Artisti tedeschi e russi esuli a Positano nella prima met del Novecento
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Artisti tedeschi e russi esuli a Positano nella prima met del Novecento
Artisti tedeschi e russi esuli a Positano nella prima metà del Novecento Matilde Romito Verso nuovi colori “Spesso veramente essa (la natura) ha qui nel Mezzogiorno mediterraneo un modo d’essere così vicino all’arte, che toglie a noi la voglia di farne. Può in fine darsi che io stia qui narrando parole senza senso per chi non ha visto le cose. Ma chi le ha viste si ricorda il gioioso seguirsi di colli ammantati di agrumeti e di vigne, le piazzette popolose, gli stradali alberati davanti ai minuscoli cantieri all’aperto dove bolle la pece su fuochi di legne, e le fabbriche di Maiori, di Cetara, di Vietri, fino a Salerno industriosa e luminosa; chi ricorda le spiagge agiate colle file di panciute e placide barche da traffico, e il mare pieno d’inviti, risentirà in queste mie astratte parole la scena di pace, di benessere, di alacrità, di traffico, di novità e di vita aperta ed agevole, che seduce il cuore e la vista del passeggero da Amalfi a Salerno” (da RICCARDO BACCHELLI, Italia per terra e per mare, stampata come estratto Estate sulla costiera 1927. Da Napoli a Positano e da Positano a Salerno dall’Azienda di Soggiorno e Turismo di Positano nel 1995). Con queste parole Riccardo Bacchelli sottolineava la magia del paesaggio nel viaggio da Positano, dove aveva vissuto per molti mesi nel 1926, a Salerno. Nel marzo del ’26, E. Pennetta così commentava su “Il Messaggero” una mostra di Konstantin I. Gorbatoff: “Ecco ancora la Russia: neve e grigiore: piccoli quadri. Ma vicino il nostro cuore da un balzo di gioia, che ci chiama l’inno delle nostre gemme: Napoli, Capri, Amalfi, Venezia, Ravello. Tralci di vite, rami carichi di aranci, e terrazze al sole, sul mare nostro: le bellezze del paesaggio e la luce del sole hanno, direi quasi, abbagliato l’artista, che ha veduto bene, anche quando gli accenti della sua calda passionalità, l’hanno portato ad apparenti esuberanze”. La penna dell’autore del romanzo “Il Mulino sul Po” e il pennello del pittore russo, che a Capri e sulla costiera amalfitana soggiornò negli anni 1922-’26, sottolineano quella luce, quei colori, quei sapori che da sempre hanno costituito la cifra di attrazione per artisti e intellettuali catturati dall’atmosfera unica della “divina costiera”. Il richiamo alle immagini della patria lontana, nell’esposizione di Gorbatoff, trova rispondenza nella riluttanza di Zagoruiko a privarsi delle opere raffiguranti la sua Russia: pur in pessime condizioni finanziarie, non volle mai vendere un quadro cui era legatissimo, l’ultimo sguardo al Don come disse a mio padre che quel quadro ammirava moltissimo. Così Issupoff, morendo, lascia tutta la sua collezione alla città natale Vjatka, in quella Russia da cui aveva dovuto allontanarsi ma con la quale cercò sempre di mantenere rapporti; così Burliuk offre la sua opera La Russia invincibile alla sua terra, ormai Urss, ricevendone un rifiuto. Il gruppo dei russi residente a Positano ebbe contatti con altri esuli, come i tedeschi: lo attesta una memoria di Archibald Colquhoun che, ricordando il tedesco Kurt Craemer, racconta di un ultimo incontro nella casa di Mischa Semenov (uno dei primi stranieri a giungere a Positano, già durante la prima guerra mondiale) al Mulino d’Arienzo a Positano, nel 1950 o ’51. Nel giardino c’erano Bruno e Pupa Marquardt, e Isabella Quarantotti, tutti gli amici più intimi a Positano; il vecchio Semenov beveva vodka fatta in casa e la sua compagna Valeria Teja accendeva un’altra sigaretta mentre la conversazione si animava. “Era uno di quegli splendidi pomeriggi di serenità quando spiriti affini, troppo spesso tenuti lontani da piccolezze, si incontrano e si fondono” (da Kurt Craemer – zur Erinnerung. Gewidmet von seinen Freunden, Catalogo, 1963). Un contatto realizzato già nei primi incontri, quando, soprattutto negli anni Trenta, si ritrovarono in una terra straniera che per la maggior parte di loro avrebbe rappresentato la salvezza: fra gli anni Trenta e Quaranta a Positano vissero numerosi pittori e intellettuali stranieri. I russi precedono i tedeschi, migrando a seguito della rivoluzione d’ottobre del 1917, ma anche prima come dimostra Semenoff; nel 1924, d’altronde, il pittore Günther Stüdemann –poi ceramista a Vietri sul Mare fino al 1928- realizza a Positano dove era appena arrivato dalla Germania, un quadro che raffigura il prospetto della Pensione San Matteo della finlandese Ilse, poi diretta da Dorothea Flatow, dove si fermavano i tedeschi di Positano (immagine fornita da Hertha Latteyer di Norimberga, già donatrice di un vaso di Günther Stüdemann al Museo Provinciale della Ceramica a Raito di Vietri sul Mare nel settembre del 2000). Grazie alle preziose informazioni di Manon Ilse, finlandese che vive a Positano, possiamo asserire con certezza che questa pensione fu acquistata da sua madre: una immagine di interno fu fermata da Zagoruiko e appaiono i mobili finlandesi attualmente in casa della Ilse, come il suddetto quadro. Come Stüdemann, tanti altri nomi di tedeschi e russi, rintracciabili nella documentazione scritta e orale del territorio, non riguardano specificamente esuli politici, ma forse solo uomini e donne in cerca di una libertà che consentisse di realizzare la propria arte e la propria vita pienamente. Anita Rée, membro di spicco della “Secessione di Amburgo”, soggiornò a Positano dal 1922 al 1925 in via Mangialupini, creando scorci paesaggistici e ritratti dei locali oggi conservati in buona parte nella città anseatica: veramente particolare il ritratto di Teresina, del 1925 (Teresa Apuzzo vive attualmente a Sorrento) dove la bimba, con una lunga treccia ripiegata sulla spalla sinistra, ha dei limoni tra le mani poggiate in grembo, e il giallo dei frutti spicca particolarmente sul verde dello sfondo, un rigoglio di folte piante alla Gaugein. Proveniente da una famiglia mercantile ebrea, con ascendenze materne dagli indiani d’America, si suicidò a 48 anni nel dicembre del 1933, scrivendo che non poteva più vivere in un tale mondo e dunque desiderava lasciarlo. E’ istintivo pensare che, se si fosse fermata a vivere a Positano, avrebbe potuto salvare la vita. Non si può non sottolineare, infatti, quanto forte fu l’appoggio della comunità locale alla sopravvivenza degli esuli sulla costa d’Amalfi: a Positano la solidarietà degli “indigeni” si avvalse della connivenza ora del parroco don Saverio Cinque, ora del medico condotto Vito Fiorentino, ora del podestà o delle stesse forze dell’ordine. Michael Theile mi raccontava di come, lui e la madre, fossero sempre avvertiti su quando allontanarsi di casa, rendendosi irreperibili. Eppure gli stranieri di Positano, come di Capri, costituivano dei gruppi elitari, senza contatto con i locali, come invece accadeva a Vietri sul Mare, dove nelle fabbriche di ceramica lavoravano gomito a gomito. Il positanese Giulio Rispoli era “l’unico indigeno” accettato in tale eccitante ambiente cosmopolita. Ma l’intera costiera amalfitana rappresentò una terra che avrebbe lasciato poi nel ricordo, per chi non vi restò stabilmente a vivere –e furono tanti-, una straordinaria parentesi umana, un momento irripetibile. Se la necessità di sfuggire ai totalitarismi ormai imperanti nella propria patria fu la motivazione primaria, si accompagnavano –nella fuga verso il meridione d’Italia- anche altri aspetti, dalla semplicità di vita alla libertà di costume, come sono già stati da altri ampiamente illustrati. E qui, nel Sud arcaico, i movimenti artistici dell’epoca finivano per assumere una dimensione più forte, dal primitivismo, al secessionismo, all’orientalismo, al cubismo: uno straordinario momento di sincretismo artistico che vide sposarsi inventiva e capacità tecniche indigene con matrici culturali di grande momento nell’Europa del primo Novecento. Se si pone mente soltanto a come le centinaia di artisti e intellettuali che transitarono o sostarono o lavorarono nella nostra provincia fossero portatori dei grandi movimenti artistici che avrebbero poi improntato i percorsi culturali del secolo appena passato, non si può non comprendere la grande fortuna che la nostra terra ebbe nel vedersi “portati a casa” i semi dei grandi ismi dell’Europa novecentista. … E così il Sud, proprio perché arcaico e primitivo, divenne crogiolo di culture. Agli artisti stranieri esuli sulla costa d’Amalfi il territorio offrì, da un canto, un repertorio naturale e umano di grande forza, dall’altro il retaggio profondo di una terra da sempre crocevia di popoli ed etnie diverse; un paesaggio insomma profondamente intriso di classicità e medioevo, di cristianità e islamismo, chiese dalle cupole smaltate e torri antisaracene, pescatori, barche e brune reti, donne con le brocche o le ceste in testa quali novelle canefore, mare, pesci e sirene. Ciascuno scelse nel proprio universo figurativo l’aspetto che più si attagliava al bagaglio culturale del mondo lasciato alle spalle, celebrando e trasfondendo nel proprio operato -con nuove e diverse sensibilità- gli elementi che ne colpivano l’immaginario, assumendo un ruolo primario. La rielaborazione del mondo mediterraneo attraverso questa nuova cultura europea non privilegia le forme di espressione artistica più usuali, quali pittura o scultura, ma assegna un ruolo importante anche alle arti applicate; grazie proprio alla sensibilità e all’interesse testimoniati dagli artisti nordici (ricordiamo le Kunstgeweberschulen), si filtrano le sollecitazioni continuamente ricevute dalle matrici popolari del Sud attraverso altre tipologie estetiche. Accanto all’acquerello o all’olio su tela o tavola –che ora, in relazione alle differenti correnti artistiche, vede una forma di superamento/depauperamento degli strati di preparazione e, spesso, l’utilizzo di pennellate tanto dense da creare “creste” di colore come, per esempio, in Zagoruiko- ci sono le ceramiche, i vetri dipinti, le stoffe, i ricami, gli arazzi: emblematica in tal senso l’opera di Irene Kowaliska. La produzione di ceramica, dunque, si interrelò a quella di stoffe, ricami, arazzi, batik degli artisti tedeschi sulla costiera amalfitana. Irene Kowaliska, quando giunge a Salerno nel 1931, esegue un ricamo che riproduce la sua immagine del variopinto mercato della città e a Positano favorirà la nascita della “moda Positano”, lanciando splendide stoffe che stampava personalmente. Martin Wolff, uno dei pochissimi tedeschi stabilitisi a Positano che non riuscirà a sfuggire ai nazisti morendo ad Auschwitz nel 1944, era un Teppichweber, lavorava tappeti. Ne espose anche in una mostra, definita “eccezionale” da Mila Sanvitale sull’ “Unione Sarda” del giorno 1-1-1939, tenutasi a Positano nell’autunno del 1938, nella prestigiosa villa Stella Romana della nobile polacca Emilia Szenwic. Una mostra che vide la partecipazione di italiani e stranieri, e fra questi la Sanvitale cita la svizzera Damira, pittrice e scultrice, e Martin Wolff che “trova i soggetti tra le case e i pittoreschi meandri del paese. Con alcuni acquerelli ci offre lo specchio colorito di spazi paesistici della divina costiera. Le sue visioni suggestive stanno a testimoniare il culto che gli artisti stranieri hanno verso questa Positano, che è essa stessa un gioiello d’arte della natura”. E, più avanti, sottolineando l’esposizione di “bellissimi tappeti” dell’artigianato sardo realizzati nel solco di antiche tradizioni, ricorda che “Martin Wolff ha esposto i suoi tappeti, che hanno molto interessato il pubblico, per la ripresa di tradizionali accorgimenti della tecnica”. A questa mostra partecipò anche Ettore Pignone del Carretto, il nobile napoletano il cui pennello ci avrebbe fortunatamente trasmesso l’immagine pittorica dell’amico Martin Wolff, così come la macchina fotografica di Giulio Rispoli lo riprese all’interno del locale, destinato a diventare famosissimo nel dopoguerra, la Buca di Bacco. Entrambi erano stati presenti anche alla mostra, tenuta nella stessa Villa, tre anni prima, la I Mostra d’Arte a Positano, 1-20 settembre 1935, che aveva visto anche la presenza dei russi Ivan Giovanni Zagoruiko e Gregory Oscheroff giunti a Positano rispettivamente nel 1928 e agl’inizi degli anni Trenta. Ma l’unica opera ritrovata –finora- di Martin Wolff non è né un arazzo né un acquerello, bensì una xilografia ed è datata 1924, dunque creata a Positano dove era arrivato dopo la prima guerra mondiale: la rappresentazione di una rada su sfondo di montagne può essere la baia di Positano, ma appare può forte la volontà di celebrare la bellezza della costa amalfitana in assoluto, utilizzando la forte capacità espressiva posseduta dal linguaggio della grafica e le potenzialità del contrasto bianco-nero, facendo sposare una tecnica artistica quale l’incisione che è richiamo alla origine mitteleuropea- ad elementi d’ispirazione pienamente mediterranei.