1230_Expo Milano e diritti generazioni future

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1230_Expo Milano e diritti generazioni future
Associazioni Cristiane
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L’Expo di Milano e i diritti delle generazioni future
Milano Expo 2015: un evento controverso
L’Expo di Milano ha suscitato un ampio e talvolta aspro dibattito. Molte le critiche. Una
delle più dure è stata quella dello scrittore argentino Martin Caparros, autore del libro La fame;
secondo Caparros i 12 miliardi spesi per l’Expo dovevano essere spesi per ridurre la fame nel
mondo ; invece di finanziare una gigantesca fiera del business, avrebbero nutrito e cambiato il
destino di decine e decine di milioni di persone. Meno dura ma ugualmente critica la posizione di
Carlo Petrini, presidente di Slow Food: l’Expo ha tradito molte delle attese, ma rimane
un’occasione per discutere di un tema fondamentale: “come nutrire sette miliardi di abitanti del
pianeta senza continuare a ferire la nostra madre terra, senza attentare costantemente alla nostra
salute, senza ledere i diritti di chi coltiva il nostro pane quotidiano e di chi non ha accesso a una
sufficiente e dignitosa razione giornaliera di cibo”.
È anche la posizione delle 140 organizzazioni della società civile e del Terzo Settore, fra le
quali le Acli, che hanno realizzato la loro Expo a Cascina Triulza, non lontano dai padiglioni della
vera Expo 2015. Lo hanno fatto mettendo al centro del loro dibattito i grandi temi del mondo di
oggi: dal nodo della sovranità alimentare alla difesa delle agricolture locali. Nonostante alcune
evidenti contraddizioni, per le Acli l’Expo di Milano resta un’occasione. E da vari punti di vista.
L’Expo 2015: un’occasione per il futuro del pianeta
Il primo maggio scorso, all’apertura dell’Expo, è stato reso noto un documento, noto come Carta
di Milano, frutto di un ampio dibattito e ricco di importanti indicazioni se integrato con le critiche
e le proposte delle organizzazioni della società civile. In primo luogo va sottolineato il fatto
positivo che la Carta di Milano e la stessa Expo hanno fatto riemergere il tema della fame nel
mondo, un tema che negli ultimi decenni è stato trascurato non solo dai mezzi di comunicazione,
ma anche dalle comunità ecclesiali.
Nel 2000 i capi di stato e di governo, riuniti nel Summit del Millennio promosso dalle
Nazioni Unite, si erano dati l’obiettivo di dimezzare entro il 2015 la percentuale delle persone
colpite dalla fame. Siamo giunti al 2015 e nonostante i progressi realizzati in Cina, in Brasile e nel
Sud-Est asiatico, sono ancora oltre 800 milioni le persone che soffrono la fame. Dietro queste
terribili cifre vi sono molte cause: spesso le guerre, talvolta i disastri naturali o l’incapacità di
sfruttare in modo adeguato le risorse della natura, ma sempre vi sono le crescenti disuguaglianze
fra ricchi e poveri.
L’evento dell’Expo dedicato al tema “Nutrire il pianeta” deve essere l’occasione per
riflettere su questo tema e per affrontarlo con determinazione, ma a partire da un fatto
indiscutibile: oggi la produzione mondiale è in grado di sfamare tutti gli abitanti del pianeta; se
ancora si muore per fame è perché il cibo esistente non viene distribuito secondo giustizia, ma
secondo la legge dell’assoluta libertà di mercato che premia i più forti e penalizza i più deboli. E
che permette ai più forti economicamente di fare profitti sulla fame dei più deboli.
Dobbiamo essere consapevoli che le scelte speculative fatte da operatori economici in
cerca del massimo profitto hanno precise conseguenze: non solo le gravi sperequazioni alimentari
e la denutrizione di centinaia di milioni di persone, ma anche l’esplodere dei processi migratori. Se
vogliamo risolvere alla radice i flussi migratori che in modo drammatico stanno investendo anche
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l’Italia, dobbiamo affrontare il nodo dell’ingiusta distribuzione delle risorse del nostro pianeta. La
fame si è ridotta in Asia, ma è aumentata nei Paesi dell’Africa equatoriale e quindi non dobbiamo
stupirci se milioni di esseri umani fuggono da quelle regioni.
Sostenibilità ambientale ed equità sociale
La Carta di Milano e i documenti presentati all’Expo della società civile, oltre a denunciare
lo scandalo della fame, hanno posto il problema del diritto al cibo delle generazioni future:
“Salvaguardare il futuro del pianeta e il diritto delle generazioni future del mondo intero a vivere
esistenze prospere e appaganti è la grande sfida per lo sviluppo del XXI secolo”. Questo comporta
un utilizzo sostenibile delle risorse del pianeta. Ma i vari documenti non si sono limitati a porre il
problema della sostenibilità ambientale.
Anche la Carta di Milano, ad esempio, ha sottolineato i legami fra sostenibilità ambientale
ed equità sociale: “comprendere questi legami – si legge nel documento – è essenziale se vogliamo
espandere le libertà umane per le generazioni attuali e future”. Di qui l’invito alle istituzioni
politiche e alle aggregazioni sociali ad assumere “impegni precisi in relazione al diritto al cibo che
va considerato un diritto umano fondamentale”. E ancora: “Il mancato accesso a cibo sano,
sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia è una violazione della dignità umana”.
In un mondo ormai globalizzato, in cui è evidente l’interdipendenza tra i diversi popoli della
terra, la Carta di Milano ha infine il merito di insistere sulla necessità di affrontare il problema con
un approccio non settoriale ma globale; ciò significa che la denutrizione e la sottonutrizione
devono essere affrontate “attraverso quattro prospettive interconnesse: cibo, energia, identità e
dinamiche della convivenza”.
Detto in modo meno sintetico: se vogliamo giungere a un impiego più equo e sostenibile
delle risorse del pianeta, dobbiamo intervenire con una logica unitaria, ma in quattro direzioni: 1)
promuovere modelli economici e produttivi in grado di garantire uno sviluppo sostenibile a livello
sia economico che sociale; 2) favorire e sostenere le agricolture (in particolare le agricolture
contadine) che producono una quantità sufficiente di cibo senza danneggiare il suolo, le risorse
idriche e la biodiversità; 3) favorire le pratiche sociali e le nuove tecnologie capaci di ridurre le
disuguaglianze all’interno di ciascun Paese e in particolare nelle aree urbane; 4) riconoscere nel
cibo non solo una fonte di nutrizione, ma anche una peculiare espressione dell’identità socioculturale di una comunità.
A tal fine gli estensori della Carta di Milano hanno individuato tre obiettivi prioritari: “A)
combattere la denutrizione, la malnutrizione e lo spreco; B) promuovere un equo accesso alle
risorse naturali; C) garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi”.
Un nuovo modello di sviluppo e nuovi stili di vita
I temi dell’equità e della sostenibilità sono stati affrontati in modo ancora più esplicito e
incisivo nel manifesto di Terra viva. Vandana Shiva che lo ha presentato all’Expo organizzata dalla
società civile a Cascina Triulza ha affermato: “Le multinazionali non nutrono il pianeta. Lo
affamano. Dobbiamo fare di tutto per difendere un modello agroalimentare fondato
sull’agricoltura familiare, come quello italiano, europeo e di molti altri Paesi. Dobbiamo
riaffermare l’orgoglio dei tanti piccoli agricoltori di tutto il mondo che hanno mantenuto pur con
grandi difficoltà i loro campi e che li coltivano con i metodi biologici ed ecologici”.
Il manifesto Terra viva è un duro atto di accusa contro l’attuale sistema economicofinanziario che, oltre a ridurre la biodiversità e a portare gli ecosistemi al collasso, si è posto al di
sopra della società e al di fuori di ogni controllo democratico, spostando l’attenzione
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dall’economia reale alla moltiplicazione di capitale realizzata tramite la speculazione finanziaria.
Solo l’agricoltura contadina, praticata con metodi biologici, può fermare la continua perdita di
suolo fertile e l’incontrollata crescita delle aree urbanizzate. Ma questo significa fermare
l’accaparramento dei suoli più fertili dei Paesi meno sviluppati da parte delle multinazionali e dare
sostegno alla nuova agricoltura che invece di consumare energia la produce, invece di contribuire
alla crescita dell’effetto serra la frena.
Per realizzare questi obiettivi serve un nuovo modello economico e servono nuovi stili di vita.
Serve un nuovo modello economico, perché quello attuale fa dell’esclusione la regola della propria
crescita e dà origine alla “cultura dello scarto”; come ha detto papa Francesco, infatti, la logica del
consumo non può che determinare l’emarginazione di quanti non sono in grado di accedere ai
beni: ecco perché dobbiamo dire no a questa economia dell’esclusione. Secondo il priore della
Comunità di Bose, Enzo Bianchi, dobbiamo ripartire dalla preghiera del Padre nostro: “Nel Padre
nostro non sta scritto: “dammi oggi il mio pane quotidiano”. Se così fosse, suonerebbe come una
bestemmia. C’è invece scritto: “Dacci (cioè dai a tutti noi) il pane di ogni giorno”. E così ti potremo
chiamare “Padre nostro” e non “Padre mio”!
Serve un nuovo modello economico, che privilegi l’economia reale e ponga limiti alle
speculazioni finanziarie e soprattutto serve un’economia che non sia orientata al solo profitto e
all’interesse privato, ma si ponga anche altri obiettivi: l’attenzione al bene comune, la garanzia di
un lavoro dignitoso per tutti, la partecipazione collettiva agli utili, l’impegno a finalizzare i
reinvestimenti a scopi sociali e al sostegno dei più deboli, il rispetto della natura, la responsabilità
verso le generazioni future. Senza questa “economia civile” (così viene definita nella Caritas in
veritate di Benedetto XVI) e senza un modello economico più solidale che punti a promuovere la
crescita collettiva, riconoscendo che “la terra è di tutti”, la società del futuro produrrà la
disumanizzazione della vita di ogni individuo. Per realizzare questo nuovo modello economico
servono scelte conseguenti a livello politico e a livello sociale.
A livello politico, preso atto che l’attuale modello di sviluppo va ripensato e ridefinito, servono
cambiamenti strutturali che lo rendano compatibile sia dal punto di vista dell’equilibrio ecologico
che dal punto di vista della giustizia sociale. Servono politiche globali coordinate da organismi
internazionali più coraggiosi e con più poteri che, limitando l’assoluta libertà di mercato,
indirizzino l’economia internazionale verso rapporti più equi, in modo da garantire anche ai Paesi
più poveri non solo il diritto ai beni primari e in particolare al cibo, ma anche il diritto alla pace e a
una convivenza fraterna e rispettosa dell’identità di ciascun popolo.
A livello sociale servono nuovi stili di vita improntati ai valori della giustizia e dell’attenzione ai
meno garantiti e servono stili di vita che nei Paesi più ricchi riducano non solo obesità e sprechi,
ma anche disparità e disuguaglianze. Il nuovo modello economico può essere realizzato fin da ora
se un numero crescente di cittadini sceglie di assumere stili di vita basati sulla sobrietà e sulla
responsabilità, ma anche sulla condivisione e sulla solidarietà. Il nuovo stile di vita che ci è
richiesto, infatti, non può limitarsi a criticare il consumismo e a vivere personalmente in modo
sobrio; in un mondo interdipendente esige anche l’impegno solidale a costruire strutture più
giuste che consentano a tutti l’accesso ai diritti fondamentali, senza i quali non c’è il rispetto della
dignità umana.
Centro Studi Acli Marche – Maggio 2015
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