TURANDOT

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 L’ITALIA IN OPERA 2013/2014
TURANDOT Dramma lirico in tre atti e cinque quadri Musica: Giacomo Puccini. Duetto e scena finale completati da Franco Alfano
Libretto: Giuseppe Adami e Renato Simoni
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala 25 aprile 1926 IN BIBLIOTECA SPIGOLATURE TRAMA
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Oltre al libretto vi proponiamo alcune letture di approfondimento che potete trovare presso la Biblioteca del CRAL o reperire presso altre biblioteche: SULL’OPERA: ‐ Aldo Nicastro (a cura di), Guida al teatro d’opera, 2011, pagg. 359‐363 ‐ Michele Porzio (a cura di), Dizionario dell’opera lirica, 1991, pagg. 584‐587 ‐ Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Giacomo Puccini, 1984, pagg. 49‐51; pagg. 174‐183 ‐ Enrico Maria Ferrando (a cura di), Turandot (“Schede delle opere”) in Tutti i libretti di Puccini, 1984, pagg. 570‐572 ‐ Claudio Casini, Giacomo Puccini, 1978, pagg. 456‐472 ‐ Giuseppe Adami (a cura di) – Enzo Siciliano (introduzione di), Giacomo Puccini. Epistolario, 1982, pagg. 161‐197 ‐ Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, 1928, pagg. 249‐ 304 ‐ Turandot: dramma lirico in tre atti e cinque quadri, libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi; musica di Giacomo Puccini; duetto e scena finale completati da Franco Alfano; Torino: Teatro Regio, stampa 2006 ‐ Paolo Arcà, Turandot di Giacomo Puccini: guida all'opera, 1983 http://bct.comperio.it SULLA FONTE DEL LIBRETTO: ‐ Carlo Gozzi, Turandot. Fiaba chinese teatrale tragicomica in cinque atti in Fiabe teatrali, introduzione e note di Alberto Beniscelli, 1994 , pagg. XXIII‐XXV; pagg. 115‐214 nuovo acquisto ALL’INIZIO
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SU GIACOMO PUCCINI:
‐ Alberto Basso (diretto da), Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, vol. VI, 1988, pagg.149‐156 ‐ Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Giacomo Puccini, 1984 ‐ Claudio Casini, Giacomo Puccini, 1978 ‐ René Leibowitz, L’opera di Puccini e i problemi del teatro lirico contemporaneo e L’arte di Giacomo Puccini e l’essenza dell’opera in Storia dell’opera, 1966, pagg. 353‐397 SU FRANCO ALFANO: ‐ Alberto Basso (diretto da), Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, vol. I, 1988, pag. 63 ‐ Andrea Della Corte, Ritratto di Franco Alfano, Paravia, 1935 NARRATIVA E DINTORNI:
‐ Pietro Panichelli, Il ”pretino” di Giacomo Puccini, 2008 ‐ Helmut Krausser, I demoni di Puccini, 2008 ‐ Pier Marco De Santi (a cura di), Puccini al cinema, 2008 ALL’INIZIO
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NUOVO ACQUISTO
Carlo Gozzi, Fiabe teatrali Nella Venezia dominata dal realismo goldoniano, Carlo Gozzi si affida alla "fiaba di magia", della quale intuisce la potenzialità drammaturgica. Invece di insistere sul nesso maschere‐parodia, l'autore scommette per intero sull'effetto spettacolo, sulla rappresentabilità del meraviglioso fiabesco, sulle ambientazioni esotiche, sul fascino che esse possono produrre, senza trascurare una satira piccante dei suoi contemporanei. Particolarmente amato dai romantici, che delle Fiabe apprezzavano in particolare gli elementi magici e fantastici, Gozzi ha ridato nuova e originale vita alla commedia dell'arte. ALL’INIZIO
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SPIGOLATURE 1/7 La scelta del soggetto di Turandot “Puccini era venuto a Milano. Una di quelle sue scappate rapide, con in cuore, fin dal momento dell'arrivo, il desiderio di ripartire, di rintanarsi, come diceva lui, fra i suoi pini. E fu proprio in quel pomeriggio di primavera del 1920, fu proprio a poche ore dalla partenza che […] Simoni gli disse: «E Gozzi? .. Se ripensassimo a Gozzi? .. Una fiaba che fosse magari la sintesi delle altre fiabe più tipiche? .. Non so ... qualchecosa di fantastico e di remoto, interpretato con sentimento di umanità e presentato con colori moderni? .. ». […] E[d] […] ecco balzar fuori chiaro, limpido, fosforescente il nome della Principessa crudele; e […] farsi largo imperiosa e regale, affascinante e superba, enigmatica e travolgente, Turandot la bellissima. Puccini s'era portato via il volume che conteneva la fiaba gozziana nella versione dello Schiller, e pochi giorni dopo, la scelta del soggetto diventava definitiva.” (1) La fiaba di Gozzi e la Turandot di Puccini “La differenza con l'opera di Puccini è […] sostanziale: quella di Gozzi è una fiaba leggera ed essenzialmente comica, con la tragedia delle decapitazioni appena accennata sullo sfondo e le maschere assai spesso al centro dell'azione per portare in primo piano […] l'elemento buffonesco e « veneziano» […]. Il risultato è un'atmosfera composita di elementi orientali e italiani, esotici e parodistici, improntata comunque complessivamente a levità e spensieratezza. […] Affatto diversa è l'opera di Puccini, tragedia di cupa ed eroica grandezza, dalle tinte a volte macabre e primitive, sempre immersa in un'atmosfera plumbea. In Puccini per di più alcuni particolari nuovi contribuiscono ad aumentare la temperatura emotiva della vicenda […]; ciò che scioglie Turandot è il bacio di Calaf, che agisce su di lei quasi come un filtro magico, mentre in Gozzi Turandot è conquistata dal tentativo di suicidio del principe, dopo che ella ha già conosciuto il suo nome. […] Ma l'innovazione più determinante nel libretto dell'opera è il personaggio di Liù, desunta forse dalla fusione di due personaggi gozziani […]. Quale che sia la sua origine, Liù porta nell'opera nuovi motivi emozionali e musicali, anche se non assume alcuna funzione precisa nell'intreccio del dramma che procede su un piano del tutto indipendente dalla vicenda esistenziale della schiava: il suo è un sacrificio senza ricompensa, che introduce nell'opera un momento di pura commozione.” (2) _____ (1) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982 (2) Paolo Arcà, Turandot di Giacomo Puccini: guida all'opera, Arnoldo Mondadori, 1983
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SPIGOLATURE 2/7 Il caso di Liù “L'unità dell'opera venne costruita intorno alla crudeltà, in contrasto con la manifestazione improvvisa del sentimento amoroso, che avrebbe dovuto esplodere istantaneamente alla fine. Ma venne preceduto dalla morte di Liù. Questa fu la principale difficoltà per Puccini, capace di inventare la soluzione scenica più efficace, il bacio di Calaf che sgela Turandot, ma non in grado di introdurre con la musica il rovesciamento altrettanto plausibile della situazione teatrale. […] Il caso di Liù scorre parallelamente a quello di Calaf e di Turandot, e si risolve prima che la vicenda principale giunga a conclusione; quando Liù resta vittima della crudeltà, la musica ha il senso conclusivo che non ammette il lieto fine, il ribaltamento della crudeltà in amore; l'ultimo duetto di Calaf e di Turandot venne infatti lasciato incompiuto da Puccini, malgrado il notevole lasso di tempo, dal novembre 1923 al novembre 1924, che ebbe a disposizione per scriverlo. Toccò, come tutti sanno, a Franco Alfano, di compierlo sulla scorta degli abbozzi pucciniani.” (1) Dove viene composta «Turandot» “La villa di Viareggio, dove Puccini si trasferisce nel 1921, offre […] tutto il confort e il lusso necessari a una vita comoda, con in più anche qualche ritrovato particolare che soddisfa il suo amore per i congegni meccanici, come i tubi posti sotto i rami dei pini del giardino che consentono giochi di pioggia artificiale. La villa comprende parecchie stanze arredate con cura, con tre pianoforti di cui uno ‐ lo Steinway a coda ‐ nello studio del compositore, una stanza affacciata sul mare da dove, con una scala interna, egli può accedere direttamente in camera da letto senza recare disturbo a nessuno; Puccini è solito andare a letto a notte fonda dopo aver lavorato fino a tardi e Turandot, per la maggior parte, ha visto la luce proprio in questo studio.” (2) _____ (1) Claudio Casini, Giacomo Puccini, UTET, 1978 (2) Paolo Arcà, Turandot di Giacomo Puccini: guida all'opera, Arnoldo Mondadori, 1983 ALL’INIZIO
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SPIGOLATURE 3/7 Il carillon cinese “Da quel professionista scrupoloso che era, [Puccini] si preoccupò di documentarsi procurandosi un certo quantitativo di musiche cinesi […]. Il reperto più prezioso lo trovò in un carillon donatogli dall'amico barone Fassini che era stato per qualche tempo console italiano in Cina. Di lì viene quella melodia pentatonica «Mò ‐ Lí ‐ Huà» (Fiore di gelsomino) […]. Puccini ne ha fatto uno dei temi principali dell'opera nonché un «double» del personaggio di Turandot. Esso risuona nel primo atto al termine di un culmine drammatico rappresentato dall'apparizione del boia e ha il potere di effondere sull'orizzonte il clima estatico e incantevole che conviene alle apparizioni metafisiche.” (1) Puccini sollecita i librettisti “«Metto le mani sul piano e mi si sporcano di polvere! la scrivania mia è una marea di lettere ‐ non c'è traccia di musica. La musica? cosa inutile. Non avendo libretto come faccio della musica? Ho quel grande difetto di scriverla solamente quando i miei carnefici burattini si muovono sulla scena. […] O voi che dite di lavorare e che invece fate tutt'altro, chi films, chi commedie, chi poesie, chi articoli ... e non pensate, come dovreste pensare, ad un uomo che ha la terra sotto i piedi e che si sente sfuggire ogni ora ogni giorno il terreno come una frana che lo travolge! Mi si scrivono lettere tanto carine e incoraggianti. Ma se invece di queste arrivasse un atto di questa Principessa di princisbecco o non sarebbe meglio? Mi ridareste la calma, la fiducia, e la polvere sul pianoforte non si poserebbe più, tanto pesterei, e la scrivania avrebbe il suo bravo foglio a mille righe!»“ (2) _____ (1) Enzo Restagno, «E’ per Turandot che mi sento un’anima perduta nello spazio nebbioso» in Turandot: dramma lirico in tre atti e cinque quadri, libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi; musica di Giacomo Puccini; duetto e scena finale completati da Franco Alfano; Torino: Teatro Regio, stampa 2006 (2) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982, lettera 179 ad Adami non datata (17 sera 11.20) ALL’INIZIO
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SPIGOLATURE 4/7 L’arte è febbre! “«Penso che Turandot non verrà mai a fine. Così non si lavora. Quando la febbre diminuisce, finisce per cessare, e senza febbre non c'è produzione, perché l'arte sentita è una specie di malattia, stato d'animo d'eccezione, sovraeccitazione di ogni fibra, d'ogni atomo e si potrebbe seguitare ad aeternum.»” (1) Lo “sgelamento” di Turandot “«Turandot mi tormenta. Ci penso sempre e penso che forse siamo su una falsa strada per il secondo atto. Penso che il grande nocciolo sia il duetto. E questo duetto così com'è non mi pare sia quello che ci vuole. Dunque vorrei proporre un provvedimento. Nel duetto penso che si può arrivare ad un pathos grande. E per giungere a questo io dico che Calaf deve baciare Turandot e mostrare il suo grande amore alla fredda donna. Dopo baciata con un bacio che dura qualche lungo secondo; ‘ora che mi importa’ deve dire, muoio anche, e gli dice il suo nome sulla bocca. […] Insomma con questo duetto io credo che il soggetto si rialzi e che così si possa arrivare ad una emozione che ora non abbiamo.»” (2) “«Nel grande duetto via via che il ghiaccio di Turandot si scioglie, la scena che può essere anche un luogo chiuso si trasforma a poco a poco e prende aspetto di un grande ambiente di fiori di trapunti marmorei e di apparenze fantastiche ... dove la folla, l'imperatore, la Corte e tutto l'apparato di cerimonia è pronto per accogliere il grido d'amore di Turandot. Credo che Liù va sacrificata di un dolore ma penso che non può svilupparsi ‐ se non si fa morire nella tortura. E perché no? Questa morte può avere una forza per lo sgelamento della principessa...»” (3) _____ (1) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982, lettera 184 ad Adami del 10 novembre 1920 (2) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982, lettera 196 ad Adami non datata (Bologna, lunedì) (3) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982, lettera 206 ad Adami del 3 novembre 1922 ALL’INIZIO
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SPIGOLATURE 5/7 Puccini compone i versi per la morte di Liù “«Povera Turandot come sei trascurata! Ora che m'ero rimesso a scrivere quattro note mi mancano i versi per far morir Liù. La musica c'è tutta, manca da metter giù le parole sul già fatto. È solo abbozzo brullo, per stendere per bene tutta la scena triste bisognan le parole. Se voi venite presto non scrivo qui la gioia. Sono settenari facili d'aggiungere alla strofa. Volete che li scriva in forma maccheronica? ebbene lo farò. Tu che di gel sei cinta da tanta fiamma vinta l'amerai anche tu. Prima di questa aurora (questo si può ripetere perché è efficace). Qui un settenario vuolci, poi un altro settenario (debbono essere versi sentitissimi). io chiudo stanca gli occhi perché egli vinca ancora io chiudo stanca gli occhi per non vederlo più. Io ripeto questo verso se credete aggiungerne uno, ma ci vuol bello, efficace.»” (1) “I versi Adami non li mandò mai e quelli di Puccini sono rimasti nel testo definitivo, quasi a suggello di tutto il lavoro del compositore.” (2) _____ (1) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982, lettera 219 ad Adami del 12 novembre 1923 (2) Paolo Arcà, Turandot di Giacomo Puccini: guida all'opera, Arnoldo Mondadori, 1983 ALL’INIZIO
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SPIGOLATURE 6/7 Puccini e Toscanini “Non era […] più che un caro, povero uomo rattristato e invecchiato quello che Toscanini trovò il 7 settembre del '24, quando andò a Viareggio per intendersi sulla Turandot. […] Puccini, che pareva cosi sicuro di sé, ebbe alcune invincibili soggezioni. Una fu quella per Giulio Ricordi. […] Ma più grande ancora fu la sua soggezione per Toscanini. Più grande perché questa volta era aggrovigliata con tante reazioni insieme, amore, rabbia, ammirazione, gelosia […]. Ora, l'arrivo di Toscanini era per lui il momento del sorteggio, il momento in cui esce il numero che dirà, se abbiamo perduto o vinto. E la consolazione che gli viene da quella visita esplode nella lettera scritta subito dopo all'Adami: «È partito or ora di qui Toscanini. Siamo in perfetto e simpatico accordo e finalmente respiro. Cosi è finito l'incubo che sovrastava fino dall'aprile» (I'incubo: il giudizio di Toscanini!). […] A fine settembre Puccini andò a Milano per leggere a Toscanini le parti che non gli aveva suonate a Viareggio. […] Si misero in una saletta di prova alla Scala. Era il tramonto. Puccini era di una malinconia profonda. Toscanini stava seduto accanto a lui e gli voltava le pagine. Simoni che assisté alla lettura mi raccontò che non dimenticherà mai la tenerezza infinita con la quale Toscanini seguiva e aiutava l'amico, la delicatezza quasi amorosa con la quale gli voltava e riassettava i fogli, quasi avesse voluto sorreggerlo in un immateriale abbraccio. Quella fu l’ultima volta che si videro.” (1) _____ (1) Filippo Sacchi, Toscanini, Arnoldo Mondadori, 1951 ALL’INIZIO
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SPIGOLATURE 7/7 La fine di Puccini “Nelle sue lettere ultime troviamo un brivido di disperazione, e palpita nascosta la speranza per la sua vita e per la sua arte, con uguale spasimo: «Che volete ch'io vi dica? Sono in un periodo tremendo. Questo mio mal di gola mi tormenta, ma più moralmente che per la pena fisica. Andrò a Bruxelles da un celebre specialista ... mi si curerà? Mi si condannerà? Così non posso più andare avanti. E Turandot è lì. I versi di Simoni sono buoni e mi pare fosse quello che ci voleva e che io avevo sognato ... così il duetto è completo ... quando mi metterò al lavoro, al ritorno da Bruxelles ... » E non è tornato più! Aveva portato con sé, nella clinica tragica, il suo manoscritto del finale dell'opera, esattamente trentasei fogli di composizione e di appunti. Sperava ancora di poter lavorare, anche laggiù. Sperava di poter completare questa sua musica, fatica che ‐ come egli stesso diceva ‐ non avrebbe richiesto più di una ventina di giorni. Il destino ha voluto che Giacomo Puccini chiudesse gli occhi per sempre insieme alla sua ultima creatura, la piccola Liù, con un canto sommesso e commosso, di dolcezza, di bontà, di poesia.” (1) La prima di Turandot “« Se non riuscirò a terminare l'opera, a questo punto verrà qualcuno alla ribalta e dirà: L'autore ha musicato fin qui, poi è morto », aveva detto Puccini a proposito della sua ultima opera, Turandot. La sera del 25 aprile 1926, alla Scala, fu Arturo Toscanini a realizzare la triste profezia sull'incompiuta Turandot; quella sera di aprile, dileguatosi sulla scena, inghiottito dal buio della cupa notte cinese, lo straziante corteo funebre con le spoglie di Liù […], Toscanini depose la bacchetta e voltandosi verso un uditorio muto di commozione pronunziò il primo e ultimo discorso pubblico della sua vita: «Qui finisce l'opera, perché a questo punto il Maestro è morto. La morte in questo caso è stata più forte dell'arte» disse pressappoco (le versioni in proposito sono varie), con un fil di voce ed emozionatissimo. Qualcuno gridò «Viva Puccini! » e subito scrosciarono gli applausi.” (2) _____ (1) Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini. Epistolario, Arnoldo Mondadori, 1982 (2) Paolo Arcà, Turandot di Giacomo Puccini: guida all'opera, Arnoldo Mondadori, 1983 ALL’INIZIO
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TRAMA 1/2 A Pechino, al tempo delle favole. Atto primo Quadro primo Una piazza davanti al palazzo imperiale. Di fronte a una grande folla un mandarino pronuncia la sentenza di morte di un principe persiano che non è stato capace di risolvere i tre enigmi postigli da Turandot, figlia dell'imperatore Altoum. La principessa Turandot, infatti, ha fatto voto di sposare il pretendente di sangue nobile che sappia risolvere tre enigmi, ma ha anche decretato che chi fallisce sarà decapitato. Confusi tra la folla, Timur, deposto re di Tartaria, e la schiava Liù, sua fedele compagna, incontrano Calaf, figlio dì Timur, creduto morto in battaglia. Il pretendente sconfitto viene condotto al patibolo. La folla, impietosita, invoca la grazia. Anche Calaf prova orrore per la crudeltà della principessa, ma quando la vede affacciarsi al balcone e con un cenno silenzioso mandare a morte il persiano, se ne innamora perdutamente e non pensa ad altro che a conquistarla. Tre cortigiani, Ping, Pang e Pong, tentano di dissuaderlo. Altrettanto fanno Timur e Liù, che ama segretamente il giovane principe. Calaf consola Liù, ma senza esitare suona il gong con cui ogni nuovo pretendente annuncia la sua volontà di sottomettersi alla prova. Atto secondo Quadro primo Davanti a un siparietto che raffigura un sontuoso padiglione del palazzo imperiale, Ping, Pang e Pong lamentano il pietoso stato in cui è ridotta la Cina per il crudele capriccio di Turandot. Fantasticano di ritirarsi in campagna, lontano dalla principessa. Si augurano che ella trovi finalmente il vero amore. Quadro secondo Una piazza all'interno del palazzo. AI cospetto dell'imperatore, seduto sul suo trono, al sommo di una monumentale scalinata, e di tutta la corte, Turandot rievoca i lontani avvenimenti che l'hanno indotta a fare il terribile voto: migliaia di anni prima, la sua antenata Lo‐u‐ling fu violentata e uccisa da un re barbaro. La prova crudele cui sono sottoposti i suoi pretendenti non è che la vendetta di quel lontano crimine. Calaf è invitato a ritirarsi ma egli rifiuta recisamente e la prova ha luogo. Calaf scioglie uno dopo l'altro i tre enigmi (le soluzioni sono: speranza, sangue, Turandot) e vince. Turandot, umiliata, prega il padre di impedire
che ella divenga schiava di uno straniero, ma l'imperatore le oppone la sacralità del voto. Calaf, generosamente, le offre di scioglierla dal giuramento se scoprirà il suo nome e la sua origine prima dell'alba. ALL’INIZIO
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TRAMA 2/2 Atto terzo Quadro primo Un giardino del palazzo imperiale. Nella calma della notte si odono le voci degli araldi annunciare il decreto di Turandot: nessuno dovrà dormire finché non sarà scoperto il nome del principe ignoto. Calaf è sicuro della vittoria e già assapora il bacio con cui all'alba sveglierà l'amore nella principessa. I tre cortigiani cercano invano di strappargli il segreto con promesse e minacce. Frattanto, Timur e Liù, che erano stati visti insieme a Calaf, vengono tradotti dalle guardie davanti a Turandot. Liù dichiara di essere la sola a conoscere il nome del principe. Poi, temendo di tradire il suo segreto sotto la tortura, si uccide con un pugnale. Rimasto solo con Turandot, Calaf, dopo averla rimproverata per la sua freddezza e per la sua crudeltà, la bacia sulla bocca e la principessa, come se il bacio avesse rotto un incantesimo, capisce improvvisamente di aver amato Calaf fin dal primo istante. Solo allora Calaf le rivela il proprio nome. Quadro secondo Davanti alla corte riunita Turandot annuncia di conoscere il nome del principe ignoto: il suo nome è Amore. _____ da: Michele Porzio (a cura di), Dizionario dell’opera lirica, Arnoldo Mondadori Editore, 1991 ALL’INIZIO