7 Le industrie della comunicazione

Transcript

7 Le industrie della comunicazione
7
Le industrie
della comunicazione
Agli occhi della gente comune tutto ciò che ha a che fare coi media appare
pervaso da fascino ed emozione, da creatività e conflitto. Vi sono dei momenti in cui questi stati d’animo prevalgono (probabilmente più di quanto
non avvenga in altri tipi di attività). Ma, prima di tutto, le attività relative ai
media sono di natura industriale e commerciale. In questo capitolo prendiamo in considerazione tali attività utilizzando alcuni degli strumenti propri
dell’analisi economica.
Dall’avvento, nell’Ottocento, della «rivoluzione industriale» il ruolo di settore trainante della economia, prima nei paesi dell’Occidente e, successivamente, negli altri paesi che via via si sviluppavano, è stato svolto in successione da industrie di diverso tipo, come quella petrolifera, automobilistica, e
così via. Ai nostri giorni, le industrie della «informazione» e della «comunicazione» sono al centro dell’attività economica e le industrie mediatiche rappresentano elementi di grande importanza di questo settore oggi dominante.
I media studies si sono prevalentemente occupati della produzione su larga
scala di beni e servizi destinati al pubblico «di massa» e relativi all’intrattenimento e alle informazioni destinate all’uso personale. Ma è difficile separare
queste attività dalla comunicazione di informazioni destinate agli operatori
economici e dalle tecnologie e dai sistemi che sono utilizzati a tal fine. Per
chiarezza noi prenderemo in considerazione le industrie mediatiche (nelle
quali includiamo anche le industrie della «creatività») e quelle della telecomunicazione che sono divenute importanti per la distribuzione (ce ne occuperemo nel Capitolo 13) di beni e servizi relativi al mondo dei media.
All’interno di ogni industria identificheremo i vari stadi del processo: la produzione, la distribuzione, le modalità attraverso le quali si consente la fruizione, e così via.
Le attività economiche possono essere classificate (anche se in modo non
rigido) in attività di produzione di beni e di servizi. L’adottare questo criterio
di classificazione nel campo dei media presenta qualche difficoltà, dal momento che in esso le industrie producono effettivamente beni (basta entrare
in un negozio della HMV o in un megastore della Virgin per rendersi conto
di quanti siano i CD, i DVD, i videogiochi, le riviste, eccetera, che si possono trovare). Ma tali «beni» sono pezzi di plastica relativamente poco costosi
che servono a permetterci di fruire dei dati che ci daranno intrattenimento o
informazioni.
In alcuni dei corsi che trattano
media, le «industrie» sono
considerate nell’ambito delle
lezioni sulle «istituzioni»; secondo
noi è meglio parlarne in separata
sede. Delle istituzioni abbiamo
già parlato nel Capitolo 4.
178
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
«Nel suo complesso l’industria della creatività dà un gigantesco contributo alla nostra economia, oltre che alla vita sociale e culturale: rispetto a ciò che avviene negli
altri paesi, produce una parte molto più elevata della nostra ricchezza: l’8% del PIL.
Gli 11,4 miliardi di dollari che si ricavano dalle esportazioni dei prodotti di tale industria fanno sì che, da questo punto di vista, essa preceda l’industria delle costruzioni, le assicurazioni e le pensioni e sono circa il doppio di quanto rendono i prodotti dell’industria farmaceutica. (Patricia Hewitt, ministro del commercio e dell’industria del governo inglese, 29 aprile 2005, citato da Screen International).
Il produrre testi mediatici e distribuirli al maggior numero possibile di persone assomiglia di più a un’attività di «servizio». Alla luce di questa ambiguità,
i vari settori delle industrie che si occupano dei media sono strutturate in
modo diverso: alcune sono delle vere e proprie fabbriche, mentre altre assomigliano di più alle organizzazioni di servizio.
La produzione come processo industriale
Alcune delle attività che si svolgono nel mondo dei media possono essere considerate come forme particolari di attività industriali di tipo tradizionale, cioè
come «fabbriche». La cosa può apparire strana, ma, possiamo spingerci sino a
confrontare la produzione di un quotidiano con quella, ad esempio, dei fagioli
in scatola. Troveremo che hanno molti elementi in comune:
• hanno dovuto investire ingenti capitali per dotarsi di una sede e di macchine: immobilizzazione di risorse;
• hanno un’unità di «ricerca e sviluppo» (R&D) che ha il compito di pensare
al futuro e di mettere a punto nuovi progetti, nuove ricette;
• il loro prodotto è richiesto tutti i giorni, e questo comporta che la produzione avvenga senza soste e richieda un flusso continuo di materie prime (carta,
inchiostro e «notizie grezze» in un caso; fagioli e scatole nell’altro);
• utilizzano lavoratori che hanno capacità particolari;
• effettuano «controlli di qualità» sulla catena di produzione;
• il loro prodotto deve essere distribuito in un territorio ampio;
• stimolano la domanda e questo implica che svolgano ricerche di mercato
che forniscono informazioni aggiornate sull’adeguatezza del prodotto e sul
livello di soddisfazione dei consumatori;
• fanno pubblicità perché il loro prodotto non perda di visibilità e sia capace
di conquistare nuovi consumatori.
Questi elementi in comune sono importanti, in quanto fanno sì che le imprese che agiscono nel settore dei media prendano in genere le loro decisioni
secondo le modalità proprie di tutte le imprese industriali e commerciali. Ma,
per altri aspetti, le imprese mediatiche sono diverse dalle imprese manifatturiere, e di questo (cioè della «specificità» delle industrie dei media) dovremo
parlare in modo dettagliato in questo capitolo. Diciamo subito che gran parte dell’attività relativa ai media consiste nel produrre un «originale» che poi
viene duplicato o «riprodotto»: la possibilità di utilizzare diverse modalità di
riproduzione è una delle caratteristiche più interessanti di tali attività. Ma
torniamo ora al nostro esempio del quotidiano e vediamo quali ne sono le
specificità:
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
• la «materia prima» non è omogenea: per poter scegliere gli eventi che possono essere venduti come «notizie», bisogna prendere decisioni che si basano
sulla competenza professionale, sulla conoscenza della cultura prevalente,
nonché su criteri estetici e politici;
• le notizie non hanno sempre lo stesso prezzo (in qualche caso sono gratuite),
mentre altre, ad esempio, quelle che riguardano le persone celebri, possono
costare molto in quanto devono essere comprate oppure acquisite con attività che implicano notevoli spese oppure, nel caso di notizie di politica estera,
sono frutto delle ricerche di giornalisti che incorrono in costi ingenti e devono essere tutelati;
• il prodotto non è sempre un bene di prima necessità e la domanda può diminuire se i gusti dei consumatori cambiano (le vendite dei quotidiani nazionali in Gran Bretagna sta diminuendo);
• i meccanismi di produzione e distribuzione non sono sempre gli stessi: è
possibile, ad esempio, trasmettere il prodotto con strumenti elettronici e
svolgere l’attività di riproduzione in sedi decentrate;
• i costi relativi al personale saranno più elevati di quanto non avvenga in altri
settori, perché il processo di produzione richiede competenze più ampie e
diversificate di quelle richieste altrove;
• il prodotto deve essere venduto nel giorno stesso in cui nasce (anzi, entro la
stessa mezza giornata: un quotidiano del mattino diventa obsoleto quando
escono i pomeridiani);
• i ricavi derivanti dalla vendita del prodotto sono solo una parte dei ricavi
complessivi che provengono anche (e in misura notevole) dalla vendita di
spazi pubblicitari – e questo comporta che gli acquirenti di tali spazi siano
molto importanti per il successo del prodotto.
Tutto questo fa pensare che gestire e dirigere la produzione di mezzi di comunicazione di questo tipo sia cosa molto difficile (e tale da comportare rischi elevati). Per chi produce un giornale, le cose più importanti sono:
• raccogliere e trattare le informazioni per trasformarle in notizie;
• la distribuzione del prodotto finito.
La produzione in sé (cioè l’impaginazione e la stampa) è meno importante di
quanto si possa pensare nel determinare il successo di un giornale. Non vi è
dubbio che la qualità della carta e il «look» del giornale abbiano una loro importanza nel determinarne la reputazione nel tempo, ma non è detto che servano a far aumentare la tiratura quanto uno «scoop». Il successo dei prodotti mediatici del genere giornalistico dipende da una mescolanza di fattori diversi, dal
momento che il loro aspetto esterno e le notizie che contengono sono, quasi
sempre, le stesse, perché la tiratura delle varie testate e i ricavi dalla pubblicità
sono tanto diversi da testata a testata?
In parte la differenza che esiste tra i prodotti mediati e i prodotti di altre industrie dipende dal tipo di target raggiunto: quello che conta non è tanto che
il prodotto venga venduto a molti, ma a chi viene venduto e a come gli acquirenti sono visti da che li vuole utilizzare per fare pubblicità. La tiratura di The
Times è circa il doppio di quella del Guardian, ma quest’ultimo può offrire a
chi vuole farsi pubblicità gruppi di lettori ben definiti che hanno interessi particolari e quindi, nonostante la circolazione minore, è più ricercato da chi vuol
fare pubblicità per le maggiori possibilità che offre. Il caso di studio posto in
fondo al Capitolo 8 tratta di alcuni modi in cui si può identificare da chi è
composto il pubblico.
179
Si veda il Capitolo 13 per
un’ulteriore discussione sui
problemi relativi alla distribuzione
dei quotidiani.
Si osservi il «rilancio» di giornali
quali Guardian e Observer
nel 2005-6. Hanno attratto
nuovi lettori?
180
Parte I Concetti chiave
Si deve tenere presente che
il Guardian, rispetto ad altri
quotidiani dello stesso livello,
ha un prezzo più elevato e offre
ingombri pubblicitari anche
nei suoi supplementi specializzati
(dedicati ai media, all’istruzione,
ecc.) che attraggono chi vuole
fare conoscere prodotti
di settore.
D’altro canto, se problemi di distribuzione impediscono al giornale di raggiungere in tempo i propri clienti, tutto l’impegno profuso nella produzione
sarà stato inutile. I problemi relativi alla distribuzione sono importanti in tutti
i settori, ma lo sono in modo particolare per molti tipi di prodotti mediatici.
Via col vento è stato, ed è tuttora, il
film più redditizio (per ammontare
degli incassi depurato dagli effetti
dell’inflazione) di tutti i tempi ed
è stato rilanciato diverse volte.
Nel 1998 è stato rimesso in
circolazione dalla New Line, una
«branca» autonoma della Warner
Bros. La Time Warner ha
acquistato i diritti sul film quando
si è fusa con la società di Ted
Turner che, a sua volta, era venuta
in possesso di Via col vento quando
aveva acquistato l’archivio di
pellicole della MGM e considerava
il film il bene più prezioso in suo
possesso. La nuova edizione
comprendeva 12 minuti di
proiezione in più ed era stata
riprodotta da un nuovo
«originale» ottenuto con
tecnologia digitale; ne sono state
messe in circolazione 200 copie.
(Screen International, 12 giugno
1998).
Il termine merchandising
significa mettere in vendita ogni
sorta di oggetti decorati con
immagini tratte da un determinato
prodotto mediatico. È una
consuetudine esistente da molto
tempo, ma la diffusione su larga
scala che si registra ai nostri giorni
si può fare risalire al lancio di
Guerre stellari avvenuto nel 1977.
© 978-88-08-19263-9
I media durevoli: un processo di diverso tipo?
Nel caso dei film o della musica il processo di produzione ha caratteristiche diverse, o, almeno, queste assumono importanza diversa, rispetto a quanto avviene
per i quotidiani, per i programmi televisivi quotidiani o settimanali. L’acquisto
di un CD o di un biglietto per il cinema richiede una decisione più meditata
(cui corrispondono un prezzo più elevato e un impegno maggiore in termini di
tempo e fatica). Il prodotto non può mai dirsi completamente «consumato», dal
momento che sarà possibile tornare a rivedere lo stesso film e il CD viene ascoltato più volte. Dato che il prodotto ha una durata che eccede lo spazio di una
giornata, tipico dei quotidiani, esiste la possibilità di «costruire» un pubblico per
un film o un concerto dedicandovi attività che si protraggono per più settimane
ed è anche possibile sviluppare prodotti che possono considerarsi «accessori», in
quanto si ricollegano al prodotto principale (il film o il concerto).
È persino possibile che, col passare del tempo, il prezzo del prodotto, divenuto oggetto da collezionare, aumenti. Dal momento che nuove copie di un
film o di un CD possono essere prodotte da uno stesso «originale», esiste sempre la possibilità di un «rilancio» che avrà costi molto ridotti e potrà conquistare una nuova generazione di acquirenti. Walt Disney è stato il primo a rendersi
conto di questo e, sfruttando tale proprietà, è stato in grado di salvare la propria impresa nei momenti di crisi e di farla crescere (all’inizio era un piccolo
produttore indipendente). Ha preso consapevolezza del fatto che i cartoni animati, contrariamente ai normali film, non invecchiano praticamente mai e del
fatto che gran parte del loro pubblico è costituito da bambini e, sulla base di
queste considerazioni, ha «rilanciato» ogni sette anni i suoi cartoni animati
classici, come Biancaneve e i sette nani (USA, 1937) e Pinocchio (USA, 1939),
conquistando ogni volta un pubblico nuovo. Questa strategia ha dovuto essere
modificata quando hanno cominciato a diffondersi le videocassette, ma continua a essere importante ed è stata applicata anche ad altri classici del cinema,
quali Via col vento (USA, 1939) e Guerre stellari (USA, 1977). Un prodotto
mediatico riciclabile è anche un marchio (brand ) riciclabile e la Disney dei nostri tempi ha beneficiato anche dal merchandising di prodotti collegati ai suoi
film. La Disney, come peraltro la Warner Bros, ha capito il valore dei marchi in
suo possesso e ha aperto propri negozi al minuto per aumentare i profitti.
Anche le imprese attive nel settore della musica si sono rese conto del fatto le
«registrazioni classiche» potevano essere trasformate in «nuovi originali» prodotti con tecniche digitali e rimesse in circolazione per i collezionisti e il pubblico della nuove generazioni con un nuovo packaging.
I giornali hanno, in quanto prodotto di consumo, una vita molto breve, ma da sempre
conservano un valore elevato come materiale di archivio. Un tempo era necessario
disporre di molto spazio per conservarli, ma ora possono essere sfruttati mettendo
in commercio dei CD-ROM e permettendo di accedervi attraverso Internet.
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
181
I vari tipi di attività
Sinora abbiamo parlato in generale delle «industrie mediatiche» e in termini
più specifici di determinate attività di produzione. Ma, almeno sino agli anni
Novanta del secolo scorso, la produzione dei diversi mezzi di comunicazione
richiedeva processi industriali diversi. Si distingueva infatti tra:
• film;
• televisione;
• radio;
• quotidiani;
• periodici;
• registrazioni musicali;
• videogiochi.
Ai nostri giorni si parla in genere di convergenza dei vari processi produttivi,
in quanto attività dello stesso tipo si ritrovano in più di una industria mediatica. Ciò si deve in gran parte all’adozione delle tecnologie digitali. In tutti i
sette settori che abbiamo elencato poco sopra ci sono lavoratori che, seduti davanti a computer che si assomigliano molto tra di loro, sono intenti a manovrare un mouse e a maneggiare files, che possono contenere suoni, immagini o
testi. All’altro estremo del processo produttivo, i modelli di proprietà e controllo prevalenti nel mondo dei media fanno sì che la maggior parte delle grandi imprese che vi compaiono siano interessate ad almeno quattro delle categorie tradizionali previste nel nostro elenco, oltre che alla «nuova» industria dei
mezzi di comunicazione elettronici (servizi per Internet, videogiochi, eccetera).
Ma vale, comunque, la pena di prendere in considerazione le differenze che
esistono tuttora tra i due raggruppamenti principali in cui possiamo classificare
le attività nel settore dei media. Vi sono anche altre differenze, ma queste cinque coppie di caratteristiche contrapposte pongono problemi di grande interesse. Entro certi limiti, le tecnologie nuove (o relativamente tali) introdotte
negli anni Novanta (come i DVD e i CD-ROM) hanno ridotto le differenze
(ad esempio, le registrazioni di programmi televisivi sono vendute in DVD
come se fossero film) e si comincia anche a risentire del fatto che il pubblico è
sempre più disposto a fruire dei prodotti mediatici in diversi modi (ad esempio, cercando le notizie su Internet).
FIGURA 7.1 Confronto tra la produzione di quotidiani/trasmissioni radiotelevisive e quella
di registrazioni musicali/film.
Quotidiani e trasmissioni in diretta
(radio e televisione)
Registrazioni musicali e film
Produzione e distribuzione a ciclo continuo.
Flussi di reddito costanti.
Produzione intermittente, distribuzione
regolare, ma non quotidiana, possibilità
di interruzione dei flussi di reddito.
Costi fissi elevati (per impianti di stampa
o studi radiotelevisivi)
Ogni produzione ha un proprio budget;
i costi fissi possono essere evitati.
Ricavi provenienti in misura elevata
dalla vendita di spazi pubblicitari.
Ricavi che provengono da «noleggio»,
merchandising e placement di prodotti.
Distribuzione diretta a tutti gli abitanti
di una stessa area geografica.
Distribuzione estensibile, in teoria, a tutto
il mondo.
L’output è considerato intrattenimento
e informazione.
L’output è considerato intrattenimento
e «arte».
Bisognerebbe includere tra
le attività mediatiche anche
l’editoria. Il prossimo film di Harry
Potter costituirà un evento molto
importante nell’industria dei
media, ma altrettanto si può dire
della comparsa del prossimo libro
della saga.
182
Parte I Concetti chiave
Le emittenti televisive britanniche
(compresa la BBC), in ossequio di
quanto previsto dal Broadcasting
Act del 1990, devono appaltare a
produttori «indipendenti» almeno
il 25% dei programmi trasmessi.
Le imprese del settore cinematografico sfruttano ora i loro archivi di film girati in passato mettendo in vendita copie su DVD con un nuovo packaging o
concedendo a canali specializzati di televisione satellitare e via cavo i diritti di
trasmissione. E, dal momento che attualmente i film producono dalla cessione
dei diritti alla televisione o dalla vendita di videocassette o DVD un reddito
pari (se non superiore) a quello che deriva dalla loro proiezione nelle sale cinematografiche, ora anche le più importanti società che producono film possono
contare su un flusso continuo di incassi, il che permette loro di sopravvivere
anche nel caso in cui diversi film in successione diano risultati finanziariamente disastrosi. Senza questi aiuti provenienti dai film di successo prodotti nel
passato anche colossi come la 20th Century o l’United Artists sarebbero falliti.
Ma, contemporaneamente, anche le più importanti aziende televisive hanno
smesso di produrre in proprio i programmi e ora hanno cominciato a comprarli sempre più spesso da imprese «indipendenti» di dimensioni minori.
Channel 4 è stato il primo canale televisivo inglese fondato sin dall’inizio come
«editore ed emittente» (il che comportava che non produceva i propri programmi, e non era appesantito dai costi necessari per tenere in piedi degli studi
televisivi). Le imprese televisive hanno altresì cercato di uscire dal mercato nazionale vendendo all’estero i loro programmi più riusciti e ricercati. Ma solo la
BBC, tra le emittenti inglesi, ha dimensioni sufficienti a essere presente nell’etere anche in altri paesi attraverso il canale televisivo BBC World, canali destinati a paesi stranieri, come BBC America e la radio World Service.
BBC World può essere vista
in 256 milioni di case situate
in paesi non appartenenti
all’Europa o all’America del Nord
(si veda www.bbcworld.com).
Si veda al Capitolo 13 per una
trattazione dei problemi relativi
alla distribuzione del Guardian
Unlimited.
© 978-88-08-19263-9
BBC America (si veda il sito www.bbcamerica.com) è «un canale destinato alla televisione satellitare o via cavo che porta al pubblico una nuova generazione di programmi televisivi premiati dalla critica tra i quali troverete satire pungenti, drammi
commoventi, proposte che cambieranno la vostra vita e notiziari che prendono in
considerazione, più di quanto non facciano gli altri, eventi di tutto il mondo.»
Trasmette anche programmi di altre televisioni inglesi e si finanzia attraverso la vendita di spazi pubblicitari dato che è proibito utilizzare i proventi del canone televisivo per trasmettere fuori dal paese.
I quotidiani hanno cercato con maggiore o minor successo di sfruttare il
loro marchio e di estendere il loro mercato ricorrendo alle nuove tecnologie:
hanno, infatti, messo a disposizione del pubblico i loro archivi su CD-ROM e
si sono corredati di testate elettroniche accessibili attraverso Internet. In tali attività il Guardian ha avuto un particolare successo, al punto che il suo sito
«Guardian Unlimited» ha più lettori di quanti non ne abbia il quotidiano cartaceo (che viene distribuito anche in altri paesi europei e ha un supplemento
settimanale, il Guardian Weekly, diffuso in tutto il mondo). Tali attività, non
solo contribuiscono al prestigio del giornale presso i lettori, ma sono anche
molto appetibili per gli acquirenti di spazi pubblicitari.
ATTIVITÀ 7.1
Sulla base di quanto abbiamo detto, come si possono classificare i periodici? Il fatto che anch’essi si basino sulla vendita di spazi pubblicitari fa sì che possano essere considerati analoghi ai quotidiani e alle televisioni? Oppure i costi relativamente elevati e il fatto che i loro
prodotti sono raccolti e conservati nel tempo permette di trattarli come i film e la musica?
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
183
I sei stadi della produzione dei media
Qualunque sia la natura del loro prodotto e il settore industriale cui appartengono, il processo di produzione dei media presenta delle caratteristiche
comuni ed è necessario riflettere sui vari stadi che tale processo segue e che
sono elencati in ordine cronologico nel box grigio che presenteremo tra poche righe. La terminologia utilizzata può essere diversa a seconda del settore
preso in considerazione, ma la produzione cinematografica è quella che è stata studiata più a fondo e pertanto, almeno in questa sede, ci avvarremo di
quanto si sa in materia per illustrare i problemi relativi al processo di produzione; torneremo comunque a occuparci della produzione nel successivo
Capitolo 11.
I sei stadi della produzione dei media
•
•
•
•
•
•
Combinare un affare
Preproduzione e preparazione
Produzione
Postproduzione
Distribuzione e marketing
Proiezione/commercializzazione
Come si combinano gli affari nella Hollywood di oggi
L’industria cinematografica di tutto il mondo è dominata da un gruppo di dimensioni estremamente ridotte di grandi imprese che continuano a essere
chiamate «studi cinematografici», anche se non sono più proprietarie di veri e
propri teatri di posa e si occupano in realtà solo del finanziamento e della distribuzione di pellicole prodotte da imprese indipendenti di dimensioni minori.
Il film nasce come un’«idea» che viene «venduta» (1) a uno dei grandi «studi».
È concepito come un’iniziativa individuale e il compito del produttore è quello
di mettere assieme un «pacchetto» che comprende un soggetto, degli attori, un
regista e una squadra di professionisti. I fondi necessari possono essere reperiti
in diversi modi, ma, quando sono necessari finanziamenti ingenti, in genere
viene coinvolto uno dei grandi «studi».
Gli studi o major di Hollywood
•
•
•
•
•
•
Warner Bros
Sony Pictures
Universal
Disney
Paramount
20th Century Fox
(1) N.d.T. Il termine inglese è «pitch» e possiede molti significati, ma in questo caso va letto come «offerto con insistenza, propagandato».
Le sei major di Hollywood
esistono da più di 70 anni.
Le industrie che dispongono
di marchi altrettanto noti sono
poche ed è lo sfruttamento
di tali marchi per la distribuzione
nel mondo di film (e di video) ciò
che conferisce loro un vantaggio
rispetto al folto gruppo dei
concorrenti di minori dimensioni.
184
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
ATTIVITÀ 7.2
Le major
Fate una breve ricerca su Internet cercando di ricostruire la storie delle attuali major.
Cercate di trovare:
• Quando è comparso per la prima volta il loro famosissimo logo e se da allora è
stato più o meno cambiato;
• Quali altri prodotti sono commercializzati con il loro marchio?
• Avete visto qualche film in cui il logo sia stato modificato per adattarlo al tema o
allo stile del film?
Nel luglio del 2005 è corsa voce
che l’NBC/Universal si stesse
preparando a lanciare un’offerta
per l’acquisto dello studio
di produzione DreamWorks
(Guardian, 29 luglio 2005).
Questi sei studi cinematografici, noti nell’ambiente del cinema come majors, fanno tutti parte di conglomerati (2) attivi nel settore dei media e sono
membri della MPAA (Motion Pictures Association of America, Associazione
americana cinema). Questi studi sono tuttora molto potenti non perché girino film, ma, piuttosto, perché ne controllano la distribuzione e hanno nei
loro magazzini una enorme quantità di film prodotti in passato (in prevalenza tra il 1930 e il 1960, quando a Hollywood esisteva il cosiddetto «sistema
degli studi»). L’MGM/UA è ancora considerata un studio a sé, ma è stata acquistata dalla Sony nel 2004. La DreamWorks, lo studio cinematografico fondato nel 1994 da Steven Spielberg, Jeffrey Katzenberg e David Geffen, è molto attivo nella produzione di film, ma ha una propria rete di distribuzione che
copre solo l’America del Nord e non è quindi considerata tra le major dalla
MPAA. La New Line, che ha prodotto film di grandissimo successo, come la
trilogia de Il signore degli anelli è, come molti altri studi cinematografici considerati «indipendenti» dalla MPAA, di proprietà di una delle major (la Time
Warner).
La MPAA e il suo «braccio» internazionale, la MPA (Motion Pictures Association,
Associazione cinematografica) funzionano da «organo di rappresentanza di settore» per Hollywood e difendono gli interessi degli studi più importanti specie per
quanto riguarda i possibili atti di pirateria; la MPAA gestisce anche il meccanismo
che classifica i film e i DVD negli Stati Uniti. Il Presidente della MPAA è il «portavoce» ufficiale delle major. Negli Stati Uniti si girano ogni anno più di 600 film, dei quali
non più di 200 o 300 sono prodotti da associati della MPAA; ciò nonostante, quasi
tutti i dati statistici pubblicati a proposito della cinematografia statunitense riguarda
solo questa minoranza di pellicole.
L’idea da cui parte un film può avere molte origini, ma perché possa destare
l’interesse degli studi cinematografici, tenuto conto dell’atmosfera relativamente poco avventurosa che prevale a Hollywood, è molto probabile che debba essere in grado di ricollegarsi al successo ottenuto nel passato da uno degli elementi della proposta; ad esempio, può trattarsi:
(2) N.d.T. Un «conglomerato» è un gruppo di imprese dotate di personalità giuridica distinta e impegnate in attività diverse, ma controllate da uno stesso gruppo finanziario; in
questo caso le attività hanno tutte a che fare con la produzione e il marketing di mezzi di
comunicazione; ma esistono anche conglomerati che spaziano in settori industriali molto
più diversificati.
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
• del seguito (sequel ) di un film che ha avuto un grande successo in termini di
incassi (ne sono esempi i veri e propri seguiti, come Spiderman 2, USA,
2004), oppure nuovi episodi di una serie protetta da diritti d’autore (franchise), come quelle di Harry Potter o James Bond;
• un remake di un film di successo prodotto in un altro paese: Ringu (Giappone, 1998) è stato rifatto negli Stati Uniti come The Ring (USA, 2002);
• dell’adattamento di un grande successo editoriale (bestseller): ne sono un
esempio i film basati sui romanzi di John Grisham;
• della sceneggiatura originale di un autore che ha vinto un premio importante:
come, ad esempio, Sofia Coppola che ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale per Lost in Translation, L’amore tradotto (USA, 2003);
• di una storia originale che proviene da una coppia formata da un regista e
una stella di successo, quale quella costituita da Steven Soderbergh e George
Clooney;
• di una variazione innovativa a un ciclo di film di genere di grande popolarità: si pensi a film come Troy (USA/Malta/GB, 2004) che si colloca sulla scia
de Il gladiatore (USA/GB, 2000);
• di una qualsiasi combinazione degli elementi che abbiamo elencato in precedenza.
Non sempre è facile capire perché uno di questi affari «sembrava al momento
essere una buona idea» (e ha invece portato a un insuccesso). Dal momento in
cui si combina l’affare al momento in cui il film è finito possono passare anche
due o tre anni e durante tale intervallo è possibile che la «stella di prima grandezza» coinvolta nel progetto sia scomparsa dalle luci della ribalta oppure che i
gusti del pubblico siano cambiati. Chi produce film deve decidere, sulla base
della sua esperienza, cosa piacerà al pubblico tra un anno o più e investire sulla
sua decisione grandi somme di denaro.
Si tratta in sostanza di una scommessa effettuata da finanzieri che agiscono
in genere con grande prudenza, ma che, quando si tratta di film, sono disposti a correre grandissimi rischi, anche se la probabilità di ottenere incassi elevati al botteghino delle sale cinematografiche sono scarse: la maggior parte dei
film comporta una perdita al momento della proiezione. Complessivamente i
costi dei nuovi film di Hollywood sono spesso di ammontare di poco inferiori ai ricavi di tali film al botteghino delle sale cinematografiche. Ma questo
non toglie che, per tutta un serie di buoni motivi, Hollywood continui ad
avere profitti.
Ognuno dei grandi studi cinematografici di Hollywood finanzia ogni anno
sette o otto film «importanti», cioè film che costano 70 milioni di dollari o
più, con l’obiettivo che almeno uno si riveli un «successone» (smash hit) durante le due «alte stagioni» che negli Stati Uniti vanno rispettivamente da
maggio ad agosto e dal Giorno dei ringraziamento (seconda metà di
Novembre) a Natale; alcuni studiosi li chiamano «film a budget super alto»,
ultra-high-budget (si veda Maltby, 1998). Ma, con ogni probabilità, ognuna
delle major metterà sul mercato anche all’incirca una dozzina di film di costo
medio (tra i 20 e i 30 milioni di dollari). Al costo vero e proprio della produzione di ciascun film bisogna poi aggiungere un 50% circa di spese per
stampe e pubblicità (P&A, Prints and Advertising), il che significa che, in
media, il costo di ogni film a budget elevato si aggira sui 100 milioni di dollari. Complessivamente quindi i costi arrivano al miliardo di dollari e questo
significa che almeno uno dei film prodotti deve essere un «campione di incas-
185
Un altro termine per parlare
di questi film è tentpole
(letteralmente «pali di sostegno
del tendone») movie,
probabilmente perché si spera
che tra di essi ce ne sia uno
che incassi abbastanza per tenere
in piedi tutta la baracca, proprio
come il palo di sostegno centrale
è quello che tiene in piedi
il tendone del circo. È uno dei
termini gergali impiegati dalla
famosa rivista Variety, dedicata
al mondo dell’intrattenimento
e dello spettacolo.
Quando le major possedevano
anche catene di sale
cinematografiche negli anni Trenta
e Quaranta del Novecento, gran
parte dei loro profitti derivava
da queste.
186
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
si», cioè «portare a casa» almeno 200 milioni di dollari, perché lo studio possa coprire i costi. Se lo studio ha un colpo di fortuna e riesce a produrre un
«recordman di incassi» (ad esempio, Titanic, che nel 1998 ha incassato un miliardo e 800 milioni di dollari) i profitti possono essere notevoli (i costi di
produzione e di distribuzione di Titanic sono stati così elevati che si sono dovute coalizzare due delle major). Ma molti film si rivelano un fallimento totale al botteghino: nel 2004 Catwoman con Halle Berry, prodotto dalla Warner
Bros ha reso per vendita dei biglietti nel Nord America solo circa 40 milioni
di dollari a fronte di costi per la produzione e il marketing di oltre 130 milioni di dollari.
FIGURA 7.2 Illustrazione tratta da «The Business: Understanding Filmmaking» nel sito Web www.skillset.org./film/business a cura
della Skillset e del UK Film Council’s Lottery Fund. Disegni di David Allcock.
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
187
Il noleggio dei film
Nell’industria cinematografica è molto diffusa l’abitudine di rendere note le cifre
relative agli incassi che compaiono nella classifica dei primi dieci della settimana e
che sono pubblicate sui quotidiani e diffuse su Internet (si veda www.boxofficeguru.com). Ma tali cifre non rispecchiano fedelmente la redditività. Il «noleggio»
(cioè il compenso che chi vuole proiettare il film paga al distributore) è molto elevato nelle prime settimane e diviene poi sempre più basso. Circa il 50% degli incassi resta alla sala e quindi un introito di 100 milioni di dollari al botteghino significa che solo 50 milioni di dollari entrano nelle casse del distributore (in genere lo
studio che ha prodotto il film). Questo spiega il motivo per cui solo con gli incassi effettuati all’estero e quelli secondari (ancillary) il film può raggiungere il pareggio o produrre utili.
L’esempio più clamoroso di incassi fallimentari è stato l’epico western
Heaven’s Gate uscito nel 1980. Le perdite sono state tali da provocare il crollo
dello studio che lo aveva prodotto, l’United Artists, che ora è solo un vago ricordo. Ma questo è successo quando le major erano ancora molto vulnerabili;
oggi esse godono di maggiore stabilità e ciò si deve a due fattori che hanno incominciato a prendere piede negli anni Novanta:
• l’accresciuta importanza del mercato internazionale delle proiezioni cinematografiche dal quale oggi provengono ricavi sistematicamente maggiori di
quelli che provengono dall’America del Nord (il mercato nazionale);
• lo sviluppo dei mercati secondari che si riferiscono agli incassi provenienti
dalla vendita o noleggio delle videocassette, dalla televisione a pagamento, dai
videogiochi e dal merchandising che oggi sono più importanti come criterio
per valutare il successo di un film di quanto non sia il metro tradizionalmente
utilizzato e cioè gli incassi al botteghino nelle sale dell’America del Nord.
Questo vale anche per i film prodotti in Gran Bretagna: al primo posto vengono gli incassi provenienti dalla televisione satellitare o via cavo, poi quelli che
provengono dalla vendita di videocassette o DVD. Negli ultimi tempi gli incassi delle sale cinematografiche sono tornati a crescere e ora hanno raggiunto
un livello comparabile a quello che scaturisce dalla vendita o dal noleggio delle
videocassette/DVD. Si vedano i dati riportati dal BFI Handbook, che viene
pubblicato ogni anno, o i dati pubblicati dal Film Council inglese.
Fidarsi di Alexander
Agli inizi del 2005 la versione della storia di Alessandro Magno diretta da Oliver
Stone è stata diffusa nell’America del Nord tra il dileggio dei critici. Il risultato disastroso di questo film molto costoso (155 milioni di dollari per costi di produzione
a fronte di incassi nei botteghini americani di soli 35 milioni) ha inferto un colpo
gravissimo al produttore indipendente anglo-tedesco, relativamente piccolo, che
aveva rischiato molto per realizzare il film. Ma, invece di accettare la sconfitta,
Intermedia lo ha lanciato sul mercato internazionale, sapendo che i film storici del
genere epico (come Troy) rendono in genere di più nelle altre parti del mondo. Gli
incassi complessivi sono stati di 168 milioni di dollari che hanno fatto del film, se
non un grande successo, certo non l’insuccesso completo che ci sarebbe stato senza i mercati internazionali.
United Artists: la triste storia
del declino di questo studio
cinematografico è raccontata
da un dei migliori libri dedicati
alle major, Final Cut di Steven Bach
(1985).
I grandi studi di produzione
cercano di vendere i loro film
dovunque.A volte avere un attore
straniero aiuta a lanciare il film
dove recita nel suo paese.
La Warner Bros ha utilizzato
Ken Watanabe come fulcro di una
campagna di marketing effettuata
in Giappone dove i precedenti
film di Batman avevano reso meno
del previsto.
188
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
FIGURA 7.3 Cartelloni pubblicitari di film di Hollywood proiettati nell’estate del 2003 in una località
di villeggiatura della Croazia.
Tutto questo fa sì che ora sia più facile che anche i film di budget elevatissimo possano finire in attivo. Richard Maltby valuta che, attualmente, circa la
metà dei «grandi» film produca guadagni, mentre, prima che venissero introdotte le videocassette, ciò avveniva solo nel 10% dei casi. Dal punto di vista
economico, questo comporta che attualmente gli studi cinematografici possono contare su incassi provenienti dai film di successo che si diluiscono in un
periodo di tempo molto lungo e che garantiscono un certo «flusso» di ricavi
anche negli anni in cui i film prodotti hanno reso molto poco. È questo che
permette loro di sopravvivere e di spingere fuori dal mercato i concorrenti investendo cifre sempre maggiori nella produzione.
Ma questo riguarda solo i film che sono chiamati di «high concept» («di serie A»). Secondo Justin Wyatt (1994, pag. 8) si tratta di film il cui «stile di produzione risente in modo particolare degli effetti dei fattori economici e istituzionali». Si parla di «high concept» quando:
• il tentativo di vendere l’idea (pitching) al grande studio può dimostrare attraverso ricerche di mercato che il film piacerà o, addirittura, può esibire dei
dati di «prevendita»;
• l’idea su cui il film si basa può essere riassunta in modo efficace in poche parole (al massimo 25, secondo Steven Spielberg);
• viene condotta una campagna pubblicitaria «a tappeto» (si veda Branston,
2000, pag. 48).
I sei punti che abbiamo elencato all’inizio di questo paragrafo si riferiscono a
quelle che rappresentano le basi del processo di produzione (ad esempio, il fatto che è necessario poter fare riferimento a un precedente successo) e, aggiungendo a quello che si può dedurre da essi, la scelta di star di primo piano e una
buona dose di effetti spettacolari, voi dovreste a questo punto essere in grado
di cercare di «vendere» le vostre idee.
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
189
ATTIVITÀ 7.3
La vendita dell’idea
Avete un’idea per un film che abbia buone probabilità di suscitare l’interesse di uno
studio cinematografico di Hollywood?
• Rileggete tutto quello che abbiamo scritto nel corso delle ultime pagine e cercate
di mettere a punto l’idea seguendo i suggerimenti dati;
• Riflettete a lungo sugli attori che secondo voi sarebbero più adatti per il film e, si
tratta della cosa più importante, cercate di sintetizzare la vostra proposta in non più
di una riga (ad esempio: Alien = Lo squalo nello spazio);
• Mettete alla prova il vostro progetto parlandone a un amico. Risulta convincente?
Questo strano mondo in cui i produttori si sentono più sicuri se il film è costoso comporta che i finanziatori diffidino dei film di basso costo. Pertanto può
succedere che il budget previsto venga inflazionato in modo che si avvicini alla
media del settore (una forma di «vincolo istituzionale»?) e che vengano ingaggiate delle stelle che richiedono compensi elevati, anche se non ve ne è necessità. I
film considerati «a budget elevato» in Europa (che prevedono costi tra i 10 e i 20
milioni di dollari) sono automaticamente considerati «piccoli» a Hollywood, e
quindi tendono a essere trascurati dai distributori dell’America del Nord.
Esistono piccoli produttori e distributori indipendenti che riescono ad avere
successo anche senza cadere nelle mani dei grandi studi. A volte ciò avviene
perché sono in grado di accorgersi dell’esistenza di nuovi mercati prima di questi, oppure perché sono disposti ad affrontare argomenti «scabrosi» o addirittura a rivolgersi a pubblici «difficili». Ancora oggi è possibile produrre film a basso costo e venderli su mercati con caratteristiche particolari senza ricorrere alle
costose attività di riproduzione e promozione utilizzate dalle major, ma la cosa
sta diventando sempre più difficile. Alla fine degli anni Novanta la maggior
parte dei produttori indipendenti di successo era stata «assorbita» dai grandi
studi che hanno continuato a gestirli come se si trattasse di imprese autonome
per sfruttare la loro reputazione di «indipendenza» e, forse, anche per utilizzarli
come reparti di «Ricerca e sviluppo» (R&D) a loro beneficio (si veda Wyatt,
1998, a proposito della Miramax e della New Line).
«Ci sono due tipi di film che un “indipendente” può produrre oggi. Ci sono i grandi
film, che si possono fare disponendo dei diritti e di un “pacchetto”, che interessano i
grandi studi, e i film molto piccoli, quelli che costano meno di 20 milioni di dollari»
(Moritz Borman di Intermedia, Screen International, 8 aprile 2005).
Tenuto conto di quello che abbiamo detto sinora, non è affatto strano che
questa fase del processo possa essere anche molto lunga e che i soggetti passino per le mani dei dirigenti di molti studi cinematografici prima di essere approvati. A volte il periodo di gestazione di certi film si protrae per dieci anni
o più. Durante tale periodo, è possibile che somme notevoli di denaro siano
investite (e giustificate come «spese di sviluppo») da uno degli studi per acquistare un’opzione sui diritti relativi all’idea iniziale (quella che in gergo si
chiama la «proprietà») prima ancora che sia stato girato un metro di pellicola.
Ciò che gli autori temono di più è di finire «in riserva» (turnaround ), cioè in
una specie di limbo popolato da progetti per film che restano in sospeso sino
a quando non si fa vivo un altro studio disposto ad acquistare l’opzione sui di-
Questa attività è stata oggetto
di una brillante rappresentazione
satirica nel film di Robert Altman
I protagonisti (The Player, USA,
1992).
190
Parte I Concetti chiave
Il produttore Andrew Eaton
e il regista Michael Winterbottom,
suo socio, sono stati chiamati
i «guerriglieri della produzione»
perché non tengono conto della
maggior parte delle convenzioni
della cinematografia di Hollywood:
effettuano le riprese per strada,
utilizzano squadre di tecnici
ridotte al minimo e spesso
improvvisano durante la ripresa;
la cosa sembra aver scandalizzato
molto attori di Hollywood come
Tim Robbins, scritturato per
Codice 46 (Code 46, GB, 2003).
ritti (rimborsando al primo proprietario quanto questi ha già speso in attività
di sviluppo). A volte ci si meraviglia che ci siano dei film che riescano a giungere sugli schermi.
© 978-88-08-19263-9
La preproduzione
Anche dopo che il progetto è stato accettato, chi si occupa della produzione ha
molte cose da fare prima che possano iniziare le riprese. Bisogna trovare gli attori (anche se i protagonisti sono stati, con ogni probabilità, già scelti al momento della stesura del progetto), scegliere le località dove il film sarà girato,
effettuare studi sui costumi di scena, ingaggiare dialoghisti (dialog coaches) e
addestratori di animali (wranglers), prenotare camere d’albergo, e così via. Tutto ciò può richiedere molti mesi e duFIGURA 7.4 Schema del budget di un tipico film
rante questo periodo di tempo si continua a mettere a pundi Hollywood. Le cifre sono quelle riportate da Premiere
nel numero di luglio del 2000.
to la sceneggiatura ed è anche possibile che si cambi il regista. Viene poi fissata una data di inizio per le riprese che vieMilioni
ne diffusa dalla stampa specializzata (Hollywood Reporter,
di dollari
Variety, ecc.) e finalmente entreranno in funzione le macCosti diretti (ATL, above the line)
chine da presa (anche se, a volte, tutto il progetto abortisce
Soggetto
1,00
Retribuzione sceneggiatore
1,00
anche in questa fase).
Retribuzione produttore
2,50
Questo periodo di preparazione è essenziale per la produRetribuzione regista
2,50
zione
di Hollywood e, secondo molti osservatori, l’attività
Retribuzione attori
26,00
di
messa
a punto della sceneggiatura e di stesura dei copioni
Stuntmen
0,50
Vitto e alloggio
1,00
(storyboards) per le sequenze di azione che vi si svolgono
sono determinanti per la qualità del prodotto finale. Ma
Totale costi diretti
34,50
quello che abbiamo descritto non è l’unico modo per proCosti indiretti (BTL, below the line)
durre un film. Molti film ben conosciuti girati in Europa o
Comparse e figuranti
0,75
dai produttori indipendenti statunitensi sono stati prodotti
Guardaroba, trucco, ecc.
1,70
senza che esistesse una stesura definitiva della sceneggiatura.
Macchina da ripresa e pellicola
1,50
Scenari
3,00
A questo punto il produttore dovrebbe essere in grado di
Attività di ripresa
1,00
calcolare quanto il film verrà a costare, e sarà possibile conIlluminazione
0,50
trollare che tale budget sia rispettato nelle fasi successive. Se
Suoni
0,13
diviene evidente che i costi saranno superiori a quelli previEffetti speciali («fisici»: neve, ecc)
0,25
Disponibilità di luoghi adatti (location)
0,60
sti, può succedere che la sceneggiatura sia cambiata. La
Trasporto
1,75
Figura 7.4 mostra come si costruisce e presenta un budget: i
Seconda unità di ripresa
0,90
«costi diretti» (below the line) sono i costi della produzione
Vitto e alloggio indiretto
1,40
vera e propria, i «costi indiretti» (above the line) hanno a che
Postproduzione
fare con le risorse creative.
Effetti digitali
0,10
Editing (taglio e montaggio)
Titoli
Musiche
Sonoro
Proiezioni preliminari (previews)
Laboratorio di sviluppo
Messa a punto e altri costi
Assicurazioni, diritti d’autore, royalties
Eventi pubblicitari
Altre spese
1,50
0,10
1,20
0,60
0,10
0,25
0,40
0,10
0,10
Totale costi indiretti
17,93
Totale generale
52,43
La produzione
Questo stadio viene spesso chiamato principal photography (riprese principali) e con ogni probabilità è lo stadio
di minore durata. Le riprese dei film di oggi si concludono
in circa 50 giorni (in ciascuno dei quali si girano due o tre
minuti di azione) con variazioni che dipendono dalla esigenze della sceneggiatura. I film girati in economia (low
budget movies) cercano di dimezzare questo tempo, ricorren-
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
do a uno sfruttamento accurato delle scene e a una sceneggiatura molto dettagliata e fatta rispettare accuratamente. I registi più efficienti sono quelli che
riescono a rispettare il budget o addirittura a risparmiare. Fare restare la troupe
nella località dove vengono effettuate le riprese (location) anche solo un giorno
in più di quanto preventivato può rendere il film parecchio più costoso e, pertanto, i registi e i tecnici che si sono dimostrati capaci di attenersi al calendario
dei lavori sono quelli più ricercati.
Le scene in cui sono previsti effetti speciali che coinvolgono attori possono
creare difficoltà e quindi richiedere che si ricorra ai teatri di posa o ai laboratori
specializzati; altre sono invece girate nei luoghi dove la manodopera è meno
costosa o i costi per ottenere permessi (ad esempio, di utilizzare edifici famosi
o località particolari) o le tasse sono minori. Gli studi di Hollywood hanno a
più riprese girato i loro film negli stati della costa orientale degli Stati Uniti
(Florida, Georgia, Alabama), nel Canada, in Europa e, negli ultimi tempi, nei
paesi che si affacciano sull’oceano Indiano.
Le riprese (shooting) sono l’aspetto più visibile di tutto il processo di produzione, e spesso sono loro stesse filmate in modo che possano essere utilizzate
per ricavarne pubblicità indiretta (ad esempio, documentari televisivi su «come
si fa un film» di frequente inseriti come «extra» sui DVD). Si tratta quindi della fase che interessa di più il pubblico. Durante le riprese molto denaro è speso
nella località in cui si gira, e tutto questo fa sì che le autorità locali si diano
molto da fare per attirare le produzioni degli studi di Hollywood.
I servizi necessari alla produzione
Il processo di produzione di un film richiede che sia possibile utilizzare molti servizi
specializzati. Sia le riprese che le attività di postproduzione hanno bisogno di attrezzature complesse dal punto di vista tecnologico (macchine da presa, obiettivi, riflettori e sostegni mobili per le prime e apparecchiature per l’editing e il montaggio per
il secondo) e sono attività che richiedono forti investimenti e una stretta collaborazione tra coloro che fanno il film e il personale tecnico. Gli studi più importanti hanno cercato di mantenere questi rapporti e, in molti casi, si sono spinti ad acquistare
partecipazioni nelle imprese che si occupano della fornitura dei servizi.
I servizi di questo tipo e di altro genere (finanziamento, assistenza legale, attività
di promozione) sono disponibili in quantità a Los Angeles. Questo fa sì che le relative attività continuino a svolgersi negli Stati Uniti, mentre il lavoro di produzione non
specializzato tende a spostarsi nei paesi in cui il costo del lavoro è minore. Il fatto
che molti servizi per la cinematografia siano concentrati a Los Angeles contribuisce
a cementare l’appartenenza comunitaria a Hollywood (una cosa che non tutti gli
addetti ai lavori apprezzano).
La postproduzione
Probabilmente si tratta della fase che richiede più tempo: fare il montaggio del
film. Secondo alcuni è in questa fase che viene creata la «narrazione», cioè viene
costruito ciò che il film ci racconterà. A volte i rapporti tra il regista e chi si occupa del montaggio (e/o dei tagli) sono relativamente scarsi, ma in altri casi la collaborazione è continua e molto stretta: Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker
lavorano assieme molti mesi per mettere a punto un film.
191
192
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
Negli ultimi dieci anni si è attribuita sempre più importanza alla colonna
sonora delle pellicole e questo ha ulteriormente allungato i tempi della fase di
postproduzione: si spende più tempo nel mettere a punto i dialoghi attraverso
il «looping» o la «sostituzione automatica dei dialoghi» (ADR, Automatic
Dialogue Replacement: gli attori registrano più volte le loro battute osservando
attentamente quello che fanno in una scena sino a quando non si registra una
perfetta sintonia tra il movimento delle labbra e i suoni), e si aggiungono effetti sonori con lo studio Foley. Sempre in questa fase si aggiungono gli effetti
speciali di tipo visivo. Una volta che la pellicola è completata, la si passa ai laboratori specializzati per la messa a punto del colore e per ultimi ritocchi necessari per ottenere una copia adatta alla proiezione. Oggi si ricorre sempre più
spesso all’uso di tecnologie digitali il che permette di ridurre i costi, ma può
anche richiedere molto lavoro per la «standardizzazione» necessaria per potere
proiettare il film nella sale e costruire i DVD.
Distribuzione e marketing
La MGM/UA è stata comperata
dalla Sony nel 2005. Controllate
chi sta distribuendo attualmente
in Gran Bretagna i film della
MGM/UA.
Ognuna delle fasi del processo è importante. Il successo di un film può dipendere da come è trattato e da chi lo distribuisce almeno nella misura in cui dipende dalla qualità del film stesso; anzi molti esperti del settore sostengono che
coloro che controllano la distribuzione sono quelli che in realtà controllano
l’industria cinematografica. I distributori svolgono attività di promozione e
vendita dei film sul territorio di loro competenza, e contrattano con chi si occupa della proiezione le modalità di diffusione dei film. La distribuzione della
maggior parte dei film di budget elevato prodotti dalle major di Hollywood è
curata direttamente dagli stessi studi. Nell’America settentrionale ciascuno dei
grandi studi televisivi distribuisce le proprie pellicole. In Gran Bretagna, la
Paramount e la Universal, assieme alla MGM-UA, sono comproprietarie della
principale catena di distribuzione, la UIP. Negli altri paesi del mondo importanti come mercati per i film, le major stringono accordi con uno o più distributori locali, ma, con la crescente internalizzazione dei mercati, sempre più
spesso aprono proprie filiali in ogni paese.
Nel 2004 le major, attraverso le reti di distribuzioni controllate dai singoli
studi o attraverso accordi di collaborazione, hanno coperto circa l’80% del
mercato statunitense e canadese. Anche nel resto del mondo i film americani
costituiscono la maggioranza di quelli che vengono proiettati; fanno eccezione
la Cina e l’India, ma anche qui sta aumentando la penetrazione dei prodotti di
Hollywood. Il moltiplicarsi delle sale cinematografiche, specialmente in Europa, nel Sud Est asiatico e nell’America del Sud, ha fatto sì che gli incassi dall’estero siano divenuti all’incirca equivalenti a quelli che provengono dal mercato interno. Per ulteriori dettagli sulla distribuzione, di veda il Capitolo 13.
Per ciò che riguarda i dati che abbiamo appena riportato sui film distribuiti
dalle major, è importante sottolineare che un film la cui realizzazione è costata
70 milioni di dollari e che ne richiede altre 30 milioni per la distribuzione,
deve incassare a sufficienza per coprire anche i costi di chi lo proietta oltre che
quelli di chi lo distribuisce, che può essere lo stesso proprietario dei diritti (si
veda il box grigio dedicato al noleggio delle pellicole a pag. 187). Per realizzare
profitti dalla vendita dei biglietti, un film che è costato 100 milioni di dollari
dovrà avere incassi lordi ai botteghini di 200, o più, milioni di dollari. Nel
7 Le industrie della comunicazione
193
2004 i film che hanno incassato dalle proiezioni in tutto il mondo più di 200
milioni di dollari sono stati 23, ma alcuni di questi sono costati ben più di 200
milioni. Van Helsing ha incassato 300 milioni di dollari, ma ha avuto costi di
oltre 200 milioni per la produzione e il marketing.
Il processo di distribuzione comporta in genere che i film degli studi più
importanti iniziano con una distribuzione allargata che copre contemporaneamente tutte le più importanti città dell’America del Nord (in media le sale
coinvolte sono oltre 3000). Se il film ha successo, viene proiettato per diverse
settimane. La maggior parte degli incassi sono conseguiti nel primo fine settimana, quando l’attività promozionale spinge il pubblico a vedere il film. Se il
film avrà successo o meno spesso lo si capisce da quello che succede in tale periodo. Per tradizione i film di Hollywood erano lanciati inizialmente solo
nell’America del Nord, mentre il lancio negli altri paesi seguiva a distanza di
qualche settimana, se non di mesi. Ma il pericolo che si diffondano copie «pirata» ha fatto sì che qualche film particolarmente importante sia stato lanciato
in contemporanea praticamente in tutto il mondo. Il primo film per il quale si
è ricorsi a questo è stato X2 (USA, 2003), uscito in molti paesi nei giorni intercorrenti tra 30 aprile e il 3 maggio. Nel 2004 la rivista Screen Intenational ha
iniziato a pubblicare una «International Chart», che permette di seguire l’iter
delle proiezioni nelle varie parti del mondo. La strategia di distribuzione alternativa a quella appena descritta è la distribuzione a piattaforma che prevede
che il film sia proiettato all’inizio solo in alcune grandi città e successivamente
distribuito su mercati sempre più ampi sfruttando così il «passaparola» e le recensioni. Questa strategia si è rivelata vincente per molti film poco costosi e
con pretese artistiche, come The Motorcycle Diaries (USA/Argentina/Cile/Germania/Francia/GB, 2004), il film con dialoghi in spagnolo sulla giovinezza di
Che Guevara che alla fine ha incassato negli Stati Uniti 16,7 milioni di dollari,
in parte concentrando la distribuzione nelle città americane con una più ampia
popolazione di immigrati da paesi di lingua spagnola.
Quando il film ha terminato il suo ciclo di proiezione nelle sale, si passa alla
commercilizzione dei DVD, che oggi avviene contemporaneamente su tutti i
mercati sia per la vendita che per il noleggio. Per i DVD gli studi di produzione avevano inizialmente cercato di effettuare una distribuzione scaglionata a
seconda delle diverse aree geografiche (ad esempio, prima la Regione 1 America Settentrionale, poi la Regione 2 Europa, e così via), ma la vendita attraverso Internet (e di copie «pirata») hanno reso inutile questo accorgimento. Segue
A Hollywood si pensava,
in un primo tempo, che
i registratori VCR avrebbero
messo fuori causa l’industria
cinematografica (Gomez, 1992).
Ma, già alla fine degli anni Ottanta,
i ricavi provenienti dalla vendita
e dal noleggio dei video avevano
superato quelli derivanti
dalla vendita dei biglietti.
Oggi sappiamo che il pubblico
è talmente appassionato di cinema
che sono proprio coloro che
comprano o noleggiano i video
(oggi, ovviamente, più spesso
i DVD) quelli che vanno al cinema
più di frequente (Screen
International, 8 marzo 2002).
© 978-88-08-19263-9
FIGURA 7.5
Gael Garcìa Bernal
nella parte di Ernesto
Che Guevera nel film
I diari della motocicletta.
Bernall, messicano,
è riconosciuto come
una star di livello
internazionale e lavora
sia in film commerciali
che in film d’autore.
194
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
poi la trasmissione sui canali di pay-per-view e, infine, dopo che è trascorso un
altro anno, la trasmissione sulla televisione «gratuita».
La proiezione
Il proliferare delle multisale,
prima, negli anni Ottanta,
negli Stati Uniti e successivamente
nel resto del mondo hanno dato
impulso ai film destinati al grande
pubblico e alla vendita
dei prodotti derivati; numerose
multisale sono costruite
all’interno di centri commerciali.
La cultura americana che ama
frequentare i centri commerciali
situati molto lontano dal centro
delle città ha creato seri problemi
di urbanistica, se non altro per
il traffico automobilistico che
ne deriva. Negli ultimi tempi,
in Gran Bretagna si è tornati
a costruire sale cinematografiche
nelle zone centrali delle città.
Negli Stati Uniti è stato impedito agli studi di produzione cinematografica di
possedere grandi catene di sale cinematografiche (conseguenza delle leggi per la
tutela della concorrenza promulgate alla fine degli anni Quaranta; si veda
Maltby, 1995, per una descrizione molto particolareggiata dei mutamenti della
struttura organizzativa degli studi di Hollywood tra il 1930 e il 1950), uno dei
motivi che ha portato al tramonto del «sistema degli studi». Sull’altra sponda
dell’Atlantico la proibizione non esiste e negli ultimi anni la Warner Bros e la
UCI (di proprietà della Paramount e della Universal) hanno costruito numerose multisale in diverse nazioni, tra cui la Gran Bretagna, dove altre imprese
americane, quali la Showcase (proprietà del gruppo National Amusement che
controlla tra l’altro la Viacom/Paramount) provvedono a distribuire film americani. Attualmente, però, Warner Bros e la UCI hanno venduto le loro catene
di sale in Gran Bretagna, considerando conclusa la missione di allargare il mercato dei film di Hollywood.
Il fatto di possedere o controllare tutte le fasi della produzione e della distribuzione è un esempio di integrazione verticale e costituisce un vantaggio per le
major che possono essere sicure che esisteranno sempre sale disponibili quando
hanno film pronti per il lancio. Tale vantaggio non esiste per i produttori indipendenti che cercano di trovare uno sbocco per i loro prodotti. Assieme al costo
elevato della pubblicità e delle attività promozionali in genere, la difficoltà di
trovare sale di proiezioni è uno dei fattori che scoraggiano coloro che vogliono
impegnarsi nella produzione di film (si veda il successivo Capitolo 13 per ciò
che concerne la distribuzione dei film specializzati nel nostro paese).
Le modalità di distribuzione e proiezione delle pellicole cinematografiche in
Gran Bretagna sono molto cambiate da quando hanno preso piede le catene di
sale americane e ora ciò che avviene nel settore è molto più simile a quanto avviene negli altri paesi europei e nell’America del Nord. Sono anche cambiate le
abitudini degli spettatori. Per quanto gli schermi disponibili siano molti di
più, ci sono meno cinematografi (le vecchie sale continuano a chiudere i battenti, mentre le multisale sono sempre più numerose) e praticamente sono
scomparsi dai sobborghi residenziali e dai piccoli centri. Persino nelle grandi
città, è possibile che esista un solo cinematografo: la gente si è abituata a spostarsi per vedere un film e la maggior parte di noi può recarsi in una multisala
(con 10 o più schermi) se è disposto a guidare per una mezzoretta.
Sempre più la proiezione di film si è globalizzata e gli addetti ai lavori si
sono resi conto del fatto che la passione per il cinema è qualcosa che varia da
paese a paese. La Gran Bretagna e l’Irlanda sono considerate parti di uno stesso
mercato e pertanto le statistiche relative alle vendite di biglietti aggregano il
dato relativo alle due nazioni: se si disaggregano i dati, tuttavia, ci si rende conto del fatto che gli irlandesi vanno al cinema più spesso di quanto non facciano
gli inglesi e, in conseguenza di ciò, si investe molto nella costruzione di nuove
multisale in Irlanda. La Gran Bretagna ha quindi meno schermi rispetto a paesi come la Francia (dove esistono più di 5000 sale, mentre in Gran Bretagna, la
cui popolazione è pressappoco la stessa, ne ha solo 3400).
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
195
Il cinema in Irlanda
«La popolazione dell’Eire è di circa 3,9 milioni di abitanti che in media si recano al
cinema 4,5 volte all’anno. L’Irlanda del Nord, invece, ha una popolazione di 1,7 milioni di abitanti e vi si riscontra una frequenza media al cinema di 3,2 visite all’anno»
(Screen International online, 5 febbraio 2004).
«Sei nuove multisale saranno aperte entro l’anno in Irlanda e si calcola che per effetto di ciò le vendite di biglietti potranno aumentare del 20%. L’Eire è uno dei paesi europei nei quali si va più spesso al cinema […] e i centri di proiezione più importanti delle multinazionali del settore, UGC (Cineworld), UCI e Ster Century,
vendono sistematicamente più biglietti in questo paese di quanto non facciano le
corrispondenti sale inglesi» (Screen International online, 1 aprile 2005).
Per ciò che riguarda l’Italia si deve notare che le «prime» non avvengono,
come in altri paesi, in estate quando le grandi città si svuotano. È però possibile che ciò sia destinato a cambiare, man mano che vengono costruite nuove
multisale dotate di aria condizionata destinate ad attirare una nuova generazione di spettatori attratti dalle campagne pubblicitarie lanciate in tutto il mondo
per promuovere i grandi film di Hollywood che escono nella stagione estiva
(ma la tradizione di fare le vacanze d’estate continua a far sì che in agosto la
maggior parte delle sale siano chiuse per ferie).
ATTIVITÀ 7.4
La frequenza dell’andare al cinema
Prendete in considerazioni i dati sulla frequenza delle visite al cinema riportati nelle pagine precedenti.
• Se voi foste proprietari di sale di proiezione, quali fattori prendereste in considerazione per cercare di spiegare le differenze in proposito che esistono tra l’Irlanda del
Nord, l’Inghilterra, il Galles e la Scozia (meno di tre volte all’anno in media) da un
lato e l’Eire dall’altro?
• Quali mutamenti cerchereste di introdurre in Inghilterra?
• Studiate una delle classifiche internazionali riportate da Screen International e cercate di capire quali siano i film che attraggono più pubblico in Gran Bretagna, Francia
e Spagna. Si tratta degli stessi film o ci sono differenze?
Mutamenti di portata ancora maggiore si avranno quando si diffonderà la
proiezione con metodologie digitali che richiederà a tutte le sale di proiezione
di dotarsi di nuove apparecchiature. Quello che è avvenuto in passato quando
è arrivato il CinemaScope (il nuovo formato dello schermo introdotto negli
anni Cinquanta) e con il Dolby Sound (il nuovo sistema sonoro degli anni
Ottanta) dimostra che i mutamenti del genere richiedono molto tempo e che è
difficile convincere i gestori delle sale ad adeguarsi alle innovazioni. Anche la
conversione alla proiezione digitale potrà quindi richiedere tempi lunghi, ma
le nuove sale che verranno costruite saranno corredate sin dall’inizio delle apparecchiature necessarie. Nel marzo del 2005 un gruppo americano, l’Avica, ha
annunciato di essere intenzionata ad aprire in Irlanda una catena di sale attrezzate per la proiezione digitale, mentre progetti meno ambiziosi sono previsti in
Gran Bretagna dal Film Council (Screen International, 30 marzo 2005). Gli
Al vertice della classifica
della frequenza al cinema
si collocano l’Islanda, l’America
del Nord e l’Australia, dove
si contano circa 5 visite al cinema
all’anno per ogni abitante di età
superiore ai 4 anni. In Europa
le visite più frequenti (circa 3
all’anno) si riscontrano in Spagna
e in Francia, mentre in Germania
e in Italia ci si ferma spesso
al di sotto delle 2 visite.
196
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
anni tra il 2006 e il 2010 è probabile siano determinanti per il processo di passaggio alle metodologie digitali delle proiezioni cinematografiche (si veda anche il successivo Capitolo 13).
L’organizzazione della produzione
Dopo aver presentato il modello che descrive le varie fasi del processo di produzione, quali sono i problemi da trattare? Eccone alcuni che si presentano quando
si prendono in considerazione le industrie mediatiche nel loro complesso.
ATTIVITÀ 7.5
Il modello del processo di produzione
Per controllare se avete capito bene il modello a sei stadi, provate ad annotare le cose
da fare per ciascuna delle fasi nel caso della produzione di:
• una nuova rivista per gli appassionati del ballo;
• la prima incisione di un nuovo gruppo musicale.
Potrete avere delle difficoltà nel decidere a quale stadio assegnare una particolare attività, ma la cosa non è preoccupante; il modello non serve a determinare quali siano le
«risposte corrette», ma solo a verificare se lo avete capito. Svolgere questo esercizio
dovrebbe esservi di aiuto sia nei vostri studi che, in seguito, se vi troverete a svolgere
attività di produzione.
Struttura
Qual è l’influenza della struttura dell’industria (cioè come si distribuiscono nei
diversi settori i modelli di proprietà delle imprese di grandi dimensioni e di
quelle piccole) sulla produzione dei prodotti mediatici e su quelli che ne derivano? Due problemi molto importanti hanno a che fare con l’integrazione e la
regolamentazione.
Le diverse forme che possono assumere le imprese
Per studiare le varie industrie attive nel campo dei media dovete capire, almeno a
grandi linee, le strutture economiche. Le imprese che si occupano di media sono
diverse tra di loro e possono assumere una qualsiasi delle seguenti forme.
Settore privato (organizzazioni di proprietà di un singolo o di gruppi di azionisti):
• Imprese individuali: svolge attività connesse ai media come freelance; è spesso un
«libero professionista» che lavora da solo.
• Società di persone senza personalità giurica: imprese di piccole dimensioni che si
occupano di produzione, spesso di proprietà di due o più persone tra le quali
esistono accordi di associazione.
• Società di persone a responsabilità limitata (con personalità giuridica): imprese la cui
proprietà fa capo ad azionisti spesso membri di una stessa famiglia. Si tratta di
imprese delle quali è impossibile comprare in Borsa le azioni. Uno dei grandi
gruppi mediatici, la Viacom, è di proprietà di una società di questo tipo.
• Società per azioni: imprese la cui proprietà fa capo a gruppi di azionisti e le cui
azioni possono essere liberamente comprate o vendute in borsa (sono cioè
quotate); la maggior parte delle grandi organizzazioni che si occupano di media
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
sono oggi controllate in prevalenza da «azionisti istituzionali» quali i fondi pensione o le imprese di assicurazioni.
• Holding: alcune imprese non svolgono attività industriali o commerciali ma hanno
il solo scopo di possedere (o custodire, hold) azioni di altre imprese; l’industria
cinematografica inglese ha visto negli ultimi anni numerosi passaggi di proprietà
della catene di sale cinematografiche a opera di società che hanno il solo scopo
di investire il capitale a loro disposizione in modo da generare profitti (in altre
parole, non sono state costituite per produrre o commerciare beni o servizi).
• Conglomerati: si tratta di società di grandi dimensioni che controllano svariate imprese ciascuna delle quali agisce in un settore industriale diverso; le più importanti tra le imprese attivi nel campo dei media sono conglomerati.
Settore pubblico:
• Imprese del «terzo settore» (volontariato e fondazioni): si tratta di organizzazioni
che «non hanno scopo di lucro, spesso formate da volontari che godono di numerose facilitazioni dal punto di vista giuridico e fiscale (le organizzazioni locali
che si occupano di arte appartengono sovente a questa categoria). La televisione di servizio pubblico negli Stati Uniti riceve donazioni da parte di singoli e da
fondazioni di beneficenza (oltre che aiuti finanziari del governo federale).
• Pubblica amministrazione: alcune delle attività nel campo dei media erano in passato svolte direttamente da funzionari e impiegati della pubblica amministrazione
(in Gran Bretagna, ad esempio, faceva capo alla pubblica amministrazione la regolamentazione delle trasmissioni radiotelevisive), ma oggi la cosa è divenuta
piuttosto rara.
• Imprese pubbliche: si tratta di organizzazioni costituite da un Royal Charter (BBC)
o da una vera e propria legge (Channel 4) che non hanno scopo di lucro (gli
eventuali guadagni devono essere reinvestiti nell’attività, dal momento che non
esistono azionisti).
L’integrazione è la crescita delle organizzazioni attraverso l’acquisizione di altre
organizzazioni della stessa industria. Si parla di integrazione verticale quando
un’impresa che svolge la sua attività in un punto della catena della produzione
acquista il controllo di altre fasi del processo di produzione: ad esempio, quando
uno degli studi di Hollywood viene acquistato da una impresa che gestisce sale
cinematografiche (ad esempio, quando la National Amusements ha comprato la
Paramount dalla Viacom). Un’organizzazione mediatica completamente integrata sarebbe in grado di controllare ogni aspetto del processo di produzione. In
passato ci sono stati casi di quotidiani prodotti da gruppi industriali che possedevano persino gli alberi il cui legno era utilizzato per la produzione della carta.
Si parla invece di integrazione orizzontale quando le organizzazioni attive
nel settore dei media comprano altre imprese che sono loro concorrenti nella
stessa fase del processo produttivo (in teoria, sarebbe possibile un’impresa caratterizzata da un piena integrazione sia verticale che orizzontale, ma questo
vorrebbe dire che tutta l’industria sarebbe controllata da una sola organizzazione). Al termine di un processo di integrazione orizzontale è possibile che
un’organizzazione si trovi a controllare una parte preponderante del mercato
(si parla in questo caso di posizione monopolistica). In genere, però, esiste almeno un concorrente (e questo dà origine ad un duopolio), come si è avuto
per molto tempo in Gran Bretagna nel campo delle sale cinematografiche o in
quello delle trasmissioni televisive sino agli anni Novanta, oppure può esistere
197
In questo capitolo e nel caso
di studio sulle major che lo segue,
spesso diremo che alcune imprese
sono «possedute» o controllate
da altre imprese di dimensioni
maggiori. In molti casi, questo
vuol dire solo che l’impresa più
grande possiede una percentuale
di azioni della più piccola
sufficiente a esercitare influenza
sulle sue decisioni (spesso il 30%
o poco più).
198
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
un numero ristretto di imprese, più o meno delle stesse dimensioni che si dividono il mercato; in quest’ultimo caso si parlerà di oligopolio.
La maggior parte delle industrie mediatiche (anzi la maggior parte di tutte
le industrie di una certa importanza) sono oligopoli.
Gli economisti descrivono la situazione di oligopolio parlando di concorrenza imperfetta (per ulteriori considerazioni sulla concorrenza imperfetta e sul
suo contrario, il «libero mercato», si veda il Capitolo 16). È infatti probabile che
i diversi attori si mettano d’accordo sui livelli di qualità, i prezzi da praticare, i
rapporti da intrattenere con i sindacati, e così via. Dal momento poi che il governo si preoccupa anche delle ripercussioni che può avere sul piano della politica l’esistenza di un monopolio dei media, possono essere erogate sanzioni nel
caso di «integrazione eccessiva». Le preoccupazioni sono divenute più serie man
mano che settori un tempo separati, come l’editoria, le trasmissioni radiotelevisive e la cinematografia, si avvicinano sempre di più. Negli Stati Uniti, in passato, alcuni monopoli sono stati costretti a frammentarsi da sentenze della Corte
Suprema o da decisioni del Department of Justice (l’equivalente del Ministero
di Grazia e Giustizia italiano, N.d.T.). La Microsoft è stata accusata di pratiche
monopolistiche a partire dal 1994 sia negli Stati Uniti che in Europa per la posizione che occupa nel mercato dei sistemi operativi per computer.
ATTIVITÀ 7.6
Ricerca sulla proprietà
Consultate le raccolte di giornali che esistono nella biblioteca della vostra università o
fate una ricerca su Internet per rintracciare i mutamenti che si sono verificati nella
struttura di proprietà e di controllo dei media che hanno visto come protagonisti uno
dei seguenti gruppi: Carlton, Pearson, EMAP. Questo dovrebbe farvi capire meglio la
complessità del mondo degli affari in rapporto ai mezzi di comunicazione.
Per tenere sotto controllo la concentrazione delle varie industrie mediatiche
e impedire pratiche oligopolistiche che riducono la concorrenza si può agire in
due modi:
• si possono costituire organizzazioni mediatiche finanziate e controllate dalla
pubblica amministrazione e responsabili verso il pubblico. In quasi tutte le
nazioni del mondo esistono emittenti (televisive e radiofoniche) pubbliche e
in molte di queste vi sono enti pubblici che svolgono un ruolo importante
nel finanziamento e nella distribuzione di film e di altri prodotti mediatici;
• si possono regolamentare per legge o fare controllare da autorità indipendenti le attività. Le leggi in materia riguardano spesso non solo il divieto di
costituire posizioni monopolistiche mediante acquisizioni o fusioni, ma anche la gamma e la «qualità sul piano tecnico» di prodotti e, a volte, persino i
contenuti (si veda il Capitolo 16).
Collocazione territoriale e globalizzazione
La collocazione geografica delle industrie mediatiche è importante per due
motivi:
• dal momento che si tratta di un settore dell’economia che dà lavoro a molta
gente (in alcuni paesi europei può essere addirittura il datore di lavoro più
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
rilevante), la localizzazione dei processi produttivi dei media è oggetto di
discussione in molti paesi nei quali quello che viene speso dalle industrie
mediatiche è un fattore molto importante nell’economia delle varie parti del
territorio;
• se tutti coloro che producono media sono collocati nella stessa regione, è
probabile che i loro prodotti risentano dell’influenza della cultura prevalente
in quella parte del paese che può non coincidere con quella dei consumatori
dei media che risiedono altrove, anche all’interno della stessa nazione.
Gli studi di Hollywood sono sempre stati orgogliosi del fatto che i loro prodotti
erano apprezzati in tutto il mondo. Eppure, almeno per ciò che concerne le altre
parti degli Stati Uniti, tali studi hanno sempre prestato grande attenzione ai
contenuti dei loro prodotti, per evitare che risultassero offensivi per le regioni
più conservatrici della nazione. Naturalmente ciò ha comportato che per molto
tempo i film di Hollywood abbiano tollerato quella specie di apartheid che prevaleva negli stati del Sud. Mantenere una posizione di equilibrio (tra le parti del
paese dove prevalgono atteggiamenti progressisti e quelle a cultura più tradizionale) è difficile. I film e i programmi televisivi sono in genere finanziati da istituzioni che hanno sede a New York e sono prodotti a Los Angeles e questo asse bipolare ha, da sempre, dominato i media americani. La comparsa di Ted Turner,
un nuovo attore le cui attività (specialmente la CNN) erano localizzate ad
Atlanta, è stata quindi molto importante. La fascia meridionale degli Stati Uniti,
quella che si estende dalla Florida al New Mexico, è sia una regione che ha tassi
di sviluppo economico molto elevati che atteggiamenti politici improntati al
conservatorismo (oggi si parla di neoconservatorismo) e una parte rilevante della
popolazione originaria da paesi di lingua spagnola. Il fenomeno dei talk show
radiofonici condotti da shock jocks (si potrebbe tradurre con «cacciatori di scandali», N.d.T.) moralisti è un altro sintomo di quello che sta cambiando nella distribuzione geografica dei media statunitensi.
Per ciò che riguarda la Gran Bretagna, la concentrazione della produzione
dei media a Londra e, più in generale, nel Sud Est del paese, ha causato molte
accuse di «pregiudizio (bias) metropolitano». Lo sviluppo e la diffusione di un
nuovo modo di parlare (il cosiddetto «inglese dell’estuario» [del Tamigi]) è stato attribuito alla prevalenza di commentatori residenti a Londra e questo ha
comportato che, nel corso della ristrutturazione che ha riguardato sia la BBC
che l’ITV, grande attenzione venisse posta nella distribuzione tra le varie regioni della attività di produzione. Qualcosa del genere si è fatto anche per i quotidiani nazionali che un tempo avevano redazioni regionali di grande importanza: Manchester, ad esempio, era la sede di molti grandi quotidiani, tra cui il
Manchester Guardian che si è poi trasferito a Londra.
Per ciò che concerne la localizzazione dei media la preoccupazione più importante, però, è sempre stata quella che la produzione mediatica di un paese
possa essere completamente controllata da un altro paese. Questo sarebbe grave sia per i media dell’informazione che per quelli che sono considerati importanti per l’identità culturale nazionale. È stato osservato che la diffusione dei
«notiziari internazionali», come quelli della CNN, ha avuto effetti positivi in
quei paesi dove esistono regimi dittatoriali che possono mettere il bavaglio ai
mezzi di comunicazione nazionali, ma non possono impedire l’ingresso all’afflusso d’immagini televisive trasmesse dai satelliti (o le trasmissioni radiofoniche, come il World Service della BBC). D’altra parte, in molti paesi dell’Occidente sono state espresse preoccupazioni per il fatto che esistono stranieri che
199
Il Guardian ha reagito alle critiche
cambiando la testata per l’edizione
destinata all’Inghilterra
settentrionale che, dal 2000,
è divenuta The Guardian North.
200
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
FIGURA 7.6 La nuova carta
meteorologica digitale utilizzata
dalla BBC a partire dal 2005 è stata
immediatamente oggetto di critiche
perché il rendering tridimensionale
di una panoramica delle isole
britanniche faceva sì che tutta
la parte settentrionale delle stesse,
e in particolare la Scozia, apparisse
più piccola di quanto non sia
in effetti.
FIGURA 7.7 La sede della BBC
North in Oxford Road nel centro
di Manchester. Nel piano
di riorganizzazione della BBC
annunciato nel 2004 è previsto
che i programmi per l’infanzia,
i programmi sportivi, la produzione
di nuovi media e Radio 5 Live siano
trasferiti a Manchester, dove la BBC
ha già, assieme alla Granada,
una sede. Nel settembre del 2005
il Lancashire aveva più squadre
di calcio nella Premier League
di quante non ne avesse Londra;
vale la pena di ricordarlo alla luce
del fatto che, quando sono state
assegnate a Londra le Olimpiadi
del 2012, i giornalisti londinesi
hanno protestato per
il trasferimento dei programmi
sportivi alla nuova sede.
Si veda il Capitolo 15 per alcune
interessanti novità nel giornalismo
televisivo trasmesso in tutto
il mondo («global television
news»).
L’emergenza di Al Jazeera,
dopo l’11 settembre e l’invasione
in Iraq nel 2003, ha provocato
un interessante caso di studio
per quanto riguarda la ricerca
di una voce alternativa alla CNN
e ad altre emittenti occidentali
all’interno del mondo arabo
(ma non necessariamente
supportata da tutti i governi
arabi).
possiedono imprese mediatiche attive sul territorio nazionale (ad esempio,
Rupert Murdoch ha dovuto prendere la cittadinanza degli Stati Uniti prima di
poter acquistare le sue reti televisive americane). Preoccupazioni del genere
sono anche sollevate dall’esistenza di un mercato internazionale dei media
«senza regole» al quale abbiamo accennato in precedenza.
Dal punto di vista economico, il riuscire ad attirare sul proprio territorio attività di produzione di mezzi di comunicazione può essere molto vantaggioso.
Quando, durante i primi anni Novanta, la sterlina era molto più debole del
dollaro, la scelta di trasferire in Gran Bretagna e in Irlanda la produzione di
film molto importanti degli studi di Hollywood ha contribuito a migliorare la
situazione economica di parti remote del Galles, della Scozia e, soprattutto,
dell’Irlanda, il cui governo si è fatto parte attiva nell’invitare le imprese di produzione, offrendo loro incentivi di ogni tipo (si veda al proposito il Capitolo
10). Ma, alla fine dello stesso decennio, il rafforzarsi della sterlina rispetto al
dollaro ha fatto sì che molte attività di produzione da parte di imprese americane fossero trasferite a Vancouver, Toronto e Montreal (e, nel 2005, l’ulteriore
indebolimento del dollaro americano ha spinto a scegliere altre località).
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
ATTIVITÀ 7.7
Le industrie dei media nell’economia locale
Cercare di accertare qual è l’atteggiamento delle autorità locali (a livello di comune,
provincia o regione) a proposito dei media.
• Hanno un ufficio che si occupa di cinema?
• Hanno una linea politica in materia di media? O preferiscono parlare di «industrie
culturali»?
• Che tipo di benefici economici si aspettano di ottenere da tali attività?
Modelli di lavoro e impiego
Il lavoro nei media è spesso considerato come un’attività affascinante e ben pagata. In realtà, ciò vale solo per una percentuale molto piccola della forza lavoro che è impiegata nel settore. Possiamo individuare nel mondo dei media diverse categorie di lavoratori:
• tecnici (addetti alla produzione, trasmissione, ecc.);
• creativi (autori, attori, grafici, ecc.);
• addetti all’organizzazione e alla direzione della produzione;
• attività professionali di supporto (servizi finanziari, legali, ecc.);
• attività ausiliarie di supporto (impiegati amministrativi, addetti ai servizi di
mensa, ecc.).
Il personale tecnico è fonte di gravi problemi per i datori di lavoro, dal momento che richiede una formazione iniziale, frequenta attività di aggiornamento e,
quindi, una serie di costi aggiuntivi. Il passaggio alla tecnologia digitale è ora
stato quasi completamente assorbito, ma il progresso della tecnologia continua.
Le imprese attive in alcuni dei settori (e specialmente in quello cinematografico) non hanno mai brillato per le attività di formazione, dando per scontato
che il personale potesse imparare il mestiere sul lavoro o, semplicemente reclutando personale già formato da altri (la BBC ha continuato a formare i tecnici
necessari per le trasmissioni televisive, almeno sino a quando è sopravvenuta la
deregolamentazione del settore). Questa «prospettiva di breve periodo» (cioè il
non preoccuparsi del futuro) sembra in via di superamento, ma nel complesso
continua a costituire un problema.
I contratti di lavoro nelle industrie dei media
In Gran Bretagna una delle caratteristiche tipiche del lavoro nelle industrie mediatiche è il ricorso ai freelance. Nei quotidiani e nelle riviste gli autori di articoli di varietà sono spesso dei freelance cui vengono richiesti servizi determinati o coi quali vengono stipulati contratti a a termine (si veda anche il successivo
Capitolo 11). Nelle produzioni cinematografiche e televisive gran parte delle attività sono appaltate a imprese di piccole dimensioni, che, a loro volta, utilizzano
molto spesso freelance per i compiti di natura creativa e tecnica. La BBC costituisce da questo punto di vista un’anomalia, in quanto conta di moltissimi dipendenti fissi, ma anche in questo caso il ricorso ai freelance non è del tutto
escluso.
È necessario tenere distinti i freelance da coloro che lavorano a tempo parziale
o sulla base di contratti di breve termine. In linea di massima i primi godono di una
retribuzione più elevata sulla base di tariffe concordate a livello nazionale. Nei me-
201
202
I rapporti annuali di Skillset relativi
al censo sono utili per sfatare
il mito che alcuni di coloro
che lavorano nell’industria
dei media si improvvisano e
che un titolo di studio in questo
settore non è importante. Le cifre
mostrano che la maggior parte
delle persone che lavorano
in questo settore in Gran
Bretagna hanno un diploma
o una laurea nell’ambito
dei media.
Dove è stato stampato questo
libro? Controllate altri libri usciti
di recente nella vostra libreria.
Il concetto del «director’s cut»
è un esempio di come un autore,
che è una star, ha un alto potere
contrattuale. Meno ovvio è invece
il potere di alcune star che
prendono una percentuale
delle cifre lorde guadagnate
dal box office, ad esempio prima
che un film ufficialmente cominci
a rendere.
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
dia non è infrequente neppure il caso di lavoratori che non chiedono e non ricevono salario. Dato il fascino esercitato da questo settore spesso, specie a Londra, ci
sono persone disposte a lavorare senza essere pagate (ad esempio, come «fattorini» durante le riprese cinematografiche).
Per una panoramica molto completa del personale che lavora nella cinematografia, nelle trasmissioni radiotelevisive e nel campo degli audiovisivi in Gran Bretagna si
possono consultare i «census reports» di Skillset (si veda la sezione «Research» del
sito www.skillset.org).
Il fatto che il lavoro dei tecnici specializzati abbia costi molto diversificati ha
fatto sì che molte imprese mediatiche abbiano trasferito alcune delle loro attività in altri paesi: si tratta di uno dei più macroscopici effetti della globalizzazione. La maggior parte delle stampe a colori sono ora effettuate nei paesi asiatici della costa del Pacifico che dispongono di un elevato livello tecnologico e
di costi del lavoro ridotti (il materiale da stampare può essere trasmesso in forma digitale dalle redazioni che continuano a essere situate in Europa e nell’America del Nord). La produzione degli studi di Hollywood viene spesso
spostata alla ricerca di personale che costi meno.
Per ciò che riguarda i creativi, gli studiosi di comunicazione se ne sono occupati dal punto di vista di come ci si possa esprimere liberamente in un sistema industriale. Ma esistono anche altri problemi che riguardano la proprietà
intellettuale e i diritti che ne derivano (si veda in materia il Capitolo 11). Le
imprese cercano di stipulare contratti che ne garantiscano il più possibile il
possesso a loro beneficio. La maggior parte delle dispute giudiziarie relative a
questa materia hanno a che fare con il settore della produzione di musica o con
quello del cinema, nei quali le stelle più celebri e i migliori registi hanno imparato a proteggersi con contratti particolari.
Gli addetti alla direzione e alla gestione della produzione sono coloro che hanno il compito di far sì che il progetto venga realizzato e distribuito. Le imprese
attive nel campo dei media cercano di concentrarsi sulla proprietà di beni e diritti lasciando volentieri ad altri il compito di svolgere il lavoro vero e proprio,
anche se, ovviamente, mantengono il controllo su quello che fanno i freelance
e le piccole imprese indipendenti cui affidano la produzione attraverso contratti e incentivi finanziari. Chi è favorevole a questo tipo di organizzazione sostiene che le imprese che lo adottano divengono lean and mean (letteralmente
«magre e cattive»), il che le rende molto concorrenziali in quanto non sono frenate da fenomeni di inerzia istituzionale. Esistono, però, anche delle conseguenze negative, tra le quali il fatto che le iniziative di formazione e aggiornamento, e tutte le altre iniziative che richiedono la collaborazione delle imprese
del settore, divengono più difficili da organizzare (in Gran Bretagna gran parte
delle iniziative di Skillset sono dirette a far sì che le barriere frapposte alla formazione dei freelancer non siano insormontabili).
Le attività professionali di supporto alle imprese che agiscono nel settore dei
media richiedono una specializzazione molto accentuata, specialmente per ciò
che riguarda i servizi legali e finanziari, e questo, ancora una volta, tende a favorire la loro localizzazione nei grandi centri metropolitani (dove i professionisti
possono trovare clienti in numero sufficiente a garantire un flusso continuo di
lavoro). Infine, le attività ausiliarie di supporto di carattere generale non comportano particolari problemi di localizzazione (si possono trovare dovunque).
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
L’innovazione tecnologica
L’innovazione tecnologica riguarda tutte le attività e non solo la fase della «produzione» in senso stretto. Ad esempio, i «cavi a banda larga» e la possibilità di
trasmettere «in tempo reale» prodotti mediatici digitalizzati in ogni parte del
mondo riguardano in prevalenza la fase della produzione, ma permettono anche
la fruizione dei prodotti direttamente in casa attraverso apparecchiature elettroniche che possono essere collegate a un televisore o la realizzazione di sale di
proiezione che si avvalgono di apparecchiature digitali. La messa a punto di progetti di film (specialmente quando coinvolgono persone e imprese di diversi
paesi) può essere facilitata dal ricorso a videoconferenze, e la possibilità di accedere a Internet permette la diffusione di informazioni specialistiche e di materiali utili nella fase di ricerca. Anche la fase di postproduzione può essere facilitata:
l’editing di un programma di televisione digitale può essere fatto «on location»
(cioè sul posto) e successivamente trasmesso «in tempo reale» allo studio.
L’ambiente in cui si svolgono gli affari relativi ai media
La proprietà e l’influenza che esercita sui prodotti mediatici
Negli studi sui media si presta attenzione anche a ciò che concerne la proprietà
e il controllo delle imprese mediatiche perché si ritiene che la natura dei prodotti (e in particolare il contenuto dei notiziari e degli altri prodotti di informazione oppure i vincoli di natura ideologica imposti a tutta una serie di prodotti) possa essere almeno in parte determinata dagli interessi economici o dai
«capricci» dei massimi dirigenti. D’altro canto, il fatto che i produttori di minori dimensioni e non guidati solo da fini di lucro abbiamo meno possibilità
di svolgere la loro attività significa che al pubblico giungeranno solo prodotti
di un certo tipo.
Individuare chi possedesse cosa e quali conseguenze ne derivassero era relativamente facile nel passato, quando i giornali erano controllati dai cosiddetti
«baroni della stampa» (cioè dagli onnipotenti fondatori e proprietari delle testate) e gli studi di Hollywood facevano capo a dirigenti dal potere assoluto
(«mogul (3)»). O almeno questi erano gli stereotipi che venivano utilizzati per
descrivere tali personaggi. Ma davvero chi ha la proprietà di un mezzo di comunicazione esercita influenza sui prodotti di questo? Non vi è dubbio che alcuni quotidiani a volte seguano una «linea» editoriale che può essere attribuita a un proprietario o a uno dei dirigenti di vertice: vi sono esempi molto evidenti di ciò, come il controllo esercitato da Richard Desmond, il proprietario
sul gruppo giornalistico Desmond Newspapers, o le note simpatie dei dirigenti della Fox News per il Partito repubblicano. Ma in genere la linea editoriale emerge dopo molti anni e può restare la stessa anche se la proprietà cambia. È molto più probabile che lo stile e gli obiettivi dei dirigenti determinino le caratteristiche generali di un’impresa attiva nel settore dei media (si vedano, ad esempio, gli effetti dell’acquisto da parte di Rupert Murdoch di quo(3) N.d.T. Il termine mogul (letteralmente «mongolo») designava i capi delle orde mongole
che hanno invaso nel corso della storia molti paesi asiatici instaurandovi imperi; per traslato
indica oggi un capo dal potere assoluto.
203
204
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
tidiani inglesi come il Sun o The Times). Nascosti dietro le grandi imprese
impersonali che dominano il mercato dei media ci sono personaggi di grande
spicco e spesso ciò che si scrive a proposito dei media si concentra su di essi
(per ulteriori approfondimenti si veda il caso di studio sulle major in calce a
questo capitolo).
Chi possiede o controlla un’impresa è interessato soprattutto a problemi relativi ai costi e allo share di mercato e, ovviamente, alla possibilità di profitto. Ed è
alla luce di questi obiettivi che le imprese crescono attraverso acquisizioni e fusioni. L’integrazione verticale è conveniente se riduce i costi, in quanto permette
di mantenere all’interno dell’impresa le varie fasi del processo produttivo, mentre l’integrazione orizzontale comporta uno share maggiore del mercato e una riduzione dei costi medi. Se due imprese che si occupano di musica si fondono,
potranno utilizzare lo stesso edificio per i loro uffici, avranno il personale di vendita in comune, possono ridurre i marchi e così via, pur continuando a vendere
lo stesso numero di dischi che vendevano prima separatamente.
Il prodotto sarà cambiato solo se questo diminuirà i costi di produzione o attrarrà un numero maggiore di spettatori/lettori. In certi casi, tuttavia, il cambio
di proprietà può comportare un trasferimento dell’impresa nel settore pubblico
dell’economia e questo renderà possibile che essa si dedichi a prodotti «non
commerciali», persegua obiettivi di carattere sociale o si attenga a direttive regolamentari (ad esempio, impegnandosi in progetti di carattere educativo).
È molto probabile che le imprese mediatiche odierne siano parte di un conglomerato. È possibile, quindi, che il gruppo da cui la singola impresa dipende sia impegnato in diversi settori dell’industria mediatica e in settori in qualche modo connessi con tale industria, come quelli della tecnologia utilizzata
dai media o quello delle telecomunicazioni (anche su questo si veda il caso di
studio appena citato). Se si adotta una definizione molto generica del termine
«media», si può arrivare alla conclusione che esso si riferisce a una gamma molto vasta di attività, alcune delle quali fanno capo ai settori industriali che crescono più rapidamente. Quando leggerete questo libro, alcune delle informazioni che esso fornisce saranno molto probabilmente già datate, ma la lettura
risulterà probabilmente utile lo stesso per darvi un’idea di cosa sia il mercato
internazionale. In particolare, tenete presente che:
• gli studi di Hollywood hanno spesso il nome più conosciuto all’interno dei
marchi di ogni gruppo;
• i gruppi mediatici di maggiori dimensioni hanno attività che si svolgono
nell’America del Nord, in Europa e in Giappone;
• è ancora oggetto di dibattito se le imprese che producono computer o si occupano di telecomunicazione possano essere considerate come appartenenti
al settore dei media, ma le imprese come la Microsoft sono comunque di dimensioni maggiori di quanto non siano i gruppi che si occupano solo di
media in senso stretto.
Il controllo finanziario
Le imprese mediatiche moderne sono società per azioni e sono quindi di proprietà di azionisti. Specialmente in Europa, è molto diffusa la pratica delle
«partecipazioni incrociate», cioè il possesso delle azioni di una impresa da parte di un’altra impresa dello stesso settore. Gli azionisti più importanti sono in
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
genere «investitori istituzionali», cioè società di assicurazione o fondi pensione
il cui fine sociale non ha nulla a che fare con le attività produttive che generano i profitti. Migliaia di piccoli azionisti sono rappresentati dai gestori dei
«fondi di investimento» e sono quasi del tutto tagliati fuori dalla possibilità di
influire sulle attività di impresa. Il destino delle imprese è quindi prevalentemente nelle mani di ragionieri e consulenti finanziari che, per valutare se va
bene, si basano più sui bilanci e sui dividendi distribuiti che non sui prodotti. In ultima analisi, il destino di un’impresa mediatica è determinato dal suo
valore di borsa.
Quanto abbiamo detto vale per tutte le imprese, qualunque sia la loro attività, ma non deve essere interpretato come «prova» del fatto che la produzione di
media su base industriale non abbia un’importante componente creativa e che,
dal momento che si tratta di un’attività industriale, si svolge dovunque con le
stesse modalità. Tuttavia, serve a dare un’idea di quale sia il tipo di considerazioni che spingono un’impresa a comprare o vendere imprese ausiliarie oppure
a interrompere la produzione (cioè a chiudere un testata giornalistica o a rinunciare a girare un film). Esistono alcuni personaggi che hanno ricchezze sufficienti a far sì che possano essere considerate in prima persona «protagonisti»
del mercato dei media e solo un piccolo gruppo di dirigenti dell’industria dei
media ha una reputazione tale che la loro attività, o anche solo la loro presenza
in un’impresa, determini in misura notevole le sorti finanziare di un’impresa
mediatica. In ogni modo, sono i ragionieri quelli che giudicano in ultima analisi se vale la pena di intraprendere un progetto.
La produzione dei media si svolge in un ambiente economico e finanziario
ricco di contraddizioni. Una solida base finanziaria è, in linea di massima, più
importante della creatività dei singoli, ma, attorno alla metà degli anni Novanta,
un gruppo industriale dotato di immense risorse finanziarie (la Sony) ha gestito
in modo disastroso e portato al fallimento due degli studi di Hollywood
(Columbia e Tristar), mentre, nello stesso periodo di tempo, un’impresa che si
trovava in difficoltà (Disney) è stata salvata e risanata da dirigenti di grande creatività. Ma anche una gestione particolarmente illuminata può cadere vittima di
eventi assolutamente imprevedibili, come il collasso della cosiddetta economia
delle dot.com (cioè delle imprese che cercavano di fare affari sfruttando Internet)
che ha fatto sì che la fusione tra la Time Warner e l’AOL (America On Line, il
più importante provider americano) risultasse un errore già nel 2004, pochi
anni dopo che era stata effettuata. Si può sostenere che esistono strategie gestionali che sono in grado di creare un ambiente favorevole alla creatività. E possiamo anche far notare che, ai fini della sopravvivenza delle imprese, è importante
l’atteggiamento assunto nei loro confronti dai mercati finanziari. In quelli degli
Stati Uniti si investe volentieri nelle imprese che si occupano di media (e specialmente negli studi di Hollywood), nonostante vi siano stati molti fallimenti clamorosi. Nel bene e nel male, gli investitori statunitensi sembrano subire il fascino di Hollywood (basti pensare al grande interesse che suscita ogni anno la cerimonia della consegna degli Oscar) e sono disposti a rischiare i loro capitali per
esserne parte. In Gran Bretagna (e in Italia) la situazione è completamente diversa ed è molto difficile trovare istituzioni finanziarie disposte a investire nella produzione di film o di media nel campo dell’informazione.
Il mondo finanziario ed economico dei media è caratterizzato da tassi elevatissimi di mutamento e cambia quindi continuamente, se non altro perché i
conglomerati continuano a comprare e vendere le singole imprese, nel tentativo
205
L’annuncio, dato nel giugno
del 2005, del pensionamento
di Laclan, il figlio di Rupert
Murdoch, dalla News
Corporation, è stato preso
dai commentatori come un segno
che la News Corporations
potesse sciogliersi quando
lo stesso Murdoch avesse deciso
di andarsene. Infatti, nemmeno
il 30% delle azioni possedute
dalla famiglia è sufficiente
per assicurarsi una successione
dinastica.
206
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
di salire (e restare a bordo) sul carro del vincitore, un carro che esiste e procede,
anche se nessuno sa dove sia diretto. Il fatto che la «bolla» delle imprese dot.com
sia clamorosamente scoppiata senza dare alcun contributo alla crescita economica ha portato a un’ondata di realismo nel valutare le prospettive per il futuro, ma
esistono ancora manager che parlano con entusiasmo di «nuovi prodotti» e
«nuove opportunità». Abbiamo individuato quattro argomenti che sembrano
acquistare importanza e che meritano, secondo noi, la vostra attenzione: gli archivi (libraries), i marchi (brands), la distribuzione e le sinergie.
Gli archivi
I nuovi sistemi di distribuzione e la moltiplicazione dei canali televisivi causata
dal passaggio alla tecnologia digitale hanno portato a una situazione in cui esistono mezzi di comunicazione, ma non esistono e non sono prodotti in misura
sufficiente nuovi contenuti da trasmettere. Chiunque controlli un archivio o
un «catalogo» di prodotti mediatici di una certa visibilità è ora in grado di
sfruttare tali risorse in modo molto agevole e conveniente. Gli archivi di film
di Hollywood, i diritti di riproduzione di canzoni molto note e gli archivi fotografici sono ricercati dalle grandi imprese mediatiche che si affrettano ad acquistarli a caro prezzo. Sono catalogati e presentati on line in diverse raccolte e
permettono di far soldi, sia attraverso la vendita diretta, sia affittandoli, perché
vengono utilizzati dai diversi media.
Gli archivi sono altresì un’importante risorsa di riserva per le grandi imprese
che operano in un settore rischioso, come quello della distribuzione di film.
DreamWorks, uno studio di produzione relativamente «nuovo», ha una posizione precaria perché, se uno dei suoi film non ha successo sul piano finanziario, non può disporre dei ricavi che derivano dallo sfruttamento di un grande
archivio e che costituiscono un rivolo costante, la linfa vitale che tiene in vita
le major consolidate.
I marchi
Man mano che il mercato dei media diviene sempre più internazionale e le imprese cercano di essere attive in molti paesi diversi tra loro, il marketing dei
nuovi prodotti diviene sempre più problematico. Se una impresa vuole farsi
conoscere in Polonia, in Thailandia e nella Repubblica Sudafricana, avrà bisogno di logo diversi, di una diversa immagine aziendale, per attirare clienti che
provengono da culture tanto diverse? I marchi costano (si veda il Capitolo 9).
Il potere del loro marchio (brand ) internazionale, che è riconosciuto istantaneamente dovunque, è quindi un fattore molto importante nello spiegare la
longevità degli studi di Hollywood. Non crediamo esistano molte regioni del
mondo nelle quali lo scudo della Warner, la montagna della Paramount e il
leone della MGM non sono riconosciuti subito dal pubblico (molti dei più famosi film della MGM sono ora distribuiti dalla Time Warner, ma il leone resta
tra le immagini di testa). Le iniziative di merchandising, che sfruttano a fondo
il logo aziendale, sono prova di quanto importante sia oggi il marchio.
I conglomerati prestano grande attenzione ai problemi relativi ai marchi e ai
nomi della imprese. Quando il produttore di bevande alcoliche Seagram ha
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
comprato l’MCA, ha immediatamente cambiato il nome della branca dell’impresa che si occupava di cinema, riesumando il suo nome tradizionale: Universal Pictures. Ma quando la Disney ha acquistato la Miramax, ne ha mantenuto il nome, dal momento che si trattava di un marchio «forte» nel campo
della produzione indipendente. Il marchio Universal appartiene ora a due diversi gruppi: la General Electric che ha comperato il settore della televisione e
quello dei film per fonderli nella NBC e la Vivendi che possiede l’impresa di
prodotti musicali MCA-Universal.
Le nuove forme di distribuzione
Il passaggio ai prodotti mediatici in formato digitale fa sì che oggi testi, immagini e suoni possano essere tutti trasmessi attraverso i cavi a banda larga e le
tecnologie di trasmissione radiotelevisive digitali. Le imprese che controllano le
reti di questi cavi e piattaforme digitali hanno quindi conseguito un grande
potere. Anche in questo caso, il mercato mondiale è dominato dalle principali
imprese dell’America del Nord che si sono sviluppate nel grande mercato delle
telecomunicazioni esistente nel loro paese d’origine.
In Europa sono previste grandi battaglie tra gli ex monopoli statali (in Italia,
Telecom erede della Sip) e le nuove imprese sorte nel settore, come la Vodafone,
ma l’esito dipenderà in gran parte da quello che succede sul mercato delle telecomunicazioni degli Stati Uniti dove si prospetta, da un lato, la fusione tra le imprese che controllano le reti di cavi a banda larga e le imprese telefoniche e, dall’altro,
fusioni, o almeno accordi di collaborazione, tra chi possiede le reti digitali, i fornitori di software, come la Microsoft, e gli studi di produzione di Hollywood.
La sinergia
Sinergia è un termine che appartiene al gergo professionale dei media e si riferisce all’«energia» in più che si produce quando due imprese o prodotti, che
sono in qualche modo complementari, si uniscono. Il connubio fra la televisione via cavo e il servizio telefonico ne è un buon esempio. La vendita di servizi
telefonici serve a recuperare i costi dell’istallazione dei cavi e, un volta che i
cavi sono installati, i servizi telefonici possono essere venduti a prezzi più convenienti, e così via.
Il concetto di sinergia è attraente, ma non sempre i vantaggi che ne derivano
sono evidenti. La Sony ha dovuto lottare molto per potere trarre vantaggi economici dal fatto di possedere imprese che producono hardware e imprese che
si occupano di sviluppare software: il fatto di produrre film infatti non aiuta
necessariamente a vendere lettori di DVD. La Matsushita e la Philips, che hanno cercato di fare entrambe le cose, alla fine hanno rinunciato e venduto le
partecipazioni azionarie di controllo che detenevano rispettivamente in
MCA/Universal e Polygram ancora negli anni Novanta. In tempi più recenti il
conglomerato Viacom ha incoraggiato tutte le imprese da lei controllate a sviluppare idee originali e creative che potessero poi essere utilizzate dalle altre
imprese del gruppo. Così Nickelodeon e MTV hanno prodotto film che sono
stati distribuiti dalla Paramount, mentre i libri che si connettevano ai film erano editi dalla Simon and Schuster. Ma già nel 2005 sono comparsi segnali che
207
208
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
fanno pensare che alla Viacom converrebbe concentrarsi sulle attività che sono
più redditizie per i suoi azionisti, anziché cercare di ampliare la propria quota
di mercato. Si tratta di una nuova tendenza che ha portato alcuni conglomerati
a vendere parte delle imprese controllate per concentrarsi su altre. Le sinergie
possono diventare un lusso quando il mercato dei media è poco vivace.
«Indipendenza» e «alternative» nell’industria dei media
Grazie all’ampiezza di trattazione
dei film e della produzione
su Internet e attraverso i materiali
extra in DVD è possibile scoprire
molto di quanto succede
in merito alla realizzazione
di un film «indipendente».
Sinora, parlando della produzione e del consumo dei media, ci siamo limitati a
quella che possiamo considerare la normalità (mainstream): attività su larga
scala, prevalenza dello scopo di lucro e atteggiamenti consoni a quelli della
maggior parte della società. È qui che troviamo i protagonisti principali del
mercato, anche se in ciascuno dei settori tali protagonisti possono assumere
ruoli diversi. Una delle major della televisione e del cinema, la Disney, è considerata una «indipendente» nel settore della musica (si veda il caso di studio in
calce al capitolo). A volte i grandi gruppi riescono a far definire «indipendenti»
alcuni dei propri prodotti, dando alla filiale che se ne occupa una veste giuridica a parte o acquisendo una impresa «indipendente» (ad esempio, la Time
Warner ha acquistato due produttori di film «indipendenti», la Fine Line e la
New Line, ma ha fatto di tutto perché queste mantenessero la loro identità).
Essere al di fuori della «normalità» significa spesso solo produrre in prevalenza per un mercato locale contenuti di natura educativa o destinati alla formazione, bollettini parrocchiali, fanzine, ecc. Ma, a volte, essere «fuori dalla
normalità» è frutto di una decisione consapevole da parte di un professionista
della produzione (un tentativo di diversificare i propri prodotti o di offrire
qualcosa che aspira a essere diverso da ciò che producono gli altri).
Utilizzare il termine «indipendente» e legarlo alla produzione mediatica «alternativa» presenta dei problemi. La maggior parte della produzione di mezzi di
comunicazione richiede una stretta collaborazione tra attività creativa e attività
di natura tecnica e necessita di un’organizzazione che sia in grado di distribuire i
prodotti. Tutto ciò che concerne i media «dipende» dal ricorso a una tecnologia,
dai finanziamenti e da altro ancora. È necessario allora esaminare più da vicino
in che modo i produttori possono far fronte a questa «dipendenza» ed evitare
che essa li condizioni completamente. Esistono diverse possibilità.
• Il maverick (termine che indicava nel Far West un bovino fuggito da una
mandria e non marchiato) non vuole essere un «normale», perché, ad esempio, trova insopportabile la logica «di bilancio» delle attività condotte a scopo di lucro e ciò che essa comporta in termini di vincoli all’assunzione di rischi o all’impegnarsi in attività che siano di interesse locale o riguardino interessi speciali. Questi produttori trovano il modo di svolgere la loro attività
senza accettare, più di quanto non sia strettamente necessario, vincoli che
compromettano il contenuto e lo stile del loro lavoro. Ciò può comportare
rivolgersi a un pubblico di nicchia, accettando solo finanziamenti che provengano da fonti particolari (ad esempio, un fondatore che condivida i valori del produttore), oppure aggrappandosi al concetto di «arte» che può evocare e consentire prassi diverse da quelle normali.
• L’«artista» vuole mantenere il controllo su quello che fa, e lavora utilizzando
un gruppo molto ristretto di collaboratori che restano sempre gli stessi, ma è
disposto ad accettare che i prodotti del suo lavoro siano considerati «arte» e
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
209
FIGURA 7.8 La Mostra
del Cinema di Venezia è uno
dei festival cinematografici più
antichi e prestigiosi. Il Leone
d’oro è uno dei premi più
ambiti e contribuisce a far
conoscere i film che lo
ricevono sui mercati di tutto
il mondo.
pertanto circolino al di fuori dei normali canali commerciali. Il mercato dei
prodotti «d’arte», nella cinematografia, nella televisione e nella produzione
di video, è altrettanto istituzionalizzato rispetto a quello dei prodotti «normali», ma comporta che il produttore agisca in modo diverso (ad esempio,
partecipando a festival e mostre, fruendo di spazi particolari per le recensioni e la pubblicità) e ricorra anche a fonti di finanziamento particolari (sponsorizzazioni, fondi pubblici o da fondazioni; si veda a proposito quanto detto in precedenza nel Capitolo 4).
• Il produttore «impegnato dal punto di vista politico» ha, invece, l’obiettivo di
proclamare qualcosa o di lavorare con un gruppo ben delimitato di collaboratori alla soluzione di problemi sociali e cercherà opportunità per fare questo,
scegliendo canali di distribuzione non controllati dai grandi gruppi mediatici
e cercando fonti alternative di finanziamento (enti pubblici, fondazioni, ecc.).
«Indipendenti» di successo
Dopo i tre film de Il signore degli anelli prodotto da una impresa di produzione «indipendente», ma controllata da uno degli studi, la New Line, i due produttori indipendenti più importanti degli ultimi anni sono stati Mel Gibson e Michael Moore. Gibson
è notoriamente una delle stelle di Hollywood e lavora in genere in film «ordinari», ma
il suo La passione di Cristo (The Passion of Christ), prodotto nel 2004 e distribuito in
Gran Bretagna dalla Icon, di proprietà dello stesso Gibson, è stato il film prodotto da
una indipendente che ha avuto il maggior successo da sempre. Michael Moore ha
sempre cercato di produrre come «indipendente»; in un primo tempo, il suo Fahrenheit 9/11 doveva essere distribuito dalla Miramax, ma quando questa impresa si è tirata indietro, la produzione è proseguita a opera dell’«indipendente» Newmarket Films.
Alcuni produttori (non Mel Gibson, ma forse, da un certo punto di vista,
Michael Moore) hanno svolto attività pioneristiche, creando prodotti mediatici
innovativi dal punto di vista sostantivo o formale: sono stati cioè «di avanguardia». Solo dopo un certo periodo di tempo i «normali» recuperano il ritardo, ma
spesso «incorporano» le innovazioni nella loro produzione (si veda quanto abbiamo detto in precedenza su come i confini della «normalità» si estendano). Se
Si veda il Capitolo 14
«i documentari» e la «reality tv»
e il secondo caso di studio
su Michael Moore.
210
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
oggi esiste ancora un’«avanguardia» nella produzione mediatica è più probabile
che essa si collochi nel campo dei «nuovi media» e che utilizzi la tecnologia digitale e, forse, adotti modelli propri della video art contemporanea.
La cultura alternativa
Mike Figgis è uno dei pochi registi
che abitualmente appartengono
alla categoria dei «normali»
ad aver sperimentato la tecnologia
digitale in alcuni film come
Timecode (USA, 2000)
che rappresenta
contemporaneamente,
sullo stesso schermo, quattro
scene diverse (in modo
continuativo per 90 minuti),
girate in località diverse.
La tecnologia digitale può essere utilizzata in nuovi tipi di attività mediatiche. I
produttori di musica e video hanno evidentemente tratto vantaggi dal poter utilizzare attrezzature di qualità elevata non eccessivamente costose. Se i grandi
gruppi non vogliono distribuire la musica attraverso i loro canali di distribuzione o chiedono prezzi troppo elevati per farlo, è possibile fare ricorso a Internet.
Non si tratterà di un mercato molto esteso, ma, se si riesce a mantenere bassi i
costi, la cosa può essere ugualmente fattibile. Inoltre Internet consente ai produttori che si trovano in parti remote del mondo di raggiungere pubblici nuovi.
I mutamenti sopravvenuti nel mondo della politica, dove i partiti di tipo tradizionale sono in declino e fioriscono gruppi che si battono per obiettivi specifici e nuovi tipi di coalizioni (spesso capaci di riunire gruppi e persone di nazionalità diversa) ha fatto sì che siano stati creati una quantità enorme di siti web che
presentano idee non convenzionali e lo fanno in forme innovative. Il far circolare immagini, canzoni, barzellette e indirizzi ad altri siti è parte integrante della
cultura di Internet. Sin dagli inizi, uno degli aspetti più interessanti (almeno per
alcuni degli utenti) della rete è stato la possibilità di trovarvi notizie diverse dal
solito, e tra questi i più popolari erano quelli che si definivano «alternativi» che,
anche se non sempre, presentavano punti di vista diversi da quelli consueti.
L’etichetta «alternativo» si è anche diffusa in altri media, cosicché oggi esiste
una musica country «alternativa», nuovo genere musicale che vuole essere esplicitamente «non Nashville» (4). Ma, dal momento che anche nel country «alterativo» sono già nate le prime stelle, come, ad esempio, Ryan Adams, è possibile
che molto presto anche i grandi gruppi cominceranno a occuparsene. Spesso si
parla dell’insieme dei produttori indipendenti come di un mondo di simpatici
ribelli che rifiuta ogni compromesso con le esigenze dettate dall’economia e dall’avidità del mondo dei «normali», ma forse, sfortunatamente, si tratta di una visione troppo romantica; in ogni caso, farete bene a tenerne conto.
ATTIVITÀ 7.8
La cultura alternativa
Passate in rassegna i vostri più recenti acquisti di prodotti mediatici.
• Quanti di questi possono essere considerati «indipendenti» o «alternativi»? Rientrano in una delle tre categorie (maverick, artisti e politicizzati) che abbiano elencato in precedenza? Ve ne sono alcuni che fanno sfoggio della etichetta «alternativo»
(alt.) o «indipendente» (indie)?
• È stato questo uno dei motivi per cui li avete acquistati?
Usate uno dei motori di ricerca, ad esempio Google (si veda in materia il Capitolo 9)
utilizzando come parole chiave «Alternative Music» o «Alternative Politics».
• Che universo di siti trovate? Quello che avete trovato fa pensare che esista una
«cultura alternativa» o che vi possano essere dei potenziali produttori alternativi?
(4) N.d.T. Nashville è la città del Tennessee in cui è collocato il «tempio» della musica
«country», dove si esibiscono i gruppi e i cantanti più popolari del genere.
© 978-88-08-19263-9
7 Le industrie della comunicazione
BIBLIOGRAFIA E LETTURE DI APPROFONDIMENTO
Molti dei testi indicati sono adatti per letture di approfondimento.
Bach, Steven (1985), Final Cut, Jonathan Cape, Londra.
Balio,Tino (1998), «”A major presence in all of the world’s important markets”: the
globalisation of Hollywood in the 1990s», in Steve Neale e Murray Smith (eds.),
Contemporary Hollywood Cinema, Routledge, Londra.
Branston, Gill (2000), Cinema and Cultural Modernity, Open University Press, Buckingham.
Gomery, Douglas (1986), The Hollywood Studio System, BFI/Macmillan, Londra.
Gomery, Douglas (1992), Shared Pleasures, BFI, Londra.
Gomery, Douglas (1996), «Toward a new media economics», in David Bordwell e Noel
Carroll (eds.), Post-theory: Reconstructing Film Studies, University of Wisconsin Press,
Madison e Londra.
Lacey, Nick e Stafford, Roy (2000), Film as Product in Contemporary Hollywood, British Film
Institute, Londra.
Maltby, Richard (1995, 2a ed. 2003), Hollywood Cinema, Blackwell, Oxford.
Maltby, Richard (1998), «”Nobody knows everything”: post-classical historiographies and
consolidated entertainment», in Steve Neale e Murray Smith (eds.), Contemporary
Hollywood Cinema, Routledge, Londra.
Miller,Toby, Govil, Nitin, McMurria, John e Maxwell, Richard (2001, 2a ed. 2004), Global
Hollywood, British Film Institute, Londra.
Neale, Steve e Smith, Murray (eds.) (1998), Contemporary Hollywood Cinema, Routledge,
Londra.
Wasko, Janet (2001), Understanding Disney, Polity Press, Cambridge.
Wasko, Janet (2003), How Hollywood Works, Sage, Londra.
Wyatt, Justin (1994), High Concept: Movies and Marketing in Hollywood, University of Texas
Press, Austin.
Wyatt, Justin (1998), «The formation of the “major independent”: Miramax, New Line
and New Hollywood», in Steve Neale e Murray Smith (eds.), Contemporary Hollywood
Cinema, Routledge, Londra.
STAMPA COMMERCIALE
Broadcast
Press Gazette
Screen International
SITI INTERNET
uk.imdb.com
www.boxofficemojo.com
www.mpaa.org
www.skillset.org.uk
211
212
Parte I Concetti chiave
© 978-88-08-19263-9
CASO DI STUDIO
Gli attori principali nell’industria dei media
Le major
smi pubblici e finanziamenti (ad esempio, in Gran Bretagna possono ricevere fondi dal Film Council).
Ma, per quanto queste caratteristiche siano condivise, i
gruppi hanno anche peculiarità individuali e vale la pena
tracciare un breve profilo di ciascuno di essi. Ricordiamo
che non è facile rendere perfettamente comparabili i dati
economici dei diversi gruppi. Le cifre relative al fatturato
hanno natura semplicemente indicativa e servono più che
altro a dare un’idea delle dimensioni di ciascuno. La maggior
parte dei dati sono tratti dal sito www.hoovers.com che
contiene un breve profilo di ciascuno dei gruppi più importanti. Al fine di rendere i dati più agevolmente comparabili
tutti i valori sono espressi in dollari degli Stati Uniti.
Nella maggior parte dei settori più importanti dell’industria, le attività economiche sono dominate da un gruppo
ristretto di «attori» principali. Dopo gli anni Novanta, con
la fine della guerra fredda e la privatizzazione di molte imprese statali europee (specie nel settore delle telecomunicazioni), le opportunità di un’espansione in tutto il mondo
di tali attori principali (le major nel campo dei media) si
sono moltiplicate. La tendenza al consolidamento del mercato attraverso fusioni e acquisizioni viene spesso giudicata inevitabile, e giustificata col ricorso a metafore molto
popolari, quale quella relativa alla libertà dei mercati. Ma i
mercati sono instabili e, per quanto siano congegnati in
modo da favorire le imprese di maggiori dimensioni, non Time Warner (fatturato 2004: 42 miliardi di dollari)
esistono garanzie (si veda Wheen, 2004). A partire dal www.timewarner.com/corp
1996 abbiamo aggiornato questo libro ogni tre anni e Considerato in genere il maggiore dei gruppi attivi nel setspesso cose sorprendenti si sono verificate tra una edi- tore dei media, la Time Warner è stata fondata nella sua
zione e quella successiva.
forma attuale da Stephen J. Ross che ha comprato nel 1969
La Figura 7.9 riporta i dati fondamentali relativi agli otto la Warner Bros, all’epoca in pessime condizioni, e durante i
conglomerati attivi nel mondo dei media; si tratta di gruppi venti anni successivi ha costruito un conglomerato mediale cui attività si svolgono in almeno tre diversi settori e na- tico fortemente integrato sul piano verticale, sia attraverso
zioni. Questi gruppi condividono diverse caratteristiche:
acquisizioni che fondando nuove imprese; nel 1990 ha final• i marchi più forti e conosciuti in tutto il mondo sono i mente coronato la sua espansione con l’acquisto della
logo degli studi di Hollywood: solo i due
FIGURA 7.9 I principali conglomerati attivi nel campo dei media.
gruppi con sede in Europa non hanno la
possibilità di usarli;
Proprietà
Sede
Capitale
Fatturato Dipendenti
• negli Stati Uniti tutti i principali network
(azioni possedute
complessivo
(2004),
da altri gruppi
(2004), miliardi miliardi
televisivi sono di proprietà di uno dei
mediatici)
di dollari
di dollari
gruppi;
• con una sola eccezione (la Sony) si tratta Time Warner 4% Liberty
New York
123,34
42,1
84 900
Media
di gruppi che sono specializzati nel campo
dei media e dei sistemi di comunicazione,
Sony
Tokyo
88,63
66,9
162 000
(2005)
oltre che nella produzione di contenuti
(«software» e distribuzione) – da questo
Viacom
71% National
New York
68,0
22,53
38 350
Amusements
punto di vista la situazione appare molto
cambiata rispetto agli anni Settanta e OtDisney
Burbank
53,9
30,75
129 000
(California)
tanta, quando numerose imprese mediatiche facevano capo a conglomerati con inNews
17% Liberty
New York
51,24
20,45
38 000
Corporation
Media
teressi diversificati;
• a prima vista i gruppi possono sembrare NBC Universal 80% General
New York
n.d.
12,89
ca 16 000
Electric,
in accesa concorrenza tra di loro, ma in
20% Vivendi
realtà cooperano spesso in joint ventures e
Vivendi
4% Liberty
Parigi
58,64
29,03
38 000
investono in imprese controllate dalle alUniversal
Media
tre attraverso «partecipazioni incrociate»;
Gütersloh
25,82
23,21
76 200
• per quanto si tratti di imprese private, ri- Bertelsmann
(Germania)
cevono spesso la consulenza di organi-
© 978-88-08-19263-9
7
CASO DI STUDIO: Gli
attori principali nell’industria dei media
Time Inc., l’impresa americana leader nella pubblicazione di
riviste e proprietaria di una emittente televisiva via cavo. La
Warner Bros era stata una delle 5 major, cioè dei grandi
studi cinematografici, e venne fondata nel 1923, ma, alla
fine degli anni Sessanta era finita nelle mani della Kinney
Enterprises, un gruppo che controllava imprese attive in
una serie di settori che andavano da quello delle pompe
funebri ai parcheggi. Dopo la morte di Ross, la politica delle acquisizioni è continuata e il gruppo ha assorbito prima,
nel 1996, l’impero mediatico di Ted Turner e si è fuso poi
con America Online (AOL), il principale provider americano, nel 2000. In questa operazione di fusione la Time
Warner ha agito come partner di minoranza rispetto ad
AOL il cui valore di borsa era all’epoca fortemente sopravvalutato per effetto della «bolla delle dot.com»; nel giro di
tre anni il nome del conglomerato (AOL Time Warner) era
tornato a essere solo Time Warner, dato il ridimensionamento della AOL.
Come la maggior parte degli studi cinematografici di
Hollywood ha girato film anche in Gran Bretagna (nei suoi
teatri di posa situati a Teddington). Nel 1945 la Warner
Bros è divenuta l’azionista di riferimento dello studio cinematografico britannico ABPC (Associated British Picture
Corporation), un’impresa a elevata integrazione verticale
che, tra l’altro, possedeva la catena di sale cinematografiche
ABC. Questa situazione si è protratta sino al 1969 ed è
stato il primo esempio di una tendenza che si è diffusa negli anni successivi. La Warner Bros è tornata a essere attiva
nella gestione di sale cinematografiche britanniche negli
anni Novanta, quando si è associata alla catena di sale di
proprietà dell’australiana Village Broadshow, che si trasformata in Warner Village Cinemas, assorbita, a sua volta, dalla
catena inglese Vue nel 2004. Questo schema sarà seguito
anche in altri paesi attraverso la Warner Bros International
Cinemas (WBIC): attualmente esistono catene di sale della
WBIC in Cina, Giappone, Italia e Spagna. Nel 2001 la Time
Warner ha anche acquistato il gruppo IPC leader nel campo della pubblicazioni di riviste dedicate al grande pubblico
sul mercato inglese.
In America, la Warner Bros ha rafforzato la sua presenza
nel mondo della televisione creando nel 1995 «la WB», un
network destinato prevalentemente al pubblico giovanile.
La Warner Bros Television può considerarsi l’impresa di
produzione di materiali televisivi più importante per ciò
che concerne le «serie destinate al prime-time» che sono
vendute a tutti i sei network degli Stati Uniti e, nel biennio
2004-2005, ha prodotto ben 22 serie. Nel periodo successivo alla fusione con AOL il gruppo ha avuto notevoli problemi finanziari che lo hanno costretto alla vendita della
Warner Music Group, che attualmente è una impresa indipendente (si veda il sito www.wmg.com). Sono state anche
vendute attività di franchising nel campo dello sport ed è
213
stato ceduto il 50% della stazione di televisione via cavo
Comedy Central.
La situazione esistente nel 2005 ha visto la Time
Warner, ormai consolidata come conglomerato di imprese
mediatiche, con punti di forza nell’editoria, nella produzione di film e DVD e nei servizi online. I più importanti marchi che fanno capo al gruppo sono:
• Time Inc., IPC e DC Comics per l’editoria;
• Warner Bros per la produzione e distribuzione di film e
materiali televisivi;
• New Line e Warner Independent (produttori cinematografici «indipendenti»);
• Il network televisivo WB;
• HBO e Time Warner Cable, per la televisione via cavo;
• Warner Home Video;
• CNN,TNT, Cartoon Network TMC e altri canali televisivi;
• AOL Online come provider Internet.
Sony (fatturato 2004: 66,9 miliardi di dollari)
www.sony,com/SCA/index.shtml
Rispetto agli altri gruppi dei quali ci stiamo occupando, la
Sony è una impresa relativamente giovane dal momento
che è stata fondata nel 1946. Si distingue anche per il fatto
che è stata ed è tuttora prevalentemente un’impresa manifatturiera che produce apparecchiature elettroniche sia
per l’uso «domestico» che a scopi «professionali». La Sony
è una multinazionale nel vero senso del termine con propri uffici, fabbriche e punti vendita in tutti i più importanti
paesi del mondo. I suoi prodotti, particolarmente innovativi, sono molto conosciuti e i registratori VCR, i walkman, e
così via, dovrebbero comunque essere citati in ogni libro
dedicato ai media. Ma con l’acquisto della CBS Records nel
1998 e della Columbia Pictures Entertainment nel 1989 la
Sony ha cambiato radicalmente la propria strategia. Assieme all’acquisto effettuato dalla Matsushita (Panasonics,
JVC, ecc.) della MCA-Universal questa mossa è stata un
preciso segnale della forza dell’economia giapponese in
fase di forte espansione (in un momento in cui l’economia
americana segnava il passo).A questo punto la Sony poteva
disporre di archivi di film e di registrazioni musicali che le
permettevano di sfruttare al meglio le tecnologie innovative che offriva ai consumatori. Ma le sinergie previste non
sono state all’altezza delle previsioni, anche dopo il lancio
di una nuova tecnologia, quella della Playstation effettuato
attorno alla metà degli anni Novanta.
La Columbia Pictures, col suo caratteristico logo che
rappresenta una donna in costume della Grecia antica che
solleva una torcia, risale agli anni Venti. Per tutto il periodo
in cui a Hollywood regnava il «sistema degli studi» ha fatto
parte del gruppo dei «tre piccoli», cioè degli studi che non
avevano il supporto finanziario derivante dal possesso di
214
Parte I Concetti chiave
una propria catena di sale cinematografiche. Per quanto nel
suo archivio vi fossero molte pellicole del periodo classico
del cinema, non c’erano tuttavia pezzi pregiati come quelli
della Warner Bros. La Columbia, però, è stata la prima casa
cinematografica a cimentarsi nella produzione televisiva sin
dal 1948 e, nel 1982, ha messo in piedi (in società con l’HBO
e la CBS) un secondo studio di produzione destinato in
modo particolare a produrre film da trasmettere sui canali
via cavo. Questo secondo studio è diventato la Tristar, che è
stata successivamente fusa con la Columbia e oggi fa parte
della Sony Pictures Entertainment. Un’altra mossa importante e innovativa per un conglomerato giapponese è stata
la messa in atto di attività della Sony Pictures sui mercati
asiatici e in particolare in Cina e in India dove vengono prodotti film e gestiti network televisivi.
Quello della Columbia Records è il marchio più antico
nel campo delle registrazioni musicali in quanto risale al
1888. L’impresa ha contribuito alla costituzione della
Columbia Broadcasting System (CBS) nel 1927 ed è stata a
sua volta comprata nel 1938 dalla CBS, che l’ha ceduta alla
Sony nel 1988. Subito dopo, la Sony ha acquistato i diritti
relativi al marchio Columbia nel resto del mondo (di proprietà della EMI) e ha lanciato il marchio su scala mondiale.
Nel 2004 la Sony ha fuso le sue attività nel campo delle registrazioni musicali con quelli della Bertelsmann (ne parleremo tra poco) formando la Sony BMG.
ATTIVITÀ 7.9
Un profilo delle attività della Sony
nel campo dei media
Cercate su Internet informazioni utili a completare il succinto profilo della Sony appena delineato. Concentratevi
sulle attività più propriamente mediatiche (ignorando, ad
esempio, tutto quello che riguarda la produzione di apparecchiature):
• Qual è l’organizzazione della Sony? Come raggruppa
le sue attività, in quali paesi?
• Quali sono i marchi attraverso i quali presenta i suoi
prodotti?
• Come agisce in Gran Bretagna? Come produce e distribuisce in questo paese?
Viacom (fatturato 2004: 22,8 miliardi di dollari)
www.viacom.com
Viacom è l’unico tra gli otto grandi conglomerati che non è
quotato in borsa, in quanto è controllata completamente da
una sola società, la National Amusements Inc., la cui proprietà fa capo a una famiglia. La National Amusements Inc.
ha come presidente Summer Redstone e gestisce catene di
sale cinematografiche, tra le quali l’inglese Showcase, in molti paesi; si tratta di una di quelle imprese che nel gergo ame-
© 978-88-08-19263-9
FIGURA 7.10 L’impegno dei conglomerati nei vari settori
dell’industria dei media.
Time Warner
Studi cinematografici, produzioni televisive,
emittenti e network televisivi, fumetti,
riviste, editoria, servizi per Internet.
Sony
Studi cinematografici, produzioni televisive,
registrazioni musicali, videogame.
Viacom
Studi cinematografici, produzioni televisive,
emittenti e network televisivi, editoria,
affissioni.
Disney
Studi cinematografici, produzioni televisive,
emittenti e network televisivi, stazioni
radiofoniche, parchi a tema.
News Corporation Studi cinematografici, produzioni televisive,
emittenti e network televisivi, editoria,
quotidiani.
NBC Universal
Studi cinematografici, produzioni televisive,
emittenti e network televisivi, parchi a tema.
Vivendi Universal
Archivio di film, network televisivo (Europa),
registrazioni musicali, videogame, telefonia.
Bertelsmann
Produzioni televisive, emittenti e network
televisivi (Europa), stazioni radiofoniche,
editoria, registrazioni musicali, Internet.
ricano sono chiamate «closely held corporations» («custodite con cura»). Originariamente la Viacom era una piccola
impresa fondata dalla CBS, il grande network televisivo
americano. Dopo averla acquistata, Redstone l’ha utilizzata
per acquistare un ricco «portafoglio» di marche molto note
nel campo dei media come MTV, Blockbuster (successivamente quotata in borsa e ceduta nel 2004), Paramount e
CBS, oltre a partecipazioni in case editrici, canali televisivi,
stazioni radiofoniche e imprese di cartellonistica.
La Paramount Pictures era uno dei più antichi studi cinematografici di Hollywood, fondato nel 1912 da un gruppo di
distributori e ben presto fuso con le catene di sale cinematografiche Famous Players e Lasky’s, guadagnando una posizione di forza proprio su questo mercato; nel 1948 la Corte
Suprema degli Stati Uniti l’ha costretta a vendere le sale e la
Paramount è sopravvissuta con la sola attività di produzione
sino agli anni Settanta, quando controllata dalla Gulf +
Western ha prodotto grandi successi come Il padrino (USA,
1971). Da quando la Viacom ha acquistato la Paramount la
gestione di quest’ultima è stata improntata al modello «lean
and mean» («magra e cattiva»), ovvero, alla ricerca di sinergie con altre imprese della Viacom, ma senza cercare di ottenere profitti da film molto costosi e destinati al grande
pubblico. Un esempio di come una strategia del genere possa essere redditizia è il fatto che abbia guadagnato 300 o
400 milioni di dollari, associandosi all’ultimo momento alla
Fox, terrorizzata dall’aumento fuori controllo dei costi di
produzione, nel lancio di Titanic. In genere i guadagni della
© 978-88-08-19263-9
7
CASO DI STUDIO: Gli
attori principali nell’industria dei media
Paramount provengono da film piccoli (poco costosi, ma capaci di attirare molti spettatori al cinema) quali quelli della
serie dei Rugrats (prodotto dalla Nickelodeon) e Save the
Last Dance (prodotto da MTV).
Il punto di forza della Viacom è nel settore della televisione dove possiede i network CBS e UPN (United Paramount
Networks) e canali via cavo come BET (Black Entertainment Television), MTV, Nickelodeon, e così via. Se a questo si
unisce Infinity Outdoor Advertising (affissioni e attività similari), si capisce come la Viacom possa affermare di essere il
gruppo che ha più spazi pubblicitari da vendere negli Stati
Uniti (e con una presenza cospicua anche in altri paesi).
Nel 2005 ci si aspetta che Summer Redstone (nato nel
1923) si ritiri e che la Viacom dia inizio a una strategia di
«de-fusione» per concentrarsi sulle attività più redditizie
per i propri azionisti. Due nuove imprese,Viacom Inc. e CBS
Inc., sono state annunciate nel 2006. Controllate se questo
è effettivamente avvenuto, dato che alcuni analisti hanno
espresso dubbi al proposito (si veda il sito money.cnn.com,
giugno 2005).
Disney (fatturato 2004: 30,7 miliardi di dollari)
http://corporate.disney.go.com/indx.html
Sul finire degli anni Novanta la Disney si è espansa acquistando ABC, il terzo per importanza tra i network televisivi statunitensi. In tal modo ha esteso i propri possedimenti
nel campo della televisione, e ha altresì assunto il controllo
di diversi canali televisivi via cavo compresi nel marchio
ESPN. La Disney è attualmente organizzata in quattro diversi «centri di attività»: Studio Entertainment, Parks and
Resorts, Consumer Products e Media Networks.
In quanto studio cinematografico, la Disney ha origini
meno prestigiose rispetto alle altre major. Lo studio per
cartoni animati fondato da Walt Disney negli anni Venti era
inizialmente un piccolo «indipendente» i cui lungometraggi
sono stati distribuiti, a partire dal 1937, dalla RKO, una delle major dell’epoca. Solo nel 1955, una nuova impresa del
gruppo Disney, la Buena Vista, ha assunto il compito di distribuire in esclusiva i film della Disney, tra i quali, a questo
punto, vi erano, oltre che i tradizionali cartoni animati, anche film veri e propri. Negli anni Novanta la Disney ha fondato altri due studi cinematografici, Touchstone e Hollywood Pictures, destinati a produrre film non ispirati all’ethos di «intrattenimento per le famiglie» tipico della
Walt Disney Pictures, e ha acquistato anche la Miramax,
uno studio «indipendente», cosa che ha creato molto imbarazzo quando, nel 1994, il film Pulp Fiction, un grande successo della Miramax, è stato giudicato da molti del tutto
inconciliabile con l’immagine della Disney come produttrice di materiali «adatti alle famiglie». Nel 2005, i fondatori
della Miramax, i fratelli Weinstein, hanno abbandonato il
gruppo Disney, rinunciando al marchio e all’archivio azien-
215
dale composto di 600 film, ma portando con loro il marchio Dimension specializzato in film del genere horror. La
Disney ha anche tratto vantaggi dalla estesa collaborazione
avuta con l’impresa di produzione di cartoni animati di taglio innovativo Pixar (Toy Story, Gli incredibili, ecc.), ma tale
collaborazione sembra cessata nel 2005.
I parchi a tema Disneyland hanno preso vita negli anni
Cinquanta, quando è iniziata la produzione di cartoni animati per la televisione con i personaggi disneyani, che sono
i protagonisti dei prodotti destinati al merchandising di cui
si occupa il centro per i Consumer Products. Le attività
della Disney si estendono in tutto il mondo, specialmente
per ciò che riguarda i parchi a tema; l’undicesima Disneyland, situata a Hong Kong, è stata inaugurata nel settembre
del 2005 (si veda in materia quanto diremo nel Capitolo
15 dedicato alla globalizzazione). Il profilo multinazionale
della Disney si è completato quando il gruppo ha assunto il
compito di distribuire in Occidente i film prodotti dallo
studio giapponese Ghibli, tra i quali i più noti sono Princess
Mononoke e Spirited Away.
La Disney è stata oggetto di interesse, sia da parte dei
giornalisti che da parte di studiosi, per la sua immagine fortemente caratterizzata come «impresa per famiglie» e per la
conseguente «autocensura» esercitata nei confronti dei suoi
stessi prodotti, e in parte per la personalità del suo presidente, Michael Eisner, che nel 2004 ha annunciato il proprio
ritiro dopo aver guidato il gruppo per oltre vent’anni.
ATTIVITÀ 7.10
A proposito della Disney
Cercate su Google notizie sulla Disney Corporation e su
Michael Eisner.
• Che tipo di notizie trovate sulla Disney?
• Che tipo di «stile di lavoro» caratterizza questo conglomerato secondo tali notizie?
• Quanto importante è il fatto che il gruppo ostenti la
propria «americanità» (si veda il Capitolo 9 e in particolare quanto detto a proposito dell’«effetto COE»)?
News Corporation (fatturato 2004: 20,45 miliardi di
dollari)
www.newscorp.com
Forse la più chiacchierata tra le organizzazioni mediatiche in
Gran Bretagna, la News Corporation è il risultato degli sforzi
dell’australiano, naturalizzato negli Stati Uniti, Rupert Murdoch per costruire una major attiva nel campo dei media in
tutto il mondo. La News Corp possiede imprese attive in
tutti i settori dei media, eccezion fatta per quello delle registrazioni musicali, ed è una vera multinazionale che occupa
una posizione di rilievo in Australia, in Asia e negli altri paesi
che si affacciano sulle coste del Pacifico, oltre che in Europa e
216
Parte I Concetti chiave
in America settentrionale, partendo dalla proprietà di alcuni
quotidiani australiani. L’attenzione degli osservatori si è concentrata su Murdoch, più di quanto non avvenga per altri
«pezzi grossi» dell’industria mediatica, perché la News
International, l’impresa britannica che gestisce il Sun, News of
the World, The Times, ecc., controlla, nonostante il nome possa
trarre in inganno, una grossa fetta del mercato dei media in
Gran Bretagna. E a questo si deve aggiungere che la News
Corporation è azionista di maggioranza (al 35%) di British
Sky Broadcasting. Ciò ha fatto sì che gli organismi statali che
in Gran Bretagna regolano i mezzi di comunicazione, preoccupati per la possibilità che il potere esercitato da Murdoch
possa essere «eccessivo», abbiano cercato di impedirgli l’acquisto di emittenti televisive terrestri come Five.
Negli Stati Uniti, l’acquisto della 20th Century Fox con
interessi nel campo della cinematografia e della televisione e
la creazione di Fox TV che è diventato il quarto network televisivo nazionale hanno contribuito alla notorietà di Murdoch, soprattutto per gli atteggiamenti da «falco» (e cioè favorevoli alla guerra) e improntati all’ideologia neoconservatrice che hanno sin dall’inizio caratterizzato le trasmissioni
del canale Fox News. E ciò che ha indispettito i critici è stato soprattutto il fatto che il canale proclami con un banner
che le notizie trasmesse sono «fair and balanced» (cioè «veritiere ed equilibrate»). Fox News (e più in generale il potere esercitato sulla politica dalle multinazionali dei media) è
l’argomento trattato dal documentario Outfoxed (USA,
2004) il cui sottotitolo è «La guerra di Rupert Murdoch al
giornalismo». Ulteriori informazioni sul documentario si
trovano nel sito www.outfoxed.org. Non vi è dubbio che
Rupert Murdoch sia un personaggio molto combattivo, che
spesso esprime lamentele e critiche nei confronti degli organismi che regolano le comunicazioni in Gran Bretagna e in
altri paesi europei, ma esiste il pericolo che «demonizzare»
il personaggio faccia dimenticare la necessità di studiare il
funzionamento effettivo della News Corp.
La 20th Century Fox era una delle 5 famose major di
Hollywood, divenuta celebre per avere per prima lanciato il
CinemaScope nel 1953. Spesso ha prodotto film molto
spettacolari e costosi come quelli della serie di Guerre stellari, L’alba del giorno dopo (The Day After Tomorrow) e Titanic, ma
è nota anche per le tecniche raffinate di marketing con le
quali ha lanciato i film meno costosi prodotti dalla sua unità
dedicata ai film classici, la Fox Searchlight (ne è un esempio
The Full Monty, uscito nel 1997). Nel campo dell’editoria, la
News Corp controlla la casa editrice Harper Collins.
NBC-Universal (fatturato 2004: 12,8 miliardi di dollari)
www.nbcuni.com
La Universal è uno dei più antichi studi di Hollywood dal
momento che la sua fondazione risale al 1912. Come la
Columbia, della quale abbiamo parlato in precedenza, anche
© 978-88-08-19263-9
la Universal non ha mai posseduto catene di sale cinematografiche e quindi non ha mai conseguito l’integrazione verticale che caratterizza altre major. In quanto una delle «tre
piccole» (la terza era la United Artists), la Universal è divenuta famosa per la produzione di cicli di film di genere,
come quelli su Dracula e Frankenstein, di musical e commedie leggere. Nel 1952 lo studio è stato comperato dalla
Decca Record Company che, a sua volta, è stata acquistata
nel 1962 dalla MCA (l’impresa diretta da Lew Wasserman
sviluppatasi dalle attività di questi come agente di molti attori, un chiaro sintomo di come l’equilibrio dei poteri a
Hollywood stesse cambiando). La Universal, in quanto produttrice e distributrice di film e televisione, ha continuato a
diventare sempre più importante negli anni Settanta e Ottanta, ed è stata venduta nel 1986 alla giapponese Matsushita e da questa al Seagram Drinks Group nel 1995.
Successivamente la Seagram ha acquistato un’altra impresa
aspirante a diventare una delle grandi nel campo delle registrazioni musicali, la Polygram (originariamente una sussidiaria della Philips) per poi vendere il tutto al conglomerato
francese Vivendi nel 2000. Ben presto però la Vivendi è entrata in crisi (per eccessiva espansione) e ha dovuto cedere
parte dei suoi interessi alla NBC, il network televisivo americano, a sua volta controllato dal gigante General Electric.
In conseguenza di questa operazione la Universal è stata
scissa in due parti: le imprese impegnate nella cinematografia e nella televisione sono passate alla NBC, mentre quelle
che si occupavano di musica sono rimaste con la Vivendi.
La NBC-Universal è posseduta per l’80% dalla General
Electric e per il restante 20% dalla Vivendi. Ne fanno parte
studi di produzione cinematografica e televisiva, un network televisivo e parchi tematici situati negli Stati Uniti e
in altri paesi.
Vivendi-Universal (fatturato 2004: 29 miliardi di dollari)
www.vivendiuniversal.com
Il conglomerato francese Vivendi si è affacciato sulla scena
come protagonista del mercato dei media nel 2000, quando ha rilevato la Seagram Universal. La Vivendi è un’impresa molto vecchia perché è stata fondata nell’Ottocento per
gestire acquedotti, ma negli anni Ottanta e Novanta del
Novecento ha approfittato dell’avvento delle «nuove tecnologie» e della deregulation per lanciarsi nella televisione a
pagamento con Canal+ e nelle telecomunicazioni prima in
Francia e successivamente anche in Marocco. Il Presidente
della Vivendi in quel primo periodo, Jean-Marie Messier, era
caratterizzato da una politica molto aggressiva e da uno
stile di gestione degli affari «all’americana» e nel 2002 la
Vivendi dopo una serie di acquisti è effettivamente diventata una protagonista nel mondo dei media. Ma la politica aggressiva non ha pagato e, di fronte a perdite sempre più
pesanti, Messier è stato detronizzato. Dopo l’accordo con
© 978-88-08-19263-9
7
CASO DI STUDIO: Gli
attori principali nell’industria dei media
l’NBC e la dismissione delle attività relative agli acquedotti
e al trattamento dei rifiuti che sono passate ad altri, la
Vivendi mantiene il controllo di Universal Music (leader
nel settore delle registrazioni musicali) e di Canal+ una
delle più importanti imprese europee nei settori della cinematografia e della televisione, che tra l’altro dispone di
un archivio di film che è considerato al terzo posto per
numero di titoli posseduti nel mondo (molti di questi sono
americani e inglesi). Restano poi anche interessi nel campo
delle telecomunicazioni e nel settore dei videogiochi dove
compare come Vivendi Universal Games.
Bertelsmann (fatturato 2004: 23,2 miliardi di dollari)
www.bertelsmann.com
Anche la Bertelsmann nasce nell’Ottocento come casa
editrice controllata da una famiglia tedesca, ma ha cominciato a espandersi solo a partire dagli anni Cinquanta del
Novecento e si è quotata in borsa nel 1971. L’editoria resta, assieme alla vendita di servizi via Internet, un punto di
forza del gruppo che ha acquistato nel 1998 la Random
House la maggiore casa editrice al mondo per i libri destinati ai lettori privati, che si è aggiunta alla Gruner+Jahr, un
gruppo leader in Europa nella pubblicazione di quotidiani e
riviste rilevato negli anni Sessanta.
Il Bertelsmann Music Group (BMG) è stato costituito
partendo dall’acquisto delle etichette americane RCA e
Arista e d’imprese in precedenza autonome come la Zomba
Music. Nel 2004 la BMG si è fusa con la Sony Music formando un’impresa a proprietà congiunta.
Un altro importante settore di attività è quello radiotelevisivo anche se la RTL (posseduta al 91% dalla Bertelsmann)
agisce prevalentemente in Europa. Dal momento che controlla la RTL (una società che si è sviluppata da quella che era
un tempo Radio Luxemburg) e la sua sussidiaria Fremantle
(in precedenza Pearson Television), la Bertelsmann può vantarsi di essere il più importante gruppo europeo nel settore
della televisione, con partecipazioni in canali attivi in numerosi paesi, tra i quali Five in Gran Bretagna (quest’ultimo, anzi, è
attualmente completamente posseduto dalla RTL). La Fremantle è conosciuta in tutto il mondo per le serie televisive e
per i reality prodotti da Grundy e Thames, come Neighbours,
The Bill, Baywatch, Pop Idol, OK, il prezzo è giusto, e così via.
Le major europee
Oltre a Vivendi e Bertelsmann, in Europa vi sono altri importanti protagonisti, specie nei settori della televisione e
dell’editoria. Potete utilizzare quanto sarà detto in questo
paragrafo per approfondire le vostre conoscenze in materia di televisione e vi consigliamo di fare riferimento al
caso di studio «la televisione come istituzione» (che troverete più avanti, nel Capitolo 16).
217
BBC (fatturato 2004: 5,1 miliardi di dollari)
www.bbc.co.uk
La BBC è un marchio importante sul mercato dei media conosciuto in tutto il mondo, anche se forse corre il pericolo
di passare in secondo piano di fronte alla CNN, a Fox News
e agli altri marchi controllati dalle multinazionali con sede al
di fuori della Gran Bretagna. Gode di notevoli vantaggi per il
fatto di essere un’organizzazione pubblica britannica, anche
perché, attraverso il canone, ha un reddito garantito. Ma, al
tempo stesso, ciò è un vincolo, dal momento che quello che
guadagna vendendo i suoi prodotti (come i diritti sui programmi prodotti o gli spazi pubblicitari disponibili su BBC
America) dev’essere utilizzato a fini di servizio pubblico. La
BBC non può fare concorrenza ai privati e quando ha manifestato l’intenzione di farlo con alcuni dei suoi servizi relativi alla tecnologia digitale è incorsa in severe critiche da parte del Ministero per la cultura, i media e gli sport.
BSkyB (fatturato 2004: 6,6 miliardi di dollari)
www.sky.com
Attualmente è per ciò che riguarda i profitti l’emittente
più importante in Gran Bretagna; raggiunge più del 50%
delle famiglie inglesi e trasmette anche in Irlanda. BskyB è
controllata completamente dal suo fondatore e azionista di
riferimento, la News Corporation di Rubert Murdoch, e un
figlio di questi, James, ne è diventato nel 2004 il Presidente.
La maggior parte degli abbonamenti a BSkyB riguarda i canali dedicati allo sport e ai film. Rispetto alla BBC e ITV
produce in proprio o fa produrre da altri solo un numero
limitato di prodotti originali.
ITV plc (fatturato 2004: 5,24 miliardi di dollari)
www.itvplc.com
Anche se non ufficialmente, in molti casi la tendenza alla
concentrazione è stata incoraggiata dai governi e dagli organismi di regolamentazione. In Gran Bretagna, le vecchie
leggi restrittive in materia di proprietà delle licenze di trasmissione da parte di privati sono state gradualmente attenuate e questo ha permesso finalmente la fusione di due
società private dell’ITV, Carlton e Granada, attive in Inghilterra e nel Galles, che sono diventate nel 2004 ITV plc.
Questo cambiamento nella politica seguita dal governo britannico può essere interpretato come il riconoscimento
del fatto che le imprese inglesi relativamente piccole correvano gravi rischi di fronte alla concorrenza esercitata dai
grandi gruppi con ambizioni di dominio globale del mercato. Il processo di fusione, che si è protratto per molto
tempo, è iniziato con una fase nella quale sia la Granada
che la Carlton sono tornate a concentrarsi sulla televisione, vendendo, nel 2000, la prima i propri interessi nel campo del catering e la seconda le imprese impegnate in altri
settori, come Technicolor. Si è parlato di «dismissione delle
218
Parte I Concetti chiave
attività non core», cioè delle attività non rilevanti per la materia di maggior interesse. L’ITV (in pratica la Granada e la
Carlton) ha commesso un grave errore quando si è inoltrata per la prima volta nel campo della televisione digitale
con ONdigital che ha dovuto essere chiusa nel 2002, ma
ora sta lentamente recuperando con il successo riscosso
dai canali ITV2 e ITV3 che trasmettono sulla piattaforma
digitale Freeview. ITV plc è ora il produttore privato più
importante in Gran Bretagna di materiali per la televisione
terrestre (per conto della BBC, di Channel 4 e di Five oltre che per l’ITV) e il più importante produttore straniero
di contenuti per le televisione americane. Ha anche un ricchissimo archivio di titoli televisivi e fa concorrenza a
Canal+ come archivio di film.
NTL e Telewest (fatturato 2004: NTL 3,8 miliardi di dollari,Telewest 1,27 miliardi di dollari)
www.ntl.com, www.Telewest.co.uk
Se Granada e Carlton hanno impiegato diversi anni per
giungere alla fusione, anche i due più importanti gestori inglesi di televisione via cavo hanno deliberato la fusione, nel
2005, solo dopo aver impiegato alcuni anni ad assorbire una
serie di operatori di minori dimensioni. Entrambe le imprese hanno avuto una vita piena di luci e ombre come tutta la
televisione via cavo in Gran Bretagna, introdotta nel paese
da gruppi americani attivi nel settore delle telecomunicazioni, attratti dalla politica di deregulation adottata dal governo
Thatcher negli anni Ottanta del Novecento. NTL era originariamente una società americana che ha comprato una
rete inglese privatizzata;Telewest invece è nata dalla fusione
di diverse iniziative d’imprese americane (tra le quali John
Malone e Liberty Media, ne parleremo tra poco, che aveva
anche una partecipazione nella NTL). Sia NTL che Telewest
hanno patito molto la concorrenza delle operazioni via satellite di BSkyB e hanno avuto notevoli difficoltà finanziarie.
È possibile che la società nata con la fusione delle due possa
avere maggiori possibilità di sfruttare il potenziale della tecnologia basata sull’utilizzo dei cavi. Telewest è anche proprietaria di Flextech (che potrebbe tuttavia vendere in prossimo futuro) con i suoi canali via cavo come Bravo e Living
TV, nonché dei canali UKTV (che diffondono via cavo riprese dei programmi della BBC).
Telefónica (fatturato 2004: 42,3 miliardi di dollari)
www.telefonica.com/home_eng.shtml
Una delle compagnie telefoniche pubbliche successivamente privatizzate, è oggi il principale operatore di telefonia
nei paesi di lingua spagnola e portoghese. Nel 2000 la
Telefónica ha acquistato l’impresa di produzione per televisione Endemol, famosa per avere creato il format de Il
grande fratello. Possiede anche una rilevante quota azionaria
dell’emittente commerciale spagnola Antenna 3.
© 978-88-08-19263-9
Fininvest e Mediaset (stima fatturato 2003: Fininvest
14,7 miliardi di dollari, Mediaset 3,9 miliardi di dollari)
www.fininvest.it, www.gruppomediaset.it
Silvio Berlusconi ha dominato i media italiani ben più di
quanto non abbia fatto Rupert Murdoch in Gran Bretagna,
aiutato in questo anche dal fatto di essere stato sino ad
aprile 2006 Presidente del Consiglio ed essere, tuttora, leader del partito Forza Italia. I membri della famiglia Berlusconi sono i principali azionisti del Fininvest Group, una holding che è stata protagonista della diffusione delle televisione commerciale in Italia attraverso la creazione di Mediaset
avvenuta nel 1980. Successivamente, la Finivest ha ridotto la
sua quota azionaria in Mediaset che oggi è del 35%, ma ha
costituito un ampio portafoglio di imprese attive nell’editoria, nella produzione cinematografica e nei servizi finanziari
e possiede persino la squadra di calcio del Milan. È anche socia o titolare di «partecipazioni incrociate» con molti dei
gruppi europei che si occupano di media. Gli osservatori più
attenti hanno difficoltà nel valutare con esattezza sin dove
giungano gli interessi economici di Berlusconi.
Emittenti pubbliche europee
La maggior parte dei paesi europei hanno tuttora una
emittente che fa capo allo stato: in Germania ci sono
l’ARD e la ZDF, in Spagna la TVE, in Francia ci sono le diverse Télévision, in Italia la RAI e così via. La tedesca ARD
è un caso particolare in quanto è, in realtà, un consorzio di
emittenti dei vari Land del paese, mentre la ZDK è «il secondo servizio televisivo tedesco» (si veda il caso di studio
«Televisioni e istituzioni»).
Lagardère (fatturato 2004: 18,2 miliardi di dollari)
www.lagardere.com
Questo gruppo non è molto conosciuto in Gran Bretagna e
negli Stati Uniti, ma i marchi controllati dalla Lagardère, tra i
quali quelli delle riviste Elle e Red e i libri di autori come
Stephen King, pubblicati da Hodder Headline, senza dubbio
lo sono. Lagardère si occupa di «ingegneria delle tecnologie
spinte» (possiede il 15% della EADS, l’impresa aerospaziale
che si colloca al terzo posto nel mondo, producendo tra
l’altro gli Airbus), della pubblicazione di periodici (si vanta di
essere il primo editore al mondo di riviste dedicate al grande pubblico), quotidiani e libri, oltre che di radio/televisione,
nuovi media e distribuzione e vendite al dettaglio.
Pearson (fatturato 2004: 7 miliardi di dollari)
www.pearson.com
La Pearson è un buon esempio di gruppo industriale che,
invece di seguire la tendenza a divenire un «conglomerato», ha seguito il cammino inverso. Negli ultimi tempi la società editrice del Financial Times e dei libri della Penguin, ha
© 978-88-08-19263-9
7
CASO DI STUDIO: Gli
attori principali nell’industria dei media
venduto le sue attività nel settore della televisione alla
Bertelsmann e i «parchi di divertimento» (tra i quali il celebre Museo delle Cere di Madame Tussaud e The London
Eye) a un gruppo di venture capital (investimenti a elevato
rischio). La Pearson si concentra ora sull’editoria di «informazione e istruzione» (Pearson Longman Education).
Altri gruppi americani presenti in Europa
Liberty Media (fatturato 2004: 7,68 miliardi di dollari)
www.libertymedia.com
«Liberty Media è una holding che possiede partecipazioni in
una vasta gamma di gruppi attivi nella vendita al pubblico di
prodotti per l’elettronica, media, e affari connessi alle comunicazioni e all’intrattenimento raggruppate in quattro unità:
Interactive, Networks,Tech/Ventures e Corporate». Questa
frase, che figura nel sito web, è una descrizione sintetizzata
al massimo di un’organizzazione mediatica che agisce senza
mettersi in mostra, se non forse per il canale di televisione
via cavo dedicato allo shopping QVC. Ma la Liberty, guidata
dal suo presidente, il «mogul» John Malone, è considerata
dagli esperti un gruppo di grande importanza, anche perché
è una delle imprese sorte negli anni Ottanta, quando la
AT&T (in origine Bell Telephone Company) è stata costretta
da azioni legali tendenti a favorire la concorrenza nell’ambito della lotta ai trust a dismettere molte delle sue attività.
Liberty Media è venuta alla ribalta nel 2001 per le sue attività nel campo della televisione via cavo (possiede, tra l’altro,
il 50% dei canali di Discovery). È inoltre uno dei principali
azionisti della News Corporation (18%) e possiede quote di
minore entità nella Time Warner e in Viacom. In Europa la
Liberty ha cercato di entrare a far parte di molti gruppi che
si occupano di televisione.
219
Gannet (fatturato 2004: 7,4 miliardi di dollari)
www.gannet.com
Impresa specializzata in «notiziari e informazioni», la Gannet
è il più importante gruppo americano di quotidiani: ne possiede o controlla 101 (il più importante è USA Today) parecchi dei quali sono destinati ai militari americani. Possiede anche una serie di stazioni televisive e molte imprese che raccolgono e diffondono informazioni economiche e pubblicità
diretta alle imprese (B2B). In Gran Bretagna, la Gannet ha
acquistato nel 1999 Newsquest, un gruppo che controlla
circa 300 testate di quotidiani locali, e si colloca al secondo
posto tra gli operatori in questo settore. Anche se gli abitanti di Bradford (una città dello Yorkshire) non lo sanno,
tutti i quotidiani locali della zona sono di proprietà di un
editore che ha la sua sede a McLean, in Virginia.
Clear Channel (fatturato 2004: 9,4 miliardi di dollari)
www.clearchannel.com
La Clear Channel è considerata il gruppo più importante
per la radiofonia americana, in quanto possiede, gestisce o
rappresenta ai fini della vendita di spazi pubblicitari più di
1200 emittenti statunitensi e 220 in altri paesi. Si occupa,
inoltre, di televisione, ma su scala minore, dal momento
che le emittenti che possiede sono solo una quarantina. Gli
altri punti di forza del gruppo sono la promozione della
musica dal vivo e le affissioni. In Gran Bretagna, Clear
Channel è presente in tre settori di attività, la SFX,
un’agenzia che rappresenta protagonisti del mondo dello
sport, le affissioni e l’organizzazione di eventi promozionali
dal vivo (si veda il sito www.clearchannel.co.uk). Se vi interessa sapere i rapporti che intercorrono tra il mondo dei
media e quello dello sport, un buon punto di partenza è il
sito della SFX (www.sfxsports.co.uk) con le sue pagine de-
FIGURA 7.11 Questo è un tipico
esempio di una moderna impresa
mediatica molto diffusa nelle nostre
strade. O2, di per sé una delle
maggiori imprese nel settore
delle telecomunicazioni dopo
la separazione dalla British Telecom,
si fa pubblicità utilizzando uno degli
spazi per le affissioni di proprietà
di Clear Channel a Manchester
(si veda il caso di studio sulle
tecnologie della telefonia mobile).
220
Parte I Concetti chiave
dicate ad Alan Hansen, Gary Lineker (golf) e Gaby Roslin,
oltre che ai notissimi calciatori Michael Owen e Steven
Gerrard. Negli Stati Uniti, la Clear Channel è stata oggetto
di critiche per il predominio eccessivo esercitato sulle radio e sui concerti: alcuni personaggi o band sono stati tagliati fuori dalle trasmissioni radiofoniche, perché si rifiutavano di esibirsi in concerti organizzati dal gruppo. Si è anche parlato molto (in termini negativi) di Clear Channel
quando ha messo al bando le Dixie Chicks, dopo che avevano parlato in termini molto negativi del Presidente Bush.
Sul sito web del gruppo vi sono pagine intitolate «know
the facts» in cui si trovano dettagliate argomentazioni di
difesa alle critiche.
Un caso particolare
Microsoft (fatturato 2004: 36,4 miliardi di dollari)
www.microsoft.com
Apple (fatturato 2004: 8,28 miliardi di dollari)
www.apple.com
Se volessimo includere nel nostro quadro anche le imprese
più importanti nel campo delle telecomunicazioni, o nell’«industria dell’informazione», dovremmo prendere in
considerazione anche molti altri gruppi. Ma queste due società che si occupano di informatica presentano un interesse particolare per i loro rapporti con le industrie mediatiche. I computer della Apple sono i preferiti da parte
della maggioranza dei professionisti che si occupano della
produzione di disegni, musica, video (programmi come
Final Cut Pro sono molto usati dai produttori di video). La
Apple fa qualcosa di più, dal momento che cerca di vendere direttamente agli utenti una combinazione di hardware
e software che può fungere da centrale operativa unificata
per combinare immagini e suoni, dotando i suoi computer
della serie di programmi che chiama iLife e che comprende
iTunes, iPhoto, iMovie, e così via. La Microsoft spera di vendere una gamma più limitata di prodotti a una massa molto
più imponente di utenti: quel 90% dei possessori di computer che usano il sistema operativo Windows. Per chi si
occupa di media studies, i due gruppi sono particolarmente
importanti perché potrebbero in qualsiasi momento entrare in rapporto con i grandi gruppi mediatici, cosa che comporterebbe, in un mercato che è sostanzialmente un oligopolio, un’alterazione dell’equilibrio di potere oggi esistente.
I gruppi attivi nel settore dei media
al di fuori dell’America del Nord
e dell’Europa
Le major si occupano in genere solo di media che utilizzano la lingua inglese, anche se a questa generalizzazione
sfuggono le imprese basate in Europa, i cui punti di forza
© 978-88-08-19263-9
sono i prodotti a stampa o radiotelevisivi destinati ai mercati locali. In altre parti del mondo esistono protagonisti di
grande rilevanza nei media a stampa e nelle trasmissioni
radiotelevisive, ma i mercati dei film, dei video e della musica sono in genere dominati da filiali locali delle multinazionali. Le dimensioni di alcuni di questi mercati fanno pensare che presto o tardi dall’India (dove c’è un nuovo «pubblico della classe media» che si stima di oltre 300 milioni di
persone) o dalla Cina (dove già si producono film con la
collaborazione di capitali di Hong Kong,Taiwan e della Cina
continentale) emergeranno sulla scena mondiale gruppi
importanti nel campo dei media. Alcune imprese inglesi
stanno già tenendo conto di questo nei loro investimenti:
ad esempio, The Independent, il gruppo editoriale inglese,
sta partecipando alla fondazione di un nuovo quotidiano in
lingua hindi e l’Associated Newspapers (Daily Mail, ecc.)
vorrebbe lanciare un quotidiano per l’India (si veda Guardian, 6 aprile 2005).
I gruppi industriali giapponesi
attivi sul mercato dei media
L’Asia orientale sarà ovviamente molto importante per
gli sviluppi futuri delle industrie dei media, dato che
nella Corea del Sud esiste già una industria cinematografica consolidata e che in Giappone ci sono da molto tempo industrie mediatiche attive in tutti i settori.
Alla luce di questo, è forse sorprendente che i gruppi
giapponesi attivi nel mondo dei media non abbiano
ancora assunto un ruolo importante in Europa e nell’America settentrionale (fanno ovviamente eccezione
la Sony e la Nintendo nel settore dei videogiochi). Il
motivo di questo deve cercarsi nel fatto che il Giappone per ben due volte (negli anni Trenta e Sessanta)
è stato al vertice dell’attività di produzione cinematografica e possiede una tradizione in materia non dissimile da quella esistente a Hollywood, ma gli studi cinematografici giapponesi, contrariamente a quelli americani, non si sono evoluti in conglomerati.
Per ciò che concerne la televisione, il sistema giapponese si è allineato ai modelli europei, con un’emittente pubblica, la NHK, e diverse emittenti private,
spesso collegate ai maggiori editori di quotidiani (i
quotidiani giapponesi sono quelli che hanno la più ampia circolazione nel mondo: lo Yomiuri Shimbun ha una
tiratura di 10 milioni di copie). Si dà per scontato che
sia i quotidiani che le stazioni televisive abbiano un
preciso orientamento politico (si veda la voce sui media giapponesi in Wikipedia). La televisione via cavo e
quella via satellite si sono sviluppate in Giappone meno di quanto non sia avvenuto nel mondo occidentale
© 978-88-08-19263-9
7
CASO DI STUDIO: Gli
attori principali nell’industria dei media
e, per quanto riguarda l’editoria, esistono delle peculiarità (i manga, fumetti o romanzi disegnati, sono la lettura preferita dai giapponesi di ogni gruppo d’età).
Un’impresa mediatica che, più delle altre, sembra adeguarsi al modello occidentale è la Kadokawa Shoten,
editrice, produttrice di film, video e di contenuti in forma elettronica in genere, cui si devono, tra l’altro, i film
del ciclo di Ringu (si veda il caso di studio in fondo al
Capitolo 3).
L’altro modo in cui i produttori di media non europei o
nordamericani possono essere presenti in tutto il mondo
è attraverso prodotti nella lingua locale fruiti dagli emigrati
sparsi nel mondo e che possono, quindi, essere esportati in
mercati di altri paesi.
I due esempi più importanti di questo fenomeno sono:
• I cosiddetti film di «Bollywood» i quali vengono sempre
più prodotti per gli indiani non residenti in India, emigrati
in Gran Bretagna o in America settentrionale. Gli studi di
Hollywood sono, come era prevedibile, molto interessati
a questo fenomeno ed è possibile che i produttori/distributori indiani si trovino presto a dover affrontare la
loro concorrenza. Il film Lagaan (India, 2002) candidato
all’Oscar, è stato distribuito in molti paesi dalla Sony.
• Nell’America Latina la forma più popolare di fiction televisiva è la telenovela, un tipo di serial televisivo, che assomiglia molto alla soap, ma non è la stessa cosa. Le telenovelas sono prodotte in molti paesi, in lingua spagnola o portoghese, ed esportate in tutto il mondo iberofono, compresi gli Stati Uniti, nonché in altri mercati dopo
il doppiaggio. Lo stesso format esiste anche in Brasile
dove il principale produttore è l’emittente televisiva
Globo; vista la grandezza del mercato brasiliano e l’esistenza di altri paesi in cui il portoghese è la lingua principale, nonché il fatto che normalmente le telenovelas
del Globo sono doppiate in spagnolo, questi prodotti
hanno una distribuzione estremamente vasta. Silvio
Waisbord, in un articolo dal titolo «Grandes gigantes:
media concentration in Latin America», pubblicato nel
2002 sul sito www.opendemocracy.net, sostiene che,
benché non esistano gruppi multinazionali la cui base è
in America Latina, imprese come il Globo sono state in
grado di acquisire media di altri settori e stanno avviandosi a divenire monopoliste sui mercati locali. Sono anche possibili alleanze con multinazionali europee o americane (la Telefónica, della quale abbiamo parlato in precedenza, è ora una delle protagoniste del mercato argentino). Waisbord rileva anche che le trasmissioni
radiotelevisive di servizio pubblico che caratterizzano l’Europa sono del tutto assenti in America Latina
(nel Capitolo 15 parleremo del lancio di Telesur).
221
I dibattiti sul consolidamento in atto
Ma è proprio tanto importante questo «consolidamento»
dei gruppi mediatici del quale si parla tanto? Il dibattito tra
gli studiosi dei media svoltosi su www.opendemocray.net
tra il 2001 e il 2003 sembra dare una risposta positiva (per
un elenco completo degli articoli relativi al dibattito si può
fare una ricerca sul sito usando come parole chiave «Global
media ownership» o il nome di uno degli autori dei quali
parleremo tra poco).
James Curran (2002) ha riassunto alcune delle argomentazioni emerse durante il dibattito partendo dalle risposte date a due interrogativi:
• La concentrazione dei media sta effettivamente aumentando?
• Tale fenomeno comporta conseguenze importanti?
Per ciò che riguarda la prima delle due domande, Curran
cita Benjamin Compaine, secondo il quale lo share complessivo delle più importanti cinquanta imprese presenti
sul mercato non è cambiato di molto durante gli anni
Novanta: alcune imprese hanno perso posizioni, ma altre,
come Amazon, si sono affacciate sulla scena. Ma molti altri autori condividono l’opinione di Bob McChesney, secondo il quale «in tutto il mondo la concentrazione dei
media sta aumentando». Secondo Curran entrambi i punti di vista sono entro certi limiti nel giusto. I cambiamenti verificatisi nella proprietà dei media durante gli anni
Novanta sono stati in alcuni casi atti di difesa nei confronti di nuovi concorrenti e alcuni dei tentativi di espansione hanno avuto esiti negativi. Ma, sempre secondo
Curran, la tendenza a una concentrazione su scala globale continuerà.
A proposito della seconda domanda, Curran indica
quattro motivi per cui la concentrazione dei media nelle
mani di un numero limitato di protagonisti può avere conseguente importanti.
• La concentrazione del potere simbolico in mano a privati ha un forte potenziale discorsivo sul processo democratico.
• Il potere che, almeno in potenza, è in mano ai mogul dei
media tende a essere utilizzato in modo da favorire determinate posizioni politiche.
• La concentrazione del potere di mercato è nociva per
la concorrenza.
• Vi è una protezione solo parziale delle nostre libertà: è
vero che siamo sempre in guardia nei confronti di possibili abusi compiuti dallo stato sui media e che questo
ha portato allo sviluppo di una normativa di garanzia,
ma lo stesso non si verifica, né per quanto riguarda la
vigilanza, né per quanto concerne le garanzie, a proposito dei possibili abusi del potere degli azionisti di riferimento delle imprese sui media.
222
Parte I Concetti chiave
In questo Curran sembra non condividere l’opinione della
maggioranza dei suoi colleghi che sono favorevoli alla libertà dei mercati (sull’argomento si veda soprattutto il Capitolo 16). Molti studiosi, come David Hesmondhalgh che
parla del mercato della musica, sostengono che, nonostante la concentrazione dei diritti di proprietà, nei prodotti
mediatici esistono ancora «contenuti molto diversificati» e
diverse «voci alternative». Ma, risponde Curran, per ogni
serie satirica come quella dei Simpson della Fox, ci sono
episodi come la pressione esercitata dalla News Corporation sui giornalisti della carta stampata e delle trasmissioni radiotelevisive perché si esprimano in consonanza
con un’ideologia conservatrice. Gli oligopoli esistono per
difendere gli interessi delle imprese che ne fanno parte:
non sono affatto accoglienti nei confronti dei nuovi venuti
e non tollerano ideologie alternative. Sono invece capaci,
ove le ideologie alternative persistano, di assorbirle e presentarle in modo tale da farle sembrare parte dell’ideologia dominante. Coloro che vorrebbero un mercato diversificato sono propensi a elevare vibrate proteste quando lo
stato interviene sui media, ma raramente protestano quando, come avviene in molti paesi, lo stato aiuta sul piano regolamentare o con sussidi i grandi gruppi economici (si
veda Wheen, 2004) e raramente svolgono campagne contro lo strapotere delle organizzazioni private nel settore
dei media.
Conclusioni
Vale la pena di analizzare con attenzione il dibattito che si
è svolto su opendemocracy.net. Dopo il 2003 sono accadute molte cose (si pensi alla copertura giornalistica della
guerra in Iraq e alle polemiche in Gran Bretagna sul modo
in cui la BBC presenta le notizie) che hanno dato nuovo
impulso al dibattito, ma il problema di fondo resta sempre
quello della concentrazione della proprietà dei mezzi di
comunicazione. Nel 2005 sono corse voci che sostenevano che la Viacom avrebbe venduto alcune delle imprese
controllate e che l’NBC stava cercando di comperare la
DreamWorks, due mosse che avrebbero cambiato la situazione, l’una in un senso e l’altra in senso contrario.
L’azienda informatica Google, quotata in borsa solo da
quattro anni, ha una capitalizzazione superiore a quella
della Time Warner sommata a quella di diversi altri gruppi, ma si ricordi che anche AOL, al momento della fusione
con la Time Warner, era sopravvalutata in modo incredibile, come lo scoppio delle bolla delle dot.com ha rivelato
dopo poco tempo. Le «major» sono tali perché capaci di
sopravvivere per molto tempo. Quanti sono i logo di imprese che, come quelli della Warner Bros, della Paramount
e della Universal, sono conosciuti in tutto il mondo dopo
più di ottantanni?
© 978-88-08-19263-9
ATTIVITÀ 7.11
Il dibattito sulla concentrazione
Cercate di trarre delle vostre personali conclusioni sul dibattito relativo al «consolidamento», rileggendo questo
caso di studio e consultando il Capitolo 16.
• Fate una ricerca su uno o due gruppi mediatici importanti, cercando di determinare la quota del mercato
mondiale che controllano.
• Preparate una breve presentazione sul tema «L’importanza del potere di cui godono sui mercati i grandi
gruppi attivi nel settore dei media».
Bibliografia e letture di approfondimento
Curran, James (2002), http://www.opendemocracy.net/
content/articles/PDF/37.pdf.
Gomery, Douglas (1998), «Hollywood corporate business
practice and periodizing contemporary film history», in
Steve Neale e Murray Smith (eds.), Contemporary Hollywood
Cinema, Routledge, Londra.
Hesmondhalgh, David (2001), http://www.opendemocracy.
net/debates/article.jsp?id=8&debateld=24&article=46.
McChesney, Robert W. e Herman, Edwards S. (1997), The
Global Media – The New Missionaries of Corporate
Capitalism, Continuum, Londra e New York.
Wheen, Francis (2004), How Mumbo-Jumbo Conquered the
World, Fourth Estate, Londra.
Siti Internet
en.wikipedia.org
www.hoovers.com
www.ketupa.net
www.opendemocracy.net
www.peakpeak.com/~jking/media/mainplayers.html
(attivo dall’11 giugno 2005)
DVD
Outfoxed (2004)
Le operazioni delle multinazionali dei media sono seguite
da pubblicazioni commerciali per ogni industria. Screen
International, Variety e Billboard sono particolarmente utili
in quanto si occupano di un’ampia gamma di «media
d’intrattenimento». Per una prospettiva più definita in merito
alla Gran Bretagna leggete Broadcast, Media Week, UK Press
Gazette. Molte di queste pubblicazioni hanno dei siti web,
che probabilmente richiedono una iscrizione per avere
informazioni dettgliate, ma che contengono anche articoli
accessibili a tutti.