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Commons/Comune: geografie, luoghi, spazi, città è un volume
delle Memorie Geografiche della Società di Studi Geografici
http://www.societastudigeografici.it
ISBN 978-88-908926-2-2
Numero monografico delle Memorie Geografiche della Società di Studi Geografici
(http://www.societastudigeografici.it)
Certificazione scientifica delle Opere
I contributi pubblicati in questo volume sono stati oggetto di un processo di referaggio a cura
del Comitato scientifico e degli organizzatori delle sessioni della Giornata di studio della Società
di Studi Geografici
Hanno contribuito alla realizzazione di questo volume:
Maura Benegiamo, Luisa Carbone, Cristina Capineri, Donata Castagnoli, Filippo Celata,
Antonio Ciaschi, Margherita Ciervo, Davide Cirillo, Raffaella Coletti, Adriana Conti Puorger,
Egidio Dansero, Domenico De Vincenzo, Cesare Di Feliciantonio, Francesco Dini, Daniela
Festa, Roberta Gemmiti, Cary Yungmee Hendrickson, Michela Lazzeroni, Valeria Leoni,
Mirella Loda, Alessandra Marin, Alessia Mariotti, Federico Martellozzo, Andrea Pase,
Alessandra Pini, Giacomo Pettenati, Filippo Randelli, Luca Simone Rizzo, Patrizia Romei,
Venere Stefania Sanna, Lidia Scarpelli, Massimiliano Tabusi, Alessia Toldo, Paola Ulivi
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L’immagine di copertina è tratta dal volume di Emma Davidson Omnia sunt communia, 2015,
p. 9 (shopgirlphilosophy.com)
© 2016 Società di Studi Geografici
Via San Gallo, 10
50129 - Firenze
Aa.Vv. (2016), Commons/Comune, Società di studi geografici. Memorie geografiche NS 14, pp. 311-317
BERNARDO CARDINALE, ROSY SCARLATA
LE STRATEGIE EUROPEE PER LE MACROREGIONI:
LA COOPERAZIONE TERRITORIALE E LA TUTELA
DEI BENI AMBIENTALI COMUNI
1. ASPETTI INTRODUTTIVI. — L’Unione europea persegue, fra i suoi obiettivi prioritari,
l’integrazione economica fra gli Stati nazionali che ne sono parte. Le politiche regionali, in particolare,
sono promosse dagli organi comunitari per ridurre i divari economici che rendono profondamente diversi i contesti territoriali dell’Unione e rappresentano uno strumento importante, che assorbe circa un
terzo delle risorse finanziarie comunitarie complessive. Si parla, in quest’ottica, di “convergenza”, nel
senso che le regioni che mostrano ritardi nello sviluppo, che necessitano di riconvertire le loro economie o che hanno pesanti problemi nel mercato del lavoro, devono essere poste nella condizione di attuare un processo di crescita economica (con riferimento a variabili quali il PIL pro-capite o la produttività) con tassi maggiori rispetto a territori dove questi indicatori o parametri di crescita abbiano già
raggiunto livelli più elevati. Altri obiettivi delle politiche regionali riguardano la competitività o
l’occupazione, che si incrementano attraverso programmi di sviluppo focalizzati sull’innovazione e sul
miglioramento tecnologico, sulle iniziative a sostegno dell’imprenditorialità, e sulla cooperazione territoriale. Anche quest’ultima è un nodo cruciale per la creazione di uno spazio comune: mettere insieme
risorse ed idee, risolvere problemi comuni, consolidare strategie di lavoro per raggiungere obiettivi
condivisi in un territorio comporta il superamento dei confini nazionali. Solo una visione transnazionale, in effetti, consente di promuovere processi di integrazione ed operativamente, questo si traduce
in un coordinamento delle differenti politiche al fine di perseguire risultati migliori rispetto alle iniziative isolate dei singoli Stati.
La formazione di aggregati di Paesi contigui fra loro, che perseguono politiche comuni, è un
aspetto del regionalismo alla scala internazionale (Caciagli, 2006): l’intensità dell’integrazione può
prodursi a differenti livelli, come semplici aree di libero scambio o con forme di coesione più profonde
quali quelle proprie dell’Unione europea. In particolare, in una realtà quale quella attuale, che comprende 28 Stati membri e una superficie di quasi 4,5 milioni di chilometri quadrati, ben si intuisce
come l’obiettivo della coesione territoriale sia prioritario: l’adozione di un’agenda territoriale nel 2007,
la pubblicazione di un Libro Verde sulla coesione territoriale (European Commission, 2008), e l’adozione di un Libro Bianco sulla governance multilivello (Committee of the Regions, 2009), non lasciano
ombra di dubbio sui chiari intendimenti da parte della Commissione europea, e della specifica volontà
di rafforzare il coordinamento e la cooperazione territoriale, ai vari livelli di governance individuabili
(Coletti, 2009).
Come è noto, la cooperazione territoriale, già obiettivo fondamentale all’interno della Politica di
Coesione 2007-2013, prende forma all’atto pratico attraverso tre distinte modalità: la cooperazione transfrontaliera, la cooperazione transnazionale ed infine quella interregionale, con un crescendo – passando
dall’una all’altra – del livello dimensionale delle regioni coinvolte. In tutte e tre le fattispecie, il presupposto di partenza consiste nella impossibilità di gestire in maniera isolata talune problematiche, nella necessità di utilizzare risorse comuni, nell’opportunità di agire secondo gradi via via maggiori di integrazione,
tutti aspetti difficilmente riconducibili ad una prospettiva strettamente locale o, al più, statale.
Le politiche regionali europee, in effetti, in un’ottica più marcatamente giuridica, hanno offerto
nuove opportunità di azione ai governi delle regioni amministrative, dando così ulteriore compimento
a quel processo di decentramento amministrativo che ha coinvolto l’ordinamento giuridico nazionale.
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La Comunità Europea ha fatto delle regioni degli interlocutori privilegiati, al fine di promuovere uno sviluppo locale in grado di superare i confini tra Stati membri, ritenendo più efficace un’azione che veda come protagoniste
aree territoriali contigue, accomunate da problematiche simili, piuttosto che interi territori statali, considerati separatamente l’uno dall’altro (Berionni, 2012, p. 729).
Con il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), sin dagli anni Settanta, le regioni hanno giocato un ruolo via via più rilevante non solamente come beneficiarie di interventi, ma anche come promotrici di iniziative finalizzate allo sviluppo. In questo percorso evolutivo di sempre maggiore protagonismo regionale, si inserisce il tema delle macroregioni. Le strategie europee per le macroregioni,
che la UE sta definendo in questi ultimi anni, in quanto aggregati di Stati o di regioni amministrative
all’interno di uno Stato, possono costituire strumenti innovativi per il governo di territori che abbiano
alcune caratteristiche in comune o che, più semplicemente, vogliano raccogliere sfide comuni ed agire
in maniera integrata tra di loro (Bianchi, 2014). In questo senso, la macroregione non è un’entità politica a sé né possiede istituzioni specifiche che si pongano al di sopra o al pari di quelle nazionali. I suoi
confini possono variare a seconda del problema che si vuole affrontare e delle strategie che si intendono promuovere. In un’ottica geografica, si tratta tecnicamente di una “regione programma”, che
viene pensata perché in essa si intende svolgere un certo tipo di interventi e di attività programmate, e
ciò indipendentemente dal grado di omogeneità delle caratteristiche presenti e dalle relazioni economiche che già intercorrono. Non solo, con la macroregione, l’approccio tradizionale di intervento,
strutturato sulla base della prossimità territoriale, può venire meno in favore di identificazione di aree
che appartengono a reti funzionali dalle più svariate geometrie ed ampiezze. Si tratta, perciò di aree
generalmente molto vaste, costituitesi di recente, nelle quali si stanno attualmente sperimentando
nuovi modelli di gestione senza tuttavia prevedere, da parte della UE, speciali ed ulteriori fonti di finanziamento per la loro implementazione, partendo dalla convinzione che Stati diversi debbano confrontarsi con sfide comuni e con problematiche comuni, e che a tal fine, siano indispensabili nuove
forme di cooperazione regionale rispetto a quelle sino ad ora sperimentate (European Commission,
2009a; Braun, Kovács, 2011; Cugusi, 2012; Bialasiewicz et al., 2013).
2. LE STRATEGIE DELL’UNIONE EUROPEA CON RIFERIMENTO ALLE MACROREGIONI. — La prima
strategia macroregionale che è stata adottata dall’Unione europea ha interessato la regione del Mar
Baltico, un’area che conta circa 85 milioni di abitanti (ossia il 17% della popolazione della UE) e che
comprende otto Stati membri: Svezia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania e
Polonia.
La strategia dell’Unione europea per la regione del Mar Baltico (EUSBSR, nell’acronimo in lingua
inglese), approvata dal Consiglio europeo nel 2009, mira a rafforzare la cooperazione e l’integrazione
all’interno di questo ampio territorio, e, pertanto, contribuisce alla realizzazione degli obiettivi previsti
dalle politiche europee. In questo specifico caso, la strategia è uno strumento per perseguire alcuni
obiettivi generali: “Saving the sea, connecting the region and increasing prosperity” (http://balticsearegion.eu). Ogni obiettivo generale si riferisce a un’ampia gamma di politiche da attuare e ad obiettivi
più specifici.
La salvaguardia del mare è un obiettivo prioritario; attualmente, infatti, il Mar Baltico manifesta
pesanti criticità, essendo un mare fra i più inquinati al mondo e costantemente a rischio di eutrofizzazione delle acque e di forti prelievi a seguito dell’attività di pesca. Salvare questo mare vuol dire innanzitutto raggiungere un buon stato ecologico e tutelare ed incrementarne il grado di biodiversità, condizioni che porterebbero benefici sulle popolazioni dell’area e che sarebbero importanti anche per sviluppare un’industria turistica. L’obiettivo “Save the sea” tende anche a ripristinare un modello di navigazione pulita, stanti gli intensi traffici che coinvolgono queste aree del Baltico e a sostenere la crescita
delle piccole e medie imprese. L’intera regione del Mar Baltico, come è noto, è fra le più competitive al
mondo. Per questa ragione, in effetti, sono previsti entro il 2020 quasi 10 miliardi di euro di spesa in
oltre 1.000 progetti nell’ambito dei programmi di cooperazione territoriale della UE, mentre alcuni
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progetti pilota sperimenteranno le ricadute in termini di benefici alla scala macroregionale. Alla strategia si affianca un dettagliato piano d’azione, nel quale si prevedono le forme di collaborazione fra le
agenzie governative ed i ministeri coinvolti, tra tutti gli attori e le parti interessate, sempre in un’ottica
di integrazione fra i vari Stati e di governance multilivello (internazionale, nazionale, regionale, locale)
senza le quali non è ipotizzabile prevedere concreti miglioramenti in un’area tanto estesa. È altresì auspicata la cooperazione con i Paesi confinanti (Russia, Islanda, Norvegia e Bielorussia).
Gli altri due obiettivi della strategia riguardano le interconnessioni tra le regioni del Baltico e i
benefici in termini di prosperità. In merito al primo aspetto, anche per ragioni storiche e per caratteristiche fisiche del territorio (grandi distanze fra gli insediamenti principali) e demografiche (territori
non densamente popolati) i sistemi di trasporto e di approvvigionamento energetico risultano essere
scarsamente integrati fra loro e gli Stati hanno consolidato nel tempo proprie politiche indipendenti
che non consentono di trarre dall’area tutto il potenziale che essa potrebbe offrire. Migliorare le condizioni di trasporto, efficientare e stabilizzare i mercati energetici, intensificare le relazioni tra la popolazione dell’area (anche attraverso scambi tra studenti e ricercatori e potenziando i flussi turistici) e
collaborare per la sicurezza sociale degli Stati – in particolare con riferimento all’immigrazione clandestina – sono traguardi specifici a cui tende il secondo obiettivo della strategia macro-regionale. In merito al terzo aspetto, infine, la macroregione baltica è una parte importante dell’insieme dei Paesi baltici (la Norvegia non ne è parte perché non Stato membro della UE), e con le più recenti adesioni nella
UE nuove opportunità commerciali si prospettano per gli otto Stati membri coinvolti, che hanno
grandi risorse da offrire in termini di IT, tecnologie ambientali, foreste e prodotti in legno (Bengtsson,
2009; Joenniemi, 2009; European Commission, 2009b; 2009c; Schymik, Krumrey, 2009; European
Parliament, 2010).
La strategia della UE per la regione del Danubio (EUSDR, nell’acronimo in lingua inglese) è stata
approvata dal Consiglio europeo nel 2011 e riguarda un’area che rappresenta ben un quinto della superficie europea e che conta oltre 100 milioni di abitanti. La regione danubiana interessata dalla strategia comprende quattordici Paesi, non tutti attraversati dal corso del fiume Danubio, di cui otto sono
Stati membri UE (Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Bulgaria e
Romania). La macroregione mira a intensificare legami e relazioni tra i Paesi per migliorare i livelli di
benessere dell’area, investendo in particolare nelle risorse umane e salvaguardando l’ambiente naturale, sensibilmente ricco e articolato, e che comprende non soltanto il paesaggio fluviale ma include catene montuose che presentano una grande varietà di flora e fauna, come i Carpazi, i Balcani e una
parte delle Alpi. Le finalità della strategia tendono a perseguire istituzionalmente il coordinamento
delle politiche e delle iniziative dei singoli Paesi, in vista di questo enorme bacino idrologico che è il
Danubio, il corso d’acqua più lungo in Europa (e secondo nel continente) con i suoi quasi 2.900 km di
lunghezza. Il fiume costituisce anche un immenso corridoio ecologico – in senso proprio, come parte
fondamentale di una rete ecologica (Scarlata, 2015) –, e per questo necessita di un approccio a scala
macroregionale (e non solamente locale) che deve includere un’attività di pianificazione territoriale e
di gestione delle acque, tesa a controllare le attività antropiche che hanno un impatto molto forte (gli
inquinamenti, ad esempio) ed arginare i fenomeni naturali come le inondazioni e le siccità a cui il corso
d’acqua può essere soggetto (Assembly of European Regions, 2009; European Commission, 2010a;
2010b; 2011).
Oltre a queste due citate macroregioni, alcune iniziative sono in fase di realizzazione o sono state
di recente implementate. La UE ha già predisposto un progetto, che la Commissione europea si è impegnata ad elaborare nel dettaglio entro il 2015, concernente una macroregione alpina (EUSALP,
nell’acronimo in lingua inglese), che dovrebbe interessare Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia,
Svizzera e Liechtenstein (ancorché gli ultimi due non siano Stati membri ma Paesi terzi). In questo
caso, la finalità primaria della macroregione si identifica nel potenziamento della cooperazione transfrontaliera in un’area di difficile insediamento per le specifiche caratteristiche fisiche eppure sostanzialmente molto ricca di risorse. I tre pilastri, ossia i tre obiettivi prioritari, dovrebbero riguardare la
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crescita sostenibile e l’innovazione (nelle imprese e nei centri di ricerca, ad esempio), i collegamenti, le
comunicazioni e i trasporti (da potenziare) e la sostenibilità e la tutela dell’ingente patrimonio alpino.
Ciò che impone la realizzazione di una macroregione risiede nelle profonde diversità dei territori
alpini, quanto a caratteristiche demografiche, sociali ed economiche, alle lingue ed alle culture. Storicamente, poi, le numerose regioni anche all’interno di un singolo Stato, hanno consolidato tradizioni
peculiari e hanno sperimentato sistemi di governance non omogenei. Eppure, il paesaggio alpino quale
attributo fisico comune, è rinomato da un punto di vista turistico, è un’enorme risorsa idrica per
l’Europa e custodisce ricchezze naturali e paesaggistiche esclusive. In quest’ottica di valorizzazione, il
copioso patrimonio naturale e culturale delle Alpi deve potersi distinguere e competere con le sue forti
caratterizzazioni in uno scenario globale, deve essere irrorato di nuove risorse anche demografiche,
stante il rischio della progressiva senilizzazione della popolazione tipico delle aree montane, deve poter
sperimentare l’utilizzo di energie rinnovabili per un modello di sviluppo che tenda alla sostenibilità. È
ovvio che rendere effettivi questi obiettivi richieda una forte cooperazione e collaborazione transnazionale, attraverso azioni efficaci che contrastino la disgregazione dei territori, la perdita della propria
identità, e che muovano in direzione di un forte recupero e/o valorizzazione delle proprie risorse reali
e potenziali (www.alpine-region.eu).
La Commissione europea, infine, ha approvato, nel 2014, una strategia macroregionale per la regione adriatico-ionica (EUSAIR ne è l’acronimo in lingua inglese), che vede il coinvolgimento di otto
Paesi, di cui quattro Stati membri della UE (Croazia, Grecia, Italia, Slovenia) e quattro Paesi terzi (Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia) (Stocchiero, 2014). Terza strategia approvata, dopo
quella del baltico e quella danubiana, essa si propone di promuovere la prosperità economica e sociale
e la crescita nell’ampia regione che si affaccia sul Mar Adriatico e sul Mar Ionio, passando per un rafforzamento dell’attrattività economica, della sua competitività negli scenari globali e del grado di interconnessione tra le differenti aree per incrementare i livelli di effettiva integrazione.
Il processo di ricerca di forme di integrazione tra i popoli che si affacciano sulle due sponde del
Mar Adriatico, in realtà, ha anche storicamente radici profonde; spesso i rispettivi destini si sono intrecciati in comuni vicende ed indubbiamente, ancora oggi, possiamo identificare questa ampia area
per una specificità di legami storici, culturali ed economici (Botta, Garzia, 2004; Botta et al., 2007).
Dopo l’isolamento proprio del periodo comunista, con la caduta del muro di Berlino,
l’allargamento dell’Unione europea verso est si è contraddistinta per alcune fasi preliminari, in cui la
vicinanza fra i Paesi delle due sponde dell’Adriatico si è concretizzata nell’erogazione di aiuti economici. È seguito, poi, uno stadio di negoziati formali per l’adesione alla UE (necessari per creare quelle
pre-condizioni ai fini dell’ingresso, in particolare la presenza di una democrazia e di uno stato di diritto, di un’economia tendenzialmente di mercato, di una capacità giuridica ed amministrativa di recepire ed attuare le normative di carattere europeo). A questo stadio, al quale ha fatto seguito la fase del
vero e proprio ampliamento verso Est della UE, con l’ingresso, nel 2004 di un novero di Stati indipendenti costituitisi per lo più a seguito della disgregazione del blocco comunista: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Ulteriori adesioni si
sono prodotte nel 2007, con l’ingresso di Bulgaria e Romania e nel 2013, con la Croazia. Come è noto,
restano tuttora fuori dall’Unione alcuni Paesi “candidati” (Albania, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia, Islanda e Turchia) e “candidati potenziali” (Bosnia-Erzegovina e Kosovo).
Esiste, perciò, la reale prospettiva che tutti i Paesi balcanici possano diventare presto Stati membri
della UE e sono già in atto politiche ed accordi bilaterali, in particolare gli Accordi di Stabilizzazione e
di Associazione (ASA).
Dal punto di vista istituzionale, dunque, questa macroregione di recentissima costituzione appare
senz’altro discontinua, nonostante le ampie forme di collaborazione e cooperazione intergovernativa:
esiste, geograficamente, un vuoto importante, dopo una contiguità territoriale che parte dall’Italia (nei
versanti ionico e adriatico), prosegue con la Slovenia e la Croazia, per poi interrompersi e ricongiungersi solo con i territori greci (Stocchiero, 2011). Nonostante il vuoto “sovranazionale”, i rapporti
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dell’Italia con Paesi dell’area balcanica rappresentano una priorità: dopo le crisi degli anni Novanta,
l’Italia è impegnata in ogni comparto per sostenere il consolidamento delle istituzioni democratiche e
la definitiva transizione verso sistemi economici di libero mercato nonché la realizzazione di un assetto
stabile ed equilibrato, che costituisce un elemento strategico nel processo di stabilizzazione complessiva del continente europeo (Cocco, 2001; Cocco, Minardi, 2009).
Anche nel caso dell’area adriatico-ionica, la macroregione si è dotata nel 2015 di un proprio piano
d’azione e quindi essa è a tutti gli effetti operativa e per essa l’Unione ha approvato una sua specifica
strategia (Cugusi, 2013; Gruppo ELITEAM, 2013; Mascarucci et al., 2013), che si focalizza su quattro
pilastri: a) guidare la crescita marittima e marina (la cosiddetta “economia blu”); b) connettere la regione (con reti di trasporto ma anche per l’aspetto che riguarda le fonti energetiche); c) preservare,
proteggere e migliorare la qualità ambientale; d) aumentare l’attrattività regionale. In quell’ampio
“golfo” (un tempo il glorioso “Golfo di Venezia” che nei secoli di dominio della omonima Repubblica
comprendeva tutti i territori dalla Dalmazia sino al canale d’Otranto) che è l’Adriatico, non è difficile
comprendere come tutti questi obiettivi prioritari abbiano un forte legame con il mare, che è il mutuo
interesse e la risorsa più importante che tutti gli Stati condividono. Con questo focus, il mare, per
l’appunto, va interpretato l’obiettivo più generale della strategia, che si coglie da una lettura trasversale
dei pilastri: promuovere il benessere economico e sociale della regione adriatico-ionica, attraverso la
crescita e la creazione di posti di lavoro, migliorando la sua attrattività, competitività e connettività, ma
con un’attenzione preminente, ossia quella di preservare, al contempo, l’ambiente e quella di garantire
la sopravvivenza di ecosistemi marini e costieri sani ed in equilibrio da un punto di vista ecologico.
Con la medesima ottica di lettura, vanno esplicate tutte le finalità che ciascun pilastro vorrebbe perseguire, ma anche in tal caso, tutti gli obiettivi appaiono convergenti sul mare, nello specifico sull’Adriatico, “cerniera verso l’area del sud-est euroasiatico” (Gruppo ELITEAM, 2013, p. 3).
Particolarmente significativo, al riguardo, è proprio l’obiettivo che interessa il miglioramento della
qualità ambientale, indiscutibilmente da leggersi innanzitutto come qualità ambientale dei territori marini
e costieri: si tratta di una priorità indiscutibile per le tante criticità che pesano sulla qualità della vita nel
Mediterraneo e, ancora di più, in un mare stretto quale è l’Adriatico (aree costiere fortemente antropizzate, alta densità di infrastrutturazione, inquinamenti causati dai corsi d’acqua, impoverimento degli
stock ittici, erosione costiera ecc.), che può essere declinata in svariate azioni, tra le quali sembrano distinguersi forme innovative di gestione dei territori, nell’ottica delle reti e dell’integrazione delle pianificazioni marittime e costiere, quali reti ecologiche, Maritime Spatial Planning, Integrated Coastal Zone
Management, solo per citare le più significative esperienze da implementare (Marino, 2011).
3. IL RUOLO DELLA RETE ADRIAPAN. — La rete AdriaPAN è un’iniziativa promossa dalle due
aree marine protette italiane di Miramare e Torre del Cerrano, rispettivamente in provincia di Trieste e
di Teramo, con l’obiettivo di intensificare i rapporti di collaborazione tra le aree marine protette adriatiche, ponendole nella condizione di poter migliorare le singole attività gestionali e programmatorie, in
materia di tutela ambientale e di sviluppo sostenibile, a seguito degli scambi di buone pratiche maggiormente possibili attraverso la crescente coesione reticolare (www.adriapan.org; Spoto, 2009).
Dopo l’atto fondativo, che ha visto l’adesione di un primo gruppo di dieci aree marine protette
(marine e costiere) attraverso la sottoscrizione della “Carta di Cerrano” (Cardinale, 2015), la rete
AdriaPAN ha registrato un trend di crescita nel numero dei membri effettivi e attualmente annovera
oltre 40 aree protette di tutti i Paesi e più di 30 organizzazioni associate, di carattere istituzionale e
non, che intendono partecipare alle iniziative poste in essere dalla rete. La sua costituzione nel 2008,
nel contesto integrato della rete delle Aree Protette del Mediterraneo (MedPAN), è apparsa necessaria
a fronte della necessità di coordinamento delle numerose aree marine protette presenti all’interno del
Mare Adriatico e lungo la costa adriatica, con l’obiettivo di rappresentare e promuovere le specificità
ecologiche, culturali ed economiche dei rispettivi siti.
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Tuttavia, l’importanza di tale rete è sottolineata anche dalle linee strategiche della UE per la Macroregione adriatica e ionica, dove rappresenta una delle azioni indicative nella misura indirizzata alla
tutela dell’Ambiente e della Biodiversità (http://ec.europa.eu/italia/attualita/primo_piano/pol_
regionale/macroregione_adriatico_ionica_it.htm). Essa, infatti, è l’unica rete di lavoro richiamata come
esempio nella “Strategia marittima dell’Unione europea per il mar Adriatico e il mar Ionio”, documento adottato dalla Commissione Europea e presentato ufficialmente al Parlamento ed al Consiglio
Europeo nel 2012 (European Commission, 2012). Nel secondo pilastro della strategia “Ambiente marino più sano”, che riguarda la conservazione della biodiversità e la lotta all’inquinamento, è possibile
leggere che: “Le opzioni concrete da considerare potrebbero includere lo scambio di buone pratiche
tra le autorità di gestione di zone marine protette al fine di preservare la biodiversità, sulla base dei lavori della rete di aree protette dell’Adriatico (AdriaPAN)” (http://triviadicerrano.blogspot.it/).
In buona sostanza, il paradigma reticolare riferito all’azione delle aree protette, al fine di una più efficace condivisione delle finalità e della progettazione, si è affermato come un elemento portante della
Strategia marittima europea per l’Adriatico e lo Ionio, costituendo l’unica espressione organizzativa possibile di un contesto territoriale globalizzato, soprattutto dal punto di vista economico e ambientale.
Pertanto, proprio attraverso l’organizzazione reticolare, le aree protette dell’Adriatico condividono
l’obiettivo prioritario che riguarda la messa a regime di un processo tecnico, capace di sostenere i soggetti
aderenti alla rete nell’implementazione di servizi idonei al raggiungimento di una sempre maggiore efficacia gestionale. Allo stesso tempo, la stessa organizzazione reticolare, supportata da uno strumento comune di comunicazione come la piattaforma web, persegue l’integrazione transfrontaliera delle aree protette attraverso la condivisione delle conoscenze atte alla definizione di programmi comuni di cooperazione interregionale per la tutela ambientale e la promozione di uno sviluppo sostenibile.
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Bernardo Cardinale: Università di Teramo; [email protected]
Rosy Scarlata: Università di Teramo; [email protected]
RIASSUNTO: Le strategie europee per le macroregioni, che la UE sta definendo in questi ultimi anni, in quanto aggregati di Stati o di regioni amministrative all’interno di uno Stato, possono costituire strumenti innovativi per il governo di territori che abbiano alcune caratteristiche in comune o che, più semplicemente, vogliano agire in maniera integrata tra di loro. In
questo senso, la macroregione non è un’entità politica a sé, né possiede istituzioni specifiche che si pongano al di sopra o al
pari di quelle nazionali. I suoi confini possono variare a seconda del problema che si vuole affrontare e delle strategie che si
intendono promuovere. Alla luce di quanto sinteticamente sopra esposto, il presente contributo esamina le principali iniziative di costituzione di macroregioni all’interno del più ampio quadro delle politiche regionali promosse dall’Unione europea,
al fine di rafforzare la cooperazione territoriale. In particolare, lo stesso contributo analizza il ruolo e le potenzialità della rete
AdriaPAN, quale esempio di best practice in merito alla tutela dell’ambiente e della biodiversità, come evidenziato dalla linee
strategiche dell’Unione europea per la Macroregione adriatico-ionica.
Parole chiave: macroregioni, cooperazione territoriale, ambiente
Keywords: macroregions, territorial cooperation, environment
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