Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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N. 00374/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00497/2015 REG.RIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 497 del 2015, proposto da:
Phil African Shop, in persona della titolare e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa
dall'avvocato Roberto Russi C.F. RSSRRT63B08L750X, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso
Segreteria Generale T.A.R. per il FVG in Trieste, piazza Unità D'Italia 7;
contro
Ministero dell'Interno - Questura di Udine, in persona del Ministro p.t., non costituito in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensione cautelare presidenziale, anche in via interinale e
provvisoria inaudita altera parte:
- del provvedimento emesso dal Questore della provincia di Udine in data 3.12.2015 Divisione
Polizia Amministrativa, Sociale e dell’Immigrazione n. cat. Q2/2-2015, notificato all’odierna
ricorrente in pari data, mediante il quale è stata decretata la sospensione dell’attività dell’impresa
individuale di Ekwe Philomina Sandra e della SCIA riconducibile all’esercizio commerciale
contraddistinto dall’insegna “Phil African Shop”, ai sensi dell’art. 100 del R.D. 18.06.1931, n°773
(T.U.L.P.S.) per giorni 30 ( trenta) a decorrere dalla notifica;
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- di ogni altro atto anche se di estremi sconosciuti, antecedente, preparatorio, presupposto e/o
conseguente, anche infra-procedimentale, e comunque connesso al provvedimento impugnato;
per la condanna dell’Amministrazione
- al risarcimento del danno per l’illegittimità del provvedimento adottato
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2016 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le
parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La sig.ra Ekwe Philomina Sandra espone di essere titolare dell’impresa individuale “PHIL
AFRICAN SHOP”, ubicata in via Leopardi a Udine, giusta autorizzazione SCIA presentata in data
30.12.2008 prot. n. PG/E 0153713 per svolgere l’attività di commercio al dettaglio di generi
alimentari e non alimentari in sede fissa.
Espone, inoltre, che, a far tempo dall’inizio del mese di febbraio dell’anno 2015, è stata destinataria
di un primo provvedimento di sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 100 del R.D. 18.06.1931,
n.773 (T.U.L.P.S.) della durata di giorni quindici (15), che non ha opposto, e, poi, di un secondo
provvedimento, notificatole il 3.12.2015, con cui il Questore della Provincia di Udine ha disposto
un’ulteriore sospensione per trenta (30) giorni dell’attività dell’impresa individuale di cui è titolare,
adducendo le medesime ragioni di sicurezza e di ordine pubblico poste a sostegno della prima
sospensione ed asserendo la sussistenza dei requisiti dell’urgenza atti a supportare l’adozione del
provvedimento in assenza dell’iter procedimentale descritto dalla legge n. 241/90, con grave
pregiudizio delle sue prerogative difensive.
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Da qui il presente ricorso, notificato a mezzo PEC all’Amministrazione intimata, con cui
l’interessata ha chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, anche in via interinale e
provvisoria inaudita altera parte, del provvedimento questorile da ultimo indicato, nonché la
condanna dell’Amministrazione medesima al risarcimento dei danni asseritamente subiti a causa e
in conseguenza dell’attività provvedimentale illegittima.
A sostegno della domanda caducatoria ha dedotto i seguenti motivi di diritto:
1. Violazione degli artt. 100 t.u.l.p.s. e 9 , comma 3 della legge n. 287/1991 in relazione all’art. 187
del regolamento di attuazione (r.d. 6 maggio 1940, n. 635) e in relazione agli artt. 16, 41, commi 1 e
2, 42, comma 2 e 97 Cost. nonché agli artt. 3 e 7 della legge n. 241/90- carenza dei presupposti
normativi – eccesso di potere;
2. Violazione dell’art. 100 t.u.l.p.s. per violazione del principio di proporzionalità e progressività
nell’esercizio dei poteri di polizia con finalità di prevenzione generale- eccesso di potere;
3. Eccesso di potere per difetto di motivazione, per carenza di istruttoria e per omessa
comunicazione dell’avvio di procedimento, per travisamento e / o erronea percezione e valutazione
dei presupposti di fatto, per irragionevolezza ed illogicità manifesta nelle modalità di esercizio del
potere di pubblica sicurezza.
Il Presidente, con decreto n. 115/2015, ha denegato la misura cautelare monocratica invocata dalla
ricorrente.
All’udienza camerale del 13 gennaio 2016, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, la
ricorrente medesima ha dichiarato a verbale di rinunciare alla stessa.
L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
La causa è stata, quindi, chiamata alla pubblica udienza del 13 luglio 2016, nel corso della quale il
difensore di parte ricorrente, pur confermando che, nelle more del giudizio, è venuto meno
l’interesse della parte medesima all’annullamento del provvedimento impugnato, dato che lo stesso
ha oramai prodotto per intero i suoi effetti, ha pur tuttavia dichiarato che permane in capo alla
ricorrente l’interesse ad ottenerne la declaratoria di illegittimità ai fini risarcitori.
L’affare è stato, dunque, introitato per la decisione.
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Va, in primo luogo, dato atto dell’ammissibilità del ricorso in esame notificato a mezzo PEC, atteso
che il Collegio aderisce all’orientamento, prevalente in giurisprudenza, che ritiene ammissibile
siffatta modalità di notificazione, atteso che nel processo amministrativo trova applicazione
immediata la legge 53/1994 (ed in particolare gli articoli 1 e 3 bis), nel testo modificato dall’art. 25
comma 3, lett. a) della legge 183/2011, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti
in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata” (cfr.
Cons. Stato, III, n. 3007/2016, n. 91/2016 e n. 4270/2015; V, n. 4863/2015; VI, n. 2682/2015;
CGA, n. 615/2015).
Nel merito, il ricorso è privo di pregio.
Ai fini che qui rilevano, rammenta, invero, il Collegio che, ai sensi dell’art. 100 del r.d. 18 giugno
1931, n. 773, “il questore può sospendere la licenza di un esercizio (…) che sia abituale ritrovo di
persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico
(…) o per la sicurezza dei cittadini”.
Il potere in questione, ampiamente discrezionale, ha natura tipicamente preventiva e cautelare, a
garanzia di interessi pubblici primari quali la sicurezza e l'ordine pubblico; ne discende che la
sospensione della licenza deve ritenersi legittimamente adottata in tutti i casi in cui, a prescindere
dalla colpa del titolare dell'esercizio, ricorra una situazione tale da configurare una fonte di pericolo
concreto ed attuale per la collettività (cfr. C.d.S, sez. VI, 06 aprile 2007, n. 1563; C.d.S., sez. VI, 21
maggio 2007, n. 2534; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 04 aprile 2007, n. 1387), di cui deve
essere dato, ovviamente, adeguata contezza in motivazione.
La finalità della misura è, infatti, quella "di impedire - attraverso la temporanea chiusura del locale
- il protrarsi di una situazione di pericolosità sociale e, nel contempo, di prevenire il reiterarsi di
siffatte situazioni, rendendo consapevoli quei soggetti (o chi si è in ogni caso reso protagonista di
comportamenti criminosi e/o intollerabili)...in modo da indurre...il modificarsi della loro
condotta..." (cfr. TRGA Bolzano, 22 agosto 2013, n. 282; nello stesso senso TRGA Bolzano, 13
febbraio 2013, n. 44 e 30 gennaio 2012, n. 37; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 11 marzo 2014, n.
617 e TAR Lazio, Roma, Sez. Iter, 17 giugno 2011, n. 5399).
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Orbene, nel caso di specie, il Questore ha dato ampia e puntuale esplicitazione di quale sia il tipo di
frequentazioni dell’esercizio che ritiene idonee a contribuire al proliferare di situazioni pericolose
per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Dalla piana lettura del provvedimento è agevole, invero, rilevare che durante 18 controlli eseguiti
dalla Squadra Volante di Udine e dal Personale del Reparto Prevenzione Crimine di Padova nel
periodo 27 settembre 2015 – 1° dicembre 2015 all’interno dell’esercizio commerciale in questione
sono state identificate complessivamente 56 persone risultate gravate da precedenti misure di
allontanamento o destinatarie di avviso orale o sottoposte a provvedimento di espulsione dal
territorio dello Stato o comunque risultate positive al Sistema di Indagine per svariate tipologie di
reato (reati finanziari, contro il patrimonio, la fede pubblica, la persona, per stupefacenti, per
associazione mafiosa, per prostituzione, per resistenza a P.U., per reati inerenti l’immigrazione
clandestina, per violazioni del codice della strada, per violazioni in materia di porto d’armi), la cui
presenza è stata di certo favorita dalla circostanza, del pari evidenziata nel provvedimento, che
l’esercizio in questione, ancorché titolare di (sola) licenza per il commercio al minuto di generi
alimentari, è di fatto gestito come un esercizio di somministrazione di cibi e bevande, in assenza
della relativa scia.
Con specifico riguardo a tale ultimo aspetto, si legge, infatti, che la Squadra Volante, durante alcuni
dei controlli eseguiti, in particolare in orario tardo pomeridiano o serale, ha accertato che i clienti
presenti consumavano prodotti alimentari e bevande alcooliche sul posto “sulle sedie e sugli
scatoloni adibiti a tavolini presenti in un’area dedicata del locale”.
Paiono, dunque, ragionevoli le conclusioni che il Questore ha tratto dai su indicati riscontri fattuali
ovvero l’aver ritenuto (o meglio preso atto) che “nel corso degli ultimi mesi l’esercizio
commerciale è diventato punto di riferimento per pregiudicati, persone oziose e persone dedite al
consumo di sostanze alcooliche e/o stupefacenti e che (…) la precedente sospensione
dell’autorizzazione non risulta ancora soddisfare la finalità dissuasiva della frequentazione
malavitosa e indotta dal temporaneo periodo di chiusura dell’esercizio stesso”.
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Non va dimenticato, peraltro, che, in relazione alla ravvisata esigenza di adottare un provvedimento
di sospensione dell’attività di durata maggiore a quella massima consentita in via ordinaria, il
Questore ha anche tenuto conto e soprattutto espressamente focalizzato l’attenzione sugli elementi
idonei ad integrare quelle “particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica”, che, ai sensi
dell’art. 9, comma 3, della legge n. 287 del 1991, ne legittimano l’adozione.
Oltre ad avere richiamato i precedenti fattuali rilevanti (tra cui la pregressa sottoposizione a
sospensione dell’attività ex art. 100 T.U.L.P.S. in data 5 febbraio 2015 per la durata di 15 giorni per
motivi di ordine e sicurezza) e ribadito la necessità di produrre un effetto dissuasivo sui soggetti
ritenuti pericolosi (ovvero su quegli avventori con precedenti penali a carico per reati contro il
patrimonio, la persona, la fede pubblica e concernenti lo spaccio di stupefacenti costantemente e
persistentemente presenti all’interno del locale), i quali verrebbero così privati di un luogo abituale
di aggregazione, il Questore ha evidenziato, in particolare, che la durata della sospensione
dell’autorizzazione precedentemente decretata non ha consentito di soddisfare le finalità perseguite
e che l’esercente era stato, in ogni caso, sin da allora reso edotto che l’eventuale reiterarsi delle
medesime problematiche avrebbe comportato l’aggravamento delle misure di contrasto, tra cui
quella di cui è stato fatto concreto uso nel caso di specie.
Nel caso in esame, il Collegio ritiene, pertanto, che il provvedimento impugnato sia sorretto da
sufficiente e idonea motivazione con particolare riferimento alla tutela e salvaguardia dell'ordine e
della sicurezza dei cittadini e che non difettino assolutamente i presupposti di fatto per l'adozione
dello stesso, anche sotto il profilo della durata della sospensione disposta.
La sussistenza di una situazione oggettiva idonea a configurare un concreto, attuale e grave pericolo
per la collettività, in relazione ai presupposti individuati dall'art. 100 del T.U.L.P.S.. e dall’art. 9,
comma 3, della legge n. 287 del 1991, pare, invero, di per sé rinvenibile nell’elevato numero di
persone identificate all’interno dell’esercizio in questione risultate gravate da precedenti misure di
allontanamento, destinatarie di avviso orale o sottoposte a provvedimento di espulsione dal
territorio dello Stato o comunque risultate positive al Sistema di Indagine per svariate tipologie di
reato.
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La circostanza, poi, che, di volta in volta, siano stati identificati nuovi soggetti gravati da precedenti
di polizia o penali avvalora e non smentisce affatto quanto ritenuto dal Questore ovvero che
l’esercizio commerciale della ricorrente costituisce luogo di abituale aggregazione di persone
pregiudicate o pericolose e che, comunque, costituisce un pericolo per l'ordine pubblico o per la
sicurezza dei cittadini e che la durata della misura precedentemente adottata si è rivelata inidonea a
soddisfare il fine perseguito.
Quanto, infine, al mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento, che il Questore ha
giustificato con le ragioni di particolare celerità e urgenza dettate dalla necessità di dover comunque
adottare un provvedimento a difesa della collettività, il Collegio osserva che secondo un costante e
condivisibile indirizzo giurisprudenziale "non sussiste l'obbligo di preventiva comunicazione di
avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della L. n. 241 del 1990 nel caso in cui l'urgenza, che
consenta tale omissione, è rinvenibile ex se nel pericolo di compromissione dell'ordine pubblico,
rappresentato dalle circostanze prese a presupposto per l'emanazione della misura di sicurezza
pubblica" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 12 novembre 2014, n. 5581; nello stesso senso, Sez. III,
12 novembre 2014, n. 5581, Sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7555 e 7 dicembre 2007, n. 505).
Nel caso di specie l'urgenza è individuata nel pericolo della compromissione dell'ordine pubblico e
nell'esigenza di salvaguardare la pubblica sicurezza, ragioni che caratterizzano la misura preventiva
con la quale il Questore, ai sensi dell'art. 100 del T.U.L.P.S., ha disposto la sospensione della
licenza; dette ragioni integrano quindi quelle particolari esigenze di celerità del procedimento
amministrativo in presenza delle quali la P.A. può ritenersi legittimamente sollevata dall'obbligo
della comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990.
In definitiva, il provvedimento questorile passa indenne al vaglio delle illegittimità denunciate da
parte ricorrente.
La domanda di declaratoria dell’illegittimità da ultimo avanzata dalla parte medesima va, quindi,
respinta.
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Ad analoga sorte è destinata l’istanza risarcitoria, atteso che manca, all’evidenza, il pre-requisito
essenziale della relativa fattispecie ovvero l’illegittimità del provvedimento ritenuto causativo di
danno.
La mancata costituzione in giudizio del Ministero intimato esime, in ogni caso, il Collegio
dall’obbligo di disporre in ordine alle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta con riguardo a tutte le domande
avanzate.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l'intervento dei
magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente
Manuela Sinigoi, Primo Referendario, Estensore
Alessandra Tagliasacchi, Referendario
L'ESTENSORE
Manuela Sinigoi
IL PRESIDENTE
Umberto Zuballi
IL SEGRETARIO
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