tesi-radici-etiche-crisi

Transcript

tesi-radici-etiche-crisi
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA
LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE NELLE ORGANIZZAZIONI
TESI DI LAUREA
LE RADICI ETICHE DELLA CRISI FINANZIARIA GLOBALE
Relatore: Prof. CARLO CHIURCO
Laureando: THOMAS MINIO matricola n. VR357367
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
1
INTRODUZIONE
THE GHOST OF TOM JOAD
Men walkin’ ’long the railroad tracks
Goin’ some place, there’s no goin’ back
Highway Patrol choppers comin’ up over the ridge
Hot soup on a campfire under the bridge
Shelter line stretchin’ round the corner
Welcome to the new world order
Families sleepin’ in their cars in the Southwest
No home no job no peace no rest
The highway is alive tonight
But nobody’s kiddin’ nobody about where it goes
I’m sittin’ down here in the campfire light
Searchin’ for the ghost of Tom Joad
He pulls a prayer book out of his sleeping bag
Preacher lights up a butt and takes a drag
Waitin’ for when the last shall be first and the first shall be last
In a cardboard box ’neath the underpass
Got a one-way ticket to the promised land
You got a hole in your belly and gun in your hand
Sleeping on a pillow of solid rock
Bathin’ in the city aqueduct
The highway is alive tonight
Where it’s headed everybody knows
I’m sittin’ down here in the campfire light
Waitin’ on the ghost of Tom Joad
Now Tom said “Mom, wherever there’s a cop beatin’ a guy
Wherever a hungry newborn baby cries
Where there’s a fight ’gainst the blood and hatred in the air
Look for me Mom I’ll be there
Wherever there’s somebody fightin’ for a place to stand
Or decent job or a helpin’ hand
2
Wherever somebody’s strugglin’ to be free
Look in their eyes Mom you’ll see me.”
Well the highway is alive tonight
But nobody’s kiddin’ nobody about where it goes
I’m sittin’ down here in the campfire light
With the ghost of old Tom Joad.
Bruce Springsteen (1995)
IL FANTASMA DI TOM JOAD
Uomini a piedi lungo i binari della ferrovia
Vanno da qualche parte, è una via senza ritorno
Elicotteri della stradale spuntano dall’orizzonte
C’è zuppa calda sul fuoco per chi bivacca sotto i ponti
La fila per il ricovero fa il giro dell’isolato
Benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale
Famiglie che dormono in macchina nel Sudovest
Niente casa niente lavoro niente pace niente riposo
L’autostrada è viva stanotte
Ma nessuno si fa troppe illusioni su dove porti
Io sto seduto quaggiù nella luce davanti al fuoco
Cerco il fantasma di Tom Joad
Tira fuori un libro dal sacco a pelo
Il predicatore accende un mozzicone e fa una tirata
Aspettando il giorno che gli ultimi saranno i primi ed i primi saranno gli ultimi
In uno scatolone nel sottopassaggio
Ho un biglietto di sola andata per la terra promessa
Hai un buco in pancia e una pistola in mano
Dormi su un cuscino di sasso
Ti lavi nell’acquedotto municipale
L’autostrada è viva stanotte
Ma dove va a finire ognuno lo sa
Io sto seduto quaggiù nella luce davanti al fuoco
3
Aspetto il fantasma di Tom Joad
Dunque Tom disse: “Ma’, dovunque c’è un poliziotto che pesta un ragazzo
Dovunque c’è un neonato che piange per la fame
Dovunque si combatte sangue contro sangue e si respira odio
Tu cercami, Ma’, e mi troverai li
Dovunque ci si azzuffa per un posto in cui stare
O un lavoro decente o una mano soccorrevole
Dovunque qualcuno si batte per la propria libertà
Tu guarda nei loro occhi, Ma’, e vedrai me. ”
Dunque l’autostrada è viva stanotte
Ma nessuno si fa troppe illusioni su dove porti
Io sto seduto quaggiù nella luce davanti al fuoco
Con il fantasma di Tom Joad.
Ho scelto di iniziare la mia tesi con la canzone che Bruce Springsteen ha scritto nel 1995; a
me per primo è servita da stimolo per cercare di capire cosa c’è che non va in questo mondo. L’autore scrive «benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale», frase tanto dura, quanto vera.
Questa ballata parla di Tom Joad, un personaggio del notissimo libro di John Steinbeck The
grapes of wrath, uscito in Italia con il titolo Furore. Libro considerato un capolavoro dalla critica mondiale, racconta i drammi familiari di migliaia e migliaia di persone dopo la crisi del
1929.
Springsteen ha tradotto in versi questo libro, adeguandolo ai nostri tempi e lo ha fatto nel
1995, anzitempo rispetto la crisi finanziaria scoppiata un decennio dopo, con uno sguardo
lungo sul futuro. Parla di Nuovo Ordine Mondiale, dopo aver descritto una scena che si
commenta da sola e non lo fa a caso: il presidente Bush aveva usato questo termine parlando alle Nazioni Unite nel 1990:
«[…] la forza collettiva che esprimerete è qualcosa di storico che guarda al Nuovo Ordine
Mondiale e questa unione sembra dimostrare che il genere umano abbia finalmente iniziato
a guardarsi negli occhi: iniziamo assieme il cammino verso la nuova era.»
….ed anche in un’altra occasione:
4
«Non si parla di un solo piccolo Paese, ma di una grande idea, di un Nuovo Ordine Mondiale che consenta di realizzare le aspirazioni dell’umanità intera, basato su principi condivisi e sul rispetto delle leggi […] mille punti di luce che compongono una luce sola […] il
vento del cambiamento è con noi.»
La seconda parte della canzone mi ha colpito nel passaggio in cui l’autore fa parlare il protagonista, egli esprime alla madre il desiderio di essere in ogni luogo in cui ci saranno ingiustizie. Leggo questa parte del brano pensando che ognuno di noi dovrebbe essere un po’
come Tom Joad; ciascuno a modo proprio. Chi sul campo, chi nello studio, chi con la comunicazione, ma più di tutto tenendo tutti un comportamento amorevole e solidale verso il
prossimo.
Il romanzo di Steinbeck uscito nel 1939 racconta della crisi del 1929. Springsteen scrive la
canzone nel 1995, sembra che poco o nulla sia cambiato nel frattempo. Eppure in quella
parte di mondo, che siamo soliti definire occidente civilizzato e che sfrutta le maggiori risorse del pianeta, ci siamo accorti di quello che narrano Steinbeck e Springsteen solo quando l'attuale crisi finanziaria ci ha portato in tanti a constatare la dura realtà: il nuovo ordine
mondiale non ha risolto tutto e non ha mantenuto le promesse fatte con tanta determinazione.
È importante ripercorrere la storia, a partire dal 1929 e fino all'inizio del XXI secolo, per
comprendere le radici comportamentali che ci hanno portato a questa crisi finanziaria
mondiale. Intendo illustrare questa tesi proponendo un’analisi storico-politico-economica
in primis, seguita da una sociologica. Proporrò un’alternativa, quella di una società della decrescita, grazie all’illuminante testo di Serge Latouche, La scommessa della decrescita. Concluderò con una intervista che ho fatto ad un ex manager e amico, che in questi ultimi anni
è stato un esempio per me e che mi ha coinvolto e reso attore in un’avventura, quella del
volontariato, che mi ha e mi sta formando ogni giorno.
5
1. POLITICA ED ECONOMIA POST NEW DEAL
La Scuola di Chicago. Dopo la seconda guerra mondiale, la paura che potesse verificarsi
nuovamente un terzo conflitto fu la prima cosa che i paesi vincitori del nazismo vollero affrontare e risolvere. Fu chiaro subito che rendere gli sconfitti incapaci di creare nuovamente i presupposti per la nascita di nuove dittature, non poteva non passare attraverso un piano economico e politico basato sugli aiuti, in modo da rendere le situazioni sociali abbastanza stabili.
Il grande economista John Mainard Keynes fu ascoltato e palesò la sua linea. Il pensiero
keynesiano proponeva una democrazia con una forma di governo in cui lo Stato doveva essere attore protagonista sulla scena sociale ed economica di un paese; spazio alle libere imprese, ma con un mercato fortemente regolamentato da leggi dello Stato, con una sorta di
monopolio nel campo della sanità e dell’istruzione. C’era chi però questa visione non la
condivideva affatto, per motivi ideologici o di profitto. Nei paesi delle grandi dittature comuniste (URSS e Cina) lo Stato era l’unico attore e gestore di tutto, con limitazioni delle libertà personali in moltissimi campi della vita, se non in tutti. L'alternativa opposta a questi
pensieri era che lo Stato non dovesse affatto essere attore sul mercato in quanto
quest’ultimo, lasciato vivere di vita propria senza interferenze, si sarebbe autoregolato con
un conseguente equilibrio sociale ed economico e una libertà sostanziale per tutti.
Milton Friedman, economista e guru del capitalismo senza regole in quanto autoregolante,
è considerato il fondatore di una scuola di pensiero, la cosiddetta “scuola di Chicago”, la
maggior parte degli economisti fedeli a questa linea provenivano dalla Facoltà di Economia
dell’Università di Chicago. Il pensiero di questi studiosi, economisti (Friedman in primis) di
fama mondiale con conoscenze ad altissimi livelli politici e finanziari (governo americano,
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale per citare i più importanti), era tutto
sommato semplice: privatizzare, deregolamentare e tagliare la spesa sociale quasi completamente (Laissez-faire era il nome per identificare questo approccio politico-economico).
Non erano tempi facili per loro, nonostante vivessero negli Stati Uniti nel periodo della
guerra fredda contro il comunismo, la popolazione ed i politici del tempo non erano affatto
disposti ad abbracciare questa seppur apparentemente democrazia, in quanto estrema. Ed
anche se Friedman era molto considerato negli ambienti politici, non riusciva a far breccia
6
ed imporre questa linea al governo americano. Fu così che decisero di esportare e sperimentare all’estero le loro teorie, precisamente in Cile. La cosa fondamentale per poter imporre questa nuova forma di capitalismo estremo era, per Friedman, crearne i presupposti.
Uno shock, una situazione di crisi sociale che permettesse ai governanti di attuare misure
drastiche, sfruttando lo stato di confusione della popolazione. La situazione del Cile ad inizio degli anni settanta si presentò propizia. L’allora nuovo presidente eletto, Allende, stava
creando paure e perplessità negli ambienti politici e soprattutto economici degli Stati Uniti;
questo socialismo democratico non era ben visto, si era ancora in piena guerra fredda. Come ben noto la CIA e la multinazionale americana ITT (International Telephone Telegraph) hanno sostenuto il colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973, storia documentata1. Quello che molti non sanno è che prima, durante e dopo il drammatico 11 settembre, la
Scuola di Chicago ha ospitato e istruito molti futuri economisti cileni, divenuti in seguito
membri del governo del dittatore Pinochet. A partire dal 1956 infatti, grazie al “Progetto
Cile”, un centinaio di studenti cileni seguirono i corsi di laurea avanzati presso l’Università
di Chicago fino al 1970; le loro rette erano pagate dai contribuenti e da fondazioni statunitensi2. Non è segreto poi, Pinochet stesso ha raccontato vantandosene, che Friedman fu il
suo più importante consigliere3.
Milton Friedman, premio Nobel per l’economia nel 1976, sostenne che il New Deal era stato un fallimento totale. Affermò che fu proprio allora che tanti Paesi, «compreso il mio,
hanno sbagliato strada». 4 Nel suo primo libro, Capitalismo e Libertà, enunciò quelle che sarebbero state le nuove regole del liberismo globale: deregulation, privatizzazione e tagli.
Importante, vista l’elevatura culturale mondiale che ha avuto e considerando che lui più di
tutti fu l’ambasciatore della Scuola di Chicago, sottolineare il fatto che nel 1989, dopo i fatti
di Tienanmen (quando il governo cinese soppresse violentemente un movimento filodemocratico a Pechino, impedendo così la protesta contro un regime che voleva aprire agli
Subcommittee on Multinational Corporations, «The international Telephone and Telegraph Company and
Chile, 1970-71»,Report to the committee on Foreign Relations United States Senate by The Subcommittee on
Multinational Corporations,21 giugno 1973, p.13.
2 Valdés, Juan Gabriel Pinochet’s Economists: The Chicago School in Chile.Cambridge University Press, 1995,
pp.110. Orlando Letelier, The Chicago Boys in Chile: Economic Freedom’s Awful Toll, «The Nation», 28 giugno
1976.
3 Lettera di Milton Friedman al Generale Augusto Pinochet, del 21 aprile 1975.
4 Friedman e Friedman, Two Lucky People: Memoirs. Chicago: University of Chicago Press,1998 p. 594.
1
7
investimenti privati in Cina, continuando a mantenere il potere politico in modo dittatoriale), il Nobel per l’economia condannò l’uso della repressione da parte del governo cinese,
ma considerò la Cina un esempio «dell’efficacia del libero mercato nel promuovere prosperità e libertà».5
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. La Banca internazionale per la ricostituzione e lo sviluppo (BIRS o Banca Mondiale) è un’istituzione finanziaria internazionale creata nel 1944 a seguito degli accordi di Bretton Woods. L’obiettivo iniziale di finanziamento della ricostruzione postbellica si è ampliato nel tempo, fino a comprendere la riduzione della povertà, la promozione dello sviluppo equo e sostenibile, la gestione di problematiche a livello regionale e mondiale. Tali finalità sono perseguite mediante
l’erogazione di prestiti e sovvenzioni, la concessione di garanzie e l’offerta di prodotti di gestione dei rischi e di servizi di consulenza e assistenza tecnica. 6 Il Fondo monetario internazionale (FMI) è un’istituzione finanziaria internazionale creata nel 1944 a seguito degli
accordi di Bretton Woods con l’obiettivo di promuovere la cooperazione monetaria internazionale, la crescita del commercio mondiale, la stabilità degli scambi e del sistema valutario; sostenere la crescita economica, la creazione di occupazione e la riduzione della povertà; offrire assistenza finanziaria ai paesi che presentano squilibri della bilancia dei pagamenti.
Questi obiettivi sono perseguiti attraverso cinque strumenti principali: (a) la sorveglianza
sulle politiche economiche e di cambio; (b) le attività di ricerca e raccolta di informazioni
statistiche finalizzate all’analisi degli sviluppi economici nazionali, regionali e globali; (c)
l’erogazione di prestiti a paesi in difficoltà e a quelli in via di sviluppo con l’obiettivo di sostenerne le politiche di contrasto alla povertà; (d) la fornitura di servizi di assistenza tecnica.
7
Nel 1994 il partito Africal National Congress (ANC), con a capo Nelson Mandela uscito
dal carcere quattro anni prima, vinse le elezioni in Sud Africa. Quell’orribile cosa, chiamata
Apartheid, sembrava potesse finire del tutto con la vittoria di Mandela. Ma sebbene avesse
Friedman e Friedman, Two Lucky People: Memoirs, cit., p. 516.
www.worlbank.org
7 www.imf.org
5
6
8
vinto le elezioni e si apprestasse a governare, le cose non andarono come speravano. Il partito vincitore voleva rendere tangibili i sogni della Freedom Charter, una sorta di programma politico il quale, oltre all’abolizione dell’apartheid, comprendeva diverse riforme tra le
quali il controllo statale diretto della Banca Nazionale ed in generale una politica che rendesse il Sud Africa autonomo e libero dopo anni di segregazione razziale. La preoccupazione principale di Mandela era quella di evitare una guerra civile, ed il paese era molto vicino
a causa di una situazione economico-sociale pessima. Pertanto una delegazione dell’ANC
dovette sedersi ad un tavolo con l’opposizione (i leader dell’apartheid) e trattare le riforme
ed il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo governo; e questa trattativa portò ad una
serie di azioni che in pratica “smontarono” il programma politico ed economico scritto nella Freedom Charter.
La redistribuzione della terra in primis, non fu possibile in quanto i negoziatori accettarono
una clausola alla nuova costituzione che proteggeva ogni forma di proprietà privata e rendendo di fatto impossibile una riforma agraria.
La creazione di nuovi posti di lavoro fu resa altrettanto impossibile in quanto nel frattempo
l’ANC si era iscritto al GATT (il precursore del WTO8), che rese illegale finanziare le fabbriche di automobili e gli stabilimenti tessili.
L’acquisto massiccio di farmaci per curare i malati di AIDS, per curare le migliaia di persone nelle township (i ghetti creati dall’apartheid popolati dalla popolazione nera), fu difficilissimo in quanto le medicine erano molto costose e non potevano essere acquistate da case
farmaceutiche che le vendevano a prezzi bassi, a causa di un accordo promosso dal WTO
per i diritti di proprietà intellettuale, al quale l’ANC si era associato (senza alcun dibattito
pubblico).
La costruzione di nuove case nelle township e la possibilità di fornirle di elettricità fu
un’altra azione resa impraticabile: il debito pubblico ereditato dal governo dell’apartheid.
Portare l’acqua gratis per tutti? difficile. La Banca mondiale, con il suo vasto contingente
operativo di economisti, ricercatori e insegnanti, stava trasformando le partnership del settore privato nello standard di servizio.
8
World Trade Organization, www.wto.org
9
Imporre controlli sulla valuta per evitare speculazioni selvagge fu vietato, in quanto avrebbero violato un contratto da 850 milioni di dollari siglato dal Fmi, firmato prima delle elezioni. Così come fu impossibile aumentare il salario minimo per ridurre il divario creato
dall’apartheid, in quanto il contratto del Fmi prevedeva il “controllo dei salari”.9 Vishnu
Padayachee, un economista che era al servizio dell’ANC, sostiene che niente di tutto quello
accadde fu a causa di tradimenti da parte dei leader dell’ANC, ma semplicemente perché
furono sopraffatti da una serie di questioni che all’epoca non apparivano cruciali, ma che
poi avrebbero messo a repentaglio la futura libertà del Sudafrica.
Di sicuro il ruolo svolto dalla Banca mondiale, dal Fmi e WTO, fu molto importante nel
definire e potremo dire “suggerire” al nuovo governo la linea politica ed economica da seguire. Banca mondiale e Fondo monetario internazionale si trovano oggi, dopo oltre cinquant'anni, a confrontarsi con una realtà che, dal punto di vista economico, politico e sociale, presenta caratteristiche notevolmente diverse da quelle che aveva al momento della loro
istituzione. Si sono trasformate in agenzie di sviluppo. Questo è un fatto positivo, si sono
adeguate al cambiamento; ciò che però è preoccupante, visto che si parla di istituzioni nate
per essere imparziali, è il fatto che sono arrivate ad avere un’influenza tale nella progettazione e sviluppo delle politiche economiche dei Paesi che richiedono il loro aiuto, che sembra si sostituiscano ai governi stessi.
Mark Horton “Role of fiscal Policy in Stabilization and Poverty Alleviation”, in Post-Apartheid South Africa:
The First Ten Years, a cura di Michael Nowak e Luca Antonio Ricci, International Monetary Fund, Washington, DC 2005, p. 84.
9
10
2. LA SOCIETA’ DELLA CRESCITA
La quantità di foreste, acqua e terra disponibile è limitata. Se tutto viene trasformato in climatizzatori,
patatine fritte e automobili, si arriverà al momento in
cui non resterà più niente.
ARUNDHATY ROY10
La nostra società si è legata ad un destino che la condanna a crescere senza mai fermarsi; è
fondata sull’accumulazione illimitata e non può permettersi di rallentare perché ogni volta
che ciò accade, è il panico. Infatti la necessità dell’accumulazione illimitata fa della crescita
un circolo vizioso: la capacità di mantenere in piedi la spesa pubblica presuppone il costante aumento del Prodotto Interno Lordo (P.I.L.). Contemporaneamente, l’uso della moneta
e soprattutto del credito, per poter permettere il consumo e gli investimenti a chi altrimenti
non potrebbe, impongono la crescita. Il Nuovo Ordine Mondiale non ha mantenuto le
promesse, si potrebbe affermare, in quanto questa nostra società:
-
Produce disuguaglianze
-
Crea un benessere illusorio
-
Sviluppa una “antisocietà” malata della sua ricchezza e poco armoniosa per gli stessi ricchi
La prima questione è abbondantemente illustrata nei rapporti dell’Unpd (Programma delle
Nazioni Unite per lo sviluppo). Nel 2004 il Pil mondiale è arrivato a oltre 40.000 miliardi di
dollari, ossia una ricchezza sette volte superiore rispetto a quella di cinquant’anni prima.
Nel 1970, il divario di ricchezza tra il quinto della popolazione più povero e il quinto più
ricco era di 1 a 30, ma nel 2004 questo rapporto era di 1 a 74. Nel 1960, il 70 per cento dei
redditi globali era appannaggio del 20 per cento degli abitanti più ricchi; trent’anni dopo,
10
A. Roy, Defaire le developpement, sauver le climat, “L’Ecologiste”, 6, inverno 2001, p. 7.
11
questa quota è salita all’83 per cento, mentre quella del 20 per cento dei più poveri è diminuita dal 2,3 all’1,4 per cento. Inoltre, il 5 per cento degli abitanti del pianeta dispone di un
reddito 114 volte superiore a quello del 5 per cento dei più poveri. 11
Come si può dunque mettere fine a queste disuguaglianze continuando a spingere
sull’acceleratore della crescita, quando è proprio la macchina della crescita che ha portato a
crearle? Questa nostra società è in crisi, in quanto non permette alla maggior parte delle
persone di guadagnarsi da vivere in modo onesto.
La seconda questione è altrettanto vera ed importante: l’ossessione del Pil porta e considerare positiva ogni produzione ed ogni spesa, includendo perciò anche quelle relative a produzioni nocive e conseguenti spese per neutralizzare le prime. Osserva Hervé-René Martin
: «A onor del vero, bisogna però dire che i disastrosi effetti sociali e ambientali provocati
dal sistema di produzione industriale (materie plastiche in testa) e dai modi di vita che induce, uccidono infinitamente più persone di quanto filtri e protesi in plastica riusciranno mai
a salvarne». 12
Esistono probabilità che oltre una certa soglia la crescita del Pil si traduca in una diminuzione del benessere, se analizziamo razionalmente quanto affermato sopra.
La terza questione è ancor più paradossale a mio avviso, in quanto la stessa parte di popolazione (quella ricca del pianeta) che ha voluto e creato il Nuovo Ordine Mondiale, si trova
ad essere “vittima” della propria ricchezza. Se consideriamo la felicità un bene che aumenta
all’aumento del consumo, saremo sempre legati a quest’ultimo; non saremo mai pienamente soddisfatti in quanto se non consideriamo la felicità come il fine ultimo ed il bene più
grande, come si parla nei libri degli antichi filosofi morali, saremo sempre alla ricerca di un
nuovo oggetto o un nuovo potere. Il sociologo Emile Durkheim sostiene che questo presupposto utilitarista della felicità è costituito da un insieme di piaceri legati al consumo
egoista. Questa felicità può portare all’anomia, ovvero quella mancanza di norme sociali en-
Unpd (United Nation Development Program), La libertà culturale in un mondo di diversità, Rosenberg & Sellier,
Torino 2004
12
H.-R. Martin, La Mondialisation racontée à ceux qui la subissent. La Fabrique du diable., vol. 2, Climats, Parigi
2003. p. 79.
11
12
tro cui si mantengono i comportamenti individuali, e al suicidio.
13
Secondo
l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno nel mondo quasi un milione di persone si
toglie la vita, un dato di gran lunga superiore al numero di omicidi (500.000) e alle vittime
di guerra (250.000). 14 Sempre secondo l’Ocse, all’interno dei suoi paese membri, negli ultimi trent’anni il tasso di suicidio è aumentato in media del 10 per cento. 15
Il disvalore. Come detto precedentemente, il Pil è fondamentalmente un flusso di ricchezza puramente mercantile e monetario. Mentre la crescita è la progressione del Pil, quindi
tutto ciò che essere venduto e che ha un valore monetario, contribuisce ad aumentare il Pil
e la crescita, indipendentemente che questo contribuisca o meno al benessere individuale
collettivo. «Il nostro Pil, » dichiarava Robert Kennedy, «comprende anche l’inquinamento
dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le corse delle ambulanze che raccolgono feriti sulle
strade. Comprende la distruzione delle nostre foreste e la distruzione della natura. Comprende il napalm e il costo dello smaltimento delle scorie radioattive. Per converso, il Pil
non tiene conto della salute dei nostri figli, della qualità della loro istruzione, del divertimento dei loro giochi, della bellezza della nostra poesia o della solidità dei nostri matrimoni. Non considera il nostro coraggio, la nostra integrità, la nostra intelligenza, la nostra saggezza. Misura tutto, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta».16
E’ stato cosi dominante ed imperante l’economicismo, che solamente nel 1968 grazie al noto scrittore, storico e pedagogista austriaco Ivan Illich è stato concettualizzato il termine
“disvalore”, vale a dire «quel genere di perdita […] che non può essere valutato con categorie economiche». Illich cita l’esempio di chi perde l’uso effettivo dei suoi piedi in seguito al
monopolio radicale imposto dalle auto nell’ambito della locomozione, affermando giustamente a mio avviso, che i piedi non sono dei semplici mezzi di locomozione come ritengono alcuni ingegneri del traffico. Ma siamo talmente sopraffatti dal dominio culturale eco-
C. Laval, L’ambition sociologique, Saint-Simon, Comte, Tocqueville, Marx, Durckheim, Weber, La Découverte, Parigi
2002, pp. 255-258.
14 J.-P. Besset, La scelta difficile. Come salvarsi dal progresso senza essere reazionari, Dedalo, Bari 2007, p. 258.
15 S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, 2012 p. 41.
13
16
Citato da D. Rasmussen, The priced versus the priceless, “Interculture” (Montreal), 147, ottobre 2004.
13
nomicista, che non ci accorgiamo nemmeno di questa perdita, che l’autore austriaco chiama
appunto “disvalore”. 17
Il problema di come misurare la felicità. A questo punto è necessario stabilire come e se
è possibile misurare la felicità. Abbiamo visto che il Pil e la sua crescita non sono degli indicatori affidabili, nel senso che i dati affermano che l’aumentare del Pil non ha prodotto un
aumento della felicità. Forse è necessario aggiungere ed usare degli indicatori alternativi del
benessere, come l’Indicatore dello sviluppo umano, GPI (Genuin Progress Indicator) 18o
l’indicatore del progresso autentico, ISS (Indicatore di sanità sociale)19, in modo da estendere la valutazione ad aspetti “dimenticati” nella valutazione del benessere. Le convenzioni
sulle quali si fonda il calcolo del Pil sono pertanto arbitrarie, in quanto non contengono alcuni indicatori come ad esempio quelli appena citati.
Sondaggi fatti negli Stati Uniti nel 2005 da Gallup per il “Financial Times” affermano che
sebbene “la ricchezza media è più che triplicata nel secondo dopoguerra, passando da
15.000 a 35.000 dollari costanti l’anno […] la percentuale di persone particolarmente felici è
in continua diminuzione dal 1960”. 20 Già nel 1968, l’istituto francese dei sondaggi ha intervistato i cittadini di otto grandi paesi industrializzati: per il 49 per cento degli americani la
felicità è in diminuzione, mentre per il 26 per cento è in aumento; per il 69 per cento aumenta la propria inquietudine, per il 15 per cento diminuisce […]; per il 79 per cento degli
olandesi la propria serenità diminuisce, mentre per il 4 per cento aumenta. In tutti i paesi
studiati aumenta l’inquietudine dei cittadini. 21 E’ possibile concepire che l’evoluzione del
Pil e dell’Iss e Gpi crea una “forbice” inversa: il Pil diminuirebbe mentre l’Iss e il Gpi aumenterebbero o resterebbero stabili. Da questa concezione nasce la possibilità della costruzione di una società della decrescita; organizzare il ribasso del Pil e il miglioramento dell’Iss
e del Gpi, vale a dire scindere il miglioramento della situazione delle singole persone
dall’aumento della produzione materiale ed occuparsi quindi non più del “ben-avere” ma
17
I. Illich, Nello specchio del passato, Red, Como 1992, pp. 43-44.
Calcolato dal 1995 dall’istituto californiano Redefining Progress. Contempla una stima monetaria del volontariato e del lavoro domestico e sottrae una stima monetaria degli affetti negativi ecologici e sociali.
19 Formulato nel 1996 da Marc e Marque-Luisa Miringoff.
18
20
21
Dati forniti da E. Le Boucher, “Le Monde”, 16-17 giugno 2005.
F. De Closets, En danger de progres, Denoel, Parigi 1970, p. 43.
14
del “ben-vissuto”. 22 Pertanto non si tratta di cambiare solamente il modo di valutare il benessere, la felicità, introducendo nuovi parametri; non sarebbe sufficiente. Ciò che è necessario è un cambiamento culturale radicale, una rivalutazione a 360 gradi. E’ necessario trovare altri indici, non solamente quantitativi. Per rivoluzione, sostiene Latouche, si intende
uscire dagli schemi di valutazione attuali, quelli puramente economici, e abbracciare quelli
sociali. Uscire cioè dal paradosso del pensare all’uscita dall’economia in termini economici.
22
S. Latouche, La scommessa della decrescita, cit. , p. 56.
15
3.
UN’ALTERNATIVA: LA SOCIETA’ DELLA DECRESCITA
Non siamo obiettori di crescita perché non abbiamo
niente di meglio da fare, né per dispetto, ma perché
non sarà più possibile continuare con le dinamiche
seguite fino a oggi. Anche nel caso in cui esistesse la
possibilità di una crescita infinita, per noi questo sarebbe un motivo in più rifiutarla, noi vogliamo rimanere semplicemente umani […] La nostra battaglia è
anzitutto una battaglia di valori. Rifiutiamo questa
società di lavoro e di consumo nella mostruosità della sua ordinarietà e non solo nei suoi eccessi.
PAUL ARIES23
Ciò che serve è una rivoluzione culturale, che deve partire proprio dai valori, ecco perché
Aries parla di battaglia di valori. Oggi i valori positivi dominanti sono l’aggressività, il cinismo per il raggiungimento degli obiettivi, l’indifferenza per la sofferenza degli altri, vicini e
lontani. La battaglia sta nel fatto di rinforzare altri valori e far si che l’altruismo prenda il
sopravvento sull’egoismo, la cooperazione sulla competizione sfrenata, il piacere di divertirsi sull’ossessione del lavoro, l’importanza della vita sociale sul consumo illimitato, il locale
sul globale, il gusto per il bello sull’efficienza produttiva, il ragionevole sul razionale, il relazionale sul materiale ecc. La proposta può essere sinteticamente descritta nella regola delle
8 R: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare,
Riciclare. Tutte azioni che devono formare un cerchio chiuso, un circolo virtuoso, in quanto
legate l’una all’altra. Innanzitutto è importante capire come si è arrivati al punto in cui ci
troviamo, cioè com’è stata possibile questa “colonizzazione delle nostre anime”. Essa ha
preso forma in tre modi e cioè attraverso l’educazione, la manipolazione mediatica e il consumo quotidiano, ovvero il modo di vita concreto. Bisogna rivalutare e di seguito riconcet-
23
P. Aries, La décroissance est-elle soluble dans la modernité?, “Silence”, n. 302, ottobre 2003 p. 31.
16
tualizzare ciò che viene insegnato attraverso l’educazione, vale a dire ciò che permette al
bambino di diventare adulto, cittadino, persona. Essa è tradizionalmente compito delle istituzioni scolastiche, ma non deve fermarsi a questo. Se anche gli educatori sono educati male, come se ne esce? Mettere in pratica valori più consoni a formare cittadini migliori, passa
attraverso tutti noi. Per poter realmente essere rivoluzionari e cambiare, bisogna tutti fare
pratica ogni giorno ed in ogni ambito della nostra vita. Per crescere i nostri figli nella speranza che non commettano gli stessi errori e che diano più importanza a certi valori piuttosto che ad altri, non imponiamoglielo ma diamogli gli strumenti per pensare in modo critico e diamo loro la nostra fiducia affinché essi possano costruire un proprio senso critico.
In questo modo si potrà contrastare la manipolazione mediatica, altra forma che ha costruito questa società. Essa è uno strumento fondamentale di veicolazione di informazioni,
creazione di bisogni. Si possono fare innumerevoli esempi, dai manipolatori lampanti come
le società multinazionali e le lobby economiche (Monsanto, Novartis, Bayer), gli stati nazionali e i loro servizi specializzati (Cia, KBG): quando è stata diffusa la presenza di armi di
distruzione di massa che ha dato il pretesto al governo Bush per dichiarare guerra all’Iraq.
L’inganno è stato poi svelato, ma la disinformazione aveva ormai raggiunto il suo scopo. E’
interessante la dichiarazione del direttore dell’emittente privata francese TF1, Patrick Le
Lay: «Ci sono molti modi di parlare di televisione. Ma all’interno di una prospettiva di ‘business’, dobbiamo essere realisti: fondamentalmente, il compito di una televisione come la
nostra, è aiutare Coca-Cola, per esempio, a vendere il suo prodotto. Ora, affinchè un messaggio pubblicitario sia percepito, è necessario che il cervello del telespettatore sia disponibile. Le nostre trasmissioni hanno il compito di renderlo disponibile divertendolo e distraendolo tra un messaggio e l’altro. Noi vendiamo a Coca-Cola tempo di cervello umano
disponibile». 24 Infine agire sul modo di vita concreto è basilare, perché se l’educazione e la
manipolazione hanno formato cittadini malati, indubbiamente è il comportamento costante, attraverso il consumismo, che ha consolidato e reso difficile da invertire il nostro modo
di vivere.
La terza fase, in seguito alla rivalutazione e riconcettualizzazione, è quella della ristrutturazione, ovvero adattare il sistema di produzione e i rapporti sociali in funzione di un cam-
24
P. Viveret, Riconsiderare la ricchezza, Edizioni Terre di Mezzo, Milano 2005 p. 32.
17
biamento di valori. In questo momento è in gioco la costruzione della società della decrescita. Passando alla quarta R, quella della ridistribuzione, è una logica conseguenza del passaggio precedente in quanto ristrutturare è già una forma di ridistribuzione. La ridistribuzione deve essere fatta sull’insieme degli elementi del sistema: la terra, i diritti di attingere
dalla natura, il lavoro, i redditi, le pensioni ecc. Per ciò che riguarda i rapporti tra Nord e
Sud, non si tratta di dare di più al Sud, ma di attingere di meno.
Rilocalizzare significa utilizzare lo strumento strategico più importante della decrescita e
realizzarne uno dei principale obiettivi. Pensare globalmente, agire localmente. Negli ultimi
anni sono nati moltissime associazioni senza scopo di lucro o almeno non esclusivamente a
tale scopo: imprese cooperative di autogestione, comunità agricole, banche del tempo, comitati di quartiere ecc. ma queste imprese sono destinate a fallire o fondersi nel sistema
dominante, se non vengono sostenute attraverso un cambiamento economico e politico. Se
pensiamo all’esempio delle banche locali, fortemente radicate nelle economie locali, quasi
scomparse con l’espansione delle banche nazionali, a loro volta inglobate da quelle transnazionali. Il cambiamento invece dovrebbe partire proprio dal locale, rivitalizzandolo, al Nord
come al Sud. Rilocalizzare significa produrre localmente la maggior parte dei prodotti necessari alla soddisfazione dei bisogni della popolazione e a partire dalla aziende locali finanziate dal risparmio raccolto localmente. Ciò che può essere prodotto localmente, perché
produrlo al di fuori? Questo è un principio di buon senso più che economico e razionale.
Afferma Lefebvre: «Che cosa importa guadagnare qualche soldo su un oggetto, quando bisogna stanziare grandi somme per garantire la sopravvivenza di una frazione della popolazione che non è più in grado di partecipare alla produzione dell’oggetto». 25
Un altro tema importante che deve affrontare la rilocalizzazione, è quello
dell’autoproduzione energetica. Le energie rinnovabili (solare o eolica) sono adatte alla produzione e all’uso locale ancor di più che su scala nazionale. Con l’inevitabile esaurimento di
alcune energie, prima fra tutte il petrolio, diventerà una necessità agire localmente per poter
risolvere il problema globalmente. Infine non posso non concordare e di seguito citare il
25
Y. Mignon-Lefebvre, M. Lefebvre, Les patrimoines du futur. Les sociétés aux prises avec la monopolisation,
L’Harmattan, Parigi 1995, p. 235.
18
professore Alberto Magnaghi, docente di pianificazione territoriale presso l’Università di
Firenze: «La riterritorializzazione prende avvio dalla restituzione al territorio della sua dimensione di soggetto vivente ad alta complessità […] E’ un processo complesso e lungo
(cinquanta, cento anni? ) che riguarda la costruzione di una nuova geografia fondata sulla
rivitalizzazione dei sistemi ambientali e sulla riqualifica dei luoghi ad alta qualità dell’abitare
come generatori di nuovi modelli insediativi capaci di rivitalizzare il territorio dalle ipotrofie
della megalopoli. Questo processo non può avvenire in forme tecnocratiche; esso richiede
nuove forme di democrazia che sviluppino l’autogoverno delle comunità insediate, poiché
riabilitare e riabituare i luoghi significa nuovamente prendersene cura quotidianamente da
parte di chi ci vive, con nuove sapienze ambientali, tecniche e di governo». 26 La rilocalizzazione deve avvenire anche sul piano politico ovviamente, ecco perché in questo momento
storico è forse più importante candidarsi nei governi locali; per una rivoluzione che deve
partire dal basso. Come precedentemente scritto: agire localmente, pensando globalmente.
E’ questa anche l’unica strategia democraticamente possibile, per non incorrere nell’utopia;
non è possibile pensare di scontrarsi frontalmente con i colossi dominanti a livello globale,
ma è invece possibile agire localmente e creare la formazioni di “bioregioni”, ovvero regioni naturali in cui greggi, piante, animali, acque, terra e uomini formano un unicum armonioso. Per rispondere a chi volesse liquidare tutto questo come semplice utopia, possiamo dire
che considerare la democrazia radicale locale o la democrazia partecipativa come la soluzione di tutti i problemi è eccessivo, certamente. Ma rivitalizzare la democrazia locale è un
primo passo verso la costruzione di una serena società della decrescita. Il passo successivo
sarà quello di, una volta moltiplicate le esperienze, coordinarsi con tutte le iniziative che
vanno nel senso di una rivitalizzazione del locale, per articolare una resistenza e giungere
alla nascita di una società autonoma che partecipi alla decrescita conviviale. 27
Veniamo ora alle ultime tre R, ovvero ridurre, riutilizzare e riciclare. Ridurre significa ridimensionare, ce lo impone il pianeta stesso dal punto di vista ecologico e quindi dei consumi e dello sfruttamento delle risorse, soprattutto quelle non rinnovabili. Nel fare ciò, inevi26
A. Magnaghi, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000 p. 213.
27
Per cominciare, seguendo la suggestione di Yves Cochet, bisognerebbe sostituire il Wto con l’Oml (Orga-
nizzazione mondiale per la localizzazione), con lo slogan: “Proteggere il locale globalmente”. Y. Cochet, Pétrole apocalypse, Fayard, Parigi 2005 p. 225.
19
tabilmente dovremo ridimensionare il nostro stile di vita e l’unico modo possibile è quello
di pensare ad un cambiamento dei nostri bisogni. Questo è un argomento molto delicato,
in quanto i “bisogni” si costruiscono a livello culturale e storico. Pensare che al giorno
d’oggi molti oggetti potrebbero essere considerati superflui per il solo fatto che un secolo
fa’ non c’erano, non è la strada giusta. Bisogna invece continuare a pensare che dobbiamo
inventarci una nuova società pensante, per costruire una nuova cultura, il cui pilastro principale dovrà essere la sobrietà. Francesco Gesualdi (attivista e saggista italiano, allievo di
Don Milani) riassume la sobrietà in cinque parole d’ordine, che cominciano anch’esse tutte
per R : ridurre, riutilizzare, riparare, riciclare, rallentare. 28 Ed è proprio questo approccio
che l’autore, Serge Latouche, prende come punto di partenza per la costruzione di una società della decrescita.
Volendo affrontare un tema importante, che da qualcuno potrebbe giustamente essere sollevato: come si può proporre la decrescita nel Sud del mondo, che già hanno poco o nulla?
pensare che la decrescita sia solo appannaggio del Nord e quindi dei “ricchi” non è realistico e andrebbe contro gli stessi principi che hanno partorito l’idea stessa della decrescita. La
decrescita non deve essere intesa come una decrescita in tutto e per tutto. Si tratta, come
scritto nelle pagine precedenti, di un cambiamento culturale che abbraccia il modo di vivere
di un intero pianeta, Nord e Sud compresi. Pertanto la prima cosa a cui pensare è quella di
rendere il Sud autonomo, rompendo la dipendenza che ha nei confronti del Nord (e a causa del Nord aggiungo io). Creare la decrescita nel Sud potrebbe non necessariamente dover
portare la prospettiva delle otto R di cui abbiamo scritto sopra, bensi utilizzare altre “R”
alternative e complementari, come rompere, riannodare, ritrovare, reintrodurre, recuperare
ecc.
Un abbozzo di programma politico. In questo periodo storico possiamo affermare che
vi è quasi un’unanimità nel voler salvare il pianeta, ma contemporaneamente vi è
un’altrettanta unanimità a favore della crescita. Il problema forse è che la maggioranza delle
persone è molto restia a voler cambiare i propri stili di vita, soprattutto se si tratta di dover
rinunciare a qualcosa. E l’avversario politico della decrescita, il sistema economico attuale, il
Nuovo Ordine Mondiale, continua il suo lavoro di delocalizzazione, deterritorializzazione,
28
F. Gesualdi, Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, Milano 2005, p. 54.
20
deculturizzazione e distruzione dell’ecosistema, con l’appoggio delle istituzioni internazionali (Fmi, Banca mondiale, Wto), dall’Unione europea e dagli stati nazionali che smantellano il settore pubblico, privatizzano i beni comuni e deregolamentano tutto ciò che possono
e che gli viene richiesto. Riposto di seguito uno schematico e sintetico programma politico,
alcune misure semplici per poter avviare il circolo virtuoso della decrescita. Il programma
proposto dall’autore Serge Latouche, è una ovvia conseguenza di quanto analizzato fin
d’ora:
1. Tornare a un impatto ecologico sostenibile per il pianeta, ovvero a una produzione materiale equivalente a quella degli anni sessanta-settanta.
2. Internalizzare i costi dei trasporti.
3. Rilocalizzare le attività.
4. Ripristinare l’agricoltura contadina.
5. Trasformare l’aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi, fino a quando esiste la disoccupazione.
6. Incentivare la “produzione” di beni relazionali.
7. Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4.
8. Penalizzare fortemente le spese per la pubblicità.
9. Decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica, tracciarne un bilancio serio e orientare la ricerca scientifica e tecnica in funzione delle nuove aspirazioni. 29
Riguardo a quest’ultimo punto, l’autore si sofferma a precisare che non si vuole limitare il
sapere o imporre alcuna dittatura culturale, ma semplicemente bisognerebbe seguire un
paio di principi, ovvero quello di pensare che innanzitutto l’economia dev’essere uno strumento e non il fine della vita umana; e quello della ragionevolezza nell’espansione del sapere. Sottolinea altresì il fulcro cardine del programma, cioè l’internalizzazione delle diseconomie esterne (i danni provocati dall’attività di un soggetto che ne fa pagare i costi alla col-
29
S. Latouche, La scommessa della decrescita, cit., p. 169.
21
lettività). Questa misura permetterebbe di realizzare, se usata con estrema forza, quasi
completamente il programma di una società della decrescita. 30
30
«Teoricamente, in regime di economia di mercato, tutte le ‘esternalità’ devono essere internalizzate sia at-
traverso una tassazione, sia attraverso la creazione dei diritti di proprietà, i meccanismi di mercato porterebbero allora a una situazione socialmente migliore» (C. Aubertin, F.-D- Vivien [a cura di], Le Développement durable. Enjeuxpolitiques, économiques et sociaux, La Documentation fran
caise, Parigi 2006, p. 64.
22
4. INTERVISTA AD UN AMICO
Di seguito riporto l'intervista fatta a un amico, ex manager che ha deciso di cambiare vita. Il
suo nome è Marcello Girone Daloli. Lo scopo di questo faccia a faccia è entrare nel profondo della sua esperienza fino alle considerazioni personali.
Quando è iniziata la tua esperienza di marketing?
«Da bambini vendevamo giornalini usati per strada. A fine giornata avevamo raccolto qualche spicciolo dai
pochi passanti di via Leopardi, dove vivevo a due passi dal tribunale minorile di Milano, forse mossi a pietà dopo aver assistito a qualche sentenza. Pochi soldi racimolati e gran partite a calcio sul marciapiede.
Raccolto quanto bastava con un amico comperavamo a buon prezzo molti giornalini di altri bambini per
poi spingerci sino alla scalinata di Piazza Cadorna dove migliaia di pendolari transitavano tutti i pomeriggi per uscire dalla città con i treni delle Ferrovie Nord. Il target perfetto! Persone che, dopo una giornata di
lavoro potevano gradire leggere un fumetto in treno, a cui duecento lire di differenza sul prezzo di copertina
facevano pure comodo e che forse si rispecchiavano nei bambini di strada che li vendevano. Ben presto si rivelò una miniera d’oro! Comperavamo a man bassa dai bambini della zona ed eravamo divenuti uno spiacevole concorrente del giornalaio che più volte chiamò i vigili.
Facevamo marketing. Un marketing che nasceva dalla spontanea attitudine alle relazioni sociali volte al
proprio profitto. Anni dopo ho scoperto che le fondamentali strategie di vendita, alla cui base c'è l'attento
studio del target, il bersaglio da colpire per vendergli un prodotto, rispecchiavano quella facoltà che può sorgere spontanea in chi è predisposto a un'osservazione speculativa del mondo.
Che si tenti di imprimere nel target di riferimento l’immagine del prodotto attraverso massicci investimenti
mediatici, magari legando la propria immagine a eventi o personaggi (testimonial) a lui graditi, o di stimolare nuovi desideri generando nuovi consumatori, le strategie, sempre più sofisticate, partono prevalentemente
dalla conoscenza delle inclinazioni delle persone».
Dove hai avuto la percezione che il marketing fosse un potente mago nel commercio senza scrupoli con trucchi e inganni?
«A New York quando ero in BBDO, uno dei colossi pubblicitari mondiali, lavoravo sul cliente worldwide
Pepsi Cola, nei brainstorming, i meeting dove si creano le nuove campagne, assaporavo la demoniaca adrenalina che scaturisce dal creare un prodotto mediatico che in genere condiziona milioni di persone e dallo spirito competitivo. La battaglia senza regole con Coca Cola andava ben oltre la “creatività” delle campagne
pubblicitarie, tutti sapevamo della compravendita di informazioni strategiche sulle campagne appena sfornate da ambo le parti. No, “non era un paese per vecchi” e tanto meno per saggi. Si viaggiava a mille all'ora
dall'isola che governava il mondo. Almeno così ci si immaginava a Manhattan. Una spanna sopra tutti.
Illusione potentissima. In Italia e in Spagna nei primi anni 90, lavorando nelle tele-sponsorizzazioni, ho
iniziato a cogliere l'impeto di quel che Orson Welles nel 1941 definì il “Quarto potere”. Il potere mediatico, lo strumento di divulgazione/propaganda che oggi erroneamente chiamiamo “comunicazione”, è in grado
di determinare non solo il potere di Parlamento, Magistratura e Governo, ovvero della politica, ma anche
dell'economia che la controlla e delle istituzioni religiose che sono forse state le prime a utilizzarlo. In demo23
crazia l'esito del successo dipende dalla qualità, e soprattutto dalla quantità, di propaganda apparentemente
volta a informare, che in realtà deve indottrinare, vendere idee come prodotti».
Presa consapevolezza che il tuo lavoro 'creava' illusioni, come hai cambiato l'uso
delle tue conoscenze del settore?
«Oggi ne parlo in conferenze, dibattiti pubblici e lezioni nelle scuole che preferisco chiamare incontri e condivisioni dove, partendo dalle famose cinque P del marketing, attraverso case history e aneddoti poco conosciuti
ai non addetti ai lavori, cerco di portare l'attenzione sugli aspetti fondamentali inerenti il potere persuasivo
delle campagne pubblicitarie anche a livello inconscio, in particolare sui bambini, e il potere economico delle
multinazionali anche sull'informazione. Cerco di offrire una panoramica di base del Media per eccellenza,
la televisione, che raggiunge più facilmente il target e lo colpisce quando è più rilassato-vulnerabile, quando le
difese mentali sono basse ed è più facile accedere all’inconscio, là dove si radicano quelle associazioni di desideri che garantiranno poi l'acquisto di un prodotto che apparentemente non ha nulla a che vedere con il desiderio reale. L'uomo vede la ragazza mezza nuda e il suo sguardo registrerà anche il brand che le sta accanto, vede l'attore, il cantante o il calciatore che apprezza bere, mangiare o usare un prodotto e, se quando
dovrà scegliere quella tipologia di prodotto non sarà attento e responsabile nell'acquisto, con grande probabilità comprerà proprio quello pubblicizzato. Tutto avviene nell'inconscio: nessuno comprerebbe i biscotti o
l'acqua minerale perché realmente crede che li mangi o la beva il testimonial della campagna, eppure i numeri dimostrano che a tot investimento pubblicitario corrisponde un incremento di fatturato, ovvero un condizionamento inconscio del target. Bersaglio colpito! »
Pensi che l'individuo medio conosca i meccanismi della pubblicità?
«Parlando con la gente ho scoperto che in pochissimi sanno del ruolo che le concessionarie delle reti televisive
in Italia, ovvero gli enti che le gestiscono economicamente, hanno sulla qualità del prodotto televisivo e
sull'informazione. Le due più grosse in Italia sono SIPRA e Publitalia concessionarie rispettivamente di
RAI e Fininvest».
Come producono profitto queste società?
«Le concessionarie con il ricavato della vendita di spazi pubblicitari e sponsorizzazioni coprono le spese di
produzione e gli acquisti di film e fiction esterne di tutto il palinsesto/programmazione.
Il parametro di vendita degli spazi è il “costo contatto”, ovvero il costo per ogni singola persona che il programma, in cui è inserito lo sponsor e/o intervallato da reclam, riesce a raggiungere/colpire. Queste, se il
reparto programmazione media ha bene interpretato il target del prodotto da pubblicizzare, saranno i potenziali consumatori. In genere ci prendono».
Le società che investono in pubblicità come riconoscono l'efficacia del prodotto
pubblicitario e come si struttura un modello efficace?
«L'incremento di fatturato dell'azienda ne è il parametro. Ecco perché il valore commerciale di un programma televisivo è dato dall'audience. Quel numero garantisce la sopravvivenza o meno del programma. Il
sistema più semplice per fare audience è offrire un prodotto di facile recezione che attiri il telespettatore. Per
garantirsi ciò si fa leva sugli istinti più bassi dell'uomo e della donna: sessualità e denaro facile. Il prime
time, o prima serata, dalle 21 alle 22, ora di massima audience, dove il target è stanco e debole dopo la
giornata di lavoro, il format, la struttura del programma, più comunemente offerto contiene quasi sempre
donne sessualmente intriganti e giochi a premi di facile risposta in modo da illudere il telespettatore che lui
24
stesso, conoscendo la risposta, potrebbe essere il vincitore della cifra in palio. I vecchi quiz con Mike Buongiorno richiedevano una preparazione da parte dei concorrenti che li allontanava troppo dal target. Questo
format a quest'ora garantisce audience, ovvero denaro, pressoché a livello mondiale».
Viene usato solo il canale televisivo?
«Oltre alle fiction e a tutto il palinsesto/programmazione le concessionarie pagano anche le redazioni dei
telegiornali, contrariamente a quanto avviene nei paesi del nord Europa dove l'informazione è sovvenzionata
direttamente dallo Stato, in modo indipendente da poteri politici ed economici, così come in Italia sanità,
pensioni, istruzione, sicurezza eccetera. In Italia l'informazione televisiva e della stampa è invece vincolata
ad ambedue i poteri che la utilizzano, in modo spesso subliminale, per far passare idee politiche o promuovere aziende che investono molto in spazi pubblicitari».
Puoi farci qualche esempio di questo tipo di strumentalizzazione?
«Così accade che scandali di livello internazionale di aziende molto potenti passino sotto silenzio. Per esempio lo scandalo Coca Cola che ha indotto una campagna di boicottaggio soprattutto negli USA per il comportamento, che persiste da decenni, in Colombia, dove si registrano da anni licenziamenti, pestaggi e assassinii tra i sindacalisti che, oltre alle condizioni di lavoro dei dipendenti, denunciano l'abbassamento della
falda acquifera dei villaggi limitrofi agli stabilimenti.
In Italia però Coca Cola detiene l'85% del mercato delle cola!
Neppure è dato conoscere all'opinione pubblica l'operazione di stampo mafioso che proprio in Italia ha visto
il colosso delle cola affossare la distribuzione di “One o One”, la cola messa sul mercato da San Pellegrino
nel 1987. O il caso del rapporto Philip Morris al governo della Repubblica Ceca in cui nel 2001 dimostrava gli enormi risparmi che l'azienda garantiva allo Stato in termini di assistenza medica e pensioni. In
pratica lo slogan avrebbe potuto essere “ve li ammazziamo prima che diventino un costo”, lasciando in vita
gran parte dei fumatori in età contributiva.
Di esempi taciuti dalla cosiddetta “informazione televisiva” dell'aberrazione della logica del profitto ve ne
sono molti. Ancora oggi i media non possono raccontare dell'orrore delle guerriglie in Congo per accaparrarsi
il Coltan, la preziosa miscela di minerali indispensabile per le apparecchiature elettroniche (playstation, cellulari, videocamere...). Dal 1998 ad oggi sono state uccise 4 milioni di persone, un olocausto di cui non
siamo tenuti a sapere.
La lista delle news taciute è lunga e comprende quasi tutte le multinazionali dei cui misfatti nei paesi del
sud del mondo, ma anche in Occidente, il cliente, noi, il target, i consumatori non dobbiamo essere informati».
Qual’ è l'esperienza che ti ha fatto entrare più di tutto nell'ingiustizia sociale?"
«Nel 2003 ho lavorato in una fabbrica di jeans a Bangalore e ho toccato con mano un'altra espressione del
degrado umano in nome del marketing, quel sistema di ingiustizia sociale che chiamiamo “globalizzazione
economica”, scaturita dalle politiche liberiste di un presunto libero mercato, in realtà nelle mani di pochi,
come spiega in modo dettagliato il primo studio sulle connessioni delle multinazionali dell’Eth, il Politecnico
federale di Zurigo, tra i più importanti centri di ricerca a cui sono legati 31 premi Nobel. Pubblicato nel
settembre 2011, e del quale naturalmente non è stato dato alcun risalto dai media, lo studio, partendo da
37 milioni di imprese e investitori, smaschera il fenomeno delle Blue chips, un nucleo di 1.318 imprese con25
nesse da intrecci societari e di azionariato attraverso meccanismi di partecipazione reciproca che sfuggono a
qualsiasi regola e controllo».
Come e dove si muove il pachiderma 'globalizzazione'?
«Il club dei ricchi, la cupola della multinazionali, in grado di offuscare il flusso di capitali grazie ai trust,
controllando tutti i mercati, dall'energia all'agroalimentare, dal farmaceutico agli armamenti, di fatto decide
le sorti economiche ed ambientali del pianeta. Nell'elenco dei 50 soggetti economici più influenti al mondo
40 sono di carattere finanziario e le loro interconnessioni fanno sì che se salta uno salti il sistema. Questo il
motivo per cui nel 2008 il governo statunitense ha dovuto salvare le banche in fallimento. Idem per i recenti
interventi monetari UE diretti non tanto a salvare gli Stati e le imprese per “risollevare l'economia” quanto
le banche creditrici che persistono nella logica della speculazione finanziaria negando il credito alle imprese.
Non ci vuole invece una laurea in economia per capire che la cosiddetta “globalizzazione economica” è una
truffa sul piano etico. Fondandosi sulle differenze tra i popoli e sfruttando la sempre più libera circolazione
delle merci, ha di fatto messo al bando i diritti dei lavoratori conquistati in decenni di dure lotte in Occidente. Fondata sulla banale logica della riduzione dei costi di produzione, così da vincere la concorrenza, garantita dall'assenza di diritti per i lavoratori (sindacati, pensioni, sanità, istruzione pubblica, ferie…) in
gran parte dei paesi del sud del mondo consente ai potenti, oggi multinazionali, di produrre a bassissimo
costo e incrementare incredibilmente i profitti.
Con il conto terziario persino il problema dell'apparenza etica è stato risolto. Queste aziende non producono
più in stabilimenti propri, ma fanno produrre ad altri, naturalmente imponendo loro il prezzo. Ciò li solleva dalla responsabilità diretta di scomodi inconvenienti, come la morte di oltre mille operai nella fabbrica di
jeans crollata a Decca il 24 aprile 2013. I nostri media riportano magari i dettagli della tragedia ma non
osano fare i nomi di Benetton, Primark, Bon Marche, Mango, Cato... che lì dentro producevano, parlando
genericamente di “marchi occidentali».
Cosa succede quando una fabbrica di jeans trasferisce la produzione in India?
«Nello stabilimento a Bangalore ho potuto vedere una realtà di sfruttamento che si traduce in un dato: il
costo della manodopera nel tessile. In Italia era di $ 15,6 l’ora, in linea con Francia e Stati Uniti, nel nord
Europa superava i $ 20 mentre in India, in linea con i paesi dell’area asiatica, era $ 0,57. Il 300% di
spread rende impossibile qualsiasi concorrenza. Ma qual' è il reale prezzo del low cost? Cosa c'è dietro un
capo di abbigliamento che ci illudiamo, magari vantandoci, di aver pagato poco? »
Che effetti produce la delocalizzazione produttiva e come la globalizzazione diventa protagonista d'impresa?
«La globalizzazione economica è garantita dalla mancanza di una regolamentazione internazionale del lavoro e dall'ignoranza-complicità del compratore. In Occidente la globalizzazione sta facendo tabula rasa
delle piccole imprese e ha costretto le medie alla dislocazione produttiva in Paesi economicamente più deboli,
l'unico modo per sopravvivere alla spietata concorrenza delle multinazionali.
L'inesorabile incremento della disoccupazione e le conseguenti ricadute sul piano sociale dato dall'impoverimento delle popolazioni occidentali, sta conducendo al calo dei consumi e quindi al rischio del collasso del
sistema».
Ci sono altri effetti collaterali causati da questo processo produttivo sregolato?
26
«Non dobbiamo pensare poi che l'iperproduzione abbia arricchito le popolazioni dei nuovi produttori. Solo
le multinazionali, che peraltro, sfruttando i benefici dei paradisi fiscali, non hanno pagato in Occidente il
reale valore in tasse dei loro profitti, si sono arricchite a tal punto da creare delle lobbies di potere finanziario in grado di condizionare elezioni e decisioni dei governi, se non addirittura di appropriarsene. Come ci
svela lo studio dell'Eth la loro egemonia sul mercato globale e la loro influenza sui flussi finanziari rappresenta una vera e propria dittatura che inneggia al libero mercato. Una contraddizione in termini.
Essendo noi occidentali i cosiddetti “responsabili d'acquisto”, l'immensa truffa è stata imbastita dalla propaganda del benessere per l'uomo occidentale che in realtà, acquisendo prodotti realizzati senza regole, a
basso costo, contribuisce alla rovina del suo stesso sistema economico. Un boomerang che fa leva sulla brama
di possedere beni materiali in quantità, sull'idea che più acquistiamo più siamo felici e sull'indifferenza o
l'ipocrisia di non voler sapere come sono prodotti».
Quali sono secondo te le conseguenze sociali di questo consumo indotto e smisurato?
«Un sistema fondato sulla logica della costante crescita produttiva e sull'aumento dei consumi ha, di fatto,
aumentato le disuguaglianze e sta affossando le economie occidentali che non sembrano in grado di reagire
persistendo ad occultare la realtà, anche dinnanzi all'evidenza, grazie a sempre più sofisticate forme di distrazione e propaganda di un fantomatico benessere psicofisico. Il mantenimento dei consumatori occidentali
nell'ignoranza affinché non sviluppino una coscienza critica atta ad esigere una regolamentazione globale del
lavoro prolunga il calvario. Fintanto che non ci sarà un'inversione di rotta la valanga non si fermerà».
E come vedi il futuro?
«Verrà un tempo in cui diranno di noi: “vivevano in un'epoca in cui si valutava il benessere sulla base di
quanto si era in grado di comperare ignorando il caro prezzo che pagavano sul piano psicologico (depressione, ansie, senso di inutilità e solitudine). Restarono ingabbiati nel fraintendimento che la ricchezza materiale potesse rendere felici senza comprendere che quel desiderare non aveva fine».
Pensi che chi gestisce questo potere immane consideri la sofferenza che sta generando nell'uomo, barattando la vita degli individui con il denaro?
«Il marketing, la logica dei consumi, della competitività, che governano incontrastati le economie mondiali,
non tengono conto del dolore che generano.
I poteri forti, sul piano economico e politico, attraverso il potentissimo strumento mediatico persistono nella
miope e unica logica del profitto che si è rivelata un fallimento sul piano della reale ricchezza dell'essere.
Dieci anni fa un giovane erudito, lucido e coraggioso, mettendo a repentaglio la sua vita, ha deciso di opporsi
al regime delle multinazionali. Il suo messaggio è volto a mettere in luce il sopruso anziché l'aiuto all'umanità da parte di questo sistema economico:
“Nella globalizzazione il denaro costruisce negozi dove prima esistevano paesi. E allora, siccome il paese
non è più un paese ma è un negozio, la gente non è più gente, ma compratori o venditori…
La lotta contro la globalizzazione del potere (e contro il suo supporto ideologico: il neoliberismo) non è esclusiva di un pensiero o di una bandiera politica o di un territorio geografico, è una questione di sopravvivenza
umana…
27
Citiamo dunque i dolori dell'umanità non solo perché sono anche nostri Dolori, ma anche perché citandoli ci
rendiamo un poco più umani. Perché davanti a queste ferite, il silenzio è rinuncia, resa, claudicazione, morte…
dalle montagne del Chiapas, nel sudest messicano” Subcomandante Marcos».
Ho chiesto poi a Marcello di raccontare cosa secondo lui si può concretamente fare. Gli ho
chiesto di parlare dell’associazione non profit da lui creata, della quale faccio parte anche io
da tre anni.
Una nuova direzione, una diversa globalizzazione: secondo te è possibile e come
possiamo cambiare il corso di questa nostra storia che sembra portarci a un baratro
sociale ed economico?
«Il cambiamento è possibile. E' possibile invertire la rotta. Lo strapotere delle multinazionali è vincolato al
profitto e alle vendite che dipendono dal consumatore, per ora ancora libero di comperare quel che crede.
E' possibile, una volta presa coscienza del nostro stato di dipendenza, liberarcene?
Lo è. Pensare che “tanto non cambierà mai e i potenti l'avranno sempre vinta...” è una trappola del sistema, una manipolazione del pensiero per inibire l'emancipazione. La storia dimostra che l'unione dei singoli
può cambiare il corso degli eventi in tempi ben più rapidi di quel che si creda.
Un antidoto alla dittatura mediatica è tornare a comunicare in modo diretto, a condividere idee e testimonianze che possano offrire spunti di riflessione. Si sta già facendo. Negli ultimi anni ho partecipato a diversi
incontri con economisti ed esperti di vari settori che mi hanno dato la possibilità per esempio di addentrarmi
nelle dinamiche macroeconomiche».
Ti senti in solitaria corsa in questa avventura contro il tempo e contro il potere e cosa vorresti lasciare alle generazioni di tua figlia?
«Siamo in molti a domandarci come affrontare questi tempi difficili sul piano economico e ancor prima etico,
evolutivo. Sono convinto che si debba fare in modo di offrire alle nuove generazioni una chance di emancipazione lasciando aperte le porte al cambiamento, riconoscendo la nostra superficialità, cecità, disinformazione
o egoismo nell'abbuffata di consumi che non ci hanno reso né più felici né migliori. Nelle scuole ho riscontrato in molti ragazzi una gran voglia di cambiamento, spesso inibita da un sistema che non consente loro di
confrontarsi, offrendo sedativi mediatici per una comunicazione solo virtuale. Credo che dovremmo sostenere
la loro protesta in quanto è dal cambiamento del modo di pensare, come gridava duemila anni fa un sovversivo vestito di pelli sulle rive del Giordano, che scaturirà una società migliore. Lui avrebbe detto “per accogliere il regno dei cieli».
Le teorie economiche avevano previsto qualcuno degli eventi in atto?
«Nelle facoltà di economia già da decenni chi non si è limitato a studiare acriticamente teorie fondate sul
sistema consumistico-capitalistico, ma si è domandato dove sarebbe arrivato tale sistema, è giunto alla conclusione che in tempi relativamente brevi sia destinato a cannibalizzarsi, quindi ad implodere. Due i motivi
principali: semplici calcoli legati allo sfruttamento delle risorse energetiche globali in relazione all'incremento
28
della popolazione (sestuplicata negli ultimi 190 anni) e l'espansione del divario tra ricchi e poveri, laddove
l'economia dovrebbe avere come scopo l'esatto contrario, ovvero assicurare benessere a un sempre maggior
numero di persone. La globalizzazione economica ha condotto tale divario all'esasperazione. Le crisi finanziarie non sono che l'ultima espressione virtuale della lenta agonia di questo sistema».
Mi sembra di capire che la parola d'ordine del futuro è consapevolezza. Come usarla?
«La presa di coscienza e la conseguente presa di posizione da parte dei consumatori è in grado di imporre
nuove regole. Come? Attraverso la scelta consapevole delle aziende che vogliamo sostenere-sovvenzionare e
viceversa (boicottaggio) per le aziende che non rispecchiano i valori etici in cui crediamo. Se la logica dell'evoluzione umana passa attraverso la condivisione tra individui perché la logica dell'impresa, di per sé costituita da individui e che dovrebbe servire a migliorarne la vita, dev'essere improntata solo su profitto e competitività? Oggi è più che mai evidente che tale approccio si è rivelato, non solo immorale, ma anche illogico e
controproducente.
L'inversione di rotta deve partire dal consumatore che, come individuo, è il solo ad essere libero di scegliere.
Per poter decidere però dev'essere informato e questo è il problema principale. In Italia, oltre al Web, libero,
ma di conseguenza esposto a ogni tipo di manipolazione, esistono tante iniziative culturali presenti su quasi
tutto il territorio. Abbiamo il Manuale per un consumo responsabile che si trova, grazie a Dio in ogni libreria, costa poco, è aggiornato e attendibile».
Ci sono già stati i primi effetti di questo cambiamento di pensiero/azione?
«Ricordo che vi sono diversi casi di multinazionali che a seguito di una forte campagna di boicottaggio su
scala globale per le gravi condizioni di produzione nei paesi poveri hanno cambiato comportamento. Non
certo per una questione etica, ma di calcolo. Conveniva tamponare, magari provvisoriamente, lo scandalo che
perdere in vendite e immagine. Ciò non le scagiona affatto, ma dimostra la potenza dell'unione di consumatori consapevoli.
Dev'essere chiaro che nel momento in cui contribuiamo alla crescita/aumento del fatturato di un'azienda la
cui produzione genera sofferenza attraverso soprusi sulla linea produttiva, concorrenza sleale o addirittura
sostegni economici a guerre, siamo corresponsabili di tale sofferenza a causa del moderno reato di “violenza
dell'apatia”. Dire a noi stessi: “Per non compromettere la mia coscienza preferisco non sapere” è viltà».
Come si muove il cambiamento?
«Molte persone stanno mettendo in pratica un cambiamento di rotta in grado, da un lato di garantire la
sopravvivenza del sistema sociale fondato sui diritti delle persone e dall'altro di interagire con i paesi del sud
del mondo in modo equo, con la formidabile ambizione di fondare l'economia su una globalizzazione culturale, di scambio reciproco di idee e di merci partendo dal piccolo, dal singolo. Solo una nuova direzione, consapevole, porterebbe a una reale globalizzazione.
In Occidente molti movimenti popolari hanno individuato e intrapreso percorsi alternativi alla logica del
profitto. Francesco Gesualdi, fondatore con Alex Zanotelli di Rete Lilliput e autore di vari libri tra cui il
Manuale per un consumo responsabile con il Centro di nuovo sviluppo, propone come formula alternativa
alle 5 P del marketing 5 R: ridurre, riutilizzare, riparare, riciclare, rallentare. Partendo dall'odierno pre29
supposto che per “crescita” s'intenda il progressivo aumento dei consumi le 5 R sono invece in linea con la
teoria della decrescita economica di Serge Latouche.
Per iniziare a mettere in pratica il cambiamento si deve partire dal controllo degli sprechi e da acquisti ponderati. Si può partire anche da soli! Le alternative economiche ci sono.
Da diversi anni le frange più consapevoli delle popolazioni occidentali per difendersi dall'urto dell'economia
globalizzata sulle realtà locali si sono organizzate per ristabilire un rapporto equo con i produttori locali. Il
fenomeno dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) e in genere la politica del chilometro zero stanno dando i
primi frutti.
Attività culturali e di concreta economia locale da parte di associazioni, movimenti, gruppi di cittadini di
prepararsi al dramma annunciato che sta solo iniziando a travolgere l'Occidente».
Le armi pacifiche per smontare i poteri forti?
«E' in moto un processo evolutivo fondato sull'equità, la condivisione e la solidarietà che si manifesta tra le
persone senza l'interferenza della comunicazione e dell'informazione istituzionali.
L'informazione asservita ai poteri forti, vincolati al sistema consumistico-capitalistico, tende a persuadere la
popolazione che non vi siano vie d'uscita estranee alla logica competitiva ed è palesemente volta a mantenere
il più ampio numero di cittadini nell'inconsapevolezza. Lo sviluppo delle coscienze deve far breccia tra questi strapoteri per via indipendente, singola e di piccoli gruppi. Incontri e dibattiti, il cui unico libero strumento di divulgazione è il passaparola via mail e i siti internet, sono la via d'uscita che abbiamo. Oggi blog,
forum e fenomeni come “Noinet.it” cercano di prevenire il rischio del controllo dei poteri forti anche sulla
rete».
E l'individuo medio che decide di sostenere questo piano di liberazione globale, da
dove può iniziare? Chi può accreditare come fonte sana e salvifica?
«Ognuno oggi è chiamato ad un impegno attivo prima di tutto sul piano dell'informazione e conseguentemente ad agire in modo consono a ciò che gli viene dettato dal buonsenso e da una visione non miope del vicino futuro. Nuovi e precisi segnali arrivano oggi anche da esponenti del mondo religioso, come l'attuale papa Francesco, su un tema che certamente non è solo materiale».
Come cambierà il mercato?
«Questo nuovo approccio, non più fondato sulla competitività, ma sul libero scambio tra i popoli, è l'unico
possibile deterrente alla formazione di poteri economici in grado di condizionare i governi e la popolazione
attraverso la corruzione dei leader e il controllo sull'informazione.
Una nuova economia fondata sulla solidarietà reciproca non imposta, facente leva sul libero scambio, non
solo di merci, ma culturale, di informazione e di valori fondamentali insiti in ogni cultura, resta un'utopia
fintanto che non siamo disposti a metterci in gioco. I cambiamenti che nascono dalla presa di coscienza sono
indice di evoluzione».
Non abbiamo toccato un tema scottante nel nostro scenario globale, l'ecologia. Cosa pensi in merito allo stato attuale del nostro pianeta?
«Un indispensabile accenno alle conseguenze dell'iperproduzione da un punto di vista ambientale: negli ultimi 3 anni abbiamo registrato più catastrofi naturali che degli ultimi due secoli. Terremoti, tsunami, inon30
dazioni, tornado, alluvioni hanno causato milioni di morti ed enormi danni in tutti continenti. L'elenco è
impressionante. Il quadro si aggrava ulteriormente se vi aggiungiamo le gravissime conseguenze, che sembrano ormai dimenticate dai media, di due disastri causati direttamente dall'uomo, in particolare dalla sete di
energia al più basso costo possibile: le fughe radioattive dalla centrale atomica di Fukushima e i 2980 milioni di litri di greggio riversati in mare dalla piattaforma BP nel Golfo del Messico che hanno causato
danni irreparabile all'ecosistema del pianeta.
La WMO, World Meteorological Organization, è la fonte delle Nazioni Unite per meteorologia, clima
e acque. Elabora i dati climatici continuamente raccolti e distribuiti dai servizi meteorologici e idrogeologici
nazionali di 189 paesi membri provenienti dalle reti di stazioni meteorologiche e climatiche terrestri, aeree,
oltre a navi, boe e satelliti. Nel dicembre 2010 alla conferenza mondiale sul clima tenutasi a Durban il
segretario generale Michel Jarraud non usò mezzi termini: “La nostra scienza è affidabile e dimostra senza
ambiguità che il clima mondiale si riscalda e che questo riscaldamento è dovuto alle attività umane. Le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera hanno raggiunto nuovi picchi e si avvicinano molto rapidamente a
livelli corrispondenti ad un aumento da 2 a 2,4° C della temperatura media sulla superficie del pianeta, la
qualcosa potrebbe comportare, secondo gli scienziati, cambiamenti radicali ed irreversibili del nostro pianeta,
della biosfera e degli oceani”. L'11 gennaio del 2011 un comunicato ufficiale WMO avverte: “Nel dicembre del 2010 la banchisa polare artica ha raggiunto il minimo storico mai registrato”. Insomma se non ci
muoviamo il cambiamento sarà inevitabilmente e drammaticamente imposto dalla natura.
La considerazione che il singolo individuo non può cambiare la situazione da solo non solleva dalla responsabilità. La riduzione, se non l'eliminazione degli sprechi, spesso vissuta come una privazione delle comodità, un tornare indietro, in realtà è il solo modo di andare avanti e consentire alle generazioni future di non
pagare un prezzo troppo alto per gli errori commessi negli ultimi 50 anni.
Oltre ai dati sull'inquinamento sono la biodiversità del pianeta e la richiesta energetica che ci impongono il
cambiamento di rotta. Mantenendo gli attuali consumi nel 2050 l'uomo avrà bisogno del corrispettivo di 40
Twatt di energia elettrica. Ne mancano 24, il corrispettivo di 24.000 centrali nucleari. Non possiamo limitarci a sperare e aspettare che qualcuno scopra nuove fonti energetiche in grado di sopperire alla mancanza,
per non prenderci le nostre responsabilità. Dobbiamo attivarci cominciando individualmente almeno a ridurre i consumi!
Ignorare o soprassedere sugli sprechi è quanto di più moralmente e oggettivamente dannoso il singolo individuo possa causare.
Oggi prestare attenzione all'utilizzo dell'energia, dell'acqua e delle risorse alimentari (in Italia il 25% degli
alimenti comperati viene buttato, oltre a quanto spreca la grande distribuzione) è l'azione virtuosa più religiosa e morale che l'individuo possa compiere. Forse non arriveremo in tempo, ma la forza dell'uomo può
essere potente e l'esempio è contagioso.
Un sistema economico che rispecchi le necessità primarie dell'uomo e non faccia leva sull'egoismo e la voracità è l'ambizione a cui dobbiamo tendere.
Il primo contributo è banalmente l'attenzione ai quotidiani comportamenti nella vita domestica che può diventare un'azione creativa, mossa da scelte consapevoli, in grado di plasmare la materia, rigenerare la psiche
e avvicinarci a una migliore conoscenza di noi stessi».
31
Ci vuoi parlare del tuo progetto in Zimbabwe? La tua piccola stella, rivoluzione
consapevole in un mondo che sta cambiando?
«Nell'estate del 2006 mi sono recato per la prima volta a St. Albert, un villaggio al nord dello Zimbabwe,
il Paese “a più basso indice di sviluppo umano al mondo”, ovvero tra i più mal ridotti sul piano sanitario,
economico, politico e sociale.
Premetto che da quando ho abbandonato il mondo del marketing pubblicitario ho viaggiato in paesi poveri,
spesso con lo zaino in spalla, a stretto contatto con la popolazione, dormendo ovunque, anche per strada.
Insomma di povertà ne avevo vista, ma mai come in Zimbabwe.
L'aspettativa di vita, crollata di 20 anni dal 1990, è tra le più basse al mondo, il 90% della popolazione
vive sotto la soglia della povertà, il regime di Robert Mugabe, presidente da 33 anni, è tra i più repressivi al
mondo, nel 2009 è crollata la moneta locale, la disoccupazione è al 95%, in tutto il paese l'energia elettrica
è erogata poche ore al giorno, il carburante è reperibile solo al mercato nero, la mortalità infantile ha avuto
un incremento dell'81% dal 1990 e l'AIDS colpisce il 14,7 % della popolazione (nel 2006 era il
24,6%).
L'ospedale di St. Albert, dove lavorava la missionaria italiana Rosalba Sangiorgi, unica bianca presente
nell'area, ha un indotto di 113.000 abitanti, a cui deve sopperire con 3 medici e 26 infermieri. I posti letto
sono 140. Incredibile ma vero lì sono assistiti oltre 360 pazienti al giorno e 6.500 sono la media delle degenze ogni anno.
A St. Albert ci sono anche due scuole con 1.700 bambini e la popolazione locale. In tutto 3260 persone.
Nel 2006 l'acqua potabile veniva prelevata dall'unico pozzo attivo qualche ora al giorno. Per sopperire alla
grave carenza idrica a causa dell’abbassamento della falda (sei su sette pozzi artesiani dell'ospedale si erano
prosciugati) nel 2004 avevano inizio i lavori per creare un bacino di raccolta dell’acqua piovana nella stagione delle piogge (4 mesi) in modo da utilizzarla durante gli 8 mesi di siccità. Come spesso avviene in molti
progetti umanitari, i fondi sono finiti e i lavori non erano stati portati a termine. Questo il quadro che avevo
dinnanzi. Due possibili strade da prendere: 1) tornare alla mia vita più o meno normale nel ricco Occidente; 2) darmi da fare per cercare di portare acqua a quelle persone.
Non si trattava solo di una questione di coscienza, ma di coerenza con le mie ambizioni morali. Quando la
vita offre una possibilità come questa è un privilegio coglierla. L'inconsapevolezza è il fondamento dell'indifferenza, ma quando si sa e si vede, allora è la stessa indifferenza a diventare responsabilità. La “violenza
dell'indifferenza” al dolore altrui è una piaga per l'animo umano.
Ma anche quando si decide di muoversi sopraggiungono ostacoli interiori, dubbi. Nel mio caso: “come posso
io, venditore di aria fritta, finire la diga, potabilizzare l'acqua, irrigare i campi...?”. Per cominciare posso
provare a raccontare quel che ho visto, a chiedere aiuto, a divulgare, a vendere un progetto, un sogno.
Ho dato vita al Progetto Diga – Emergenza Zimbabwe, aprendo un conto corrente di cui rendo trasparenti
gli estratti conto e ho iniziato a parlarne. Ho scoperto che il vero Comunicare non passa dall'utilizzo di sofisticate strategie, ma si fonda su semplicità e gratuità.
Non mi sono legato a grosse associazioni umanitarie e ho chiesto aiuto agli amici, mettendo una sola regola,
niente spese, tutto volontariato. In 7 anni moltissime persone si sono unite al nostro progetto che, non solo si
32
è realizzato, ma si è realizzato con un alto livello di professionalità grazie a ingegneri e tecnici che vanno in
loco a operare e formare il personale locale.
Con molte piccole iniziative di volontari in varie città e paesi (presentazioni, banchetti, cene di solidarietà,
spettacoli...) piano piano sono stati raccolti i fondi necessari per: terminare il muro di contenimento della
diga, scavare e posizionare un chilometro di tubature per portare l’acqua dal bacino alle cisterne del villaggio
(ospedale e scuole), installare un primo impianto di potabilizzazione, realizzare un impianto d’irrigazione
prima di 4 ettari, poi di altri 4, di campi circostanti il bacino, progettare, realizzare in Italia, spedire e installare un secondo impianto di potabilizzazione in grado di potabilizzare acqua per 10.000 persone, installare una nuova pompa alla diga, ripristinare 5 pozzi, rifare 300 metri di linee elettriche con tubi interrati, il tutto continuando la fondamentale formazione del personale locale addetto alla manutenzione.
Sì, stiamo dando acqua a migliaia di persone con la forza della solidarietà e del volontariato e senza strutture in Occidente!
Oggi, ahimè, possiamo quantificare il costo delle opere compiute in termini di vite umane poiché a cavallo
tra il 2008 e il 2009 un'epidemia di colera ha provocato in Zimbabwe oltre 4.400 morti e 96.600 contagiati in sei mesi. Si è trattato della più grave epidemia degli ultimi 15 anni in tutta l'Africa, di cui i nostri
mass media non hanno dato notizia. Gli ospedali nella capitale Harare sono stati abbandonati con i morti
in putrefazione nelle camere mortuarie. Nel confinante Sud Africa, nonostante le frontiere armate, si sono
registrati 3.000 casi di contagio dai profughi in fuga dallo Zimbabwe. Nel distretto di competenza dell'ospedale di St. Albert sono stati 19 i decessi, di cui otto all'ospedale, e 160 i casi di contagio.
Quanto è costato dare acqua pulita alle generazioni future ed evitare di morire di colera a migliaia di persone oggi? Avevamo speso 156.000 euro. Incredibile ma vero!
Stiamo andando avanti, c'è molto da fare, insieme a Rock No War spediamo in media 2/3 container
all'anno con, materiale tecnico, farmaci, beni di prima necessità e, ahimè, ancora alimenti.
Infine è attivo un programma di adozioni a distanza, nato spontaneamente dalle richieste delle persone, che
oggi consente ad oltre 640 bambini, per lo più orfani, di avere cibo, assistenza sanitaria e istruzione garantite. Il tutto con €. 320 all'anno di 364 famiglie italiane.
Per informazioni, foto e video sul Progetto Diga-Emergenza Zimbabwe: www.help-zimbabwe.org »
Come avviene il reclutamento dei volontari e quale formazione è richiesta?
«In molti, soprattutto giovani, mi chiedono di andare a St. Albert in Zimbabwe. Quando spiego che è indispensabile una formazione professionale teorica e pratica prima di andare ad operare nei paesi del sud del
mondo mi chiedono le modalità di tale formazione per sapere come agire in modo utile/professionale nel
mondo del volontariato e come relazionarsi con le popolazioni locali.
Avverto un sincero impulso verso l'altro da parte dei giovani, certamente a motivo di pulsioni ideali ancora
fresche, ma forse causato da una presa di coscienza del fallimento dell'attuale sistema di vita. I più capiscono chiaramente che fintanto che in Occidente abbiamo l’opportunità di studiare e di prepararci sia da un
punto di vista di cultura generale che professionale negli specifici settori abbiamo il dovere di farlo perché è
proprio questo che dobbiamo esportare. Sembra brutto a dirsi ma il volontariato sostenuto solo dalla buona
volontà si è spesso rivelato un grave ostacolo per i progetti umanitari stessi. Per creare la professionalità necessaria è essenziale studiare, documentarsi e nel contempo collaborare con le piccole ONG che organizzano
33
eventi e campi di lavoro per sostenere i progetti, in cui si inizia ad avere dimestichezza con il mondo del volontariato. I più ambiziosi possono organizzare essi stessi eventi per la raccolta fondi. In tal caso è essenziale la creazione di una piccola rete di volontari che promuovano l'iniziativa, l'approccio alle strategie di comunicazione di base e rapporti con i piccoli media locali».
Credo non basti il contributo umano in questi progetti, immagino servano anche
beni primari. Cosa e come spedite in Zimbabwe? Da dove arrivano gli approvvigionamenti?
«La spedizione dei container è preceduta da mesi di lavoro per la raccolta di quanto serve in loco. Anche
qui il passaparola è fondamentale per reperire di tutto: alimenti, farmaci, materiale scolastico e tecnico, indumenti...
Una fase successiva, che precede la spedizione dei container, prevede competenze specifiche di stoccaggio, logistica, contatti con trasportatori, capacità di trattativa, rapporti con le dogane e, soprattutto, conoscenza della
realtà locale dove arriverà la merce (problemi di rapporti con le dogane, stoccaggio e distribuzione delle risorse in arrivo).
Per chi poi entra nella fase di interazione con le popolazioni del sud del mondo è molto importante che si
accosti con umiltà e curiosità verso i costumi, il pensiero, il modus vivendi e la cultura con cui entra in contatto».
Che impatto ha il fattore culturale in questo scambio socio-economico e quali sono
le condizioni sine qua non per un risultato efficace?
«Fondamentale è quindi avere un approccio conoscitivo e di condivisione che mette a loro agio le persone storicamente abituate a nutrire soggezione culturale nei confronti dell’occidentale ricco, potente e spesso arrogante. Cercare di conoscere le loro usanze è anche un utile approccio filosofico alla vita. Con quante più culture
differenti entriamo in contatto tanto più saremo liberi nel modellare la nostra.
Assodato tale approccio il lavoro di arricchimento culturale in loco è la sfida più dura nell’ambito delle organizzazioni umanitarie e d'altronde senza questo passaggio gli interventi pratici possono rivelarsi ben presto inutili. Non si tratta solo della formazione del personale di manutenzione delle infrastrutture (esempio
pozzi d’acqua), ma di trasmettere un atteggiamento di ordine mentale per preservare le risorse. Se tuttavia
non si è iniziato questo lavoro su se stessi in Occidente sarà impossibile trasmetterlo. Il rispetto per le risorse
alimentari, idriche ed energetiche è la base per la salvaguardia del nostro pianeta. Per questo si è chiamati
alla sobrietà nei confronti di ogni risorsa: acqua, alimenti, corrente elettrica, riscaldamento-combustibile, vestiario... Siamo in grado di insegnare solo quel che siamo!
Infine, alla base di ogni azione umanitaria ci deve essere sempre la lealtà verso chi contribuisce economicamente alla realizzazione dei progetti. Lo spreco di risorse, dato dalla mancanza di competenza, è un grave
oltraggio alla fiducia delle persone».
Quali sono secondo te gli effetti benefici di questo progetto che crea ricchezza con
un paradigma di moltiplicazione per divisione?
«Ridurre gli sprechi è indice di consapevolezza delle problematiche globali ed è rispetto per la povertà nel
mondo. Se a ciò aggiungiamo anche tempo, risorse e pensieri dedicati ad altri allora credo stiamo realmente
contribuendo all'evoluzione della nostra specie sulla via della libertà.
34
C'è un aspetto straordinario che noi volontari del Progetto Diga-Emergenza Zimbabwe stiamo vivendo sulla nostra pelle. E' l'effetto terapeutico che questa esperienza ha su di noi.
In molti, ognuno con le proprie capacità, disponibilità di tempo e risorse, abbiamo contribuito a realizzare
questo sogno. Unendoci abbiamo fatto molto e abbiamo compreso che cercando di aiutare persone “lontane”
abbiamo aiutato immensamente noi stessi. Credo che il primo passo sia stato proprio l'emanciparsi dall'indifferenza.
Una sera, al termine di una presentazione in cui avevo cercato di trasmettere ai presenti la gioia profonda
che genera in noi volontari il poter lavorare per contribuire a garantire la sopravvivenza di migliaia di persone, un medico, ha esclamato “ma questa è la donoterapia!”. Già, la donoterapia, quella gradevole sensazione di sentirsi utili che pervade nei momenti migliori della vita. Utili ad altri, senza prevedere un personale ritorno economico e neppure d'immagine, visto che si opera nel quasi anonimato, con il semplice passaparola.
Insomma siamo entusiasti di aver scoperto il potere “terapeutico” della gratuità! “L'acqua calda”, direbbero
i saggi che hanno ribadito questa via in tutte le epoche, ma abbiamo bisogno di sperimentarlo di persona.
Così, come sempre avviene quando si vive una gioia, sorge spontaneo il desiderio di condividerla.
Non si tratta di compassione per chi sta peggio sul piano materiale o di elemosina, bensì di voler guardare le
pene altrui e anziché continuare ad accumulare, sempre a scapito di qualcuno - la ricchezza globale è detenuta dal 20% della popolazione - con un semplicissimo gesto libero, realmente libero, siamo in grado di generare una duplice gioia, in noi e in colui che riceve.
Chi dona risorse, tempo, denaro o pensieri credo stia mettendo in atto l'espressione più libera del suo essere
perché alleggerita, almeno un po', dal peso dell'ego che opprime e nega l'accesso all'Essenza di noi stessi.
Donare senza aspettarsi un ritorno, può spezzare la pesante catena dell'egocentrismo, della brama egoistica,
causa di ogni male.
La donoterapia può aiutare inaspettatamente anche ad esprimere e comprendere la nostra vera natura perché non è una scelta spontanea. Nella spontaneità opera quasi sempre l'ego, mentre l'atto di offrirsi è una
naturale espressione del Sé, dello Spirito, della nostra Essenza prima.
Ecco che donare, oltre ad essere doppiamente terapeutico perché produce immediatamente i suoi effetti - nel
caso del nostro Progetto Diga l'acqua che disseta e irriga i campi a St. Albert è per chi aiuta qui in Italia
la gioia interiore che cura la piaga dell'indifferenza -, diviene uno strumento conoscitivo, proprio perché mosso dalla nostra Essenza.
La donoterapia in fondo è un'espressione della legge spirituale di compensazione o del karma espressa dalle
scritture sacre e dai saggi di ogni tempo. Adoperarsi per chi lo necessita, avvicinarsi interiormente a colui che
è diverso e lontano culturalmente rompe le barriere spazio-temporali, smaschera l'illusione del noi e voi, è
reale globalizzazione, nel senso di condivisione e, oserei dire, di spiritualità applicata. Donarsi, gioire insieme anziché diffidare offre leggerezza.
Ecco che spendersi gratuitamente per aiutare chi ne ha bisogno non solo è moralmente corretto ma si rivela
terapeutico proprio perché sorge in quest'ottica di libertà. Ci sono studi che dimostrano che dedicarsi ad altri, oltre che a se stessi, contribuisce al proprio benessere personale, ma ancor prima è l'esperienza personale
di ognuno che lo dimostra.
35
Altra rivelazione per noi del Progetto Diga è stato il legame, la coesione che ha generato tra noi. L'esserci
incontrati per operare insieme questo cambiamento, condividere questa gioia, imparando a lamentarci meno
e a fare di più sono uno stimolo reciproco tra persone che vanno nella stessa direzione. Dietro l'angolo o in
Zimbabwe, non importa dove, ciò che conta è mettersi in marcia.
Per chi vi entra consapevolmente quest'epoca di transizione è l'occasione per fare un salto evolutivo sul piano
della qualità della vita. Un'amica tedesca mi scrive: "Fare del bene ad altre persone non sarebbe più un optional... sarebbe una bella sfida scoprire se stessi in libertà".
La donoterapia è gratuita e l’efficacia è garantita, ma… non si prescrive. Funziona solo se sorge da dentro».
36
5.
CONCLUSIONE
Sono partito da una canzone di Springsteen, per scrivere di ingiustizie e di un comportamento umano che ci ha portati dove era abbastanza prevedibile che ci avrebbe portati. Il
cantante e scrittore americano, che conosco bene, già mi aveva insegnato a guardare non
solo ai sogni personali, ma anche a quelli infranti di migliaia di persone. La canzone che ho
scelto credo sia tra quelle che meglio rappresenta la crisi etica e morale, prima ancora che
sociale ed economica, della nostra società. Una società che non ha di certo avuto scrupoli
nell’attuare comportamenti a dir poco crudeli nei confronti di milioni di persone, abitanti
dello stesso pianeta come lo siamo tutti. Una società che, come mi ha insegnato Latouche,
era ed è destinata a sbattere come un treno contro un muro, mentre quello che per ora si
sta facendo è solamente rallentare il treno, senza capire che bisogna cambiare la direzione!
Ma prima ancora dell’autore francese, ho conosciuto quasi quattro anni fa Marcello Girone,
durante una sua presentazione che si intitolava “Progetto Zimbabwe, dal marketing alla solidarietà”. Ed ho deciso di concludere questa tesi proprio con lui e la sua testimonianza, per
chiudere un cerchio di conoscenze che mi ha permesso di conoscere ed affrontare il problema che ho trattato, sia in modo ludico con Bruce Springsteen, sia teorico con Naomi
Klein e Serge Latouche, sia pratico ed in prima persona con il volontariato attraverso il
Progetto Diga.
37
BIBLIOGRAFIA
Aries, Paul, La décroissance est-elle soluble dans la modernité?,“Silence”,n. 302, ottobre 2003
Aubertin, Catherine, e Vivien, Franck-Dominique (a cura di), Le Développement durable. En
----- heuxpolitiques, économiques et sociaux, La Documentation francaise, Parigi 2006
Besset, Jean-Paul, La scelta difficile. Come salvarsi dal progresso senza essere reazionari, Dedalo, Bari
------2007
Cochet, Yves, Pétrole apocalypse, Fayard, Parigi 2005
De Closets, Francois, En danger de progres, Denoel, Parigi 1970
Friedman, Milton, and Rose D. Friedman, Two Lucky People: Memoirs. Chicago: University of
------Chicago Press, 1998.
Gesualdi, Francesco, Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, Milano 2005
Illich, Ivan, Nello specchio del passato, Red, Como 1992
Klein, Naomi, Shock Economy, BUR 2008.
Labianca, Ermanno, Springsteen, 1992-2009 Testi Commentati, ARCANA 2009
Latouche, Serge, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, 2012
Laval, Christian, L’ambition sociologique, Saint-Simon, Comte, Tocqueville, Marx, Durckheim, Weber,
------La Découverte, Parigi 2002
Letelier, Orlando, The Chicago Boys in Chile: Economic Freedom’s Awfull Toll, «The Nation», 28 ------giugno 1976.
Magnaghi, Alberto, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000
Martin, Hervé-René, La Mondialisation racontée à ceux qui la subissent. La Fabrique du diable., vol.
------2, Climats, Parigi 2003.
Mignon-Lefebvre, Yvonne e Lefebvre, Les patrimoines du futur. Les sociétés aux prises avec la mo------ nopolisation, L’Harmattan, Parigi 1995
Nowak, Michael, and Luca Antonio Ricci, ed. Post-Apartheid South Africa: The First Ten Years.
------ Antonio Ricci. Washington DC: International Monetary Fund, 2005.
38
Rasmussen, Derek, The priced versus the priceless, “Interculture” (Montreal), 147, ottobre 2004
Roy, Aries, Defaire le developpement, sauver le climat, “L’Ecologiste”, 6, inverno 2001
Unpd (United Nation Development Program), La libertà culturale in un mondo di diversità, Ro……senberg & Sellier, To-rino 2004
Valdés, Juan Gabriel, Pinochet’s Economists: The Chicago School in Chile. Cambridge: Cambridge
------University Press, 1995.
Viveret, Patrick, Riconsiderare la ricchezza, Edizioni Terre di Mezzo, Milano 2005
39
INDICE
Introduzione
p. 2
1. Politica ed economia post New Deal
p. 6
2. La società della crescita
p. 11
3. Un’alternativa: la società della decrescita
p. 15
4. Intervista ad un amico
p. 21
5. Conclusione
p. 35
6. Bibliografia
p. 38
40