Novità dal Filarete latino di San Pietroburgo

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Novità dal Filarete latino di San Pietroburgo
Novità dal Filarete latino di San Pietroburgo
MARIA BELTRAMINI
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Nel 1960 Matvei A. Gukowskij rese nota l’esistenza, nei ricchi
fondi della Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di San
Pietroburgo (allora Biblioteca Lenin), di un prezioso manoscritto illustrato, riconoscendolo come pregiato testimone della traduzione latina del trattato d’architettura del fiorentino Antonio
Averlino, detto Filarete1.
Le circostanze storiche che avevano portato, venticinque
anni dopo l’originale redazione in volgare2, alla singolare iniziativa di latinizzare il testo filaretiano sono da tempo conosciute3,
ma varrà la pena di riassumerle brevemente: commissionata da
Mattia Corvino nell’ambito del suo articolato programma di
renovatio culturale del regno ungherese4, la nuova versione antichizzata era stata condotta su un codice italiano portato a Buda
dal fiorentino Francesco Bandini e affidata all’umanista di corte,
l’ascolano Antonio Bonfini, che l’aveva rapidamente redatta tra
il 1488 e l’anno successivo5. La traduzione bonfiniana era stata
poi allestita dagli artisti dello scriptorium di Buda in un magnifico codice di dedica aperto da pagine miniate e ornato di un
ricco corredo di figure6. La morte di Mattia nella primavera del
1490 aveva tuttavia provocato la rapida dispersione della sua
raccolta libraria e il Filarete corvino, dall’Ungheria, era approdato entro la fine del secolo a Venezia, nella biblioteca del monastero domenicano dei Santi Giovanni e Paolo7, subito esercitando la sua influenza su altre opere allora in gestazione e dando
luogo ad un’inaspettata serie di derivazioni8.
Gukowskij, che aveva perfettamente colto l’alta qualità della
copia antica tra le sue mani – e che, sulla base dello stile del corredo d’immagini e dell’elegante grafia umanistica corsiva stesa
sulle pagine, riteneva prodotta in ambiente veneto nel primo
Cinquecento – aveva potuto rintracciarne la provenienza tra i
titoli appartenuti a Fedor Andreeviã Tolstoj (1758-1849), famoso
bibliofilo, viaggiatore amante dell’Italia e cultore d’architettura
1
c. di L. Grassi e A. M. Finoli, Milano 1972, cvii-cxxix.
Nella vasta bibliografia sull’argomento, oltre all’importante e ormai classico
studio di R. FEUER-TÓTH, Art and Humanism in Hungary in the Age of
Matthias Corvinus, Budapest 1990, si può contare ora su Matthias Corvinus the
King: Tradition and Renewal in the Hungarian Royal Court, 1458 - 1490, catalogo della mostra, a c. di P. Farbaky e A. Végh, Budapest 2008.
5 Tutta la vicenda è ricostruita in Antonio Bonfini. La latinizzazione del
Trattato d’architettura di Filarete (1488-1489), a c. di M. Beltramini, Pisa
2000, vi-xix; ulteriori precisazioni in M. BELTRAMINI, «Filarete in toga: la latinizzazione del Trattato d’Architettura», Arte Lombarda, 139 (2003/3), 14-20.
6 Le pagine miniate del Filarete corvino hanno dato luogo ad un vivace dibattito attributivo: si vedano ad esempio i saggi di M. MARUBBI e di L. COGLIATI
ARANO in Arte Lombarda, 139 (2003/3), rispettivamente 86-99 e 99-100, e le
osservazioni di S. MARCON, scheda 21 in Nel segno del corvo. Libri e miniature della biblioteca di Mattia Corvino re d’Ungheria (1443-1490), catalogo della
mostra, Modena 2002, 194-197 con bibliografia. Sulle figure marginali del
codice, già in passato fantasiosamente attribuite a Donato Bramante, Susy
Marcon (196-197) pensa a Gasparo da Padova: ho espresso le mie perplessità
in BELTRAMINI, 2003, 16 e note 26-32, che ora vedo condivise anche da F.
TONIOLO, Per il catalogo di Antonio Maria da Villafora: il De re architectoria di
Filarete dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, in Immagine e ideologia.
Studi in onore di Arturo Carlo Quintavalle, a c. di A. Calzona, R. Campari e
M. Mussini, Milano 2007, 456-461, in particolare 456 e note 8-10.
7 Per i particolari sull’arrivo a Venezia del codice: S. MARCON, «I libri del generale domenicano Gioacchino Torriano († 1500) nel convento veneziano di San
Zanipolo», Miscellanea Marciana, 2-4 (1987-1989), 81-116.
8 Per la fortuna della versione latina si rimanda a Antonio Bonfini. La latinizzazione…, 2000, x-xix, e anche a BELTRAMINI, 2001, 40-43.
M. A. GUKOWSKIJ, Neizvestnaja rukopis traktata ob architekture Antonio
Averlino Filarete (Un manoscritto sconosciuto del trattato d’architettura di
Antonio Averlino Filarete), in Iz Istorii russkogo i zapadnoevropejskogo iskusstva:
materialy i issledovanija. Sbornik posvja‰ãen 40-letiju nauãnoj dejatel’nosti V. N.
Lazareva (Storia dell’arte russa e dell’Europa occidentale: contributi e ricerche.
Studi in onore di V. N. Lazarev), a c. di O. I. Podobedova e V. N. Gra‰ãenkov,
Mosca 1960, 243-252. Ringrazio Federica Rossi che ha messo a mia disposizione la sua perfetta conoscenza della lingua russa. Per la più recente scheda
sul codice si veda L. KISSELEVA - P. STIRNEMANN, Catalogue des manuscrits
médiévaux en écriture latine de la Bibliothè que de l’Académie des sciences de
Russie de Saint-Pétersbourg, Paris 2005, 122-123.
2 La precisazione della cronologia dell’opera in volgare (composta in massima
parte tra il 1460 e il 1464, ma in lavorazione ancora negli anni successivi) è stata
oggetto di uno specifico studio di J. R. SPENCER, «La datazione del trattato del
Filarete desunta dal suo esame interno», Rivista d’arte, 31 (1958), 93-103, poi
sintetizzato utilmente in L. GIORDANO, On Filarete’s «Libro Architettonico», in
Paper Palaces: The Rise of the Renaissance Architectural Treatise, a c. di V. Hart e P.
Hicks, New Haven - London 1998, 51-65. In M. BELTRAMINI, «Le illustrazioni
del Trattato d’architettura di Filarete: storia, analisi e fortuna», Annali di architettura, 13 (2001), 25-52, soprattutto 30 e note 64-70, si possono reperire ulteriori informazioni, specie sulle fasi finali della redazione.
3 Già in W. VON OETTINGEN, Antonio Averlino Filaretes Tractat über die
Baukunst nebst seinen Büchern von der Zeichenkunst und den Bauten der Medici,
Wien 1890, 13-22, troviamo un primo censimento dei manoscritti italiani e
latini del trattato filaretiano articolato in uno stemma, ripreso e progressivamente integrato in M. LAZZARONI - A. MUÑOZ, Filarete. Architetto e scultore
del XV secolo, Roma 1908; P. TIGLER, Die Architekturtheorie des Filarete, Berlin
1963, 7-13; ANTONIO AVERLINO DETTO IL FILARETE, Trattato d’architettura, a
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(nonché prozio del più noto Lev Nicolaeviã), che nel 1830 l’aveva appunto donata alla biblioteca pubblica imperiale9; tuttavia lo studioso russo, in mancanza di notizie relative alle modalità e al luogo dell’acquisto e impossibilitato a confrontare il
codice presso di lui col capostipite veneziano di cui era evidentemente descriptus (e che era confluito a fine Settecento nei
fondi della Biblioteca Marciana), non aveva potuto far luce sugli
spostamenti precedenti, né interpretare alcune sue peculiari
caratteristiche nel più ampio quadro della fortuna del testo negli
anni immediatamente successivi l’approdo in laguna.
Nel 2000, pubblicando la trascrizione integrale del Filarete
marciano e finalmente intraprendendo uno studio parallelo dei
diversi testimoni, ho potuto confermare la straordinaria importanza del manoscritto di San Pietroburgo: un’importanza che
non risiede solamente nella bellezza materiale dell’oggetto, ma
nel fatto che il testo scritto contiene, rispetto al capostipite, correzioni ed aggiunte significative, che hanno permesso di ricostruire l’identikit del suo primitivo committente e di avanzare
ipotesi più specifiche sul suo contesto di provenienza10. Era ad
esempio apparso chiaro, già allora, che la generica definizione
‘veneta’ per la sua origine poteva meglio specificarsi in ‘padovana’: la presenza di un lungo indice delle materie interne, assente nel Filarete marciano e ripreso solo in alcune copie tarde e
parziali ora conservate tra Milano e Venezia, aveva permesso
infatti di supporre con un buon grado di verosimiglianza che il
manoscritto di San Pietroburgo fosse appartenuto a fine
Cinquecento al bibliofilo Giovan Vincenzo Pinelli, lungamente
vissuto a Padova e lì morto nel 1601, e che gli fosse pervenuto
dalla raccolta di Giacomo Alvise Cornaro, nipote del più noto
Alvise senior. Così la presenza, in entrambe le versioni del trattato d’architettura di quest’ultimo, di alcuni precisi richiami al
testo di Filarete mai fino a quel momento riconosciuti, aveva
reso plausibile la proposta che il codice, entro la prima metà del
secolo, fosse stato sfogliato anche da lui11.
Tale ricostruzione trova oggi conferma grazie al lavoro di
Federica Toniolo, che ha brillantemente attribuito ad Antonio
Maria da Villafora – originario del Polesine ma attivo a Padova dal
1481 al 1511 – le figure marginali del codice di San Pietroburgo12
(figg. 1-3): oltre ad aggiungere una nuova opera al catalogo dell’artista, infatti, questa bella scoperta rende possibile dare un volto
anche al primitivo committente del manoscritto, dato che il
miniatore, nell’ultima parte della sua esistenza, lavorò quasi esclusivamente per il colto ecclesiastico umanista Pietro Barozzi13.
Veneziano di nascita ma vescovo di Padova dal 1487 al 1507,
Pietro riunisce infatti in sé tutti i caratteri che il misterioso committente del codice aveva lasciato trasparire tra le pieghe del testo,
compresa la familiarità col giovane Alvise Cornaro, che non
manca di ricordarlo con deferenza nei propri scritti14. La prova
definitiva del ruolo svolto da Barozzi nella diffusione del trattato
filaretiano nel Veneto cinquecentesco è però costituita dalle tracce di conoscenza delle opere di Leon Battista Alberti che sono disseminate nelle pagine del manoscritto di San Pietroburgo e che lo
studio ravvicinato aveva a suo tempo posto in evidenza: una conoscenza – in particolare del De re aedificatoria – che spiega alcune
correzioni introdotte nel testo del Bonfini ma che, soprattutto,
ispira concretamente l’azione del vescovo umanista nel rinnovo
delle strutture architettoniche della sua diocesi15. Se l’interesse di
Barozzi per Alberti conobbe un’effettiva ricaduta operativa, quello per il trattato di Antonio Averlino pare invece il frutto di curiosità squisitamente erudite, che possiamo pensare fossero arricchite però, almeno in parte, da una dimensione familiare: era stato
infatti lo zio di Pietro, Giovanni Barozzi, a commissionare a
Filarete, nella primavera del 1457, il nuovo duomo di Bergamo,
quando l’architetto toccava l’apice della propria carriera al servizio del duca di Milano Francesco Sforza16.
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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In GUKOWSKIJ, 1960, 251 e nota 20 viene riportata la nota di possesso contenuta nel Catalogue raisonné des Manuscrits du Comte Th. Ad. De Tolstoy,
Conseiller privé, Chambellan actuel, Sénateur et Chevalier de l’Empire de Russie,
par A. R. St. Pétersbourg de l’imprim. du départ. de l’Instruction publique, 1830.
Sulla ramificata famiglia Tolstoj si vedano: S. M. TOLSTOJ, Tolstoj i Tolstye
(Tolstoj e i Tolstoj), Mosca 1990 e S. M. TOLSTOJ, Drevo zizni. Tolstoj i Tolstye
(L’albero della vita. Tolstoj e i Tolstoj), Mosca 2002, passim.
10 Antonio Bonfini. La latinizzazione…, 2000, x-xii, scheda II alle pagine xliiixliv e poi l-lxii.
11 Antonio Bonfini. La latinizzazione…, 2000, xiii-xv.
12 TONIOLO, 2007, 456-461. Sull’artista si veda anche la sintesi di L.
GNACCOLINI, s.v. Antonio Maria da Villafora, in Dizionario Biografico dei
Miniatori Italiani, a c. di M. Bollati, Milano 2004, 36-40 con bibliografia precedente. Ringrazio Federica Toniolo per le immagini tratte dal codice. Quanto
allo scriba, Lucia Bertolini mi ha suggerito con cautela il nome di Antonio
Sallando, ipotesi che attende ancora conferma, anche alla luce dei recentissimi
studi di L. NUVOLONI, Pier Antonio Sallando o «il più excellente scriptore credo
habia il mondo», in Il Libro d’Ore Durazzo: volume di commento, a c. di A. De
Marchi, Modena 2008, 145-188.
13 Su Pietro Barozzi si veda F. GAETA, s.v. Barozzi, Pietro in Dizionario
Biografico degli Italiani, VI, Roma 1964, 510-512, ma soprattutto gli studi di
P. GIOS, L’attività pastorale del vescovo Barozzi a Padova (1487-1507), Padova
1977, e P. GIOS, Cultura, spiritualità e azione pastorale del vescovo di Padova
Pietro Barozzi (1487-1507), in Jacopo da Montagnana e la pittura padovana del
secondo Quattrocento, atti delle giornate di studio, a c. di A. De Nicolò Salmaso
e G. Ericani, Padova 2002, 261-284.
14 A proposito si leggano le osservazioni di E. LIPPI, Cornariana. Studi su Alvise
Cornaro, Padova 1983, 133 e nota 107: il manoscritto del Filarete latino oggi a
San Pietroburgo dovette dunque giungere al Cornaro direttamente dalla raccolta
del vescovo, probabilmente assieme alla copia in volgare utilizzata per la traduzione e dalla quale vennero tratte le illustrazioni; sull’intricata questione si veda
BELTRAMINI, 2003, 16 e note 26-32 e si comparino le figg. 2-7 ivi pubblicate.
15 In particolare sulla cultura architettonica di Barozzi e la sua conoscenza
dell’Alberti, oltre a GIOS, 1977, e a E. ARFANOTTI, «Un cultore dell’Alberti:
Pietro Barozzi», Moderni e Antichi, II-III (2004-2005), 151-163, si è soffermato Guido Beltramini nel suo intervento al recente convegno intitolato Pietro
Barozzi, un vescovo del Rinascimento tenutosi a Padova, presso il Museo
Diocesano dal 18 al 20 ottobre 2007, di cui si attende la pubblicazione degli atti.
16 Sulla cattedrale bergamasca nella fase filaretiana si veda il contributo di G.
COLMUTO ZANELLA, Il Duomo filaretiano: un progetto e la sua fortuna, in B.
CASSINELLI - L. PAGNONI - G. COLMUTO ZANELLA, Il Duomo di Bergamo,
Bergamo 1991, 136-149.
Referenze fotografiche
1-3: Biblioteca dell’Accademia delle Scienze, San Pietroburgo.
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Arte Lombarda | MARIA BELTRAMINI
1. Filarete: De re architectoria, f. 9r. Primo foglio di dedica. San Pietroburgo,
Biblioteca dell’Accademia delle Scienze, Ms. F.N.114.
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3. Filarete: De re architectoria, f. 117r. Il ponte fortificato.
2. Filarete: De re architectoria, f. 85v. Volontà e Ragione.