Un sistema privilegiato esteso

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Un sistema privilegiato esteso
Un sistema privilegiato esteso
I sistemi di riferimento localmente inerziali dall’ascensore in caduta libera di
Einstein ai moti celesti
Silvio Bergia
Dipartimento di Fisica, Università di Bologna
Introduzione
La nozione di sistema di riferimento inerziale, essenziale per una formulazione
autoconsistente della dinamica classica, è usualmente ripresa nelle trattazioni di quella
relativistica; quella di sistema di riferimento localmente inerziale (SLI) appare per più
aspetti necessaria per un’introduzione alla teoria einsteiniana della gravitazione, la
relatività generale. Trattazioni recenti1 impostano fin dall’inizio un discorso relativistico
complessivo, che risulta possibile basare sulla sola nozione di SLI. In realtà gli autori
citati vanno oltre: in considerazione del fatto che nei sistemi inerziali della tradizione in
presenza di campi gravitazionali – anche uniformi – gli orologi sono soggetti a
desincronizzazione (equivalentemente, vi si verifica il fenomeno del redshift
gravitazionale) i SLI non sono equivalenti ai sistemi inerziali tradizionali, e, in quanto
non vi si verificano i fenomeni accennati, sono da preferirsi ad essi.
Qui si seguirà un percorso tradizionale, anche e soprattutto in considerazione del fatto
che è quello maggiormente seguito nella didattica, a livello liceale ma il più delle volte
anche a livello universitario. Introdotta nel quadro consueto la nozione di SLI, si mostrerà
poi che essa può essere gradualmente estesa, dall’ascensore in caduta libera di un
esperimento mentale einsteiniano ai satelliti artificiali e da questi, sebbene con un’ovvia
limitazione, a quelli naturali e, genericamente, ad ogni corpo celeste e al “substrato”
cosmico, “il sistema privilegiato esteso” cui si allude nel titolo. Ricordato come
l’anisotropia di dipolo della radiazione di fondo a microonde metta il luce un moto
rispetto a tale sistema, dunque una sorta di moto assoluto, sottolineeremo che questo non
viola un enunciato correttamente espresso del principio di relatività.
1.I sistemi inerziali della tradizione
Come ricordato nell’Introduzione, per una formulazione autoconsistente della dinamica
classica, è essenziale la nozione di sistema di riferimento inerziale. Una logica praticabile
per un’introduzione dei principi newtoniani può seguire il cammino indicato qui di
seguito. Si parte da una definizione: Un sistema è inerziale se, rispetto ad esso, un corpo,
sottratto all’azione di tutti gli altri corpi dell’universo, persevera nel suo stato di quiete o
1
V. E. F. Taylor, J. A. Wheeler, Spacetime Physics, Freemann, 1966; E. Fabri, Per un insegnamento
moderno della relatività, Quaderno 16 della Associazione Italiana per l’Insegnamento della Fisica (AIF),
Bologna, 2005.
di moto rettilineo uniforme. Appare poi necessario introdurre un principio: Esiste in
natura almeno un sistema di riferimento inerziale. Si può poi immediatamente dimostrare
il teorema: Sono inerziali tutti e soli i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme
rispetto ad essi. Si afferma poi che la seconda e la terza legge di Newton – espressa come
conservazione della quantità di moto totale di un sistema isolato – valgono in tutti i
sistemi inerziali. Come si vede, secondo questa logica espositiva, il primo principio è
dissolto nelle tre proposizioni in corsivo.
Due parole di commento su questa impostazione. Circa la proposizione di principio è il
caso di sottolineare che essa è in effetti il distillato di esperienze che hanno via via
mostrato che il carattere di inerzialità dei sistemi di riferimento cresce passando da una
giostra rotante a sistemi di riferimento ancorati a corpi celesti come il Sole (fondamentale
l’esperimento di Foucault per quanto riguarda la Terra). Circa il teorema è appena
necessario ricordare che esso individua la classe dei sistemi di riferimento che la
relatività ristretta, prima galileiana poi einsteiniana, considera equivalenti. Qualche
osservazione un po’ più articolata richiede la definizione. La frase sottratto all’azione di
tutti gli altri corpi dell’universo è di solito sostituita con l’espressione sintetica non
soggetto a forze; che peraltro, posto che il termine forza è usato anche per gli effetti
causati da accelerazioni rispetto ai sistemi inerziali, dovrebbe essere corredato dalla
specificazione dovute a corpi. E allora tanto vale usare la locuzione proposta qui, che
rende esplicito che cosa si dovrebbe fare per essere sicuri che il corpo con cui abbiamo a
che fare sia sottratto all’azione l’azione di altri. Che qualcosa si possa fare a questo scopo
è chiaro: si può porlo in una gabbia di Faraday per sottrarlo ad eventuali azioni elettriche,
su di un piano liscio per sottrarlo a quella della Terra ... Il discorso però non finisce qui,
dato che ci sono in giro altri corpi oltre la Terra. Senza entrare in eccessivi dettagli – di
fatto la questione sarà ripresa in seguito – ci fa gioco sottolineare qui una carenza di
operatività della definizione. Carenza che vedremo non sussistere per quanto riguarda la
definizione di SLI.
2.Massa inerziale, massa gravitazionale e legge di Galileo
Scritta la legge della gravitazione di Newton
F
G
M G mG
r2
(prescindiamo dalla notazione vettoriale quando non appare strettamente necessaria)
esplicitando che, in linea di principio, le masse dei corpi interagenti sono quelle
gravitazionali, consideriamo il caso in cui si abbia a che fare con un corpo soggetto
all’azione gravitazionale della Terra e posto alla distanza di un raggio terrestre RT dal
centro della Terra (pensata come rigorosamente sferica). Un teorema dovuto allo stesso
Newton ci assicura che in tal caso tutto va come se l’intera massa terrestre fosse
concentrata nel suo centro. Il corpo in questione è allora soggetto a una forza peso
p
gmG
da parte di un campo gravitazionale g dato dalla
g
G
M GT
RT
Il moto del corpo è governato dalla legge fondamentale della dinamica
(1)
F
mi a
dove, come sopra, si prescinde dalla notazione vettoriale e si sottolinea, questa volta, che
la massa in gioco è quella inerziale. In questo caso la forza F coincide col peso p
(2)
F
p
gmG
Dalle (1) e (2) segue dunque
a
mG
g
mi
La validità della legge di Galileo – tutti i corpi cadono (nel vuoto), in un campo
gravitazionale dato, con la stessa accelerazione – implica dunque, per tutti i corpi, la
proporzionalità fra massa inerziale e gravitazionale, proporzionalità che diventa identità
mi
mG
una volta che si scelgano per le due le stesse unità di misura. Viceversa, l’“uguaglianza”
fra massa inerziale e massa gravitazionale appare come il presupposto teorico per la
validità empirica della legge di Galileo. Esperimenti “statici” (eseguiti con bilance di
torsione) da Eötvös, Dicke, Braginski e Panov hanno confermato l’uguaglianza con limiti
altissimi di precisione.
L’uguaglianza fu elevata da Einstein a principio. La denominazione da lui scelta –
principio d’equivalenza – discende dalla considerazione di un esperimento mentale che
sancisce l’equivalenza fra forze gravitazionali e inerziali se, appunto, vale l’uguaglianza.
Equivalenza che sussiste però solo per il caso di campi uniformi. Mentre infatti
un’accelerazione costante di valore numericamente uguale a quello dell’intensità del
campo può riprodurne gli effetti, non appare possibile realizzare un “campo di
accelerazioni” in grado di simulare l’azione di un campo gravitazionale generico.
L’ “equivalenza” è condizione necessaria per una geometrizzazione della gravitazione
– l’obiettivo perseguito dalla relatività generale – per la quale il moto dei corpi di prova
in un campo gravitazionale dato deve dipendere solo dalla geometria del continuo spaziotemporale, predeterminata da un corpo molto massivo.
3.Una nuova classe di sistemi inerziali
Ricordiamo brevemente l’esperimento mentale einsteiniano, cui abbiamo fatto
riferimento nel sottotitolo, che invita ad esaminare che cosa succederebbe in un ascensore
in caduta libera (nel vuoto) in un campo gravitazionale (uniforme) dato. L’ascensore, in
quanto corpo solido, individua un sistema di riferimento. Ebbene, il principio
d’equivalenza comporta che tutti i corpi – in questo caso l’ascensore e qualunque cosa vi
si trovi – cadano, in un campo dato, con la stessa accelerazione. Se dunque, stando noi
nell’ascensore, lasciamo a se stesso, in quiete rispetto a noi e all’ascensore (o animato da
una qualche velocità iniziale), un qualsiasi oggetto, questo rimarrà nel suo stato di quiete
(o di moto rettilineo uniforme con quella velocità) rispetto all’ascensore. Per tutti i corpi,
rispetto al sistema di riferimento dell’ascensore, apparirà valere una legge d’inerzia. Il
sistema di riferimento dell’ascensore appare dunque individuare un sistema di riferimento
inerziale, nonostante sia in stato di moto (uniformemente) accelerato rispetto al sistema di
riferimento, supposto inerziale, collegato alle masse che generano il campo.
Ci si rende peraltro rapidamente conto che la definizione di un sistema di riferimento
con la proprietà riscontrata per quello dell’ascensore non coincide con quella che
abbiamo dato per i sistemi inerziali della tradizione. Alla definizione
Un sistema è inerziale se, rispetto ad esso, un corpo, sottratto all’azione di tutti gli altri
corpi dell’universo, persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme
si sostituisce l’altra:
Un sistema è inerziale se, rispetto ad esso, un corpo, lasciato a se stesso2, persevera nel
suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
In questo caso non abbiamo bisogno di preoccuparci di quali azioni possano essere
esercitate sui corpi in esame da non importa quale campo fisico. E la definizione, a
differenza di quella data per i sistemi inerziali della tradizione, è immediatamente
operativa: per controllare se siamo o meno in un tale sistema di riferimento basta
prendere un qualsiasi oggetto con due dita e allargarle. Se l’oggetto cade possiamo anche
trovarci in un sistema inerziale, ma in uno tradizionale. Possiamo fin da qui dire che i
sistemi delle due classi non sono, genericamente parlando, equivalenti. Ma c’è dell’altro.
Ricordiamo che, come è stato accennato nell’Introduzione, nei sistemi inerziali della
tradizione, in presenza di campi gravitazionali – anche uniformi – gli orologi sono
soggetti a desincronizzazione (equivalentemente si verifica il fenomeno del redshift
gravitazionale)3; che è la ragione, come pure si ricordava, per la quale gli autori citati
nella Nota 1 hanno scelto di trattare la stessa relatività ristretta, fin dall’inizio, nei sistemi
di questa nuova classe.
I sistemi inerziali della nuova classe si distinguono anche per altre proprietà.
Osserviamo, per cominciare, che per essi non vale il teorema “Sono inerziali tutti i
sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto ad essi”. Basterà, per
convincersene, considerare due ascensori in caduta libera, al solito nel vuoto, in
prossimità del livello del mare, l’uno agli antipodi dell’altro.
Più importante l’altra proprietà:
I sistemi della nuova classe sono inerziali solo localmente.
2
In alternativa si potrebbe usare la locuzione “lasciato libero”.
È il caso di ricordare che una non uniformità del campo modula, per così dire, l’effetto di
desincronizzazione o di redshift, e che l’effetto di modulazione si riscontrerebbe anche nei SLI.
3
Che vuol dire? Visto che l’esperimento è mentale, possiamo considerare un ascensore
“molto grande”, così grande che l’intensità del campo gravitazionale terrestre varii in
modo sensibile lungo la verticale all’interno della cabina; allora corpi lasciati a se stessi
in prossimità del pavimento o del soffitto saranno soggetti ad un campo di intensità
diversa da quella del campo medio e, di conseguenza, appariranno animati da sia pur
piccole accelerazioni verso il pavimento o verso il soffitto. In modi analoghi si farebbe
sentire il carattere radiale del campo. In generale, un sistema di riferimento risulterà
inerziale nel senso nuovo fino a che si potranno trascurare gli scostamenti dall’uniformità
del campo gravitazionale che determina il suo moto. Si usa dire appunto che questi
sistemi di riferimento sono soltanto localmente inerziali (SLI, secondo l’acronimo
introdotto sin dall’inizio).
Al proposito appaiono opportune due osservazioni. La prima è che l’avverbio appare
doversi riferire alle dimensioni spaziali entro le quali si riscontrerebbe la validità della
legge d’inerzia, beninteso nei limiti di precisione della strumentazione con la quale
andremmo a verificarla; ma un attimo di riflessione ci dice che, quali che siano questi
limiti, se aspettiamo abbastanza tempo, gli effetti della non uniformità del campo si
farebbero comunque sentire. La regione di validità sarà dunque limitata nello spazio e nel
tempo. La seconda è che questa limitatezza comporta, dal punto di vista matematico, che
l’inerzialità valga in una regione (spazio-temporale) infinitesima; ma di fatto, in fisica,
infinitesimo vuol dire “molto piccolo” rispetto a qualche standard fissato. Se avessimo a
che fare con un SLI posto a distanza di qualche centinaio di migliaia di anni luce da una
galassia isolata, gli affetti della non omogeneità del campo sarebbero molto piccoli in una
regione delle dimensioni spaziali di un anno luce, che sarebbe dunque, in questo senso,
“infinitesima”
Si dirà: va bene, esistono i SLI, ma che ce ne facciamo? Il fatto è che l’ascensore in
caduta libera non è che un punto di partenza. Facciamo un passo avanti rifacendoci a
Newton.
La figura ci ripropone un esperimento mentale, questa volta appunto newtoniano4. Esso
risale alla fase iniziale degli studi di Newton sulla gravitazione, al momento cioè in cui
egli si chiedeva se “una stessa forza” potesse rendere conto della gravità terrestre e di
4
C’è nella figura qualcosa che ci dice che non può trovarsi esattamente così in un’opera di Newton (che
cosa?). Così come c’è qualcosa che non torna: la traiettoria che compie più di un mezzo giro attorno alla
Terra per poi lasciare il proiettile nel Pacifico.
quella celeste. In esso ci si immagina di sparare dalla cima di una montagna (alta quanto
si vuole, tanto l’esperimento è mentale; per le stesse buone ragioni immagineremo un
cannone capace di sparare un proiettile ad una qualsiasi velocità voluta e considereremo
del tutto trascurabile la resistenza dell’aria) ad alzo zero un proiettile con velocità via via
crescenti. Già Galileo aveva insegnato che, finché si può trascurare la curvatura terrestre,
la traiettoria è un arco di parabola, derivante dalla composizione di un moto rettilineo
uniforme lungo l’orizzontale con la velocità inizialmente impressa al proiettile ed un
moto uniformemente accelerato di caduta libera lungo la verticale. È importante
sottolineare fin da qui che il proiettile è in caduta libera. Ma andiamo avanti. La
traiettoria non sarà più parabolica ma ellittica se, aumentando il valore della velocità
impressa al proiettile, esso andrà così lontano che si dovrà tener conto della sfericità della
Terra. Il moto rimane comunque composto, con la componente verticale che continua ad
essere di caduta libera; ma, se la velocità è abbastanza grande, pur cadendo, per così dire,
continuamente, il proiettile sulla Terra non ci finirà mai. Esiste poi una specifica velocità
iniziale per la quale la traiettoria diventa circolare, e riporta, come nella figura, il
proiettile al punto di partenza; per continuare poi5 a percorrere indefinitamente
quell’orbita. E il proiettile è diventato un satellite artificiale. Oggi i satelliti artificiali
sono messi in orbita con cannoni un po’ diversi ma il concetto è lo stesso.
Quello che ci preme qui sottolineare è che il “satellite artificiale” della figura è in ogni
istante in caduta libera nel campo gravitazionale della Terra, ed individua dunque, come
l’ascensore di Einstein, un SLI. E non occorre spremersi troppo le meningi per arrivare
alla conclusione che qualunque veicolo spaziale, immesso su di un’orbita kepleriana nel
campo gravitazionale di un qualunque corpo celeste, realizzerà a sua volta un tale
sistema, beninteso finché non si accenderà, per qualche motivo, un qualche retrorazzo.
Né le cose cambiano se l’orbita sarà determinata dal campo gravitazionale complessivo
somma dei campi prodotti da più corpi celesti: la nave spaziale sarà pur sempre in caduta
libera in quel campo complessivo.
In conclusione, individuano SLI i satelliti artificiali, e in generale tutte le “navi
spaziali”: esse sono in caduta libera in un campo gravitazionale esterno complessivo. Che
è già andare alquanto oltre lo scomodo – per chi ci sta dentro in attesa dell’impatto –
ascensore einsteiniano.
4)Dai satelliti artificiali a quelli naturali e ad altri corpi celesti
Vien fatto di dire: ma che differenza c’è, in linea di principio, fra un satellite artificiale ed
uno naturale, fra il proiettile ad alta velocità di Newton e la Luna? Non voleva lui stesso
dirci che sono la stessa cosa? Non proprio: forse che, sulla Luna, gli astronauti che ci
hanno messo piede non pesavano? Pesavano di meno, ma pesavano. Il fatto è che la
caduta libera della Luna nel campo gravitazionale della Terra (a rigore non verso la
Terra, ma verso il baricentro del sistema Terra-Luna) annulla il campo terrestre, ma non
quello lunare. Per essere ancora più precisi, annulla il campo terrestre medio, non le sue
componenti mareali, cioè gli scostamenti dal campo medio dovuti (v. paragrafo 3)
all’andamento del campo con l’inverso del quadrato della distanza e alla sua radialità.
Forse conviene, per fissare le idee, sempre in riferimento al sistema Terra-Luna,
osservare che anche la Terra è in caduta libera verso il baricentro del sistema Terra5
Se gli artiglieri hanno accortamente spostato il cannone!
Luna6, e che gli scostamenti del campo lunare dal suo valore medio contribuiscono al
fenomeno delle maree. Come pure sembra il caso di osservare che si ha a che fare con
quegli scostamenti dall’uniformità di un campo esterno che rendono un sistema in caduta
libera solo localmente inerziale.
Che ci siano notevoli differenze fra un satellite artificiale ed uno naturale è indubbio.
Ma, per quanto ci preme qui, la maggiore sta nel fatto che il satellite naturale, in quanto
corpo celeste notabilmente massivo, esercita una sensible azione gravitazionale su chi vi
si trovi. Siamo tuttavia abituati, dai tempi di Newton ai nostri giorni, a trattare i satelliti,
per quanto riguarda il loro moto attorno ai pianeti, e in pianeti, per quanto riguarda il loro
moto attorno al Sole, come punti materiali. E, a questo livello, quanto appena ricordato
diventa irrilevante: gli uni e gli altri sono in caduta libera nel campo gravitazionale
esterno, dovuto nel primo caso al pianeta considerato, nel secondo al Sole. Satelliti
naturali e pianeti individuano dunque, a loro volta, SLI.
Non solo: perché il discorso si estende immediatamente a qualunque corpo celeste non
appena lo si riduca di fatto, se quello che ci interessa è il suo moto e nient’altro, fosse
pure una galassia, ad un punto materiale: di fatto qualunque corpo dell’universo, anche
una galassia, è in caduta libera nel campo gravitazionale complessivo in cui si trova. Non
c’è male, come estensione dell’ascensore di Einstein.
5)La cosmologia: gli elementi essenziali
Per arrivare rapidamente al punto di interesse specifico qui, proverò qui, per cominciare,
a tratteggiare gli elementi essenziali della cosmologia – lo studio dell’universo nel suo
complesso – come delineati dalle osservazioni e dagli studi condotti nel ventesimo
secolo. Il primo è che come costituenti elementari dell’universo non si devono prendere
le stelle bensì le galassie. Per quale motivo? Quali sono i costituenti di un gas considerati
come elementari, e che come tali ne caratterizzano il comportamento nella sua trattazione
in termini microscopici? Non gli elettroni – o i nuclei – e neppure gli atomi: sono le
molecole, gli oggetti per i quali si può ipotizzare, e di fatto si ipotizza, una distribuzione
casuale nello spazio. Ora, la distribuzione delle stelle nell’universo è tutto tranne che
casuale. Esse sono infatti, per l’appunto localizzate, con distribuzioni che non possono
certo dirsi casuali, nelle galassie.
Il secondo elemento essenziale è che l’universo in espansione, e non nel senso che le
galassie si allontanano reciprocamente in uno spazio preassegnato, ma nel senso che è lo
spazio stesso a dilatarsi. Il primo segnale in questo senso (Hubble, 1929) stato
confermato, precisato ed esteso nel corso del ventesimo secolo. L’espansione considerata
è, fino a prova contraria, isotropa. Per fissare le idee, se per un attimo sostituiamo
mentalmente alla distribuzione casuale delle galassie una loro collocazione ai vertici di
un reticolo cubico, l’espansione lascerà inalterato i rapporti (uguali a 1) fra le lungezze
dei tre spigoli di base; se poi l’universo dovesse risultare ipersferico (v. la discussione
che segue) – e allora, sopprimendo una dimensione, ce lo immagineremo come la
superficie di una sfera – espansione isotropa vorrà dire aumento del raggio della sfera.
L’espansione dell’universo sarà allora descritta in termini di un singolo parametro, un
6
Se si vuole, un po’ per modo di dire, posto che esso si trova all’interno della sfera terrestre (v., per
esempio, V. Pingitore, Le maree, presentato all’incontro “L’Energia: la Sfida del Terzo Millennio”,
Catanzaro, 25-28 febbraio 2009).
“fattore di scala”, che ci deve dire come aumenta col tempo (cosmico) la distanza fra due
costituenti elementari – si fa per dire – dell’universo. L’ipotesi dell’espansione riduce
nell’uno e nell’altro caso l’universo ad un sistema dinamico ad un solo grado di libertà. Il
moto di un tale sistema, come quello di un generico sistema dinamico, è allora
determinato da una legge e dalle condizioni iniziali.
Una legge, si diceva. Riguardante che cosa? Evidentemente la gravitazione, che
reggerà il moto collettivo nel senso di rallentarlo, data l’attrazione reciproca fra le
galassie. Ci torneremo brevemente, ma qui preme intanto ricordare che la cosmologia
fisico-matematica del secolo ventesimo ha scelto come teoria della gravitazione la
Relatività Generale (RG). Che è, prima di ogni altra cosa, una teoria geometrica della
gravitazione, nel senso che non concepisce l’azione gravitazionale esercitata da un corpo
come una vera e propria forza, ma come esplicantesi in termini di una modifica del
continuo spazio-temporale in cui giace il corpo, e, in specifico, della geometria dello
spazio circostante. Peraltro, per quanto riguarda il formalismo, le equazioni che in RG
legano le componenti del tensore metrico, determinante appunto le caratteristiche
metriche di quel continuo in presenza di sorgenti materiali, alle sorgenti dell’azione
gravitazionale, hanno una notevole somiglianza formale con le equazioni di Maxwell
descriventi le proprietà di un altro campo, quello elettromagnetico: come in queste le
sorgenti sono descritte in termini di densità; di carica e corrente nel caso
elettromagnetico, di energia ed impulso in quello gravitazionale. Nell’applicarle
all’universo come un tutto, la distribuzione granulare della materia va dunque sostituita
con una descrizione in termini di un fluido. Considerata una regione dell’universo
abbastanza vasta da eliminare caratteristiche strettamente locali, si dovrà compiere
l’operazione mentale e formale di sostituire la materia effettiva con un fluido – un “fluido
cosmico” – a che abbia nella regione una densità (ed eventuali altre proprietà
caratterizzanti) costante pari alla densità media della materia che vi è contenuta.
Nell’articolo del 1917 in cui proponeva il primo modello fisico-matematico di universo
della cosmologia del ventesimo secolo, Einstein scriveva che in cosmologia bisogna far
proprio l’atteggiamento dei geodeti “che, per mezzo di un ellissoide, si approssimano alla
forma della superficie terrestre, che su piccola scala è invece molto complicata”. Chiaro?
Egli ci stava dicendo che, secondo la sua stessa teoria della gravitazione, la geometria
dello spazio sarebbe risultata localmente deformata dall’azione della materia localizzata,
ma che questi aspetti non interessano il cosmologo, per il quale è di interesse, sotto
questo aspetto, solo una geometria complessiva dell’universo. D’altra parte, proprio in
virtù di quel nesso basilare fra distribuzione della materia e geometria, se si vuol dar
corpo all’opzione che l’universo, a parte le disomogeneità locali, abbia la stessa
geometria ovunque, non ci si potrà limitare a sostituire la materia effettiva con un fluido
che abbia nella regione una densità costante pari alla densità media della materia che vi è
contenuta in una regione sufficientemente vasta, ma si dovrà chiedere che il fluido abbia
la stessa densità (ed eventuali altre proprietà caratterizzanti) ovunque nell’universo. Solo
questo garantirà che la geometria dell’universo, che dalla distribuzione della materia
dipende, sia – sempre prescindendo dalle irregolarità locali – la stessa ovunque.
La stessa geometria ovunque. Ma quale? Potrebbe sembrare una domanda vuota: lo
spazio dell’universo non potrà che essere uno spazio (euclideo) tridimensionale. Ma alla
domanda la geometria risponde, più in generale, che dovrà trattarsi di spazi omogenei,
dunque di spazi massimamente simmetrici, locuzioni che trovano una versione più
immediatamente digeribile in quella della nozione di spazi a curvatura costante, o,
alternativamente, di geometrie della congruenza.
La figura ne dà un’immagine
bidimensionale, che illustra
anche,
sommariamente,
il
carattere non euclideo degli
spazi effettivamente curvi (lo
spazio euclideo è a curvatura
costante nulla) rendendo palese
che in essi la somma degli
angoli interni di un triangolo
non è due retti.
Guardare (molto) lontano vuol dire guardare indietro nel tempo. Se l’universo è in
espansione non ci dobbiamo aspettare di trovare la stessa densità della materia nel remoto
passato: il valore della densità sarà fissato media in corrispondenza di un dato valore del
tempo cosmico. Tempo cosmico ... È entrato senza parere nel discorso un concetto che
sembra dover ricevere una certa attenzione: non staremo così reintroducendo di soppiatto
quel tempo assoluto che la relatività sembrava dover avere completamente rimosso?
Vedremo che non è così.
Un’immagine suggestiva dell’universo in espansione ci è data da un enunciato di
quello che è noto come Principio Cosmologico, un principio che in realtà non fa altro che
codificare quanto abbiamo ricordato negli ultimi capoversi: lo spazio-tempo dell’universo
è “fogliato” in ipersuperfici spaziali che sono spazi omogenei (dotati cioè dell’una o
dell’altra delle tre possibili geometrie). Detto questo, ritorniamo all’espansione: nella
misura in cui possiamo pensare alle galassie come costituenti elementari dell’universo,
essa deve vedersi come espansione dello spazio extragalattico. Un corpo che fosse
soggetto solo all’azione del fluido cosmico resterebbe incastonato nella sua posizione. In
realtà tutti i corpi, galassie incluse, sono soggetti ad azioni gravitazionali che non si
bilanciano perfettamente lungo nessuna direzione, e saranno quindi in genere animati di
moti propri attraverso lo spazio (si dice che hanno “velocità peculiari”). Si usa il termine
“substrato” per denotare l’ipotetico insieme di corpi privi di velocità peculiari.
Possiamo ora affrontare la questione tempo cosmico/tempo assoluto. La coordinata
“tempo cosmico” è in effetti scelta in modo tale che le linee d’universo seguite dagli
osservatori del substrato sono parametrizzate da quella coordinata: con i loro orologi gli
osservatori del substrato misurano quindi il tempo cosmico. “Quel” tempo coordinato
diventa quindi fisico in quanto c’è potenzialmente qualcuno che potrebbe misurarlo. La
questione sembrerebbe allora aggravarsi, ma non è così: non c’è nulla in quanto precede
che possa inficiare la conclusione che osservatori S’ in moto rispetto ad un osservatore S
del substrato verificheranno l’effetto di dilatazione delle durate per i processi che si
svolgono in quiete in S; e che, reciprocamente, un osservatore S verificherà lo stesso
effetto per i processi che si svolgono in quiete in S’. L’introduzione del tempo cosmico
non è in contrasto con la relatività delle durate: il tempo cosmico è bensì un tempo
universale ma non un tempo assoluto.
6) L’anisotropia di dipolo della radiazione di fondo a microonde: un nuovo etere?
Prima di affrontare l’ultimo capitolo della storia dei SLI – quello che dà ragione del titolo
scelto per questo contributo – si rende necessaria una rapida presentazione di una delle
scoperte basilari della cosmologia del ventesimo secolo: quella della radiazione di fondo
a microonde. Nel quadro della cosiddetta teoria del big bang caldo due allievi e
collaboratori di George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman, avevano formulato, nel
1948, la previsione che la radiazione elettromagnetica in equilibrio termico, e quindi con
spettro planckiano, a circa 5.000 gradi Kelvin, con il plasma primordiale a qualcosa come
300.000 anni dalla “nascita dell’universo”, avrebbe mantenuto con l’espansione la forma
dello spettro salvo una diminuzione della temperatura fino a qualcosa come 5 gradi
Kelvin. La previsione era caduta nel dimenticatoio nel 1965 quando due ricercatori della
Bell Telephone Company, Arno Penzias e Robert Wilson, in tutt’altre ricerche impegnati,
non captarono un inspiegabile segnale dal cosmo, a una lunghezza d’onda di circa 7 cm.
Robert Dicke e collaboratori, che avevano indipendentemente sviluppato una visione
analoga a quella di Alpher e Herman, fornirono a Penzias e Wilson un’interpretazione
dei loro dati. Per una conferma che si trattasse proprio dell’effetto cercato occorreva però
una determinazione dello spettro. Essa fu fornita anni dopo, nel 1990, da un satellite
dedicato, il Cosmic Background Explorer (COBE), che inviò a terra uno spettacolare
spettro planckiano per una temperatura di 2,7 gradi Kelvin.
Ma ritorniamo alle ipersuperfici rappresentanti lo spazio dell’universo ad un dato
istante di tempo cosmico. Esse sono degli spazi omogenei, e, come tali, isotropi rispetto
ad ogni loro punto. All’isotropia dello spazio dovrebbe corrispondere un’isotropia nella
distribuzione della materia. Essa potrà essere verificata solo in modo approssimato dalla
distribuzione effettiva. Ma la radiazione cosmica di fondo a microonde fornì
un’indicazione molto più precisa: l’intensità (alternativamente la temperatura) della
radiazione cosmica di fondo risultò, in una prima serie di misurazioni di COBE, la stessa
lungo qualunque direzione. Quando però si raggiunsero, nella determinazioni della
temperatura, precisioni dell’ordine dell’un per mille si riscontrò quella che si chiama
un’anisotropia di dipolo7: la temperatura Tobs lungo una certa direzione si scostava dalla
temperatura media T0 secondo la
Tobs-T0=k cosθ
(per un dato valore della costante k). Come interpretare questo risultato? Come effetto
Doppler: noi siamo in moto, lungo una direzione definita, rispetto ad un sistema di
riferimento in cui l’effetto non si verificherebbe. Ma quali sono gli osservatori che
dovrebbero riscontrare isotropia? Quelli del substrato, naturalmente. Siamo in moto
rispetto a un (ideale) membro del substrato (qui ed ora). Dall’entità dell’effetto Doppler
siamo in grado di risalire al valore della velocità (nonché, beninteso, alla sua direzione e
7
Sull’argomento, v. P. E. Peebles, D. P. Wilkinson, Phys. Rev. 174, 2168 (1968); B. Melchiorre, F.
Melchiorre, M. Signore, New Astronomy Revievs, 46, No. 11, 693 (2002).
verso). “Qui ed ora” c’è un osservatore privilegiato, in quanto verifica l’isotropia della
radiazione di fondo a microonde: è il membro locale del substrato. Ma allora nel loro
insieme gli osservatori del substrato costituiscono un sistema privilegiato esteso.
Non solo, perché, elemento molto importante, abbiamo rivelato il nostro stato di moto
rispetto ad esso. Noi, la Terra, più in generale la nostra galassia, o, ancora più in generale
l’ammasso locale, siamo – sono – animati da una velocità peculiare, secondo la locuzione
introdotta sopra; una puntuale derivazione della formula che documenta l’anisotropia di
dipolo in termini di effetto Doppler ne fornisce, oltre che la direzione ed il verso, anche il
valore (qualcosa, per l’ammasso locale, come 650 km/s).
Abbiamo così violato il principio di relatività? Ritorniamo, per un momento, al passo
dei Massimi Sistemi che si considera uno dei primi efficaci resoconti circa la validità di
un principio di relatività meccanica. Fin dall’inizio, al fine di controllare che esperimenti
appunto di meccanica danno gli stessi risultati che la nave sia ferma in porto o animata
rispetto ad esso di moto rettilineo uniforme, Galileo invita l’interlocutore a rinserrarsi
“con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coperta di alcun gran navilio”.
Banalmente, se siete in coperta, vedrete coi vostri occhi se la nave si sta allontanando
dalla riva. Se “si guarda fuori” ci si rende conto del proprio moto, anche se rettilineo
uniforme, rispetto ad un altro sistema di riferimento. Un modo immediatamente
quantitativo di “guardar fuori” per rivelare un tale stato di moto è osservare una sorgente
luminosa. Ma “guardar fuori” non è sperimentare. “Guardando fuori” si può rilevare
anche un nostro moto in qualche senso assoluto. Questo appare in contrasto con un
enunciato del principio di relatività che suoni (appunto): “È comunque impossibile
rivelare un moto assoluto”. Non è in contrasto con un enunciato (corretto) che suoni:
“Esperimenti condotti nelle stesse condizioni in diversi sistemi inerziali danno gli stessi
risultati”.
Possiamo dire che si è scoperto un nuovo etere come sistema di riferimento – in un
senso specifico – privilegiato, ma che, appunto, lo si è scoperto “guardando fuori”, non
sperimentando. In termini di esperimenti alla Michelson-Morley, già nell’ipotesi che la
velocità rispetto all’etere fosse dell’ordine dei 30 km/s, si prevedeva uno spostamento del
sistema di frange di 4/10 di frangia. Dipendendo l’effetto previsto dal quadrato della
velocità, ed essendo l’attuale moto di deriva dell’ordine di 600 Km/s, e quindi 40 volte
maggiore, lo spostamento previsto sarebbe oggi circa 1600 volte maggiore ... E chissà
dove andrebbe a finire il sistema di frange. Ripetizioni recenti dell’esperimento di
Michelson e Morley hanno portato il limite superiore per una possibile velocità di deriva
nell’etere a qualche metro al secondo. Anche se c’è un etere, non è sperimentando che
possiamo mettere in luce il nostro moto rispetto ad esso.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Olivia Levrini per indicazioni iniziali circa una possibile tematica da
affrntare in questo contributo e per una rilettura critica del testo.