I Padri della Chiesa, interpreti del testo sacro Damian Spătaru

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I Padri della Chiesa, interpreti del testo sacro Damian Spătaru
I Padri della Chiesa, interpreti del testo sacro
L’ESEGESI ANTIOCHENA
Damian Spătaru
«I Padri della Chiesa insegnano a leggere teologicamente la Bibbia in seno a una Tradizione vivente con un
autentico spirito cristiano»1.
1. La Sacra Scrittura
1.1. La Sacra Scrittura: testo-base per ogni interpretazione
La Sacra Scrittura occupa nella Chiesa dei primi secoli un
posto fondamentale in quanto ad essa deve essere conformato
ogni atto della vita della comunità e d’altra parte essa è costituita da un complesso di libri, per argomento forma e cronologia, a volte per diversi motivi di non facile accessibilità ai cristiani.
Le tecniche ermeneutiche2, in uso fra i giudei e i greci, hanno
esercitato un grande influsso sulla ratio esegetica dei dottori
cristiani. Per i giudei c’era il problema di adattare i dati del testo sacro alle esigenze della vita del popolo, armonizzandoli
anche con i dati della tradizione; solo l’esegesi rendeva possibile questo processo di attualizzazione (deducendo dalla lettera del testo antico nuovi precetti).
Non si può dimenticare in questi primi secoli della Chiesa
l’influsso delle diverse correnti che interpretavano la Sacra
Scrittura proprio modo o facevano una grande differenza tra
1
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA (più avanti P.C.B.), L’interpretazione della
Bibbia, Città del Vaticano 1993, 89.
2
Le tecniche ermeneutiche hanno come scopo di aprire un nuovo accesso
alla Bibbia.
Caietele Institutului Catolic VI (2007) 161-180
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l’Antico e il Nuovo Testamento. Erano gli anni in cui la tradizione lasciata da Gesù, in parole e gesti, veniva applicata alle
Chiese nelle situazioni diverse: a poco a poco nascevano i
Vangeli, le Lettere apostoliche e gli altri scritti neotestamentari.
Gli autori del Nuovo Testamento riconoscevano all’Antico Testamento un valore di rivelazione divina3 e potevano testimoniare che spesso Gesù aveva citato quegli scritti, indicandoli
come Parola di Dio4.
In più, era necessario determinare quali fossero esattamente
i libri ispirati. Con i tre Concili africani5 e con i grandi manoscritti biblici6, l’Antico Testamento e gli scritti dell’età apostolica
comparivano su di un medesimo piano, avendo per origine una
medesima ed unica ispirazione divina, uno stesso ed unico
Spirito, una verità che colpì la posizione assunta da Marcione
e dalle correnti gnostiche7. Nella Chiesa post-apostolica il Libro
dell’Antico Testamento restò comunque intimamente congiunto
a quello del Nuovo Testamento.
Il Concilio Vaticano II riformula in modo eloquente l’espressione di Sant’Agostino a riguardo: «Dio dunque, il quale ha
ispirato i libri dell’Uno e dell’Altro Testamento e ne è l’autore,
ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel
Vecchio e il Vecchio diventasse chiaro nel Nuovo. I libri del
Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione
evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato
nel Nuovo Testamento8, che essi illuminano e spiegano»9. Il
Concilio favorisce così lo studio dei Santi Padri d’Oriente e
P.C.B., L’interpretazione della Bibbia, 81.
Mt 1,22: «Tutto ciò è accaduto affinché si adempisse [...] per mezzo del
profeta [...]»; cfr. Lc 24,27; Gv 5,39.
5
Il Concilio di Ippona (393) e i due Concili di Cartagine (397 e 419).
6
Si tratta dei manoscritti “Il Vaticano” e “il Sinaitico”, verso il IV secolo,
contenendo i libri dell’AT e del NT che formano un tutto unico.
7
I marcioniti deprezzavano completamente l’AT in quanto rivelazione del
Dio inferiore, in confronto del NT, rivelazione del Dio Sommo.
L’interpretazione che essi ammettevano per l’AT era esclusivamente e
strettamente letterale; cfr. M. SIMONETTI, Lettera e/o allegoria. Un contributo
alla storia dell’esegesi patristica, Roma 1985, 29.
8
Cfr. Mt 5,17; Rm 16,25-26; 2Cor 3,14-16.
9
CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Dei Verbum nr. 16.
3
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d’Occidente e delle Sacre liturgie e sollecita un impegno da
parte degli esegeti cattolici a studiare e a spiegare con gli opportuni sussidi le divine letture10.
1.2. L’interpretazione: contributo dei profeti e dei rabbini?
Fin da ora affermiamo che il nostro intento non è quello di
presentare uno studio minuzioso della esegesi ebraica del testo sacro ma di tracciare alcuni principi sottostanti all’esegesi
cristiana biblica. Bisogna sì apprezzare la ricchezza erudita
dell’erudizione ebraica messa a servizio della Bibbia, dalle sue
origini nell’antichità fino ai nostri giorni, perché è un aiuto di primaria importanza per l’esegesi dei due Testamenti, a condizione però che si usi con discernimento.
Nel documento P.C.B., a proposito dell’interpretazione ebraica della Scrittura, viene menzionata ed apprezzata la costante
preoccupazione all’attualizzazione del testo biblico, come si è
espressa ad esempio nei Targumìm, ossia le antiche tradizioni
o parafrasi aramaiche, e nei Midrashìm, ossia le interpretazioni
che ricercano nel testo biblico significati ulteriori non immediatamente percettibili11.
L’interpretazione dell’Antico Testamento si rivelò d’importanza vitale per il giudaismo. Con la riforma di Esdra successiva al
ritorno degli ebrei in patria dopo la cattività babilonese (sec. VI
a.Cr.), l’Antico Testamento ed in particolare i libri della Legge
mosaica diventarono lo strumento regolatore di tutta la vita del
popolo.
Di un interesse centrale fu l’interpretazione dei profeti e dei
rabbini. Il loro contributo costituirà il fondamento per uno sviluppo esegetico futuro della Sacra Scrittura12. Anche se Rabbì
Ishmael diceva che la Torà parla nella lingua dei figli dell’uomo13, e con queste parole si opponeva all’interpretazione allegorica, lo studio dei testi sacri ed in particolare dei cinque libri
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogmatica Dei Verbum nr. 23.
Cfr. V. PETERCĂ, Wege zum Bibelstudium: Midrasch, Targum, Septuaginta, Talmud, Iaşi 2001, 15-103.
12
Si può consultare S. ARISTIDE, Contributi dell’antica letteratura giudaica per l’esegesi di Giovanni 2, 1-12 e 19, 25-27, Roma 1977.
10
11
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della Torà o della Legge scritta può dividersi fin dall’antichità in
quattro sistemi d’interpretazione, riassunti poi nella parola pardès14 (frutteto):
1- peshat (interpretazione letterale, senso ovvio);
2- rémezh (interpretazione allegorica, senso allusivo);
3- drash (interpretazione a sfondo morale, senso sollecitato);
4- sod (interpretazione mistica, senso segreto).
Come un primo periodo (quello delle origini) dell’interpretazione e dello studio del Testo sacro va considerato, generalmente, quello degli scribi (i soferim), i quali sono i primi commentatori della Legge scritta. La loro attività si svolge nell’epoca che va dallo scriba Esdra15 fino ai maestri della Misnah (i
tannaim)16. Uno dei compiti affidati da Esdra ai soferim fu quello di fare indagini e di interpretare la Legge scritta in varie
scuole. Il metodo seguito dai soferim può essere riassunto dalle parole contenute nel Libro di Neemia: «Si leggeva nel libro
della Legge del Signore spiegando e dando il senso e la sua
lettura fu compresa»17. In altre parole significa: rendere comprensibile il testo secondo l’interpretazione letterale. Però, per
quei versetti che presentavano una certa difficoltà, oppure per
13
T.B. Berakhoth 31 b, citato in J. J. PETUCHOWSKI, Come i nostri maestri spiegano la Scrittura, Brescia 1984, 21.
14
N. PAVONCELLO, L’allegoria quale mezzo espressivo, Rivista biblica
2 (1993) 134.
15
Esdra e Nehemia sono quelli che hanno cominciato un lavoro di
riordinamento degli antichi libri; cfr. Ne 2; 13.
16
Le opinioni degli studiosi sono divise sul carattere originario della
Mishnà. Vi è chi ritiene che Rabbì Jehudà si sia limitato a compilare
una raccolta delle Legge Orale, riportando le opinioni dei saggi, ciascuna secondo lo stile linguistico proprio di ogni autore. Secondo gli altri però, fra i quali la maggior parte degli studiosi moderni, Rabbi Jehudà desiderò invece creare un vero e proprio codice normativo, un Corpus Iuris, da cui si sarebbe dovuto dedurre la regola; cfr. A. MORDECHAI
RABELLO, Introduzione al diritto ebraico. Fonti, Matrimonio e divorzio,
bioetica, Torino 2002, 33.
17
Cfr. Ne 8, 8.
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le parti poetiche, i soferim si servirono anche di spiegazioni a
sfondo morale-edificante: il Midrash, dalla radice darash, che
significa spiegare, interpretare la Torà18.
Possiamo vedere un esempio in questo senso: diversi testi
midrashici giocando sul nome ebraico di uomo e di donna, ricavano da un rilievo fantasioso un concetto ricco di significato:
uomo in ebraico si dice «Y-sh», donna invece «i-sh-àH»; l’uomo in più della donna ha la lettera «Y», la donna ha le lettere
«àH»; se uniamo questi due elementi si ha «Yàh», ossia la forma breve del nome di Dio, e sta a significare che se la loro
unione è santa, Dio è presente in mezzo a loro. Se però si toglie Dio dall’unione dell’uomo e della donna (Y-àH), entrambi i
nomi «Ysh» e «ishàh» in ebraico diventano «E-sh», che indica
il «fuoco».
Comunque sia, è difficile definire il midrash-ul. Il professore
Peterca afferma a proposito: «A defini midraş-ul este o întreprindere temerară, poate imposibilă. Midraş-ul, fără îndoială
poate fi descris, poate fi analizat, dar definirea lui într-o formulă
este desigur ceva foarte complex. Într-adevăr, cercetătorii
evrei, cei care au aprofundat poate cel mai mult midraş-ul, evită sistematic să-şi limiteze reflecţiile la o simplă formulă sau
definiţie»19.
All’epoca dei soferim segue quella dei tannaim20. Essi apportarono un nuovo elemento a tale metodo: lo studio delle regole
ermeneutiche (middot), studio mediante il quale la Legge scritta va compresa ed intesa. Possiamo ricordare le tredici regole
d’interpretazione della Torà riassunte dal professore ebreo
Mordechai21:
Cfr. Esdra 7, 10: lidrosh et Torat Hashem (studiare la Torà del Signore); Salmi 34, 5: darashti et Hashem ve’anani (ho cercato il Signore, ed Egli mi ha esaudito).
19
V. PETERCĂ, Regele Solomon în Biblia ebraică şi în cea grecească: contribuţie la studiul conceptului de midraş, Iaşi 1999, 35 (vedi
l’intero articolo alle pagine 23-43); ID., Wege zum Bibelstudium, 18-23.
20
M. REMAUD, Vangelo e tradizione rabbinica, Bologna 2005 (Studi biblici 47), 14.
21
Cfr. MORDECHAI RABELLO, Introduzione al diritto ebraico, 38-44.
18
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1) per ragionamento a fortiori, cioè per deduzione a maggior ragione, a minori ad maius, inducendo da un caso
di minore importanza (letteralmente: leggero) per uno
maggiore (letteralmente: pesante);
2) per uguale espressione; è un modo di deduzione per
analogia;
3) per costruzione base derivata da un versetto o da due,
cioè con sillogismo, il ragionamento procede per
generalizzazione, con un criterio tipologico che
permette di riunire vari passi biblici;
4) per ragionamento da generale a particolare, cioè nel
caso di una proposizione universale, generica, seguita
da una particolare, bisogna attenersi alla particolare,
che viene appunto a precisare la prima proposizione;
5) per ragionamento da particolare a generale, è la regola
opposta alla precedente, trovandosi una proposizione
particolare seguita da una universale, generica, ci si
attiene all’universale;
6) per ragionamento da generale a particolare e poi di
nuovo a generale: si può applicare solo ciò che è
analogo al particolare;
7) per categoria generale che richiede una categoria
particolare e per categoria particolare che richiede una
categoria generale; talvolta il particolare che segue il
generico, o viceversa, non esprime né una restrizione
né un allargamento della legge, ma risulta necessario
per la spiegazione del versetto;
8) ogni concetto che era compreso in una espressione
generica e si è staccato da essa per insegnare, non se
n’è staccato per insegnare solo a proposito di sé
stesso, ma a proposito di tutto il gruppo;
9) un concetto che era compreso in un’espressione
generale e se ne è staccato per insegnare un punto
affine al concetto generale, se né è staccato (solo) per
facilitare e non per aggravare;
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10) un concetto che era compreso in un’espressione generale e se ne è staccato per insegnare un punto nuovo,
se né è staccato sia per facilitare sia per aggravare;
11) un concetto che era compreso in un’espressione generale e se ne è staccato per essere sottoposto ad una
nuova norma, non lo si può fare tornare all’espressione
generica, se non lo fa tornare esplicitamente il testo;
12) un soggetto che si chiarisce dal suo contesto o un soggetto che si chiarisce da un testo seguente;
13) due versetti che si contraddicono fino a che un terzo
non li chiarisca.
In questo modo si vede come i maestri della Mishnà (i tannaim) abbiano interpretato il testo biblico. Ad ogni modo, Levinas nota che le tredici figure dell’interpretazione della Torà di
Rabbì Ishmael che vengono spesso citati, o i famosi quattro livelli di lettura sopraccitati, richiedono a loro volta l’esegesi e
costituiscono soltanto aspetti parziali del rabbinismo inteso
come relazione al testo22.
Al di fuori del metodo letterale e del metodo morale nacque
in questo periodo un terzo metodo: l’esegesi allegorica23. Il periodo più fiorente per l’interpretazione allegorica si ha durante il
periodo dei dottori del Talmud Palestinese (risalente all’inizio
del V secolo, periodo corrispondente alla cessazione dell’attività della scuola di Tiberiade, mentre il Talmud Babilonese che
assunse grande importanza nel III secolo venne redatto in
base a compilazioni precedenti)24, durante il quale vengono citate le varie raccolte midrashiche. Il Talmud riporta in esteso le
discussioni dei saggi, partendo sempre dal testo della Mishnà.
In seguito, l’interpretazione allegorica si sviluppò particolar22
Cfr. E. LEVINAS, Sulla lettura ebraica delle Scritture, in ID., L’aldilà
del versetto, Napoli 1986, 179.
23
I primi interpreti di questo nuovo metodo erano chiamati con il
nome di doreše h murot, in quanto spiegavano i passi della Bibbia alla
luce dell’allegoria (la definizione farisaica dei seguaci della setta di
Qumran).
24
Cfr. MORDECHAI RABELLO, Introduzione al diritto ebraico, 47.
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mente in terra d’Israele durante il primo periodo della storia
dell’esegesi biblica e di essa si servirono soltanto per la spiegazione di alcuni parti della Bibbia. I rabbini hanno sempre
chiarito che le interpretazioni omiletiche e quelle allegoriche
sono possibili come spiegazioni supplementari dei versetti della Scrittura, ma che ciononostante «nessun versetto della
Scrittura può perdere il suo senso letterale»25.
Il dibattito intorno all’interpretazione letterale e a quella allegorica della Scrittura è continuato nel corso di molti secoli per i
rabbini. L’esempio di Rabbì Eliézher è notevole. Come Maestro, Eliézher si impose con rigore come modello di puro trasmettitore, dichiarando esplicitamente di non avere mai detto
nulla che non avesse già ascoltato dai suoi insegnanti, ed evitando qualsiasi atteggiamento di innovazione autonoma; in
casi dubbi si asteneva dal rispondere o semplicemente dichiarava di non avere avuto istruzioni dai suoi Maestri. La letteratura talmudica riporta centinaia di insegnamenti a suo nome;
malgrado questo Eliézher si paragonava, come allievo, a un
cane che aveva leccato un po’ d’acqua dal mare e, come Maestro, a un’ampollina dalla quale era stato possibile attingere
solo il minimo di liquido che si estrae con una bacchetta che vi
si intinge.
L’episodio più celebre e drammatico della vita di Eliézher fu
la discussione sul forno di Akhnai’. Il problema che si poneva
era se questo forno fosse da considerare puro come sosteneva Eliézher, oppure impuro come sostenevano gli altri. Eliézher
non accettò di piegarsi all’opinione contraria di una maggioranza schiacciante. La risposta fu drastica e dolorosa. Gamliel,
presidente del Sinedrio e cognato di Eliézher, comminò la scomunica, la terribile norma d’isolamento sociale, che gli avrebbe
impedito ogni pubblica attività. Alla maggioranza che gli si opponeva Eliézher, non essendo riuscito a convincerla con argomenti halachici e logici, portò delle prove miracolose a sostegno delle sue posizioni: «se la regola è come dico io, che le
pareti del Bet Hamidràsh (scuola) lo provino», e le pareti della
25
PETUCHOWSKI, Come i nostri maestri spiegano la Scrittura, 60: ‘en
miqra’ yose mi-ede peshuto.
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scuola cominciarono pian piano a pendere finché i muri furono
apostrofati duramente da un altro Maestro, Rabbì Jehoshua:
«non vi dovete impicciare, che cosa c’entrate voi con le discussioni dei Saggi?»; e allora non finirono di crollare per rispetto a
Rabbì Jehoshua, ma non tornarono a posto per rispetto a Rabbì Eliézher. Ma quest’ultimo non si fermò qui e invocò un giudizio celeste definitivo: «se la Halachà è come dico io, che lo
provino dal cielo»; e dal cielo uscì una voce che gli dette ragione: «che cosa avete da dire su Rabbì Eliézher, dato che la Halachà è come lui in ogni luogo?»; ma i colleghi gli risposero che
la regola «non è in cielo» (Deut. 30:12). Cosa significa, si chiede il Talmùd che racconta questo episodio, l’espressione «la
Torà non è [più] in cielo?» (lo bashamaim hi); significa che ormai la Legge è stata data agli uomini dal monte Sinai, e che
ogni norma si approva a maggioranza, come già l’antica tradizione prescrive: «segui la maggioranza» (Es 23:2).
Il significato più diretto di questa storia è che nella dinamica
creativa della tradizione la collettività, che si esprime per
mezzo della maggioranza democratica, è l’autorità definitiva. È
una scelta costante che segna i momenti più decisivi della
storia dello spirito ebraico, che privilegia la comunità, nelle sue
scelte e nelle sue esigenze, rispetto alle posizioni elitarie dei
singoli, fino al punto di emarginarli se non si piegano a questa
logica.
Non si può dimenticare l’appoggio dei profeti che fanno uso
del masal26. Tra di loro è noto il profeta Ezechiele, che intesseva i suoi discorsi con allegorie, tanto che gli esuli di Babilonia
dissero di lui: «Egli è un narratore di allegorie e di parabole»27.
Il masal abbonda nella letteratura rabbinica ed in quella evangelica.
«Masal» è un termine flessibile che significa dominazione, similitudine, sarcasmo, sentenza, proverbio, massima, favola, parabola, allegoria, satira.
27
Cfr. Ez 21,5.
26
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1.3. I Padri, interpreti della Scrittura
A partire dall’età post-apostolica fino alla metà del V secolo
si riconosce un periodo dottrinalmente creativo: «Presso i Padri della Chiesa, la lettura della Scrittura e la sua interpretazione occupano un posto considerevole. Ne sono testimonianza
innanzitutto le opere direttamente legate alla comprensione
delle Scritture, cioè le omelie e i commentari, ma anche opere
di controversia e di teologia, in cui il riferimento alla Scrittura
serve da argomento principale»28.
Il lettore delle opere dei Padri deve tenere presente la forma
mentis29 degli scrittori occidentali, diversa dalla mentalità degli
scrittori orientali, e distinguere i vari indirizzi seguiti da scuole
fra loro diversamente orientate, quali l’antiochena e l’alessandrina.
Una delle questioni molto discusse nella storia dell’interpretazione della Sacra pagina è la classificazione dei diversi sensi. «La distinzione più corrente era quella tra senso letterale e
senso spirituale»30. Il senso letterale esiste necessariamente
nei libri della Bibbia dovuti ad autori umani31 e non è da confondere col senso letteralistico, sul quale si basano i fondamentalisti. La Pontificia Commissione Biblica afferma che «la lettura
fondamentalista parte dal principio che la Bibbia, essendo la
Parola di Dio ispirata ed esente da errore, dev’essere letta e
interpretata letteralmente in tutti i suoi dettagli […]. Si oppone
perciò all’utilizzazione del metodo storico-critico, così come ad
ogni altro metodo scientifico per l’interpretazione della Sacra
Scrittura»32. A sua volta, il professore Borghi ribadisce che ci si
deve «guardare da una lettura biblica fondamentalista, la quale
deduce dal carattere rivelato-rivelatorio degli scritti biblici la
“verità” di ogni proposizione contenuta nella Bibbia, interpreP.C.B., L’interpretazione della Bibbia, 88.
L. DATTRINO, Il senso cristiano dell’Antico Testamento nella esegesi
dei Padri. Parole di Vita, Torino 1979, 110.
30
P.C.B., L’interpretazione della Bibbia, 70.
31
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, nr.
11 e 12.
32
Cfr. P.C.B., L’interpretazione della Bibbia, 62.
28
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tandola come verità di tipo assertorio […]. Non siammo più,
perciò, davanti ad una tra le molte possibili opzioni e linee ermeneutiche, ma siamo precisamente dinnanzi al confine dell’ermeneutica, alla negazione dell’intrinseco carattere ermeneutica del testo e della parola […]. Tale lettura nega che leggere la Scrittura in modo corretto implichi, al di là di tute le differenze religiose e confessionali, il fatto di attuarsi come esercizio ermeneutico. Essa cioè disconosce il carattere di testo
della Scrittura»33. Di conseguenza, non è sufficiente tradurre il
testo parola per parola per ottenere il suo senso letterale, ma è
necessario comprenderlo secondo le convenzioni letterarie del
tempo.
Invece il senso tipico (spirituale) è una prerogativa esclusiva
della Sacra Scrittura, intimamente connessa con la prerogativa
dell’ispirazione, senso questo inteso dal solo Autore principale,
Dio, agli uomini conoscibile solo mediante la Rivelazione. Il
senso tipico è il senso biblico che, al di là del senso letterale,
esprime una realtà significata da un’altra realtà che ne è l’immagine (typos)34. La tipologia può essere:
– antitetica, come per esempio in Rm 5,12-21 (Adamo e Cristo) e 1 Cor 15, 45 - 49 : «[...] il primo uomo Adamo divenne
anima vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito vivificante»;
1 Pt 3, 21 (il battesimo è l’antitipo del diluvio che è la realtà significata dal tipo);
– di analogia in relazione a Cristo o al cristiano (cfr.1 Cor 10;
Rm 4.).
Per allegoria s’intende il procedimento espressivo per cui si
dice una cosa per significarne un’altra, per esempio: Gal 4, 24
«Tali cose sono dette in termini simbolici: le due donne sono le
due alleanze». Un identico procedimento era indicato, prima di
Cicerone e Filone, con uponoia. Nello stesso senso erano adoperati anche tropologia, ainigma e derivati. L’allegoria è una
E. BORGHI, Contributo ad una lettura critica del Nuovo Testamento,
Milano 19952, 103.
34
Molto importante si rileva lo studio di M. ORSATTI, Introduzione al
Nuovo Testamento, Lugano 2005 (Pro Manuscripto 7), 91-98, il quale
presenta spiccatamente i sensi della Scrittura: spirituale, letterale e
plenior (sopraletterale).
33
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metafora continuata: quando l’allegoria è oscura diviene ainigma. Per allegoria s’intendono due procedimenti: uno compositivo, che è quello per cui uno scrittore esprime concetti che, al di
sotto del significato letterale, ne celano un altro più significativo; l’altro procedimento, ermeneutico, consiste nello scoprire in
un testo un altro significato, oltre quello letterale, al di là di
quelle che erano state le intenzioni dell’autore.
Quindi, l’esegesi biblica dei Padri si concretizza nell’uso delle diverse forme letterarie di uno specifico lavoro ermeneutico:
1. testimonia (florilegi di passi biblici);
2. scolii (si avvicinano ai testimonia, arricchiti di annotazioni e
di chiarimenti);
3. questiones35 (raccolti di passi di un determinato libro scritturistico, ritenuti di difficile spiegazione o particolarmente
significativi, seguiti da un’interpretazione di ampiezza diversa);
4. omelia (deriva dalla tradizione sinagogale ebraica e appare caratterizzata da due elementi principali, esegetico e
parenetico);
5. la lectio continua della Scrittura, il commentario cristiano
(spiega minutamente le parole di un altro che furono scritte in maniera oscura e le chiariscono con un discorso facile);
6. la catena esegetica (è un florilegio di testi esegetici precedenti).
I Santi Padri hanno fatto uso di tali applicazioni scritturistiche. Essi hanno tratto dall’insieme della Scrittura gli orientamenti di base che hanno dato forma alla tradizione dottrinale
della Chiesa e, nello stesso tempo, hanno fornito un ricco inse-
Il metodo del tractare per questiones et responsiones è largamente diffuso e ben definito nell’antichità. Caratteristica di questo tipo di
scritto esegetico è la tendenza a risolvere le difficoltà in modo quasi
esclusivamente letterale. Per tale motivo le questiones ebbero fortuna
in ambiente siro-palestinese e poi antiocheno.
35
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gnamento teologico per l’istruzione ed il nutrimento spirituale
dei fedeli.
2. La Scuola di Antiochia
2.1. I Rappresentanti
Non si può parlare di una data ben precisa per la fondazione
della Scuola di Antiochia, neanche per il suo fondatore36. Alla
riforma politica costantiniana che poneva il cristianesimo sul
medesimo livello di riconoscimento giuridico delle altri religioni,
seguì in seno alla Chiesa un’intensa attività intellettuale che,
pur dando luogo a violente polemiche teologiche, portò ad uno
stato di straordinaria floridezza le discipline religiose. Sotto
questo nome si vuole designare un certo numero di Padri e di
scrittori ecclesiastici dei sec. III, IV e V i quali hanno come
base comune non di aver studiato ad una stessa scuola o sotto
gli stessi maestri, non d’insegnare una stessa dottrina filosofica
e teologica, ma di adoperare un metodo simile nell’interpretazione della Sacra Scrittura37.
La Scuola di Antiochia è nota come oppositrice di quella di
Alessandria. Gli alessandrini, a partire da Origene (sotto l’indubbia influenza di Filone e della filosofia neoplatonica), hanno
fatto uso nell’interpretazione biblica di un allegorismo a volte
eccessivo. Per gli esponenti antiocheni l’allegoria è un vocabolo compromesso dall’uso profano, in quanto, nell’interpretazio-
Il fondatore della scuola antiochena non si conosce esattamente.
La maggioranza degli esegeti pensano che questi sia Luciano, sacerdote martire di Nicomedia. Egli era un rinomatissimo professore di
esegesi, verso la fine del sec. III, al quale si deve una recensione di
tutta la Bibbia sui testi originali. Indizi sicuri permettono di affermare
che nell’interpretazione dei libri sacri cercava soprattutto di rendere
chiaro il senso letterale e grammaticale.
37
Cfr. P. SFAIR, art. Antiochia di Siria, in AA. VV., Enciclopedia cattolica, vol. I, Firenze 1948, 1470.
36
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ne dei miti greci indica la sovrapposizione di un nuovo significato che sopprime quello letterale38.
Per reazione, fin dalla fine del sec. III, e specialmente nel IV,
gli antiocheni stabilirono il principio che occorre interpretare i
Libri sacri secondo l’esame storico-grammaticale e per questo
procurarsi anzitutto il miglior testo possibile, quello che ha la
fortuna di riprodurre il testo originale, o di avvicinarglisi maggiormente. Essi non respingevano perciò il senso spirituale o
tipico, ma affermavano con ragione che questo senso tipico,
per non essere un prodotto dell’immaginazione, doveva basarsi sul senso letterale, avendo un fondamento nella Scrittura, o
derivarne normalmente. L’interpretazione cristologica (spirituale), che si sovrappone al senso-storico-letterale, ma non l’annulla, è invece theoria (epitheoria), come quella di Gal 4,24;
tropologia è infine il linguaggio figurato della Scrittura, lo sviluppo simbolico, cioè proposto dallo stesso testo biblico39.
Dopo la morte di Luciano (360), il vero teorico della Scuola
antiochena è Diodoro di Tarso. Questo raggruppò intorno a sé
un certo numero di discepoli, di cui i primi due illustri furono
San Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia, ai quali
vanno aggiunti Nestorio e Teodoreto di Ciro. Diodoro passa
per colui che ha seminato i primi germi dell’eresia che porta il
nome di Nestorio. Teodoro l’ha sviluppata ed esposta nei particolari. Nestorio l’ha predicata a Costantinopoli e con ciò ha
causato la sua condanna al Concilio di Efeso. Teodoreto di
Ciro ha avuto molto da soffrire nella sua reputazione per le
contese con gli avversari di Nestorio e di Teodoro di Mopsuestia. Teodoro è il più eterodosso di tutti, sebbene non sia stato
condannato da vivo. La sua eterodossia non riguarda tanto il
suo metodo esegetico, quanto il suo spirito sistematico, il suo
disprezzo per la tradizione ecclesiastica e le sue tendenze ra-
M. MARIN, Orientamenti di esegesi biblica dei Padri, in Complementi interdisciplinari di patrologia, a cura di A. Quacquarelli, Roma
1989, 282.
39
Is 5,1-7, il tema della «Vigna - Israele».
38
I Padri della Chiesa, interpreti del testo sacro
175
zionaliste. Egli é stato per qualche secolo il dottore della Chiesa nestoriana40 e le ha dato il titolo di interprete.
Gli scritti di San Giovanni Crisostomo, di Teodoreto, di Teodoro stesso e di qualche altro Padre della Chiesa hanno conservato nella Chiesa il primato dell’esegesi letterale.
2.2. Esegesi antiochena
2.2.1. - Diodoro di Tarso utilizza la theoria che egli oppone
all’allegoria degli alessandrini. Per lui la theoria coincide con
l’interpretazione tipologica che vede nei fatti dell’AT l’anticipazione di quelli del NT. Theoria è il «termine distintivo della corretta operazione ermeneutica che conduce al senso spirituale
senza mortificare e stravolgere la lettera»41.
Diodoro, nel Commento ai Salmi, riduce il collegamento dei
Salmi con il NT, cioè con Cristo, vedendo in essi solo un riferimento a specifici fatti della storia d’Israele. Questo riferimento
diventa sistematico: l’autore di tutti i Salmi è Davide, lui si rivolge
a Dio in occasione di certi fatti della sua vita: persecuzione da
parte di Saul, rivolta di Assalonne, ecc.42. Solo nei Salmi considerati più tradizionalmente messianici rimane poco spazio alla
destinazione cristologica: Sal 2, 8, 4443. In questi casi, Diodoro
riferisce i testi al Cristo incarnato in modo diretto, mantenendo la
lettura ad un solo livello, quello messianico: Sal 17, 51.
Il criterio dell’ophéleia utilizzato dagli allegoristi per applicare
in senso cristologico la loro tecnica esegetica e anche il procedimento di spiegare la Scrittura con la Scrittura sono messi in
opera da Diodoro per chiarire meglio il senso letterale del teLa Scuola di Antiochia cade totalmente con la condanna dell’eresia nestoriana. Gli ultimi discepoli sono andati in Persia dove spiegavano le opere di Teodoro.
41
M. SIMONETTI – E. PRINZIVALLI, Letteratura cristiana antica. Antologia
di testi, vol. II (Dall’epoca costantiniana alla crisi del mondo antico),
Casale Monferrato 1996, 449.
42
Fra gli altri, i Salmi 13, 14, 19, 20, 26, 27, 28, 29, fanno riferimento
alla vicenda di Ezechia con gli Assiri; per i fatti dell’esilio e ritorno i Salmi: 5, 22, 23, 24, 42. Il Salmo 45 e messo in relazione con Is 7,1. Ai
Macabei, Diodoro riferisce soltanto i Salmi 43 e 46.
43
Cfr. SIMONETTI, Lettera e/o allegoria, 163.
40
176
Damian Spătaru
sto, soprattutto i suoi referenti storici. Nello stesso tempo si
può sottolineare la capacità di Diodoro di servirsi sia degli strumenti filologici che della terminologia degli avversari al fine di
combattere i loro princìpi ermeneutici44. L’oggetto principale del
contrasto era rappresentato dalla valutazione di Gen 1-3. A
questo proposito Diodoro chiarisce che qui non si deve parlare
di allegoria bensì di ainigmata, cioè di parlare in modo celato.
Nel prologo all’intero commentario, in cui mostra che la theoria
non distrugge la lettera, egli riporta l’esempio di Caino e Abele
= Sinagoga e Chiesa; come dimostrazione di allegoria che elimina la lettera egli propone gli esempi dell’abisso = demoni
(Gen 1, 2). Qui egli riporta la sua teoria esegetica come il giusto mezzo fra l’eccessivo allegorismo dei greci e l’eccessivo
letteralismo dei giudei.
2.2.2. - Teodoro di Mopsuestia, allievo di Diodoro, è il rappresentante più qualificato dell’esegesi antiochena. Nel suo lavoro rimasto integralmente in greco, Commento ai dodici profeti,
considera certi fatti dell’AT come typoi di Cristo. In questi trattati
applica la novità della scuola antiochena, che consiste nel quasi
totale ripudio dell’interpretazione cristologica dell’AT, in favore di
un apprezzamento storico-erudito o letterale del testo45.
Nella prefazione in Commento a Giona, dopo aver premesso
che le antiche realtà sono tipo delle successive46, indica in Giona colui che ha meglio di ogni altro prefigurato la vicenda terrena di Gesù, ma nel corso del commento è omessa qualsiasi interpretazione cristologica dei fatti di Giona. Teodoro si limita ad
interpretare soltanto in chiave letterale. Lo spirito realista della
scuola cerca di mettere in rilievo la distinzione delle persone
divine tra loro, e, per quanto riguarda il mistero dell’incarnazione, di insistere sull’umanità del Salvatore e sulla sua integrità.
Diodoro e Teodoro hanno cercato di spiegare la modalità d’uCfr. SIMONETTI, Lettera e/o allegoria, 164-167
SIMONETTI, Letteratura cristiana antica, 457.
46
Teodoro adduce l’esodo dall’Egitto (= liberazione dal peccato ), i
sacrifici cruenti del Tempio (= Sacrificio di Cristo), il serpente di bronzo
(= Cristo crocifisso ) con citazione di 1 Cor 10, 11; Eb 9, 13; Io 3, 14.
44
45
I Padri della Chiesa, interpreti del testo sacro
177
nione delle due nature, divina e umana. Questo tentativo sarà
sfortunato e tradirà una tendenza razionalista. La polemica
contro l’arianesimo li spingerà naturalmente ad accentuare da
una parte la trascendenza del Verbo, dall’altra le manifestazioni più realiste della natura umana alla quale Egli si è unito. Saranno ben presto accusati di voler rinnovare l’adozianismo di
Paolo di Samosata47.
2.2.3. - Con San Giovanni Crisostomo ci troviamo sul terreno di una esegesi che comincia a toccare di più l’interpretazione spirituale del testo scritturistico, cioè l’interpretazione a
due livelli48, rifiutando nello stesso tempo l’eccessiva allegorizzazione.
L’interpretazione dei Salmi ci presenta un’applicazione più
ampia del criterio dei due livelli di lettura. Nel commentario ai
Salmi graduali lui osserva che essi, secondo la storia, vanno riferiti al tempo del ritorno dall’esilio, ma secondo anagogia indicano l’ascensione della vita morale che conduce alla virtù.
Il procedimento esegetico fondamentale di Crisostomo consiste nel riferire il testo del Salmo alla situazione attuale dell’ascoltatore, senza avere un metodo sistematico per questo. L’espressione simbolica è sempre messa in rilievo quando lui la
trova nel testo e con questo procedimento si allontana dalla
prassi interpretativa di Diodoro e Teodoro. Dati i suoi interessi
soprattutto pastorali, Giovanni evita di impegnarsi in discussioni teoretiche e polemiche, come amavano fare gli altri due.
2.2.4. - Se nel Crisostomo l’attenuazione dello spirito polemico è da mettere in relazione con gl’intendimenti pastorali della
sua esegesi omiletica, in Teodoreto di Ciro si tratta di un modo
nuovo di vedere il rapporto fra la lettera e l’allegoria, fra l’esegesi
letterale e quella spirituale. Con un allargamento della visuale
Eretico razionalista.
«Per indicare i due livelli di lettura, Giovanni fa uso della terminologia platonizzante alessandrina aisthetá/noetá, e anche di anagogé […]
. Come esempio di lettura a due livelli propone Isacco e l’agnello pasquale», SIMONETTI, Lettera e/o allegoria, nota 302 alla pagina 184.
47
48
178
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esegetica, lui ha limitato il letteralismo di Teodoro e ha valorizzato di nuovo, a volte in dichiarata polemica con il suo predecessore, la lettura dell’AT in chiave cristologica, non certo con
l’ampiezza caratteristica di Origene o anche di Eusebio49.
Nel Commento ad Isaia, Teodoreto condivide il fondamentale criterio antiocheno: l’interpretazione letterale ed il passaggio
all’allegoria soltanto in passi all’origine simbolici50. La novità
dell’esegesi di Teodoreto consiste dunque nella rivendicazione
della lettura cristologica del testo sacro, contro il riduzionismo
di Diodoro e Teodoro e tale rivendicazione lo ha portato a privilegiare l’interpretazione allegorica più di ogni altro antiocheno51
3. Conclusione
La Scrittura si serve della lingua umana poiché altrimenti
non potrebbe essere compresa dagli uomini; essa è tuttavia
Parola di Dio e come tale ha in sé più di quanto un singolo
uomo o una singola generazione possano di essa udire e capire. Ciononostante la Sacra Scrittura si lascia comprendere solo
da colui che la studia e ne cerca il senso52.
Innanzitutto l’esegesi cristiana deve tenere conto di quell’intermediario che fu la tradizione ebraica, in senso lato, fra l’Antico e il Nuovo Testamento53. Affermiamo di seguito che i primi
Padri della Chiesa quando dovevano prendere posizione e
proporre una nuova interpretazione dei testi sacri hanno sempre rivolto lo sguardo all’esegesi ebraica del loro tempo.
Non possiamo tralasciare neanche gli aspetti difficili presenti
agli inizi dell’esegesi biblica assieme a tutte le controversie intor49
Eusebio di Cesarea fa un importante approccio tra il vecchio modo
di leggere la Scrittura e il nuovo modo. Fu conoscitore e ammiratore
delle opere di Origene. Lui apprezza l’AT dal punto di vista storico.
50
A volte Teodoreto non utilizza il termine di allegoria ma preferisce
quello di tropikós da solo o in correlazione con rhetón che indica il senso letterale.
51
Cfr. SIMONETTI, Lettera e/o allegoria, 190-200.
52
Cfr. Sal 119,18; Am 5,4; Esd 7,10.
53
Cfr. REMAUD, Vangelo e tradizione rabbinica, 161.
I Padri della Chiesa, interpreti del testo sacro
179
no all’interpretazione della Scrittura, così come mostrano le due
Scuole, antiochena e alessandrina, con i loro rappresentanti. Ma
salda e comune al di sopra di tutti i motivi di discussione era la
fede, che anche una volta la Parola di Dio non avrebbe lasciato
orfano il suo popolo, che oltre alla Tradizione la Scrittura contenesse le risposte alle domande degli uomini. Bisogna saper trovare queste risposte attraverso un’indagine corretta.
La lettera è necessaria come punto di partenza. Senza la lettera non c’è esegesi; la prima preesiste alla seconda e ne diventa il fondamento. Diversamente si entra nel campo del libero pensare e delle teoresi che non cadono nel perimetro della
base scritturistica. La Pontificia Commissione Biblica afferma:
«I padri applicano in modo più o meno frequente il metodo allegorico, allo scopo di dissipare lo scandalo che potrebbero provare alcuni cristiani e gli avversari pagani del cristianesimo nel
leggere certi passi della Bibbia. Ma molto raramente vengono
annullate la letteralità e la storicità dei testi»54.
Ci sono anche esegeti che «falsamente parlano di un senso
umano della Bibbia sotto il quale sarebbe nascosto il senso divino, che è come essi dichiarano, il solo infallibile. Nell’interpretazione della Sacra Scrittura essi non vogliono tenere conto
dell’analogia della fede e della “tradizione” della Chiesa, in
modo che la dottrina dei Santi Padri e del Magistero dovrebbe
essere misurata con quella della Sacra Scrittura, spiegata (da
loro), però, in modo puramente umano»55. Papa Pio XII addita
all’esegeta cattolico «fra tutti i suoi compiti il più alto di trovare
ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri...Perciò, essi devono con ogni diligenza rintracciare il significato letterale delle
parole [...]»56.
Resta comunque inteso che la Parola di Dio si adatta alla
capacità di comprensione da parte dell’uomo, e che essa viene
P.C.B., L’interpretazione della Bibbia, 89.
PAPA PIO XII, Enciclica Humani Generis circa errori, false opinioni,
tendenze pericolose dei nostri giorni, in H. DENZINGER, Enchiridion
Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, a cura di
P. Hünermann, Bologna 1995, nr. 3887-3888.
56
Enciclica Divino Afflante Spiritu, AAS 35 (1943), 338; cfr. DENZINGER,
Enchiridion Symbolorum, 3826-3831.
54
55
180
Damian Spătaru
indagata da dotti, che sono uomini e interpretata da esegeti,
che sono uomini57. Ma ciò non significa che interpretazioni di
uno stesso versetto, che si discostano notevolmente l’una dall’altra, si debbano escludere reciprocamente. Esse riflettono
semplicemente aspetti diversi della stessa verità divina.
BIBLIOGRAFIA
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STRACK, H. L., Introduction au Talmud et au Midrash [éd. revue et corrigée
par] G. Stemberger; trad. in francese di Maurice-Ruben Hayoun, Paris 1986.
57
“In nulla scientia, humana industria inventa, proprio loquendo, potest inveniri nisi litteralis sensus, sed solum in ista Scriptura, cuius Spiritus Sanctus
est auctor, homo vero instrumentum invenitur sensus spiritalis”, San Tommaso, Quodlibetum 7, q. 6, art. 16 citato in SFAIR, art. Antiochia di Siria, 1470.