cap.12 – consenso-informato e verita` al malato

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cap.12 – consenso-informato e verita` al malato
CAP. 12 - CONSENSO INFORMATO E VERITÀ AL MALATO
SCHEMA DEL CAPITOLO
1.Consenso Informato
1.1.Alcuni accenni storici
1.2.Aspetti medico-legali e giuridici
1.3.Principi etici
1.4.Elementi del Consenso informato
1.5.Problematiche particolari
2.La comunicazione della verità
2.1.All’adulto
2.2.Al minore
3Come la parabola del buon samaritano
1.Consenso Informato
INTRODUZIONE
Nella prima parte del capitolo vogliamo rispondere agli interrogativi: che
cos’è il consenso informato? Quando il paziente fornisce un consenso libero e
informato?
Il malato all’inizio e a volte anche nel corso di un processo diagnostico o
terapeutico, deve firmare uno o più Consensi informati1. Questi atti dovrebbero
inserirsi nel contesto di una autentica relazione medico-malato, poiché
unicamente l’informazione permetterà al sofferente di decidere liberamente e
responsabilmente se accettare o rifiutare il percorso diagnostico e terapeutico
proposto. Comunicare con il paziente, come già affermato, è un dovere eticodeontologico del medico e incide profondamente sul rapporto fiduciario tra i due
soggetti che dovrebbe essere vissuto come una partnership2.
Per questo, il Consenso informato, è definito dal Comitato Nazionale per la
Bioetica, “la legittimazione e il fondamento dell’atto medico e, allo stesso tempo,
strumento per realizzare quella ricerca di alleanza terapeutica – nell’ambito delle
leggi e dei codici deontologici – e di piena umanizzazione dei rapporti fra medico
1
Per approfondire l’argomento: AA.VV., Consenso informato e diritto alla salute, E.S.I., Napoli 2001; F.
ALBEGGIANI, Profili problematici del consenso dell’avente diritto, Giuffrè, Milano 1996; F. ANTOLISEI,
Manuale di Diritto Penale, parte generale, Giuffrè, Milano 1969; M. BARNI, Diritti-doveri. Responsabilità
del medico dalla bioetica al biodiritto, Giuffrè, Milano 1999; G. BETTIOL, Diritto Penale, parte generale,
Cedam, Padova 1973; L. CANAVACCI, I confini del consenso. Un’indagine sui limiti e l’efficacia del
consenso informato, Edizioni Medico-Scientifiche, Torino 1999; G. CATTANEO, La responsabilità del
professionista, Giuffrè, Milano 1958; L. CHIEFFI, Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e
garanzie costituzionali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993; V. MALLARDI, Le origini del consenso
informato, in Acta Otorhinolaryng, 2005; G. MONTANARI VERGALLO, Il rapporto medico-paziente.
Consenso e informazione tra libertà e responsabilità, Giuffrè, Milano 2008; E. ONDEI, Consenso dell’avente
diritto, Enciclopedia Forense Vallardi, Torino 1968; A SANTOSUOSSO (a cura di), Il Consenso informato.
Tra giustificazione del medico e diritto del paziente, Cortina, Milano 1996; M. ZANA, Responsabilità medica
e tutela del paziente, Giuffrè, Milano 1993.
2
Cfr. R.M. VEATHC, The Patient as Partenr, Indiana University Press, Bloomington 1987.
138
e paziente cui aspira la società attuale”3.
Dunque, il “consenso all’atto medico” del paziente non è primariamente o
esclusivamente un problema etico - uno dei tanti che la pratica medica suscita - e
tanto meno unicamente un “caso” deontologico o giuridico, ma s’inerisce nella
radice della stessa medicina, essendo il “presupposto antropologico” (cioè della
libertà intesa come categoria antropologica irriducibile) del rapporto fiduciale tra
paziente e medico.
1.1.ALCUNI ACCENNI STORICI
La storia della dottrina del Consenso informato è il frutto di una lenta e
costante evoluzione dell'ambito, più generale, del rapporto medico-paziente.
Il Consenso informato, ebbe origine negli Stati Uniti alla fine del ‘7004,
quando per la prima volta si affrontò “l’importanza giuridica della differenziazione
tra un contenzioso promosso in relazione ad un consenso comunque difettoso
(vizio di consenso)5 e quello basato su un’ incompleta o errata informazione
(vizio d’informazione), che rappresenta il fondamento e il presupposto irrevocabile
per giungere al consenso stesso6”7. Sempre negli Stati Uniti, di notevole
importanza, fu la sentenza del 1914 del Giudice Cardozo formulando il
principio che “ogni essere umano adulto e sano di mente ha il diritto di
decidere ciò che sarà fatto sul suo corpo, e per questo, ogni medico che
agisce senza il consenso del suo paziente, commette un’aggressione per la quale
è perseguibile per danni”8.
Successive sollecitazioni al Consenso informato sono presenti in alcuni
pronunciamenti medici internazionali a partire dal Codice di Norimberga del
1947 che caratterizzato dall’antropocentrismo, determinò le basi dell’ etica
medica moderna e fu il precursore delle successive Dichiarazioni e Codificazioni.
In questo Codice si proclamava il diritto della persona a decidere liberamente se
partecipare a una sperimentazione clinica e il dovere del medico di spiegare al
malato la sua situazione clinica.
Da allora, ci fu un susseguo di pronunciamenti: la Dichiarazione di Helsinki del
1964 (e successive modifiche), la Dichiarazione della Conferenza Internazionale
dell’Ordine dei Medici (CIOM) del 1987 dove si precisò che “salvo il caso
d’urgenza, il medico illustrerà al malato gli effetti e le conseguenze prevedibili
3
COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Informazione e consenso all’atto medico, Roma 1999, pg. 12.
Cfr.: Le origini del consenso informato, op. cit., pg. 313.
5
Il riferimento è al “caso Slater” del 1767. Il paziente si lamentò del comportamento dei medici che
rimossero le fasciature dalla sua gamba fratturata accorgendosi che la frattura si era ricomposta solo
parzialmente. Perciò decisero senza il consenso del paziente di rifratturare l’arto per tentare una definitiva
riduzione, e lo bloccarono con una nuova imbracatura. I medici furono condannati avendo agito con
negligenza ed imperizia, ma anche perché la soluzione di fratturare nuovamente la gamba del paziente era
stata eseguita senza il consenso del malato.
6
La problematica dell’indipendenza tra “consenso” ed “informazione” emerse nel “caso Carpenter”. Un
medico curò la slogatura di un gomito con tecniche che egli riteneva innovative. I giudici, invece, gli
addebitarono l’insuccesso dell’intervento avendo tenuto una condotta negligente e non avendo informato il
paziente sulle precauzioni da adottare e da osservare durante la convalescenza. In più, il consenso era
fortemente viziato (the misrepresentation vitiated the consent) dalle ingannevoli assicurazioni sull’esito
positivo della malattia.
7
Il rapporto medico-paziente, op. cit. pg. 7.
8
Responsabilità medica e tutela del paziente, op. cit., pg. 23.
4
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della malattia o della sperimentazione clinica. Acquisirà il consenso del paziente
soprattutto, quando gli atti proposti comporteranno un rischio serio. Il medico non
può sostituire la propria concezione di qualità della vita a quella del suo
paziente” (3.1). Da ultimo abbiamo la Convenzione di Oviedo del 1997 che
all’articolo 5 affermò: “un intervento nel campo della salute non può essere
effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e
informato”.
In Italia, la procedura del Consenso, si avviò alla fine degli anni ’70 del
ventesimo secolo, quando questa prassi fu inserita nel Codice di Deontologia
Medica del 1978: “Le cure sono subordinate al consenso dell’interessato che deve
essere, se possibile espresso per iscritto, liberamente e consapevolmente, previa
informazione sugli obiettivi, sui metodi, sui benefici previsti nonché sui rischi e
disturbi potenziali”9.
Mentre nel Codice di Deontologia Medica del 1978 il Consenso informato non
rivestiva appieno il ruolo che gli è proprio, maggiore attenzione fu riservata nel
Codice di Deontologia Medica del 15 giugno 2009 che gli dedicò gli articoli 33-37
del Capo Quarto10.
La tematica fu trattata anche nella legge 833/1978 istitutiva del Servizio
Sanitario Nazionale che all’articolo 33 stabilisce che anche gli accertamentitrattamenti sanitari obbligatori, che vedremo inseguito, devono essere
accompagnati da iniziative volte ad assicurare il consenso del paziente11.
9
Codice di Deontologia Medica, 15 luglio 1978, Capo IX, art. 49.
Informazione al cittadino
“Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle
prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte
operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al
fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l'adesione alle proposte diagnosticoterapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico
deve, altresì, soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni
riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona,
devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di
speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro
soggetto l'informazione deve essere rispettata” (art. 33).
Acquisizione del consenso
“Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso
esplicito e informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei
casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze
delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della
persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all'art. 33. Il procedimento
diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l'incolumità della
persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili
conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di
documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi,
non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona. Il medico deve intervenire,
in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della
qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del
paziente” (art. 35).
Altri articoli importanti sono: art. 34: Informazione a Terzi; art. 36: Assistenza d’urgenza; art. 37: Consenso
del legale rappresentante.
11
“Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in
quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti
e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della
persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e
del luogo di cura. (…).Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono
10
140
Da ultimo ricordiamo alcuni articoli riguardanti il Consenso informato
presenti nel Codice Penale e Civile.
L'articolo 50 del CP afferma: "Non è punibile chi lede o pone in pericolo un
diritto con il consenso della persona che può validamente disporne''. Qui si
giustifica l’intervento sanitario anche nel caso rechi un danno alla persona, purché
ci sia il suo consenso e quindi sia rispettata la libertà personale come richiesto
dall'articolo 5 del CC che proibisce “gli atti di disposizione del proprio corpo
quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica, o quando
siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume".
L’articolo 54 del CP tratta invece del consenso del paziente in condizioni
gravi: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità di salvare sé ed altri dal pericolo attuale”. Si tratta dello "stato di
necessità”; il medico, presumendo il consenso, effettua un intervento essendo
obbligato a salvare la vita della persona dato la gravità della situazione.
1.2.ASPETTI MEDICO-LEGALI E GIURIDICI
Nel contesto italiano, la libera scelta nella tutela della propria salute e
il diritto all’informazione, cioè il Consenso informato, sono principi fondanti sanciti
dalla Costituzione. “La libertà personale è inviolabile… E’ punita ogni violenza
fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà…”
(art. 13); “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo
e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno
può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. Le legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana” (art. 32, comma 2)12.
Dunque, nella prospettiva giuridica, il consenso del paziente all’atto medico
è obbligatorio per la liceità di ogni pratica diagnostica, terapeutica e sperimentale.
Troviamo alcune eccezioni che offrono la facoltà al medico di intervenire
sul malato anche se questo non ha fornito il suo consenso.
- I rischi riguardanti conseguenze atipiche, eccezionali e imprevedibili, che
causerebbero al paziente ingiustificate ansie e timori; è il cosiddetto “privilegio
terapeutico”13.
- Le situazioni nelle quali il paziente ha espresso esplicitamente la volontà di
non essere informato.
- Le condizioni di gravità o d’immediato pericolo per la vita che richiedono un
intervento urgente senza esserci la possibilità di spiegare l’approccio diagnostico
e terapeutico al paziente o ai famigliari.
-Il “consenso implicito” per la diagnostica e le terapie di routine.
-I “Trattamenti Sanitari Obbligatori” (TSO) previsti dagli articoli 33,34,35 della
Legge n. 833/78, subordinati alla necessità di tutela della salute pubblica o per la
salvaguardia dell’incolumità del paziente.
-Le vaccinazioni obbligatorie stabilite nei programmi nazionali di salute
pubblica (cfr. Legge 292/63).
essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è
obbligato” (Legge 833/1978, art. 33).
12
Altri articoli importanti della Costituzione italiana sull’argomento sono il 2,3,14,15.
13
Cfr.: Codice di Deontologia Medica (18 maggio 2014), art. 29, commi 3 e 4.
141
-Oppure di fronte ad alcune patologie: malattie mentali (cfr. Legge 180/78),
Tossicodipendenza (cfr. Legge 126/90), TBC e lebbra (cfr. Legge 897/56).
L’assenza di un valido consenso del paziente, tranne che nei casi sopra
citati, espone il medico in “sede penale” alle imputazioni di lesione personale
(cfr. art. 582 Codice penale), delitto di violenza privata (cfr. art. 610 Codice
penale), omicidio colposo o preterintenzionale (cfr. artt. 589 e 584 Codice
Penale.), e in “sede civile” al risarcimento del danno (cfr. ex art. 2043 Codice
civile).
1.3.I PRINCIPI ETICI
Faremo riferimento a quelli citati da L. Beauchamp (filosofo) e J. Childress
(deontologo) nel testo “Principi di etica biomedica”14.
-Principio di autonomia.
Per questo principio la persona ha il diritto, in tutte le età e le fasi della vita, di
disporre di sé stessa nella misura consentita dalle evidenze etiche e dalla legge,
scegliendo se accogliere o rifiutare l’aiuto offerto dall’esterno anche per quanto
riguarda la sua salute.
-Principio di beneficienza.
Il dovere della medicina, e di conseguenza di ogni operatore sanitario, è
promuovere il bene del paziente ponendolo al centro di ogni servizio,
accogliendolo e rispondendo olisticamente ai suoi bisogni.
La beneficialità potrebbe interferire con l’autonomia. Ad esempio, in un pronto
soccorso ospedaliero, qual è il “bene dell’altro”, trovandosi di fronte ad un adepto
dei “Testimoni di Geova” che necessita con urgenza di una trasfusione poichè
affetto da anemia gravissima, ma la rifiuta in nome della sua fede religiosa?
Non è nostro intento esaminare problematiche particolari ma unicamente offrire
indicazioni generali; perciò ricordiamo che il principio esige di oltrepassare
l’immediato per rispondere ai bisogni di lungo termine.
-Principio di non maleficenza.
La non maleficenza è l’impegno a non causare un danno o provocare del male,
facendo proprio l’ aforisma latino “primum non nocere”.
Il malato, può essere danneggiato intenzionalmente con azioni dolose, cioè
trasgressioni volontarie e coscienti15, ma anche involontariamente, senza che
l’evento negativo sia voluto; in questo caso le azioni risultano colpose.
Il Codice Penale, afferma, che l’atto colposo si verifica per negligenza, per
imprudenza o per imperizia16.
*Si agisce con negligenza, quando non osservando un comportamento di prassi,
si commettere un danno per disattenzione, per trascuratezza o per mancanza di
sollecitudine.
*Si procede con imprudenza, quando non si utilizza la dovuta cautela e non si
14
Ed. Le Lettere, Firenze 1999.
Le più frequenti azioni dolose nell'esercizio della professione sanitaria sono: rivelazione del segreto
professionale (art. 622 c.p.), omissione di referto (art. 365 c.p.), interruzione illecita della gravidanza (artt.
18 e 19 , Legge 22 maggio 1978, n. 194), falsità in atti (artt. 476-493 c.p.), commercio di campioni
medicinali (art. 173 T.U.L.S.), prescrizione illecita di sostanze stupefacenti (art. 43 Legge 22 dicembre 1975,
n. 685), omissione di denuncia obbligatoria (art. 413 c.p.).
16
CODICE PENALE, Art. 43, comma 3.
15
142
assumono le necessarie misure precauzionali per non provocare il danno.
*Ci si comporta con imperizia, quando è scarsa la preparazione professionale e la
competenza tecnica, presupposti indispensabili per l’esercizio di ogni attività,
oppure non ci si attiene ai protocolli operativi.
Di conseguenza, per non danneggiare il paziente, è irrinunciabile sia la
formazione di base che quella permanente.
-Principio di giustizia.
La giustizia come ricordava Aristotele nell’Etica Nicomachea, suggerisce “le
giuste e reciproche relazioni degli uomini in quanto tali”17.
Il principio, in sanità, evidenzia che tutti i cittadini devono avere uguale diritto di
accesso alle cure per cui occorre offrire a ognuno ciò che gli è dovuto.
1.4.ELEMENTI DEL CONSENSO INFORMATO
“Il primo e più rilevante contenuto etico del consenso informato è il suo essere
una testimonianza della comunicazione avvenuta tra medico e paziente. Il
semplice fatto che l’accettazione di un percorso diagnostico e terapeutico è il
risultato di una scelta per quanto possibile cosciente e responsabile costituisce
indubbiamente un valore morale; da questo punto di vista, appare assai rilevante
riconoscere al Consenso informato una connotazione ben più che
semplicemente garantistica, a tutela dei ‘diritti’ del soggetto,bensì lo statuto di
un momento significativo della partecipazione riflessa del soggetto alla lotta
contro la propria malattia”18.
La validità del Consenso è data da alcuni elementi: l’informazione, la libertà e
l’espressione del consenso.
1.4.1 INFORMAZIONE
Qualità dell’informazione.
L’informazione è presentata al paziente in due documenti distinti ma non disgiunti:
“il foglio informativo” e “il modulo di consenso informato” che contengono gli
elementi per comprendere un determinato esame diagnostico o un iter
terapeutico.
Entrambi i documenti non sostituiscono ma integrano il colloquio con il paziente19,
poiché ogni Consenso informato, come già affermato, è la conseguenza di una
chiara e corretta informazione. Potrebbe essere utile, nel corso del
colloquio, anche una breve presentazione video o delle domande dirette per
verificare il livello di comprensione.
Chi fornisce l’informazione?
E’ compito del medico curante come ribadito dall’articolo 33 del Codice di
Deontologia Medica ma anche l’infermiere è coinvolto come ricordato nel Codice
di Deontologia dell’Infermiere del 200920.
17
ARISTOTELE, Opere, Laterza, Bari 1973, pg. 323.
Diritti-doveri. Responsabilità del medico dalla bioetica al biodiritto, op. cit., pg. 72.
19
Cfr.: Codice di Deontologia Medica, art. 32.
20
Articolo 20: “L’infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui I bisogni assistenziali,
amche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte”.
Articolo 24: “L’infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura
assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeuticie adeguando la comunicazione alla sua capacità
di comprendere”.
18
143
Chiarezza dell’informazione
L’informazione deve essere chiara, veritiera, essenziale ed esaustiva! Invece,
spesso accade, che i “fogli informativi” sono poco comprensibili dal “signor
qualunque”. I pazienti rappresentano tutte le fasce d’età, di scolarità e di presenza
societaria: dal laureato a colui è in possesso unicamente del diploma di scuola
primaria, non dimenticando le persone immigrate con alle spalle un contesto
culturale, sociale e anche religioso diverso dal nostro.
Da cosa dipende la complessità dei documenti informativi?
- Eccessiva lunghezza.
-Redazione con terminologia scientifica e burocratico legale.
- Presenza d’informazioni tecniche dettagliate nei minimi particolari, quindi un
eccesso d’informazione, o meglio un “accanimento informativo”.
- In alcuni casi, dove tradotti, è presente un’ ambigua traduzione dalla lingua
originale, solitamente l’inglese, non contestualizzata alla realtà sanitaria e
societaria italiana.
Per questo, molti ritengono che i moduli d’ informazione non offrano le basi per
un processo decisionale informato21. E, “il difficile”, penalizza il paziente nella
scelta!
Al malato non è opportuno fornire particolari dettagli a livello scientifico. Per lui
sono fondamentali gli elementi che gli offrono l’opportunità di formarsi un’idea
generale dell’accertamento diagnostico o della cura che sarà proposta, dei
benefici probabili e dei rischi ipotizzabili, come pure le metodologie che si
seguiranno e gli oneri che gli saranno richiesti.
Dunque, l’informazione va fornita nei limiti dei bisogni reali del paziente; cioè
“quello che vuole realmente sapere” considerando anche la sua condizione
emotiva.
Alcuni suggerimenti:
- Testo breve contenente tutte le informazioni rilevanti per la decisione.
-Chiarezza di contenuti e spiegazione dei termini tecnici.
- Assenza di parole con molteplici significati oppure ambigue; quindi un lessico
comune e non forbito.
-Frasi brevi in forma affermativa e attiva.
-Facilmente comprensibile anche da persone con basso grado di scolarità.
-Organizzato in sezioni, seguendo un ordine logico, con il titolo per ogni paragrafo.
-Idoneo al colloquio del medico con il paziente.
- Editing che faciliti la memorizzare: titolo dei vari paragrafi in maiuscolo, parole
chiavi in grassetto o sottolineate, liste verticali di dati, spazio fra i diversi punti
trattati, ragionevole dimensione dei caratteri…
Il modulo per l'acquisizione del Consenso informato, dovrà essere distinto, ma
non disgiunto, dalla scheda informativa.
Articolo 25: “L’infermiere rispetta la consapevolezza ed esplicita la volontà dell’assistito di non essere
informato sul suo stato di salute, purchè la mancanza di informazione non sia di pericolo per sé e per gli
altri”.
21
Cfr.: S. GROSSMAN et al., Are informed consent forms that descrive clinical oncology research protocols
readably by most patients and their families?, J. Clin Oncology 12 (1994). 2211-2215.
144
1.4.2.LA LIBERTÀ
La libertà decisionale potrà essere esercitata unicamente dopo aver ottenuto
un’adeguata informazione.
Limitano la libertà: la vulnerabilità che caratterizza generalmente il malato,
alcuni fattori esterni ( pressioni indebite e occulte), le influenze del medico, il
timore del paziente di ricevere dal sanitario minori attenzioni e cure meno idonee,
oppure, come già affermato, anche l’utilizzo di un linguaggio poco comprensibile.
1.4.3.L’ESPRESSIONE DEL CONSENSO
Il Consenso, scaturito da una riflessione consapevole e autonoma, deve essere
fornito unicamente dal paziente che non può delegare nessuno tranne che nei
casi di minori o di persone incapaci di fornire un Consenso.
1.4.4.CONTENUTI DELL’INFORMAZIONE
A secondo che si tratti di percorsi di diagnosi o di cura andranno inserite le
seguenti voci:
-La diagnosi.
-La prognosi.
-Le procedure clinico/terapeutiche previste spiegate nel loro svolgimento.
-I rischi, i disagi e le possibili complicanze.
La tematica dell’accettazione dei rischi riguarda anche l’aspetto psicologico del
paziente che, ad esempio, di fronte ad una malattia grave solitamente
acconsente anche se le possibilità di successo della cura sono quasi nulle.
Dove è applicabile devono essere rilevati i rischi per l’embrione, il feto e il
neonato.
-La stima approssimativa dei benefici ipotizzati.
-Le responsabilità del paziente, cioè i comportamenti da seguire e le norme da
osservare.
-La possibilità del rifiuto della cura o di ritirarsi in qualsiasi momento.
- La tempestiva informazione qualora divengano disponibili informazioni che
possono influenzare la volontà di proseguire la cura.
-Le circostanze o le ragioni prevedibili che potrebbero indurre ad interrompere il
trattamento.
-Eventuali rischi riguardanti le donne in età fertile.
-La durata prevista della cura.
-Le alternative di cura.
- Il trattamento di eventuali dati personali e sensibili come previsto dalla
normativa sulla privacy22.
-Chi contattare per ulteriori informazioni come pure a chi rivolgersi in caso di
necessità.
Il modulo informativo e di consenso devono essere datati e firmati
personalmente dal paziente e dal medico che ha condotto l’azione informativa.
22
Cfr.: Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003: “Codice in materia di protezione dei dati personali”
(G.U. 174 del 29 giugno 2003); Delibera del “Garante per la Protezione dei Dati Personali” del 22 febbraio
2007: “Autorizzazione al trattamento dei dati genetici”(G.U. n. 65 del 22 febbraio 2007).
145
1.5.PROBLEMATICHE PARTICOLARI
1.5.1.I MINORI
Chi dovrà firmare il Consenso informato?
Chi esercita la “patria potestà”23, affidata dalla normativa vigente ad entrambi i
genitori.
Ma di fronte ai minori, soprattutto tra il 14° e il 18° anno di età, si pone il
problema se si debba prendere in considerazione il loro parere che spesso è
in contrasto con quello dei genitori.
Un caso eclatante riguarda l’aborto: una ragazza, in contrasto con i genitori, può
ottenere l’interruzione della gravidanza anche se questi sono contrari. Un altro
caso riguarda il volersi sottoporre al test dell’HIV, senza dirlo ai genitori,
magari dopo aver avuto un rapporto sessuale a rischio. Il problema che si pone
non è tanto “l’esame del sangue” ma se questo risultasse positivo e il minore
dovrebbe seguire cure particolari. Di fronte a questa decisione complessa, il
medico, ha il dovere di avvisare i genitori, poiché questa è una decisione che
spetta anche a loro.
Dalla letteratura internazionale, si ha l’impressione che si tenda a valorizzare
sempre di più il parere del minore24, che andrà ricevuto da operatori qualificati.
E’ opportuno, quindi, fornire al minore chiarimenti confacenti alla sua capacità di
comprensione con metodologie e modalità adeguate all’età, rispondendo con
linguaggio semplice alle domande che pone. Ad esempio, si potrà prevedere
un foglio informativo che illustri con una facile terminologia le finalità,
l’obiettivo e lo svolgersi del percorso diagnostico e terapeutico.
Il solo Consenso informato dei genitori o del legale rappresentante, che
dovrebbero esprimere la presunta volontà del minore, è insufficiente. E’ doveroso
attivare la capacità di autoderminazione del soggetto coinvolto, e di
conseguenza, quando il minore è in grado di formarsi una propria opinione,
questa va tenuta in seria considerazione.
Un reale coinvolgimento del minore avverrà creando il “triangolo comunicativo”:
medico-minore-genitori. Ciò creerà le condizioni per una migliore e più
consapevole partecipazione ai vari interventi che necessita.
Una problematica aperta è quella riguardante l’età; il Comitato Nazionale
per la Bioetica suggerisce la nozione di “grandi minori”25 riferendosi all’età di
sette anni sulla base della capacità di scelta che è in continuo e graduale
aumento. Per essi ritiene non solo opportuno, ma un dovere etico, in aggiunta
a quello dei genitori, anche il consenso del minore26.
23
Cfr.: Costituzione Italiana art. 30 e Codice Civile art. 2.
L’ importanza del parere del minore è evidenziata in alcuni Documenti internazionali.
- “Convenzione sui Diritti dell’Infanzia” approvata nel 1989 dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite,
articolo 12. “Gli Stati garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la
sua opinione su questioni che lo interessa. Le opinioni del fanciullo devono essere debitamente prese in
considerazione tenendo conto della sua età e del suo gradi di maturità”. L’Italia ha ratificato la Convenzione
con la Legge 179/1991.
- “Dichiarazione Universale su Bioetica e Diritti Umani” (UNESCO), articolo 7: “il minore deve essere
coinvolto nel maggior modo possibile nel processo decisionale del consenso, come in quello del suo ritiro”.
25
Cfr.: Informazione e consenso all’atto medico, op. cit., pg. 34.
26
Cfr.: Informazione e consenso all’atto medico, op. cit., pp. 52-53.
24
146
1.5.2.ADULTI INCAPACI DI FORNIRE VALIDAMENTE IL PROPRIO CONSENSO INFORMATO
Vari documenti hanno ampiamente trattato i requisiti di tutela per gli adulti
incapaci, a causa di un loro stato patologico, di manifestare un consenso
consapevole ed esplicito27. Importanti in questo contesto sono da una parte la
figura giuridica dell’ amministratore di sostegno28 e dall’altra la comunicazione,
infatti come per i minori, anche in questi soggetti va ricercato e tenuto in
considerazione il loro parere.
La categoria degli adulti incapaci di fornire validamente il proprio consenso
informato è vasta, e faticando ad identificare chi è giuridicamente l’ “incapace”,
fermeremo l’ attenzione sull’insieme di patologie denominate demenza poiché per
l’invecchiamento della popolazione saranno un problema socio-sanitario sempre
maggiore. Alcuni studi ipotizzano in Italia l’aumento di soggetti affetti da demenza
in 150/200mila casi l’anno29.
Pur ben tutelati dalla normativa, nei confronti di questi malati rimane aperto il
problema nel definire i parametri da assumere per definire la capacità o meno di
esprimere un consenso.
A livello internazionale si concorda su quattro parametri.
- La capacità di manifestare una scelta; in mancanza di quest’ attitudine è inutile
valutare gli altri parametri.
- La capacità di comprendere le informazioni relative al consenso; il saper
codificare ed elaborare le informazioni.
-La capacità di offrire un giusto peso alla situazione e alle sue possibili
conseguenze.
- La capacità di utilizzare razionalmente le informazioni; il passaggio dalla logica
al ragionamento, al problem solving30.
P.S. Appelbaun ha indicato alcune domande per comprendere le reali capacità
del soggetto31 a rilasciare un consenso libero e informato.
27
Si rimanda per l’approfondimento a: B.S. BLACK ed Al, Informed Consent for Dementia
Research: the study enrollment encounter, Ethics & Human Research 29 (2007) 7-14; L. DOYAL – J.S.
TOBIAS, , Informed consent in biomedical research, BMJ Books, London 2001; J.H. KARLAWISH e Al.,
Alzheimer’s disease patients’ and caregivers’ capacity, competency, and reasons to enrol in an earlyphase
Alzheimer’s disease clinical trial, JAGS 50 (2002) 2019- 2024; J. MOVE et Al, Empirical advances in the
assessment of the capacity to consent to medical treatment : clinicalimplications and research needs,
Clinical Psychology Review 26 (2006) 1054-1077; K. SYH ed Al., Assessing the competence of persons with
Alzheimer’s disease in providing informed consent for partecipation in research, Am J Psychiatry 158
(2001) 712-717; D.N. WEISSTUB (a cura di), Research on human subjects. Ethics, law and social policy,
Pergamon, Oxford 1998.
28
Cfr.: Legge n. 6 del 9 gennaio 2004: “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capi I,
relativo all’istituzione dell’amministratore di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424,
426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di
attuazione, di coordinamento e finali”, G.U. n. 14 del 19 gennaio 2004.
29
Cfr.: C.P. FERRI ed Al., Global prevalance of dementia: a Deplhi consensus study, Lancet 366 (2005)
2112-2117.
30
Cfr.: AMERICAM PSYCHIATRIC ASSOCIATION, Guidelines for assessing the decision-making capacities of
potential research subjects with cognitive impairment, Am J Psichiatry 155 (1998) 1649-1650.
31
Cfr.: P.S. APPELBAUM, Assessment of patient’s competence to consent to treatment, N Engl J Med 26
(2006) 1834- 1840.
147
TIPO DI CAPACITA’
ESEMPI DI DOMANDA
Manifestare una scelta.
Può dirmi cosa ha scelto di fare?
(Nel caso non abbia scelto) Può dirmi cosa le
sembra più difficile, cosa la ostacola nel
decidere?
Mi dica con sue parole che cosa le è stato detto
a proposito di:
-i suoi problemi attuali di salute;
-il trattamento consigliato;
-i rischi e i benefici del trattamento;
-i trattamenti alternativi con rischi e benefici;
-i rischi e i benefici del non assumere nessun
trattamento.
Comprendere le informazioni relative al
consenso.
Dare un giusto peso alla situazione e alle sue
possibili conseguenze.
Utilizzare razionalmente le informazioni.
Secondo lei quali sono i suoi problemi di
salute?
Crede di aver bisogno di un qualche tipo di
trattamento?
A cosa dovrebbe servire il trattamento?
Perché le hanno consigliato questo
trattamento?
Secondo lei cosa le accadrebbe non ricevendo
alcun trattamento?
Come mai ha scelto di accettare o di rifiutare il
trattamento?
Cosa rende questo trattamento migliore degli
altri?
1.5.3.DONNE IN ETÀ FERTILE
Alle donne “in età fertile” a volte si pone un problema in più: evitare in determinate
situazioni una gravidanza.
Spesso, nelle schede informative per determinati trattamenti terapeutici, si legge:
“se lei è in età fertile deve usare un metodo contraccettivo sicuro per tutto il
tempo della terapia”, giungendo ad indicare, a volte, il metodo o più metodi
contraccettivi da adottare.
Al di là del fatto che possibili effetti negativi sui concepiti potrebbero essere
causati anche dagli uomini per la permanenza del farmaco nel liquido seminale,
non è eticamente corretto imporre l’uso di un metodo contraccettivo alla donna.
Questa ingiunzione, oltre che porre problematiche etiche e deontologiche,
ordinando alla persona un atto non terapeutico, evidenzia la poca fiducia nella
responsabilità della donna.
E’ fondamentale e indispensabile un’ adeguata informazione sull’obbligo di non
rimanere gravide assumendo una determinata terapia, e a volte anche terminata
la cura per un certo periodo di tempo.
Andranno chiaramente evidenziati i rischi che la cura potrebbe comportare per il
feto. Potranno essere proposti metodi di regolazione della fertilità, senza però
imporre il “ ricatto” dell’uso obbligatorio dei contraccettivi. Sarà responsabilità
148
della donna decidere la metodologia da utilizzare. Adeguate frasi, rispettose di
questa esigenza, etica sono: “Se lei è in età fertile deve impegnarsi a evitare una
gravidanza per tutto il periodo della cura”32.
Quest’ arbitraria imposizione conferma la mentalità corrente che giudica validi ed
efficaci unicamente i metodi contraccettivi, tralasciando la corretta informazione
sulle pratiche alternative; ad esempio, i Metodi Naturali della Fertilità che, pur
poco conosciuti, suscitano perplessità e sono ritenuti inaffidabili ma soprattutto
limitativi della libertà e della spontaneità. Per questo li illustriamo brevemente.
I Metodi Naturali della Fertilità si basano su scrupolose metodologie scientifiche,
permettendo alla donna di scoprire il suo corpo e le sue leggi tramite
l’osservazione e, quindi, di compiere l’atto sessuale con consapevolezza nel
periodo di non fertilità, rinunciandovi in quello fertile, se non desidera un
concepimento. Consentono, inoltre, una corretta pianificazione famigliare e il
rispetto della natura dell’atto sessuale coniugale pur chiedendo, ovviamente,
un’astinenza periodica.
La nostra attenzione riguarda due Metodi Naturali regolati da precise norme: il
Metodo Billing e il Metodo Sintotermico.
Il Metodo Billing indica, in base alle caratteristiche del muco del collo dell’utero
(o muco cervicale) che si modifica prima, durante e dopo l’ovulazione, il tempo
fertile o infertile in ogni ciclo mestruale.
Il Metodo Sintotermico segnala, ponendo attenzione alla combinazione di vari
elementi derivanti dall’ovulazione (temperatura, tempo, muco…) il periodo
fertile o infertile di ogni ciclo mestruale. Questo, rispetto al precedente, permette
alla donna di disporre di più elementi per identificare i due tempi33.
Data l’importanza della conoscenza di sé, i Metodi Naturali non s’imparano da
soli, ma rivolgendosi a esperti presso i Centri di consulenza.
1.5.4.IL CONSENSO INFORMATO NELLE SITUAZIONI D’EMERGENZA
Ottenere il consenso, il più delle volte è impossibile anche nelle situazioni
d’emergenza, a causa della condizione d’incoscienza del paziente o perché è
indispensabile decidere velocemente.
In questo caso, per quanto riguarda l’atto terapeutico, ci si riferisce al principio
della tutela della salute come diritto fondamentale della persona 34 e allo “stato di
necessità”35.
Il medico, nella necessità di salvare il malato, ritiene di poter usufruire del
“consenso presunto” del paziente. E’ questa l’opinione del documento emesso
dalla Food and Drug Administration (FDA) e dal Department of Health and
Human Services (DHHS) americani36 nel 1996 e accettato da vari autori37, che
32
Per i pazienti di sesso maschile, si propone la seguente frase: “Nel corso della cura e per …… successivi,
sua moglie/la sua partner non deve iniziare una gravidanza perché la terapia che lei sta assumendo potrebbe
causare malformazioni al feto”.
33
Si rimanda per l’approfondimento a: M. BARBATO, La regolamentazione naturale della fertilità. Scienza,
cultura, esperienza, Codit, Milano 1993; C.A.Me.N., I metodi naturali per la regolamentazione della
fertilità, In Dialogo, Milano 2000; P. PEZZINI – S. GRANDI (a cura di), Un amore così mi piace. I metodi
naturali: un’opportunità da scoprire e vivere, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2004.
34
Cfr.: Costituzione Italiana, articolo 12.
35
Cfr.:Codice Penale, articolo 54.
36
Cfr.: OFFICE OF THE SECRETARY, DHHS, FDA, Protection of human subjects: Informed Consent and waiver
of informed consent requirements in certain emergency circumstances: final rule, Fed. Reg., Oct 2 1996.
149
ritengono legittimo il “consenso presunto” a queste condizioni:
1.che non siano presenti o contattabili parenti del paziente;
2.che il paziente non sia in grado di dare il proprio consenso;
3.che il paziente sia a rischio di morte o d’invalidità permanente;
4.che non esistono trattamenti che possano offrire un’uguale o maggiore
possibilità di salvare la vita del paziente o di ridurne l’invalidità.
Il medico deve però evitare ogni possibile accanimento terapeutico.
Ciò che maggiormente fa problema in questa situazione, non avendo nessun
fondamento giuridico, è il coinvolgimento dei famigliari nel fornire o rifiutare il
consenso in nome del congiunto, essendo impossibile escludere la presenza di
conflitti o interessi sconosciuti.
1.5.5.IL CONSENSO LIMITATO O ALLARGATO
A volte si prospetta il problema del consenso “limitato” o “allargato”.
“Limitato” a quel specifico intervento e non vada oltre quel preciso atto
terapeutico.
“Allargato” quando c’è la possibilità di allargare il consenso; ad esempio
all’imprevisto che un medico potrebbe incontrare nel corso di un intervento
chirurgico.
Questa prassi potrebbe aver valore quando la diagnosi di malattia è indubbia o le
possibili complicanze sono note al paziente.
CONCLUSIONE
Da quanto affermato, il Consenso, è la libera scelta e decisione del
paziente di fronte alla proposta del medico.
Il Consenso non esime il medico dalla responsabilità, ma crea una
maggiore corresponsabilità tra i due.
E’ dannosa invece l’interpretazione del Consenso come atto che “giustifica
tutto”. Emblematico fu il caso, riferito alla sanità americana, di un chirurgo
alcolizzato che operò un paziente che morì sotto i ferri poiché il medico era
ubriaco. I parenti fecero causa all’ospedale e al medico sostenendo che in
quelle condizioni il chirurgo non avrebbe dovuto operare. Il chirurgo e
l’ospedale furono assolti perché il paziente aveva firmato il modulo del consenso
informato che registrava la sua accettazione dell’intervento.
Più volte abbiamo affermato che il malato per decidere liberamente deve
conoscere la patologia che lo affligge.
Per questo, tratterremo come secondo punto del capitolo la tematica
della “verità” prestando particolare attenzione al malato grave o tumorale.
37
Cfr.: P.S. APPELBAUM et Al.; Informed Consent: legal theory and clinical practice, Oxford University
Press, New York 1987.
150
2.La comunicazione della verità
2.1.ALL’ADULTO
La comunicazione della verità al malato grave o tumorale si presenta
complessa coinvolgendo aspetti di carattere medico, psicologico, giuridico ed
etico.
Interessa tutti coloro che assistono il malato (operatori sanitari, cappellano,
parenti, volontari...), anche se solo al medico spetta il compito di comunicarla.
Ma rivelare la verità non basta; è indispensabile supportarla nel tempo per
evitare al paziente reazioni depressive e ulteriori sofferenze.
Nei confronti di questo tema si affacciano opinioni divergenti: alcuni la
ritengono un'inutile crudeltà; altri propendono per un rapporto improntato sulla
trasparenza. Ammonisce J. F Malerbe: "Dire la verità all’ interessato è una regola
morale che dovrebbe reggere tutti i rapporti umani. La verità non è sempre
comoda, ma, se non la si dice, occorre tacerla con tutti. Dirla a tutti, tranne che
all’ interessato, è il peggio che si possa fare"38, poichè a un certo punto il
malato si accorgerà della menzogna e perderà fiducia in chi lo circonda.
L'ammalato oncologico ha diritto, come tutti i pazienti, a essere informato
sulle sue condizioni e, quindi, a conoscere la verità che va comunicata in un clima
dialogico, ricordando che il medico ha sempre il dovere di trasmetterla mentre il
malato non ha I'obbligo di accettarla.
L'informazione può essere diretta, quando il medico espone aI paziente
la realtà diagnostica e lo rende edotto sui trattamenti e sulla prognosi, oppure
mediata se comunicata con la collaborazione dei familiari che illustrano al
sanitario le connotazioni del loro congiunto, o graduale, quando è fornita in più
riprese, lasciando il tempo per sedimentare le diverse reazioni e i vari elementi.
Molti condividono questa visione ma, nel concreto quotidiano, il malato
è spesso defraudato di questo diritto, non essendo stati sufficientemente
valutati i valori in gioco, soprattutto il principio di autonomia e della dignità
morale del sofferente che non possono essere lesi, essendo un soggetto
cosciente, libero e responsabile in ogni istante. Di conseguenza, deve conoscere
le ipotesi sul suo futuro per gestire da protagonista tutta l'esistenza, compreso
l'assolvimento degli obblighi personali nei riguardi della famiglia, della
professione, della società39 anche quelli religiosi.
Un ulteriore aspetto da considerare è la percezione di abbandono di
alcuni ammalati terminali circondati da famigliari che fingono di ignorare la gravità
del congiunto, dimenticando che la maggioranza dei ricoverati nei reparti di
oncologia o negli hospice, intuiscono da soli lo stato di salute.
Quante volte, come cappellano ospedaliero, ho ricevuto confidenze contrastanti.
Dice la moglie: "Mio marito non sa nulla della sua malattia e guai a chi gliela fa
38
J.F. MALHERBE, Per un’etica della medicina, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 1989, pg. 174.
Nel testo di T. DE QUINCEY, Gli ultimi giorni di Immanuel Kant, (Adelphi, Milano 1981), è narrato
quest'episodio. Il vecchio Kant a pochi giorni dalla morte riceve il suo medico accompagnato da un'altra
persona; questi vorrebbero che il traballante filosofo si sedesse ma lui rimane in piedi finché non si sedettero
i suoi ospiti. Interrogato sul suo comportamento Kant rispose: "Dio non voglia che io cada così in basso da
dimenticare i doveri verso l'umanità" (pg.69).
39
151
intuire!". Ma avevo appena incontrato il marito che mi aveva confidato: "Mia
moglie, poveretta, fa di tutto per tenermi nascosta la gravità della mia
malattia. Se questo le serve per stare su di morale, va bene così!".
Altre volte, ho sentito rivolgermi, sia dagli operatori che dai parenti, frasi di questo
tipo: "L'Unzione degli infermi a quel malato o al nostro parente? Va bene,
padre, gliela dia, ma lo faccia di nascosto, magari dietro la porta. Anzi, sarebbe
meglio se la facesse sembrare una semplice benedizione”. Oppure “gliela
impartisca appena morto". "Chiamare il prete", per molti, equivale a una
sentenza di morte quando bisogna abbandonare ogni speranza, dimenticando
in questo modo gli obblighi di coscienza del paziente40.
Accompagnare il sofferente nell'accettare una verità infausta, offrendogli la
possibilità di manifestare le emozioni e le angosce è un atto di amore.
Un'immagine che appartenente all'iconografia di san Giovanni di Dio, il
fondatore dei Fatebenefratelli, mostra che il santo porta un ammalato sulle spalle.
Agli operatori sanitari e ai parenti è chiesto un analogo atteggiamento
prendendosi carico del malato e consentendogli di parlare, non solo di quello che
sta lasciando, ma di ciò che lo aspetta, del suo futuro dopo la morte; prestandogli
ascolto e rimanendo con lui. Solo così gli permetteremo di compiere il
cammino di separazione dalla vita e di adattamento alla nuova situazione che la
psicologia indica con il termine tecnico di “elaborazione del lutto”. Scriveva E.
Kubler Ross, psicologa e oncologa: "Se molti non arrivano a morire pacati, ma se
ne vanno in collera e in rivolta, ciò lo si deve anche al personale ospedaliero e
ai familiari per il loro atteggiamento di nevrotica negazione della realtà"41.
Accompagnare con la verità un familiare in fase terminale è un compito
arduo ma è il coronamento dei molteplici gesti d'amore, di stima e d'affetto che si
sono vissuti insieme.
2.2. AL MINORE
Oltre all'adulto potremmo trovarci di fronte ad un minore cui comunicare
la verità. Dobbiamo dirla al bambino gravemente ammalato? Fargli sapere che a
un genitore è stata diagnosticata una patologia infausta? Metterlo a conoscenza
della sofferenza del nonno? Svelargli la morte della nonna?
Il bambino e il ragazzo vivono spesso Ia malattia propria o altrui con senso
di colpa per gli sbagli che ritengono di aver commesso. Soffrono, inoltre,
problemi d'adattamento all'ambiente, alle cure e al comportamento da assumere;
esprimono regressione e offuscamento della percezione della loro immagine e
del loro corpo. Grande dolore reca loro anche la grave malattia di un genitore
perché, anche se nessuno glielo dice, percepiscono che qualcosa nella famiglia
non va; avvertono la tensione, Ia tristezza, il cambio d'abitudini che la nuova
40
“È assurdo evitare il prete finché il malato non sia quasi morto, e poi magari scandalizzarsi perché non si
trova all'ultimo momento un prete disponibile. Per il credente, il ministro di culto, non è colui che
amministra unicamente dei sacramenti ma è l'aiuto a vivere con fede anche nel momento della morte.
Maggiormente assurdo sarebbe evitare ogni richiamo religioso per timore che il malato si spaventi. Ogni
persona ha il diritto di terminare responsabilmente la propria esistenza terrena anche a livello religioso e
nessuno deve prendersi l'arbitrio di sostituirsi alle sue ultime volontà, sia pure con il pretesto di non farlo
spaventare" (G. DAVANZO, Etica sanitaria, Ancora, Milano 1984, pg. 235).
41
E. KUBLER ROSS, La morte e il morire, Cittadella, Assisi 1980, pg. 58.
152
situazione porta con sé e, a volte, inconsciamente, si attribuiscono delle
responsabilità.
Un comportamento diffuso è quello di non rivelare al bambino la
sofferenza che lo ha colpito e allontanarlo da quella dei parenti e degli amici
oltre che dalla morte. Alcuni genitori non permettono di partecipare al funerale
del nonno oppure avviene, com'è accaduto recentemente a Milano, che uno
psicologo abbia consigliato ai bambini di prima elementare di non presenziare
ai funerali della loro compagna.
Si giustificano queste scelte con la scusante che “non capiscono”, oppure che
potrebbero verificarsi in loro paure o traumi rnentre, in modo impreciso, captano la
situazione. Vari studi rilevano che a due o tre anni i bambini si accorgono dei
fenomeni di sofferenza e di morte; ad esempio, manifestando compassione per
I'uccisione di un insetto o di un animale. Con il passare del tempo questi eventi
occuperanno sempre più la loro mente fino a comprendere la definitività della
morte. Inoltre, non possiamo ignorare, che questi argomenti influenzano di
continuo la loro quotidianità; ad esempio, dalla televisione, anche il piccolo sente
parlare di guerre, di stragi, di uccisioni e di calamità naturali.
Al bambino e al ragazzo ammalato, oppure coinvolto nella sofferenza della
famiglia, non si può nascondere tutto. Bisogna comunicare con metodologie e
modalità adeguate all'età, rispondendo con linguaggio semplice ma veritiero
alle molte domande. E utile servirsi dell'evoluzione della malattia per
spiegargli cosa succede; aiutarlo a osservare quello che avviene attorno a lui.
Ricorda la psicologa e psicoterapeuta N. Crotti dell'Istituto dei Tumori di Genova:
"Sentirsi escluso è un'esperienza tremenda per un bambino e per un ragazzo.
Evitare di spiegargli cosa sta succedendo con I'idea di proteggerlo ottiene
l'effetto contrario rendendolo più fragile e impaurito: proteggere non vuol dire
negare la verità ma coinvolgere adeguatamente coloro che amiamo"4240.
3.Come la parabola del buon samaritano
Concludiamo il capitolo riportando l’attualizzazione della parabola del buon
samaritano del Vangelo nell'ambiente ospedaliero dove è presente un malato,
forse senza speranza.
"Un uomo scendeva da Gerusalemrne a Gerico, vale a dire era in
cammino dalla culla alla tomba. Era giunto all'ultima tappa prima della fine del
viaggio. Giaceva in ospedale con un cancro metastatico; era un malato terminale!
Passò accanto a lui un medico: vide il 'bel caso’, da cui poteva imparare molto, un
contributo notevole al progresso della scienza. Preparò un accurato programma di
ricerca e non trascurò nessun dettaglio della malattia come risultò dall'articolo
pubblicato nella rivista della sua specialità. E passò oltre, tranquillo in coscienza!
Il malato fu preso in cura da un'équipe medica efficientissima: fecero di tutto - col
bisturi, le irradiazioni, i farmaci - riuscendo a ‘farlo vivere' un paio di mesi oltre la
media statistica di quei casi. Non parlarono mai al malato della prognosi e delle
42
N. CROTTI – S. ROMA, Come dare la notizia ai figli, in Famiglia oggi, 5 maggio 2004, pg. 27.
153
strategie terapeutiche cui lo sottoponevano, ma fecero veramente 'tutto il
possibile'. Lo dissero anche ai parenti, quando li incrociavano fuggevolmente
nel corridoio, dopo che il malato era diventato improvvisamente un morto,
senza mai essere stato riconosciuto come morente. E passarono oltre, tranquilli in
coscienza!".
Anche gli infermieri seguivano alla lettera i protocolli e il prontuario previsto;
puntuali con la flebo e nella somministrazione della terapia; ma tutto di corsa,
come se il lavoro pesasse oltremodo e avessero altro cui pensare. Il loro
dovere, più o meno, lo compivano, quindi passarono oltre tranquilli in coscienza!
I famigliari, solitamente circondavano il malato, forse anche troppo e in troppi; ma
appena il congiunto esternava i suoi sentimenti, timori, apprensioni, subito si
chiudevano a riccio; cambiando discorso proponevano altri argomenti, anche
banali. Pensavano che il parente si fosse del tutto rincitrullito e non
comprendesse la gravità della situazione. Di fronte a questa congiura, al
povero degente non rimaneva altro che indossare “una maschera”
continuando il teatro. Questa presenza non confortava; ma anch'essi
passarono oltre, tranquilli in coscienza!
Lavorava nel reparto anche una semplice operatrice socio-sanitaria, quella che
il mansionario definisce poco più degli ausiliari e meno degli infermieri e che agli
occhi della gente sembra contare poco. Curava I'igiene del malato badando
che nell'assumere le posture non sentisse dolore, riordinava il letto parlando con
il malato e togliendo ogni pie- ghina che potesse infastidirlo avendo molte piaghe.
Misurava la temperatura all'ora prescritta, serviva ii pranzo e aiutava il malato ad
alimentarsi. Insomma faceva né più né meno che il suo dovere.
Ma riteneva suo compito anche non sfuggire gli sguardi carichi di domande,
ascoltarlo, permettergli di esprimere la sua angoscia, alleviargli i malesseri. Gli
offriva più delle semplici cure: si prendeva cura globalmente di lui. Stava con lui
nei momenti liberi da altre incombenze e perdeva, come dicevano i suoi
colleghi, il tempo anche con i famigliari. Quando I'agonia finì ed era prossimo al
trapasso, lei gli era accanto per umidirgli le labbra, per asciugargli il sudore, per
tenergli la mano, per chiudergli gli occhi.
“'Chi di loro, secondo te, si è comportato come prossimo per quell'uomo
che era caduto nell'anticamera della morte?”. “L'ultima, quella che ha avuto
compassione di lui”. “Va' e anche tu fatti suo prossimo!”43.
43
S. SPINSANTI, Presentazione, in P. WESPIEREN Eutanasia? Dall’accanimento
all’accompagnamento dei malati, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1985, pp. 8-9.
terapeutico
154