III. Il processo I giornata Nel faraonico Palazzo di Giustizia di Milano
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III. Il processo I giornata Nel faraonico Palazzo di Giustizia di Milano
III. Il processo I giornata Nel faraonico Palazzo di Giustizia di Milano non s’era mai vista tanta gente come in quella pallida mattina del 30 marzo. Una folla da “Palasport” a una finalissima di pallacanestro. Il processo ai liceali de La Zanzara era atteso anche come un grande spettacolo. Ma si capì subito che non sarebbe stato uno spettacolo di tutto riposo. Ancor prima dell’apertura dei cancelli la polizia aveva disperso un assembramento di studenti delle scuole medie che s’erano raccolti vociando attorno all’ingresso per una specie di manifestazione. I rappresentanti dell’ordine, mobilitati a plotoni, avevano l’aria eccitata di quando affrontano gli scioperanti sulle piazze. Gli ordini ricevuti pare che fossero severissimi. Dopo le prove di forza del potere giudiziario ci sarebbe stata una prova di forza del potere esecutivo? Ai riti della giustizia, come agli spettacoli troppo audaci, non possono assistere, per norma, i minori di 18 anni, e gli agenti di servizio furono oculatissimi nel controllo dei documenti. Della massa dei liceali, così, i soli ad essere favoriti furono i ripetenti. Ma la folla era strabocchevole anche escludendo i minorenni. E la spaziosissima Aula Magna carica di marmi e di simboli littori, trasformata per l’occasione in sala di udienze, si rivelò subito troppo angusta per contenere la massa di giovani a cui s’erano mescolati insegnanti, signore ‘bene,’ molti intellettuali, tanti giudici e avvocati. Tra i giornalisti e i fotografi - un centinaio - si videro persino inviati speciali giunti da Parigi, da Londra, da Vienna. Nel rumoreggiare di quell’onda in piena, ogni tanto un crepitare di sedie vacillanti, uno schianto di transenne, un rovinio di vetri. Alle 9 gli imputati sono già seduti su due file accanto allo scanno dell’Accusa: la Beltramo Ceppi tra Sassano e De Poli, davanti; il preside professor Mattalia e la signora Aurelia Terzaghi proprietaria della tipografia, dietro. Anche gli avvocati del collegio di difesa - Crespi, Dall’Ora, Delitala, Gaballo, Pisapia, Sbisà e Smuraglia sono già al loro posto. Dovranno attendere quaranta minuti prima che entri il presidente del Tribunale Luigi Bianchi d’Espinosa con i giudici Landi e Passerini. Quando il Pubblico Ministero Oscar Lanzi, salendo sul suo scanno, posa gli occhi sul pubblico che dilaga sino alle spalle dei giudici, ha un attimo di patetico imbarazzo. Il brusio che accompagna la sua apparizione gli dice che quello non sarà un pubblico amico. Si comincia. Pres.: Gli imputati si alzino. Letti i lunghi capi di imputazione (vedi App. 9), il dottor d’Espinosa si rivolge agli accusati: Prima che s’inizi il dibattimento - dice - vorrei ricordare ai difensori che il procedimento è stato istruito con rito direttissimo, anche se le accuse relative alla legge sulla stampa non consentono tale procedura... I difensori, dunque, possono sollevare eccezioni chiedendo il rito ordinario e il rinvio. Avv. Delitala: Nessuna eccezione. Pres.: Sia messo a verbale. Possiamo dunque procedere. Ha chiesto la parola il Pubblico Ministero dottor Lanzi. P. M.: Premetto che questo processo ha avuto inizio per pressione dell’opinione pubblica attraverso la stampa. Infatti il 22 febbraio scorso il quotidiano Il Corriere Lombardo pubblicò a caratteri cubitali un articolo in prima pagina dal titolo: “Scandalo al Parini” di cui era autore Maurizio Refini. Fu dopo questo articolo che la procura della Repubblica iniziò le indagini anche per placare il trauma che questa notizia aveva provocato sull’opinione pubblica. Il mio ufficio si propose di accertare quale effetto avesse avuto sui giovani la lettura dell’organo degli studenti “pariniani” e stabilire se quelle frasi fossero idonee ad eccitare alla corruzione gli adolescenti. Il pubblico sorride e, qua e là, si odono dei gridolini di scherno. ... Chiedo di ammettere come testi il Provveditore agli studi di Milano, il professor Aldo Tornese, il quale potrà riferire come anche alte sfere governative gli avessero espresso le loro preoccupazioni per quanto accaduto al “Parini” e come fosse stato bersagliato da telefonate e lettere di genitori che lo invitavano a frenare il dilagare di questo malcostume. Egli è persona qualificatissima. Chiedo che venga interrogato anche il vice Provveditore agli studi professor Nicola D’Amico, il vice preside del liceo Parini professor Silvano Stolfa. Dal mio ufficio le indagini furono affidate alla questura: ci proponevamo di interrogare gli autori dell’articolo per conoscere lo scopo della pubblicazione. Chiedo anche la citazione del commissario-capo dottor Vittorio d’Ambrosio, dirigente della sezione amministrativa del dipartimento della polizia, centro che raccolse le deposizioni dei testi e degli imputati. Egli potrà riferire come fu tormentato da diversi genitori che lo pregavano d’intervenire per stroncare questo malcostume... Dalla sala si leva un prolungata: “Uh!” Il P. M. si interrompe un istante poi prosegue: ... Chiedo inoltre la citazione del vice questore Giovanni Grappone che diresse le indagini e che potrà riferire come ricevette diverse lamentele anche da ambienti religiosi e dal mondo della cultura. Chiedo che venga citato il signor Maurizio Refini, autore dell’articolo comparso sul Corriere Lombardo. A proposito di giornali, vorrei osservare che è bene che la stampa non si diletti ad impressionare l’opinione pubblica montando degli scandali su presunti “spogliarelli.” La folla ricomincia a rumoreggiare. Pres.: Prego il pubblico ministero di attenersi ai fatti. P. M.: Mi risulta che anche un gruppo di studenti del “Parini” fu tanto impressionato dalla comparsa dell’inchiesta. Il pubblico commenta questa affermazione con un fragoroso “Bum!” Pres. (rivolto al pubblico): Basta! Voi che reclamate la libertà, rispettate la libertà del Tribunale. P. M.: Carabinieri, il primo ragazzo che grida o applaude sia allontanato. Pres.: Signor Pubblico Ministero, finché siedo a questo posto, la responsabilità dell’ordine è mia e, se permette, gli ordini li do io. Il dottor Lanzi accoglie il rimbrotto con un mesto sorriso, e prosegue: ... Vorrei che si accertasse chi sono quegli studenti del “Parini” che, dopo la pubblicazione di quell’inchiesta su La Zanzara, hanno diffuso manifestini di protesta. Bisognerebbe citarli per dimostrare che non tutti, in quel liceo, sono d’accordo con gli estensori dell’inchiesta e che la morale comune non è quella espressa su La Zanzara. A questo proposito chiedo anche che vengano citati tutti gli insegnanti di religione del “Parini.” Il pubblico ride. I carabinieri azzittiscono a fatica i disturbatori. Pres.: Proprio tutti? P. M.: Tutti, sì. E magari anche quelli degli altri istituti milanesi. Avv. Dall’Ora: E perché non anche qualche professore di greco, di storia, di filosofia?... P. M.: Anche quelli di ginnastica, se vi piace, e i genitori degli studenti. Poi venga il dottor Vittorio Giancola, il medico che compilò la scheda fisico-psichica dei due ragazzi. Pres.: Ha qualche riferimento con la causa? P. M.: Sì, perché ci deve dare informazioni di natura medica sui ragazzi. A questo proposito, anzi, ho un’altra istanza da formulare. L’ispezione corporale è obbligatoria per tutti i minori, e la legge è uguale per tutti: perciò sollecito che la Beltramo Ceppi sia sottoposta ad analoga visita medica senza alcuna formalità. Pres.: Non capisco come sarebbe possibile la visita medica senza rinviare il procedimento. Quanto occorrerebbe? Un’ora? Mezz’ora? P. M.: Mezz’ora sarebbe sufficiente, in camera di consiglio. Ma di questo riparleremo in seguito. Inoltre, se il Tribunale acconsente, chiedo anche che vengano citati i genitori dei ragazzi che studiano al “Parini.” Pres.: Allora bisogna moltiplicare per due perché ci sono i padri e le madri. Avv. Sbisà: Non solo i genitori degli alunni del “Parini,” ma quelli di tutti gli istituti di Milano. Pres.: A questo punto, mi pare che il Pubblico Ministero abbia presentato due istanze. La prima è una richiesta di citazione di testimoni, la seconda è una ri- chiesta di sospensione perché la ragazza venga sottoposta a visita medica. P. M.: Non è il caso di sospendere il processo: la ragazza può andare di là mezz’ora con un medico e lasciarsi visitare. Pres.: Comunque ci riserviamo di decidere dopo. Avv. Dall’Ora: Mi rifiuto di seguire il dottor Lanzi su questo terreno. Cosa dovrebbero riferire i testi se non giudizi personali o pettegolezzi sul grado di impressionabilità di 850 studenti? È inammissibile. E i genitori, e gli insegnanti di religione? Mi oppongo alla citazione di tutti. A centinaia di testi del genere, potremmo opporne altre centinaia. Non sarebbe serio. In fatto di moralità media, la materia è opinabile, e deve essere il giudice a decidere. Qui, invece, si vorrebbe indurre il tribunale a una sentenza per plebiscito. Vince la maggioranza, perde la minoranza. No, non è serio. I ragazzi in aula abbozzano un applauso. Il Presidente li azzittisce mentre si alza a parlare l’avvocato Pisapia. Avv. Pisapia: Le richieste del Pubblico Ministero sono addirittura aberranti. Solo il fatto che si vogliano ascoltare, fra tutti gli insegnanti, soltanto quelli di religione, dimostra che si vuole snaturare il processo. Avv. Delitala: Sono d’accordo con Dall’Ora. Se la motivazione fosse diversa, non mi opporrei alla citazione del provveditore e del vice provveditore agli studi. Ma questi, secondo il dottor Lanzi, dovrebbero informare i giudici sulle reazioni al vertice del “caso Parini,” oltre che sulle lamentele di una minoranza di genitori. Davvero questo tribunale dovrebbe interrogare il professor Tornese sui riflessi nelle sfere governative? Siamo a questo punto, dunque? Divisione di poteri, indipendenza della magistratura, allora non contano niente? E, di grazia, a quali sfere governative si allude? Se fosse fondata l’impostazione del pubblico ministero sulla concezione della moralità media, tanto varrebbe affidare l’incarico di fare la sentenza all’”Istituto Doxa.” E vengano tutti i genitori, ottocento, novecento, quanti sono, moltiplicati per due! Vi pare ragionevole? Inutile anche chiamare qui il vice questore Grappone. Abbiamo i verbali. Cosa deve venirci a raccontare di più? Impressioni, pettegolezzi? Se il tribunale accetta questo punto di vista del Pubblico Ministero, allora per coerenza dovrebbe esimersi dal pronunciare un giudizio. P. M.: Forse sono stato frainteso. Intendo chiarire che ho proposto l’escussione dei genitori degli studenti del “Parini” sempre se il Tribunale lo riterrà opportuno. Del resto, non è inutile né irrituale sentire un po’ anche l’opinione delle persone in un giudizio di questo genere. Proprio l’altro giorno, in un’aula del Tribunale, è stato ascoltato il parere di Ungaretti che, col processo contro Milena Milani, non c’entrava proprio per niente. Pres.: Provveditore e vice provveditore agli studi potrebbero illuminarci sui limiti e sull’origine di questi giornali studenteschi. I verbalizzanti potrebbero venire a confermare quello che hanno scritto. Avv. Delitala: Se si tratta solo di questo, che siano citati. Il Tribunale si ritira in camera di consiglio per decidere sulle richieste dell’Accusa. Dopo venti minuti rientra in aula e il Presidente annuncia che tutte le richieste di citazione di testimoni avanzate dal Pubblico Ministero sono state respinte, ad eccezione di quelle riferite al provveditore agli studi, al vice provveditore, al vice questore Grappone e al commissario D’Ambrosio. È la prima vittoria della Difesa. E non sarà l’ultima. P. M.: La visita medica per i tre del “Parini” venne disposta per legge. Il Tribunale non ha risposto all’istanza di sottoporre anche la ragazza che si rifiutò. Perciò devo sollevare una nuova eccezione. Pres.: Insiste proprio? P. M.: Desidero dire alcune parole sulla gazzarra che è stata fatta sulla vicenda. È doloroso che, per amor di polemica, perfino magistrati e avvocati abbiano contribuito a confondere le idee della gente e che si sia dimenticato il punto centrale della questione per soffermarsi, non so con quanta buona fede, sulla visita medica disposta non certo per sadismo, ma in applicazione alle leggi. Un magistrato ha parlato dalla televisione. (Vedi Appendice. N. 11) Un’ondata di maldicenza, di accuse offensive si è abbattuta sull’operato del mio ufficio... Pres.: La invito a rimanere in tema giuridico. P. M.: Questo processo è una montatura della stampa. Avv. Dall’Ora (vedendo accanto al pubblico ministero il vice-questore Grappone): Il dottor Grappone è un testimone, non può rimanere in aula. Pres.: Dottor Grappone, la prego di allontanarsi dall’aula, ma di tenersi a disposizione del Tribunale. P. M.: E veniamo alla famosa visita. Io non diedi disposizioni particolari al sostituto procuratore della Repubblica Carcasio. Egli, per mia delega, doveva fare tutto ciò che la legge impone. Quindi provvide a compilare la scheda minorile. Da galantuomo, posso garantire che fu rispettata la dignità degli imputati. I giovani furono visitati da un medico iscritto all’albo del Tribunale. La ragazza fu invitata a venire il giorno dopo con i genitori. Mentre ciò accadeva nello studio del mio sostituto dottor Carcasio, fui chiamato per telefono dal professor Delitala il quale mi parlò in termini indignati di visita ginecologica cui avrebbe dovuto sottoporsi la Beltramo Ceppi. Era stato male informato dalla sua cliente. Comunque, la visita fu rinviata al giorno seguente. Il fatto sembrava chiuso; senonché il giorno dopo la stampa ha scatenato una vera gazzarra. Allora ho sentito la necessità di convocare i giornalisti per informarli. L’opinione pubblica deve sapere che non una circolare del 1933 ma una legge del 1934 esige questo esame fisio-psichico sui minorenni. Già, direte che s’era in periodo fascista. Quanto rumore per nulla! Vi posso confermare che la visita medica è consigliata da autorevoli magistrati. Anzi è necessaria per accertare la capacità di intendere e di volere dei minori. È pacifico che questa è legge, anche se un uomo tanto in vista in Italia (n.d.r. l’on. Nenni) ha sentito il bisogno di scrivere in una lettera che la procura di Milano ha usato sistemi “borbonici.” Vien fatto di pensare che anch’egli sia stato trascinato dall’ondata della polemica. Vi voglio anche dire che il professor Macaggi, ordinario di medicina legale dell’Università di Genova, vicepresidente del Senato e senatore del partito socialista italiano, in più convegni ha parlato della scheda come di una grande conquista del diritto e ha auspicato che venga istituita anche per i maggiorenni. L’accertamento ha lo scopo di tutelare l’interesse del minore, in quanto la giustizia potrebbe condannare un irresponsabile. La Francia ci ha copiato venti anni dopo. Posso anche dire che questa istituzione è stata raccomandata in un corso per uditori giudiziari diretto dal presidente Bianchi d’Espinosa, uomo di intelligenza e capacità giuridica che tutti sappiamo. Pres. (con aria scherzosa): Prendo la parola per fatto personale: devo precisare che non ho la responsabilità della pubblicazione. P. M.: Vorrei anche ricordare che in un convegno tenuto a Bruxelles nel 1958 la legislazione italiana sui minori venne elogiata. Anche il Manzini che è un po’ il breviario... Avv. Dall’Ora: Il Manzini è il breviario dei pubblici ministeri. P. M.: Non è vero! Anche lei se ne sarà servito! Ma che cosa è, poi, questa scheda minorile? Il giorno dopo la convocazione nello studio del mio sostituto degli studenti del “Parini” il professor Delitala mi ha scritto una lettera, allegata alla pagina 84 degli atti del processo, in cui, tra l’altro, dice che la sua assistita Beltramo Ceppi rifiutava la visita medica e diceva testualmente: “Penso che sia nel suo pieno diritto agire così. Non può essere invocata la circolare del 1933 per la perentoria ragione che la circolare è abrogata dalla Costituzione.” Ma ora vi chiedo di mettervi d’accordo fra voi avvocati: due mesi fa fu discusso in Cassazione il ricorso di un avvocato milanese che chiedeva l’annullamento di una sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano in un processo per rapina, estorsione e reati sessuali, perché agli atti non era stata allegata la scheda minorile di uno dei due imputati che era minorenne, proprio perché l’articolo II della legge del 1934 istitutiva del Tribunale dei minorenni rende obbligatoria la scheda. E quell’avvocato, il professor Scherillo, è un luminare nella scienza giuridica. Avv. Delitala: Nel diritto romano. Pres.: Però questa sentenza non è stata ancora pubblicata. Avv. Delitala: È inaudito... a meno che il pubblico ministero non abbia ricevuto indiscrezioni personali... (Si stringe imbarazzato nelle spalle e prosegue): P. M.: È vero che il ricorso fu respinto poiché era stata già compiuta una perizia. Comunque la scheda si trova in tutti i processi. Quanto al motivarla, non è necessario. Sarebbe assurdo e ridicolo pretendere dal magistrato che ogni volta debba fornire dei motivi per visitare il fegato, i piedi o le gambe. Quelli che han confuso le idee sono alcuni avvocati, alcuni magistrati, alcune persone ignoranti del diritto, come ad esempio quel magistrato che si è esibito su La Stampa (n.d.r. il presidente del tribunale Germano che sul giornale torinese aveva recisamente condannato la visita). Vadano a leggersi il codice. Intorno al mio ufficio s’è sollevata un’ondata di maldicenza, la stampa che dovrebbe solo informare è arrivata a parlare di “spogliarelli,” e questo costituisce un insulto. Il processo è stato voluto, gonfiato, montato dalla stampa o da altri perché forse la stampa era in buona fede. È stato detto anche che al minorenne Mai, imputato per i manifestini anti-NATO, non è stata fatta la scheda e proprio dal mio ufficio. Lo smentisco: non è vero. Ora, poiché la legge ha da essere uguale per tutti, chiedo che sia sottoposta a visita anche la Claudia Beltramo Ceppi la quale vi si è sottratta arbitrariamente. Tale visita potrebbe avvenire durante una pausa in camera di consiglio; ciò anche per evitare un’eventuale censura della Cassazione. Avv. Delitala: Avrei preferito non discutere quest’aspetto del processo. Egregio Procuratore, lei teme forse la censura della Cassazione? Ho consigliato io la signorina Claudia Beltramo Ceppi di rifiutarsi alla visita medica che contrasta con l’articolo 13 della Costituzione a difesa della persona umana. Bene. Quindi la visita non l’avete compiuta per il mio deciso intervento: se questa è istigazione a disobbedire alle leggi, incriminatemi! Il Pubblico Ministero sostiene che la scheda è un requisito essenziale ed è resa obbligatoria dalla legge. Sbaglia! La scheda è prevista solo da una circolare del 1933. P. .M.: Non è vero! Avv. Delitala: Quando telefonai, quella sera, fu proprio lei a parlarmi della circolare: io non la conoscevo e dovetti darmi da fare per rintracciarla. Comunque è fuori discussione che la scheda è prescritta solo dalla circolare . per fini statistici, tanto più che la legge è dell’anno dopo... P. M.: Ma io parlo degli accertamenti bio-psichici: la scheda serve solo perché è fornita dal ministero ed è comoda. Avv. Delitala: Già, ma finora ha parlato di scheda. Comunque gli esami sono destinati ad accertare se l’imputato sia capace di intendere e di volere. Questo genere di visita non è una cosa seria perché non serve a niente nel nostro caso specifico. Signor presidente, s’immagini la scena: su, si slacci la cravatta, si sbottoni la camicia, giù i pantaloni... Pres. (ridendo): Chi? Io? Avv. Delitala: No, mi scusi. Qui si sono accertate infermità fisiche (scoliosi ecc.) che non hanno nulla a che fare con la capacità di intendere e di volere... Il giudizio sull’imputabilità del minore può essere tratto da qualunque elemento della causa, non è vincolato da particolari forme. (l’articolo II della “sua” legge, signor Pubblico Ministero, dice solo che il magistrato “può” sentire dei pareri tecnici senza alcuna formalità. Che bisogno c’era di scendere a domande su particolari indegni? Non vi bastava l’articolo, che dimostrava un livello intellettuale almeno medio? In ogni modo, applicando quella parte dell’articolo II che esclude ogni formalità, si viola la Costituzione la quale vieta ogni ispezione personale senza un ordine motivato, e ciò per tutelare non solo la libertà, ma anche il pudore dell’imputato. C’è una legge, ma ci sono anche dei magistrati che devono applicarla alla luce dei principi costituzionali, nel rispetto di un costume contemporaneo: ecco, questo è il punto. La legge si rimette sempre all’equilibrio, al buon senso, alla coscienza del magistrato. Chiedo pertanto che l’istanza del Pubblico Ministero venga respinta. Il Tribunale si ritira ancora una volta in camera di consiglio per decidere. Fra il pubblico si accendono discussioni animatissime sulle tesi dibattute dalle parti a proposito dell’”ispezione corporale” di cui da due settimane si stanno interessando magistrati, stampa, cittadini. Quella della “visita” e della “scheda” non è soltanto uno dei quesiti di diritto più stimolanti della causa anche per i suoi riferimenti alla Costituzione, ma uno dei motivi che più ha appassionato la gente comune che non sa di diritto e giudica secondo i dettati di quella coscienza, di quel buon senso e di quell’equilibrio di cui diceva il professor Delitala. Quando il Tribunale ricompare e il Presidente comincia a leggere l’ordinanza, si fa un silenzio assoluto. Da questa decisione si potrà dedurre che piega prenderà il processo. L’ordinanza (il cui testo è integralmente riprodotto in Appendice n. 12) stabilisce: 1) La visita medica per la compilazione della scheda dei minorenni, prevista da una circolare per esigenze statistiche, non è assolutamente obbligatoria. 2) Il giudice è libero di scegliere i mezzi più idonei ad accertare i precedenti personali e familiari del minore sotto l’aspetto fisico, psichico, morale e ambientale: e il mezzo deve adattarsi a ogni singolo caso. 3) L’articolo 13 della Costituzione vieta “ogni forma di perquisizione o di ispezione personale se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria” a tutela dei diritti fondamentali di libertà e della personalità umana. 4) Il rifiuto della ragazza a sottoporsi a visita medica è stato legittimo. 5) Il Tribunale considera superfluo l’esame medico della ragazza, la cui capacità di intendere e volere può essere desunta dallo stesso articolo de La Zanzara, oltre che dal suo profitto scolastico. Il Tribunale ha praticamente accolto tutte le tesi del professor Delitala. Un’altra vittoria della Difesa. Uno scroscio di applausi accompagna la lettura di questa coraggiosa ordinanza. “Bene. Bene,” si grida. Il presidente d’Espinosa mette mano al campanello e invita il pubblico ad astenersi da ogni manifestazione di consenso o di dissenso: Pres.: “Siamo in un tribunale, non mi costringete a far sgombrare l’aula. La giustizia non chiede consensi come non si lascia riprovare. La giustizia è un bene eterno di tutti gli uomini liberi. Questo tribunale non tollererà altre manifestazioni del genere. Sono più che mai deciso a far sgombrare l’aula al primo segno di indisciplina. L’udienza è tolta.” *** Il dottor Lanzi, però, non par disposto ad arrendersi senza aver dato fondo a tutte le sue risorse polemiche. E, il pomeriggio, riprenderà la parola per avanzare altre richieste e continuerà a battagliare con gli avvocati, con i testimoni, con i giudici, con il pubblico. P. M.: In primo luogo avanzo rispettose e riguardose riserve sull’ordinanza del Tribunale, anche se è stata acclamata a scena aperta. Il Tribunale entra nel merito della costituzionalità dell’articolo 11. In tal caso chiedo che il Tribunale trasmetta gli atti alla Corte Costituzionale poiché una dichiarazione di incostituzionalità non rientra nelle sue competenze. Dobbiamo sapere se, applicando quella norma, da trent’anni a questa parte, abbiamo sempre sbagliato. La decisione ci ha sconvolti. E poiché il Tribunale ci insegna ad interpretare le leggi, lo preghiamo di dare una risposta chiara. A mio modesto parere, l’articolo 13 della Costituzione non è in contrasto con l’articolo II della legge sui minorenni. L’articolo 13 della Costituzione fu fatto per evitare abusi polizieschi in danno, ad esempio, delle prostitute; ma dice anche che l’ispezione deve avvenire nei soli casi e modi voluti dalla legge... Ora, ad esempio, i distretti compiono le visite di leva senza fornire alcuna motivazione, né le mutue motivano le visite agli inabili al lavoro; e ciò perché in questi casi, come nel nostro, la visita non è fatta in odio ma a favore dell’interessato. Pres.: In sostanza lei chiede che il Tribunale rinvii gli atti alla Corte Costituzionale oppure modifichi la sua ordinanza... La difesa ha qualcosa da dire? Avv. Dall’Ora: Nel caso che il Tribunale accolga l’istanza del Pubblico Ministero, chiedo lo stralcio degli atti relativi a Marco De Poli che ha già aspettato abbastanza il giudizio. Avv. Delitala: Mi limito ad osservare che la risposta all’argomentazione del P. M. è già contenuta nell’ordinanza del Tribunale. Avendo esso ritenuto non necessaria l’ispezione, la questione di costituzionalità deve ritenersi superata. La legge, comunque, deve seguire la Costituzione. P. M. (indignato): Chiedo a lei, signor Presidente, di ordinare al pubblico di non fiatare e di far sgomberare l’aula al primo accenno di disturbo. Io ritengo che l’ordinanza di questa mattina non serva se non a contorcere e a confondere le idee per l’attività futura dei nostri uffici. Insisto quindi per un chiarimento. Il braccio di ferro continua. Il Tribunale si ritira per la terza volta, e per la terza volta respinge le richieste e le riserve dell’Accusa, “la cui valutazione spetterà ai giudici di appello.” Secondo il dottor d’Espinosa, poi, è del tutto “irrilevante” l’osservazione del P. M. sulla incompetenza del Tribunale a decidere sulla incostituzionalità di una norma. Il Tribunale si è limitato a interpretare l’articolo II della legge sui minorenni nello spirito della Costituzione ritenendo l’ispezione personale facoltativa, non necessaria e inopportuna nel caso in discussione. Superati gli intralci procedurali, il Presidente riassume i fatti del processo, e siccome il P. M. chiede che vengano ripetute le frasi incriminate dell’inchiesta de La Zanzara, decide di leggere l’intero articolo. Ora, finalmente, possono cominciare gli interrogatori. Viene chiamato per primo il prof. Mattalia preside del “Parini” e uno dei giudici legge i verbali del suo interroga- torio durante l’inchiesta di polizia e l’esposto indirizzato dal professore al Provveditore agli studi. Pres.: Che cosa può dirci in proposito? Prof. Mattalia: All’epoca ero assente dall’istituto per un breve congedo e mi sostituiva il vicepreside. Tuttavia mi recavo saltuariamente al “Parini.” Così trovai il numero de La Zanzara che lessi, però, solo sommariamente, confidando nel senso di equilibrio e di responsabilità del suo giovane direttore. Le proteste incominciarono solo dopo la pubblicazione del Corriere Lombardo. Per quanto riguarda il volantino degli studenti cattolici l’ho menzionato nell’esposto al provveditorato. L’articolo incriminato ha parti positive e non va interpretato in senso peggiorativo. Come educatore non posso ripiegare su soluzioni legalitarie: c’è un rapporto fiduciario con i miei ragazzi che va mantenuto correndo anche i relativi rischi. P. M.: Lei, durante l’interrogatorio reso alla polizia giudiziaria, aveva dichiarato che, se avesse letto attentamente l’articolo, l’avrebbe censurato: conferma tale dichiarazione? Prof. Mattalia: Avrei proposto, non imposto, di interpretare alcune frasi così da addolcirne la crudezza. Se un rimprovero ho da fare a questi giovani, è di essere troppo cerebralmente seri, di portare le cose al limite e di tendere all’astrazione. Le associazioni studentesche, sorte nel 1945, sono state poi consacrate dalla circolare Martino del ‘54 che raccomanda di lasciare ai giovani la massima iniziativa. Il preside deve limitarsi a tener d’occhio, non deve comprimere le loro attività. Io ritengo il controllo un dovere, ma esso non mi è imposto da alcuna norma. Una sola volta ritenni di dover censurare La Zanzara per un corsivo troppo aspro sul piano Gui. Pres.: Il giornale aveva una diffusione anche esterna? Prof. Mattalia: Non mi risulta. Quello che tengo a precisare è che non è mai stato diffuso all’interno della scuola media frequentata da ragazzi di 10 o 12 anni. Pres. (indicando gli imputati): Conosce questi ragazzi? Prof. Mattalia: Sì. E direi che oggi li conosco ancora meglio. De Poli è un allievo eccellente con la media dell’8 e del 9 e la cui condotta non ha mai dato luogo a rilievi. E quella media l’ha conservata nonostante l’attuale dura prova. Sassano è un elemento, sul piano tecnico, leggermente inferiore. Quello che non gli perdono è di essersi fatto rimandare in tre materie l’anno scorso. Quest’anno la sua media è del 6. La Beltramo Ceppi ha una buona media e una condotta pure buona. Vorrei precisare che, in tutto lo scorso anno, nelle cinque classi del “Parini” c’è stata una sola disposizione disciplinare. P. M.: Io vorrei sapere precisamente se il preside avrebbe censurato o no l’articolo o, almeno, come l’avrebbe modificato. Prof. Mattalia: Avrei fatto esprimere gli stessi concetti in modo indiretto. P. M.: Allora lei ammette le concezioni dei redattori! Prof. Mattalia (indignato): Mi meraviglio che si osi pormi una domanda del genere. Pres.: Professore, si ricordi che lei è qui in veste d’imputato. Prof. Mattalia: Mi scuso. P. M.: Ritiene che le frasi dell’inchiesta possano turbare il sentimento degli adolescenti? Prof. Mattalia: Non in questa forma. Bisogna tener conto dell’influenza dell’ambiente. P. M.: Ma lì si era a scuola, non fuori. Prof. Mattalia: Oggi i ragazzi sono sottoposti a un tale bombardamento di richiami sessuali che, anche a scuola, diventa tollerabile un linguaggio più crudo. P. M.: Ma la circolare Martino fa obbligo ai capi d’istituto di esercitare un controllo. Prof. Mattalia: Nessun obbligo. P. M.: Ci furono lamentele da parte dei genitori? Prof. Mattalia: Quindici genitori in tutto vennero ad esprimermi la loro preoccupazione, ed io li rassicurai dicendo che gli argomenti non sarebbero più stati trattati in quella forma. P. M.: Ci furono genitori che ritirarono i loro figli a seguito della pubblicazione? Prof. Mattalia: Ci furono sei o sette ritiri; ma il motivo dichiarato fu il cattivo rendimento scolastico. P. M.: Seppe, comunque, che erano stati distribuiti manifestini di protesta... Pres. (ironico): Stampa clandestina anche quella? P. M.: Forse, ma non immorale. (Poi, rivolto all’imputato) Conosce i nomi degli studenti che diffusero i manifestini? Prof. Mattalia: No, ma anche se li sapessi non li farei. Il preside torna al suo posto e sale sulla pedana Marco De Poli. Pres.: È stato lei a disporre quell’inchiesta? E come è stata condotta? De Poli: Poiché le questioni che volevamo affrontare erano importanti, ne discutemmo insieme, poi organizzammo una `tavola rotonda” a cui parteciparono nove ragazze. Certamente, se avessi previsto il clamore suscitato non avrei pubblicato le risposte. Pres. (sorridendo): Questo è umano. Comunque lei condivide tutte le affermazioni dell’inchiesta? De Poli: No, perché noi riferimmo opinioni contrastanti. Nessuna di quelle frasi incriminate riflette opinioni mie. Pres.: Il giornale veniva venduto anche fuori del “Parini”? De Poli: No. All’ingresso noi consegnavamo le copie ai delegati delle classi, ma del solo liceo ginnasio, non della scuola media. Avv. Dall’Ora: Esibisco la pagella di questo ragazzo, tutta di 8 e di 9. In condotta 10. Esibisco altresì i documenti dell’Istituto di previdenza dei giornalisti dai quali risulta che De Poli ha ottenuto sei borse di studio. P. M.: Ma le ragazze sapevano che le loro opinioni sarebbero state pubblicate? De Poli: Sì. P. M.: Durante gli interrogatori di polizia giudiziaria l’imputato non volle fare i nomi delle ragazze che parteciparono alla tavola rotonda. Insiste in questo rifiuto? De Poli: Sì, perché questo è l’impegno che presi al momento dell’inchiesta con le intervistate. Non ritengo opportuno portare davanti all’opinione pubblica casi personali. Quello che conta sono le posizioni ideologiche di fronte a problemi fondamentali della vita moderna. Lo scopo del dibattito era questo; di sollecitare i giovani a un dialogo aperto, sincero. P. M.: Strana tanta sfrontatezza da una parte, e tanto riserbo dall’altra! Qui si parla di un’”élite” di progressisti e di una massa di retrivi, e si cerca di convincere i secondi ad elevarsi al livello dei primi. Che cosa intendevate dire? De Poli: Noi volevamo la discussione. Ci sono delle progressiste anche fra le cattoliche. Dicendo progressisti ci riferiamo a quelli che vogliono discutere seriamente i problemi. De Poli viene congedato. Pres.: Venga Sassano. P. M.: Lei condivide le opinioni espresse nell’inchiesta? Sassano: Non tutte. Ad esempio non condivido quella relativa all’assoluta libertà sessuale, perché per me la libertà consiste nello scegliere una sola persona da amare. Inoltre, molte osservazioni delle ragazze erano accademiche astratte. P. M.: Se non condivide queste idee, espresse anche idee proprie? Sassano: No. Non espressi le mie per non influenzare le ragazze. P. M.: Ma ritiene che certi rapporti siano esperienze utili? Sassano: Sì, se c’è l’amore. Pres.: Pubblico Ministero, vuol continuare? P. M. (con un gesto di commiserazione): Rinuncio data la giovane età dell’imputato. Ora tocca alla Beltramo Ceppi, la studentessa presentata da una certa stampa come “la ragazza dello scandalo,” la più bersagliata dalle critiche dei benpensanti. Il pubblico è attentissimo. Pres.: Allora lei, signorina, condivide le opinioni dell’inchiesta? Beltramo Ceppi: Non tutte. Ad esempio non mi associo a quella che dice: “Pongo dei limiti solo perché non voglio correre il rischio di avere conseguenze. Ma se potessi usare liberamente gli anticoncezionali, non avrei problema di limiti.” E questo perché sono cattolica. P. M.: Le intervistate erano sue amiche? Beltramo Ceppi: No, semplici conoscenze. P. M.: Avrebbe riferito queste frasi ad amiche più giovani? O a una sua sorella di 14 anni? Beltramo Ceppi: Io penso che sia opportuno discutere quei problemi. Per la sorella non so, perché non ne ho, ma penso di sì. P. M.: Ne parlerebbe anche con sua madre? Beltramo Ceppi: Sì, perché mia madre trova giusto discuterne anche perché se ne parla sui giornali e a scuola. È di turno l’ultima imputata, la signora Aurelia Terzaghi, proprietaria della tipografia. P. M.: Lei non pensò mai a seguire le norme che regolano l’uscita dei giornali? Terzaghi: Non registrai La Zanzara perché ritenevo che non fosse necessario per i giornali studenteschi. Pres.: Lei lesse l’inchiesta prima che venisse stampato il giornale? Terzaghi: No. Tanto più che io mi occupo principalmente della parte amministrativa della tipografia. Con questa battuta si conclude la prima giornata del processo. II giornata Per la seconda giornata del processo erano in programma le deposizioni dei testimoni e la requisitoria. Non essendo state ammesse a testimoniare le persone proposte dal Pubblico Ministero - e che avrebbero probabilmente fornito lo spunto a curiosi battibecchi tra le parti sui temi più disparati - l’udienza non si preannunciava molto movimentata. Ma, durante la sfilata dei testimoni, il Pubblico Ministero, tradito dal nervosismo per le reazioni del pubblico, si farà protagonista di uno degli incidenti più teatrali che si siano mai visti in un’aula della giustizia. P. M.: Vorrei porre ancora una domanda all’imputato De Poli. Lui ha dichiarato che delle 850 copie de La Zanzara solo 700 furono vendute. Le altre che fine hanno fatto? De Poli: Cinquanta le abbiamo distribuite ai professori. Le altre sono state divise tra i membri del direttivo. È chiamato a deporre il professore di scienze Silvano Stolfa vice preside del “Parini” e gli viene letto il verbale dell’interrogatorio reso in polizia in cui aveva dichiarato che il contenuto dell’inchiesta su La Zanzara, vista solo dopo l’uscita del giornaletto, gli era sembrato piuttosto inadatto a un pubblico giovanile. Pres.: Lei conferma? Prof. Stolfa: Preciso che non ero contrario all’argomento ma alla forma, per quella certa crudezza del linguaggio. Non trovo inopportuno che l’argomento venga affrontato con giovani del liceo. P. M.: Ma con il metodo dell’articolo de La Zanzara? Prof. Stolfa: Certamente non con quel metodo. Penso che l’educazione sessuale debba essere impartita da persone competenti. P. M.: Si ebbero reazioni da parte di studenti e genitori? Prof. Stolfa: Subito dopo la pubblicazione, no. Il giornale fu distribuito il lunedì agli studenti e il giovedì ai professori, senza che nessuno trovasse nulla da ridire. Poi il venerdì ci fu la protesta di un gruppo di studenti cattolici... P. M.: Conosce i nomi di questi studenti? Prof. Stolfa: No. Pres. (scherzoso al P. M.): Vuol forse denunciarli per stampa clandestina? P. M.: No, ma c’è sempre tempo. (Poi, rivolto al teste) Dove vennero distribuiti i manifestini? Prof. Stolfa: All’entrata della scuola. Poi sentii che dei genitori erano stati a protestare dal preside. Il turbamento vero e proprio venne dopo l’articolo del Corriere Lombardo. Un avvocato: Non interprete, il Lombardo, quindi, ma suggeritore. Il professor Stolfa se ne va e lascia il posto al vice-questore dottor Grappone. Pres.: Fu lei che svolse le indagini? Dott. Grappone: Sì, per incarico del dottor Lanzi, assistetti agli interrogatori fatti dal commissario Vittorio D’Ambrosio. Il risultato degli accertamenti è contenuto nel rapporto allegato al fascicolo, e che confermo. Pres.: Durante le indagini seppe dei manifestini di protesta distribuiti da studenti cattolici? Dott. Grappone: Sì, e ne chiesi copia al preside, il quale però mi disse che ne aveva già dato uno a un agente di pubblica sicurezza. Prof. Mattalia: Sì, lo diedi a un funzionario dell’ufficio politico. Pres.: E che c’entrava l’ufficio politico? Avv. Dall’Ora: Quei manifestini erano anonimi? Dott. Grappone: Non so. Non li ho nemmeno visti. Avv. Dall’Ora: Allora ve li esibiamo noi. Il Presidente legge il manifestino di “Giesse” consegnatogli dall’avvocato in cui si accusano i redattori de La Zanzara di “estrema superficialità” e di aver assunto una “posizione eversiva” nei confronti dei valori fondamentali. P. M.: Risulta al dottor Grappone che prima che io lo incaricassi dell’inchiesta siano arrivate in questura altre lamentele? Dott. Grappone: Appena usci il Corriere Lombardo con il titolo “Scandalo al Parini” arrivarono diverse telefonate anonime. P. M.: C’erano altri uffici di pubblica sicurezza che si occupavano della faccenda? Dott. Grappone: Appena ricevuto l’incarico dalla procura, ne riferii al questore. Questi mi segnalò che della faccenda si stava interessando anche il dottor Fargnoli, dirigente dell’ufficio politico, a seguito della pubblicazione sul Corriere Lombardo. Pres.: Il fatto aveva forse carattere politico? Dott. Grappone: No. Infatti l’ufficio politico se ne disinteressò dopo che io ricevetti l’incarico. Pres.: E va bene, citiamo il dottor Fargnoli. Avv. Delitala: Che così potrà spiegarci le sue competenze. P. M.: Dottor Grappone, mentre lei svolgeva le indagini ebbe sollecitazioni a stroncare questo malcostume che imperversava al “Parini”? Dott. Grappone: Sì, ricevetti moltissime telefonate e lettere anonime che plaudivano all’iniziativa della procura. Avv. Pisapia: Bella coscienza di cittadini! P. M.: Si trattava di genitori? Dott. Grappone: Preciso che una delle lettere era firmata “Un gruppo di genitori di studenti.” Dicevano di non rivelare il nome per non esporre i loro figli a possibili rappresaglie. Una fragorosa risata si leva dal recinto del pubblico. Avv. Smuraglia: Il teste svolse indagini per identificare gli autori dei manifestini del “Gruppo cattolici pariniani”? Pres.: Lui non li ha neanche visti, poveretto. Avv. Smuraglia: Ma ne ha, almeno, sentito parlare? Dott. Grappone: Non ho fatto indagini perché neanche l’ufficio politico aveva più il manifestino. Evidentemente la persona alla quale il professor Mattalia lo aveva consegnato non era della polizia. Congedato Grappone è la volta del commissario di P. S. dottor Vittorio D’Ambrosio che riconferma i verbali e se la sbriga con una sola battuta. Dott. D’Ambrosio: Ricevetti telefonate di genitori e parenti che si rallegravano per l’inchiesta ma non rivelavano la loro identità per timore di rappresaglie sui figli. Ora dovrebbe salire sul banco dei. testimoni il Provveditore agli studi di Milano professor Tornese; ma il professore non è ancora giunto in volo dalla capitale, e il Tribunale deve sospendere l’udienza per un’ora. Il Provvedi- tore si precipiterà in aula venendo direttamente dall’aeroporto. Pres.: Ci scusi, professore, se l’abbiamo distolto dai suoi impegni a Roma. Ci può dire che cosa sa della vicenda? Prof. Tornese: Sono io a scusarmi dell’involontario ritardo, ma avrà appreso dai giornali l’importanza del mio impegno. Conosco la vicenda attraverso i fatti che ho acquisiti. Quando uscì La Zanzara e scoppiarono le prime polemiche io ero a Roma e telefonai subito al viceprovveditore. Poi, tornato a Milano, mi recai personalmente al “Parini” e diedi inizio alle indagini. Il professor Mattalia mi riferì che, essendo in congedo, aveva dato al giornale una semplice scorsa. Non ho accertato altro. Pres.: Ha saputo che erano stati diffusi manifestini di protesta di studenti cattolici? Prof. Tornese: Sì. E ne allegai alcuni al fascicolo dell’inchiesta. Pres.: Meno male che almeno lei li ha conservati. Esprimeva giudizi in quel rapporto? Prof. Tornese: No, per un doveroso riguardo, poiché si era in attesa delle vostre decisioni. Pres.: Come provveditore lei ha trovato inopportuna la pubblicazione di questi ragazzi? Prof. Tornese: Non c’è dubbio che abbiano trattato argomenti spinosi... Si sarebbero dovute attenuare le espressioni... Quegli argomenti, per essere trattati, dovrebbero essere preceduti da un ampia discussione, da un dibattito coordinato fra insegnanti ed alunni, con intervento di esperti e sotto il controllo del preside. P. M.: Signor provveditore, lei, come più alta autorità scolastica di Milano, pensa che l’inchiesta de La Zanzara rientri nei limiti scolastici o abbia, invece, carattere esclusivamente erotico? La singolare domanda solleva un’ondata di commenti ironici del pubblico accompagnati da uno scroscio di risa. Il dottor Lanzi, con il volto paonazzo e le labbra tremanti, si guarda intorno con crescente malumore. Tra un istante si scatenerà la buriana. P. M.: Signor presidente, se sento ancora gridare e lei non è in grado di mantenere l’ordine, io me ne vado. Pres. (palesemente seccato dal tono di quella specie di sfida): Poiché l’ufficio del Pubblico Ministero è anonimo, vuol dire che se lei se ne va verrà nominato un sostituto. Il dottor Lanzi, già spazientito dalle “beccate” del pubblico, non riesce a contenere il dispetto per la brusca risposta del dottor Bianchi d’Espinosa: sconvolto, si alza, si sfila la toga e abbandona l’aula passando alle spalle dei giudici tra le urla dei giovani a cui l’accusatore non è certo simpatico. La tensione è giunta al limite di rottura. Pres.: L’udienza è sospesa. Il pubblico schiamazza. Cedono alcune transenne investite dall’onda di piena della folla. Un’altra vetrata va in frantumi. L’aula è sommersa dalla confusione che diventa incontenibile quando anche i giudici si ritirano. Qualcuno teme che il processo stia naufragando. Tra i magistrati e gli avvocati che seguono il dibattimento come spettatori si accendono violentissime discussioni: un riflesso dello scontro sui problemi della giustizia italiana che gli uomini di toga affrontano schierati sulle due sponde: quella dei “conservatori” e quella degli “innovatori.” A mezzogiorno, quando si riapre l’udienza, nello scanno dell’accusatore siede come sostituto il dottor Domenico Bruni. P. M. Bruni: A seguito di quanto accaduto chiedo lo sgombero dell’aula. Pres.: II Tribunale, come esige rispetto e riguardo dalle parti e dal pubblico, così esige che sia rispettato anche il Pubblico Ministero, il quale, come rappresentante della legge, ha il diritto di svolgere le sue tesi che saranno vagliate dal Tribunale e non dal pubblico. P. M. Bruni: Chiedo il rinvio dell’udienza al pomeriggio per poter prendere visione dei fascicoli procedurali. La sua richiesta viene accolta dal Tribunale. Ma il pomeriggio, alla riapertura dell’udienza, il pubblico rivedrà con stupore al suo posto il dottor Lanzi che chiede subito la parola. Durante l’intervallo di mezzogiorno s’è incontrato con il dottor d’Espinosa e l’incidente è stato risolto. P. M.: Il Tribunale, gli avvocati, il pubblico, tutti devono tener presente che io rappresento la legge, funzione altissima e nobilissima perché difendo la società offesa. Se il pubblico fa parte della società, deve essermi grato perché io la difendo. Esigo il rispetto non alla mia persona ma alla mia funzione. Sono io che ho portato il giudizio davanti a questo Tribunale, che da solo non avrebbe potuto farlo. Tutti vogliamo, in collaborazione, raggiungere la verità. Io ho ripreso il mio posto perché il Presidente mi ha assicurato che non saranno più tolle- rati disturbi ed intimidazioni. Lo ringrazio di questo suo gesto di cortesia. Pres.: Rivolgo un ammonimento al pubblico. Questo processo è stato troppo drammatizzato. Si tratta di stabilire se un articolo costituisca reato. Si è fatto quindi troppo chiasso. Se il Pubblico Ministero me l’avesse chiesto con un‘altra frase, avrei fatto immediatamente sgomberare l’aula. Vorrei ammonire il pubblico, e soprattutto i giovanissimi che si sono agitati (marinando anche la scuola e invocando libertà e giustizia) che la prima norma della libertà è il rispetto delle istituzioni. Mi appello alla loro maturità perché abbiano un doveroso riguardo. Non tollererò più consensi né dissensi. Avv. Sbisà: Noi del collegio di difesa siamo stati turbati per primi da queste manifestazioni. Siamo qui per condurre un dibattito leale e sereno. Siamo coscienti della delicatezza del processo. Ci associamo perciò all’ammonimento del signor Presidente. Il Presidente richiama sulla pedana il Provveditore agli studi la cui deposizione era stata bruscamente interrotta dall’incidente del mattino. Prof. Tornese: Vorrei completare quello che stavo dicendo stamani. Il professor Mattalia, quando s’iniziò il procedimento, inviò una lettera per dirmi che si metteva a mia disposizione. Io lo ringraziai dicendo che consideravo la sua lettera come un gesto di cortesia nei miei confronti, che essa non aveva alcuna rilevanza ai fini amministrativi prima della conclusione di questo processo. L’articolo poteva trovarmi consenziente in senso generale, ma non per alcuni concetti espressi in forma drastica e in un tono che non esito a definire inopportuno. Ritengo che un argomento del genere possa essere trattato nell’ultima classe degli istituti superiori, ma a condizione che l’espressione del pensiero sia assicurata dalla vigile guida e dal senso di responsabilità dei superiori. P. M.: Sempre che lei, signor Presidente, ammetta la domanda, vorrei avere dal provveditore un giudizio di merito: ritiene l’articolo consono alla scuola oppure immorale? Gli avvocati si oppongono a questa domanda. Pres.: Allora formuleremo il quesito così. Senza entrare nel merito penale, considera l’articolo consono alla funzione educativa? Prof. Tornese: Dovrei fare una premessa. P. M.: Non vorrei premesse. Pres.: No, lo lasci parlare. Prof. Tornese: La circolare Martino del 1954 dice che i giornali d’istituto devono essere considerati come un’attività che si sviluppa nella scuola a fianco del consueto lavoro scolastico, quasi come un’espansione e un ulteriore svolgimento di questo. Personalmente sono favorevole ad una interpretazione ampia della circolare, nel senso che possono essere trattati anche altri argomenti di carattere culturale... P. M.: Culturale!... Prof. Tornese: ...Purché siano adatti alla maturità intellettuale e spirituale dei giovani e si inseriscano nel contesto della funzione etico-educativa della scuola. P. M.: Scusi Presidente se insisto nel concetto: l’articolo è dentro o fuori dei limiti scolastici? Prof. Tornese: L’articolo potrebbe rientrare nei limiti delle pubblicazioni utili, ma non vi rientrano assolutamente le frasi incriminate. P. M.: Le risulta che dei genitori abbiano ritirato i loro figli dal “Parini”? Prof. Tornese: Ho raccolto delle voci che però non ho accertato. P. M.: Le sono giunte lamentele per i fatti in questione? Prof. Tornese: Sì, numerose lamentele ma anche numerosi consensi che sono tutti consacrati agli atti. Alcune lettere non sono anonime e provengono da genitori, insegnanti e anche estranei. P. M.: Le risulta l’esistenza di un’associazione denominata “Gioventù Studentesca” di orientamento cattolico? Prof. Tornese: Sì, credo che si tratti di un’associazione interscolastica ma che opera fuori della scuola. P. M.: Sa quanti siano i suoi iscritti? Prof. Tornese: No. Pres.: Si era mai posta la questione della registrazione dei giornali d’istituto? Prof. Tornese: Sono a Milano da un anno e mezzo. La questione non mi era mai stata posta da nessun preside. P. M.: Questa stampa da dove trae i mezzi per vivere? Prof. Tornese: Mi risulta che alcuni sono pagati col ricavato della vendita, altri provvedono con la cassa scolastica, altri ancora con oblazioni volontarie. Avv. Pisapia: Vorrei produrre un cospicuo campionario di giornali studenteschi tutti pubblicati senza registrazione. Pres.: Ne La Zanzara c’è della pubblicità. È ammesso questo? Prof. Tornese: I giornali esistono da vent’anni. Noi non ci siamo mai interessati a questo genere di problemi. Il problema è sorto solo con la faccenda de La Zanzara. Posso precisare che i giornali d’istituto sono tenuti a rimettere copie ai provveditori e al ministero della Pubblica Istruzione. Avv. Delitala: A verbale. P. M.: Ma da quanti anni questi foglietti hanno assunto veste giornalistica? Avv. Dall’Ora: L’avevano già ai miei tempi. Posso produrre un numero de La Zanzara di valore, direi, quasi storico. P. M.: Il signor provveditore può esibirci le lettere di consenso e di dissenso a lui pervenute? Avv. Smuraglia: D’accordo. Ma solo quelle firmate. Terminata la deposizione del Provveditore entra in aula l’ultimo dei testimoni: il commissario capo dottor Luigi Fargnoli dirigente dell’ufficio politico della questura milanese. Pres.: Lei ebbe ad occuparsi de La Zanzara? Dott. Fargnoli: Sì, quando uscì il Corriere Lombardo, me ne occupai per informare il questore e, a questo scopo, chiesi una copia de La Zanzara. Pres.: Ma perché si mosse proprio l’ufficio politico? Dott. Fargnoli: Perché noi ci interessiamo anche di tutti i reati di stampa. Il preside promise di inviarci un esposto. Poi l’indagine fu affidata al dottor Grappone. Pres.: Vada pure, dottor Fargnoli, e ci scusi di averla disturbata per nulla. P. M.: Qualora il Tribunale ne sentisse la necessità, io chiederei la citazione di sette genitori che hanno allontanato i figli dal “Parini,” al fine di sentire i motivi della loro decisione. Avv. Dall’Ora: Noi ci siamo già opposti all’inizio. Avv. Delitala: Il procedimento sembra maturo per la discussione senza bisogno di ulteriori indagini. Avv. Crespi: Vorrei far presente che tutti i ritiri di allievi avvennero prima del 15 marzo e ciò è significativo, poiché, dopo quella data, gli alunni non avrebbero potuto essere iscritti in nessun’altra scuola e avrebbero, quindi, perduto l’anno. È evidente che quei ritiri furono dettati da altre ragioni. P. M.: Io invece ho fondati motivi per ritenere che siano stati ritirati per questo malcostume. Comunque mi do- mando se non sarebbe il caso d’interpellare l’associazione “Gioventù Studentesca,” con sede in via Sant’Antonio 4, e di cui è responsabile il signor Padovani. L’associazione, infatti, ha raccolto 5200 firme di protesta per i fatti del “Parini.” Avv. Smuraglia: Ripetiamo che il processo non si risolve su basi statistiche. Avv. Delitala: Dovremmo comunque accertare se le firme sono valide, poiché non possiamo mica accettarle così. Ci vuole un’autentica del notaio eccetera, eccetera. E sappiamo quale grado di protesta ciascuna di quelle firme intende esprimere? Portiamo in aula le firme, e subito ci troveremo nelle condizioni di dover citare gli autori. Dopodiché noi porteremmo 20 o 30 mila firme e ricominceremmo da capo. Il Tribunale, ritiratosi per decidere, dopo una brevissima permanenza in camera di consiglio respinge anche l’ultima istanza del dottor Lanzi e il Presidente annuncia: “Dichiaro chiuso il dibattimento.” Avv. Dall’Ora: Non sapevo che, oltre a decidere sull’istanza del Pubblico Ministero, il Tribunale avrebbe chiuso il dibattimento. Desidererei prima esibire i precedenti numeri de La Zanzara che danno una chiara visione del suo carattere e delle sue finalità. Pres.: Ha la parola il Pubblico Ministero. La requisitoria P. M.: So che il mio compito non è facile perché mi si accusa di rappresentare un’epoca superata. I censori non sono mai stati simpatici alle folle. Ma io compio il mio dovere sociale che è quella di ristabilire un certo ordine nei costumi moderni. La mia morale rifugge dal capovolgimento dei sacri principi che stanno alla base di una società sana. Né credo che essi siano superati, perché il fragore interno ed esterno e contro la mia persona suscitato da questo processo, sta a dimostrare che i miei principi sono ancora validi. Richiamare le norme morali che sono a base della società italiana, può dare, oggi, fastidio a qualcuno, ma noi vogliamo salvare la morale e la società italiana. Del resto siamo in buona compagnia: qualche giorno fa, nel corso di un dibattito sul caso del “Parini,” si è appreso che il ministro della Pubblica Istruzione ha proibito di usare, come libro di testo nella scuola media inferiore “Pirandello” di Agrigento, il “Diario” di Anna Frank* * La notte stessa il Ministero della Pubblica Istruzione smentiva di essere intervenuto per proibire la divulgazione del “Diario” della Frank. perché conteneva alcuni passi ritenuti immorali; e ciò benché buona parte della stampa avesse salutato con favore l’adozione di quel libro. Ora la frase del “Diario” ritenuta immorale la seguente: “Seppi che quando nei campi di concentramento si dormiva insieme, le donne diventavano gravide.” Ebbene, tale frase, che pure è un brillante in confronto a quelle usate da La Zanzara, è stata soppressa. Del resto nelle scuole vengono purgati anche i testi classici. Ad esempio il Boccaccio, che pure è il maggiore dei nostri trecentisi viene mutilato di certi episodi che possono incitare alla corruzione gli adolescenti. Altrettanto avviene per l’Orlardo Furioso... Questo per dimostrarvi che non vivo in un altro mondo e so essere sereno ed obiettivo. Qui si è fatta una confusione enorme tra libertà di pensiero e libertà di sesso. Il problema sessuale deve essere affrontato con gli adolescenti ad un livello scientifico, e non abbassato, come hanno fatto i redattori del “Parini,” a un livello che non esito a definire pornografico. Ne La Zanzara si parla di libertà; ma la libertà degli uomini deve differenziarsi dalla libertà degli animali. La scuola deve insegnare a diventare uomini e ad affrontare quindi, i grandi problemi sociali, non quelli sessuali. Essa si rivolge a degli immaturi e non a dei maturi, quindi l’educazione deve essere diversa, conforme all’età e al sentimento medio degli adolescenti. Bisogna stare attenti anche alle interviste poiché gli immaturi non sanno distinguere fra affermazioni in prima persona ed opinioni riportate. Quindi l’educazione sessuale deve essere affidata a uomini maturi e non a degli irresponsabili. Gli eccessi e le deviazioni de La Zanzara, che escono dalla disciplina scolastica, sono purtroppo avvenuti all’interno della scuola. Si va a scuola per elevarsi ed affinare il proprio spirito non per essere diseducati. Le frasi usate da La Zanzara traumatizzano anche noi che siamo maturi. Queste frasi sono contrarie alla libertà dei ragazzi e anche dei genitori che dalla scuola vogliono educazione e non diseducazione. Se esistono limiti per la stampa nei confronti degli adolescenti, a maggior ragione devono esistere per la stampa scolastica... Ma si dirà: è possibile che adolescenti corrompano altri adolescenti? Sì. L’articolo 14 della legge sulla stampa è applicabile anche ai minori, ed ecco il perché dell’accertamento sulle capacità di intendere e di volere... Comunque il Tribunale, per sua stessa affermazione, ha potuto giudicare la responsabilità di questi ragazzi attraverso i loro interrogatori. Il giornale era diretto anche ai fanciulli: delle 800 copie stampate, 700 furono vendute all’interno, le altre vennero evidentemente diffuse fuori. L’articolo stesso de La Zanzara ammette che la morale media induce ad estraniarsi da simili problemi, quindi qui ci troviamo di fronte ad articolisti maturi e corrotti che trattavano da imbecilli gli altri, che cercavano di corrompere i meno maturi e i meno corrotti. Si cerca di giustificare il contrasto tra questa élite e la massa con il pretesto della differenza di livello intellettuale, giungendo sino a definire retrogradi i giovani che, invece di occuparsi di sesso, si appassionano allo sport, agli svaghi leciti e sani, alle corse all’aperto. Si esercita quindi su questi ultimi una pressione morale per indurli ad elevarsi a livello dell’élite. Si è invocata la Costituzione, ma l’articolo 21 di questa ultima vieta le pubblicazioni e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume; l’articolo 29 riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio, nell’inchiesta, diventa uno scherzo: ci si sposerebbe solo per interrompere gli studi, avere un bell’appartamento, alzarsi tardi la mattina ed essere serviti da quattro cameriere. L’articolo 30 della Costituzione dà ai genitori il dirittodovere di educare i figli; e i genitori devolvono questo compito alla scuola, che quindi non deve diseducare. Infine l’articolo 147 del codice civile stabilisce il dovere per i genitori di educare i figli in conformità ai principi morali. Ora è morale insegnare agli adolescenti l’uso delle pillole antifecondative? E non mi si dica che quell’articolo è fascista, perché la dizione originale “educare i figli in conformità ai principi morali e al sentimento nazionale fascista,” è stata mutilata di quest’ultima parte; quindi si tratta di una legge emendata dalla Repubblica. (Il pubblico ride) Le intervistate dell’inchiesta “Che cosa pensano le ragazze d’oggi,” appartengono ad una élite che “accetta i consigli dei padri solo se motivati.” Ora finché non sia accertato che il padre è un indegno o un delinquente, i figli devono ubbidire. Qui si proclama la ribellione contro i genitori, si parla di assoluta libertà sessuale e di modifica totale della mentalità: e come affermazioni simili possono lasciare indifferenti gli adolescenti che incominciano a sentire l’urlo dei sensi? (Un lungo brusio si leva dai pubblico. L’”urlo dei sensi” fa sorridere la platea.) ... L’inchiesta afferma ancora: “Nel rapporto sessuale l’importante è essere completamente uniti, e i figli sono solo una conseguenza di secondo grado.” Questo è immorale, perché l’unione sessuale serve alla continuità della specie, altrimenti il mondo non ci sarebbe più, e ormai sarebbe solo nebbia e fumo. Il rapporto sessuale senza fini procreativi è solo vizio. Dunque dobbiamo fermare il malcostume alle porte della scuola. (I ragazzi gremiti dietro le transenne ricominciano a mormorare. Si sente gridare uh! uh! e il presidente agita il campanello ed esorta tutti a non disturbare.) ... Lo so che ci sono anche qui degli animali. Continuiamo. Un’altra intervistata afferma: “Pongo limiti solo per non avere conseguenze.” Bene, ditemi un po’: se vostro figlio tornando da scuola, vi chiedesse cosa sono gli anticoncezionali, che cosa fareste? Per rispondere dovreste diseducarlo spiegandogli cose che susciterebbero in lui curiosità morbose. Altra frase: “Molti rapporti sono solo esperienze utili e non capisco come non si vogliano affrontare.” Ebbene io vi dico che la morale media italiana vuole che la sposa sia illibata. Non dovete badare ad altre nazioni, ai paesi nordici o, che so io, al Congo. Questa degli imputati è solo spregiudicatezza, sfrontatezza, esibizionismo, come quando nei salotti uno si mette in mostra facendo lo spregiudicato. Ma andate poi a vedere nella realtà: anche colui che ha sposato una donna che ha avuto esperienze precedenti, ha il pudore di tenerlo nascosto e dirà anzi che la sua è la più casta delle spose. Se sono convinte di quanto affermano, perché queste ragazze non vengono qui a ripeterlo pubblicamente? Ha ragione il professor Delitala quando invoca un’indagine “Doxa,” ma dovrebbe essere a voto segreto perché se no tutti farebbero gli spregiudicati. Anche noi, ai nostri tempi, facevamo certi discorsi, ma con maggior pudore, non andavamo ad esibirli in piazza. Non è vero, avvocato Delitala? Avv. Delitala (sorpreso dal sentirsi chiamare in causa): Signor presidente, il Pubblico Ministero mi costringe ad interromperlo. P. M.: Lo so che lei la pensa come me. Avv. Delitala: Aspetti almeno che glielo dica. P. M.: Non può essere diversamente, perché lei è un galantuomo. Avv. Delitala: Se per essere galantuomini bisogna pensarla come lei... (ed allarga le braccia senza finire la frase). Pres.: Andiamo avanti. P. M.: Sì. I sentimenti ed i pudori non li ho inventati io. Le stesse ragazze intervistate, con tutta la loro impudente spregiudicatezza, si vergognano di rivelare il loro nome... Sempre ammettendo che le interviste siano veramente state fatte... Ma siamo davvero tanto ingenui da voler credere alla storia della “tavola rotonda”? Io sono convinto che nessuna ragazza ha manifestato quelle idee, scaturite solo dalla fantasia esaltata dei redattori. Le virgolette, quelle vergognose virgolette ce le hanno messe loro, non per contraddistinguere le opinioni altrui ma per sottolineare le frasi più piccanti, per sollecitare gli istinti più bassi e morbosi degli adolescenti. Sono ragazzi che vanno alla ricerca di autosollecitazioni sessuali. Se ognuno di noi venisse messo moralmente nudo... (La gente ride) ...quante cose preferirebbe veder celate. Certe cose si pensano, ma non si dicono, perché contrarie alla morale. Ma continuiamo a sciorinare queste perle. Perle di fango. “La purezza spirituale non coincide con l’integrità fisica.” Ma come si fa a dire cose simili? Come si può stimare una donna che non è integra? E ancora: “La religione, in campo sessuale, è apportatrice di complessi di colpa... In amore non ci devono essere freni religiosi... La posizione della Chiesa ha provocato in me molti conflitti fino a quando non mi sono allontanata...” Ora mi rivolgo agli onesti: la Costituzione impone sì o no il rispetto del Concordato e quindi della morale religiosa che è stata acquisita dalla morale italiana? Queste sono aberrazioni! Perfino nella splendente Roma dei Cesari, che pure era piuttosto corrotta, il poeta Ovidio fu esiliato per aver scritto libri non osceni, ma immorali... E consideriamo che nelle scuole si insegna la religione: che penseranno gli adolescenti che ascoltano le lezioni di religione e poi leggono affermazioni come quelle de La Zanzara? L’etica e la morale italiana sono conformi alla religione cattolica. Vogliamo dunque che gli adolescenti siano atei e si ribellino ad ogni freno? Ma allora i genitori si precipiteranno a raddoppiare le lezioni di religione. Vorrei, signor Presidente, che queste frasi restassero scolpite nelle vostre menti così che, in camera di consiglio, possiate riflettere su di esse e rendervi conto della gravità del fatto. Il mio è un grido di dolore in difesa di un principio che non è solo della Sicilia o della Calabria, ma anche del Piemonte e della Lombardia, se è vero che anche qui un uomo che sposa una prostituta se ne vergogna. Siamo diversi dagli animali, perché non seguiamo la morale della Zanzara, e se dovessimo seguirla, lo faremmo ben di nascosto. Anche noi abbiamo fatto le nostre cose, ma non ne parlavamo. E se si andava con una ragazza, non ci facevamo vedere. (Il pubblico rumoreggia.) Forse che io sono il solo depositario dell’onestà, della morale, della religione, una voce clamante nel deserto? No, la maggior parte della gente la pensa come me... Professor Pisapia, noi che credevamo ai cavoli e alle cicogne... Avv. Pisapia: No, no. P. M.: Il problema sessuale va affrontato a livello scientifico o arriveremo al punto che le ragazze andranno in giro con gli anticoncezionali in tasca e il materasso sulle spalle. (Altro coro di proteste e altro scroscio di risate.) Ridete, ridete pure, ma ci sarebbe da piangere, tanto il problema è grave. La donna non ha più pudore, e senza pudore la donna non è più donna. Noi l’abbiamo sempre concepita come un angelo; pensarla in modo diverso è immorale. Questi giovani maturi, responsabili, hanno dimostrato un vero e proprio sadismo nel corrompere gli altri. Ai miei tempi c’era Guido da Verona che noi leggevamo di nascosto. In confronto alle frasi de La Zanzara quei romanzi sono libri da leggere in chiesa. Il preside è il più responsabile di tutti perché ha permesso, lui che aveva il dovere di controllare, che cose simili avvenissero all’interno della scuola che deve educare e non diseducare. Sono convinto di aver esternato le idee della maggioranza degli italiani, delle persone per bene, della gente onesta. Riflettete, o giudici, vi supplico! La vostra sentenza può essere una spinta decisiva per gettare la mo- rale nel baratro! Ai nostri tempi si pensava a tutt’altro: non c’erano gli obiettori di coscienza, i capelloni; noi rabbrividivamo al suono degli inni nazionali, si fremeva per la Patria, non si parlava del libero amore, ma dei martiri del Risorgimento. La mia iniziativa ha avuto seguito, ha destato un’eco; credevo di essere solo, invece ho ricevuto parole di incoraggiamento da ogni parte. I presidi si sono svegliati, hanno proibito o censurato i giornaletti. Ripeto, rifletta il Tribunale su che cosa potrà avvenire con il crisma della sua sentenza. Se i principi verranno meno, tutto sarà travolto dall’ondata della corruzione e del malcostume, nessuno si salverà. Pensate che cosa sarà dei nostri figli e dei figli dei nostri figli! Per la mia voce parla la società buona, la società sana. Esibisco una cartella che contiene le centinaia di lettere che ho ricevuto da ogni parte d’Italia, da uomini politici, parlamentari, intellettuali, insegnanti, da avvocati di Genova dove ero magistrato. Se il Tribunale vorrà prenderne visione... Concludendo chiedo la condanna di tutti gli imputati al minimo della pena, con l’aggravante dell’abuso di ufficio per il preside e con l’attenuante della minore età, già richiesta, per i ragazzi. Pres.: Precisi le sue richieste. P. M.: Mi limiterò a rimetterle il mio scritto. Pres.: (legge le richieste.) Cinquantamila lire di multa al preside Mattalia per aver omesso la registrazione; trentamila lire di multa per Marco De Poli per lo stesso fatto; 4 mesi, 15 giorni e sessantamila lire di multa al Mattalia per concorso nell’incitamento alla corruzione; 2 mesi, 20 giorni, quarantamila lire di multa per lo stesso reato a Marco De Poli, Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi e Aurelia Terzaghi; dodicimila lire di ammenda ad Aurelia Terzaghi per non aver depositato le copie del giornale. Sequestro del numero de La Zanzara contenente l’inchiesta. Con le richieste del pubblico ministero si conclude la seconda giornata di udienze. III giornata All’apertura dell’udienza, alle 9,20, l’aula è gremita da una folla straripante, come i giorni precedenti. Il pubblico è lo stesso, ma di umore diverso. Dopo le dure parole accu- satorie del dottor Lanzi, oggi ascolterà te parole dei sei avvocati di grande fama del collegio di difesa: il prof. Alberto Crespi parlerà per il preside prof. Mattalia; il prof. Alberto Dall’Ora, per De Poli; il prof. Giacomo Delitala, per Claudia Beltramo Ceppi; il prof. Gian Domenico Pisapia, per Aurelia Terzaghi; il prof. Carlo Smuraglia, per De Poli; l’avv. Enrico Sbisà, per Sassano. Ma, come avevano preannunciato all’apertura del dibattimento, ognuno di loro (di cui si riportano ampi stralci dell’arringa) parlerà per tutti gli imputati. Pres.: La parola è al professor Dall’Ora. Avv. Dall’Ora: Vorrei allontanare da quest’aula ogni impressione esterna alla causa. Non che mi meravigli delle manifestazioni che sono avvenute; mi sarei meravigliato del contrario, perché le giudico un fenomeno vitale, un benefico scossone che ha consentito di intendere fino a che punto siano giunti alcuni problemi. Dovrò fare, ovviamente, molte osservazioni su quanto ci ha detto l’egregio rappresentante dell’Accusa. Ma il discorso col Pubblico Ministero rischia di rimanere un discorso fra sordi. Perché ieri, quando egli faceva della verginità femminile una specie di simbolo della civiltà, di emblema del costume, a noi veniva in mente il costume di quei luoghi dove si narra che il marito, la mattina della notte di nozze, stenda alla finestra le lenzuola insanguinate per dimostrare che la moglie era vergine. Se questo per il Pubblico Ministero è buon costume, per noi è cattivo costume; se per lui è civiltà, per noi è un segno di barbarie. Qualche tempo addietro, la nazione è rimasta sconvolta da una sentenza su un delitto cosiddetto d’onore: ebbene, quella sentenza era basata sulla medesima concezione, sullo stesso tipo di civiltà in nome della quale il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna dei nostri assistiti. Dico che quella da lui definita civiltà, è medioevo e neanche, perché, come qualcuno ha fatto giustamente osservare, il medioevo, riconosceva particolari libertà alle istituzioni scolastiche. Dobbiamo quindi risalire alla preistoria, alle concezioni tribali. Né possiamo accettare, perché fuori d’ogni proporzione logica e giuridica, le accuse rivolte agli imputati. Il paragone fra la libertà degli uomini e quella degli animali non ha senso, poiché gli animali, non avendo coscienza, non sono essere liberi. Già, soltanto il dire che La Zanzara è un fenomeno bestiale a noi ripugna, dato che il bestiale lo. vediamo piuttosto nel barbarico costume di esporre le lenzuola insanguinate, e nel delitto d’onore, simboli della civiltà a cui si riferisce il Pubblico Ministero. La causa ha due aspetti: la mancata registrazione (e il conseguente omesso deposito de “La Zanzara”) e l’incitamento alla corruzione. Cominciamo dal primo. Il Pubblico Ministero non ne ha quasi accennato, come se, in proposito, non ci fosse nessuna questione. Ora la legge sulla stampa non si è mai preoccupata dei giornali d’istituto: abbiamo quindi una lacuna. La circolare del Provveditore professor Tornese, del 4 gennaio 1965, dichiara che “le organizzazioni studentesche sono oggetto di scarsi riferimenti da parte del ministero” e che “allo stato attuale l’organizzazione di esse è rimessa ai capi degli istituti.” La situazione dei giornaletti è una conseguenza di questa lacuna. La loro diffusione maggiore o minore non ha qui alcun interesse poiché ci troviamo di fronte a un caso unico e singolare. Infatti altre pubblicazioni, pur ristrette a particolari categorie o associazioni, hanno tuttavia un ambito ideale; qui invece abbiamo un ambito fisico, materiale, che si racchiude fra le mura del liceo “Parini.” In ogni caso l’articolo 14 potrebbe sempre essere applicato: non sarebbe giustificato il timore dell’impunità. Ma aspettiamo che il Parlamento decida sia sulle associazioni sia sui giornaletti per i quali si invoca una regolamentazione. Comunque, la presenza della pubblicità su La Zanzara e il suo prezzo di vendita non hanno alcuna influenza sul problema. La pubblicità era, per così dire, familiare, perché si trattava in pratica di sovvenzioni di parenti e di genitori. Sia chiaro che accettare la tesi del Pubblico Ministero ed equiparare i giornali d’istituto alla stampa normale, significherebbe segnare la loro fine. Passiamo all’incitamento alla corruzione. Che rapporto esiste tra l’art. 14 della legge sulla stampa e l’art 528 del codice penale relativo alle pubblicazioni oscene? Secondo gli uni, l’immoralità in rapporto agli adolescenti, stabilita dall’articolo 14, costituisce un reato completamente diverso dalle pubblicazioni oscene. Secondo altri, invece, l’articolo 14 rappresenta non una nuova figura di reato, ma uno speciale criterio interpretativo del 528. La tesi forse più accettabile è quella intermedia, e cioè quella che si tratti di un reato attenuato, di un’immoralità che non raggiunge l’oscenità. Ma esiste, nel caso, un incitamento alla corruzione? Per rispondere dobbiamo porci altre due domande. Che cosa è La Zanzara? Chi è Marco De Poli? La Zanzara è un giornale che ha già una lunga storia. Nel numero stampato il 26 luglio 1945 troviamo un articolo violento contro la monarchia, accanto ad un altro favorevole; quindi, fin da allora, si ospitavano diverse opinioni. C’è anche un articolo di un neofascista, seppur affiancato da un severo commento redazionale di condanna. La tendenza all’inchiesta rivela, insomma, un bisogno di sapere e di far sapere. Ad esempio; in un altro numero si chiedono agli intervistati i nomi di tre gerarchi fascisti: ed ecco una risposta che accomuna Mussolini, Badoglio, Hitler e Fanfani (il pubblico accoglie la battuta con una risata). Troviamo delle recensioni cinematografiche con un attacco a fondo contro il “Vangelo” di Pasolini, pur accettato da gran parte della Chiesa. Troviamo un’inchiesta sulla gioventù “beat”, ben diversa, egregio Pubblico Ministero, ,la quella che voi avete messo sul banco degli imputati. In altri articoli si lamenta lo scarso interesse della stampa adulta per la scuola e in generale degli adulti per i problemi dei giovani. Avvicinandoci al tema incriminato, leggiamo un articolo sulla pansessualità freudiana. Poi, ospitando interventi di Calamandrei e di Calogero, La Zanzara sembra assumere un tono radicaleggiante; tuttavia continua a contenere inviti a tutti perché collaborino, quasi ricordando, all’insegna di Calamandrei, che “i soli sovversivi oggi sono i conservatori.” In ogni caso siamo sempre su un piano di serietà. E chi è Marco De Poli? Ve lo ha detto il preside, lo dice la sua attività, ve lo dice la serietà con cui si impegna nella suola e fuori della scuola. La pagella costellata di 8 e di 9 è la sua vera scheda biopsichica, egregio Pubblico Ministero! Veniamo all’accusa di incitamento alla corruzione. Anzitutto si pone il problema della morale. La morale della vostra sentenza deve essere la morale statuale. E qual è la posizione del minore in questa morale? La risposta può darla l’articolo 519 del codice penale relativo alla violenza carnale. In questo articolo, infatti, si precisa che la presunzione di violenza incomincia solo dai 14 anni in giù: pertanto la legge implicitamente ammette che il quattordicenne può dare il suo consenso all’atto sessuale. Resta quindi difficile presumere il reato di istigazione alla corruzione, così come il pubblico ministero lo ha configurato. Il dottor Lanzi ha confuso quello che trattavano i giovani nell’inchiesta de La Zanzara. Essi si proponevano il problema della libertà sessuale, non quello della libertà di prostituirsi così come invece ha loro rimproverato. Quella de La Zanzara non era un’istigazione a rapporti sessuali illimitati, ma un’esposizione di principi e di scelte, e neanche attuali. Ecco perché questo processo è molto più diseducativo de La Zanzara. Volete sentire quello che ha scritto in proposito l’imperturbabile “Times” che non si sconvolge mai, sollevando appena un sopracciglio (l’altro l’aveva sollevato per il delitto d’onore)?: “Le risposte dimostrano che la maggioranza delle ragazze accetta la morale tradizionale italiana ispirata dalla Chiesa; altre invece espongono opinioni contrarie in tono crudo, ma in maniera distaccata, obbiettiva, senza traccia di morbosità.” L’inchiesta può essere superficiale, incompleta, ma ciò non toglie che sia una inchiesta, a meno di voler credere all’insinuazione (non c’è altro termine per definirla) del Pubblico Ministero secondo cui la “tavola rotonda” organizzata per raccogliere le interviste non sarebbe stata fatta. In materia di articolo 14 le sentenze sono scarse poiché si è compreso che tale articolo è uno strumento delicato, il quale potrebbe, al limite, togliere le libertà costituzionali. Così la procura di Milano aveva sequestrato questi fumetti che esibisco, “Kriminal,” “Satanik,” “Diabolik,” “Sadik,” anche se recavano l’avvertimento “per adulti,” ritenendoli “rigonfi di violenza e di sesso” e ne aveva ordinato il sequestro. Ci furono anche degli echi nella cronaca poiché al giovane Carmine D’Arconte che pugnalò un vicino di casa fu trovata in tasca una mascherina nera simile a quella dei protagonisti dei fumetti. Ebbene, si possono paragonare quelle pubblicazioni all’inchiesta asettica de La Zanzara? La mancanza di scrupoli e la bassezza di certi industriali dell’editoria che lucrano su istinti morbosi, si possono paragonare alla pulizia mentale degli attuali imputati che condannano i film erotici e ne parlano con ripugnanza? Ebbene, quell’ammirevole magistrato della nostra procura che è il dottor Guicciardi, ha chiesto l’archiviazione della pratica riguardante quegli editori ritenendo che i fumetti non superassero “i limiti della tollerabilità,” proprio perché aveva intuito la delicatezza dell’articolo 14. La Cassazione, da parte sua, ha giudicato valida l’applicabilità dell’articolo 14 in un caso ben diverso da questo, con una sentenza del 1953 relativa a due pubbli- cazioni, “Calamity Jane” e “Pantera Bionda” dove, cito testualmente “le protagoniste apparivano quasi ignude, accennando con gesti osceni alle parti pudende”; essa riteneva che quella stampa fosse di fatto riservata agli adolescenti perché “solo adulti privi d’intelligenza potevano prendere interesse a vicende così infantili.” Qui, poi, si sono confuse la morale e il buon costume, con una contaminazione che direi concordataria: infatti il codice di diritto canonico mette in primo piano i figli e solo dopo l’unione sessuale. Ma il Concilio Vaticano II ha discusso proprio per elevare questo secondo fine al livello giuridico e morale dell’altro. Evidentemente, i padri conciliari vanno più avanti della procura della repubblica di Milano, riabilitando contro il “crescete e moltiplicatevi” l’altra affermazione “I due saranno uno in una sola carne.” II Concilio ha ammonito anche: “Evitiamo di ripetere il processo di Galileo.” Questi fatti sono noti a tutti, ignoti solo al Pubblico Ministero. La stessa sentenza della Corte Costituzionale relativa al divieto della propaganda anticoncezionale (che si trovava nel codice sotto il titolo “Difesa della razza” poiché occorrevano più figli per popolare l’impero) ha affermato, con esplicito riferimento alla sensibilità morale dei giovani, che la propaganda generica è consentita. Quindi, a proposito di buon costume, è lecito che i giovani ne discutano, tanto più che la pubblicità di questi problemi si trova in tutti i giornali (con titoli del genere: “Le pillole,” “Le pillole in farmacia,” ecc.) e che anche i sacerdoti cattolici accettano di trattarli. Sarà questione di forma, bisognerà che i giovani non siano lasciati soli e ne discutano con gli educatori; però la questione continua ad essere di forma e d’opportunità, non di moralità. Un sacerdote ha iniziato - riferisce La Stampa - un ciclo di lezioni sessuali; un altro su un diffuso settimanale ha scritto che “non si può più rispondere ai giovani che pongono domande sul sesso: ‘Prega la Madonna e non ci pensare.’” Speriamo che lo scossone di questi giorni serva a qualcosa, altrimenti la vita nazionale rimarrebbe una morta gora. Il Pubblico Ministero ha già stabilito l’equivalenza: l’inchiesta è immorale perché non è educativa. Ora il problema da risolvere non è se sia educativa o no, ma solo se l’averne pubblicato i risultati costituisca un delitto. Per assurdo si può sostenere che potrebbe anche essere diseducativa e non essere un delitto. Quindi il problema che è stato arbitrariamente introdotto in quest’aula deve uscirne. Rinviamo a scuola questi ragazzi che sono seri, forse più seri di tanti adulti. Tornino al liceo dove impareranno che Ovidio fu allontanato da Roma per ragioni oscure, estranee alle sue opere. Qualcuno dice che sia stato punito perché frequentava la figlia dell’imperatore: in tal caso credo che nessuno l’avrebbe salvato anche se avesse scritto carmi edificanti. Signori del tribunale, vi chiedo di assolvere Marco De Poli con la formula del fatto che non costituisce reato. Pres.: La parola è al professor Smuraglia per De Poli. Avv. Smuraglia: È con commozione e con una certa tristezza che si prende la parola per difendere Marco Poli, data la sua età e il reato che gli viene contestato. Siamo tristi perché non fa piacere a nessun uomo civile vedere imputati degli scolari e il loro preside. Siamo tristi perché vediamo tre giovani davanti al tribunale. Il Pubblico Ministero si vanta di averli trascinati qui; noi ne siamo addolorati. Veramente un fossato ci divide dal Pubblico Ministero il quale, abbastanza arbitrariamente, sostiene di rappresentare la società. Pres.: La prego di attenersi ai fatti. Avv. Smuraglia: Mi consenta, signor Presidente. Per oltre due ore abbiamo ascoltato pazientemente il Pubblico Ministero senza sentire un solo argomento giuridico. Abbiamo visto questi giovani citati qui con rito direttissimo mentre altri processi ben più gravi attendono per anni. Abbiamo visto il rigore della legge sulla stampa abbattersi solo su La Zanzara definita clandestina, mentre non si sono ancora perseguiti i volantini di protesta che pur erano anonimi. Non sono episodi contingenti, ma investono problemi molto più vasti. E considero ipocrita sostenere la necessità degli scandali: i problemi dovrebbero essere risolti nella loro sede. Il problema della registrazione è un problema di libertà. Vi chiediamo quali giudici dovete essere: giudici che si arrestano alla forma astratta o giudici che cercano il senso vero della legge in rapporto ai fatti sociali? Giudici che esercitano una funzione meccanica o rendono una giustizia vera? La Zanzara, organo di un’associazione ufficiale, è oggetto di una diffusione interna, recava i nomi del direttore, dei redattori, dei tipografi; non sfuggiva, quindi, ad alcun controllo, e la definizione di stampa clandestina appare, perciò, veramente strana. Veniva diffusa solo in un liceo e classe per classe, come abbiamo sentito. è possibile che qualche copia sia uscita fuori, ma questo che cosa cambia? Sappiamo anche come viveva La Zanzara; la pubblicità era la forma più simpatica di sovvenzione da parte di genitori e di parenti. Ci mostrassero, così, tutti i giornali, i loro finanziatori! Sappiamo ancora che La Zanzara ha vent’anni, che ci sono altri giornali d’istituto, che nessuno mai è stato registrato. Il provveditore vi dice che il problema non, si è mai posto; la circolare ministeriale vi parla di libertà e di autonomia, sotto un certo controllo, ma non sotto la direzione dei superiori che dovrebbero compiere “interventi soltanto orientativi.” Neanche il ministero si preoccupa... Pres.: Capita, in Italia! Avv. Smuraglia: Ma perché nessuno ha mai invocato la legge sulla stampa, perché il Pubblico Ministero non è intervenuto prima, se il reato si perpetuava da anni? Il problema scoppia solo ora e per ragioni di contenuto, non di forma. II vero motivo è questo: è convinzione generale che la legge sulla stampa non si applichi ai giornali d’istituto. Non esiste in materia né dottrina né giurisprudenza. Frugando dappertutto, ho trovato un solo articolo di dottrina su una rivista locale, dove si afferma che “la prassi in atto, non prevista da alcuna norma, costituisce una deroga alla legge in vigore, una deroga inevitabile.” La verità è che la legge sulla stampa, se non è un aborto è almeno un settimino, approvato in fretta dalla Costituente perché urgevano altri problemi. Lo prova il fatto che sui quarantuno articoli del progetto, ne sono rimasti solo ventiquattro, e che il governo, il quale si era impegnato a stabilire norme di attuazione, non ha ancora fatto onore all’impegno. L’attento esame dei lavori preparatori in seno alla Costituente dimostra che nessuno pensò minimamente ai giornali studenteschi. Ora, il fatto che il problema non fu neppure considerato, come pure il fatto che successivamente alla entrata in vigore della legge sulla stampa, per diciotto anni, nessuno mai ha sollevato la questione, dimostrano che vi è una convinzione generale di estraneità del fenomeno dall’ambito di applicazione della legge sulla stampa. La dottrina giuridica ha ormai elaborato a fondo il problema dei limiti taciti della norma penale, giungendo al convincimento che non solo sono concepibili dei limiti oggettivi, ma anche dei limiti soggettivi taciti. Ogni volta che l’applicazione rigorosa e formalistica di una norma condurrebbe a risultati iniqui, l’interprete deve. porsi il problema dei limiti taciti e indagare se vi sia una esclusione tacita della fattispecie dall’ambito di applicazione della norma, se il precetto sia o meno soggettivamente esigibile nei confronti di determinati soggetti, se si sia formata una consuetudine interpretativa, se infine la materia - non regolata dalla legge - trovi ormai la propria disciplina in altre fonti extralegislative. Si tratta di una vasta problematica, che si collega a quella relativa alla concepibilità di lacune dell’ordinamento giuridico ed alla possibilità che esse vengano colmate mediante fonti extralegislative. Orbene, chi compie siffatta indagine in relazione ai giornali studenteschi, rileva immediatamente che essi non sono stati presi in considerazione dal legislatore costituente e che il precetto è sostanzialmente inesigibile nei confronti dei giovani studenti. In realtà, se si applicasse a questi giornali la legge sulla stampa, occorrerebbero un direttore ed un proprietario maggiorenni. Il che muterebbe profondamente la sostanza e la natura di questi giornali e farebbe venir meno la loro finalità. Anziché in un ambito di piena autonomia, quale palestra democratica dei giovani, essi verrebbero a trovarsi sotto la direzione e il controllo di adulti, magari estranei all’ambiente scolastico, sicuramente estranei - in ogni caso - al corpo studentesco. Ne deriva chiaramente l’inesigibilità del precetto nei confronti dei giovani studenti; il che conferma l’esistenza di un limite tacito delle norme sulla stampa a riguardo dei giornali studenteschi. La verità è che questa materia ha assunto una propria disciplina autonoma e trova la sua regolamentazione in fonti del tutto extralegali. La scuola può e deve essere concepita come un’istituzione la cui finalità non è solo quella di istruire, ma anche quella di educare. Nell’ambito di questa istituzione si è formato, come sempre accade, un complesso di norme e di regole che disciplina la vita delle associazioni studentesche, la pubblicazione dei loro giornali e così via. Si obietterà che le norme interne delle istituzioni non possono derogare alla disciplina dell’ordinamento giuridico statuale. Ma l’obiezione appare infondata, ove si consideri quanto già si è detto e cioè che tutta questa materia non rientra nell’ambito della legge sulla stampa. Le regole interne dell’istituzione-scuola non derogano dunque alla legge generale, ma operano in una zona permissiva, in quanto non considerata dalla legge. In altre parole, esse colmano una lacuna dell’ordinamento, senza porsi minimamente in contrasto con esso. Un fenomeno del genere deve essere considerato ed apprezzato con entusiasmo, e non soffocato. La tendenza a ricondurre tutto nell’ambito della legge statuale è contraria alla dinamica del diritto ed alla esigenza di una stretta connessione tra esso e la realtà viva. Il fenomeno del pluralismo giuridico, come pure quello del nascere di un diritto vivente, che affonda direttamente le radici nella realtà, sono fattori di progresso sociale. E la scuola è un esempio caratteristico di quanto importante possa essere la formazione autonoma di un complesso di regole, dirette a consentire la libera formazione ed il pieno sviluppo della personalità dei giovani. Non soffochiamo dunque il fenomeno della stampa scolastica, con l’imporre ad essa dei limiti e delle regole che non le si addicono. Lasciamo che essa si sviluppi secondo l’esperienza e la pratica, in un ambito che la legge non ha voluto considerare proprio per le sue caratteristiche del tutto peculiari. Se poi tutto questo non apparisse convincente, allora bisognerebbe fare i conti con un altro e più delicato problema, che investe la stessa legittimità costituzionale della legge sulla stampa. Si renderebbe infatti impossibile l’esercizio della libertà di stampa a tutti coloro che hanno meno di 21 anni. E questo rappresenterebbe una concreta violazione non solo dell’art. 21 della Costituzione, ma anche dell’art. 3 della Carta Costituzionale, che consacra solennemente il principio di uguaglianza. È pacifico ormai che la maggiore età, richiesta dal diritto privato, non è presupposto necessario per il godimento dei diritti pubblici. Anzi, per questi ultimi, l’età è di regola irrilevante e la capacità da considerare è solo quella naturale. Ciò è provato, del resto, dal fatto che lo stesso legislatore costituente ha esplicitamente indicato dei limiti inerenti all’età, quando lo ha ritenuto necessario (ad esempio, proposito dell’elettorato). Non può, dunque, il legislatore ordinario sopprimere un diritto costituzionalmente riconosciuto solo in considerazione dell’età del soggetto. Ove dunque si interpretasse così la legge sulla stampa, ne deriverebbe la conseguenza della sua illegittimità nella parte con cui si fissano limiti di età per rivestire la carica di direttore di un giornale. Né si dica che si tratterebbe solo di un limite di esercizio. Data la natura dei giornali studenteschi, l’imposizione di un limite di età agli effetti della carica di direttore, costituisce un impedimento assoluto, che incide sulla stessa struttura del diritto in questione e cioè della stessa libertà di stampa. È giunto dunque il momento di trarre le conclusioni: i giornali studenteschi non rientrano nella previsione della. legge sulla stampa e sono regolati soltanto dalle norme interne dell’istituzione-scuola. La pretesa di applicare la legge sulla stampa a questi giornali si porrebbe in chiaro contrasto, oltreché con la coscienza sociale, con precise norme costituzionali. Il problema è assai vasto e delicato e su questo richiamiamo l’attenzione dei giudici: al di là del caso de La Zanzara, si pone l’intero problema della stampa studentesca e della sua possibilità di esistenza e di sviluppo. Noi chiediamo ai giudici di Milano di difendere, con la loro sentenza, quelle esigenze di democrazia e di libertà che sono alla base del fenomeno dei giornali studenteschi. Pres.: Ha la parola il professor Pisapia per la signora Terzaghi. Avv. Pisapia: Ho ascoltato con attenzione e con rispetto le conclusioni del Pubblico Ministero, convinto come sono che egli abbia espresso con sincerità, anche se con particolare vivacità, un suo stato d’animo in relazione ad un episodio di cui ha ritenuto di sottolineare piuttosto i presunti profili etici, più che cercare di individuare i precisi contorni giuridici. Ma devo subito aggiungere che, ascoltando la drammatica, quasi apocalittica invocazione con cui ha concluso la sua requisitoria - che ci ha fatto sentire in un altro processo, in un’altra epoca - io mi sono sinceramente chiesto se egli avesse ben presente quell’articolo e quel foglio studentesco che è al vostro esame, se, parlando di “valanga inarrestabile del malcostume” che voi dovreste arginare con la vostra sentenza, egli sentisse di potersi seriamente riferire a questo modesto episodio, di cui - un po’ per l’intervento di circostanze particolari ed un po’ per la volontà stessa di chi ha promosso questo giudizio - si è alterata completamente la dimensione morale e giuridica. Quando il Pubblico Ministero vi parla di danno incalcolabile provocato alla società offesa da questo articolo, io mi domando se non gli sia sorto il dubbio che il preteso danno sia derivato non tanto dall’articolo di questi ragazzi, in cui nulla di osceno o immorale può riscontrarsi, quanto dalla pubblicità che, non certo per opera loro, ne è seguita. Poiché il Pubblico Ministero ha rivendicato a sé il merito di aver portato questo caso davanti a voi, occorre che egli si assuma la parte di responsabilità che gli compete e che si chieda se la sua iniziativa non abbia. per caso accresciuto quel turbamento dell’opinione pubblica di cui attribuisce la responsabilità agli imputati. Alla signora Terzaghi, che io difendo, sono state mosse contestazioni. La prima, ai sensi dell’articolo 58 del codice penale, in relazione all’articolo 14 della legge sulla stampa, perché avrebbe omesso di esercitare sul contenuto del periodico La Zanzara il controllo necessario ad impedire che apparisse l’inchiesta “Che cosa pensano le ragazze d’oggi,; la seconda, ai sensi degli articoli 1 e 8 della legge 2 febbraio 1939, per non aver consegnato prima della diffusione de La Zanzara gli esemplari d’obbligo alla Prefettura e alla Procura della Repubblica di Milano. La prima imputazione è frutto di un evidente e grave equivoco giuridico; la seconda può avere apparenza di fondamento, ma merita tuttavia qualche considerazione. Per quanto concerne la prima imputazione sarebbe bastato che il Pubblico Ministero che ha formulato la richiesta del decreto di citazione, si fosse dato pena di rileggere, per un istante, l’articolo 58 del codice penale, per rendersi conto della assoluta inconsistenza dell’accusa. L’articolo 58 prevede, infatti, che, in caso di stampa clandestina (denominazione con la quale il codice impropriamente designa le pubblicazioni per le quali non sono state osservate le prescrizioni di legge), si applichino le disposizioni degli articoli precedenti. Quindi, nel caso di stampa periodica - salva la responsabilità dell’autore dell’articolo – risponde il direttore o il vice direttore responsabile, il quale abbia omesso di esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario per impedire che siano commessi reati; nel caso di stampa non periodica risponde l’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, oppure lo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile. Anche ammesso, quindi, che l’articolo dei tre studenti -. fosse osceno o immorale - ciò che si deve escludere per ragioni già dette dai precedenti difensori - in nessun caso potrebbe essere chiamata a rispondere la signora Terzaghi, stampatrice, essendo noti ed imputabili nella specie. sia gli autori dell’articolo, sia il direttore del giornale. Ma io non intendo trincerarmi dietro questa difesa puramente formale, desiderando esprimere qui decisamente mia solidarietà con i difensori dei redattori de La Zanzara, in quanto non vedo assolutamente come si possono ravvisare, nell’articolo incriminato, gli estremi del reato cui all’articolo 14 della legge sulla stampa, e cioè una idoneità ad offendere il sentimento morale degli adolescenti o ad incitarli alla corruzione. Tutte le considerazioni svolte dal Pubblico Ministero su questo punto sono viziate da un grave difetto di prospettiva. Innanzitutto egli ha parlato delle opinioni riportate nell’articolo incriminato come se esse fossero condivise ed avallate dai tre giovani autori, mentre essi le hanno riferite come opinioni altrui, e, per di più, in modo del tutto distaccato e senza mai indugiare su particolari scabrosi o sconvenienti. L’articolo, considerato nel suo complesso, ha un impronta di indiscutibile serietà, così come alla massima serietà e dignità si ispira tutto il giornale: basta leggere proprio il numero in cui è apparso l’articolo incriminato, che contiene delle ottime recensioni teatrali (come quella alla “Cimice” di Maiakovski) e una inchiesta condotta con equilibrio e serietà sui libri di testo, che dimostra, tra l’altro, come il sistema delle inchieste sia abituale fra i redattori de La Zanzara. Ma vorrei qui parlare non solo come avvocato: mi sono fatto un piccolo esame di coscienza come padre di sette figli. Il Pubblico Ministero si considera il rappresentante del mondo degli onesti, della gente per bene; noi respingiamo queste distinzioni arbitrarie. Qui si tratta di vedere se era onesto trattare il problema e se il problema fu trattato onestamente; si tratta di vedere se si è dato lo spunto al benché minimo atteggiamento che potesse turbare le persone. Ebbene, nell’inchiesta de La Zanzara, non troviamo niente di simile, nessuna insistenza o compiacenza su particolari scabrosi. Eccovi, invece, pubblicazioni cattoliche: “Problematica dell’amore nei giovani” di Gerald Kelly, edita dal Centro Studi Statali di piazza San Fedele e “Saper amare” dell’abate Oraison, delle Edizioni Paoline: entrambe con l’imprimatur delle Autorità Ecclesiastiche. Ebbene, mentre abbiamo potuto leggere tranquillamente, qui, La Zanzara, io non oso leggere in pub- blico le espressioni contenute in quel libri, pur destinati alla gioventù... Pres.: Posso sempre far sgombrar l’aula! Avv. Pisapia: Non vorrei stimolare le iniziative del Pubblico Ministero... Pres.: Stia tranquillo, la competenza sarebbe di altre città. Avv. Pisapia: Ebbene, nella prefazione di uno di questi libri, si dice: “Giovanotti, ragazze, leggete perché qui troverete gli argomenti che altrove sono considerati tabù di cui vergognarsi...” Tanto più che anche i genitori, generalmente, non parlano di queste cose ai ragazzi tra i 12 e i 15 anni. Avv. Delitala: Posso vedere quei libri? Avv. Pisapia: Prego, se desideri istruirti... (Ilarità nel pubblico). Ma il problema è serio. Eccovi anche una pastorale dell’episcopato tedesco che raccomanda ai genitori di dare ai figli un’educazione sessuale sia pur sommaria e cauta, senza cioè indugiare sui particolari, prima che gli stessi figli vadano a scuola onde evitare il pericolo di torbide spiegazioni; qui si tratta di bambini tra i 9 e i 12 anni. Potrei anche citarvi il notissimo volume di Padre Gemelli su “La psicologia dell’età evolutiva.” Cito questi libri, si badi bene, non certo per affermare essi siano osceni od immorali ma solo per dimostrare le stesse pubblicazioni cattoliche affrontano apertamente, come è giusto, i problemi della educazione sessuale dei giovani e degli adolescenti, non trascurando neppure il problema del controllo delle nascite, del quale si è occupato - come è noto - anche il Concilio, e rispetto al quale è giusto che i giovani siano informati, se possono arrivare al matrimonio, sia per la legge civile che per quella canonica, a quattordici anni ed in casi particolari anche prima... Questo vi conferma che la impostazione del Pubblico Ministero appartiene, come egli stesso ha riconosciuto nell’esordio, ad un mondo sorpassato; un mondo che egli crede migliore, mentre è soltanto caratterizzato dalla ipocrisia e da falsi pudori, che germinano - essi sì quei complessi sessuali e quella tendenza alla corruzione da cui ci si libera solo affrontando questi problemi con sincerità, con semplicità e, soprattutto, con intima onestà di intenti. E passiamo alla seconda imputazione di cui si fa carico alla Terzaghi: quella di omesso deposito delle copie prescritte alla Prefettura ed alla Procura della Repubblica, prevista dagli articoli 1 e 8 della legge 2 feb- braio 1939, modificata dal Decreto legge del 31 agosto 1945. .Si tratta di una ipotesi contravvenzionale, per la quale chiedo scusa se intrattengo per qualche minuto il Tribunale, convinto come sono che anche da questo minore reato la Terzaghi debba essere assolta. II problema, qui, è meno semplice. La signora Terzaghi ha lealmente ammesso di non aver effettuato la consegna delle copie, ma ha contemporaneamente spiegato le ragioni di tale omissione: le stesse per le quali non è avvenuta la registrazione del giornale studentesco, fatto, quest’ultimo, di cui la Terzaghi non è imputata. La prima domanda che ci si deve porre, a questo riguardo, è la seguente. Se è vero, come è vero, che trattandosi di un giornale studentesco, non è applicabile la legge sulla stampa, non essendo concretamente configurabili ed attuabili quegli obblighi che la legge prevede per la stampa degli adulti - fra cui, in primo luogo, l’obbligo della registrazione - come è possibile pensare ad un obbligo di consegna degli stampati? Non v’è dubbio che ci troviamo, nella specie, di fronte ad una stampa del tutto particolare, che non può farsi rientrare neppure nella definizione offerta dall’articolo 1 della legge sulla stampa, perché non può dirsi “destinato alla pubblicazione” uno stampato che abbia dei destinatari circoscritti e limitati, appartenenti ad un mondo tutto particolare, qual è il mondo studentesco, disciplinato da regole sue proprie, che possono talora essere perfino in apparente contrasto con l’ordinamento giuridico statale. Non penso certo di farvi qui un discorso sulla pluralità degli ordinamenti giuridici e sulla configurabilità dell’ordinamento scolastico come istituzione a sé stante; ma è certo che esistono consuetudini studentesche (pensate agli scherzi, talora atroci, che si improvvisano in occasione della festa delle matricole o, ai duelli studenteschi che si fanno in Germania) le quali coprono con la immunità fatti che altrimenti potrebbero essere considerati come penalmente rilevanti. Che la consuetudine sia un fatto normativo che pone in essere, come tale, una norma giuridica allo stesso titolo delle altre fonti giuridiche, indipendentemente dalla opinio iuris atque necessitates, è ormai riconosciuto dalla più autorevole dottrina (e ricordo per tutti il Bobbio). Poiché la legge non può essere onnipresente né onnipotente, è perfettamente comprensibile che, là dove non giunge la regolamentazione legisla- tiva o anche in una direzione apparentemente contraria, sorga una consuetudine integrativa ed, entro certi limiti, abrogativa. In questi casi il compito della giurisprudenza è veramente superiore. Voglio ricordare, a questo proposito, l’insegnamento di un grande giurista scomparso, Piero Calamandrei, che in un suo indimenticabile saggio su “La funzione della giurisprudenza nel tempo presente” ammoniva: “Il giudice deve essere un vivo e vigile interprete dei tempi e tanto meglio adempie alla sua funzione quanto meglio riesce a sentire le esigenze umane della storia e a tradurle in formule appropriate.” La legge scritta non è un chiuso microcosmo giuridico, entro il quale tutto il diritto abbia a sua unica fonte, perché non v’è ordinamento giuridico che non abbia le sue finestre aperte sul mondo e, anche se si cerca di chiuderle, qualche corrente, fredda o calda, entra lo stesso dagli spiragli... Sembrerà forse eccessivo che io abbia risvegliato il ricordo del grande Calamandrei per sostenere la inapplicabilità, alla specie, di norme di legge che potrebbero sembrare applicabili anche ai giornali studenteschi. Ma la verità è che questo ci aiuta a comprendere come non sia configurabile non solo l’obbligo di registrazione ma neppure è obbligo di deposito di giornali che non siano soggetti alla legge sulla stampa. Ed è sintomatico che, dopo vent’anni che si pubblica La Zanzara, solo ora si sia ritenuto di dover contestare questi reati; così come è altamente significativo che la signora Terzaghi, che ha sempre e regolarmente depositato tutti i suoi stampati, abbia omesso, senza alcun motivo d’interesse particolare, di depositare questo giornale studentesco, che certamente avrebbe depositato se non fosse stata nella nostra convinzione di non doverlo fare. Quanto meno sotto il profilo della buona fede, derivante da errore, non sulla legge penale, ma da un vero e proprio errore di fatto, la Terzaghi deve essere assolta anche da questa contravvenzione. Signori del Tribunale! Questo processo è stato eccessivamente drammatizzato ed ha assunto delle dimensioni assolutamente sproporzionate. La signora Terzaghi è stata portata in Tribunale per rispondere, oltre che della contravvenzione di cui vi ho parlato per ultimo, di una imputazione, ben più grave, che ad un esame appena superficiale si dimostra destituita di qualsiasi fondamento. Questo è certamente grave perché tale errore si poteva e si doveva evitare. Ma, per fortuna, spesso dal male nasce anche il bene; e, in ultima analisi, questo processo sarà servito a chiarire - io almeno lo spero - alcune posizioni mentali erronee o deformate, di cui l’atteggiamento del Pubblico Ministero ha costituito una tipica manifestazione. Io sono convinto che la vostra sentenza, nel rispetto della legge e dei valori fondamentali per la vita del diritto, darà a tutti un insegnamento di libertà e di giustizia. Con l’arringa del professor Pisapia si conclude la seduta del mattino e il presidente sospende l’udienza rinviandola alle 15,30. In previsione della sentenza, il pomeriggio l’afflusso del pubblico ha superato ogni limite. Ormai la folla ha quasi invaso anche gli ultimi palmi di spazio disponibili stringendo il Tribunale in una specie di assedio. Pres.: (guardandosi attorno esterrefatto): L’udienza è aperta. La parola è all’avvocato Sbisà per Sassano. Avv. Sbisà: Il Pubblico Ministero ha concluso la sua requisitoria con un appello vigoroso alla condanna, dicendosi certo di interpretare, così, il sentimento della maggioranza degli italiani, delle persone per bene. Ma se intorno a questi episodi è avvenuto un tale risveglio di coscienza, è evidente che la maggioranza, e non una minoranza, è di parere opposto. Questo è un caso forse unico. Mai si era avuta, per una vicenda di giustizia, una partecipazione di carattere così universale: non solo di giornali, ma di scrittori, uomini politici, intellettuali; e non solo dell’Italia intera, ma di tutta Europa e anche d’America. E tutti, conservatori e progressisti, ad una sola voce si sono dichiarali solidali con La Zanzara... Pres.: La prego di attenersi ai fatti di causa. Avv. Sbisà: ... Non faccio che rispondere al Pubblico Ministero. Quindici genitori si sono lamentati? Ebbene, centinaia di altri hanno approvato. Il Pubblico Ministero ha invocato gli articoli 29 e 30 della Costituzione per sostenere che non si può parlare dell’unione sessuale al di fuori della famiglia. Ma proprio l’articolo 30 stabilisce che i genitori devono mantenere i figli anche se nati fuori del matrimonio; e l’articolo 280 del codice civile prevede la legittimazione dei figli naturali. Ora, se tale prolificazione fosse illegale, la legge non l’ammetterebbe; in realtà lo stato non la vieta, ma la tollera ed anzi la protegge. Del problema anticoncezionale si è occupato anche il Concilio; ma il Pubblico Ministero non vuol guardare quello che sta succedendo nel mondo. Se anche ci riferiamo alla legge attuale, quale norma può invocare il Pubblico Ministero a conforto delle sue tesi? Analizzate le questioni giuridiche sollevate dall’Accusa, e su cui si è soffermato di tanto in tanto durante la stia arringa, l’avvocato Sbisà ritorna sul tema della “morale” e del “costume.” Nell’educazione, gli insegnanti devono saper soddisfare le esigenze dei genitori: d’accordo; ma perché solo di quelli che seguono l’indirizzo del Pubblico Ministero? Dov’è allora la libertà? Comunque si tratta di problemi e norme che non possiamo risolvere a danno degli imputati. Davvero dobbiamo credere che questi giovani, così seri, così composti, abbiano voluto arrecare un danno pubblico? Basta leggere l’apertura dell’inchiesta per rendersi conto della loro serietà. Non è vero che si sostenga un solo indirizzo, ma si riferiscono opinioni contrastanti anche in merito alla libertà sessuale. E perché sostenere che solo gli imputati sono maturi e gli altri immaturi? A questo proposito sarà bene ricordare che il legislatore del ‘29, adeguandosi al diritto canonico, abbassò i minimi di età per il matrimonio a 14 anni per le donne e a l6 per gli uomini; e il matrimonio è ben più che una semplice unione sessuale, è una vera e propria assunzione di responsabilità. Che i figli abbiano un’importanza non superiore all’unione della coppia, lo ha detto anche il Concilio, il quale si è pure occupato degli anticoncezionali. E siamo accordo con il Pubblico Ministero che non si può guardare ad altri popoli governati da diverse leggi; ma dobbiamo perciò giudicarli incivili? Certe esperienze possono sere utili, dice La Zanzara. Ebbene, io ricordo che cinquant’anni addietro, a noi ragazzi, il professore di filosofia diceva: “La vostra è un’età pericolosa. State attenti, e leggete la ‘Fisiologia del piacere’ di Paolo Mantegazza: così troverete le necessarie spiegazioni e non correrete il rischio di cadere in vizi solitari od omosessuali.” Quelle pagine, pur indirizzate ai giovani, e che circolavano liberamente nelle scuole, quella prosa autorizzata, scientifica e mai denunziata, non oso leggerla qui; contiene espressioni ben più suggestive di quelle de La Zanzara. “La purezza spirituale non coincide con l’integrità fisica.” E come metterlo in dubbio? Davvero si diventa amorali solo perché non si è più integri? “La religione può determinare complessi di colpa” affermava La Zanzara. Ma se persino il Concilio ha trattato questi argomenti! Dove sono le offese alla religione? Comunque, l’inchiesta ha raccolto solo quello che si mormorava nei corridoi, nelle aule scolastiche, nei locali di divertimento. In un commento alla Costituzione si dice che nessuno possiede la verità. E allora, come negare che il dibattito su opinioni contrarie sia educativo? Come negare che, quanto meno, i giovani lo ritenevano educativo? Tutti si aspettano che il Tribunale dica una parola chiarificatrice sull’iniziativa dei giornali d’istituto. Vogliamo che questi continuino a dire la verità, magari in maniera maldestra o preferiamo non sapere più niente su quello che si agita nella gioventù? Compiuto un esame critico di ogni passo incriminato dell’intervista de La Zanzara, l’avvocato Sbisà conclude: Vogliamo rispettare la libertà e la spontaneità o consacrare l’ipocrisia e il conformismo? Per libertà di pensiero e per libera manifestazione di esso, come garantiti dall’articolo 21 della Costituzione, bisogna intendere proprio la libertà giuridica dei pubblici dibattiti o delle idee pubblicamente espresse su ogni problema di interesse sociale e collettivo; altrimenti non si potrebbe avere la circolazione delle idee e dei pensieri, necessaria, come fonte primaria del progresso, latamente considerata. II progresso, nelle scienze positive e sociali, nelle arti, nella letteratura, si è verificato, e continua a verificarsi, unicamente nella misura in cui, nella millenaria storia umana, singoli o comunità o Stato, non si siano ritenuti depositari e tutori della verità assoluta non modificabile; ma unicamente cogniti di una verità relativa. Tra le verità vi è anche la morale o, per essere più esatti, vi sono le norme morali della collettività associata, per il comune equilibrio di convivenza. La ricerca della nuova verità ha costantemente rivelato, attraverso i secoli, che quella ritenuta giusta ed esatta fino al giorno prima, si è dimostrata un errore d’impostazione; e quindi la correzione ha costituito il miglioramento, sotto ogni aspetto, della vita consociata; il progresso sociale ne è indice sicuro e non contestato e non contestabile e tuttora in moto. Così è per la morale; non esiste una morale assoluta, ma una morale accettata per tradizione, per costume, per adeguamento; ma anche la morale muta i suoi presupposti e le sue leggi a seconda dei tempi e delle evoluzioni collettive ed individuali; non altrimenti si manifesterebbe e giustificherebbe il fermento di nuovi indirizzi cui dedicano attenzione meditata uomini di cultura, scienziati e gli stessi religiosi responsabili. Se così è, interdire ai giovani di aprirsi, di manifestarsi, di dibattere fra loro questi delicati ed imponenti problemi di vita individuale e sociale, sarebbe non un atto di giustizia, ma una sopraffazione da cui deriverebbe danno e non vantaggio per la collettività. Ecco perché voi direte che la loro attività non è né illecita né illegittima e li assolverete con la formula ampia. espressavo, come si evince, del resto, anche dal successivo art. 17; Pres.: La parola al professor Crespi per il professor Mattalia. Avv. Crespi: La difesa del professor Mattalia non può che aderire, sia per quanto attiene all’imputazione relativa all’omessa registrazione del giornale sia per quella attinente alla pretesa responsabilità per incitamento alla corruzione degli adolescenti, alle argomentazioni fin qui addotte dai difensori degli studenti Marco De Poli e Marco Sassano. Adesione facile, certo; ma non interessata, come pur si potrebbe sospettare. Al contrario: totalmente disinteressata. E lo dimostrerò precisamente ponendomi sullo stesso piano della pubblica accusa: supponendo cioè - sia pure, s’intende, non credendovi menomamente giuridicamente fondate le tesi della responsabilità alla stregua degli articoli 14 e 16 della legge sulla stampa. Quale che sia, infatti, la decisione che il Tribunale riterrà di dover adottare in proposito, il professor Mattalia dovrà ugualmente uscire indenne da questo processo. E poiché invano abbiamo ieri atteso che, nella sua requisitoria, il Pubblico Ministero trattasse la posizione del Preside, essendosi egli in realtà limitato semplicemente ad una apodittica affermazione di colpevolezza, vorrei fin da ora permettermi - sempre che il Tribunale me lo consenta - di invitare formalmente l’illustre Procuratore della Repubblica, nell’ipotesi ch’egli non ritenesse di poter condividere il mio ragionamento, a interrompermi quando crede e nel modo che meglio crede. Cominciamo dal primo dei due capi di imputazione: quello relativo alla violazione dell’art. 16 della legge sulla stampa per omessa registrazione del periodico studentesco La Zanzara. Che cosa vi si legge? Che il Preside, “non esercitando una oculata vigilanza sull’attività di pubblicazione” del predetto periodico, lo avrebbe dato alle stampe “senza seguire la registrazione prescritta dall’art. 5” della legge febbraio 1948. Si tratta, com’è evidente, di un reato tipicamente omissivo, come si evince, del resto, dal successivo art. 17; e per quanto il capo di imputazione non lo dica mente, è palese il riferimento, da parte dello stesso, a quella norma del codice penale (art. 40) per la quale “non impedire un evento che si ha obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.” Potrei perciò indulgere, a questo proposito, a un “divertissement”: è invero opinione comunemente ricevuta - e non potrebbe essere altrimenti che quella norma del codice penale si riferisce esclusivamente ai reati cosiddetti di evento, non già a quelli di condotta, omissiva per giunta, quale quello contestato appunto al preside del Liceo “Parini”: il quale preside, se dovessimo prendere sul serio il capo di imputazione così come congegnato nella richiesta del decreto di citazione a giudizio, sarebbe responsabile di ... aver omesso di aver impedito che altri omettesse di fare qualche cosa...! Come si possa dunque fare razionale riferimento al capoverso dell’art. 40 del codice penale è cosa che supera decisamente i limiti di qualsiasi immaginazione. Ma non basta. Quando si rimprovera al professor Mattalia di non aver esercitato una oculata vigilanza, che cosa in sostanza gli si addebita se non un comportamento propriamente negligente, ossia - alla stregua della disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 43 del codice penale - una condotta tipicamente colposa? Ma, se così è - e non può non essere così - come è mai possibile chiamare a rispondere a titolo di dolo il professor Mattalia per un fatto che, a tutto concedere, è stato commesso con semplice colpa? Ed anche volendo poi ammettere la ipotizzabilità - peraltro assai contrastata sia in dottrina che in giurisprudenza - di un concorso colposo nell’altrui fatto doloso, come è possibile ignorare che una responsabilità a titolo di colpa sarebbe comunque configurabile, per l’esplicito disposto del secondo comma dell’art. 42 del codice penale, alla sola condizione che il fatto sia altresì espressamente previsto come delitto colposo dalla legge penale? L’art. 16 della legge sulla stampa prevede invece un delitto punibile esclusivamente a titolo di dolo! Nella peggior delle. ipotesi dovreste quindi assolvere il professor Mattalia, da questo primo capo di imputazione, con la formula terminativa “perché il fatto non costituisce reato.” Ma c’è di più. Che cosa recita l’art. 5 della legge sulla stampa richiamato dallo stesso capo di imputazione? Dispone che “per la registrazione occorre che sia depositata in cancelleria,” tra l’altro, “una dichiarazione, con le firme autenticate del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile.” Vuole a questo punto dirmi, signor Procuratore della Repubblica, come avrebbe materialmente potuto il professor Mattalia procedere alla registrazione de La Zanzara, se di questo periodico egli non è, né è mai stato un solo istante, né proprietario, né direttore o vice direttore responsabile, né comunque legale rappresentante dei minori, redattori del giornale, o della loro associazione studentesca? Ma non sono forse questi ultimi, ossia gli studenti appartenenti all’associazione studentesca pariniana, i proprietari del periodico in questione? E non sono forse papà e mamma degli studenti i loro unici legali rappresentanti? Neppure il più sprovveduto degli uffici di cancelleria della Repubblica italiana avrebbe mai potuto accettare una domanda di registrazione del periodico La Zanzara che fosse stata sottoscritta, in ragione della sua qualità dal Preside del Liceo “Parini!” Chiedo pertanto che il professor Mattalia venga assolto per non aver commesso il fatto.” Passiamo al secondo capo di imputazione, che accusa il Preside di aver autorizzato la pubblicazione della nota intervista “violando i doveri inerenti alla sua pubblica funzione.” È pacifico - ed il Pubblico Ministero mi smentisca immediatamente se dovessi, in fatto, incorrere in qualche inesattezza - che la asserita violazione dei doveri inerenti alle proprie funzioni risiederebbe nella circostanza che il Preside non avrebbe controllato il contenuto dell’articolo incriminato: la dichiarazione resa al riguardo dal professor Mattalia non soltanto non è stata revocata in dubbio pure dalla pubblica accusa, ma, anzi, lo stesso illustre rappresentante del Pubblico Ministero non ha esitato a ravvisare un ulteriore elemento a dimostrazione della incriminabilità dello scritto pubblicato dagli studenti proprio nella dichiarazione resa dal preside, là dove questi ebbe ad affermare che ove avesse letto tutto l’articolo avrebbe suggerito alcune modifiche. Ma, se è così - ed è, ripeto, assolutamente pacifico che così sia - siamo anche qui in presenza di un comportamento, a tutto concedere, soltanto colposo, in quanto negligente, da parte del professor Mattalia. Ma, allora, an- cora una volta, come si può decorosamente attribuire a titolo dolo un fatto che si sa benissimo essere stato commesso soltanto colposamente e punibile esclusivamente se realizzato dolosamente? Come valicare quella norma di sbarramento rappresentata dal più volte ricordato secondo comma dell’art. 42 del codice penale? Supponiamo, del resto, che il preside anziché vigilare sul buon andamento del proprio Istituto, preferisca rinchiudersi - violando così i doveri inerenti alle sue funzioni - nell’ufficio di presidenza per giuocare a scopone con gli amici o, magari, per riempire con la dovuta tranquillità una scheda - non minorile, per carità - ma del totocalcio. Pres.: Facciamo una scheda Vanoni! Avv. Crespi e Delitala: Sarebbe scaduto il termine, Presidente! Avv. Crespi: Immaginiamo che approfittando del singolare comportamento del Preside, immerso nei propri affari privati, il bidello violenti la bidella, in quarta ginnasio si commettano atti osceni, in quinta ginnasio si proiettino pellicole pornografiche con annesse esercitazioni corali di linguaggio oltraggioso del comune sentimento del pudore, in prima liceo classico si vilipenda il Capo dello Stato, in seconda liceo classico si vilipenda la religione dello Stato e in terza liceo, infine, si vilipendano le forze armate. Ma davvero vorremmo accollare al Preside siffatti delitti a titolo di dolo, per il solo fatto che col suo comportamento negligente ne avrebbe agevolato la realizzazione da parte dei loro autori? Sarebbe un’opinione, e una soluzione, a sfondo palesemente manicomiale, che può anche non stupire sia stata adombrata nel rapporto riassuntivo indirizzato dai funzionari di polizia alla Procura della Repubblica e allegato agli atti, ma che non potrebbe non sorprendere, e preoccupare, se quella opinione fosse per avventura raccolta dalla Autorità giudiziaria! Pres.: Avvocato, la prego di usare termini più riguardosi. Avv. Crespi: Illustre Presidente, chi per primo ha mancato di rispetto è stata proprio l’Autorità di Pubblica Sicurezza, la quale nel ricordato rapporto riassuntivo inviato alla magistratura requirente, e firmato dal signor vice questore dottor Grappone, anziché limitarsi a ricostruire i fatti raccogliendo dati e registrando voci, si è altresì permessa di emettere giudizi di valore di esclusiva pertinenza dell’Autorità giudiziaria, affermando gratuitamente che il professor Mattalia aveva reso “dichiarazioni di co- modo.” Affermazione tanto più grave se si pensa che quella dichiarazione del professor Mattalia, lungi dall’essere di mero “comodo,” è stata invece fatta propria dallo stesso illustre rappresentante della pubblica accusa: al quale pure, in tal modo, il dottor Grappone - che mi duole non vedere in aula in questo momento - ha finito per mancare di rispetto. Vi sono quindi tutti gli estremi della provocazione grave, signor Presidente, se non addirittura quelli della legittima ritorsione. E ritengo che sarebbe stata cosa sommamente riprovevole se da questo banco della difesa si fosse lasciata passare sotto silenzio la deplorevole insinuazione proferita da autorevoli organi di polizia nei con, fronti di persona che, come il Preside del Liceo “Parini,” ha fino a questo momento diritto allo stesso rispetto cui ha diritto ciascuno di noi. Comunque, anche relativamente a questo secondo capo di imputazione il professor Mattalia dovrebbe essere assolto, quanto meno, perché il fatto non costituisce reato. La condotta del Preside potrà rilevare sotto il profilo disciplinare: in nessun caso sotto il profilo della legge penale. Ma, ancora una volta, c’è di più. Supponiamo che il Preside avesse effettivamente letto l’articolo incriminato, nulla avendo trovato a ridire, avesse autorizzato la distribuzione del giornale nell’interno dell’Istituto. Questo che cosa cambia? Nulla. C’è forse una qualsiasi norma giuridica che esplicitamente accolli al Preside di un istituto scolastico l’obbligo giuridico di controllare preventivamente ciò che si pubblica in un periodico studentesco? Si dirà che il Preside, in tale sua qualità, ha l’obbligo giuridico di impedire ogni evento criminoso che si dovesse perpetrare nell’ambito dell’Istituto da lui presieduto, e pertanto anche di impedire che reati abbiano ad essere commessi col mezzo della stampa studentesca: ma non è vero niente. Ad evitare che si favoleggi di leggi inesistenti ignorando quelle vigenti, ricorderò che per l’art. 10 (del R.D. 30 aprile 1924 n. 965) “il Preside sopraintende al buon andamento didattico, educativo ed amministrativo del suo istituto.” E che cosa mai ha a che vedere siffatta norma con l’obbligo giuridico di impedire l’evento cui allude il capoverso dell’art. 40 del codice penale? Non bisogna invero confondere l’obbligo giuridico di impedire l’evento, non impedendo il quale si risponde dello stesso come se si fosse cagionato, che è una cosa, con l’obbligo giuridico di attivarsi, di compiere cioè una azione il com- pimento della quale è imposto dall’ordinamento giuridico per scongiurare il verificarsi di un determinato evento dannoso: che è tutta un’altra cosa. Se, passeggiando lungo una spiaggia, scorgo un bimbetto che sta per affogare, e volontariamente mi astengo dal soccorrerlo per il gusto malvagio di vederlo morire travolto dalle onde, chi mai vorrà sostenere una mia responsabilità per omicidio volontario solo perché violando deliberatamente il preciso obbligo giuridico di agire impostomi dall’art. 593 del codice penale ho omesso di prestare l’aiuto necessario rendendo così possibile il verificarsi dell’evento letale? La mia responsabilità si limiterà al delitto di omissione di soccorso, sia pure aggravato dall’evento morte. Di omicidio volontario sarei viceversa responsabile se, come bagnino o come maestro di nuoto al quale quel bimbetto fosse stato affidato, avessi volontariamente omesso di soccorrerlo: qui sì che potremmo parlare di mancato impedimento dell’evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire! Ma supponiamo che nello stabilimento balneare affidato alla. vigilanza di quel bagnino, un frequentatore ne aggredisca un altro e che, a un certo punto, uno dei due contendenti stia per uccidere l’altro protagonista della violenta zuffa: potremmo forse chiamare a rispondere il bagnino di concorso in omicidio volontario per il solo fatto che, astenendosi dal soccorrere il cliente che stava. per soccombere, ha concretamente reso possibile l’evento letale? Evidentemente no: per la semplicissima e decisiva considerazione che gli eventi dannosi ch’egli ha l’obbligo giuridico di impedire sono esclusivamente quelli derivanti dall’attività balneare. E nell’ambito di questa non potremmo certo far rientrare anche le zuffe tra bagnanti! Questa volta la responsabilità del bagnino sarà quella stessa che potrà essere legittimamente addebitata anche a tutti quei frequentatori dello stabilimento balneare che, pur potendo utilmente intervenire e prestare così aiuto alla vittima dell’aggressione, scongiurando il verificarsi di più gravi eventi dannosi, si fossero, viceversa, astenuti dal prestare la dovuta assistenza: sarà cioè quella derivante dall’art. 593 del codice penale. Vorrei ricordare qui le parole, autorevolissime, che il decano dei penalisti italiani, Francesco Antolisei, maestro di tante generazioni di studiosi, ha scritto proprio con riguardo all’obbligo giuridico di impedire l’evento: “ciò che soprattutto va posto in rilievo - scrive l’insigne giurista - si è che l’obbligo violato deve essere stabilito dall’ordinamento giuridico proprio per impedire eventi del genere di quello che si è verificato. Occorre, in altre parole, che il soggetto sia, per così dire, costituito garante dell’impedimento di quel determinato risultato dannoso.” Si dirà che il Preside è un pubblico ufficiale, e pertanto il ragionamento fin qui svolto sarebbe privo di qualsiasi validità. Ma l’eventuale illazione in tal senso sarebbe davvero destituita di fondamento. È ancora l’Antolisei a renderci avvertiti che “anche il superiore gerarchico che non impedisce la commissione di un reato da parte di un subordinato può diventare partecipe del reato stesso. In questo caso, però, oltre alle condizioni comuni (agevolazione e coscienza di agevolare) occorre che fra i doveri specifici del suo ufficio vi fosse quello di impedire la verificazione di fatti del genere di quello che si è verificato, perché il semplice dovere generico di sorveglianza, insito nel rapporto gerarchico, non potrebbe di per sé considerarsi sufficiente. Questa è una conseguenza del principio che più innanzi abbiamo affermato, secondo il quale la responsabilità per omesso impedimento dell’evento presuppone l’obbligo di compiere proprio quell’azione che avrebbe impedito l’evento stesso. Il superiore che aveva soltanto il dovere generico di sorveglianza, quindi, risponderà non del reato commesso dal subordinato, ma, quando ne ricorrano gli estremi, di omissione di atti di ufficio.” Dove è chiaro che, diversamente opinando, si commetterebbe il grossolano errore di identificare la connivenza, non punibile, con la compartecipazione criminosa! Ma è poi vero che potrebbero ravvisarsi gli estremi del delitto di omissione di atti di ufficio nell’omesso controllo della stampa studentesca da parte del Preside dell’istituto? Anche volendo attribuire un qualsiasi valore giuridico ad una circolare ministeriale, non occorre molta fatica per convincersi che nessun potere di controllo preventivo è attribuito ai capi di istituto dalla circolare del Ministro Martino del 1954, e allegata agli atti. Al contrario: in essa è letto esplicitamente - e cito le espressioni testuali – che “... i giornali di scuola... vanno considerati quali manifestazioni di attività autonoma degli alunni,” da “non scoraggiare con le strettoie di autorizzazioni e di controlli.” Dove la circolare predetta “non esclude la possibilità e l’opportunità di un cauto intervento” è unicamente nei casi cui l’iniziativa dovesse apparire sfruttata, per l’inesperienza dei giovani, “a fini politici settari”: si vorrà forse identificare il “cauto intervento” con ...l’obbligo giuridico impedire l’evento? Data pure, e non concessa, la possibilità di siffatta sconcertante identificazione, è in ogni caso certo che un simile obbligo giuridico di impedimento dell’evento sussisterebbe comunque nella sola ipotesi in cui il giornale studentesco diventasse strumento di settarietà politica: che non è certo il caso de La Zanzara, avendo i capi di imputazione ben diverso contenuto! È del resto ancora la circolare ministeriale ad avvertire che l’intervento del Preside deve essere semplicemente “orientativo,” e “non limitativo o repressivo”: conformemente, d’altronde, all’art, 21 della Costituzione, per il quale la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Pres.: Mettetevi d’accordo fra voi: se sostenete che la stampa scolastica deve avere solo limiti interni alla scuola, allora deve essere sottoposta ai regolamenti degli istituti. Avv. Crespi: Ma quei regolamenti non esistono. Tutto ciò che può fare legittimamente un preside è, per il caso che il giornale studentesco contenga degli scritti che violino la legge penale o che comunque ledano il buon nome e il decoro della scuola, vietare la distribuzione del giornale stesso nell’interno della scuola, prendendo altresì, se lo ritiene opportuno, provvedimenti disciplinari a carico di quegli studenti che avessero contravvenuto al divieto di distribuzione nell’interno della scuola o che risultassero autori o comunque responsabili della redazione o diffusione degli scritti criminosi o lesivi del decoro della scuola. Ma non può assolutamente censurare preventivamente il giornale studentesco: può censurare gli studenti, ammonirli, sospenderli e anche espellerli, perché questi sono appunto i provvedimenti disciplinari che il preside può prendere. Pres.: Se il giornale rientra nell’ambito della scuola, deve rientrare nei suoi poteri. Avv. Crespi: La verità, signor Presidente, è che il giornale non è della scuola, ma degli studenti, e se nell’attività di costoro dovessero ravvisarsi gli estremi per un qualsiasi provvedimento disciplinare, solo giudice della opportunità circa l’adozione o meno del provvedimento è il Preside, che non può essere sindacato in que- sta sede, ma soltanto in sede scolastica da parte dei suoi diretti superiori: il Provveditore agli Studi, prima, il Ministro della Pubblica Istruzione, poi. Rendere compartecipe il Preside dello scritto eventualmente criminoso redatto dagli studenti per il solo fatto di non averne vietata la pubblicazione o la diffusione o per non aver preso gli opportuni provvedimenti sul piano disciplinare, significherebbe procedere ad un allarmante sovvertimento dei principi fondamentali della responsabilità penale: significherebbe identificare la posizione di Preside di Istituto con quella di un direttore responsabile di giornale, al quale soltanto incombe, per l’art. 57 del codice penale, l’obbligo giuridico di impedire che col mezzo della stampa abbiano ad essere commessi reati! Cosa rimane, dunque, di questi capi di imputazione? Nulla, se nell’ombra di essi non si stagliasse, nobilissima, la figura del Preside del Liceo Ginnasio “Parini” di Milano, professor Daniele Mattalia: del quale non intendo parlarvi. Egli non lo desidera né avrebbe di ciò bisogno alcuno: chi egli sia lo sanno gli studiosi, avendo egli scientificamente coltivato gli studi di lingua e letteratura italiana conseguendo la libera docenza universitaria; chi egli sia come uomo e come educatore possono testimoniarlo l’affetto e la stima incondizionati che lo circondano in scuola e fuori di essa. Debbo forse ricordare che non si arriva alla presidenza di un liceo qualificato e così ricco di tradizioni quale il “Parini” di Milano se non attraverso una vita intemerata e una comprovata capacità di docente e di educatore? Ciò di cui il professor Mattalia ha bisogno e che per il nostro tramite vi chiede è, piuttosto, che abbiate a chiudere, assolvendolo da entrambe le imputazioni per non aver commesso il fatto, questa allucinante parentesi giudiziaria restituendolo, nella serenità cui ha diritto, ai suoi studi, alla sua scuola, ai suoi studenti. Il dottor Lanzi chiede ancora la parola per ribadire i temi dell’Accorsa e confutare la tesi dei difensori. P. M.: Mi sento il dovere di replicare in difesa della verità. La mia voce... purtroppo, è quella del Pubblico Ministero, e coloro che ascoltano, talvolta, si rifiutano di sentire la verità. Ho apprezzato l’intelligenza dei difensori e il loro tono pacato, ma non posso condividere i loro argomenti. Risponderò in primo luogo al professor Dall’Ora. Certe sue tesi sono solo suggestive. Indubbiamente il Concilio ha trattato degli anticoncezionali, ma sempre nell’ambito del matrimonio. Gli anticoncezionali, per noi, erano misteri. Adesso tutti ne parlano, ma solo perché si pensa di limitare le nascite ed evitare così che popolazioni già numerose possano mancare del necessario nutrimento. La Zanzara, invece, ne parla per togliere ogni limite ai rapporti sessuali, per sollecitare al vizio, per sfrenare la concupiscenza. Il che è contrario, oltre che alla morale, anche all’ igiene. Professor Smuraglia, io non mi vanto di aver trascinato qui i questi ragazzi; sono, come lei, addolorato perché nessuno più di me può comprendere un immaturo (dal pubblico si leva un brusio con qualche ironico commento) ...e non sono un sadico che ami infierire contro dei giovani. Ho voluto io il processo? La legge mi ha imposto questo gesto per restituire tranquillità ai genitori e all’opinione pubblica allarmata da questa frana del vizio che minaccia i principi della morale, la famiglia, la scuola, la stessa salute dei nostri figli. Sono stato costretto a furor di popolo a ricorrere al rito direttissimo perché stavano scoppiando troppe polemiche, bisognava far presto e arrivare a un chiarimento. Dovreste quindi essermi grati perché ho posto fine a polemiche che hanno raggiunto il disgusto... Sì, è vero, che nessuno si è mai accorto che La Zanzara e altri giornaletti scolastici consimili non ottemperavano alle norme della legge sulla stampa, è vero che nessuno si è mai occupato di questi argomenti, proprio per questo, per riparare alle omissioni, per metter fine a questa situazione di disordine io sono intervenuto. Del resto esistono altri giornali studenteschi regolarmente registrati: eccovi qui una copia di Milano Studenti. Avv. Dall’Ora: Ma quello non è un giornale d’istituto, circola fuori delle scuole... P. M.: Comunque i giornali studenteschi devono essere registrati poiché ormai esprimono idee politiche, trattano problemi scottanti, possono commettere reati di diffamazione come gli altri giornali. Altrimenti correremo il rischio di veder pullulare migliaia di fogli clandestini. Non a caso, dopo questo fatto, lo stesso Ministro ha chiesto ai provveditori di studiare un regolamento della stampa scolastica. Finché si trattava di foglietti con storielle e barzellette, pazienza; ma adesso che su questi giornali intervengono anche terzi estranei, occorre giungere a una disciplina. Persino i giornali dell’Unione magistrati ita- liani e dell’Associazione nazionale magistrati, che pur si rivolgono a una sola categoria, sono regolarmente registrati. Avv. Pisapia: Ma si tratta di giornali di adulti destinati ad altri adulti. P. M.: Non si pensi che noi vogliamo soffocare i giornali d’istituto, anzi ci auguriamo che si moltiplichino. Però non si vede perché giornali fatti da gente matura e responsabile debbano essere sottoposti a controllo e rimangano invece incontrollati giornali fatti da immaturi. Il Preside deve controllare, ha un obbligo di fatto se non un obbligo giuridico. Ora vorrei rispondere con due parole al professor Pisapia. Sono d’accordo sull’importanza di un’educazione sessuale, ma questa deve essere impartita a livello scientifico. Certo i libri da lei esibiti contengono espressioni piuttosto precise ma, essendo scientifici, sono educativi. (Il professor Pisapia scuote la testa in un gesto di diniego.) La Zanzara no, mira soltanto a sfrenare la concupiscenza... dei giovani lettori... (Il pubblico ride fragorosamente.) Pres.: Non vedo che cosa ci sia da ridere: si tratta di una parola contenuta nel codice. P. M.: Vede, signor Presidente, questa risata è la prova che io ho ragione. Basta la parola per eccitarli, rimangono concupiti dalla sola parola concupiscenza. Sempre il professor Pisapia ci ha parlato della festa delle matricole, una cosa simpaticissima, secondo l’etica e spirito goliardico. Però anche in quel campo esistono dei limiti. Quando a Genova, appunto in occasione di una festa delle matricole, una ragazza venne spogliata nuda, i responsabili vennero condannati. Si è detto in quest’aula che, anche secondo il Concilio, la procreazione non è il fine unico del matrimonio e, per dimostrare che nel diritto non si stabilisce una coincidenza assoluta tra matrimonio e figli, l’avvocato Sbisà ha fatto cenno ai doveri di legge verso i figli anche se nati fuori dal matrimonio. Sono eccezioni che confermano la regola. E in ogni caso non giustificano quei discorsi sulle pillole fatti da minorenni. D’altra parte, non è neppure pensabile di poter valutare o giudicare lo scritto dei tre imputati come una trattazione scientifica, perché l’articolo de La Zanzara non ha portato alcun contributo di pensiero, non era educativo; essi hanno solo insegnato ai giovani che cosa è la corruzione, il vizio, la sfrenatezza. Ho sfogliato attentamente il fascicolo delle lettere inviate al provveditore. Ne ho trovate pochissime di consenso, molte, e di peso, contrarie. Vi citerò “180 genitori di viale Monza,” il “padre di un’allieva del liceo, di tendenza socialista,” e tante, tante altre che non si leggono senza commozione. Leggetele anche voi, in camera di consiglio. Io chiedo non tanto una condanna, chiedo un’affermazione di responsabilità degli imputati perché si dica che il loro scritto suonava oscenità, che la loro inchiesta è immorale. Non sarò io a lamentarmi se ad essi verrà concesso il perdono giudiziale. Terminata la replica del Pubblico Ministero prende la parola il professor Delitala, l’ultimo degli oratori del collegio di difesa. Avv. Delitala: Vi parlo, signori del Tribunale, non soltanto in difesa del Preside e della Beltramo Ceppi, ma in difesa di tutti gli imputati, e in difesa dei principi dell’educazione, della morale, del diritto. Qual è la sostanza di questo procedimento? È un conflitto tra due modi di concepire l’educazione, di concepire la morale, di concepire il diritto. Ecco perché il processo ha interessato tutto il Paese. Vi parlerò pacato perché ho sempre creduto più alla forza degli argomenti che alla suggestione delle parole. In merito all’omessa registrazione, se ci atteniamo solo alla lettera della legge, il reato indubbiamente è stato commesso; ma bisogna anche badare allo spirito della legge. Prima della caduta del fascismo, forse per paura, noi giuristi ci siamo chiusi in una torre d’avorio: quella del formalismo. Il tradimento dei chierici... Poi ci siamo trovati tutti concordi nel riconoscere che bisognava aprirsi alle esigenze che premevano. Dopo il crollo della dittatura, la dottrina, soprattutto in Germania, si è orientata nel senso che la legge debba riconoscere i fatti di valore sociale. Le azioni socialmente adeguate non possono mai essere considerate pericolose. Dall’insieme delle norme risulta chiaramente che i giornali d’istituto non sono contemplati dalla legge della stampa poiché in caso diverso si verrebbe a snaturare la loro fisionomia. Si vuole che i giovani si abituino a dibattere liberamente i loro problemi e non si può pretendere che tra loro vi siano dei direttori in possesso dei requisiti di legge o dei proprietari. La circolare ministeriale ci dice che questi giornali devono vivere senza controlli né limitazioni; ciò esclude che questi giornali ricadano nell’articolo 5 della legge sulla stampa. Ne abbiamo la prova nel fatto che tutti conoscevano la situazione ma nessuno interveniva; e, quel che più conta, le circolari del ministero, e quindi del Governo, tendevano a dare una sistemazione a uno stato di fatto. Ecco il perché dell’invio delle copie al Provveditore e al Ministero. Vi è quindi una disciplina particolare, che esaminerò riprendendo e completando gli argomenti del professor Smuraglia. Per i giornali d’istituto non esistono esigenze di tutela dell’interesse pubblico, data la loro limitata diffusione e la vigilanza esercitata dai presidi. Ciò che accade nell’ambito di un organismo tutorio non può essere perseguito se non vi è consumazione di un reato. Immaginate che un reggimento faccia un giornale, un po’ come quelli delle accademie militari: la legge non interverrebbe poiché i militari sono già sottoposti a un’altra autorità dello Stato. Qui abbiamo la scuola che è un’istituzione pubblica statale e serve a fini che lo Stato promuove. E non è. vero che eventuali reati sfuggirebbero alla punizione: gli autori risponderebbero sempre davanti al codice. Pres.: E se gli autori sono ignoti? Avv. Delitala: Nel caso in esame, sarebbero facilmente identificabili, loro o il direttore. Ora mi sembra che questo sistema più flessibile di controlli sia più adatto alla scuola. Perché sforzare questa autodisciplina sul letto di Procuste dell’ordinamento giuridico? Il fatto, dunque, non costituisce reato. In ogni caso la registrazione non toccava né al professor Mattalia né al De Poli poiché non erano proprietari né direttori responsabili. L’altra accusa di omesso deposito dipende da quella della registrazione e non può più essere sostenuta se questa decade. Ora, esaminiamo un altro aspetto dell’accusa e veniamo all’istigazione alla corruzione. Il noto specialista professor Nuvolone ha giustamente affermato, andando anche al di là delle nostre posizioni, che non si moralizza la stampa con le sanzioni penali e che non esiste una morale per gli adulti e una morale per i fanciulli e per gli adolescenti. O si segue la concezione soggettiva dell’etica, e di morale ve n’è una sola eguale per tutti o si segue una concezione soggettiva, e allora v’è una morale per ogni individuo. Pur accogliendo l’ovvia constatazione che la psiche degli adolescenti è ancora in formazione, con tutte le cautele che ciò comporta, qui, parlando di reati, il problema si pone unicamente sul piano del fatto. Il Pubblico Ministero ha totalmente travisato il contenuto le intenzioni dell’articolo incriminato. Falsa la “tavola rotonda”? E come fa l’egregio e valoroso rappresentante della Pubblica Accusa ad affermarlo a proposito di questi ragazzi che non hanno mai detto una bugia? Ma dice il Pubblico Ministero - essi non hanno voluto fare il nome delle ragazze intervenute. Ebbene, se l’illustre Pubblico Ministero ha bisogno di questi argomenti, vuol proprio dire che la sua causa è proprio perduta. Come si fa a sostenere l’esistenza di un’èlite di traviati che vuol traviare gli altri? Questo è un discorso assolutamente gratuito. Si è detto che gli autori delle interviste avrebbero usato le virgolette non per indicare le parole degli altri bensì per sottolineare le sconcezze di loro invenzione. Tutta fantasia, smentita dai numeri precedenti de La Zanzara, e dallo stesso numero incriminato, dove si afferma: “In Italia, purtroppo, una riforma per introdurre l’educazione sessuale, provocherebbe le reazioni di un moralismo male inteso più che di una salda coscienza morale.” Ebbene, anch’io, che sono cattolico ed educatore di giovani, sia pure più grandi, questa frase potrei sottoscriverla senza riserve. Il processo è nato proprio più da un moralismo male inteso che da una salda convinzione morale. Se quella de La Zanzara è una inchiesta la causa è finita ancor prima di nascere, perché una fotografia della realtà non può incitare nessuno alla corruzione. Lei, egregio Pubblico Ministero, dichiara che quest’inchiesta non è educativa. I modi di sentire sono diversi a seconda dei principi religiosi e dell’educazione. Ma non pensa, dunque, che sia utile per noi genitori conoscere il modo di sentire e di pensare di questi giovani? Non invocheremo il diritto di cronaca, vi diciamo semplicemente che l’inchiesta non costituisce offesa al pudore. L’art. 14 potrebbe entrarci se nell’inchiesta de La Zanzara ci fosse compiacimento, piacere di indugiare sui particolari scabrosi. Invece anche gli argomenti scabrosi sono stati affrontati con una prosa scarna e castigata come poche. Oggi il Pubblico Ministero ha fatto un passo indietro, si è accorto di aver tirato troppo la corda, d’aver dato troppo rilievo allo scontro fra una vecchia Italia (non migliore di quella di oggi, se è vero che di sesso si parlava anche noi e in modo peggiore proprio perché il silenzio e le reticenze costituiscono uno stimolo alla cosiddetta concupiscenza) e un’Italia più spregiudicata e sincera. Questo processo, forse, sarà un bene per la società perché è opportuno che affiorino queste divergenze; ma non è un bene per gli imputati sui quali io spero solo che quest’esperienza non lasci un segno troppo negativo. Sono convinto che il Tribunale di Milano li assolverà tutti. Il dottor d’Espinosa impone il silenzio al pubblico che aveva cominciato ad applaudire, e rivolge a ciascuno degli imputati la domanda rituale. Pres.: Avete qualcosa da dichiarare? Imputati (l’uno dopo l’altro): No... No... Pres.: Il Tribunale si ritira. Sono le 19,15. Il brusio della folla si trasforma in frastuono. Tutti discutono, commentano, fanno previsioni ad alta voce. Benché sia ormai l’ora di cena nessuno si allontana. Alle 20,45 il Tribunale rientra in aula. Pres.: Avverto che non tollererò alcuna manifestazione di consenso o di dissenso. I carabinieri fermino chiunque tenti di disturbare. Atteso qualche istante che si facesse silenzio, il dottor d’Espinosa legge rapidamente la sentenza: “In nome del popolo italiano, il Tribunale di Milano, visto l’articolo 479 del codice di procedura penale, assolve Mattalia Daniele, De Poli Marco, Beltramo Ceppi Claudia, Sassano Marco da tutte le imputazioni loro rispettivamente ascritte perché i fatti non costituiscono reato. Assolve Terzaghi Aurelia dall’imputazione di cui alla lettera C. (art. 14 della legge sulla stampa) per non aver commesso il fatto. Visti gli articoli 483-488 del codice di procedura penale, dichiara la stessa Terzaghi colpevole della contravvenzione di cui alla lettera D. (omesso deposito delle copie in procura e in prefettura) e la condanna alla pena di quindicimila lire di ammenda e al pagamento delle spese processuali relative al reato per cui vi è condanna. “Ora - prosegue il presidente dopo aver imposto ancora una volta il silenzio - vorrei dire due parole ai minori... De Poli, Sassano e la Beltramo Ceppi raggiungono il pretorio e si pongono l’uno accanto all’altro di fronte al banco del Tribunale. “Al Tribunale dei minorenni si usa concludere i processi con un fervorino. Considerata la vostra età lo farò anch’io, anche se qui siamo in un Tribunale normale. Il Tribunale mi incarica di dirvi che ha riconosciuto che nella vostra inchiesta non esistono gli estremi di reato. Il compito della legge penale si ferma qui. Se le vostre affermazioni erano opportune o inopportune lo decideranno le autorità scolastiche. Su questo processo si è fatta una montatura esagerata. Voi non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che siete.” I tre studenti, che avevano ascoltato compunti la paterna esortazione del presidente, si allontanano con il volto rischiarato da un sorriso. Non un sorriso di convenienza di malizia, un sorriso franco e aperto, da ragazzi. Che con tutti i disincantamenti, i travagli, le irrequietezze e le ingenue “proteste,” credono in una società che sarà forse più giusta di quella avuta in eredità dai loro padri, certamente più pulita.