III. Il processo I giornata Nel faraonico Palazzo di Giustizia di Milano

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III. Il processo I giornata Nel faraonico Palazzo di Giustizia di Milano
III. Il processo
I giornata
Nel faraonico Palazzo di Giustizia di Milano non s’era
mai vista tanta gente come in quella pallida mattina del
30 marzo. Una folla da “Palasport” a una finalissima di
pallacanestro. Il processo ai liceali de La Zanzara era
atteso anche come un grande spettacolo. Ma si capì subito che non sarebbe stato uno spettacolo di tutto riposo.
Ancor prima dell’apertura dei cancelli la polizia aveva
disperso un assembramento di studenti delle scuole
medie che s’erano raccolti vociando attorno all’ingresso
per una specie di manifestazione. I rappresentanti
dell’ordine, mobilitati a plotoni, avevano l’aria eccitata
di quando affrontano gli scioperanti sulle piazze. Gli ordini ricevuti pare che fossero severissimi. Dopo le prove
di forza del potere giudiziario ci sarebbe stata una prova
di forza del potere esecutivo?
Ai riti della giustizia, come agli spettacoli troppo audaci, non possono assistere, per norma, i minori di 18
anni, e gli agenti di servizio furono oculatissimi nel
controllo dei documenti. Della massa dei liceali, così, i
soli ad essere favoriti furono i ripetenti. Ma la folla era
strabocchevole anche escludendo i minorenni. E la spaziosissima Aula Magna carica di marmi e di simboli littori, trasformata per l’occasione in sala di udienze, si rivelò subito troppo angusta per contenere la massa di
giovani a cui s’erano mescolati insegnanti, signore
‘bene,’ molti intellettuali, tanti giudici e avvocati. Tra i
giornalisti e i fotografi - un centinaio - si videro persino
inviati speciali giunti da Parigi, da Londra, da Vienna.
Nel rumoreggiare di quell’onda in piena, ogni tanto un
crepitare di sedie vacillanti, uno schianto di transenne,
un rovinio di vetri.
Alle 9 gli imputati sono già seduti su due file accanto
allo scanno dell’Accusa: la Beltramo Ceppi tra Sassano
e De Poli, davanti; il preside professor Mattalia e la signora Aurelia Terzaghi proprietaria della tipografia,
dietro. Anche gli avvocati del collegio di difesa - Crespi,
Dall’Ora, Delitala, Gaballo, Pisapia, Sbisà e Smuraglia sono già al loro posto. Dovranno attendere quaranta
minuti prima che entri il presidente del Tribunale Luigi
Bianchi d’Espinosa con i giudici Landi e Passerini.
Quando il Pubblico Ministero Oscar Lanzi, salendo sul
suo scanno, posa gli occhi sul pubblico che dilaga sino
alle spalle dei giudici, ha un attimo di patetico imbarazzo. Il brusio che accompagna la sua apparizione gli
dice che quello non sarà un pubblico amico.
Si comincia.
Pres.: Gli imputati si alzino.
Letti i lunghi capi di imputazione (vedi App. 9), il dottor
d’Espinosa si rivolge agli accusati: Prima che s’inizi il
dibattimento - dice - vorrei ricordare ai difensori che il
procedimento è stato istruito con rito direttissimo, anche se le accuse relative alla legge sulla stampa non
consentono tale procedura... I difensori, dunque, possono sollevare eccezioni chiedendo il rito ordinario e il
rinvio.
Avv. Delitala: Nessuna eccezione.
Pres.: Sia messo a verbale. Possiamo dunque procedere. Ha chiesto la parola il Pubblico Ministero dottor
Lanzi.
P. M.: Premetto che questo processo ha avuto inizio
per pressione dell’opinione pubblica attraverso la
stampa. Infatti il 22 febbraio scorso il quotidiano Il Corriere Lombardo pubblicò a caratteri cubitali un articolo
in prima pagina dal titolo: “Scandalo al Parini” di cui
era autore Maurizio Refini. Fu dopo questo articolo che
la procura della Repubblica iniziò le indagini anche per
placare il trauma che questa notizia aveva provocato
sull’opinione pubblica. Il mio ufficio si propose di accertare quale effetto avesse avuto sui giovani la lettura
dell’organo degli studenti “pariniani” e stabilire se quelle
frasi fossero idonee ad eccitare alla corruzione gli adolescenti.
Il pubblico sorride e, qua e là, si odono dei gridolini di
scherno.
... Chiedo di ammettere come testi il Provveditore agli
studi di Milano, il professor Aldo Tornese, il quale potrà
riferire come anche alte sfere governative gli avessero
espresso le loro preoccupazioni per quanto accaduto al
“Parini” e come fosse stato bersagliato da telefonate e
lettere di genitori che lo invitavano a frenare il dilagare
di questo malcostume. Egli è persona qualificatissima.
Chiedo che venga interrogato anche il vice Provveditore
agli studi professor Nicola D’Amico, il vice preside del liceo Parini professor Silvano Stolfa. Dal mio ufficio le indagini furono affidate alla questura: ci proponevamo di
interrogare gli autori dell’articolo per conoscere lo scopo
della pubblicazione. Chiedo anche la citazione del commissario-capo dottor Vittorio d’Ambrosio, dirigente della
sezione amministrativa del dipartimento della polizia,
centro che raccolse le deposizioni dei testi e degli imputati. Egli potrà riferire come fu tormentato da diversi
genitori che lo pregavano d’intervenire per stroncare
questo malcostume...
Dalla sala si leva un prolungata: “Uh!” Il P. M. si interrompe un istante poi prosegue:
... Chiedo inoltre la citazione del vice questore Giovanni Grappone che diresse le indagini e che potrà riferire come ricevette diverse lamentele anche da ambienti
religiosi e dal mondo della cultura. Chiedo che venga
citato il signor Maurizio Refini, autore dell’articolo comparso sul Corriere Lombardo. A proposito di giornali,
vorrei osservare che è bene che la stampa non si diletti
ad impressionare l’opinione pubblica montando degli
scandali su presunti “spogliarelli.”
La folla ricomincia a rumoreggiare.
Pres.: Prego il pubblico ministero di attenersi ai fatti.
P. M.: Mi risulta che anche un gruppo di studenti del
“Parini” fu tanto impressionato dalla comparsa
dell’inchiesta.
Il pubblico commenta questa affermazione con un
fragoroso “Bum!”
Pres. (rivolto al pubblico): Basta! Voi che reclamate la
libertà, rispettate la libertà del Tribunale.
P. M.: Carabinieri, il primo ragazzo che grida o applaude sia allontanato.
Pres.: Signor Pubblico Ministero, finché siedo a questo
posto, la responsabilità dell’ordine è mia e, se permette,
gli ordini li do io.
Il dottor Lanzi accoglie il rimbrotto con un mesto sorriso, e prosegue:
... Vorrei che si accertasse chi sono quegli studenti del
“Parini” che, dopo la pubblicazione di quell’inchiesta su
La Zanzara, hanno diffuso manifestini di protesta. Bisognerebbe citarli per dimostrare che non tutti, in quel liceo, sono d’accordo con gli estensori dell’inchiesta e che
la morale comune non è quella espressa su La Zanzara.
A questo proposito chiedo anche che vengano citati tutti
gli insegnanti di religione del “Parini.”
Il pubblico ride. I carabinieri azzittiscono a fatica i disturbatori.
Pres.: Proprio tutti?
P. M.: Tutti, sì. E magari anche quelli degli altri istituti
milanesi.
Avv. Dall’Ora: E perché non anche qualche professore
di greco, di storia, di filosofia?...
P. M.: Anche quelli di ginnastica, se vi piace, e i genitori degli studenti. Poi venga il dottor Vittorio Giancola,
il medico che compilò la scheda fisico-psichica dei due
ragazzi.
Pres.: Ha qualche riferimento con la causa?
P. M.: Sì, perché ci deve dare informazioni di natura
medica sui ragazzi. A questo proposito, anzi, ho un’altra
istanza da formulare. L’ispezione corporale è obbligatoria per tutti i minori, e la legge è uguale per tutti: perciò
sollecito che la Beltramo Ceppi sia sottoposta ad analoga visita medica senza alcuna formalità.
Pres.: Non capisco come sarebbe possibile la visita
medica senza rinviare il procedimento. Quanto occorrerebbe? Un’ora? Mezz’ora?
P. M.: Mezz’ora sarebbe sufficiente, in camera di consiglio. Ma di questo riparleremo in seguito. Inoltre, se il
Tribunale acconsente, chiedo anche che vengano citati i
genitori dei ragazzi che studiano al “Parini.”
Pres.: Allora bisogna moltiplicare per due perché ci
sono i padri e le madri.
Avv. Sbisà: Non solo i genitori degli alunni del “Parini,” ma quelli di tutti gli istituti di Milano.
Pres.: A questo punto, mi pare che il Pubblico Ministero abbia presentato due istanze. La prima è una richiesta di citazione di testimoni, la seconda è una ri-
chiesta di sospensione perché la ragazza venga sottoposta a visita medica.
P. M.: Non è il caso di sospendere il processo: la ragazza può andare di là mezz’ora con un medico e lasciarsi visitare.
Pres.: Comunque ci riserviamo di decidere dopo.
Avv. Dall’Ora: Mi rifiuto di seguire il dottor Lanzi su
questo terreno. Cosa dovrebbero riferire i testi se non
giudizi personali o pettegolezzi sul grado di impressionabilità di 850 studenti? È inammissibile. E i genitori, e gli
insegnanti di religione? Mi oppongo alla citazione di tutti.
A centinaia di testi del genere, potremmo opporne altre
centinaia. Non sarebbe serio. In fatto di moralità media,
la materia è opinabile, e deve essere il giudice a decidere.
Qui, invece, si vorrebbe indurre il tribunale a una sentenza per plebiscito. Vince la maggioranza, perde la minoranza. No, non è serio.
I ragazzi in aula abbozzano un applauso. Il Presidente
li azzittisce mentre si alza a parlare l’avvocato Pisapia.
Avv. Pisapia: Le richieste del Pubblico Ministero sono
addirittura aberranti. Solo il fatto che si vogliano ascoltare, fra tutti gli insegnanti, soltanto quelli di religione,
dimostra che si vuole snaturare il processo.
Avv. Delitala: Sono d’accordo con Dall’Ora. Se la motivazione fosse diversa, non mi opporrei alla citazione del
provveditore e del vice provveditore agli studi. Ma questi, secondo il dottor Lanzi, dovrebbero informare i giudici sulle reazioni al vertice del “caso Parini,” oltre che
sulle lamentele di una minoranza di genitori. Davvero
questo tribunale dovrebbe interrogare il professor Tornese sui riflessi nelle sfere governative? Siamo a questo
punto, dunque? Divisione di poteri, indipendenza della
magistratura, allora non contano niente? E, di grazia, a
quali sfere governative si allude? Se fosse fondata
l’impostazione del pubblico ministero sulla concezione
della moralità media, tanto varrebbe affidare l’incarico
di fare la sentenza all’”Istituto Doxa.” E vengano tutti i
genitori, ottocento, novecento, quanti sono, moltiplicati
per due! Vi pare ragionevole? Inutile anche chiamare
qui il vice questore Grappone. Abbiamo i verbali. Cosa
deve venirci a raccontare di più? Impressioni, pettegolezzi? Se il tribunale accetta questo punto di vista del
Pubblico Ministero, allora per coerenza dovrebbe esimersi dal pronunciare un giudizio.
P. M.: Forse sono stato frainteso. Intendo chiarire che
ho proposto l’escussione dei genitori degli studenti del
“Parini” sempre se il Tribunale lo riterrà opportuno. Del
resto, non è inutile né irrituale sentire un po’ anche
l’opinione delle persone in un giudizio di questo genere.
Proprio l’altro giorno, in un’aula del Tribunale, è stato
ascoltato il parere di Ungaretti che, col processo contro
Milena Milani, non c’entrava proprio per niente.
Pres.: Provveditore e vice provveditore agli studi potrebbero illuminarci sui limiti e sull’origine di questi
giornali studenteschi. I verbalizzanti potrebbero venire a
confermare quello che hanno scritto.
Avv. Delitala: Se si tratta solo di questo, che siano citati.
Il Tribunale si ritira in camera di consiglio per decidere
sulle richieste dell’Accusa. Dopo venti minuti rientra in
aula e il Presidente annuncia che tutte le richieste di citazione di testimoni avanzate dal Pubblico Ministero sono
state respinte, ad eccezione di quelle riferite al provveditore agli studi, al vice provveditore, al vice questore
Grappone e al commissario D’Ambrosio. È la prima vittoria della Difesa. E non sarà l’ultima.
P. M.: La visita medica per i tre del “Parini” venne disposta per legge. Il Tribunale non ha risposto all’istanza
di sottoporre anche la ragazza che si rifiutò. Perciò devo
sollevare una nuova eccezione.
Pres.: Insiste proprio?
P. M.: Desidero dire alcune parole sulla gazzarra che è
stata fatta sulla vicenda. È doloroso che, per amor di
polemica, perfino magistrati e avvocati abbiano contribuito a confondere le idee della gente e che si sia dimenticato il punto centrale della questione per soffermarsi, non so con quanta buona fede, sulla visita medica disposta non certo per sadismo, ma in applicazione
alle leggi. Un magistrato ha parlato dalla televisione.
(Vedi Appendice. N. 11) Un’ondata di maldicenza, di accuse offensive si è abbattuta sull’operato del mio ufficio...
Pres.: La invito a rimanere in tema giuridico.
P. M.: Questo processo è una montatura della stampa.
Avv. Dall’Ora (vedendo accanto al pubblico ministero il
vice-questore Grappone): Il dottor Grappone è un testimone, non può rimanere in aula.
Pres.: Dottor Grappone, la prego di allontanarsi
dall’aula, ma di tenersi a disposizione del Tribunale.
P. M.: E veniamo alla famosa visita. Io non diedi disposizioni particolari al sostituto procuratore della Repubblica Carcasio. Egli, per mia delega, doveva fare
tutto ciò che la legge impone. Quindi provvide a compilare la scheda minorile. Da galantuomo, posso garantire
che fu rispettata la dignità degli imputati. I giovani furono visitati da un medico iscritto all’albo del Tribunale.
La ragazza fu invitata a venire il giorno dopo con i genitori. Mentre ciò accadeva nello studio del mio sostituto dottor Carcasio, fui chiamato per telefono dal professor Delitala il quale mi parlò in termini indignati di
visita ginecologica cui avrebbe dovuto sottoporsi la Beltramo Ceppi. Era stato male informato dalla sua cliente.
Comunque, la visita fu rinviata al giorno seguente. Il
fatto sembrava chiuso; senonché il giorno dopo la
stampa ha scatenato una vera gazzarra. Allora ho sentito la necessità di convocare i giornalisti per informarli.
L’opinione pubblica deve sapere che non una circolare
del 1933 ma una legge del 1934 esige questo esame fisio-psichico sui minorenni. Già, direte che s’era in periodo fascista. Quanto rumore per nulla! Vi posso confermare che la visita medica è consigliata da autorevoli
magistrati. Anzi è necessaria per accertare la capacità di
intendere e di volere dei minori. È pacifico che questa è
legge, anche se un uomo tanto in vista in Italia (n.d.r.
l’on. Nenni) ha sentito il bisogno di scrivere in una lettera che la procura di Milano ha usato sistemi “borbonici.” Vien fatto di pensare che anch’egli sia stato trascinato dall’ondata della polemica.
Vi voglio anche dire che il professor Macaggi, ordinario
di medicina legale dell’Università di Genova, vicepresidente del Senato e senatore del partito socialista italiano, in più convegni ha parlato della scheda come di
una grande conquista del diritto e ha auspicato che
venga istituita anche per i maggiorenni. L’accertamento
ha lo scopo di tutelare l’interesse del minore, in quanto
la giustizia potrebbe condannare un irresponsabile. La
Francia ci ha copiato venti anni dopo. Posso anche dire
che questa istituzione è stata raccomandata in un corso
per uditori giudiziari diretto dal presidente Bianchi
d’Espinosa, uomo di intelligenza e capacità giuridica
che tutti sappiamo.
Pres. (con aria scherzosa): Prendo la parola per fatto
personale: devo precisare che non ho la responsabilità
della pubblicazione.
P. M.: Vorrei anche ricordare che in un convegno tenuto a Bruxelles nel 1958 la legislazione italiana sui
minori venne elogiata. Anche il Manzini che è un po’ il
breviario...
Avv. Dall’Ora: Il Manzini è il breviario dei pubblici ministeri.
P. M.: Non è vero! Anche lei se ne sarà servito! Ma che
cosa è, poi, questa scheda minorile? Il giorno dopo la
convocazione nello studio del mio sostituto degli studenti del “Parini” il professor Delitala mi ha scritto una
lettera, allegata alla pagina 84 degli atti del processo, in
cui, tra l’altro, dice che la sua assistita Beltramo Ceppi
rifiutava la visita medica e diceva testualmente: “Penso
che sia nel suo pieno diritto agire così. Non può essere
invocata la circolare del 1933 per la perentoria ragione
che la circolare è abrogata dalla Costituzione.”
Ma ora vi chiedo di mettervi d’accordo fra voi avvocati:
due mesi fa fu discusso in Cassazione il ricorso di un
avvocato milanese che chiedeva l’annullamento di una
sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano in un
processo per rapina, estorsione e reati sessuali, perché
agli atti non era stata allegata la scheda minorile di uno
dei due imputati che era minorenne, proprio perché
l’articolo II della legge del 1934 istitutiva del Tribunale
dei minorenni rende obbligatoria la scheda. E
quell’avvocato, il professor Scherillo, è un luminare
nella scienza giuridica.
Avv. Delitala: Nel diritto romano.
Pres.: Però questa sentenza non è stata ancora pubblicata.
Avv. Delitala: È inaudito... a meno che il pubblico ministero non abbia ricevuto indiscrezioni personali...
(Si stringe imbarazzato nelle spalle e prosegue):
P. M.: È vero che il ricorso fu respinto poiché era stata
già compiuta una perizia. Comunque la scheda si trova
in tutti i processi. Quanto al motivarla, non è necessario. Sarebbe assurdo e ridicolo pretendere dal magistrato che ogni volta debba fornire dei motivi per visitare il fegato, i piedi o le gambe. Quelli che han confuso
le idee sono alcuni avvocati, alcuni magistrati, alcune
persone ignoranti del diritto, come ad esempio quel magistrato che si è esibito su La Stampa (n.d.r. il presidente del tribunale Germano che sul giornale torinese
aveva recisamente condannato la visita). Vadano a leggersi il codice.
Intorno al mio ufficio s’è sollevata un’ondata di maldicenza, la stampa che dovrebbe solo informare è arrivata
a parlare di “spogliarelli,” e questo costituisce un insulto. Il processo è stato voluto, gonfiato, montato dalla
stampa o da altri perché forse la stampa era in buona
fede. È stato detto anche che al minorenne Mai, imputato per i manifestini anti-NATO, non è stata fatta la
scheda e proprio dal mio ufficio. Lo smentisco: non è
vero. Ora, poiché la legge ha da essere uguale per tutti,
chiedo che sia sottoposta a visita anche la Claudia Beltramo Ceppi la quale vi si è sottratta arbitrariamente.
Tale visita potrebbe avvenire durante una pausa in camera di consiglio; ciò anche per evitare un’eventuale
censura della Cassazione.
Avv. Delitala: Avrei preferito non discutere quest’aspetto
del processo. Egregio Procuratore, lei teme forse la censura della Cassazione? Ho consigliato io la signorina
Claudia Beltramo Ceppi di rifiutarsi alla visita medica che
contrasta con l’articolo 13 della Costituzione a difesa
della persona umana. Bene. Quindi la visita non l’avete
compiuta per il mio deciso intervento: se questa è istigazione a disobbedire alle leggi, incriminatemi!
Il Pubblico Ministero sostiene che la scheda è un requisito essenziale ed è resa obbligatoria dalla legge.
Sbaglia! La scheda è prevista solo da una circolare del
1933.
P. .M.: Non è vero!
Avv. Delitala: Quando telefonai, quella sera, fu proprio
lei a parlarmi della circolare: io non la conoscevo e dovetti darmi da fare per rintracciarla. Comunque è fuori
discussione che la scheda è prescritta solo dalla circolare . per fini statistici, tanto più che la legge è dell’anno
dopo...
P. M.: Ma io parlo degli accertamenti bio-psichici: la
scheda serve solo perché è fornita dal ministero ed è comoda.
Avv. Delitala: Già, ma finora ha parlato di scheda.
Comunque gli esami sono destinati ad accertare se
l’imputato sia capace di intendere e di volere. Questo
genere di visita non è una cosa seria perché non serve a
niente nel nostro caso specifico. Signor presidente,
s’immagini la scena: su, si slacci la cravatta, si sbottoni
la camicia, giù i pantaloni...
Pres. (ridendo): Chi? Io?
Avv. Delitala: No, mi scusi. Qui si sono accertate infermità fisiche (scoliosi ecc.) che non hanno nulla a che fare
con la capacità di intendere e di volere... Il giudizio
sull’imputabilità del minore può essere tratto da qualunque elemento della causa, non è vincolato da particolari
forme. (l’articolo II della “sua” legge, signor Pubblico Ministero, dice solo che il magistrato “può” sentire dei pareri
tecnici senza alcuna formalità. Che bisogno c’era di scendere a domande su particolari indegni? Non vi bastava
l’articolo, che dimostrava un livello intellettuale almeno
medio? In ogni modo, applicando quella parte dell’articolo
II che esclude ogni formalità, si viola la Costituzione la
quale vieta ogni ispezione personale senza un ordine motivato, e ciò per tutelare non solo la libertà, ma anche il
pudore dell’imputato. C’è una legge, ma ci sono anche dei
magistrati che devono applicarla alla luce dei principi costituzionali, nel rispetto di un costume contemporaneo:
ecco, questo è il punto. La legge si rimette sempre
all’equilibrio, al buon senso, alla coscienza del magistrato. Chiedo pertanto che l’istanza del Pubblico Ministero venga respinta.
Il Tribunale si ritira ancora una volta in camera di consiglio per decidere.
Fra il pubblico si accendono discussioni animatissime
sulle tesi dibattute dalle parti a proposito dell’”ispezione
corporale” di cui da due settimane si stanno interessando
magistrati, stampa, cittadini. Quella della “visita” e della
“scheda” non è soltanto uno dei quesiti di diritto più stimolanti della causa anche per i suoi riferimenti alla Costituzione, ma uno dei motivi che più ha appassionato la
gente comune che non sa di diritto e giudica secondo i
dettati di quella coscienza, di quel buon senso e di
quell’equilibrio di cui diceva il professor Delitala.
Quando il Tribunale ricompare e il Presidente comincia
a leggere l’ordinanza, si fa un silenzio assoluto. Da questa decisione si potrà dedurre che piega prenderà il processo.
L’ordinanza (il cui testo è integralmente riprodotto in
Appendice n. 12) stabilisce:
1) La visita medica per la compilazione della scheda
dei minorenni, prevista da una circolare per esigenze
statistiche, non è assolutamente obbligatoria.
2) Il giudice è libero di scegliere i mezzi più idonei ad
accertare i precedenti personali e familiari del minore
sotto l’aspetto fisico, psichico, morale e ambientale: e il
mezzo deve adattarsi a ogni singolo caso.
3) L’articolo 13 della Costituzione vieta “ogni forma di
perquisizione o di ispezione personale se non per atto
motivato dall’autorità giudiziaria” a tutela dei diritti
fondamentali di libertà e della personalità umana.
4) Il rifiuto della ragazza a sottoporsi a visita medica è
stato legittimo.
5) Il Tribunale considera superfluo l’esame medico
della ragazza, la cui capacità di intendere e volere può
essere desunta dallo stesso articolo de La Zanzara, oltre
che dal suo profitto scolastico.
Il Tribunale ha praticamente accolto tutte le tesi del professor Delitala. Un’altra vittoria della Difesa. Uno scroscio di applausi accompagna la lettura di questa coraggiosa ordinanza. “Bene. Bene,” si grida. Il presidente
d’Espinosa mette mano al campanello e invita il pubblico
ad astenersi da ogni manifestazione di consenso o di
dissenso:
Pres.: “Siamo in un tribunale, non mi costringete a far
sgombrare l’aula. La giustizia non chiede consensi come
non si lascia riprovare. La giustizia è un bene eterno di
tutti gli uomini liberi. Questo tribunale non tollererà
altre manifestazioni del genere. Sono più che mai deciso
a far sgombrare l’aula al primo segno di indisciplina.
L’udienza è tolta.”
***
Il dottor Lanzi, però, non par disposto ad arrendersi
senza aver dato fondo a tutte le sue risorse polemiche. E,
il pomeriggio, riprenderà la parola per avanzare altre richieste e continuerà a battagliare con gli avvocati, con i
testimoni, con i giudici, con il pubblico.
P. M.: In primo luogo avanzo rispettose e riguardose
riserve sull’ordinanza del Tribunale, anche se è stata
acclamata a scena aperta. Il Tribunale entra nel merito
della costituzionalità dell’articolo 11. In tal caso chiedo
che il Tribunale trasmetta gli atti alla Corte Costituzionale poiché una dichiarazione di incostituzionalità non
rientra nelle sue competenze. Dobbiamo sapere se, applicando quella norma, da trent’anni a questa parte,
abbiamo sempre sbagliato. La decisione ci ha sconvolti.
E poiché il Tribunale ci insegna ad interpretare le leggi,
lo preghiamo di dare una risposta chiara. A mio modesto parere, l’articolo 13 della Costituzione non è in contrasto con l’articolo II della legge sui minorenni.
L’articolo 13 della Costituzione fu fatto per evitare abusi
polizieschi in danno, ad esempio, delle prostitute; ma
dice anche che l’ispezione deve avvenire nei soli casi e
modi voluti dalla legge... Ora, ad esempio, i distretti
compiono le visite di leva senza fornire alcuna motivazione, né le mutue motivano le visite agli inabili al lavoro; e ciò perché in questi casi, come nel nostro, la visita non è fatta in odio ma a favore dell’interessato.
Pres.: In sostanza lei chiede che il Tribunale rinvii gli
atti alla Corte Costituzionale oppure modifichi la sua
ordinanza... La difesa ha qualcosa da dire?
Avv. Dall’Ora: Nel caso che il Tribunale accolga
l’istanza del Pubblico Ministero, chiedo lo stralcio degli
atti relativi a Marco De Poli che ha già aspettato abbastanza il giudizio.
Avv. Delitala: Mi limito ad osservare che la risposta
all’argomentazione del P. M. è già contenuta
nell’ordinanza del Tribunale. Avendo esso ritenuto non
necessaria l’ispezione, la questione di costituzionalità
deve ritenersi superata. La legge, comunque, deve seguire la Costituzione.
P. M. (indignato): Chiedo a lei, signor Presidente, di
ordinare al pubblico di non fiatare e di far sgomberare
l’aula al primo accenno di disturbo. Io ritengo che
l’ordinanza di questa mattina non serva se non a contorcere e a confondere le idee per l’attività futura dei
nostri uffici. Insisto quindi per un chiarimento.
Il braccio di ferro continua. Il Tribunale si ritira per la
terza volta, e per la terza volta respinge le richieste e le
riserve dell’Accusa, “la cui valutazione spetterà ai giudici
di appello.” Secondo il dottor d’Espinosa, poi, è del tutto
“irrilevante” l’osservazione del P. M. sulla incompetenza
del Tribunale a decidere sulla incostituzionalità di una
norma. Il Tribunale si è limitato a interpretare l’articolo II
della legge sui minorenni nello spirito della Costituzione
ritenendo l’ispezione personale facoltativa, non necessaria e inopportuna nel caso in discussione. Superati gli intralci procedurali, il Presidente riassume i fatti del processo, e siccome il P. M. chiede che vengano ripetute le
frasi incriminate dell’inchiesta de La Zanzara, decide di
leggere l’intero articolo.
Ora, finalmente, possono cominciare gli interrogatori.
Viene chiamato per primo il prof. Mattalia preside del
“Parini” e uno dei giudici legge i verbali del suo interroga-
torio durante l’inchiesta di polizia e l’esposto indirizzato
dal professore al Provveditore agli studi.
Pres.: Che cosa può dirci in proposito?
Prof. Mattalia: All’epoca ero assente dall’istituto per un
breve congedo e mi sostituiva il vicepreside. Tuttavia mi
recavo saltuariamente al “Parini.” Così trovai il numero
de La Zanzara che lessi, però, solo sommariamente,
confidando nel senso di equilibrio e di responsabilità del
suo giovane direttore. Le proteste incominciarono solo
dopo la pubblicazione del Corriere Lombardo. Per quanto
riguarda il volantino degli studenti cattolici l’ho menzionato nell’esposto al provveditorato. L’articolo incriminato ha parti positive e non va interpretato in senso
peggiorativo. Come educatore non posso ripiegare su
soluzioni legalitarie: c’è un rapporto fiduciario con i miei
ragazzi che va mantenuto correndo anche i relativi rischi.
P. M.: Lei, durante l’interrogatorio reso alla polizia
giudiziaria, aveva dichiarato che, se avesse letto attentamente l’articolo, l’avrebbe censurato: conferma tale
dichiarazione?
Prof. Mattalia: Avrei proposto, non imposto, di interpretare alcune frasi così da addolcirne la crudezza. Se
un rimprovero ho da fare a questi giovani, è di essere
troppo cerebralmente seri, di portare le cose al limite e
di tendere all’astrazione. Le associazioni studentesche,
sorte nel 1945, sono state poi consacrate dalla circolare
Martino del ‘54 che raccomanda di lasciare ai giovani la
massima iniziativa. Il preside deve limitarsi a tener
d’occhio, non deve comprimere le loro attività. Io ritengo
il controllo un dovere, ma esso non mi è imposto da alcuna norma. Una sola volta ritenni di dover censurare
La Zanzara per un corsivo troppo aspro sul piano Gui.
Pres.: Il giornale aveva una diffusione anche esterna?
Prof. Mattalia: Non mi risulta. Quello che tengo a precisare è che non è mai stato diffuso all’interno della
scuola media frequentata da ragazzi di 10 o 12 anni.
Pres. (indicando gli imputati): Conosce questi ragazzi?
Prof. Mattalia: Sì. E direi che oggi li conosco ancora
meglio. De Poli è un allievo eccellente con la media
dell’8 e del 9 e la cui condotta non ha mai dato luogo a
rilievi. E quella media l’ha conservata nonostante
l’attuale dura prova. Sassano è un elemento, sul piano
tecnico, leggermente inferiore. Quello che non gli perdono è di essersi fatto rimandare in tre materie l’anno
scorso. Quest’anno la sua media è del 6. La Beltramo
Ceppi ha una buona media e una condotta pure buona.
Vorrei precisare che, in tutto lo scorso anno, nelle cinque classi del “Parini” c’è stata una sola disposizione disciplinare.
P. M.: Io vorrei sapere precisamente se il preside
avrebbe censurato o no l’articolo o, almeno, come
l’avrebbe modificato.
Prof. Mattalia: Avrei fatto esprimere gli stessi concetti
in modo indiretto.
P. M.: Allora lei ammette le concezioni dei redattori!
Prof. Mattalia (indignato): Mi meraviglio che si osi
pormi una domanda del genere.
Pres.: Professore, si ricordi che lei è qui in veste
d’imputato.
Prof. Mattalia: Mi scuso.
P. M.: Ritiene che le frasi dell’inchiesta possano turbare il sentimento degli adolescenti?
Prof. Mattalia: Non in questa forma. Bisogna tener
conto dell’influenza dell’ambiente.
P. M.: Ma lì si era a scuola, non fuori.
Prof. Mattalia: Oggi i ragazzi sono sottoposti a un tale
bombardamento di richiami sessuali che, anche a
scuola, diventa tollerabile un linguaggio più crudo.
P. M.: Ma la circolare Martino fa obbligo ai capi
d’istituto di esercitare un controllo.
Prof. Mattalia: Nessun obbligo.
P. M.: Ci furono lamentele da parte dei genitori?
Prof. Mattalia: Quindici genitori in tutto vennero ad
esprimermi la loro preoccupazione, ed io li rassicurai
dicendo che gli argomenti non sarebbero più stati trattati in quella forma.
P. M.: Ci furono genitori che ritirarono i loro figli a seguito della pubblicazione?
Prof. Mattalia: Ci furono sei o sette ritiri; ma il motivo
dichiarato fu il cattivo rendimento scolastico.
P. M.: Seppe, comunque, che erano stati distribuiti
manifestini di protesta...
Pres. (ironico): Stampa clandestina anche quella?
P. M.: Forse, ma non immorale. (Poi, rivolto
all’imputato) Conosce i nomi degli studenti che diffusero
i manifestini?
Prof. Mattalia: No, ma anche se li sapessi non li farei.
Il preside torna al suo posto e sale sulla pedana Marco
De Poli.
Pres.: È stato lei a disporre quell’inchiesta? E come è
stata condotta?
De Poli: Poiché le questioni che volevamo affrontare
erano importanti, ne discutemmo insieme, poi organizzammo una `tavola rotonda” a cui parteciparono nove
ragazze. Certamente, se avessi previsto il clamore suscitato non avrei pubblicato le risposte.
Pres. (sorridendo): Questo è umano. Comunque lei
condivide tutte le affermazioni dell’inchiesta?
De Poli: No, perché noi riferimmo opinioni contrastanti. Nessuna di quelle frasi incriminate riflette opinioni mie.
Pres.: Il giornale veniva venduto anche fuori del “Parini”?
De Poli: No. All’ingresso noi consegnavamo le copie ai
delegati delle classi, ma del solo liceo ginnasio, non
della scuola media.
Avv. Dall’Ora: Esibisco la pagella di questo ragazzo,
tutta di 8 e di 9. In condotta 10. Esibisco altresì i documenti dell’Istituto di previdenza dei giornalisti dai
quali risulta che De Poli ha ottenuto sei borse di studio.
P. M.: Ma le ragazze sapevano che le loro opinioni sarebbero state pubblicate?
De Poli: Sì.
P. M.: Durante gli interrogatori di polizia giudiziaria
l’imputato non volle fare i nomi delle ragazze che parteciparono alla tavola rotonda. Insiste in questo rifiuto?
De Poli: Sì, perché questo è l’impegno che presi al
momento dell’inchiesta con le intervistate. Non ritengo
opportuno portare davanti all’opinione pubblica casi
personali. Quello che conta sono le posizioni ideologiche
di fronte a problemi fondamentali della vita moderna. Lo
scopo del dibattito era questo; di sollecitare i giovani a
un dialogo aperto, sincero.
P. M.: Strana tanta sfrontatezza da una parte, e tanto
riserbo dall’altra! Qui si parla di un’”élite” di progressisti
e di una massa di retrivi, e si cerca di convincere i secondi ad elevarsi al livello dei primi. Che cosa intendevate dire?
De Poli: Noi volevamo la discussione. Ci sono delle
progressiste anche fra le cattoliche. Dicendo progressisti
ci riferiamo a quelli che vogliono discutere seriamente i
problemi.
De Poli viene congedato.
Pres.: Venga Sassano.
P. M.: Lei condivide le opinioni espresse nell’inchiesta?
Sassano: Non tutte. Ad esempio non condivido quella
relativa all’assoluta libertà sessuale, perché per me la
libertà consiste nello scegliere una sola persona da
amare. Inoltre, molte osservazioni delle ragazze erano
accademiche astratte.
P. M.: Se non condivide queste idee, espresse anche
idee proprie?
Sassano: No. Non espressi le mie per non influenzare
le ragazze.
P. M.: Ma ritiene che certi rapporti siano esperienze
utili?
Sassano: Sì, se c’è l’amore.
Pres.: Pubblico Ministero, vuol continuare?
P. M. (con un gesto di commiserazione): Rinuncio data
la giovane età dell’imputato.
Ora tocca alla Beltramo Ceppi, la studentessa presentata da una certa stampa come “la ragazza dello scandalo,” la più bersagliata dalle critiche dei benpensanti. Il
pubblico è attentissimo.
Pres.: Allora lei, signorina, condivide le opinioni
dell’inchiesta?
Beltramo Ceppi: Non tutte. Ad esempio non mi associo
a quella che dice: “Pongo dei limiti solo perché non voglio correre il rischio di avere conseguenze. Ma se potessi usare liberamente gli anticoncezionali, non avrei
problema di limiti.” E questo perché sono cattolica.
P. M.: Le intervistate erano sue amiche?
Beltramo Ceppi: No, semplici conoscenze.
P. M.: Avrebbe riferito queste frasi ad amiche più giovani? O a una sua sorella di 14 anni?
Beltramo Ceppi: Io penso che sia opportuno discutere
quei problemi. Per la sorella non so, perché non ne ho,
ma penso di sì.
P. M.: Ne parlerebbe anche con sua madre?
Beltramo Ceppi: Sì, perché mia madre trova giusto discuterne anche perché se ne parla sui giornali e a
scuola.
È di turno l’ultima imputata, la signora Aurelia Terzaghi, proprietaria della tipografia.
P. M.: Lei non pensò mai a seguire le norme che regolano l’uscita dei giornali?
Terzaghi: Non registrai La Zanzara perché ritenevo che
non fosse necessario per i giornali studenteschi.
Pres.: Lei lesse l’inchiesta prima che venisse stampato
il giornale?
Terzaghi: No. Tanto più che io mi occupo principalmente della parte amministrativa della tipografia.
Con questa battuta si conclude la prima giornata del
processo.
II giornata
Per la seconda giornata del processo erano in programma le deposizioni dei testimoni e la requisitoria. Non
essendo state ammesse a testimoniare le persone proposte dal Pubblico Ministero - e che avrebbero probabilmente fornito lo spunto a curiosi battibecchi tra le parti
sui temi più disparati - l’udienza non si preannunciava
molto movimentata. Ma, durante la sfilata dei testimoni,
il Pubblico Ministero, tradito dal nervosismo per le reazioni del pubblico, si farà protagonista di uno degli incidenti più teatrali che si siano mai visti in un’aula della
giustizia.
P. M.: Vorrei porre ancora una domanda all’imputato
De Poli. Lui ha dichiarato che delle 850 copie de La
Zanzara solo 700 furono vendute. Le altre che fine
hanno fatto?
De Poli: Cinquanta le abbiamo distribuite ai professori.
Le altre sono state divise tra i membri del direttivo.
È chiamato a deporre il professore di scienze Silvano
Stolfa vice preside del “Parini” e gli viene letto il verbale
dell’interrogatorio reso in polizia in cui aveva dichiarato
che il contenuto dell’inchiesta su La Zanzara, vista solo
dopo l’uscita del giornaletto, gli era sembrato piuttosto
inadatto a un pubblico giovanile.
Pres.: Lei conferma?
Prof. Stolfa: Preciso che non ero contrario
all’argomento ma alla forma, per quella certa crudezza
del linguaggio. Non trovo inopportuno che l’argomento
venga affrontato con giovani del liceo.
P. M.: Ma con il metodo dell’articolo de La Zanzara?
Prof. Stolfa: Certamente non con quel metodo. Penso
che l’educazione sessuale debba essere impartita da
persone competenti.
P. M.: Si ebbero reazioni da parte di studenti e genitori?
Prof. Stolfa: Subito dopo la pubblicazione, no. Il giornale fu distribuito il lunedì agli studenti e il giovedì ai
professori, senza che nessuno trovasse nulla da ridire.
Poi il venerdì ci fu la protesta di un gruppo di studenti
cattolici...
P. M.: Conosce i nomi di questi studenti?
Prof. Stolfa: No.
Pres. (scherzoso al P. M.): Vuol forse denunciarli per
stampa clandestina?
P. M.: No, ma c’è sempre tempo. (Poi, rivolto al teste)
Dove vennero distribuiti i manifestini?
Prof. Stolfa: All’entrata della scuola. Poi sentii che dei
genitori erano stati a protestare dal preside. Il turbamento vero e proprio venne dopo l’articolo del Corriere
Lombardo.
Un avvocato: Non interprete, il Lombardo, quindi, ma
suggeritore.
Il professor Stolfa se ne va e lascia il posto al vice-questore dottor Grappone.
Pres.: Fu lei che svolse le indagini?
Dott. Grappone: Sì, per incarico del dottor Lanzi, assistetti agli interrogatori fatti dal commissario Vittorio
D’Ambrosio. Il risultato degli accertamenti è contenuto
nel rapporto allegato al fascicolo, e che confermo.
Pres.: Durante le indagini seppe dei manifestini di
protesta distribuiti da studenti cattolici?
Dott. Grappone: Sì, e ne chiesi copia al preside, il
quale però mi disse che ne aveva già dato uno a un
agente di pubblica sicurezza.
Prof. Mattalia: Sì, lo diedi a un funzionario dell’ufficio
politico.
Pres.: E che c’entrava l’ufficio politico?
Avv. Dall’Ora: Quei manifestini erano anonimi?
Dott. Grappone: Non so. Non li ho nemmeno visti.
Avv. Dall’Ora: Allora ve li esibiamo noi.
Il Presidente legge il manifestino di “Giesse” consegnatogli dall’avvocato in cui si accusano i redattori de La
Zanzara di “estrema superficialità” e di aver assunto una
“posizione eversiva” nei confronti dei valori fondamentali.
P. M.: Risulta al dottor Grappone che prima che io lo
incaricassi dell’inchiesta siano arrivate in questura altre
lamentele?
Dott. Grappone: Appena usci il Corriere Lombardo con
il titolo “Scandalo al Parini” arrivarono diverse telefonate anonime.
P. M.: C’erano altri uffici di pubblica sicurezza che si
occupavano della faccenda?
Dott. Grappone: Appena ricevuto l’incarico dalla procura, ne riferii al questore. Questi mi segnalò che della
faccenda si stava interessando anche il dottor Fargnoli,
dirigente dell’ufficio politico, a seguito della pubblicazione sul Corriere Lombardo.
Pres.: Il fatto aveva forse carattere politico?
Dott. Grappone: No. Infatti l’ufficio politico se ne disinteressò dopo che io ricevetti l’incarico.
Pres.: E va bene, citiamo il dottor Fargnoli.
Avv. Delitala: Che così potrà spiegarci le sue competenze.
P. M.: Dottor Grappone, mentre lei svolgeva le indagini
ebbe sollecitazioni a stroncare questo malcostume che
imperversava al “Parini”?
Dott. Grappone: Sì, ricevetti moltissime telefonate e
lettere anonime che plaudivano all’iniziativa della procura.
Avv. Pisapia: Bella coscienza di cittadini!
P. M.: Si trattava di genitori?
Dott. Grappone: Preciso che una delle lettere era firmata “Un gruppo di genitori di studenti.” Dicevano di
non rivelare il nome per non esporre i loro figli a possibili rappresaglie.
Una fragorosa risata si leva dal recinto del pubblico.
Avv. Smuraglia: Il teste svolse indagini per identificare
gli autori dei manifestini del “Gruppo cattolici pariniani”?
Pres.: Lui non li ha neanche visti, poveretto.
Avv. Smuraglia: Ma ne ha, almeno, sentito parlare?
Dott. Grappone: Non ho fatto indagini perché neanche
l’ufficio politico aveva più il manifestino. Evidentemente
la persona alla quale il professor Mattalia lo aveva consegnato non era della polizia.
Congedato Grappone è la volta del commissario di P. S.
dottor Vittorio D’Ambrosio che riconferma i verbali e se la
sbriga con una sola battuta.
Dott. D’Ambrosio: Ricevetti telefonate di genitori e parenti che si rallegravano per l’inchiesta ma non rivelavano la loro identità per timore di rappresaglie sui figli.
Ora dovrebbe salire sul banco dei. testimoni il Provveditore agli studi di Milano professor Tornese; ma il professore non è ancora giunto in volo dalla capitale, e il Tribunale deve sospendere l’udienza per un’ora. Il Provvedi-
tore si precipiterà in aula venendo direttamente
dall’aeroporto.
Pres.: Ci scusi, professore, se l’abbiamo distolto dai
suoi impegni a Roma. Ci può dire che cosa sa della vicenda?
Prof. Tornese: Sono io a scusarmi dell’involontario ritardo, ma avrà appreso dai giornali l’importanza del mio
impegno. Conosco la vicenda attraverso i fatti che ho
acquisiti. Quando uscì La Zanzara e scoppiarono le
prime polemiche io ero a Roma e telefonai subito al viceprovveditore. Poi, tornato a Milano, mi recai personalmente al “Parini” e diedi inizio alle indagini. Il professor
Mattalia mi riferì che, essendo in congedo, aveva dato al
giornale una semplice scorsa. Non ho accertato altro.
Pres.: Ha saputo che erano stati diffusi manifestini di
protesta di studenti cattolici?
Prof. Tornese: Sì. E ne allegai alcuni al fascicolo
dell’inchiesta.
Pres.: Meno male che almeno lei li ha conservati.
Esprimeva giudizi in quel rapporto?
Prof. Tornese: No, per un doveroso riguardo, poiché si
era in attesa delle vostre decisioni.
Pres.: Come provveditore lei ha trovato inopportuna la
pubblicazione di questi ragazzi?
Prof. Tornese: Non c’è dubbio che abbiano trattato argomenti spinosi... Si sarebbero dovute attenuare le
espressioni... Quegli argomenti, per essere trattati, dovrebbero essere preceduti da un ampia discussione, da
un dibattito coordinato fra insegnanti ed alunni, con
intervento di esperti e sotto il controllo del preside.
P. M.: Signor provveditore, lei, come più alta autorità
scolastica di Milano, pensa che l’inchiesta de La Zanzara rientri nei limiti scolastici o abbia, invece, carattere
esclusivamente erotico?
La singolare domanda solleva un’ondata di commenti
ironici del pubblico accompagnati da uno scroscio di risa.
Il dottor Lanzi, con il volto paonazzo e le labbra tremanti,
si guarda intorno con crescente malumore. Tra un istante
si scatenerà la buriana.
P. M.: Signor presidente, se sento ancora gridare e lei
non è in grado di mantenere l’ordine, io me ne vado.
Pres. (palesemente seccato dal tono di quella specie di
sfida): Poiché l’ufficio del Pubblico Ministero è anonimo,
vuol dire che se lei se ne va verrà nominato un sostituto.
Il dottor Lanzi, già spazientito dalle “beccate” del
pubblico, non riesce a contenere il dispetto per la brusca
risposta del dottor Bianchi d’Espinosa: sconvolto, si
alza, si sfila la toga e abbandona l’aula passando alle
spalle dei giudici tra le urla dei giovani a cui
l’accusatore non è certo simpatico. La tensione è giunta
al limite di rottura.
Pres.: L’udienza è sospesa.
Il pubblico schiamazza. Cedono alcune transenne investite dall’onda di piena della folla. Un’altra vetrata va in
frantumi. L’aula è sommersa dalla confusione che diventa
incontenibile quando anche i giudici si ritirano. Qualcuno
teme che il processo stia naufragando. Tra i magistrati e
gli avvocati che seguono il dibattimento come spettatori si
accendono violentissime discussioni: un riflesso dello scontro sui problemi della giustizia italiana che gli uomini di
toga affrontano schierati sulle due sponde: quella dei
“conservatori” e quella degli “innovatori.” A mezzogiorno,
quando si riapre l’udienza, nello scanno dell’accusatore
siede come sostituto il dottor Domenico Bruni.
P. M. Bruni: A seguito di quanto accaduto chiedo lo
sgombero dell’aula.
Pres.: II Tribunale, come esige rispetto e riguardo dalle
parti e dal pubblico, così esige che sia rispettato anche
il Pubblico Ministero, il quale, come rappresentante
della legge, ha il diritto di svolgere le sue tesi che saranno vagliate dal Tribunale e non dal pubblico.
P. M. Bruni: Chiedo il rinvio dell’udienza al pomeriggio
per poter prendere visione dei fascicoli procedurali.
La sua richiesta viene accolta dal Tribunale. Ma il
pomeriggio, alla riapertura dell’udienza, il pubblico rivedrà con stupore al suo posto il dottor Lanzi che chiede
subito la parola. Durante l’intervallo di mezzogiorno s’è
incontrato con il dottor d’Espinosa e l’incidente è stato
risolto.
P. M.: Il Tribunale, gli avvocati, il pubblico, tutti devono tener presente che io rappresento la legge, funzione altissima e nobilissima perché difendo la società
offesa. Se il pubblico fa parte della società, deve essermi
grato perché io la difendo. Esigo il rispetto non alla mia
persona ma alla mia funzione. Sono io che ho portato il
giudizio davanti a questo Tribunale, che da solo non
avrebbe potuto farlo. Tutti vogliamo, in collaborazione,
raggiungere la verità. Io ho ripreso il mio posto perché il
Presidente mi ha assicurato che non saranno più tolle-
rati disturbi ed intimidazioni. Lo ringrazio di questo suo
gesto di cortesia.
Pres.: Rivolgo un ammonimento al pubblico. Questo
processo è stato troppo drammatizzato. Si tratta di stabilire se un articolo costituisca reato. Si è fatto quindi
troppo chiasso. Se il Pubblico Ministero me l’avesse
chiesto con un‘altra frase, avrei fatto immediatamente
sgomberare l’aula. Vorrei ammonire il pubblico, e soprattutto i giovanissimi che si sono agitati (marinando
anche la scuola e invocando libertà e giustizia) che la
prima norma della libertà è il rispetto delle istituzioni.
Mi appello alla loro maturità perché abbiano un doveroso riguardo. Non tollererò più consensi né dissensi.
Avv. Sbisà: Noi del collegio di difesa siamo stati turbati per primi da queste manifestazioni. Siamo qui per
condurre un dibattito leale e sereno. Siamo coscienti
della delicatezza del processo. Ci associamo perciò
all’ammonimento del signor Presidente.
Il Presidente richiama sulla pedana il Provveditore agli
studi la cui deposizione era stata bruscamente interrotta dall’incidente del mattino.
Prof. Tornese: Vorrei completare quello che stavo dicendo stamani. Il professor Mattalia, quando s’iniziò il
procedimento, inviò una lettera per dirmi che si metteva a
mia disposizione. Io lo ringraziai dicendo che consideravo
la sua lettera come un gesto di cortesia nei miei confronti, che essa non aveva alcuna rilevanza ai fini amministrativi prima della conclusione di questo processo.
L’articolo poteva trovarmi consenziente in senso generale,
ma non per alcuni concetti espressi in forma drastica e in
un tono che non esito a definire inopportuno. Ritengo che
un argomento del genere possa essere trattato nell’ultima
classe degli istituti superiori, ma a condizione che
l’espressione del pensiero sia assicurata dalla vigile guida
e dal senso di responsabilità dei superiori.
P. M.: Sempre che lei, signor Presidente, ammetta la
domanda, vorrei avere dal provveditore un giudizio di merito: ritiene l’articolo consono alla scuola oppure immorale?
Gli avvocati si oppongono a questa domanda.
Pres.: Allora formuleremo il quesito così. Senza entrare
nel merito penale, considera l’articolo consono alla funzione educativa?
Prof. Tornese: Dovrei fare una premessa.
P. M.: Non vorrei premesse.
Pres.: No, lo lasci parlare.
Prof. Tornese: La circolare Martino del 1954 dice che i
giornali d’istituto devono essere considerati come
un’attività che si sviluppa nella scuola a fianco del consueto lavoro scolastico, quasi come un’espansione e un
ulteriore svolgimento di questo. Personalmente sono favorevole ad una interpretazione ampia della circolare, nel
senso che possono essere trattati anche altri argomenti di
carattere culturale...
P. M.: Culturale!...
Prof. Tornese: ...Purché siano adatti alla maturità intellettuale e spirituale dei giovani e si inseriscano nel contesto della funzione etico-educativa della scuola.
P. M.: Scusi Presidente se insisto nel concetto: l’articolo
è dentro o fuori dei limiti scolastici?
Prof. Tornese: L’articolo potrebbe rientrare nei limiti
delle pubblicazioni utili, ma non vi rientrano assolutamente le frasi incriminate.
P. M.: Le risulta che dei genitori abbiano ritirato i loro
figli dal “Parini”?
Prof. Tornese: Ho raccolto delle voci che però non ho accertato.
P. M.: Le sono giunte lamentele per i fatti in questione?
Prof. Tornese: Sì, numerose lamentele ma anche numerosi consensi che sono tutti consacrati agli atti. Alcune
lettere non sono anonime e provengono da genitori, insegnanti e anche estranei.
P. M.: Le risulta l’esistenza di un’associazione denominata “Gioventù Studentesca” di orientamento cattolico?
Prof. Tornese: Sì, credo che si tratti di un’associazione
interscolastica ma che opera fuori della scuola.
P. M.: Sa quanti siano i suoi iscritti?
Prof. Tornese: No.
Pres.: Si era mai posta la questione della registrazione
dei giornali d’istituto?
Prof. Tornese: Sono a Milano da un anno e mezzo. La
questione non mi era mai stata posta da nessun preside.
P. M.: Questa stampa da dove trae i mezzi per vivere?
Prof. Tornese: Mi risulta che alcuni sono pagati col ricavato della vendita, altri provvedono con la cassa scolastica, altri ancora con oblazioni volontarie.
Avv. Pisapia: Vorrei produrre un cospicuo campionario
di giornali studenteschi tutti pubblicati senza registrazione.
Pres.: Ne La Zanzara c’è della pubblicità. È ammesso
questo?
Prof. Tornese: I giornali esistono da vent’anni. Noi non
ci siamo mai interessati a questo genere di problemi. Il
problema è sorto solo con la faccenda de La Zanzara.
Posso precisare che i giornali d’istituto sono tenuti a rimettere copie ai provveditori e al ministero della Pubblica
Istruzione.
Avv. Delitala: A verbale.
P. M.: Ma da quanti anni questi foglietti hanno assunto
veste giornalistica?
Avv. Dall’Ora: L’avevano già ai miei tempi. Posso produrre un numero de La Zanzara di valore, direi, quasi
storico.
P. M.: Il signor provveditore può esibirci le lettere di
consenso e di dissenso a lui pervenute?
Avv. Smuraglia: D’accordo. Ma solo quelle firmate.
Terminata la deposizione del Provveditore entra in aula
l’ultimo dei testimoni: il commissario capo dottor Luigi Fargnoli dirigente dell’ufficio politico della questura milanese.
Pres.: Lei ebbe ad occuparsi de La Zanzara?
Dott. Fargnoli: Sì, quando uscì il Corriere Lombardo, me
ne occupai per informare il questore e, a questo scopo,
chiesi una copia de La Zanzara.
Pres.: Ma perché si mosse proprio l’ufficio politico?
Dott. Fargnoli: Perché noi ci interessiamo anche di tutti
i reati di stampa. Il preside promise di inviarci un esposto. Poi l’indagine fu affidata al dottor Grappone.
Pres.: Vada pure, dottor Fargnoli, e ci scusi di averla disturbata per nulla.
P. M.: Qualora il Tribunale ne sentisse la necessità, io
chiederei la citazione di sette genitori che hanno allontanato i figli dal “Parini,” al fine di sentire i motivi della loro
decisione.
Avv. Dall’Ora: Noi ci siamo già opposti all’inizio.
Avv. Delitala: Il procedimento sembra maturo per la discussione senza bisogno di ulteriori indagini.
Avv. Crespi: Vorrei far presente che tutti i ritiri di allievi
avvennero prima del 15 marzo e ciò è significativo, poiché, dopo quella data, gli alunni non avrebbero potuto
essere iscritti in nessun’altra scuola e avrebbero, quindi,
perduto l’anno. È evidente che quei ritiri furono dettati da
altre ragioni.
P. M.: Io invece ho fondati motivi per ritenere che siano
stati ritirati per questo malcostume. Comunque mi do-
mando se non sarebbe il caso d’interpellare l’associazione
“Gioventù Studentesca,” con sede in via Sant’Antonio 4, e
di cui è responsabile il signor Padovani. L’associazione,
infatti, ha raccolto 5200 firme di protesta per i fatti del
“Parini.”
Avv. Smuraglia: Ripetiamo che il processo non si risolve
su basi statistiche.
Avv. Delitala: Dovremmo comunque accertare se le
firme sono valide, poiché non possiamo mica accettarle
così. Ci vuole un’autentica del notaio eccetera, eccetera.
E sappiamo quale grado di protesta ciascuna di quelle
firme intende esprimere? Portiamo in aula le firme, e subito ci troveremo nelle condizioni di dover citare gli autori. Dopodiché noi porteremmo 20 o 30 mila firme e ricominceremmo da capo.
Il Tribunale, ritiratosi per decidere, dopo una brevissima
permanenza in camera di consiglio respinge anche l’ultima
istanza del dottor Lanzi e il Presidente annuncia: “Dichiaro
chiuso il dibattimento.”
Avv. Dall’Ora: Non sapevo che, oltre a decidere
sull’istanza del Pubblico Ministero, il Tribunale avrebbe
chiuso il dibattimento. Desidererei prima esibire i precedenti numeri de La Zanzara che danno una chiara visione del suo carattere e delle sue finalità.
Pres.: Ha la parola il Pubblico Ministero.
La requisitoria
P. M.: So che il mio compito non è facile perché mi si
accusa di rappresentare un’epoca superata. I censori non
sono mai stati simpatici alle folle. Ma io compio il mio dovere sociale che è quella di ristabilire un certo ordine nei
costumi moderni. La mia morale rifugge dal capovolgimento dei sacri principi che stanno alla base di una società sana. Né credo che essi siano superati, perché il
fragore interno ed esterno e contro la mia persona suscitato da questo processo, sta a dimostrare che i miei principi sono ancora validi.
Richiamare le norme morali che sono a base della società italiana, può dare, oggi, fastidio a qualcuno, ma noi
vogliamo salvare la morale e la società italiana. Del resto
siamo in buona compagnia: qualche giorno fa, nel corso
di un dibattito sul caso del “Parini,” si è appreso che il
ministro della Pubblica Istruzione ha proibito di usare,
come libro di testo nella scuola media inferiore “Pirandello” di Agrigento, il “Diario” di Anna Frank*
* La notte stessa il Ministero della Pubblica Istruzione smentiva di essere
intervenuto per proibire la divulgazione del “Diario” della Frank.
perché conteneva alcuni passi ritenuti immorali; e ciò
benché buona parte della stampa avesse salutato con favore l’adozione di quel libro. Ora la frase del “Diario” ritenuta immorale la seguente: “Seppi che quando nei campi
di concentramento si dormiva insieme, le donne diventavano gravide.” Ebbene, tale frase, che pure è un brillante
in confronto a quelle usate da La Zanzara, è stata soppressa. Del resto nelle scuole vengono purgati anche i testi classici. Ad esempio il Boccaccio, che pure è il maggiore dei nostri trecentisi viene mutilato di certi episodi
che possono incitare alla corruzione gli adolescenti. Altrettanto avviene per l’Orlardo Furioso... Questo per dimostrarvi che non vivo in un altro mondo e so essere sereno ed obiettivo.
Qui si è fatta una confusione enorme tra libertà di pensiero e libertà di sesso. Il problema sessuale deve essere
affrontato con gli adolescenti ad un livello scientifico, e
non abbassato, come hanno fatto i redattori del “Parini,”
a un livello che non esito a definire pornografico. Ne La
Zanzara si parla di libertà; ma la libertà degli uomini deve
differenziarsi dalla libertà degli animali.
La scuola deve insegnare a diventare uomini e ad affrontare quindi, i grandi problemi sociali, non quelli sessuali. Essa si rivolge a degli immaturi e non a dei maturi,
quindi l’educazione deve essere diversa, conforme all’età e
al sentimento medio degli adolescenti. Bisogna stare attenti anche alle interviste poiché gli immaturi non sanno
distinguere fra affermazioni in prima persona ed opinioni
riportate. Quindi l’educazione sessuale deve essere affidata a uomini maturi e non a degli irresponsabili.
Gli eccessi e le deviazioni de La Zanzara, che escono
dalla disciplina scolastica, sono purtroppo avvenuti
all’interno della scuola. Si va a scuola per elevarsi ed affinare il proprio spirito non per essere diseducati. Le frasi
usate da La Zanzara traumatizzano anche noi che siamo
maturi. Queste frasi sono contrarie alla libertà dei ragazzi
e anche dei genitori che dalla scuola vogliono educazione
e non diseducazione. Se esistono limiti per la stampa nei
confronti degli adolescenti, a maggior ragione devono
esistere per la stampa scolastica...
Ma si dirà: è possibile che adolescenti corrompano altri
adolescenti? Sì. L’articolo 14 della legge sulla stampa è
applicabile anche ai minori, ed ecco il perché
dell’accertamento sulle capacità di intendere e di volere...
Comunque il Tribunale, per sua stessa affermazione, ha
potuto giudicare la responsabilità di questi ragazzi attraverso i loro interrogatori.
Il giornale era diretto anche ai fanciulli: delle 800 copie
stampate, 700 furono vendute all’interno, le altre vennero
evidentemente diffuse fuori. L’articolo stesso de La Zanzara ammette che la morale media induce ad estraniarsi
da simili problemi, quindi qui ci troviamo di fronte ad articolisti maturi e corrotti che trattavano da imbecilli gli
altri, che cercavano di corrompere i meno maturi e i
meno corrotti. Si cerca di giustificare il contrasto tra questa élite e la massa con il pretesto della differenza di livello intellettuale, giungendo sino a definire retrogradi i
giovani che, invece di occuparsi di sesso, si appassionano
allo sport, agli svaghi leciti e sani, alle corse all’aperto. Si
esercita quindi su questi ultimi una pressione morale per
indurli ad elevarsi a livello dell’élite.
Si è invocata la Costituzione, ma l’articolo 21 di questa
ultima vieta le pubblicazioni e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume; l’articolo 29 riconosce i
diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio. Il matrimonio, nell’inchiesta, diventa uno
scherzo: ci si sposerebbe solo per interrompere gli studi,
avere un bell’appartamento, alzarsi tardi la mattina ed
essere serviti da quattro cameriere.
L’articolo 30 della Costituzione dà ai genitori il dirittodovere di educare i figli; e i genitori devolvono questo
compito alla scuola, che quindi non deve diseducare. Infine l’articolo 147 del codice civile stabilisce il dovere per i
genitori di educare i figli in conformità ai principi morali.
Ora è morale insegnare agli adolescenti l’uso delle pillole
antifecondative? E non mi si dica che quell’articolo è fascista, perché la dizione originale “educare i figli in conformità ai principi morali e al sentimento nazionale fascista,” è stata mutilata di quest’ultima parte; quindi si
tratta di una legge emendata dalla Repubblica. (Il pubblico ride)
Le intervistate dell’inchiesta “Che cosa pensano le ragazze d’oggi,” appartengono ad una élite che “accetta i
consigli dei padri solo se motivati.” Ora finché non sia accertato che il padre è un indegno o un delinquente, i figli
devono ubbidire. Qui si proclama la ribellione contro i
genitori, si parla di assoluta libertà sessuale e di modifica
totale della mentalità: e come affermazioni simili possono
lasciare indifferenti gli adolescenti che incominciano a
sentire l’urlo dei sensi?
(Un lungo brusio si leva dai pubblico. L’”urlo dei sensi” fa
sorridere la platea.)
... L’inchiesta afferma ancora: “Nel rapporto sessuale
l’importante è essere completamente uniti, e i figli sono
solo una conseguenza di secondo grado.” Questo è immorale, perché l’unione sessuale serve alla continuità della
specie, altrimenti il mondo non ci sarebbe più, e ormai
sarebbe solo nebbia e fumo. Il rapporto sessuale senza
fini procreativi è solo vizio. Dunque dobbiamo fermare il
malcostume alle porte della scuola.
(I ragazzi gremiti dietro le transenne ricominciano a
mormorare. Si sente gridare uh! uh! e il presidente agita il
campanello ed esorta tutti a non disturbare.)
... Lo so che ci sono anche qui degli animali. Continuiamo. Un’altra intervistata afferma: “Pongo limiti solo
per non avere conseguenze.” Bene, ditemi un po’: se vostro figlio tornando da scuola, vi chiedesse cosa sono gli
anticoncezionali, che cosa fareste? Per rispondere dovreste diseducarlo spiegandogli cose che susciterebbero in
lui curiosità morbose.
Altra frase: “Molti rapporti sono solo esperienze utili e
non capisco come non si vogliano affrontare.” Ebbene io
vi dico che la morale media italiana vuole che la sposa sia
illibata. Non dovete badare ad altre nazioni, ai paesi nordici o, che so io, al Congo.
Questa degli imputati è solo spregiudicatezza, sfrontatezza, esibizionismo, come quando nei salotti uno si
mette in mostra facendo lo spregiudicato. Ma andate poi
a vedere nella realtà: anche colui che ha sposato una
donna che ha avuto esperienze precedenti, ha il pudore di
tenerlo nascosto e dirà anzi che la sua è la più casta delle
spose. Se sono convinte di quanto affermano, perché
queste ragazze non vengono qui a ripeterlo pubblicamente? Ha ragione il professor Delitala quando invoca
un’indagine “Doxa,” ma dovrebbe essere a voto segreto
perché se no tutti farebbero gli spregiudicati. Anche noi,
ai nostri tempi, facevamo certi discorsi, ma con maggior
pudore, non andavamo ad esibirli in piazza. Non è vero,
avvocato Delitala?
Avv. Delitala (sorpreso dal sentirsi chiamare in causa):
Signor presidente, il Pubblico Ministero mi costringe ad
interromperlo.
P. M.: Lo so che lei la pensa come me.
Avv. Delitala: Aspetti almeno che glielo dica.
P. M.: Non può essere diversamente, perché lei è un
galantuomo.
Avv. Delitala: Se per essere galantuomini bisogna pensarla come lei... (ed allarga le braccia senza finire la
frase).
Pres.: Andiamo avanti.
P. M.: Sì. I sentimenti ed i pudori non li ho inventati io.
Le stesse ragazze intervistate, con tutta la loro impudente
spregiudicatezza, si vergognano di rivelare il loro nome...
Sempre ammettendo che le interviste siano veramente
state fatte... Ma siamo davvero tanto ingenui da voler
credere alla storia della “tavola rotonda”? Io sono convinto che nessuna ragazza ha manifestato quelle idee,
scaturite solo dalla fantasia esaltata dei redattori. Le virgolette, quelle vergognose virgolette ce le hanno messe
loro, non per contraddistinguere le opinioni altrui ma per
sottolineare le frasi più piccanti, per sollecitare gli istinti
più bassi e morbosi degli adolescenti. Sono ragazzi che
vanno alla ricerca di autosollecitazioni sessuali.
Se ognuno di noi venisse messo moralmente nudo... (La
gente ride) ...quante cose preferirebbe veder celate. Certe
cose si pensano, ma non si dicono, perché contrarie alla
morale.
Ma continuiamo a sciorinare queste perle. Perle di
fango. “La purezza spirituale non coincide con l’integrità
fisica.” Ma come si fa a dire cose simili? Come si può stimare una donna che non è integra?
E ancora: “La religione, in campo sessuale, è apportatrice di complessi di colpa... In amore non ci devono essere freni religiosi... La posizione della Chiesa ha provocato in me molti conflitti fino a quando non mi sono allontanata...”
Ora mi rivolgo agli onesti: la Costituzione impone sì o
no il rispetto del Concordato e quindi della morale religiosa che è stata acquisita dalla morale italiana? Queste
sono aberrazioni! Perfino nella splendente Roma dei Cesari, che pure era piuttosto corrotta, il poeta Ovidio fu
esiliato per aver scritto libri non osceni, ma immorali...
E consideriamo che nelle scuole si insegna la religione:
che penseranno gli adolescenti che ascoltano le lezioni di
religione e poi leggono affermazioni come quelle de La
Zanzara? L’etica e la morale italiana sono conformi alla
religione cattolica. Vogliamo dunque che gli adolescenti
siano atei e si ribellino ad ogni freno? Ma allora i genitori
si precipiteranno a raddoppiare le lezioni di religione.
Vorrei, signor Presidente, che queste frasi restassero
scolpite nelle vostre menti così che, in camera di consiglio, possiate riflettere su di esse e rendervi conto della
gravità del fatto. Il mio è un grido di dolore in difesa di un
principio che non è solo della Sicilia o della Calabria, ma
anche del Piemonte e della Lombardia, se è vero che anche qui un uomo che sposa una prostituta se ne vergogna. Siamo diversi dagli animali, perché non seguiamo la
morale della Zanzara, e se dovessimo seguirla, lo faremmo ben di nascosto. Anche noi abbiamo fatto le nostre cose, ma non ne parlavamo. E se si andava con una
ragazza, non ci facevamo vedere.
(Il pubblico rumoreggia.)
Forse che io sono il solo depositario dell’onestà, della
morale, della religione, una voce clamante nel deserto?
No, la maggior parte della gente la pensa come me... Professor Pisapia, noi che credevamo ai cavoli e alle cicogne...
Avv. Pisapia: No, no.
P. M.: Il problema sessuale va affrontato a livello scientifico o arriveremo al punto che le ragazze andranno in
giro con gli anticoncezionali in tasca e il materasso sulle
spalle. (Altro coro di proteste e altro scroscio di risate.)
Ridete, ridete pure, ma ci sarebbe da piangere, tanto il
problema è grave. La donna non ha più pudore, e senza
pudore la donna non è più donna. Noi l’abbiamo sempre
concepita come un angelo; pensarla in modo diverso è
immorale. Questi giovani maturi, responsabili, hanno
dimostrato un vero e proprio sadismo nel corrompere gli
altri. Ai miei tempi c’era Guido da Verona che noi leggevamo di nascosto. In confronto alle frasi de La Zanzara
quei romanzi sono libri da leggere in chiesa.
Il preside è il più responsabile di tutti perché ha permesso, lui che aveva il dovere di controllare, che cose simili avvenissero all’interno della scuola che deve educare
e non diseducare.
Sono convinto di aver esternato le idee della maggioranza degli italiani, delle persone per bene, della gente
onesta. Riflettete, o giudici, vi supplico! La vostra sentenza può essere una spinta decisiva per gettare la mo-
rale nel baratro! Ai nostri tempi si pensava a tutt’altro:
non c’erano gli obiettori di coscienza, i capelloni; noi rabbrividivamo al suono degli inni nazionali, si fremeva per
la Patria, non si parlava del libero amore, ma dei martiri
del Risorgimento.
La mia iniziativa ha avuto seguito, ha destato un’eco;
credevo di essere solo, invece ho ricevuto parole di incoraggiamento da ogni parte. I presidi si sono svegliati,
hanno proibito o censurato i giornaletti. Ripeto, rifletta il
Tribunale su che cosa potrà avvenire con il crisma della
sua sentenza. Se i principi verranno meno, tutto sarà travolto dall’ondata della corruzione e del malcostume, nessuno si salverà. Pensate che cosa sarà dei nostri figli e
dei figli dei nostri figli! Per la mia voce parla la società
buona, la società sana.
Esibisco una cartella che contiene le centinaia di lettere
che ho ricevuto da ogni parte d’Italia, da uomini politici,
parlamentari, intellettuali, insegnanti, da avvocati di Genova dove ero magistrato. Se il Tribunale vorrà prenderne
visione...
Concludendo chiedo la condanna di tutti gli imputati al
minimo della pena, con l’aggravante dell’abuso di ufficio
per il preside e con l’attenuante della minore età, già richiesta, per i ragazzi.
Pres.: Precisi le sue richieste.
P. M.: Mi limiterò a rimetterle il mio scritto.
Pres.: (legge le richieste.) Cinquantamila lire di multa al
preside Mattalia per aver omesso la registrazione; trentamila lire di multa per Marco De Poli per lo stesso fatto;
4 mesi, 15 giorni e sessantamila lire di multa al Mattalia
per concorso nell’incitamento alla corruzione; 2 mesi, 20
giorni, quarantamila lire di multa per lo stesso reato a
Marco De Poli, Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi e
Aurelia Terzaghi; dodicimila lire di ammenda ad Aurelia
Terzaghi per non aver depositato le copie del giornale. Sequestro del numero de La Zanzara contenente l’inchiesta.
Con le richieste del pubblico ministero si conclude la seconda giornata di udienze.
III giornata
All’apertura dell’udienza, alle 9,20, l’aula è gremita da
una folla straripante, come i giorni precedenti. Il pubblico è
lo stesso, ma di umore diverso. Dopo le dure parole accu-
satorie del dottor Lanzi, oggi ascolterà te parole dei sei avvocati di grande fama del collegio di difesa: il prof. Alberto
Crespi parlerà per il preside prof. Mattalia; il prof. Alberto
Dall’Ora, per De Poli; il prof. Giacomo Delitala, per Claudia
Beltramo Ceppi; il prof. Gian Domenico Pisapia, per Aurelia
Terzaghi; il prof. Carlo Smuraglia, per De Poli; l’avv. Enrico
Sbisà, per Sassano. Ma, come avevano preannunciato
all’apertura del dibattimento, ognuno di loro (di cui si riportano ampi stralci dell’arringa) parlerà per tutti gli imputati.
Pres.: La parola è al professor Dall’Ora.
Avv. Dall’Ora: Vorrei allontanare da quest’aula ogni impressione esterna alla causa. Non che mi meravigli delle
manifestazioni che sono avvenute; mi sarei meravigliato
del contrario, perché le giudico un fenomeno vitale, un
benefico scossone che ha consentito di intendere fino a
che punto siano giunti alcuni problemi. Dovrò fare, ovviamente, molte osservazioni su quanto ci ha detto
l’egregio rappresentante dell’Accusa. Ma il discorso col
Pubblico Ministero rischia di rimanere un discorso fra
sordi. Perché ieri, quando egli faceva della verginità femminile una specie di simbolo della civiltà, di emblema del
costume, a noi veniva in mente il costume di quei luoghi
dove si narra che il marito, la mattina della notte di
nozze, stenda alla finestra le lenzuola insanguinate per
dimostrare che la moglie era vergine. Se questo per il
Pubblico Ministero è buon costume, per noi è cattivo costume; se per lui è civiltà, per noi è un segno di barbarie.
Qualche tempo addietro, la nazione è rimasta sconvolta
da una sentenza su un delitto cosiddetto d’onore: ebbene,
quella sentenza era basata sulla medesima concezione,
sullo stesso tipo di civiltà in nome della quale il Pubblico
Ministero ha chiesto la condanna dei nostri assistiti. Dico
che quella da lui definita civiltà, è medioevo e neanche,
perché, come qualcuno ha fatto giustamente osservare, il
medioevo, riconosceva particolari libertà alle istituzioni
scolastiche. Dobbiamo quindi risalire alla preistoria, alle
concezioni tribali.
Né possiamo accettare, perché fuori d’ogni proporzione
logica e giuridica, le accuse rivolte agli imputati. Il paragone fra la libertà degli uomini e quella degli animali non
ha senso, poiché gli animali, non avendo coscienza, non
sono essere liberi. Già, soltanto il dire che La Zanzara è
un fenomeno bestiale a noi ripugna, dato che il bestiale
lo. vediamo piuttosto nel barbarico costume di esporre le
lenzuola insanguinate, e nel delitto d’onore, simboli della
civiltà a cui si riferisce il Pubblico Ministero.
La causa ha due aspetti: la mancata registrazione (e il
conseguente omesso deposito de “La Zanzara”) e
l’incitamento alla corruzione.
Cominciamo dal primo. Il Pubblico Ministero non ne ha
quasi accennato, come se, in proposito, non ci fosse nessuna questione. Ora la legge sulla stampa non si è mai
preoccupata dei giornali d’istituto: abbiamo quindi una
lacuna. La circolare del Provveditore professor Tornese,
del 4 gennaio 1965, dichiara che “le organizzazioni studentesche sono oggetto di scarsi riferimenti da parte del
ministero” e che “allo stato attuale l’organizzazione di
esse è rimessa ai capi degli istituti.” La situazione dei
giornaletti è una conseguenza di questa lacuna. La loro
diffusione maggiore o minore non ha qui alcun interesse
poiché ci troviamo di fronte a un caso unico e singolare.
Infatti altre pubblicazioni, pur ristrette a particolari categorie o associazioni, hanno tuttavia un ambito ideale; qui
invece abbiamo un ambito fisico, materiale, che si racchiude fra le mura del liceo “Parini.”
In ogni caso l’articolo 14 potrebbe sempre essere applicato: non sarebbe giustificato il timore dell’impunità. Ma
aspettiamo che il Parlamento decida sia sulle associazioni
sia sui giornaletti per i quali si invoca una regolamentazione. Comunque, la presenza della pubblicità su La Zanzara e il suo prezzo di vendita non hanno alcuna influenza sul problema. La pubblicità era, per così dire, familiare, perché si trattava in pratica di sovvenzioni di parenti e di genitori. Sia chiaro che accettare la tesi del
Pubblico Ministero ed equiparare i giornali d’istituto alla
stampa normale, significherebbe segnare la loro fine.
Passiamo all’incitamento alla corruzione. Che rapporto
esiste tra l’art. 14 della legge sulla stampa e l’art 528 del
codice penale relativo alle pubblicazioni oscene? Secondo
gli uni, l’immoralità in rapporto agli adolescenti, stabilita
dall’articolo 14, costituisce un reato completamente diverso dalle pubblicazioni oscene. Secondo altri, invece,
l’articolo 14 rappresenta non una nuova figura di reato,
ma uno speciale criterio interpretativo del 528.
La tesi forse più accettabile è quella intermedia, e cioè
quella che si tratti di un reato attenuato, di
un’immoralità che non raggiunge l’oscenità.
Ma esiste, nel caso, un incitamento alla corruzione? Per
rispondere dobbiamo porci altre due domande. Che cosa
è La Zanzara? Chi è Marco De Poli? La Zanzara è un
giornale che ha già una lunga storia. Nel numero stampato il 26 luglio 1945 troviamo un articolo violento contro
la monarchia, accanto ad un altro favorevole; quindi, fin
da allora, si ospitavano diverse opinioni. C’è anche un
articolo di un neofascista, seppur affiancato da un severo
commento redazionale di condanna. La tendenza
all’inchiesta rivela, insomma, un bisogno di sapere e di
far sapere. Ad esempio; in un altro numero si chiedono
agli intervistati i nomi di tre gerarchi fascisti: ed ecco una
risposta che accomuna Mussolini, Badoglio, Hitler e
Fanfani (il pubblico accoglie la battuta con una risata).
Troviamo delle recensioni cinematografiche con un attacco a fondo contro il “Vangelo” di Pasolini, pur accettato da gran parte della Chiesa. Troviamo un’inchiesta
sulla gioventù “beat”, ben diversa, egregio Pubblico Ministero, ,la quella che voi avete messo sul banco degli imputati.
In altri articoli si lamenta lo scarso interesse della
stampa adulta per la scuola e in generale degli adulti per
i problemi dei giovani. Avvicinandoci al tema incriminato,
leggiamo un articolo sulla pansessualità freudiana. Poi,
ospitando interventi di Calamandrei e di Calogero, La
Zanzara sembra assumere un tono radicaleggiante; tuttavia continua a contenere inviti a tutti perché collaborino, quasi ricordando, all’insegna di Calamandrei, che “i
soli sovversivi oggi sono i conservatori.” In ogni caso
siamo sempre su un piano di serietà.
E chi è Marco De Poli? Ve lo ha detto il preside, lo dice
la sua attività, ve lo dice la serietà con cui si impegna
nella suola e fuori della scuola. La pagella costellata di 8
e di 9 è la sua vera scheda biopsichica, egregio Pubblico
Ministero!
Veniamo all’accusa di incitamento alla corruzione. Anzitutto si pone il problema della morale. La morale della
vostra sentenza deve essere la morale statuale. E qual è
la posizione del minore in questa morale? La risposta può
darla l’articolo 519 del codice penale relativo alla violenza
carnale. In questo articolo, infatti, si precisa che la presunzione di violenza incomincia solo dai 14 anni in giù:
pertanto la legge implicitamente ammette che il quattordicenne può dare il suo consenso all’atto sessuale. Resta
quindi difficile presumere il reato di istigazione alla corruzione, così come il pubblico ministero lo ha configurato. Il dottor Lanzi ha confuso quello che trattavano i
giovani nell’inchiesta de La Zanzara. Essi si proponevano
il problema della libertà sessuale, non quello della libertà
di prostituirsi così come invece ha loro rimproverato.
Quella de La Zanzara non era un’istigazione a rapporti
sessuali illimitati, ma un’esposizione di principi e di
scelte, e neanche attuali. Ecco perché questo processo è
molto più diseducativo de La Zanzara. Volete sentire
quello che ha scritto in proposito l’imperturbabile “Times”
che non si sconvolge mai, sollevando appena un sopracciglio (l’altro l’aveva sollevato per il delitto d’onore)?: “Le
risposte dimostrano che la maggioranza delle ragazze accetta la morale tradizionale italiana ispirata dalla Chiesa;
altre invece espongono opinioni contrarie in tono crudo,
ma in maniera distaccata, obbiettiva, senza traccia di
morbosità.” L’inchiesta può essere superficiale, incompleta, ma ciò non toglie che sia una inchiesta, a meno di
voler credere all’insinuazione (non c’è altro termine per
definirla) del Pubblico Ministero secondo cui la “tavola
rotonda” organizzata per raccogliere le interviste non sarebbe stata fatta.
In materia di articolo 14 le sentenze sono scarse poiché
si è compreso che tale articolo è uno strumento delicato,
il quale potrebbe, al limite, togliere le libertà costituzionali. Così la procura di Milano aveva sequestrato questi
fumetti che esibisco, “Kriminal,” “Satanik,” “Diabolik,”
“Sadik,” anche se recavano l’avvertimento “per adulti,”
ritenendoli “rigonfi di violenza e di sesso” e ne aveva ordinato il sequestro. Ci furono anche degli echi nella cronaca poiché al giovane Carmine D’Arconte che pugnalò
un vicino di casa fu trovata in tasca una mascherina nera
simile a quella dei protagonisti dei fumetti. Ebbene, si
possono paragonare quelle pubblicazioni all’inchiesta
asettica de La Zanzara? La mancanza di scrupoli e la
bassezza di certi industriali dell’editoria che lucrano su
istinti morbosi, si possono paragonare alla pulizia mentale degli attuali imputati che condannano i film erotici e
ne parlano con ripugnanza?
Ebbene, quell’ammirevole magistrato della nostra procura che è il dottor Guicciardi, ha chiesto l’archiviazione
della pratica riguardante quegli editori ritenendo che i
fumetti non superassero “i limiti della tollerabilità,” proprio perché aveva intuito la delicatezza dell’articolo 14. La
Cassazione, da parte sua, ha giudicato valida
l’applicabilità dell’articolo 14 in un caso ben diverso da
questo, con una sentenza del 1953 relativa a due pubbli-
cazioni, “Calamity Jane” e “Pantera Bionda” dove, cito testualmente “le protagoniste apparivano quasi ignude, accennando con gesti osceni alle parti pudende”; essa riteneva che quella stampa fosse di fatto riservata agli adolescenti perché “solo adulti privi d’intelligenza potevano
prendere interesse a vicende così infantili.”
Qui, poi, si sono confuse la morale e il buon costume,
con una contaminazione che direi concordataria: infatti il
codice di diritto canonico mette in primo piano i figli e
solo dopo l’unione sessuale. Ma il Concilio Vaticano II ha
discusso proprio per elevare questo secondo fine al livello
giuridico e morale dell’altro. Evidentemente, i padri conciliari vanno più avanti della procura della repubblica di
Milano, riabilitando contro il “crescete e moltiplicatevi”
l’altra affermazione “I due saranno uno in una sola
carne.” II Concilio ha ammonito anche: “Evitiamo di ripetere il processo di Galileo.” Questi fatti sono noti a
tutti, ignoti solo al Pubblico Ministero.
La stessa sentenza della Corte Costituzionale relativa al
divieto della propaganda anticoncezionale (che si trovava
nel codice sotto il titolo “Difesa della razza” poiché occorrevano più figli per popolare l’impero) ha affermato, con
esplicito riferimento alla sensibilità morale dei giovani,
che la propaganda generica è consentita. Quindi, a proposito di buon costume, è lecito che i giovani ne discutano, tanto più che la pubblicità di questi problemi si
trova in tutti i giornali (con titoli del genere: “Le pillole,”
“Le pillole in farmacia,” ecc.) e che anche i sacerdoti cattolici accettano di trattarli. Sarà questione di forma, bisognerà che i giovani non siano lasciati soli e ne discutano
con gli educatori; però la questione continua ad essere di
forma e d’opportunità, non di moralità.
Un sacerdote ha iniziato - riferisce La Stampa - un ciclo
di lezioni sessuali; un altro su un diffuso settimanale ha
scritto che “non si può più rispondere ai giovani che pongono domande sul sesso: ‘Prega la Madonna e non ci
pensare.’” Speriamo che lo scossone di questi giorni serva
a qualcosa, altrimenti la vita nazionale rimarrebbe una
morta gora.
Il Pubblico Ministero ha già stabilito l’equivalenza:
l’inchiesta è immorale perché non è educativa. Ora il problema da risolvere non è se sia educativa o no, ma solo se
l’averne pubblicato i risultati costituisca un delitto. Per
assurdo si può sostenere che potrebbe anche essere diseducativa e non essere un delitto. Quindi il problema che è
stato arbitrariamente introdotto in quest’aula deve
uscirne.
Rinviamo a scuola questi ragazzi che sono seri, forse
più seri di tanti adulti. Tornino al liceo dove impareranno
che Ovidio fu allontanato da Roma per ragioni oscure,
estranee alle sue opere. Qualcuno dice che sia stato punito perché frequentava la figlia dell’imperatore: in tal
caso credo che nessuno l’avrebbe salvato anche se avesse
scritto carmi edificanti.
Signori del tribunale, vi chiedo di assolvere Marco De
Poli con la formula del fatto che non costituisce reato.
Pres.: La parola è al professor Smuraglia per De Poli.
Avv. Smuraglia: È con commozione e con una certa tristezza che si prende la parola per difendere Marco Poli,
data la sua età e il reato che gli viene contestato. Siamo
tristi perché non fa piacere a nessun uomo civile vedere
imputati degli scolari e il loro preside. Siamo tristi perché
vediamo tre giovani davanti al tribunale. Il Pubblico Ministero si vanta di averli trascinati qui; noi ne siamo addolorati. Veramente un fossato ci divide dal Pubblico Ministero il quale, abbastanza arbitrariamente, sostiene di
rappresentare la società.
Pres.: La prego di attenersi ai fatti.
Avv. Smuraglia: Mi consenta, signor Presidente. Per oltre due ore abbiamo ascoltato pazientemente il Pubblico
Ministero senza sentire un solo argomento giuridico. Abbiamo visto questi giovani citati qui con rito direttissimo
mentre altri processi ben più gravi attendono per anni.
Abbiamo visto il rigore della legge sulla stampa abbattersi
solo su La Zanzara definita clandestina, mentre non si
sono ancora perseguiti i volantini di protesta che pur
erano anonimi. Non sono episodi contingenti, ma investono problemi molto più vasti. E considero ipocrita sostenere la necessità degli scandali: i problemi dovrebbero
essere risolti nella loro sede.
Il problema della registrazione è un problema di libertà.
Vi chiediamo quali giudici dovete essere: giudici che si arrestano alla forma astratta o giudici che cercano il senso
vero della legge in rapporto ai fatti sociali? Giudici che
esercitano una funzione meccanica o rendono una giustizia vera? La Zanzara, organo di un’associazione ufficiale,
è oggetto di una diffusione interna, recava i nomi del direttore, dei redattori, dei tipografi; non sfuggiva, quindi,
ad alcun controllo, e la definizione di stampa clandestina
appare, perciò, veramente strana. Veniva diffusa solo in
un liceo e classe per classe, come abbiamo sentito. è possibile che qualche copia sia uscita fuori, ma questo che
cosa cambia? Sappiamo anche come viveva La Zanzara;
la pubblicità era la forma più simpatica di sovvenzione da
parte di genitori e di parenti. Ci mostrassero, così, tutti i
giornali, i loro finanziatori! Sappiamo ancora che La Zanzara ha vent’anni, che ci sono altri giornali d’istituto, che
nessuno mai è stato registrato. Il provveditore vi dice che
il problema non, si è mai posto; la circolare ministeriale vi
parla di libertà e di autonomia, sotto un certo controllo,
ma non sotto la direzione dei superiori che dovrebbero
compiere “interventi soltanto orientativi.” Neanche il ministero si preoccupa...
Pres.: Capita, in Italia!
Avv. Smuraglia: Ma perché nessuno ha mai invocato la
legge sulla stampa, perché il Pubblico Ministero non è
intervenuto prima, se il reato si perpetuava da anni? Il
problema scoppia solo ora e per ragioni di contenuto, non
di forma. II vero motivo è questo: è convinzione generale
che la legge sulla stampa non si applichi ai giornali
d’istituto.
Non esiste in materia né dottrina né giurisprudenza.
Frugando dappertutto, ho trovato un solo articolo di dottrina su una rivista locale, dove si afferma che “la prassi
in atto, non prevista da alcuna norma, costituisce una
deroga alla legge in vigore, una deroga inevitabile.” La verità è che la legge sulla stampa, se non è un aborto è almeno un settimino, approvato in fretta dalla Costituente
perché urgevano altri problemi. Lo prova il fatto che sui
quarantuno articoli del progetto, ne sono rimasti solo
ventiquattro, e che il governo, il quale si era impegnato a
stabilire norme di attuazione, non ha ancora fatto onore
all’impegno.
L’attento esame dei lavori preparatori in seno alla Costituente dimostra che nessuno pensò minimamente ai
giornali studenteschi. Ora, il fatto che il problema non fu
neppure considerato, come pure il fatto che successivamente alla entrata in vigore della legge sulla stampa, per
diciotto anni, nessuno mai ha sollevato la questione, dimostrano che vi è una convinzione generale di estraneità
del fenomeno dall’ambito di applicazione della legge sulla
stampa. La dottrina giuridica ha ormai elaborato a fondo
il problema dei limiti taciti della norma penale, giungendo
al convincimento che non solo sono concepibili dei limiti
oggettivi, ma anche dei limiti soggettivi taciti.
Ogni volta che l’applicazione rigorosa e formalistica di
una norma condurrebbe a risultati iniqui, l’interprete
deve. porsi il problema dei limiti taciti e indagare se vi sia
una esclusione tacita della fattispecie dall’ambito di applicazione della norma, se il precetto sia o meno soggettivamente esigibile nei confronti di determinati soggetti, se
si sia formata una consuetudine interpretativa, se infine
la materia - non regolata dalla legge - trovi ormai la propria disciplina in altre fonti extralegislative.
Si tratta di una vasta problematica, che si collega a
quella
relativa
alla
concepibilità
di
lacune
dell’ordinamento giuridico ed alla possibilità che esse
vengano colmate mediante fonti extralegislative.
Orbene, chi compie siffatta indagine in relazione ai
giornali studenteschi, rileva immediatamente che essi
non sono stati presi in considerazione dal legislatore costituente e che il precetto è sostanzialmente inesigibile
nei confronti dei giovani studenti. In realtà, se si applicasse a questi giornali la legge sulla stampa, occorrerebbero un direttore ed un proprietario maggiorenni. Il che
muterebbe profondamente la sostanza e la natura di questi giornali e farebbe venir meno la loro finalità.
Anziché in un ambito di piena autonomia, quale palestra democratica dei giovani, essi verrebbero a trovarsi
sotto la direzione e il controllo di adulti, magari estranei
all’ambiente scolastico, sicuramente estranei - in ogni
caso - al corpo studentesco. Ne deriva chiaramente
l’inesigibilità del precetto nei confronti dei giovani studenti; il che conferma l’esistenza di un limite tacito delle
norme sulla stampa a riguardo dei giornali studenteschi.
La verità è che questa materia ha assunto una propria
disciplina autonoma e trova la sua regolamentazione in
fonti del tutto extralegali. La scuola può e deve essere
concepita come un’istituzione la cui finalità non è solo
quella di istruire, ma anche quella di educare. Nell’ambito
di questa istituzione si è formato, come sempre accade,
un complesso di norme e di regole che disciplina la vita
delle associazioni studentesche, la pubblicazione dei loro
giornali e così via.
Si obietterà che le norme interne delle istituzioni non
possono derogare alla disciplina dell’ordinamento giuridico statuale. Ma l’obiezione appare infondata, ove si
consideri quanto già si è detto e cioè che tutta questa
materia non rientra nell’ambito della legge sulla stampa.
Le regole interne dell’istituzione-scuola non derogano
dunque alla legge generale, ma operano in una zona permissiva, in quanto non considerata dalla legge. In altre
parole, esse colmano una lacuna dell’ordinamento, senza
porsi minimamente in contrasto con esso.
Un fenomeno del genere deve essere considerato ed apprezzato con entusiasmo, e non soffocato. La tendenza a
ricondurre tutto nell’ambito della legge statuale è contraria alla dinamica del diritto ed alla esigenza di una stretta
connessione tra esso e la realtà viva.
Il fenomeno del pluralismo giuridico, come pure quello
del nascere di un diritto vivente, che affonda direttamente
le radici nella realtà, sono fattori di progresso sociale. E
la scuola è un esempio caratteristico di quanto importante possa essere la formazione autonoma di un complesso di regole, dirette a consentire la libera formazione
ed il pieno sviluppo della personalità dei giovani.
Non soffochiamo dunque il fenomeno della stampa
scolastica, con l’imporre ad essa dei limiti e delle regole
che non le si addicono. Lasciamo che essa si sviluppi secondo l’esperienza e la pratica, in un ambito che la legge
non ha voluto considerare proprio per le sue caratteristiche del tutto peculiari.
Se poi tutto questo non apparisse convincente, allora
bisognerebbe fare i conti con un altro e più delicato problema, che investe la stessa legittimità costituzionale
della legge sulla stampa. Si renderebbe infatti impossibile
l’esercizio della libertà di stampa a tutti coloro che hanno
meno di 21 anni. E questo rappresenterebbe una concreta violazione non solo dell’art. 21 della Costituzione,
ma anche dell’art. 3 della Carta Costituzionale, che consacra solennemente il principio di uguaglianza.
È pacifico ormai che la maggiore età, richiesta dal diritto privato, non è presupposto necessario per il godimento dei diritti pubblici. Anzi, per questi ultimi, l’età è
di regola irrilevante e la capacità da considerare è solo
quella naturale.
Ciò è provato, del resto, dal fatto che lo stesso legislatore costituente ha esplicitamente indicato dei limiti inerenti all’età, quando lo ha ritenuto necessario (ad esempio, proposito dell’elettorato).
Non può, dunque, il legislatore ordinario sopprimere un
diritto costituzionalmente riconosciuto solo in considerazione dell’età del soggetto. Ove dunque si interpretasse
così la legge sulla stampa, ne deriverebbe la conseguenza
della sua illegittimità nella parte con cui si fissano limiti
di età per rivestire la carica di direttore di un giornale.
Né si dica che si tratterebbe solo di un limite di esercizio. Data la natura dei giornali studenteschi,
l’imposizione di un limite di età agli effetti della carica di
direttore, costituisce un impedimento assoluto, che incide
sulla stessa struttura del diritto in questione e cioè della
stessa libertà di stampa.
È giunto dunque il momento di trarre le conclusioni: i
giornali studenteschi non rientrano nella previsione della.
legge sulla stampa e sono regolati soltanto dalle norme
interne dell’istituzione-scuola. La pretesa di applicare la
legge sulla stampa a questi giornali si porrebbe in chiaro
contrasto, oltreché con la coscienza sociale, con precise
norme costituzionali.
Il problema è assai vasto e delicato e su questo richiamiamo l’attenzione dei giudici: al di là del caso de La
Zanzara, si pone l’intero problema della stampa studentesca e della sua possibilità di esistenza e di sviluppo.
Noi chiediamo ai giudici di Milano di difendere, con la
loro sentenza, quelle esigenze di democrazia e di libertà
che sono alla base del fenomeno dei giornali studenteschi.
Pres.: Ha la parola il professor Pisapia per la signora
Terzaghi.
Avv. Pisapia: Ho ascoltato con attenzione e con rispetto
le conclusioni del Pubblico Ministero, convinto come sono
che egli abbia espresso con sincerità, anche se con particolare vivacità, un suo stato d’animo in relazione ad un
episodio di cui ha ritenuto di sottolineare piuttosto i presunti profili etici, più che cercare di individuare i precisi
contorni giuridici. Ma devo subito aggiungere che, ascoltando la drammatica, quasi apocalittica invocazione con
cui ha concluso la sua requisitoria - che ci ha fatto sentire in un altro processo, in un’altra epoca - io mi sono
sinceramente chiesto se egli avesse ben presente
quell’articolo e quel foglio studentesco che è al vostro
esame, se, parlando di “valanga inarrestabile del malcostume” che voi dovreste arginare con la vostra sentenza,
egli sentisse di potersi seriamente riferire a questo modesto episodio, di cui - un po’ per l’intervento di circostanze
particolari ed un po’ per la volontà stessa di chi ha promosso questo giudizio - si è alterata completamente la
dimensione morale e giuridica. Quando il Pubblico Ministero vi parla di danno incalcolabile provocato alla società
offesa da questo articolo, io mi domando se non gli sia
sorto il dubbio che il preteso danno sia derivato non
tanto dall’articolo di questi ragazzi, in cui nulla di osceno
o immorale può riscontrarsi, quanto dalla pubblicità che,
non certo per opera loro, ne è seguita.
Poiché il Pubblico Ministero ha rivendicato a sé il merito di aver portato questo caso davanti a voi, occorre che
egli si assuma la parte di responsabilità che gli compete e
che si chieda se la sua iniziativa non abbia. per caso accresciuto quel turbamento dell’opinione pubblica di cui
attribuisce la responsabilità agli imputati.
Alla signora Terzaghi, che io difendo, sono state mosse
contestazioni. La prima, ai sensi dell’articolo 58 del codice penale, in relazione all’articolo 14 della legge sulla
stampa, perché avrebbe omesso di esercitare sul contenuto del periodico La Zanzara il controllo necessario ad
impedire che apparisse l’inchiesta “Che cosa pensano le
ragazze d’oggi,; la seconda, ai sensi degli articoli 1 e 8
della legge 2 febbraio 1939, per non aver consegnato
prima della diffusione de La Zanzara gli esemplari
d’obbligo alla Prefettura e alla Procura della Repubblica
di Milano.
La prima imputazione è frutto di un evidente e grave
equivoco giuridico; la seconda può avere apparenza di
fondamento, ma merita tuttavia qualche considerazione.
Per quanto concerne la prima imputazione sarebbe bastato che il Pubblico Ministero che ha formulato la richiesta del decreto di citazione, si fosse dato pena di rileggere, per un istante, l’articolo 58 del codice penale, per
rendersi conto della assoluta inconsistenza dell’accusa.
L’articolo 58 prevede, infatti, che, in caso di stampa clandestina (denominazione con la quale il codice impropriamente designa le pubblicazioni per le quali non sono
state osservate le prescrizioni di legge), si applichino le
disposizioni degli articoli precedenti. Quindi, nel caso di
stampa periodica - salva la responsabilità dell’autore
dell’articolo – risponde il direttore o il vice direttore responsabile, il quale abbia omesso di esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario per impedire che
siano commessi reati; nel caso di stampa non periodica
risponde l’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto
o non imputabile, oppure lo stampatore, se l’editore non è
indicato o non è imputabile.
Anche ammesso, quindi, che l’articolo dei tre studenti -.
fosse osceno o immorale - ciò che si deve escludere per
ragioni già dette dai precedenti difensori - in nessun caso
potrebbe essere chiamata a rispondere la signora Terzaghi, stampatrice, essendo noti ed imputabili nella specie.
sia gli autori dell’articolo, sia il direttore del giornale. Ma
io non intendo trincerarmi dietro questa difesa puramente formale, desiderando esprimere qui decisamente
mia solidarietà con i difensori dei redattori de La Zanzara, in quanto non vedo assolutamente come si possono
ravvisare, nell’articolo incriminato, gli estremi del reato
cui all’articolo 14 della legge sulla stampa, e cioè una
idoneità ad offendere il sentimento morale degli adolescenti o ad incitarli alla corruzione.
Tutte le considerazioni svolte dal Pubblico Ministero su
questo punto sono viziate da un grave difetto di prospettiva. Innanzitutto egli ha parlato delle opinioni riportate
nell’articolo incriminato come se esse fossero condivise ed
avallate dai tre giovani autori, mentre essi le hanno riferite come opinioni altrui, e, per di più, in modo del tutto
distaccato e senza mai indugiare su particolari scabrosi o
sconvenienti. L’articolo, considerato nel suo complesso,
ha un impronta di indiscutibile serietà, così come alla
massima serietà e dignità si ispira tutto il giornale: basta
leggere proprio il numero in cui è apparso l’articolo incriminato, che contiene delle ottime recensioni teatrali
(come quella alla “Cimice” di Maiakovski) e una inchiesta
condotta con equilibrio e serietà sui libri di testo, che dimostra, tra l’altro, come il sistema delle inchieste sia
abituale fra i redattori de La Zanzara.
Ma vorrei qui parlare non solo come avvocato: mi sono
fatto un piccolo esame di coscienza come padre di sette
figli. Il Pubblico Ministero si considera il rappresentante
del mondo degli onesti, della gente per bene; noi respingiamo queste distinzioni arbitrarie. Qui si tratta di vedere
se era onesto trattare il problema e se il problema fu
trattato onestamente; si tratta di vedere se si è dato lo
spunto al benché minimo atteggiamento che potesse turbare le persone. Ebbene, nell’inchiesta de La Zanzara,
non troviamo niente di simile, nessuna insistenza o compiacenza su particolari scabrosi. Eccovi, invece, pubblicazioni cattoliche: “Problematica dell’amore nei giovani” di
Gerald Kelly, edita dal Centro Studi Statali di piazza San
Fedele e “Saper amare” dell’abate Oraison, delle Edizioni
Paoline: entrambe con l’imprimatur delle Autorità Ecclesiastiche. Ebbene, mentre abbiamo potuto leggere tranquillamente, qui, La Zanzara, io non oso leggere in pub-
blico le espressioni contenute in quel libri, pur destinati
alla gioventù...
Pres.: Posso sempre far sgombrar l’aula!
Avv. Pisapia: Non vorrei stimolare le iniziative del Pubblico Ministero...
Pres.: Stia tranquillo, la competenza sarebbe di altre
città.
Avv. Pisapia: Ebbene, nella prefazione di uno di questi
libri, si dice: “Giovanotti, ragazze, leggete perché qui troverete gli argomenti che altrove sono considerati tabù di
cui vergognarsi...” Tanto più che anche i genitori, generalmente, non parlano di queste cose ai ragazzi tra i 12 e
i 15 anni.
Avv. Delitala: Posso vedere quei libri?
Avv. Pisapia: Prego, se desideri istruirti... (Ilarità nel
pubblico). Ma il problema è serio. Eccovi anche una pastorale dell’episcopato tedesco che raccomanda ai genitori
di dare ai figli un’educazione sessuale sia pur sommaria e
cauta, senza cioè indugiare sui particolari, prima che gli
stessi figli vadano a scuola onde evitare il pericolo di torbide spiegazioni; qui si tratta di bambini tra i 9 e i 12
anni. Potrei anche citarvi il notissimo volume di Padre
Gemelli su “La psicologia dell’età evolutiva.”
Cito questi libri, si badi bene, non certo per affermare
essi siano osceni od immorali ma solo per dimostrare le
stesse pubblicazioni cattoliche affrontano apertamente,
come è giusto, i problemi della educazione sessuale dei
giovani e degli adolescenti, non trascurando neppure il
problema del controllo delle nascite, del quale si è occupato - come è noto - anche il Concilio, e rispetto al quale
è giusto che i giovani siano informati, se possono arrivare
al matrimonio, sia per la legge civile che per quella canonica, a quattordici anni ed in casi particolari anche
prima... Questo vi conferma che la impostazione del Pubblico Ministero appartiene, come egli stesso ha riconosciuto nell’esordio, ad un mondo sorpassato; un mondo
che egli crede migliore, mentre è soltanto caratterizzato
dalla ipocrisia e da falsi pudori, che germinano - essi sì quei complessi sessuali e quella tendenza alla corruzione
da cui ci si libera solo affrontando questi problemi con
sincerità, con semplicità e, soprattutto, con intima onestà
di intenti. E passiamo alla seconda imputazione di cui si
fa carico alla Terzaghi: quella di omesso deposito delle
copie prescritte alla Prefettura ed alla Procura della Repubblica, prevista dagli articoli 1 e 8 della legge 2 feb-
braio 1939, modificata dal Decreto legge del 31 agosto
1945.
.Si tratta di una ipotesi contravvenzionale, per la quale
chiedo scusa se intrattengo per qualche minuto il Tribunale, convinto come sono che anche da questo minore reato la Terzaghi debba essere assolta.
II problema, qui, è meno semplice. La signora Terzaghi
ha lealmente ammesso di non aver effettuato la consegna
delle copie, ma ha contemporaneamente spiegato le ragioni di tale omissione: le stesse per le quali non è avvenuta la registrazione del giornale studentesco, fatto,
quest’ultimo, di cui la Terzaghi non è imputata.
La prima domanda che ci si deve porre, a questo riguardo, è la seguente. Se è vero, come è vero, che trattandosi di un giornale studentesco, non è applicabile la
legge sulla stampa, non essendo concretamente configurabili ed attuabili quegli obblighi che la legge prevede per
la stampa degli adulti - fra cui, in primo luogo, l’obbligo
della registrazione - come è possibile pensare ad un obbligo di consegna degli stampati?
Non v’è dubbio che ci troviamo, nella specie, di fronte
ad una stampa del tutto particolare, che non può farsi
rientrare neppure nella definizione offerta dall’articolo 1
della legge sulla stampa, perché non può dirsi “destinato
alla pubblicazione” uno stampato che abbia dei destinatari circoscritti e limitati, appartenenti ad un mondo tutto
particolare, qual è il mondo studentesco, disciplinato da
regole sue proprie, che possono talora essere perfino in
apparente contrasto con l’ordinamento giuridico statale.
Non penso certo di farvi qui un discorso sulla pluralità
degli ordinamenti giuridici e sulla configurabilità
dell’ordinamento scolastico come istituzione a sé stante;
ma è certo che esistono consuetudini studentesche (pensate agli scherzi, talora atroci, che si improvvisano in occasione della festa delle matricole o, ai duelli studenteschi che si fanno in Germania) le quali coprono con la
immunità fatti che altrimenti potrebbero essere considerati come penalmente rilevanti. Che la consuetudine sia
un fatto normativo che pone in essere, come tale, una
norma giuridica allo stesso titolo delle altre fonti giuridiche, indipendentemente dalla opinio iuris atque necessitates, è ormai riconosciuto dalla più autorevole dottrina (e
ricordo per tutti il Bobbio). Poiché la legge non può essere
onnipresente né onnipotente, è perfettamente comprensibile che, là dove non giunge la regolamentazione legisla-
tiva o anche in una direzione apparentemente contraria,
sorga una consuetudine integrativa ed, entro certi limiti,
abrogativa.
In questi casi il compito della giurisprudenza è veramente superiore. Voglio ricordare, a questo proposito,
l’insegnamento di un grande giurista scomparso, Piero
Calamandrei, che in un suo indimenticabile saggio su “La
funzione della giurisprudenza nel tempo presente” ammoniva: “Il giudice deve essere un vivo e vigile interprete
dei tempi e tanto meglio adempie alla sua funzione quanto
meglio riesce a sentire le esigenze umane della storia e a
tradurle in formule appropriate.” La legge scritta non è un
chiuso microcosmo giuridico, entro il quale tutto il diritto
abbia a sua unica fonte, perché non v’è ordinamento giuridico che non abbia le sue finestre aperte sul mondo e,
anche se si cerca di chiuderle, qualche corrente, fredda o
calda, entra lo stesso dagli spiragli...
Sembrerà forse eccessivo che io abbia risvegliato il ricordo del grande Calamandrei per sostenere la inapplicabilità, alla specie, di norme di legge che potrebbero sembrare applicabili anche ai giornali studenteschi. Ma la verità è che questo ci aiuta a comprendere come non sia
configurabile non solo l’obbligo di registrazione ma neppure è obbligo di deposito di giornali che non siano soggetti alla legge sulla stampa. Ed è sintomatico che, dopo
vent’anni che si pubblica La Zanzara, solo ora si sia ritenuto di dover contestare questi reati; così come è altamente significativo che la signora Terzaghi, che ha sempre e regolarmente depositato tutti i suoi stampati, abbia
omesso, senza alcun motivo d’interesse particolare, di
depositare questo giornale studentesco, che certamente
avrebbe depositato se non fosse stata nella nostra convinzione di non doverlo fare. Quanto meno sotto il profilo
della buona fede, derivante da errore, non sulla legge penale, ma da un vero e proprio errore di fatto, la Terzaghi
deve essere assolta anche da questa contravvenzione.
Signori del Tribunale! Questo processo è stato eccessivamente drammatizzato ed ha assunto delle dimensioni
assolutamente sproporzionate. La signora Terzaghi è
stata portata in Tribunale per rispondere, oltre che della
contravvenzione di cui vi ho parlato per ultimo, di una
imputazione, ben più grave, che ad un esame appena superficiale si dimostra destituita di qualsiasi fondamento.
Questo è certamente grave perché tale errore si poteva e
si doveva evitare. Ma, per fortuna, spesso dal male nasce
anche il bene; e, in ultima analisi, questo processo sarà
servito a chiarire - io almeno lo spero - alcune posizioni
mentali erronee o deformate, di cui l’atteggiamento del
Pubblico Ministero ha costituito una tipica manifestazione. Io sono convinto che la vostra sentenza, nel rispetto della legge e dei valori fondamentali per la vita del
diritto, darà a tutti un insegnamento di libertà e di giustizia.
Con l’arringa del professor Pisapia si conclude la seduta
del mattino e il presidente sospende l’udienza rinviandola
alle 15,30.
In previsione della sentenza, il pomeriggio l’afflusso del
pubblico ha superato ogni limite. Ormai la folla ha quasi
invaso anche gli ultimi palmi di spazio disponibili stringendo il Tribunale in una specie di assedio.
Pres.: (guardandosi attorno esterrefatto): L’udienza è
aperta. La parola è all’avvocato Sbisà per Sassano.
Avv. Sbisà: Il Pubblico Ministero ha concluso la sua requisitoria con un appello vigoroso alla condanna, dicendosi certo di interpretare, così, il sentimento della maggioranza degli italiani, delle persone per bene. Ma se intorno a questi episodi è avvenuto un tale risveglio di coscienza, è evidente che la maggioranza, e non una minoranza, è di parere opposto. Questo è un caso forse unico.
Mai si era avuta, per una vicenda di giustizia, una partecipazione di carattere così universale: non solo di giornali, ma di scrittori, uomini politici, intellettuali; e non
solo dell’Italia intera, ma di tutta Europa e anche
d’America. E tutti, conservatori e progressisti, ad una
sola voce si sono dichiarali solidali con La Zanzara...
Pres.: La prego di attenersi ai fatti di causa.
Avv. Sbisà: ... Non faccio che rispondere al Pubblico
Ministero. Quindici genitori si sono lamentati? Ebbene,
centinaia di altri hanno approvato. Il Pubblico Ministero
ha invocato gli articoli 29 e 30 della Costituzione per sostenere che non si può parlare dell’unione sessuale al di
fuori della famiglia. Ma proprio l’articolo 30 stabilisce che
i genitori devono mantenere i figli anche se nati fuori del
matrimonio; e l’articolo 280 del codice civile prevede la legittimazione dei figli naturali. Ora, se tale prolificazione
fosse illegale, la legge non l’ammetterebbe; in realtà lo
stato non la vieta, ma la tollera ed anzi la protegge. Del
problema anticoncezionale si è occupato anche il Concilio; ma il Pubblico Ministero non vuol guardare quello che
sta succedendo nel mondo. Se anche ci riferiamo alla
legge attuale, quale norma può invocare il Pubblico Ministero a conforto delle sue tesi?
Analizzate le questioni giuridiche sollevate dall’Accusa, e
su cui si è soffermato di tanto in tanto durante la stia arringa, l’avvocato Sbisà ritorna sul tema della “morale” e
del “costume.”
Nell’educazione, gli insegnanti devono saper soddisfare
le esigenze dei genitori: d’accordo; ma perché solo di
quelli che seguono l’indirizzo del Pubblico Ministero?
Dov’è allora la libertà?
Comunque si tratta di problemi e norme che non possiamo risolvere a danno degli imputati. Davvero dobbiamo credere che questi giovani, così seri, così composti,
abbiano voluto arrecare un danno pubblico? Basta leggere l’apertura dell’inchiesta per rendersi conto della loro
serietà. Non è vero che si sostenga un solo indirizzo, ma
si riferiscono opinioni contrastanti anche in merito alla
libertà sessuale. E perché sostenere che solo gli imputati
sono maturi e gli altri immaturi?
A questo proposito sarà bene ricordare che il legislatore
del ‘29, adeguandosi al diritto canonico, abbassò i minimi
di età per il matrimonio a 14 anni per le donne e a l6 per
gli uomini; e il matrimonio è ben più che una semplice
unione sessuale, è una vera e propria assunzione di responsabilità. Che i figli abbiano un’importanza non superiore all’unione della coppia, lo ha detto anche il Concilio,
il quale si è pure occupato degli anticoncezionali. E siamo
accordo con il Pubblico Ministero che non si può guardare ad altri popoli governati da diverse leggi; ma dobbiamo perciò giudicarli incivili? Certe esperienze possono
sere utili, dice La Zanzara.
Ebbene, io ricordo che cinquant’anni addietro, a noi ragazzi, il professore di filosofia diceva: “La vostra è un’età
pericolosa. State attenti, e leggete la ‘Fisiologia del piacere’ di Paolo Mantegazza: così troverete le necessarie
spiegazioni e non correrete il rischio di cadere in vizi solitari od omosessuali.” Quelle pagine, pur indirizzate ai
giovani, e che circolavano liberamente nelle scuole, quella
prosa autorizzata, scientifica e mai denunziata, non oso
leggerla qui; contiene espressioni ben più suggestive di
quelle de La Zanzara.
“La purezza spirituale non coincide con l’integrità fisica.” E come metterlo in dubbio? Davvero si diventa
amorali solo perché non si è più integri? “La religione può
determinare complessi di colpa” affermava La Zanzara.
Ma se persino il Concilio ha trattato questi argomenti!
Dove sono le offese alla religione? Comunque, l’inchiesta
ha raccolto solo quello che si mormorava nei corridoi,
nelle aule scolastiche, nei locali di divertimento.
In un commento alla Costituzione si dice che nessuno
possiede la verità. E allora, come negare che il dibattito
su opinioni contrarie sia educativo? Come negare che,
quanto meno, i giovani lo ritenevano educativo? Tutti si
aspettano che il Tribunale dica una parola chiarificatrice
sull’iniziativa dei giornali d’istituto. Vogliamo che questi
continuino a dire la verità, magari in maniera maldestra
o preferiamo non sapere più niente su quello che si agita
nella gioventù?
Compiuto un esame critico di ogni passo incriminato
dell’intervista de La Zanzara, l’avvocato Sbisà conclude:
Vogliamo rispettare la libertà e la spontaneità o consacrare l’ipocrisia e il conformismo? Per libertà di pensiero e
per libera manifestazione di esso, come garantiti
dall’articolo 21 della Costituzione, bisogna intendere proprio la libertà giuridica dei pubblici dibattiti o delle idee
pubblicamente espresse su ogni problema di interesse
sociale e collettivo; altrimenti non si potrebbe avere la
circolazione delle idee e dei pensieri, necessaria, come
fonte primaria del progresso, latamente considerata. II
progresso, nelle scienze positive e sociali, nelle arti, nella
letteratura, si è verificato, e continua a verificarsi, unicamente nella misura in cui, nella millenaria storia
umana, singoli o comunità o Stato, non si siano ritenuti
depositari e tutori della verità assoluta non modificabile;
ma unicamente cogniti di una verità relativa.
Tra le verità vi è anche la morale o, per essere più
esatti, vi sono le norme morali della collettività associata,
per il comune equilibrio di convivenza.
La ricerca della nuova verità ha costantemente rivelato,
attraverso i secoli, che quella ritenuta giusta ed esatta
fino al giorno prima, si è dimostrata un errore
d’impostazione; e quindi la correzione ha costituito il miglioramento, sotto ogni aspetto, della vita consociata; il
progresso sociale ne è indice sicuro e non contestato e
non contestabile e tuttora in moto. Così è per la morale;
non esiste una morale assoluta, ma una morale accettata
per tradizione, per costume, per adeguamento; ma anche
la morale muta i suoi presupposti e le sue leggi a seconda
dei tempi e delle evoluzioni collettive ed individuali; non
altrimenti si manifesterebbe e giustificherebbe il fermento
di nuovi indirizzi cui dedicano attenzione meditata uomini di cultura, scienziati e gli stessi religiosi responsabili.
Se così è, interdire ai giovani di aprirsi, di manifestarsi,
di dibattere fra loro questi delicati ed imponenti problemi
di vita individuale e sociale, sarebbe non un atto di giustizia, ma una sopraffazione da cui deriverebbe danno e
non vantaggio per la collettività.
Ecco perché voi direte che la loro attività non è né illecita né illegittima e li assolverete con la formula ampia.
espressavo, come si evince, del resto, anche dal successivo art. 17;
Pres.: La parola al professor Crespi per il professor Mattalia.
Avv. Crespi: La difesa del professor Mattalia non può
che aderire, sia per quanto attiene all’imputazione relativa all’omessa registrazione del giornale sia per quella
attinente alla pretesa responsabilità per incitamento alla
corruzione degli adolescenti, alle argomentazioni fin qui
addotte dai difensori degli studenti Marco De Poli e Marco
Sassano. Adesione facile, certo; ma non interessata, come
pur si potrebbe sospettare. Al contrario: totalmente disinteressata. E lo dimostrerò precisamente ponendomi
sullo stesso piano della pubblica accusa: supponendo
cioè - sia pure, s’intende, non credendovi menomamente giuridicamente fondate le tesi della responsabilità alla
stregua degli articoli 14 e 16 della legge sulla stampa.
Quale che sia, infatti, la decisione che il Tribunale riterrà
di dover adottare in proposito, il professor Mattalia dovrà
ugualmente uscire indenne da questo processo. E poiché
invano abbiamo ieri atteso che, nella sua requisitoria, il
Pubblico Ministero trattasse la posizione del Preside, essendosi egli in realtà limitato semplicemente ad una apodittica affermazione di colpevolezza, vorrei fin da ora
permettermi - sempre che il Tribunale me lo consenta - di
invitare formalmente l’illustre Procuratore della Repubblica, nell’ipotesi ch’egli non ritenesse di poter condividere il mio ragionamento, a interrompermi quando crede
e nel modo che meglio crede.
Cominciamo dal primo dei due capi di imputazione:
quello relativo alla violazione dell’art. 16 della legge sulla
stampa per omessa registrazione del periodico studentesco La Zanzara. Che cosa vi si legge? Che il Preside, “non
esercitando una oculata vigilanza sull’attività di pubblicazione” del predetto periodico, lo avrebbe dato alle
stampe “senza seguire la registrazione prescritta dall’art.
5” della legge febbraio 1948.
Si tratta, com’è evidente, di un reato tipicamente omissivo, come si evince, del resto, dal successivo art. 17; e
per quanto il capo di imputazione non lo dica mente, è
palese il riferimento, da parte dello stesso, a quella norma
del codice penale (art. 40) per la quale “non impedire un
evento che si ha obbligo giuridico di impedire equivale a
cagionarlo.” Potrei perciò indulgere, a questo proposito, a
un “divertissement”: è invero opinione comunemente ricevuta - e non potrebbe essere altrimenti che quella
norma del codice penale si riferisce esclusivamente ai reati cosiddetti di evento, non già a quelli di condotta,
omissiva per giunta, quale quello contestato appunto al
preside del Liceo “Parini”: il quale preside, se dovessimo
prendere sul serio il capo di imputazione così come congegnato nella richiesta del decreto di citazione a giudizio,
sarebbe responsabile di ... aver omesso di aver impedito
che altri omettesse di fare qualche cosa...! Come si possa
dunque fare razionale riferimento al capoverso dell’art. 40
del codice penale è cosa che supera decisamente i limiti
di qualsiasi immaginazione.
Ma non basta. Quando si rimprovera al professor Mattalia di non aver esercitato una oculata vigilanza, che
cosa in sostanza gli si addebita se non un comportamento propriamente negligente, ossia - alla stregua della
disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 43 del
codice penale - una condotta tipicamente colposa? Ma, se
così è - e non può non essere così - come è mai possibile
chiamare a rispondere a titolo di dolo il professor Mattalia
per un fatto che, a tutto concedere, è stato commesso con
semplice colpa? Ed anche volendo poi ammettere la ipotizzabilità - peraltro assai contrastata sia in dottrina che
in giurisprudenza - di un concorso colposo nell’altrui
fatto doloso, come è possibile ignorare che una responsabilità a titolo di colpa sarebbe comunque configurabile,
per l’esplicito disposto del secondo comma dell’art. 42 del
codice penale, alla sola condizione che il fatto sia altresì
espressamente previsto come delitto colposo dalla legge
penale? L’art. 16 della legge sulla stampa prevede invece
un delitto punibile esclusivamente a titolo di dolo! Nella
peggior delle. ipotesi dovreste quindi assolvere il professor
Mattalia, da questo primo capo di imputazione, con la
formula terminativa “perché il fatto non costituisce reato.”
Ma c’è di più. Che cosa recita l’art. 5 della legge sulla
stampa richiamato dallo stesso capo di imputazione? Dispone che “per la registrazione occorre che sia depositata
in cancelleria,” tra l’altro, “una dichiarazione, con le firme
autenticate del proprietario e del direttore o vice direttore
responsabile.” Vuole a questo punto dirmi, signor Procuratore della Repubblica, come avrebbe materialmente
potuto il professor Mattalia procedere alla registrazione
de La Zanzara, se di questo periodico egli non è, né è mai
stato un solo istante, né proprietario, né direttore o vice
direttore responsabile, né comunque legale rappresentante dei minori, redattori del giornale, o della loro associazione studentesca? Ma non sono forse questi ultimi,
ossia gli studenti appartenenti all’associazione studentesca pariniana, i proprietari del periodico in questione? E
non sono forse papà e mamma degli studenti i loro unici
legali rappresentanti? Neppure il più sprovveduto degli
uffici di cancelleria della Repubblica italiana avrebbe mai
potuto accettare una domanda di registrazione del periodico La Zanzara che fosse stata sottoscritta, in ragione
della sua qualità dal Preside del Liceo “Parini!”
Chiedo pertanto che il professor Mattalia venga assolto
per non aver commesso il fatto.”
Passiamo al secondo capo di imputazione, che accusa il
Preside di aver autorizzato la pubblicazione della nota
intervista “violando i doveri inerenti alla sua pubblica
funzione.”
È pacifico - ed il Pubblico Ministero mi smentisca immediatamente se dovessi, in fatto, incorrere in qualche
inesattezza - che la asserita violazione dei doveri inerenti
alle proprie funzioni risiederebbe nella circostanza che il
Preside non avrebbe controllato il contenuto dell’articolo
incriminato: la dichiarazione resa al riguardo dal professor Mattalia non soltanto non è stata revocata in dubbio
pure dalla pubblica accusa, ma, anzi, lo stesso illustre
rappresentante del Pubblico Ministero non ha esitato a
ravvisare un ulteriore elemento a dimostrazione della incriminabilità dello scritto pubblicato dagli studenti proprio nella dichiarazione resa dal preside, là dove questi
ebbe ad affermare che ove avesse letto tutto l’articolo
avrebbe suggerito alcune modifiche.
Ma, se è così - ed è, ripeto, assolutamente pacifico che
così sia - siamo anche qui in presenza di un comportamento, a tutto concedere, soltanto colposo, in quanto negligente, da parte del professor Mattalia. Ma, allora, an-
cora una volta, come si può decorosamente attribuire a
titolo dolo un fatto che si sa benissimo essere stato commesso soltanto colposamente e punibile esclusivamente
se realizzato dolosamente? Come valicare quella norma di
sbarramento rappresentata dal più volte ricordato secondo comma dell’art. 42 del codice penale?
Supponiamo, del resto, che il preside anziché vigilare
sul buon andamento del proprio Istituto, preferisca rinchiudersi - violando così i doveri inerenti alle sue funzioni
- nell’ufficio di presidenza per giuocare a scopone con gli
amici o, magari, per riempire con la dovuta tranquillità
una scheda - non minorile, per carità - ma del totocalcio.
Pres.: Facciamo una scheda Vanoni!
Avv. Crespi e Delitala: Sarebbe scaduto il termine, Presidente!
Avv. Crespi: Immaginiamo che approfittando del singolare comportamento del Preside, immerso nei propri affari
privati, il bidello violenti la bidella, in quarta ginnasio si
commettano atti osceni, in quinta ginnasio si proiettino
pellicole pornografiche con annesse esercitazioni corali di
linguaggio oltraggioso del comune sentimento del pudore,
in prima liceo classico si vilipenda il Capo dello Stato, in
seconda liceo classico si vilipenda la religione dello Stato
e in terza liceo, infine, si vilipendano le forze armate. Ma
davvero vorremmo accollare al Preside siffatti delitti a titolo di dolo, per il solo fatto che col suo comportamento
negligente ne avrebbe agevolato la realizzazione da parte
dei loro autori? Sarebbe un’opinione, e una soluzione, a
sfondo palesemente manicomiale, che può anche non
stupire sia stata adombrata nel rapporto riassuntivo indirizzato dai funzionari di polizia alla Procura della Repubblica e allegato agli atti, ma che non potrebbe non sorprendere, e preoccupare, se quella opinione fosse per avventura raccolta dalla Autorità giudiziaria!
Pres.: Avvocato, la prego di usare termini più riguardosi.
Avv. Crespi: Illustre Presidente, chi per primo ha mancato di rispetto è stata proprio l’Autorità di Pubblica Sicurezza, la quale nel ricordato rapporto riassuntivo inviato
alla magistratura requirente, e firmato dal signor vice
questore dottor Grappone, anziché limitarsi a ricostruire i
fatti raccogliendo dati e registrando voci, si è altresì permessa di emettere giudizi di valore di esclusiva pertinenza dell’Autorità giudiziaria, affermando gratuitamente
che il professor Mattalia aveva reso “dichiarazioni di co-
modo.” Affermazione tanto più grave se si pensa che
quella dichiarazione del professor Mattalia, lungi
dall’essere di mero “comodo,” è stata invece fatta propria
dallo stesso illustre rappresentante della pubblica accusa: al quale pure, in tal modo, il dottor Grappone - che
mi duole non vedere in aula in questo momento - ha finito per mancare di rispetto. Vi sono quindi tutti gli
estremi della provocazione grave, signor Presidente, se
non addirittura quelli della legittima ritorsione. E ritengo
che sarebbe stata cosa sommamente riprovevole se da
questo banco della difesa si fosse lasciata passare sotto
silenzio la deplorevole insinuazione proferita da autorevoli
organi di polizia nei con, fronti di persona che, come il
Preside del Liceo “Parini,” ha fino a questo momento diritto allo stesso rispetto cui ha diritto ciascuno di noi.
Comunque, anche relativamente a questo secondo capo
di imputazione il professor Mattalia dovrebbe essere assolto, quanto meno, perché il fatto non costituisce reato.
La condotta del Preside potrà rilevare sotto il profilo disciplinare: in nessun caso sotto il profilo della legge penale.
Ma, ancora una volta, c’è di più. Supponiamo che il
Preside avesse effettivamente letto l’articolo incriminato, nulla avendo trovato a ridire, avesse autorizzato la distribuzione del giornale nell’interno dell’Istituto. Questo che
cosa cambia? Nulla. C’è forse una qualsiasi norma giuridica che esplicitamente accolli al Preside di un istituto
scolastico l’obbligo giuridico di controllare preventivamente ciò che si pubblica in un periodico studentesco?
Si dirà che il Preside, in tale sua qualità, ha l’obbligo
giuridico di impedire ogni evento criminoso che si dovesse
perpetrare nell’ambito dell’Istituto da lui presieduto, e
pertanto anche di impedire che reati abbiano ad essere
commessi col mezzo della stampa studentesca: ma non è
vero niente. Ad evitare che si favoleggi di leggi inesistenti
ignorando quelle vigenti, ricorderò che per l’art. 10 (del
R.D. 30 aprile 1924 n. 965) “il Preside sopraintende al
buon andamento didattico, educativo ed amministrativo
del suo istituto.” E che cosa mai ha a che vedere siffatta
norma con l’obbligo giuridico di impedire l’evento cui allude il capoverso dell’art. 40 del codice penale? Non bisogna invero confondere l’obbligo giuridico di impedire
l’evento, non impedendo il quale si risponde dello stesso
come se si fosse cagionato, che è una cosa, con l’obbligo
giuridico di attivarsi, di compiere cioè una azione il com-
pimento della quale è imposto dall’ordinamento giuridico
per scongiurare il verificarsi di un determinato evento
dannoso: che è tutta un’altra cosa.
Se, passeggiando lungo una spiaggia, scorgo un bimbetto che sta per affogare, e volontariamente mi astengo
dal soccorrerlo per il gusto malvagio di vederlo morire
travolto dalle onde, chi mai vorrà sostenere una mia responsabilità per omicidio volontario solo perché violando
deliberatamente il preciso obbligo giuridico di agire impostomi dall’art. 593 del codice penale ho omesso di prestare l’aiuto necessario rendendo così possibile il verificarsi dell’evento letale? La mia responsabilità si limiterà
al delitto di omissione di soccorso, sia pure aggravato
dall’evento morte. Di omicidio volontario sarei viceversa
responsabile se, come bagnino o come maestro di nuoto
al quale quel bimbetto fosse stato affidato, avessi volontariamente omesso di soccorrerlo: qui sì che potremmo
parlare di mancato impedimento dell’evento che si aveva
l’obbligo giuridico di impedire!
Ma supponiamo che nello stabilimento balneare affidato
alla. vigilanza di quel bagnino, un frequentatore ne aggredisca un altro e che, a un certo punto, uno dei due
contendenti stia per uccidere l’altro protagonista della
violenta zuffa: potremmo forse chiamare a rispondere il
bagnino di concorso in omicidio volontario per il solo fatto
che, astenendosi dal soccorrere il cliente che stava. per
soccombere, ha concretamente reso possibile l’evento letale? Evidentemente no: per la semplicissima e decisiva
considerazione che gli eventi dannosi ch’egli ha l’obbligo
giuridico di impedire sono esclusivamente quelli derivanti
dall’attività balneare. E nell’ambito di questa non potremmo certo far rientrare anche le zuffe tra bagnanti!
Questa volta la responsabilità del bagnino sarà quella
stessa che potrà essere legittimamente addebitata anche
a tutti quei frequentatori dello stabilimento balneare che,
pur potendo utilmente intervenire e prestare così aiuto
alla vittima dell’aggressione, scongiurando il verificarsi di
più gravi eventi dannosi, si fossero, viceversa, astenuti
dal prestare la dovuta assistenza: sarà cioè quella derivante dall’art. 593 del codice penale. Vorrei ricordare qui
le parole, autorevolissime, che il decano dei penalisti italiani, Francesco Antolisei, maestro di tante generazioni di
studiosi, ha scritto proprio con riguardo all’obbligo giuridico di impedire l’evento: “ciò che soprattutto va posto in
rilievo - scrive l’insigne giurista - si è che l’obbligo violato
deve essere stabilito dall’ordinamento giuridico proprio
per impedire eventi del genere di quello che si è verificato.
Occorre, in altre parole, che il soggetto sia, per così dire,
costituito garante dell’impedimento di quel determinato
risultato dannoso.”
Si dirà che il Preside è un pubblico ufficiale, e pertanto
il ragionamento fin qui svolto sarebbe privo di qualsiasi
validità. Ma l’eventuale illazione in tal senso sarebbe davvero destituita di fondamento. È ancora l’Antolisei a renderci avvertiti che “anche il superiore gerarchico che non
impedisce la commissione di un reato da parte di un subordinato può diventare partecipe del reato stesso. In
questo caso, però, oltre alle condizioni comuni (agevolazione e coscienza di agevolare) occorre che fra i doveri
specifici del suo ufficio vi fosse quello di impedire la verificazione di fatti del genere di quello che si è verificato,
perché il semplice dovere generico di sorveglianza, insito
nel rapporto gerarchico, non potrebbe di per sé considerarsi sufficiente. Questa è una conseguenza del principio
che più innanzi abbiamo affermato, secondo il quale la
responsabilità per omesso impedimento dell’evento presuppone l’obbligo di compiere proprio quell’azione che
avrebbe impedito l’evento stesso. Il superiore che aveva
soltanto il dovere generico di sorveglianza, quindi, risponderà non del reato commesso dal subordinato, ma,
quando ne ricorrano gli estremi, di omissione di atti di
ufficio.” Dove è chiaro che, diversamente opinando, si
commetterebbe il grossolano errore di identificare la connivenza, non punibile, con la compartecipazione criminosa!
Ma è poi vero che potrebbero ravvisarsi gli estremi del
delitto di omissione di atti di ufficio nell’omesso controllo
della stampa studentesca da parte del Preside
dell’istituto?
Anche volendo attribuire un qualsiasi valore giuridico
ad una circolare ministeriale, non occorre molta fatica
per convincersi che nessun potere di controllo preventivo
è attribuito ai capi di istituto dalla circolare del Ministro
Martino del 1954, e allegata agli atti. Al contrario: in essa
è letto esplicitamente - e cito le espressioni testuali – che
“... i giornali di scuola... vanno considerati quali manifestazioni di attività autonoma degli alunni,” da “non scoraggiare con le strettoie di autorizzazioni e di controlli.”
Dove la circolare predetta “non esclude la possibilità e
l’opportunità di un cauto intervento” è unicamente nei
casi cui l’iniziativa dovesse apparire sfruttata, per
l’inesperienza dei giovani, “a fini politici settari”: si vorrà
forse identificare il “cauto intervento” con ...l’obbligo giuridico impedire l’evento? Data pure, e non concessa, la
possibilità di siffatta sconcertante identificazione, è in
ogni caso certo che un simile obbligo giuridico di impedimento dell’evento sussisterebbe comunque nella sola
ipotesi in cui il giornale studentesco diventasse strumento di settarietà politica: che non è certo il caso de La
Zanzara, avendo i capi di imputazione ben diverso contenuto!
È del resto ancora la circolare ministeriale ad avvertire
che l’intervento del Preside deve essere semplicemente
“orientativo,” e “non limitativo o repressivo”: conformemente, d’altronde, all’art, 21 della Costituzione, per il
quale la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Pres.: Mettetevi d’accordo fra voi: se sostenete che la
stampa scolastica deve avere solo limiti interni alla
scuola, allora deve essere sottoposta ai regolamenti degli
istituti.
Avv. Crespi: Ma quei regolamenti non esistono. Tutto
ciò che può fare legittimamente un preside è, per il caso
che il giornale studentesco contenga degli scritti che violino la legge penale o che comunque ledano il buon nome
e il decoro della scuola, vietare la distribuzione del giornale stesso nell’interno della scuola, prendendo altresì, se
lo ritiene opportuno, provvedimenti disciplinari a carico
di quegli studenti che avessero contravvenuto al divieto di
distribuzione nell’interno della scuola o che risultassero
autori o comunque responsabili della redazione o diffusione degli scritti criminosi o lesivi del decoro della
scuola. Ma non può assolutamente censurare preventivamente il giornale studentesco: può censurare gli studenti, ammonirli, sospenderli e anche espellerli, perché
questi sono appunto i provvedimenti disciplinari che il
preside può prendere.
Pres.: Se il giornale rientra nell’ambito della scuola,
deve rientrare nei suoi poteri.
Avv. Crespi: La verità, signor Presidente, è che il giornale non è della scuola, ma degli studenti, e se
nell’attività di costoro dovessero ravvisarsi gli estremi per
un qualsiasi provvedimento disciplinare, solo giudice
della opportunità circa l’adozione o meno del provvedimento è il Preside, che non può essere sindacato in que-
sta sede, ma soltanto in sede scolastica da parte dei suoi
diretti superiori: il Provveditore agli Studi, prima, il Ministro della Pubblica Istruzione, poi. Rendere compartecipe
il Preside dello scritto eventualmente criminoso redatto
dagli studenti per il solo fatto di non averne vietata la
pubblicazione o la diffusione o per non aver preso gli opportuni provvedimenti sul piano disciplinare, significherebbe procedere ad un allarmante sovvertimento dei principi fondamentali della responsabilità penale: significherebbe identificare la posizione di Preside di Istituto con
quella di un direttore responsabile di giornale, al quale
soltanto incombe, per l’art. 57 del codice penale, l’obbligo
giuridico di impedire che col mezzo della stampa abbiano
ad essere commessi reati!
Cosa rimane, dunque, di questi capi di imputazione?
Nulla, se nell’ombra di essi non si stagliasse, nobilissima,
la figura del Preside del Liceo Ginnasio “Parini” di Milano,
professor Daniele Mattalia: del quale non intendo parlarvi. Egli non lo desidera né avrebbe di ciò bisogno alcuno: chi egli sia lo sanno gli studiosi, avendo egli scientificamente coltivato gli studi di lingua e letteratura italiana conseguendo la libera docenza universitaria; chi egli
sia come uomo e come educatore possono testimoniarlo
l’affetto e la stima incondizionati che lo circondano in
scuola e fuori di essa. Debbo forse ricordare che non si
arriva alla presidenza di un liceo qualificato e così ricco di
tradizioni quale il “Parini” di Milano se non attraverso
una vita intemerata e una comprovata capacità di docente e di educatore?
Ciò di cui il professor Mattalia ha bisogno e che per il
nostro tramite vi chiede è, piuttosto, che abbiate a chiudere, assolvendolo da entrambe le imputazioni per non
aver commesso il fatto, questa allucinante parentesi giudiziaria restituendolo, nella serenità cui ha diritto, ai suoi
studi, alla sua scuola, ai suoi studenti.
Il dottor Lanzi chiede ancora la parola per ribadire i temi
dell’Accorsa e confutare la tesi dei difensori.
P. M.: Mi sento il dovere di replicare in difesa della verità. La mia voce... purtroppo, è quella del Pubblico Ministero, e coloro che ascoltano, talvolta, si rifiutano di sentire la verità. Ho apprezzato l’intelligenza dei difensori e il
loro tono pacato, ma non posso condividere i loro argomenti.
Risponderò in primo luogo al professor Dall’Ora. Certe
sue tesi sono solo suggestive. Indubbiamente il Concilio
ha trattato degli anticoncezionali, ma sempre nell’ambito
del matrimonio. Gli anticoncezionali, per noi, erano misteri. Adesso tutti ne parlano, ma solo perché si pensa di
limitare le nascite ed evitare così che popolazioni già numerose possano mancare del necessario nutrimento. La
Zanzara, invece, ne parla per togliere ogni limite ai rapporti sessuali, per sollecitare al vizio, per sfrenare la concupiscenza. Il che è contrario, oltre che alla morale, anche all’ igiene.
Professor Smuraglia, io non mi vanto di aver trascinato
qui i questi ragazzi; sono, come lei, addolorato perché
nessuno più di me può comprendere un immaturo (dal
pubblico si leva un brusio con qualche ironico commento)
...e non sono un sadico che ami infierire contro dei giovani. Ho voluto io il processo? La legge mi ha imposto
questo gesto per restituire tranquillità ai genitori e
all’opinione pubblica allarmata da questa frana del vizio
che minaccia i principi della morale, la famiglia, la
scuola, la stessa salute dei nostri figli. Sono stato costretto a furor di popolo a ricorrere al rito direttissimo
perché stavano scoppiando troppe polemiche, bisognava
far presto e arrivare a un chiarimento. Dovreste quindi
essermi grati perché ho posto fine a polemiche che hanno
raggiunto il disgusto...
Sì, è vero, che nessuno si è mai accorto che La Zanzara
e altri giornaletti scolastici consimili non ottemperavano
alle norme della legge sulla stampa, è vero che nessuno si
è mai occupato di questi argomenti, proprio per questo,
per riparare alle omissioni, per metter fine a questa situazione di disordine io sono intervenuto. Del resto esistono altri giornali studenteschi regolarmente registrati:
eccovi qui una copia di Milano Studenti.
Avv. Dall’Ora: Ma quello non è un giornale d’istituto,
circola fuori delle scuole...
P. M.: Comunque i giornali studenteschi devono essere
registrati poiché ormai esprimono idee politiche, trattano
problemi scottanti, possono commettere reati di diffamazione come gli altri giornali. Altrimenti correremo il rischio di veder pullulare migliaia di fogli clandestini. Non
a caso, dopo questo fatto, lo stesso Ministro ha chiesto ai
provveditori di studiare un regolamento della stampa
scolastica. Finché si trattava di foglietti con storielle e
barzellette, pazienza; ma adesso che su questi giornali
intervengono anche terzi estranei, occorre giungere a una
disciplina. Persino i giornali dell’Unione magistrati ita-
liani e dell’Associazione nazionale magistrati, che pur si
rivolgono a una sola categoria, sono regolarmente registrati.
Avv. Pisapia: Ma si tratta di giornali di adulti destinati
ad altri adulti.
P. M.: Non si pensi che noi vogliamo soffocare i giornali
d’istituto, anzi ci auguriamo che si moltiplichino. Però
non si vede perché giornali fatti da gente matura e responsabile debbano essere sottoposti a controllo e rimangano invece incontrollati giornali fatti da immaturi. Il Preside deve controllare, ha un obbligo di fatto se non un
obbligo giuridico.
Ora vorrei rispondere con due parole al professor Pisapia. Sono d’accordo sull’importanza di un’educazione
sessuale, ma questa deve essere impartita a livello scientifico. Certo i libri da lei esibiti contengono espressioni
piuttosto precise ma, essendo scientifici, sono educativi.
(Il professor Pisapia scuote la testa in un gesto di diniego.)
La Zanzara no, mira soltanto a sfrenare la concupiscenza... dei giovani lettori... (Il pubblico ride fragorosamente.)
Pres.: Non vedo che cosa ci sia da ridere: si tratta di
una parola contenuta nel codice.
P. M.: Vede, signor Presidente, questa risata è la prova
che io ho ragione. Basta la parola per eccitarli, rimangono
concupiti dalla sola parola concupiscenza.
Sempre il professor Pisapia ci ha parlato della festa
delle matricole, una cosa simpaticissima, secondo l’etica
e spirito goliardico. Però anche in quel campo esistono
dei limiti. Quando a Genova, appunto in occasione di una
festa delle matricole, una ragazza venne spogliata nuda, i
responsabili vennero condannati.
Si è detto in quest’aula che, anche secondo il Concilio,
la procreazione non è il fine unico del matrimonio e, per
dimostrare che nel diritto non si stabilisce una coincidenza assoluta tra matrimonio e figli, l’avvocato Sbisà ha
fatto cenno ai doveri di legge verso i figli anche se nati
fuori dal matrimonio. Sono eccezioni che confermano la
regola. E in ogni caso non giustificano quei discorsi sulle
pillole fatti da minorenni.
D’altra parte, non è neppure pensabile di poter valutare
o giudicare lo scritto dei tre imputati come una trattazione scientifica, perché l’articolo de La Zanzara non ha
portato alcun contributo di pensiero, non era educativo;
essi hanno solo insegnato ai giovani che cosa è la corruzione, il vizio, la sfrenatezza.
Ho sfogliato attentamente il fascicolo delle lettere inviate al provveditore. Ne ho trovate pochissime di consenso, molte, e di peso, contrarie. Vi citerò “180 genitori
di viale Monza,” il “padre di un’allieva del liceo, di tendenza socialista,” e tante, tante altre che non si leggono
senza commozione. Leggetele anche voi, in camera di
consiglio.
Io chiedo non tanto una condanna, chiedo
un’affermazione di responsabilità degli imputati perché si
dica che il loro scritto suonava oscenità, che la loro inchiesta è immorale. Non sarò io a lamentarmi se ad essi
verrà concesso il perdono giudiziale.
Terminata la replica del Pubblico Ministero prende la parola il professor Delitala, l’ultimo degli oratori del collegio di
difesa.
Avv. Delitala: Vi parlo, signori del Tribunale, non soltanto in difesa del Preside e della Beltramo Ceppi, ma in
difesa di tutti gli imputati, e in difesa dei principi
dell’educazione, della morale, del diritto.
Qual è la sostanza di questo procedimento? È un conflitto tra due modi di concepire l’educazione, di concepire
la morale, di concepire il diritto. Ecco perché il processo
ha interessato tutto il Paese.
Vi parlerò pacato perché ho sempre creduto più alla
forza degli argomenti che alla suggestione delle parole. In
merito all’omessa registrazione, se ci atteniamo solo alla
lettera della legge, il reato indubbiamente è stato commesso; ma bisogna anche badare allo spirito della legge.
Prima della caduta del fascismo, forse per paura, noi giuristi ci siamo chiusi in una torre d’avorio: quella del formalismo. Il tradimento dei chierici... Poi ci siamo trovati
tutti concordi nel riconoscere che bisognava aprirsi alle
esigenze che premevano. Dopo il crollo della dittatura, la
dottrina, soprattutto in Germania, si è orientata nel
senso che la legge debba riconoscere i fatti di valore sociale. Le azioni socialmente adeguate non possono mai
essere considerate pericolose.
Dall’insieme delle norme risulta chiaramente che i giornali d’istituto non sono contemplati dalla legge della
stampa poiché in caso diverso si verrebbe a snaturare la
loro fisionomia. Si vuole che i giovani si abituino a dibattere liberamente i loro problemi e non si può pretendere
che tra loro vi siano dei direttori in possesso dei requisiti
di legge o dei proprietari. La circolare ministeriale ci dice
che questi giornali devono vivere senza controlli né limitazioni; ciò esclude che questi giornali ricadano
nell’articolo 5 della legge sulla stampa. Ne abbiamo la
prova nel fatto che tutti conoscevano la situazione ma
nessuno interveniva; e, quel che più conta, le circolari del
ministero, e quindi del Governo, tendevano a dare una sistemazione a uno stato di fatto. Ecco il perché dell’invio
delle copie al Provveditore e al Ministero.
Vi è quindi una disciplina particolare, che esaminerò
riprendendo e completando gli argomenti del professor
Smuraglia. Per i giornali d’istituto non esistono esigenze
di tutela dell’interesse pubblico, data la loro limitata diffusione e la vigilanza esercitata dai presidi. Ciò che accade nell’ambito di un organismo tutorio non può essere
perseguito se non vi è consumazione di un reato. Immaginate che un reggimento faccia un giornale, un po’ come
quelli delle accademie militari: la legge non interverrebbe
poiché i militari sono già sottoposti a un’altra autorità
dello Stato.
Qui abbiamo la scuola che è un’istituzione pubblica
statale e serve a fini che lo Stato promuove. E non è. vero
che eventuali reati sfuggirebbero alla punizione: gli autori
risponderebbero sempre davanti al codice.
Pres.: E se gli autori sono ignoti?
Avv. Delitala: Nel caso in esame, sarebbero facilmente
identificabili, loro o il direttore. Ora mi sembra che questo
sistema più flessibile di controlli sia più adatto alla
scuola.
Perché sforzare questa autodisciplina sul letto di Procuste dell’ordinamento giuridico? Il fatto, dunque, non costituisce reato. In ogni caso la registrazione non toccava
né al professor Mattalia né al De Poli poiché non erano
proprietari né direttori responsabili. L’altra accusa di
omesso deposito dipende da quella della registrazione e
non può più essere sostenuta se questa decade.
Ora, esaminiamo un altro aspetto dell’accusa e veniamo
all’istigazione alla corruzione. Il noto specialista professor
Nuvolone ha giustamente affermato, andando anche al di
là delle nostre posizioni, che non si moralizza la stampa
con le sanzioni penali e che non esiste una morale per gli
adulti e una morale per i fanciulli e per gli adolescenti. O
si segue la concezione soggettiva dell’etica, e di morale ve
n’è una sola eguale per tutti o si segue una concezione
soggettiva, e allora v’è una morale per ogni individuo. Pur
accogliendo l’ovvia constatazione che la psiche degli adolescenti è ancora in formazione, con tutte le cautele che
ciò comporta, qui, parlando di reati, il problema si pone
unicamente sul piano del fatto.
Il Pubblico Ministero ha totalmente travisato il contenuto le intenzioni dell’articolo incriminato. Falsa la “tavola rotonda”? E come fa l’egregio e valoroso rappresentante della Pubblica Accusa ad affermarlo a proposito di
questi ragazzi che non hanno mai detto una bugia? Ma dice il Pubblico Ministero - essi non hanno voluto fare il
nome delle ragazze intervenute. Ebbene, se l’illustre Pubblico Ministero ha bisogno di questi argomenti, vuol proprio dire che la sua causa è proprio perduta.
Come si fa a sostenere l’esistenza di un’èlite di traviati
che vuol traviare gli altri? Questo è un discorso assolutamente gratuito. Si è detto che gli autori delle interviste
avrebbero usato le virgolette non per indicare le parole
degli altri bensì per sottolineare le sconcezze di loro invenzione. Tutta fantasia, smentita dai numeri precedenti
de La Zanzara, e dallo stesso numero incriminato, dove si
afferma: “In Italia, purtroppo, una riforma per introdurre
l’educazione sessuale, provocherebbe le reazioni di un
moralismo male inteso più che di una salda coscienza
morale.” Ebbene, anch’io, che sono cattolico ed educatore
di giovani, sia pure più grandi, questa frase potrei sottoscriverla senza riserve. Il processo è nato proprio più da
un moralismo male inteso che da una salda convinzione
morale. Se quella de La Zanzara è una inchiesta la causa
è finita ancor prima di nascere, perché una fotografia
della realtà non può incitare nessuno alla corruzione. Lei,
egregio Pubblico Ministero, dichiara che quest’inchiesta
non è educativa. I modi di sentire sono diversi a seconda
dei principi religiosi e dell’educazione. Ma non pensa,
dunque, che sia utile per noi genitori conoscere il modo
di sentire e di pensare di questi giovani? Non invocheremo il diritto di cronaca, vi diciamo semplicemente che
l’inchiesta non costituisce offesa al pudore. L’art. 14 potrebbe entrarci se nell’inchiesta de La Zanzara ci fosse
compiacimento, piacere di indugiare sui particolari scabrosi. Invece anche gli argomenti scabrosi sono stati affrontati con una prosa scarna e castigata come poche.
Oggi il Pubblico Ministero ha fatto un passo indietro, si
è accorto di aver tirato troppo la corda, d’aver dato troppo
rilievo allo scontro fra una vecchia Italia (non migliore di
quella di oggi, se è vero che di sesso si parlava anche noi
e in modo peggiore proprio perché il silenzio e le reticenze
costituiscono uno stimolo alla cosiddetta concupiscenza)
e un’Italia più spregiudicata e sincera.
Questo processo, forse, sarà un bene per la società perché è opportuno che affiorino queste divergenze; ma non
è un bene per gli imputati sui quali io spero solo che
quest’esperienza non lasci un segno troppo negativo.
Sono convinto che il Tribunale di Milano li assolverà tutti.
Il dottor d’Espinosa impone il silenzio al pubblico che
aveva cominciato ad applaudire, e rivolge a ciascuno degli
imputati la domanda rituale.
Pres.: Avete qualcosa da dichiarare?
Imputati (l’uno dopo l’altro): No... No...
Pres.: Il Tribunale si ritira.
Sono le 19,15. Il brusio della folla si trasforma in frastuono. Tutti discutono, commentano, fanno previsioni ad
alta voce. Benché sia ormai l’ora di cena nessuno si allontana.
Alle 20,45 il Tribunale rientra in aula.
Pres.: Avverto che non tollererò alcuna manifestazione
di consenso o di dissenso. I carabinieri fermino chiunque
tenti di disturbare.
Atteso qualche istante che si facesse silenzio, il dottor
d’Espinosa legge rapidamente la sentenza:
“In nome del popolo italiano, il Tribunale di Milano, visto l’articolo 479 del codice di procedura penale, assolve
Mattalia Daniele, De Poli Marco, Beltramo Ceppi Claudia,
Sassano Marco da tutte le imputazioni loro rispettivamente ascritte perché i fatti non costituiscono reato. Assolve Terzaghi Aurelia dall’imputazione di cui alla lettera
C. (art. 14 della legge sulla stampa) per non aver commesso il fatto.
Visti gli articoli 483-488 del codice di procedura penale,
dichiara la stessa Terzaghi colpevole della contravvenzione di cui alla lettera D. (omesso deposito delle copie in
procura e in prefettura) e la condanna alla pena di quindicimila lire di ammenda e al pagamento delle spese processuali relative al reato per cui vi è condanna.
“Ora - prosegue il presidente dopo aver imposto ancora
una volta il silenzio - vorrei dire due parole ai minori...
De Poli, Sassano e la Beltramo Ceppi raggiungono il pretorio e si pongono l’uno accanto all’altro di fronte al banco
del Tribunale.
“Al Tribunale dei minorenni si usa concludere i processi
con un fervorino. Considerata la vostra età lo farò
anch’io, anche se qui siamo in un Tribunale normale. Il
Tribunale mi incarica di dirvi che ha riconosciuto che
nella vostra inchiesta non esistono gli estremi di reato. Il
compito della legge penale si ferma qui. Se le vostre affermazioni erano opportune o inopportune lo decideranno
le autorità scolastiche. Su questo processo si è fatta una
montatura esagerata. Voi non montatevi la testa, tornate
al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza
senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che
siete.”
I tre studenti, che avevano ascoltato compunti la paterna esortazione del presidente, si allontanano con il
volto rischiarato da un sorriso. Non un sorriso di convenienza di malizia, un sorriso franco e aperto, da ragazzi.
Che con tutti i disincantamenti, i travagli, le irrequietezze
e le ingenue “proteste,” credono in una società che sarà
forse più giusta di quella avuta in eredità dai loro padri,
certamente più pulita.