
Questa controversia, che si ritrova anche in campo sanitario, è salutare se partiamo dal principio che “una controversia al
giorno toglie il dogmatismo di torno”.
L’operatore/trice nei conflitti dovrebbe sostenere gli/le educatori/trici alla pace a ogni livello, dalla scuola materna all’università
(quanto prima, tanto meglio, per favorire l’interiorizzazione), nonché negli organi direttivi delle amministrazioni locali, del governo
nazionale e delle organizzazioni sub-continentali, sradicando così l’analfabetismo sui conflitti e sulla pace. All’operatore/trice nei
conflitti può perfino capitare di dover essere anche educatore/trice alla pace. Questo Manuale può servire affinché altre persone
ci aggiungano o tolgano del proprio o lo respingano; e sono comunque disponibili altri testi. Ecco l’elenco dei programmi di
training/educazione di TRANSCEND.
I
TRASFORMAZIONE PACIFICA DEI CONFLITTI, per
sviluppare prospettive, mediante dialoghi con le parti, sulla
trasformazione pacifica in direzione di risultati accettabili,
sostenibili, autonomi e partecipativi.
II EMPOWERMENT DI ATTORI DI PACE, per esplorare,
mediante dialoghi, in quali modi si possano rafforzare attori
e parti per interventi di pace, costruendo una società civile
transnazionale.
III PEDAGOGIA DI PACE, per progettare e avviare programmi
dialogici di educazione alla pace nella scuola materna, nella scuola
dell’obbligo, nelle scuole superiori e nelle università, nonché corsi
di educazione per adulti, anche mediante musei per la pace.
IV GIORNALISMO DI PACE, per contribuire a un mutamento
nel modo di dare notizie sui conflitti, passando dall’attuale
focalizzazione sulla violenza e sulla guerra (il “meta-conflitto”) a
quella sulla trasformazione pacifica del conflitto.
V ZONE DI PACE, per favorire l’avvio e lo sviluppo di ulteriori zone di pace nel mondo, con un calo della violenza e
un aumento di un peace-building cooperativo nelle relazioni interne ed esterne.
VI PEACE-KEEPING, allo scopo di diminuire la violenza
mediante la presenza di peace-keeper addestrati nei metodi
difensivi della polizia e dei militari, nella nonviolenza, nella
mediazione e nel peace-building.
VII RICONCILIAZIONE PACIFICA, per esplorare, avviare
e sviluppare attività finalizzate a riconciliare le parti
traumatizzate dalla violenza e dalla guerra.
VIII BUSINESS PER LA PACE E LO SVILUPPO, per esplorare,
avviare e sviluppare attività economiche chiaramente orientate
al peace-building.
IX SUSSISTENZA, EQUITÀ E SOSTENIBILITA’ DELLO
SVILUPPO, per esplorare, avviare e sviluppare ulteriori
iniziative locali atte a soddisfare i bisogni fondamentali
minimi di tutti/e con valute locali, organizzazione locale e
tecnologie appropriate.
X CULTURA DI PACE E DIALOGO TRA LE CIVILTÀ,
per esplorare i modi per trasformare schemi culturali profondamente radicati che impediscono la pace e lo sviluppo
e possono causare genocidi.
XI APPROCCI NONVIOLENTI ALLA SICUREZZA, per
esplorare i vari modi in cui le società possono proteggere i/le
propri/e cittadini/e da violenze interne ed esterne mediante
mezzi pacifici, nella prospettiva dell’abolizione della guerra.
XII DIRITTI UMANI, DEMOCRATIZZAZIONE E AUTODETERMINAZIONE, per esplorare in che modo la Carta
Internazionale dei Diritti Umani, universale e indivisibile, può
essere implementata democraticamente in tutte le nazioni del
mondo e migliorata.
XIII GOVERNABILITÀ GLOBALE, per esplorare il sorgere di
istituzioni democratiche e globali, compresa la riforma dell’ONU.
XIV PACE E DONNE, per esplorare lo speciale contributo
delle donne a tutti i programmi di pace.
XV ANALISI DELLA PACE E DELLO SVILUPPO, per esplorare le domande specifiche sulle nostre capacità analitiche.
GIUSTIFICAZIONE Anche se l’enfasi di questo Manuale è sul dialogo per trovare soluzioni a breve termine
alle emergenze, ci sono anche le prospettive a medio e lungo termine. Alcune buone idee possono emergere
rapidamente; ma affinché i semi mettano radici possono essere necessari il medio termine e molta educazione
alla pace per preparare il terreno. Sul più lungo termine, l’educazione alla pace può anche avere un notevole
effetto preventivo, poiché aumenta la capacità di ciascuno/a di trasformare il conflitto, mediante nozioni e
competenze, empatia, nonviolenza e creatività.
PROBLEMI Nonostante eccellenti risoluzioni dell’UNESCO sull’educazione alla pace, non c’è un gran
progresso, se non in circoli non-governativi. L’intervento sul conflitto viene tuttora visto in una prospettiva
feudale/patriarcale come gestione dall’alto, come monopolio degli stati e delle relative élites.
166
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici
46
EDUCAZIONE ALLA PACE: LE PERSONE COME PARTNER
In questo Modulo finale, il lavoro sul conflitto/per la pace viene
estrapolato dal conflitto concreto e dalle parti impegnate nel dialogo, e
viene introdotto il “contesto” di altre persone e altri aspetti del conflitto
e della pace che hanno a che fare con il medio e lungo termine.
Pensate alle persone che scoprirono alcuni elementi chiave per la
salute: per loro l’educazione alla salute era un approccio fondamentale.
Le persone dovevano possedere alcune nozioni essenziali, prendere
le dovute precauzioni con il cibo, il vestiario e l’abitazione, praticare
l’igiene personale, cercare di non venire contaminate né contaminare
altri/e, e imparare a gestire lo stress.
Non si vuole sostenere che tutto questo sia stato un successo sfolgorante.
In nome della medicina moderna si sono fatti anche errori, e così
tanti che dobbiamo sperare che gli/le operatori/trici nei conflitti non
imiteranno l’arroganza di certi medici, bensì la capacità di essere d’aiuto
e l’umiltà di tante brave infermiere.
Nei due Manuali si è ricordata più volte la potenziale utilità di – poniamo – una cinquantina di stimolanti racconti sulla trasformazione
positiva dei conflitti, in particolare in paesi con un’altissima violenza
culturale (ad esempio il Guatemala). In effetti, l’idea è tratta dalla Bibbia e da altri fondamentali testi religiosi, da quei racconti edificanti sulle buone azioni di Gesù, di Buddha e altri, come Gandhi. Tali racconti
continuano a vivere in una persona per tutta la vita, indipendentemente dall’orientamento religioso. Immaginate storie del genere diffuse in
lungo e in largo, sfidate, cambiate, rivisitate e adattate: quale grande
riserva cui attingere nei conflitti concreti!
Riuscireste a contribuire anche voi con un racconto di questo tipo? Ricordatevi che il racconto dovrebbe preferibilmente riguardare della “gente
comune” con la quale il lettore possa identificarsi. Sì, avrei potuto farcela
anch’io! La luce dei grandi fondatori di religioni può essere troppo forte.
ESERCIZIO
Si può fare una distinzione tra il training per acquisire specifiche abilità
e l’educazione per acquisire conoscenze. Osservate i 15 programmi di
educazione alla pace prima proposti e formulate per ciascuno di loro un
esempio di quello che voi vorreste essere capaci di fare e di quello che
vorreste sapere. Va da sé che a TRANSCEND siamo molto interessati/e
alle risposte.
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
167
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X
47
GIORNALISMO DI PACE: I MEDIA COME PARTNER
Nelle società moderne, basate sui tre pilastri dello Stato, del Capitale e
della Società Civile, che comprendono milioni e milioni o addirittura
più di un miliardo di individui (Cina), i Media sono il quarto pilastro. I
media hanno il diritto-dovere di rendere trasparente quanto succede in
ciascuno dei tre pilastri agli altri due. Lo scopo è la trasparenza sociale.
Di conseguenza è ancora più deplorevole che i media tendano a focalizzare
l’attenzione sul meta-conflitto della guerra e della violenza (il “corrispondente di guerra”), e per giunta solo sulle conseguenze visibili. Si concepisce
la pace come un cessate il fuoco. Qualsiasi analisi del conflitto di base tende
a essere semplicistica: le parti sarebbero solo due, di cui una viene favorita,
le notizie per lo più riguardano solo i combattimenti: vittoria e sconfitta.
I reportage sono orientati sui singoli attori e sulle élites, un’espressione della
violenza culturale per cui la violenza/guerra è vista come dovuta solo a cattivi attori, e la pace come un dono delle élites di paesi d’élite. Se l’improvviso, il negativo, l’elitario fanno notizia, allora le guerre sono l’ideale.
Abbiamo bisogno di giornalisti/e di pace che diano informazioni sugli effetti
invisibili delle guerre, sulla formazione conflittuale sottostante, sulle radici
del conflitto, sulle tante persone di buona volontà all’interno e all’esterno
dell’arena conflittuale che lottano per porre fine alla violenza e per una
trasformazione del conflitto, che cerchino alternative alla violenza (risultati
e procedimenti), che riferiscano le idee che emergono. Gli/le operatori/trici
nei conflitti devono rendere i/le giornalisti/e e i media loro partner per
la pace; l’operatore/trice può perfino dover essere in prima persona un/a
giornalista di pace (per manuali in merito, si veda www.transcend.org).
Abbiamo invece molto meno bisogno di un giornalismo di guerra che
ci informi solo sulla violenza grandemente visibile – spesso in maniera
pornografica – con un’immagine semplicistica del conflitto da partita
di calcio, con poca o nulla comprensione delle radici del conflitto, con
trascuratezza o perfino disprezzo verso la gente comune e la loro lotta
per la pace e la dignità, preoccupato prevalentemente del chi vince e
del modo in cui può essere imposta la “nostra pace”, con una visione
limitatissima dei possibili risultati e processi di pace.
GIUSTIFICAZIONE
Dato il potere dei media, riveste grande importanza se favoriscono la
violenza culturale o la pace culturale. Potrebbero continuare a favorire la
“nostra parte”, ma senza vedere le guerre come gare sportive (chi vince!)
e riferire il numero dei morti e feriti come se si trattasse di un punteggio.
E potrebbero fare ben di più per capire i motivi del conflitto, esplorando
la formazione conflittuale, invece di mandare solo reportage dall’arena
del conflitto, e mettersi a collaborare nella ricerca di soluzioni.
PROBLEMI
Un giornalismo di pace potrebbe portare a dare troppo poche informazioni
sulla guerra e la violenza e troppe informazioni sugli sforzi per contrapporsi
alla violenza e trasformare il conflitto. Trovare un equilibrio è fondamentale.
C’è anche bisogno di un po’ di giornalismo di guerra.
168
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici
47
GIORNALISMO DI PACE: I MEDIA COME PARTNER
Il giornalismo di pace non ha soltanto lo scopo di arrivare alla verità,
ma di arrivare alla pace. Ecco le domande che si potrebbero fare per
ogni piano di pace:
1 qual è il metodo in base al quale è stato elaborato il piano? È stato il
dialogo con le parti e, in tal caso, con tutte le parti? Oppure qualche
negoziato di prova? L’analogia con altri conflitti? L’intuizione?
2 Fino a che punto il piano è accettabile da tutte le parti? Che cosa si
può fare altrimenti?
3 Fino a che punto il piano, se attuato, è autosostenibile? Che cosa si
può fare altrimenti?
4 Il piano si basa sull’azione autonoma delle parti in conflitto o
dipende da esterni?
5 Nel piano c’è l’indicazione di un procedimento (chi fa cosa, come,
quando e dove), oppure vi si delinea solo un risultato?
6 Fino a che punto il piano si basa su ciò che possono fare le élites da sole,
o la gente da sola, oppure su quello che possono fare entrambe?
7 Il piano prevede una soluzione progressiva del conflitto o si intende
fare subito un accordo definitivo?
8 Il piano prevede l’inclusione dell’educazione alla trasformazione
del conflitto e alla trasformazione di pace per la gente, per le élites o
per tutt’e due?
9 Se c’è già stata violenza, fino a che punto il piano include anche
elementi di riconciliazione?
10 Se c’è già stata violenza, fino a che punto il piano include anche
elementi di riabilitazione/ricostruzione?
11 Se non funzionasse, il piano è reversibile?
12 Anche se il piano funziona per questo specifico conflitto, crea forse
nuovi conflitti o nuovi problemi? In tal caso, è un buon accordo?
Il conflitto dev’essere mappato, le sue radici devono essere capite meglio,
tenendo conto del fatto che, in un mondo che si sta globalizzando, anche le radici si globalizzano. E la pace deve comprendere i diritti umani e
la democrazia. Un problema è l’incompatibilità fra le notizie – drammatiche, negative, elitarie – e la pace, intesa come un qualcosa di positivo,
che lenisce, che vale per tutti/e: la pace come diritto a vivere la vita senza
violenza e senza interferenze superflue. La soluzione potrebbe essere che
i/le giornalisti/e evidenziassero che la lotta per la pace è drammatica ma
positiva, intrapresa da molte persone, eroi ed eroine della vita quotidiana; che sentissero la loro angoscia nel girare a vuoto, ritraessero il loro
dolore, li rendessero visibili, e li sollevassero. Su cosa verte la democrazia
se non sulla lotta della gente per una vita migliore?
Scrivete una breve storia, vera o inventata, sulla lotta per la pace.
L’accetterebbero i media? Perché? Perché no?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
169
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X
48
LA RICOSTRUZIONE DOPO LA VIOLENZA
La violenza distrugge, spesso in modo irreversibile, come le uccisioni.
Ma qualche danno può essere riparato, e questo è un aspetto molto
importante del lavoro sul conflitto.
Dato l’ampio spettro delle conseguenze della violenza – visibili e non – ci
sarà parecchio da ricostruire, e molto lavoro richiederà le competenze
di esperti. Compito dell’operatore/trice nei conflitti sarà sensibilizzare
la gente alla gamma dei possibili interventi e impegnarla in un dialogo
generale su come procedere per:
1
2
3
4
la riabilitazione delle persone: ferite, stuprate, sfollate, in lutto, rese
deformi;
la ricostruzione della società: l’approccio dello sviluppo;
la ristrutturazione: l’approccio delle strutture di pace, costruendole
realmente;
il rinnovamento culturale: l’approccio delle culture di pace, costruendo
culture pacifiche.
Agenzie per profughi/e, fisioterapeuti/e e psicoterapeuti/e (e altri
guaritori/trici) possono fare un ottimo lavoro. Bisognerebbe distinguere
fra la restaurazione di quello che c’era prima, e lo sviluppo, l’andare
oltre. C’è un problema fondamentale: una società scossa dalla distruzione
può avere l’abitudine di giustificare la violenza per introdurre un
mutamento sociale (come nel caso della Russia nel 1917).
Un altro problema: dare un significato a “ristrutturazione” e a “rinnovamento culturale”: la prima certamente comprende strutture democratiche, partecipative, e il secondo culture sensibili ai diritti umani.
Entrambi sono essenziali per avere una presa sul conflitto, e non si dovrebbe aspettare il cessate il fuoco per cominciare ad attivarli. Sarebbero
utilissimi dei sussidiari per la scuola elementare che riportassero – diciamo – una cinquantina di casi riusciti di trasformazione dei conflitti.
GIUSTIFICAZIONE
Un compito si svolge meglio quando è chiara tutta la sua effettiva portata:
in tal caso, i suoi diversi aspetti si articolano meglio l’uno con l’altro. Per
di più, il ricostruire insieme ha un enorme potenziale come percorso
per la riconciliazione delle parti in conflitto: “d’accordo, abbiamo fatto
una cosa molto stupida, adesso proviamo a disfarla insieme quanto più
possibile”. Ogni contratto con soggetti esterni è un’opportunità persa
per la riconciliazione mediante la ricostruzione.
PROBLEMI
La gente può sentirsi schiacciata dall’immensità del compito e così può
mettere da parte tutto quel che non sia la ricostruzione concreta. Impresari locali e stranieri sperano in grossi contratti e una rapida ricostruzione viene preferita all’usare la ricostruzione per la riconciliazione,
mediante la cooperazione degli ex-belligeranti nel ricostruire quello che
hanno distrutto.
170
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici
48
LA RICOSTRUZIONE DOPO LA VIOLENZA
Ovviamente, nessuno direbbe che compito della III Fase sia tornare
alla I Fase, ma si agisce spesso come se appunto questa fosse tutta la
“filosofia”. Ci può essere un certo accordo sulla riabilitazione, ma
quando si tratta degli altri tre compiti, i problemi si ammucchiano.
Si è fatto notare nell’introduzione che ci sono moltissime cose da fare
nella I Fase per superare quella curva fatale che conduce alla violenza. Se
una delle radici del conflitto, e della violenza che ne consegue, sta nella
struttura, allora – per amor del cielo! – cambiate quella struttura! La
democrazia è una bella formula, ma funziona meglio per le maggioranze,
e anche per le maggioranze (dinuovo il Guatemala) resta il problema di
quante risorse possono investire nel processo democratico.
Un altro problema è il seguente: che cosa succederebbe se i marginalizzati
vincessero semplicemente le elezioni ed esigessero qualche cambiamento
più radicale? I diritti umani vengono introdotti come una protezione,
ma la loro parte essenziale – nota come diritti economici, sociali e
culturali – non è affatto operativa.
La ristrutturazione comprenderebbe compiti chiave come costruire una
società civile basata su organizzazioni volontarie e soprattutto trasversali
rispetto ai confini dei conflitti attuali e dei potenziali conflitti futuri. I
conflitti polarizzano, la ristrutturazione depolarizzerebbe.
Il rinnovamento culturale comprenderebbe compiti chiave come la
denuncia delle culture belliciste che esaltano la violenza e collegano
l’eroismo agli atti violenti in generale e al machismo in particolare. Se
si possono organizzare campagne contro le droghe, perché non lo si fa
anche contro la violenza?
Che cosa si può fare per ampliare l’orizzonte nella fase in cui la società
è veramente lacerata dalla guerra? In altri termini: che cosa si può fare
per andare al di là della riabilitazione e della ricostruzione, incidendo
sui fattori che riproducono la violenza e possono rendere la III Fase
uguale alla I Fase?
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
ESERCIZIO
171
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X
49
LA RICONCILIAZIONE DOPO LA VIOLENZA
Quando la parte in conflitto A fa violenza alla parte in conflitto B, entrambe
risultano traumatizzate: la seconda dal male subìto, la prima dalla colpa di
averlo causato. Le emozioni sono profonde. Lo scopo della riconciliazione
è la guarigione delle ferite e la chiusura del conflitto, cosicché le parti
siano meno traumatizzate e possano vivere insieme; proprio in questo
consiste una parte considerevole dell’intervento sul conflitto dopo un metaconflitto violento nella II Fase. La Commissione per la Riconciliazione e
la Verità del Sud Africa sta aprendo nuove piste. Ecco dodici approcci
generali (per un manuale, si veda www.transcend.org):
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
l’approccio del fattore discolpatorio (orientato ad A&B);
l’approccio della restituzione/riparazione (orientato ad A&B);
l’approccio della presentazione di scuse/perdono (orientato ad A&B);
l’approccio teologico/penitenziale (orientato ad A, indirettamente a B);
l’approccio giuridico/punitivo (orientato ad A, indirettamente a B);
l’approccio del karma/dell’origine co-dipendente (orientato ad A&B);
l’approccio della commissione per la ricostruzione degli eventi storici/
della verità (orientato ad A&B);
l’approccio teatrale, basato sul rivivere insieme gli eventi traumatici
(orientato ad A&B);
l’approccio del dolore e della guarigione comuni (orientato ad A&B);
l’approccio della ricostruzione congiunta (orientato ad A&B);
l’approccio della risoluzione congiunta del conflitto (orientato ad
A&B);
l’approccio ho’o pono pono (orientato ad A&B).
Per portare avanti compiti a così alta intensità d’impegno e di tempo
si richiede una competenza specifica, come quella dei preti per il [4] e
dei giudici per il [5]. Purtroppo questi due approcci non coinvolgono
direttamente A e B e non sono quindi molto promettenti.
Sull’operatore/trice nei conflitti verranno esercitate pressioni affinché
assuma tali ruoli, riceva confessioni e distribuisca perdoni, dica chi ha
ragione e chi ha torto. Col resistere a queste pressioni, egli/ella potrà
agevolare una discussione sugli approcci. Nessuno è del tutto buono
o cattivo; può darsi che il miglior approccio sia una combinazione di
alcuni di loro, a seconda della cultura locale. L’esperienza dell’autore è
che durante le discussioni sui diversi approcci alla riconciliazione,
si può già attuare un po’ di riconciliazione.
GIUSTIFICAZIONE
La fase violenta può giungere a una qualche conclusione soltanto
attraverso processi di riconciliazione; altrimenti i traumi contribuiranno
a un karma negativo e durevole fra le parti.
PROBLEMI
Non esiste un processo di riconciliazione a prova di stupido che possa
funzionare quando sia stato inflitto un male grave, e il tempo non
guarisce tutte le ferite.
172
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici
49
LA RICONCILIAZIONE DOPO LA VIOLENZA
Scorrendo la lista degli approcci alla riconciliazione, ci accorgiamo
immediatamente della tentazione di vedere il conflitto in termini di una
singola causa, i cattivi attori, e la riconciliazione in termini di un solo
approccio: quello giuridico-punitivo. Infatti, i tribunali internazionali
sono praticamente l’unico approccio utilizzato oggi da parte della
comunità internazionale per ottenere quella che i tedeschi chiamano
Vergangenheitsbewältigung, cioè la rielaborazione del passato.
Non si tratta tanto di argomentare contro tale approccio, bensì contro il
suo uso esclusivo. Esso è punitivo, in quanto aggiunge violenza a violenza.
Le vittime hanno certamente diritto a ottenere la massima attenzione
pubblica per il loro caso, il che può anche avere effetti risanatori; ma
è dubbio che le vittime ricevano una profonda gratificazione dal venir
a conoscenza della punizione dei perpetratori dei misfatti, o persino
dall’assistervi.
Una forma ben più efficace di riconciliazione consiste probabilmente nel
far disarmare i vari combattenti e poi nell’impegnarli nella ricostruzione
in comune di quello che hanno distrutto. Questo sarebbe d’ostacolo
alle opportunità di far affari di parti esterne, ma chi è in grado di dire
che quelle opportunità sono più importanti delle opportunità perse per
la riconciliazione?
Un’altra forma è la risoluzione congiunta del conflitto, discutendo
insieme la calamità che ha colpito tutti/e e progettando precorsi per
prevenirne una ripetizione in futuro. Se questo approccio sarà attivato
sia a livello delle élites, sia a livello popolare, sarà molto potente. Ma il
meglio è ovviamente che il vincitore e lo sconfitto si mettano insieme
per produrre una reale trasformazione del conflitto di base.
Prendete un conflitto dall’elenco nell’Unità 45. Cercate di costruire una
forma di riconciliazione che tenga conto dei 12 approcci.
ESERCIZIO
Siete un giudice con davanti un criminale estremamente violento.
Elaborate una sentenza che includa tutti i dodici approcci, non soltanto
il [5].
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
173
Manuale dei/lle partecipanti – MODULO X
50
RENDERE REVERSIBILE LA TRASFORMAZIONE
La reversibilità è più ampia della nonviolenza, e si basa sul principio di
fare solo ciò che può essere disfatto. La violenza letale è irreversibile:
noi umani possiamo creare la vita, ma non ricreare una vita. Lo stesso
vale per la violenza verso la natura: le tre specie che si estinguono ogni
ora sono perse. Ogni atto irreversibile è una violenza verso le generazioni
future in quanto limita le opzioni future. La stessa violenza non-letale
è in larga misura irreversibile, considerati i traumi che provoca nello
spirito, nella mente e nel corpo.
Di conseguenza, non solo gli atti dovrebbero essere reversibili nelle loro
conseguenze, ma lo stesso processo decisionale che conduce a tali atti
dovrebbe essere reversibile anch’esso. Non si dovrebbero mai firmare
trattati/convenzioni senza una clausola di revisione in base alla quale
si riaprano i negoziati dopo x (= 5?) anni. Noi umani siamo fallibili,
nessuno è infallibile, anche i nostri migliori prodotti o idee possono
rivelarsi men che perfetti dopo qualche tempo. La costruzione più
solida, come uno stato unitario o una federazione, facilmente diventa
violenta, all’interno e verso l’esterno: un forte argomento – questo – a
favore della flessibilità della confederazione e dei sistemi cooperativi e/o
associativi, meno vincolanti.
I decisori le cui decisioni hanno una certa forma di infallibilità (il papa,
l’imperatore/il re, le grandi potenze e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU)
sono problematici; le generazioni successive possono trovarsi a pagare
un prezzo salato. Quindi, raccomandate solo ciò che può essere disfatto
dopo un processo di revisione.
GIUSTIFICAZIONE
Le decisioni incorporate nei trattati possono condurre a istituzioni
che diventano strutture, le quali, col tempo, possono essere percepite
come violente camicie di forza (dinuovo il caso del Trattato di
Versailles). Poiché questo processo si può appunto verificare, alcune
formule di decostruzione pacifica dovrebbero essere contemplate nella
costruzione.
PROBLEMI
Le soluzioni possono essere troppo rigide (= fragili); ma anche troppo
deboli. La gente può ignorarle, sapendo che probabilmente dopo un
po’ di tempo saranno “disfatte”, “decostruite”. Ci sono anche validi
argomenti in favore della solidità, ma non dell’eternità. L’eternità è un
termine un po’ troppo lungo e non molto utile, per esempio nei Balcani
o nelle Isole Britanniche.
174
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
MODULO X – Manuale dei/lle formatori/trici
50
RENDERE REVERSIBILI LE TRASFORMAZIONI
I diplomatici fecero un gran passo avanti quando incorporarono nei
loro protocolli una “conferenza di revisione” come elemento standard,
di certo in parte ispirati (negativamente) dal Trattato di Versailles.
Ciò che si vuole sostenere qui è semplicemente la necessità di approcci
morbidi alla pace per favorire un atterraggio morbido. Incidere il trattato nell’acciaio presuppone un’infallibilità che non è umana; e tale tradizione proviene da coloro che si considerarono rappresentanti di Dio in
terra. Incidentalmente, dovrebbe anche venir ricordato che la riapertura
di un protocollo non significa necessariamente, come spesso succede,
trattare per una delle parti. Per esempio, nel 1965 ci fu un trattato di
pace fra la Repubblica di Corea e il Giappone; ma fu tralasciata la questione delle “donne di conforto”, che all’epoca non era una questione
aperta, per lo meno non per gli uomini che stesero il trattato. Non c’era
una clausola di revisione del trattato, e quindi nemmeno la possibilità
di ricorso all’interno di tale quadro.
Il mondo empirico tende a presentarsi con una serie di problemi interconnessi che nessuno (o solo un ristretto numero di persone) aveva previsto. Quindi, è meglio essere modesti; anche le nostre formule preferite
(incluse quelle di questo Manuale) possono lasciare a desiderare, a un
esame più approfondito.
La reversibilità può suonare attraente. Potreste sollevare qualche
argomento contro questa tesi?
ESERCIZIO
Guardate le proposte dell’Unità 45. Ci sono soluzioni già note, come
il condominio/la sovranità congiunta, in cui due stati condividono la
responsabilità di un territorio, e le confederazioni di stati basate su di
una comunità, con gli altri stati come suoi partner più stretti. La reversibilità sta alla base di tali proposte. Come si fa a rendere reversibili
una comproprietà e una confederazione, se lasciano a desiderare? Quali
sarebbero le posizioni di ripiego? Quali altre proposte sarebbero difficilmente reversibili? Una risposta è la federazione.
ESERCIZIO
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Il Metodo TRANSCEND)
175
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Appendice 1 – Ulteriori letture: alcune pubblicazioni recenti
Bondurant, Joan V., Conquest of Violence: The Gandhian Philosophy of Conflict, University of California
Press, Berkeley 1971, 271 pp. Questo libro presenta una rassegna e un’analisi delle idee centrali del pensiero
politico di Gandhi ed evidenzia la sfida che esse rappresentano per la filosofia politica occidentale. Un testo
che si accompagna in modo eccellente a M. K. Gandhi, An Autobiography or The Story of My Experiments
With Truth.
Burrowes, R. J., The Strategy of Nonviolent Defense, A Gandhian Approach, State University of New York
Press, Albany 1996, 367 pp. Nel libro si discute la de-escalation della violenza in un conflitto, che si verifica
allorché una delle parti usa la nonviolenza, anziché la violenza. Il punto non è “la nonviolenza funziona
sempre?” – non c’è niente che funzioni sempre – bensì capire in che modo funziona, quando funziona.
Una questione più interessante potrebbe essere, in effetti, se la violenza funziona sempre, considerato che
(come si sostiene in questo Manuale) si lascia dietro almeno due parti traumatizzate e sogni di maggior
gloria e vendetta.
Büttner, C. W., Friedensbrigaden: Zivile Konfliktbearbeitung mitgewaltfreien Methoden. Peace Brigades:
Civilian Conflict Processing By Nonviolent Means, LIT Verlag, Münster 1995, 147 pp. Senza dubbio questo
concetto, il servizio civile di pace nelle brigate di pace, giocherà un ruolo considerevole in futuro, portando
con sé empatia, nonviolenza e creatività. Vengono analizzati molti casi concreti.
Camplisson, Joe e Hall, Michael, Hidden Frontiers. Addressing deep-rooted violent conflict in Northern
Ireland and the Republic of Moldova, Island Publications, Newtownabbey, Co Antrim BT36 7JQ, Northern
Ireland 1996, Island Pamphlets No. 16, 44 pp. Questo pamphlet è un affascinante resoconto sul modo in
cui l’essere diventato un operatore nei conflitti in un dato conflitto abbia preparato Joe Camplisson per
svolgere un significativo lavoro sul conflitto in un altro ambito, la Repubblica di Moldova. L’approccio è
molto compatibile col presente Manuale.
Chetkow-Yanoov, Benyamin, Social Work Approaches to Conflict Resolution: Making Fighting Obsolete,
The Haworth Press, Binghamton, NY 1996, 174 pp. Un libro che si legge facilmente, pieno di un buon
senso che deriva da una ricca esperienza personale. Una buona introduzione al settore.
Curle, Adam, Another Way: Positive Response to Contemporary Violence, Jon Carpenter, Oxford 1995. Un veterano tra gli operatori nei conflitti, con esperienze che vanno dall’India e Pakistan, alla Nigeria, al Sud Africa,
allo Zimbabwe, all’Irlanda, allo Sri Lanka, alla Iugoslavia, per menzionarne solo alcune. Il libro tratta più il
meta-conflitto che il conflitto, e in particolare la “Nuova Violenza”, “assolutamente sanguinosa”, senza alcuna
causa o razionalità, e ciò che può essere fatto al riguardo. Altrettanto da raccomandare è il suo Tools for Transformation: A Personal Study, Hawthorn Press, 1990, e il classico Making Peace, Tavistock, 1971, 301 pp.
European Platform for Conflict Prevention and Transformation, Prevention and Management of
Violent Conflicts: An International Directory, 1998 Edition, Amsterdam, 1998, 466 pp. Contiene informazioni su 475 organizzazioni coinvolte nel lavoro sul conflitto a livello globale, coi relativi indirizzi.
Fischer, Dietrich, Nonmilitary Aspects of Security: A Systems Approach, Dartmouth, for UNIDIR, Geneva
1993, 222 pp. Il libro contiene una messe di idee per il peace-building; sarebbe difficile immaginare un
conflitto in cui alcune di loro non possano venir applicate.
177
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Galtung, Johan, Peace by Peaceful Means: Peace and Conflict, Development and Civilization, SAGE,
London, New Delhi, Thousand Oaks 1996, 280 pp. Il libro – organizzato in quattro parti che grosso modo
corrispondono ai temi della violenza diretta, della trasformazione del conflitto, della violenza strutturale
e della violenza culturale – contiene le basi teoretiche di questo Manuale. Non è da raccomandare ai/lle
principianti, a meno che siano particolarmente motivati/e.
Galtung, Johan e Jacobson, Carl G., con contributi di Kai Frithjof Brand-Jacobson e Finn
Tschudi, Searching for Peace, The Road to TRANSCEND, Pluto Press, London-Sterling, Virginia, in
association with TRANSCEND.
Lederach, John Paul, Preparing for Peace: Conflict Transformation Across Cultures, Syracuse University
Press, Syracuse, NJ 1995, 100 pp. Questo libro è basato sull’ampia esperienza del suo autore in
America Latina, Asia e Africa, e sul suo approccio “elicitativo” per comprendere gli obiettivi delle parti.
Un’impostazione molto vicina a quella di questo Manuale.
Lumsden, Malvern, Peacebuilding in Macedonia, PRIO, Oslo 1997, 76 pp. Un resoconto della ricerca
per rendere la Macedonia meno vulnerabile alla violenza, per mezzo di progetti a livello di base con le
comunità etniche.
Mahony, Liam e Eguren, Luis Enrique, Unarmed Bodyguards: International Accompaniment for the
Protection of Human Rights, Kumarian Press, West Harford, CT 1997, 275 pp. Il libro ha per tema
“l’accompagnamento internazionale” di attivisti per i diritti umani e di altri/e in zone in cui è in atto la
violenza. Le guardie del corpo non-armate vanno incontro a rischi considerevoli, ma la loro nonviolenza,
così come è praticata dalle Peace Brigades International, sembra funzionare bene.
Mindell, Arnold, The Leader as Martial Artist: Techniques and Strategies for Resolving Conflict and Creating
Community, An Introduction to Deep Democracy, HarperCollins, New York 1993, 168 pp. Questo libro
concentra l’attenzione sulla psicologia dell’operatore/trice nei conflitti (non necessariamente solo sui/sulle
“leader”), e sui profondi problemi che probabilmente incontrerà. Contiene esercizi molto fantasiosi.
Mitchell, Christopher e Banks, Michael, Handbook of Conflict Resolution: The Analytical ProblemSolving Approach, Pinter, London 1996, 187 pp. L’approccio descritto in questo eccellente manuale differisce
da quello del presente Manuale perché suggerisce di riunire tutte le parti in un workshop comune per risolvere
insieme i problemi, e di affrontare in seguito il problema del riesame.
Mörland, Liv, Megling i konfliktråd; Hva skjer? Mediation in Conflict Councils; What happens?, HöyskoleForiaget, Kristiansand S. 1995, 176 pp. Il libro contiene un’analisi di quello che succede nell’istituzione
norvegese “konfliktråd” (un’istituzione simile funziona in Nuova Zelanda) per la mediazione volontaria
svolta da mediatori profani per prevenire la criminalità e come sostituto per i processi civili. Una conclusione è che la mediazione ha maggior successo quando le parti formulano il conflitto dalle loro proprie
prospettive e nel loro linguaggio, e quando i mediatori (un team, con elevata empatia) non sono troppo
diversi dalle parti in conflitto. L’informalità è preferita alla burocratizzazione.
Ortega, Zoilamérica, Desmovilizados de guerra en la construcción de la paz en Nicaragua (Demobilized
soldiers constructing peace in Nicaragua), Centro de Estudios Internacionales, Managua 1996, 91 pp. Il libro
riferisce di un esperimento colmo di promesse per il futuro: si narra di soldati appartenti a entrambe le
parti della guerra civile nicaraguense, smobilizzati e poi coinvolti in un lavoro congiunto di ricostruzione
di quanto avevano distrutto in tempo di guerra; un processo durante il quale sono giunti a riconciliarsi e a
dare un contributo alla risoluzione del conflitto.
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Patfoort, Pat, Uprooting Víolence, Building Nonviolence, Cobblesmith, Freeport, ME 1995, 128 pp.
Un eccellente manuale sul significato della nonviolenza al livello intra e interpersonale, nonché sulla
comunicazione come nonviolenza verbale e come cultura di pace.
Ross, Marc Howard, The Management of Conflict: Interpretations and Interests in Comparative Perspective,
Yale University Press, New Haven 1993, 226 pp. Il libro tratta della psico-cultura della trasformazione
del conflitto e dei tipi di assunti (consci e subconsci) che i/le partecipanti e i /le mediatori/trici hanno sui
conflitti, nonché delle condizioni per giungere a una società del conflitto costruttivo.
Sandole, D. e van der Merwe, H., eds., Conflict Resolution: Theory and Practice, Manchester University
Press, Manchester and New York 1993, 298 pp. Un’introduzione molto utile a diversi approcci statunitensi
nel campo della risoluzione del conflitto.
Stutzman, J. e Schrock-Shenk, C., eds., Mediation and Facilitation Training Manual, Mennonite
Conciliation Service, PO Box 500 Akron, PA 17501-0500, 1996, 310 pp. Un eccellente manuale, molto
ricco di contenuti, con esempi tratti dalla vita quotidiana.
Thompson, W. S. e Jensen, K. M. eds., Approaches to Peace: An Intellectual Map, United States Institute
of Peace, Washington DC 1992, 414 pp. Una raccolta molto utile di sedici saggi, che delineano in modo
essenziale gli approcci alla pace più correnti.
Unit for Justice, Peace and Creation, Christian Council of Sweden, Empowerment for Peace
Service, Stockholm, Box 1764, 11187 Stockholm 1996, 109 pp. Un’eccellente rassegna del training per
gli/le operatori/trici nei conflitti-per la pace, con indicazioni su come trovare ulteriore materiale.
Volkan, Vamik D., et. al., eds., The Psychodynamics of Intemational Relationships: Vol. I, Concepts and
Theories e Vol. II, Unofficial Diplomacy at Work, Lexington Books, Lexington, MA 1990. Questi due volumi
presentano prospettive che si ispirano a una vasta gamma di discipline, tra cui psicanalisi, psichiatria,
psicologia, scienze politiche, analisi delle politiche pubbliche, scienze diplomatiche e antropologia.
Vengono esplorate le radici del comportamento umano e se ne traggono lezioni per il peace-making: un
testo dirompente in questo settore.
Wehr, Paul, Burgess, Heidi e Burgess, Guy, eds., Justice Without Violence, Lynne Rienner, Boulder
& London 1994, 300 pp. Tredici saggi sull’azione nonviolenta contro la violenza diretta e strutturale,
in generale, in Nicaragua, nell’Europa Orientale, nell’ex-Unione Sovietica, in Cina, in Africa, in Medio
Oriente e in India.
179
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Altri testi utili
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Westport, CT 1991.
Burton, John W. e Dukes, Frank, Conflict: Practices in Management, Settlement and Resolution, St.
Martin’s Press, New York 1990.
Burton, John W. e Dukes, Frank, eds., Conflict: Readings in Management and Resolution, Macmillan,
London 1990.
Burton, John W., Conflict: Resolution and Prevention, St. Martin’s Press, New York 1990.
Burton, John W., Conflict: Human Needs Theory, St. Martin’s Press, New York 1990.
De Bono, Edward, Conflicts. A Better Way to Resolve Them, Penguin, London 1991 (prima edizione
1985).
Fitzduff, Mari Christine, Community Conflict Skills, 3rd Edition, Commmunity Conflict Skills project/
Community Relations Council project, Waltham, MA 1998.
Mitchell, Christopher R.,The Structure of International Conflict, Macmillan, London 1981.
Sandole, Dennis J. D. e Sandole-Staroste, Ingrid, eds., Conflict Management and Problem Solving,
New York University Press, New York 1987.
Tannen, Deborah, The Argument Culture, Random House, New York 1999.
180
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Bibliografia italiana (a cura del Centro Studi Sereno Regis)
Arielli, Emanuele e Scotto, Giovanni, Conflitti e mediazione, Bruno Mondatori, Milano 2003.
Camino, Elena e Dogliotti Marasso, Angela, Conflitto. Rischio e opportunità, Edizioni Qualevita,
Torre dei Nolfi (AQ) 2004.
Dogliotti Marasso, Angela e Tropea, Maria Chiara, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro. Un
gioco di ruolo per capire il conflitto israelo-palestinese, EGA, Torino 2003.
Galtung, Johan, Gandhi oggi, EGA, Torino 1997.
Galtung, Johan, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000.
Martello, Maria, Conflitti: parliamone. Dallo scontro al confronto con il metodo della mediazione, Sperling
& Kupfer, Milano 2006.
Morelli, Ugo, Conflitto. Identità, interessi, culture, Meltemi, Roma 2006.
Patfoort, Pat, Io voglio tu non vuoi, EGA, Torino 2001.
Patfoort, Pat, Difendersi senza aggredire. La potenza della nonviolenza, EGA, Torino 2006.
181
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Appendice 2 - Organizzazioni del settore - Indirizzi
ACCESS
Mary Lord, Director
1511 K Street, NW, Suite 643
WASHINGTON, DC 20005, USA
Tel.
+1 202 783 6050
Fax
+1 202 783 4767
[email protected]
ACORD - Great Lakes Region
P.O. Box 1019
Kigali - Rwanda
Tel.
+250 74619
Fax
+250 73614
ACORD
Development House
56-64 Leonard Street
London EC2A 4JX - United Kingdom
Tel.
+44 (0)20 70650850
Fax
+44 (0)20 70650851
e-mail [email protected]
Austrian Study Center For Peace and Conflict
Resolution (ASPR)
Rochusplatz 1/Burg
A-7461 Stadtschlaining - Austria
Tel.
+43 (0)3355 2498
Fax: +43 (0)3355 2662
e-mail [email protected]
Web http://www.aspr.ac.at/aspr.htm
Balkans Peace Centre of the University of Skopje
Faculty of Philosophy
Institute of Defence and Peace Studies
Bul. Krste Misirkov b.b.
1000 Skopje - Macedonia
Tel.
+389 2 3116 520
e-mail [email protected]
Web http://odb.fzf.ukim.edu.mk
Berghof Research Center for Constructive Conflict
Management
Altensteinstrasse 48a
D-14195 Berlin - Germania
Tel.
+49 (0)30 844154-0
Fax
+49 (0)30 844154-99
e-mail [email protected]
Web http://www.berghof-center.org/
Campaign for a More Democratic United
Nations (CAMDUN)
Contatti: Jeffrey Segall (London),
e-mail [email protected]
Contatti: Harry Lerner (New York)
New York Office:
301 E, 45th Street,
New York NY10017
Casa de los Amigos
Ignacio Mariscal 132,
Col. Tabacalera - México D.F. 06030
Tel
+52 55 5705 0521
Web http://www.casadelosamigos.org/index.html
Catholic Relief Services - USCC
P.O. Box 17090
Baltimore - Maryland 21203-7090
Tel.
+1 410 625 2220
Web http://www.crs.org/
Caucasian Institute for Peace, Democracy and
Development
P.O. Box 4 (158)
Contatti: David Aghmashenebeli
Ave. 89/24 (Floor 6)
380008 Tblisi - Georgia
Tel.
+995 32 954723
Fax
+995 32 954497
Web http://www.cipdd.org/
e-mail [email protected] profi[email protected]
183
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Center for Global Nonviolence
3653 Tantalus Drive
Honolulu - Hawai’i 96822-5033 - U.S.A.
Tel.
+1 808 536 7442
e-mail [email protected]
Web www.globalnonviolence.org
Civic Peace Association
15-1 Degtyarny Lane
Moscow 103 050, Russia
Tel
+7 095 299 6342/331
Fax
+7 095 299 0563
[email protected]
Centre for Conflict Resolution
University of Cape Town
PO Box 1228
Cape Town 8000 - South Africa
Tel.
+27 21 422 2512
Fax
+27 21 422 2622
Web http://ccrweb.ccr.uct.ac.za/
e-mail [email protected]
Conciliation Resources
An International Service for Conflict Prevention and
Resolution
173 Upper Street
London - N1 1RG - United Kingdom
Tel.
+44 (0) 20 7359 7728
Fax
+44 (0) 20 7359 4081
e-mail [email protected]
Web www.c-r.org
Centro de Estudios Internacionales
P.O. Box: 1747
Managua - Nicaragua
Tel.
+505 278 5413
Fax
+505 267 0517
e-mail [email protected]
Web http://www.ceinicaragua.org.ni/
Centro de Investigacíon para la Paz
Calle Duque de Sesto, 40
28009 Madrid - España
Tel.
+34 91 576 3299
Fax
+34 91 577 4726
e-mail [email protected]
Web http://www.fuhem.es/portal/areas/paz/
Christian Peacemaker Teams (CPT)
Negli U.S.A.:
P.O. Box 6508
Chicago, IL 60680-6508
Tel.
+1 773 277 0253
Fax
+1 773-277 0291
e-mail [email protected]
In Canada:
25 Cecil St, Unit 307
Toronto ON M5T 1N1
Tel.
+1 416 423 5525
Fax
+1 416 423 7140
e-mail [email protected]
Web http://www.cpt.org/
184
Conflict Analysis and Transformation Program
Professor John Paul Lederach
Eastern Mennonite University
Harrisburg, VA 22801-2462, USA
Tel.
+1 540 432 4490
Fax
+1 540 432 4449
e-mail [email protected], [email protected]
Web http://www.emu.edu/cjp/
Conflict Research Consortium
Heidi Burgess and Guy Burgess CB 327
University of Colorado
BOULDER, CC 80309, USA
Tel.
+1 303 492 1635
Fax
+1 303 492 2154
e-mail [email protected]
Web http://www.colorado.edu/conflict/index_
orig.html
The Carter Center
One Copenhill
453 Freedom Parkway
Atlanta, GA 30307
Tel.
+1 404 420 5100
e-mail [email protected]
Web http://www.cartercenter.org/homepage.html
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Coordination Sud
14 Passage Dubail
Paris 75010, France
Tel.
+33 (0)1 44729372
Fax
+33 (0)1 44729373
e-mail [email protected]
Web: http://www.coordinationsud.org/
European Centre for Conflict Prevention
Laan van Meerdervoort 70
2517 AN The Hague The Netherlands
Tel.
+31 (0)70 3110970
Fax
+31 (0)70 3600194
e-mail info@conflict-prevention.net
Web http://www.gppac.net/index.html
Culture of Peace Programme
Leslie Atherley, Director
David Adams, Senior Programme Specialist
UNESCO - 7, Place de Fontenoy
F-75352 Paris, France
Tel.
+33 (0)1 45 681000
Fax
+33 (0)1 45 671690
[email protected],
[email protected]
[email protected]
http://www.unesco.org
Fellowship of Reconciliation - USA
521 N. Broadway
Nyack, New York 10960 - USA
Tel.
+1 845 3584601
Fax
+1 845 3584924
Web http://www.forusa.org/
Department of Peace and Conflict Research
Uppsala University
P.O. Box 514
75120 Uppsala, Sweden
Tel.
+46 (0)18 471 00 00
Fax
+46 (0)18 69 51 02
e-mail [email protected]
Web http://www.pcr.uu.se/
Department of Peace Studies
University of Bradford
Richmond Road
Bradford, BD7 1DP, West Yorkshire, UK
Tel.
+44 (0)1274 235235
Fax
+44 (0)1274 235240
e-mail [email protected]
Web http://www.bradford.ac.uk/acad/peace/
European Conference on Peacemaking and Conflict Resolution (ECPCR)
The UMUT Foundation
UMUT VAKFI MERKEZ ADRESİ
Yıldız Posta Cad. NO:52
Esentepe 34340 - İstanbul
Tel.
+90 212 3372900/2993
Fax
+90 212 2886675
e-mail [email protected]
Web www. umut.org.tr
Finding Common Ground
6th Floor
400 University Avenue
Toronto ON M7A 2R9 - Canada
Tel.
+1 416 3255225
Fax
+1 416 3255221
Web http://www.findingcommonground.ca/
Gernika Gogoratuz Peace Research Center
Artekalea, 1 - 1o E - 48300
Gernika-Lumo/Bizkaia - Spain
Tel.
+ 34 94 6253558
Fax
+ 34 94 6256765
e-mail [email protected]
Web http//www.gernikagogoratuz.org
Groupe Urgence de Réhabilitation et Développement
Le Cypres-Les-Guards
26110 Nyons, France
Tel.
+33 (0)4 75262271
Fax
+33 (0)4 75266427
e-mail [email protected]
INCORE
University of Ulster, Magee Campus, Aberfoyle
House, Northland Road, Londonderry, BT48 7JA.
Tel.
+44(0)28 71375500
Fax
+44 (0)28 71375510
e-mail [email protected]
Web http://www.incore.ulst.ac.uk/
185
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
India Peace Center
Hansi and S. K. De
C-K Naidu Road
CIVIL LINES, NAGPUR 440001, INDIA
Institute for Multitrack Diplomacy
1901 North Fort Myer Drive, Suite 405
Arlington, VA 22209
Tel.
+1 703 5283863
Fax
+1 703 5285776
e-mail [email protected]
Web http://www.imtd.org/
Institut de recherche sur la Résolution Non-violente des Conflits
14, rue des Meuniers
93100 Montreuil, France
Tel.
+33 (0)1 42879469
Fax
+33 (0)1 48579297
e-mail [email protected]
Web http://www.irnc.org/
Institute for Journalism in Transition
Chlumova 22
130 00 Prague 3
Czech Republic
Tel.
420 222 780 805
Fax
420 222 780 804
e-mail: [email protected]
Web http://www.tol.cz/look/TOL/home.tpl?IdLa
nguage=1&IdPublication=4&NrIssue=187
Instituto de la Paz y los Conflictos
Universidad de Granada
Dirección Oficial
Centro de Documentación Científica
18071 Granada (ESPAÑA)
Tel.
+34 958 244142 (Amministrazione)
+34 958 248355 (Segreteria tecnica)
Fax
+34 958 248974
e-mail [email protected]
Web http://www.ugr.es/~eirene
186
International Alert
346 Clapham Road
London SW9 9AP
United Kingdom
Tel.
+44 (0)20 76276800
Fax
+44 (0)20 76276900
e-mail [email protected]
Web http://www.international-alert.org
International Fellowship of Reconciliation
Spoorstraat 38
Alkmaar, 1815 BK
The Netherlands / Pays-Bas
Tel.
+31 (0)72 5123014
Fax
+31 (0)72 5151102
e-mail offi[email protected]
Web http://www.ifor.org/index.html
International Jewish Peace Union
B. P. 44
75462 Paris, Cedex 10, France
Tel.
+33 (0)1 48009660
Fax
+33 (0)1 48009645
ISC - International Service Community
Swarthmore College
P. 0. Box 380
Swarthmore, PA 19081-0380 - USA
Web http://www.swarthmore.edu/go/isc/main.
html
IPRA - International Peace Research Association
Foundation
1705 14th St. 363
Boulder, CO USA 80302
e-mail [email protected]
Web https://www.iprafoundation.org/index.html
IRIPAZ - International Relations and Peace Research Institue
la Calle 9-52 - Zona 1
Ciudad de Guatemala - Guatemala
Tel.
+502 232 8260/250 0421
Fax
+502 253 1532
e-mail [email protected]
Web http://www.gdnet.org/middle.php?oid=211
&zone=org&action=org&org=1053
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Israel/Palestine Center for Research and Information
P.O. Box 9321 Jerusalem 91092 - Israel
Tel.
+972 2 6769460
Fax
+972 2 6768011
e-mail [email protected]
Web http://www.ipcri.org/
JUST - Just World Trust
P.O. Box 448
10760 Penang - Malaysia
Fax
+604 656 3990
e-mail [email protected]
Life & Peace Institute
Indirizzo postale:
Sysslomansgatan 7
SE-753 11 Uppsala - Sweden
Sede operativa:
Sysslomansgatan 7, 1st floor
Uppsala, Sweden
Tel.
+46 (0)18 169500
Fax
+46 (0)18 693059
e-mail [email protected]
Web h t t p : / / w w w. l i f e - p e a c e . o r g / d e f a u l t 2 .
asp?xid=297
Local Capacities for Peace Project
c/o Collaborative for Development Action
130 Prospect Street, Suite 202
Cambridge, MA, 02143 - USA
Tel.
+1 617 6616310
Fax
+1 617 6613805
e-mail [email protected]
Web www.cdainc.com
Médecins du Monde International
62 rue Marcadet
75018 Paris, France
Tel.
+33 (0)1 44921414
Fax
+33 (0)1 44921455
e-mail [email protected]
Web http://www.mdm-international.org/
Michigan Faith and Resistance Peace Team
1516 Jerome St.
Lansing , MI 48912 - USA
Tel.
+1 517 4843178
e-mail [email protected]
Nairobi Peace Initiative
5th Floor, New Waumini House
Chiromo Road - Waiyaki Way
Westlands, Nairobi
P.O. Box 14894-00800
Nairobi - Kenya
Tel.
+254 20 4441444/4440098
Fax
+254 20 4440097
e-mail [email protected]
Web http://www.npi-africa.org/default.asp
Nonviolence International
4545 42nd St. NW Suite 209
Washington, DC - USA 20016
Tel.
+1 202 2440951
Fax
+1 202 2446396
e-mail [email protected]
Web http://www.nonviolenceinternational.net/
Norwegian People’s Aid
Storgt. 33 A, 9. etg, 0028 Oslo - Norway
Tel.
+47 22 037700
Fax
+47 22 200870
e-mail [email protected]
Web h t t p : / / a p u . i d i u m . n o / f o l k e h j e l p. n o /
?template=english;lang=eng
Observatoire Politique et Stratégique de l’Afrique
9 Rue Malher
75181 Paris, Cedex 04, France
Tel.
+33 (0)1 64493499
Fax
+33 (0)1 64493499
OSCE - The Organization for Security and Cooperation in Europe
Kaerntner Ring 5-7
1010 Vienna, Austria
Tel.
+43 1 514360
Fax
+43 1 5143696
e-mail [email protected]
Web http://www.osce.org/
Parliamentarians for Global Action
211 East 43rd St, Suite 1604
New York, NY 10017 - USA
Tel.
+1 212 6877755
Fax
+1 212 6878409
e-mail [email protected]
Web http://www.pgaction.org/
187
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Peace Brigades International
International Office
Development House
56-64 Leonard Street
London EC2A 4JX - U.K.
Tel.
+0 207 0650775
Web http://www.peacebrigades.org/index.html
Quaker United Nations Office - Geneva
13 Avenue du Mervelet
1209 Geneva - Switzerland
Tel.
+41 22 7484800
Fax
+41 22 7484819
e-mail [email protected]
Web http://www.quno.org/
Peace Desk - International Affairs
Salpy Eskididjian
Justice, Peace and Creation
Programme Unit III
Worid Councíl of Churches
PO Box 2100
CH-1211 Geneva 2 - Switzerland
Web http://www.oikoumene.org/en/home.html
Responding to Conflict
1046 Bristol Road
Selly Oak
Birmingham B29 6L3 - UK
Tel.
+44 (0)121 4155641
Fax
+44 (0)121 4154119
e-mail [email protected]
Web http://www.respond.org/
Peace Research Informatíon Unit Bonn
Beethovenallee 4
53173 Bonn, Germany
Tel.
+49 (0)228 356032
Fax
+49 (0)228 356050
e-mail [email protected]
Web http://www.priub.org/index.html
SIPAZ - Servicio Internacional Para La Paz
Avenida Chilón 8
Barrio El Cerrillo
San Cristóbal de las Casas
29220 Chiapas, México
Tel/Fax +52 967 6316055
e-mail [email protected]
Web http://www.sipaz.org/
Peacefund Canada
206-145 Spruce Street
Ottawa, Ontario K1R 6P1 - Canada
Tel.
+1 613 2300860
Fax
+1 613 5630017
e-mail [email protected]
Web http://www.web.ca/~pfcan/
Programa por la Paz de la Compañía de Jesús
Calle 35 n. 21-19
Bogotá - Colombia
Tel.
+57 1 338 37 90
Fax
+57 1 338 37 92
e-mail [email protected]
Web http://www.jesuitas.org.co
Quaker Peace & Social Witness
Friends House
173 - 177 Euston Road
London NW1 2BJ - UK
Tel.
+44 207 663 1000
e-mail [email protected]
Web http://www.quaker.org.uk/
188
SURVIE
210 rue St Martin
75003 Paris - France
Tel.
+33 (0)1 44 610325
Fax
+33 (0)1 44 610320
e-mail [email protected]
Web http://www.survie-france.org/
Swiss Platform on Conflict Prevention and Transformation
c/o Centre for Applied Studies in International Negotiations (CASIN)
7 bis avenue de la Paix
P.O. Box 1340
1211 Geneva 1 - Switzerland
Tel.
+41 (0)22 7308660
Fax
+41 (0)22 73086 90
e-mail [email protected]
Web http://www.casin.ch/web/media/index.htm
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
TFF - The Transnational Foundation for Peace
and Future Research
Jan Oberg, Director
Vegagatan 25
S 224 57 Lund - Sweden
Tel.
+46 46 145909
Fax
+46 46 144512
e-mail [email protected]
Web http://www.transnational.org
The Arias Foundation for Peace and Human Progress
P.O. Box 86410-1000, Costa Rica
Tel.
+506 255 2955/255 2885
Fax
+506 255 2244
e- mail [email protected]
Web http://www.arias.or.cr/
The Lester B. Pearson Canadian International
Peace-keeping Training Centre
1145 Hunt Club Rd
Suite 415, Ottawa, ON
K1V 0Y3 Canada
Tel.
+1 613 7368722
Fax
+1 613 7367639
e-mail [email protected]
Web http://www.peaceoperations.org/
The Richardson Institute for Peace Studies and
Conflict Resolution
Department of Politics and International Relations
Lancaster University
Lancaster LA1 4YD - UK
Tel.
+44 (0) 1524 594262
Fax
+44 (0) 1524 494238
e-mail [email protected]
Web http://www.lancs.ac.uk/users/richinst/
home/index.htm
Transcend
114 Canover Rd
Princeton ICT NY 08550 - USA
Tel.
+1 609 7998319
Fax
+1 609 7992581
e-mail [email protected]
[email protected]
Web http://www.transcend.org
Transnational Institute
PO Box 14656
1001 LD Amsterdam - The Netherlands
Sede operativa:
De Wittenstraat 25
1052 AK Amsterdam - The Netherlands
Tel.
+ 31 20 6626608
Fax
+ 31 20 6757176
e-mail [email protected]
Web http://www.tni.org
UNESCO
7, place de Fontenoy
75352 Paris 07 SP, France
Tel.
+33 (0)1 45681000
Fax
+33 (0)1 45671690
e-mail [email protected]
Web http://www.unesco.org
United Nations Volunteers
Jean-Claude Rogivue, Chief
Postfach 260 111
D-53153 Bonn - Germany
Tel.
+49 228 8152000
Fax
+49 228 8152001
e-mail [email protected]
Web http://www.unv.org/index.htm
WILPF - Women’s International League for Peace
and Freedom
U.S. Section Office
1213 Race Street
Philadelphia PA 19107
Tel.
+1 215 5637110
Fax
+1 215 5635527
e-mail: [email protected]
Web http://www.wilpf.org/
Witness for Peace
3628 12th Street NE, 1st floor
Washington, DC 20017 - USA
Tel.
+1 202 5476112
Fax
+1 202 5364708
Web http://www.witnessforpeace.org/
189
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
World Peacemakers
11427 Scottsbury Terrace
Germantown, MD 20878-6010 - USA
Tel.
+1 301 9724041
e-mail [email protected]
Web http://www.worldpeacemakers.org/
WRI - War Resisters’ International
5 Caledonian Road
London N1 9DX - UK
Tel.
+44 20 72784040
Fax
+44 20 72780444
e-mail infoatwri-irg.org
Web http://www.wri-irg.org/
Centro Psicopedagogico per la pace e la gestione
dei conflitti
Via Campagna, 83
29100 Piacenza
Tel./fax +39 0523498594
e-mail [email protected]
Web www.cppp.it
Centro Studi Difesa Civile
Via Salaria, 89
00198 Roma
Tel.
+39 068419672
Fax
+39 068841749
Segreteria operativa:
Via della Cellulosa, 112
00166 Roma
e-mail [email protected]
Web http://www.pacedifesa.org
Centro Studi per la Pace
[email protected]
http://www.studiperlapace.it
In Italia
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Servizio Obiezione di coscienza e Pace
Via Calamino 18
47854 San Savino di Monte Colombo (Rn)
Tel.
+39 0541985750
Fax
+39 0541985298
email [email protected]
Web http://www.apg23.org/
Centro Esserci
Via Caleri, 14
42100 Reggio Emilia
Tel.
+39 0522943053
Fax
+39 0522949471
e-mail [email protected]
Web htpp://www.centroesserci.it
Centro Gandhi
Centro Polivalente, via San Zeno, 17
56124 Pisa
Tel./fax +39 050830411
e-mail [email protected]
Web http://www.centrogandhi.it
190
Centro Studi Sereno Regis
Via Garibaldi, 13
10122 Torino
Tel.
+39 011532824
Fax
+39 0115158000
e-mail [email protected]
Web http://www.cssr-pas.org
Comunità di Sant’Egidio
Piazza Sant’Egidio, 3/a
00153 Roma
Tel.
+39 068992234
Fax
+39 065800197
e-mail [email protected]
Web http://www.santegidio.org/it/index.html
G.A.V.C.I. - Gruppo Autonomo di Volontariato
Civile in Italia
Sede Centrale di Bologna
C/O Villaggio del fanciullo
via Scipione dal Ferro, 4
40100 Bologna
Tel./fax +39 051341122
e-mail [email protected]
Web http://www.gavci.it/
La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Inter Press Service
Via Panisperna, 207
00184 Roma
Tel.
+39 06485692
Fax
+39 064817877
e-mail [email protected]
Web http://www.ips.org
IPRI - Rete Corpi Civili di Pace
c/o Centro Studi Sereno Regis
Via Garibaldi, 13
10122 Torino
Tel.
+39 011532824
Fax
+39 0115158000
Web http://www.reteccp.org
IUPIP - International University of Peoples’ Institutions for Peace
Palazzo Adami, Piazza San Marco, 7
38068 Rovereto (Tn)
Tel.
+39 0464.42 42 88
Fax
+39 0464.42 42 99
E-mail [email protected]
Web http://www.iupip.unimondo.org/
Pax Christi Italia
Casa per la Pace
via Quintole per le Rose, 131
50023 Impruneta (FI)
Tel.
+39 0552374505
Fax
+39 0552020608
e-mail [email protected]
Web http://www.paxchristi.it/
Peacelink - Telematica per la Pace
C.P. 2009 - 74100 Taranto
Tel.
+39 0997303686
Fax
+39 0657290945
e-mail [email protected]
Web http://www.peacelink.it
Polemos - Scuola di formazione e studi sui conflitti
Via degli Orbi, 14
38100 Trento
e-mail [email protected]
Web http://www.polemos.it
Spazi di intesa - Centro per la gestione dei conflitti
Via S. Pio V, 17/b
10125 Torino
Tel.
+39 0116501126
Fax
+39 0116696130
e-mail [email protected]
Web h t t p : / / w w w. g r u p p o a b e l e . o r g / In d e x .
aspx?idmenu=311
Università degli studi di Firenze
Corso di laurea intefacoltà. Scienze sociali per la
Cooperazione, lo sviluppo e la pace
Master di I livello “Mediatore dei Conflitti Operatore di Pace” in collaborazione con la Facoltà di
Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna.
Piazza San Marco, 4
50121 Firenze
Tel.
800 450150
Web http://www.operatoriperlapace.unifi.it/
Università degli studi di Pisa
Centro Interdisciplinare Scienze per la pace
Master di I livello in “Gestione dei conflitti
interculturali ed interreligiosi”
Via Gioberti, 39
56124 Pisa
Tel.
+39 0502211201
Fax
+39 0502211206
e-mail [email protected]
Web htpp://www.pace.unipi.it/didattica/master
Università degli studi di Roma Tre
Facoltà di Giurisprudenza
Master 2006-2007 di II livello in “Gestione e
Risoluzione dei Conflitti”
Web http://www.giur.uniroma3.it/materiale/
master/gestione_risoluzione_conflitti.html
International University Institute for European
Studies
Master di I livello in “Operatori internazionali di
pace” (120 crediti).
Via Mazzini, 13
34170 Gorizia
Tel.
+39 0481533632
Fax
+39 0481532094
e-mail [email protected]
Web www.interuniv.isig.it
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La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici
(Il Metodo TRANSCEND)
Appunti
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(Il Metodo TRANSCEND)
Appunti
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(Il Metodo TRANSCEND)
Appunti
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Finito di stampare nel dicembre 2006 in Torino