Marco PESENTI GRITTI

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Marco PESENTI GRITTI
Marco PESENTI GRITTI
Marco nasce a San Giovanni Bianco (BG) il 19/01/1978 e risiede a Oltre il Colle fino al 1993,
quindi a Serina. Frequenta il Liceo Scientifico del nostro Turoldo, diplomandosi nell’anno
scolastico 1996/97; si laurea poi in LETTERE all'Università Statale di Milano.
E’ autore di diversi Free Software di successo, caratterizzati dalla facilità d'uso dell'interfaccia
utente. Fino a febbraio 2009 ha lavorato per RedHat, società americana leader nel settore Open
Source. Si è occupato a lungo dello sviluppo del software "One laptop per Kild - il computer da 100
dollari per il Terzo Mondo, cioè laptop a basso costo per le scuole dei paesi sottosviluppati”;
progetto promosso dal M.I.T. media lab di Boston, in collaborazione con varie aziende, tra le quali
Google, AMD, Redhat e Newcorporation.
Marco attualmente risiede a Londra e lavora per conto di una start up informatica di Boston, LITL
(www.litl.com), che ha lo scopo di introdurre sul mercato una nuova categoria di computer
portatili: webbook, cioè una macchina interamente basata su internet, in cui, per esempio, anche i
normali documenti sono memorizzati esclusivamente in rete.
Marco, al centro, con il team “One laptop”
Ecco alcuni dei progetti cui ha partecipato Marco
GALEON
Fino a poco tempo fa la mancanza di un browser per Linux all'altezza della concorrenza era una
delle maggiori scuse che teneva ancorati gli utenti Windows al proprio sistema operativo. Ora i
tempi sono cambiati: Mozilla ha raggiunto una ottima maturità e stabilità, Opera punta molto su
Linux e i miglioramenti si notano di release in release e Konqueror oltre a essere un ottimo
browser, offre anche un'ottima integrazione con l'ambiente grafico. Però c'è un browser che
ultimamente, secondo il mio parere, sta emergendo particolarmente, e promette di diventare il
miglior browser (non solo per Linux): Galeon. Questo browser si basa su Mozilla, il progetto open
source avviato quando Netscape ha reso liberi i sorgenti di Communicator. Fin dalle prime release
Mozilla sembrò però soffrire di problemi di pesantezza. Inoltre il progetto puntava alla creazione di
un unico strumento per la comunicazione, racchiudendo al suo interno, oltre a un web browser,
anche un client di posta e newsgroup, editor di pagine HTML e un client irc. Il risultato non
sembrava soddisfare a pieno quelle che erano le attese: il valore del prodotto era indiscusso, Mozilla
poteva contare sul miglior motore per il rendering esistente, Gecko (in numerose prove risultava
essere il più veloce tra tutti i motori di rendering di pagine HTML, compreso quello di Internet
Explorer). Ma la sua pesantezza ne scoraggiava l'uso. Nacque così un altro progetto, chiamato
Galeon, che aveva come scopo quello di realizzare un nuovo browser partendo proprio da Gecko e
ricostruendo tutto ciò che vi stava intorno. Autore di questo progetto è un italiano Marco Pesenti
Gritti, che guida un numeroso gruppo di sviluppatori. I risultati non si fecero attendere e Galeon
crebbe rapidamente. Tant'è che il 24 Novembre scorso è stata annunciata la versione 1.0. Galeon
riesce ad unire velocità e leggerezza nello stesso browser: nonostante sia un progetto relativamente
recente, dimostra già di essere una delle migliori scelte possibili (è il mio browser abituale da
diversi mesi ormai). In più si integra perfettamente con GNOME. Per poter essere installato richiede
però Mozilla e le librerie di sviluppo di GNOME.
EPIPHANY
è un browser web Open Source rilasciato sotto licenza GPL e sviluppato per l'ambiente desktop
Gnome. L'obiettivo rincorso dallo sviluppatore Marco Pesenti Gritti è quello di creare un browser
veloce e di semplice utilizzo. Epiphany poggia sul motore Gecko di Mozilla, mentre l'interfaccia
grafica si basa sulle librerie GTK del progetto Gnome. Questo browser è stato sviluppato partendo
da Galeon.
OLPC
(One Laptop per Child)
One Laptop Per Child (la cui sigla è OLPC) è un'organizzazione no-profit creata per sovraintendere
al progetto del computer da 100 dollari, $100 laptop. Entrambi, il progetto e l'organizzazione, sono
stati annunciati al Forum Economico Mondiale in Davos, Svizzera il 28 gennaio 2005. "One Laptop
Per Child" è stata fondata da varie organizzazioni sponsor. Queste includono Google, Red Hat,
AMD, BrightStar, News Corp e Nortel Networks. Ciascuna compagnia ha donato due milioni di
dollari. Il MIT Media Lab è pure coinvolto nel progetto. "One Laptop Per Child" ha guadagnato
molta attenzione dopo che Nicholas Negroponte e Kofi Annan hanno mostrato un prototipo
funzionante del "$100 laptop" al World Summit on the Information Society a Tunisi, Tunisia. "One
Laptop Per Child" è presieduto da Nicholas Negroponte, che per dedicarsi a questo incarico ha
lasciato in febbraio 2006 il "MIT Media Lab", e il suo CTO (direttore) è Mary Lou Jepsen. Altri
dirigenti della Compagnia sono il precedente direttore del MIT Media Lab Walter Bender che è
presidente di "OLPC Software e Content" e Jim Gettys che è vice-presidente di "Software
Engineering"[1]. L'iniziativa è volta alla progettazione, produzione e distribuzione di laptop da 100
dollari per fornire a ogni bambino del mondo, specie a quelli nei Paesi in via di sviluppo, l'accesso
alla conoscenza e alle moderne forme educative. I laptop presentati dal team di Negroponte sono
basati su programmi open source, processore low-cost Geode e possono essere alimentati con
batteria interna ricaricabile con una manovella per la ricarica (non presente nella versione definitiva
del laptop XO-1), batteria auto, trasformatore di rete. Per ridurre i costi è previsto che siano dati in
grandi quantità a scuole o altre organizzazioni che li distribuiscano a basso costo. Il 19 febbraio
2007 l'organizzazione ha confermato di aver inviato un primo ordinativo di un milione di computer
a Quanta Computers. Il prezzo di un singolo sistema sarà di 130 dollari e la fornitura coprirà le
richieste di Argentina, Brasile, Libia, Nigeria, Ruanda, Thailandia e Uruguay.[2] La produzione in
serie dei computer è iniziata nel luglio del 2007 sebbene non siano noti quantitativi e tempi di
consegna.[3] Il 9 gennaio 2008 la BBC ha mostrato una polemica tra Nicholas Negroponte e Intel a
causa del prezzo troppo basso del calcolatore [1] e la cosa è stata riportata da Repubblica.it.
ARTICOLI E INTERVISTE
Assai numerose le interviste e gli articoli che si sono interessati in questi anni di Marco PESENTI
GRITTI.
Qui di seguito un’intervista significativa, perché lo stesso Marco fa il punto sui suoi lavori:
A. Del Rosso ha intervistato Marco Pesenti Gritti, fondatore del progetto open source Galeon e
attuale maintainer di Epiphany, un nuovo browser free basato su Mozilla che ha due sole parole
d'ordine: semplicità e integrazione
Marco Pesenti Gritti – 25 anni, studente di lettere presso l'università di Milano - ha dato vita, pochi
anni fa, al progetto Galeon, un browser open source per Linux basato sul motore di rendering di
Mozilla. Di recente ha deciso di lasciare il progetto, di cui era mantainer, per fondarne uno nuovo
chiamato Epiphany. Gritti ha spiegato a Punto Informatico i motivi che lo hanno portato ad
abbandonare Galeon e gli obiettivi del nuovo progetto, fornendoci inoltre la sua opinione su molti
aspetti dello sviluppo di un browser.
Punto Informatico: Che esperienza hai nel campo dello sviluppo di software per Linux?
Marco Pesenti Gritti: Tempo fa iniziai un mio progetto, il browser Galeon, che mi diede la
possibilità di prendere dimestichezza con Linux. Non ho partecipato ad altri progetti in modo
continuo, ma ho contribuito a Gnome e Mozilla con delle patch. Quando ho iniziato Galeon non
sapevo molto di programmazione Linux.
PI: Perché hai sentito l'esigenza di varare un nuovo progetto, Epiphany, per lo sviluppo di un
browser basato sul motore di rendering di Mozilla?
MPG: Fin dall'inizio dello sviluppo di Galeon ci sono state guerre cicliche tra chi voleva mantenere
l'interfaccia molto semplice (tra cui io) e chi voleva implementare tutte le funzionalità possibili e
immaginabili per accontentare il maggior numero di persone. All'inizio c'era un certo equilibrio, nel
senso che almeno metà del team di sviluppo era d'accordo con la mia linea di pensiero, poi per
ragioni di lavoro e simili, alcuni di coloro che stavano dalla mia parte hanno dovuto lasciare: così mi
sono trovato a sostenere lunghe discussioni contro tutti gli altri programmatori. Nel frattempo
anche altre persone in Gnome, tipo Havoc Pennington, hanno sostenuto la necessità di creare
applicazioni più semplici e con meno funzionalità. Galeon, invece, stava andando nel senso opposto
e cominciava ad essere una delle applicazioni Gnome più complesse. Per farla breve, dopo mesi di
accese discussioni portate avanti nelle mailing-list del progetto ho deciso che era arrivato il
momento di dedicarmi a qualcosa di più costruttivo: così ho lasciato la carica di maintainer di
Galeon. Dato che mi dispiaceva gettare al vento tutta l'esperienza accumulata, ho deciso di scrivere
qualcosa di molto semplice, per uso mio e di alcune altre persone a cui l'idea piaceva: Epiphany.
Non mi aspettavo tutta questa attenzione da parte dei media e di molti programmatori del core di
Gnome.
PI: Cosa differenzierà Epiphany da Galeon?
MPG: In generale non si tratta di cambiamenti allo spirito con cui abbiamo iniziato Galeon, ma
semplicemente un tornare indietro a quei principi ispiratori. Il primo obiettivo è l'integrazione con il
sistema: questo significa anche seguire le linee di sviluppo delle interfacce comuni a Gnome, cosa
che stava diventando impossibile con Galeon. I programmatori impegnati in quest'ultimo progetto
pensavano di sapere cosa fosse giusto e ignoravano il problema della consistenza con le altre
applicazioni. Il secondo obiettivo è la semplicità: questo implica anche leggerezza e velocità.
Epiphany, nonostante non abbia fatto alcuno sforzo di ottimizzazione, è già un bel po' più veloce di
Galeon, per esempio nell'aprire nuove finestre. Ma semplicità significa anche pulizia dell'interfaccia,
il che, secondo me, implica il tenere ben presente il target di utenti a cui il prodotto si rivolge:
accontentare tutti significa sacrificare la pulizia dell'interfaccia. E così Galeon, che era nato proprio
per offrire un rimedio alla complessità e alla ridondanza di Mozilla, ha finito per intraprendere la
stessa strada. Il terzo obiettivo è la conformità agli standard: questo è un fattore essenziale per
contrastare l'emergere di funzionalità non standard che minacciano la libertà e l'omogeneità del
web.
PI: Credi che la tua cultura umanistica influenzi positivamente il tuo modo di gestire e portare
avanti un progetto di sviluppo?
MPG: Credo che mi aiuti soprattutto nel progettare per gli utenti non tecnici, che sono la stragrande
maggioranza. Il fatto che la maggior parte del software per Linux sia scritto per hacker o power
user è, a mio avviso, il motivo principale per cui Linux non ha avuto successo nel desktop.
Comunque intendiamoci, non voglio dire che un umanista sia per forza un buon designer di
interfacce: credo semplicemente che nelle varie decisioni da prendere, e che includono anche la
selezione di quali funzionalità valga la pena implementare, non si debba mai perdere di vista l'uomo
e le necessità vere dell'utente, altrimenti si produce qualcosa di tecnicamente perfetto, con magari
fantastiche potenzialità, che però la stragrande maggioranza delle persone non è in grado di usare.
PI: E di cui spesso non ha neppure bisogno...
MPG: Esatto. Una cosa assurda di Linux è che ci sono tool fantastici che spesso possono fare più e
meglio di quanto facciano costosi software commerciali, ma che necessitano, per essere usati, di
una laurea in informatica. È impressionante come la maggior parte degli hacker ignori anche la
semplice esistenza di utenti che non comprendono dettagli tecnici come i cookie o la struttura degli
URL.
PI: Quali sono le funzionalità di un browser che ritieni essenziali per l'utente medio?
MPG: Penso che ad un utente medio servano semplicemente una buona struttura di navigazione,
un modo per organizzare i siti preferiti o che non vuole dimenticare, un modo per ritornare a dei
contenuti che ha già visto qualche tempo prima e una interazione buona e semplice con i vari
formati di documenti che è possibile scaricare: per esempio, un click su un file PDF dovrebbe
visualizzare il documento senza tante complicazioni. A mio parere si potrebbe invece fare a meno di
preferenze molto tecniche come le incomprensibili impostazioni di sicurezza in Mozilla e di mille
opzioni per cambiare le modalità di funzionamento dell'interfaccia. Molto meglio risolvere i problemi
che stanno alla base di queste opzioni e scegliere quali applicazioni utilizzare per aprire un PDF:
Gnome deve e può saperlo! Ma mi rendo conto che questa è semplicemente una lista di piccole
cose...
PI: Pensi che sia possibile continuare a migliorare un software senza cadere nella tentazione di
aggiungere nuove funzionalità e, quindi, complessità? Ed ancora, credi che gli utenti vogliano
davvero un browser semplice e leggero o tendano invece ad essere attratti dalle novità, anche se
magari poco utili?
MPG: È necessario opporsi alla complessità. Ad un certo punto bisogna riguardare la globalità delle
funzionalità e rimuovere ciò che si trova non necessario. Questo nel free software è un compito
difficile, perché si tratta di tagliare del codice, ma penso che sia assolutamente necessario se si
vuole che l'uso di un computer rimanga qualcosa di umanamente gratificante: i software
dovrebbero essere strumenti al servizio degli utenti e non mezzi per soddisfare l'ego dei
programmatori. Per quanto riguarda la seconda parte della tua domanda, credo che gli utenti
classici del free software vogliano qualsiasi tipo di nuova funzionalità. Giocare con le nuove
funzionalità credo sia uno dei motivi principali che spingono all'utilizzo di Linux. Da un certo punto di
vista questo "giocare" è da valorizzare, perché aiuta ad apprendere e rende il lavoro meno noioso.
PI: Esistono ormai diversi browser basati sul motore di Mozilla, fra cui Galeon, K-Meleon, Chimera,
Netscape e Phoenix. Credi che questo continuo forking del progetto originario, che è poi abbastanza
frequente nel mondo del free software, sia una cosa positiva o un inutile dispendio di energie?
MPG: Credo sia un fatto inevitabile. Il mondo del free software ha caratteri particolari, è in un certo
senso un caos in cui l'ordine è soltanto un equilibrio momentaneo, difficile da mantenere. Ma non
sono certo che la cosa sia negativa come sembra. Le risorse di programmazione sono virtualmente
infinite e creare entusiasmo attorno ad un nuovo progetto significa trovare persone pronte ad
aiutarti: la novità muove risorse che altrimenti semplicemente rimarrebbero inutilizzate. Nel caso
dei browser, credo che i fork di Phoenix ed Epiphany nascano con lo stesso obiettivo: ovviare alla
complessità di Mozilla. Se saranno in grado di trovare una soluzione soddisfacente sarà stato un
fork positivo; altrimenti non credo che avranno danneggiato Galeon e Mozilla.
PI: Di recente Apple è riuscita, snobbando Mozilla e tutti i progetti free derivati, a plasmare un
browser, Safari, basato sul cuore open source KHTML. Sebbene ancora in fasce, questo software ha
già saputo guadagnarsi la stima di molti. Non credi che questo sia uno smacco per quella comunità
di sviluppatori open source che da anni cerca di sviluppare una vera alternativa ad Internet
Explorer?
MPG: Lo smacco peggiore è che Safari non è niente di rivoluzionario. Quindi torniamo al punto di
partenza: sono le idee che contano, più che fiumi di codice.
PI: Ed Apple, in genere, le idee le ha buone...
MPG: Esatto. Molto. Comunque sono ottimista. Finalmente credo si cominci a comprendere anche
nel free software l'importanza di riflettere un attimo prima di scrivere fiumi di codice, e di utilizzare i
fiumi di codice esistente in una maniera più efficace. Certo, Apple è stata più veloce, ma anche noi
stiamo finalmente crescendo. Praticamente gli obiettivi del progetto Epiphany sono gli stessi del
progetto Phoenix, almeno a livello di intenti.
PI: È sul lato tecnico e implementativo che volete differenziarvi da Phoenix?
MPG: Phoenix è un progetto eccellente. Quello che ci differenzia è semplicemente l'integrazione con
Gnome. Sono convinto che integrare un'applicazione con il desktop di cui fa parte sia fondamentale
per l'utente. Se Phoenix utilizzasse le librerie di Gnome, non perderei tempo con Epiphany.
PI: Oggi come oggi integrazione con Gnome significa anche scarsa compatibilità con KDE o le cose
stanno cambiando?
MPG: Le cose stanno cambiando. La scelta di Red Hat è stata fondamentale. Proprio in questi giorni
vengono alla luce progetti che integreranno molto strettamente i due desktop: per esempio,
particolarmente rilevante per Epiphany, è lo sviluppo di un sistema di riconoscimento standard per i
tipi di file.
PI: Ti riferisci agli sforzi fatti da Freedesktop.org?
MPG: Esatto. Ci sono alcune resistenze ma... l'integrazione si muove velocemente adesso.
PI: Cosa ne pensi del linguaggio XUL adottato per sviluppare l'interfaccia di Mozilla?
MPG: Personalmente credo che XUL sia una tecnologia interessante ma, dal punto di vista
strategico, una scelta perdente. Mozilla ha investito moltissime risorse nel suo sviluppo, ma il
proliferare di browser nativi dimostra due cose: uno, che per gli utenti un look nativo è importante;
due, che scrivere interfacce native per Mozilla avrebbe richiesto meno sforzo e prodotto risultati
migliori. XUL avrebbe senso se ci fosse spazio per un altro desktop environment interamente basato
su di esso, ma questo spazio non c'è, su nessuna piattaforma. Credo che se Mozilla avesse
l'interfaccia di IE e la stessa integrazione nel sistema sarebbe molto più semplice convincere gli
utenti di Windows a sceglierlo come browser predefinito.
PI: A differenza di Phoenix, Epiphany è per il momento disponibile solo su piattaforma Linux. Sarà
così anche in futuro?
MPG: Il porting è in teoria possibile. Credo che Galeon, ad esempio, sia stato portato su Mac OS X.
Ma perdendo il look nativo e l'integrazione con Gnome (e in futuro KDE) si perde gran parte di
Epiphany: questo browser ha senso solo su piattaforma Linux.
PI: A che punto siete dello sviluppo? Avete già una roadmap verso la versione 1.0?
MPG: Non abbiamo una roadmap, da questo punto di vista siamo un po' indietro. Non abbiamo un
sito serio, buone release... Ma il browser funziona già piuttosto bene: è senz'altro usabile per il
lavoro di tutti i giorni, sempre se sei fortunato e riesci a compilarlo...
PI: Pensi che Gecko (il motore di rendering di Mozilla) abbia qualcosa da invidiare a KHTML (il
motore di rendering di Konqueror e ora alla base di Safari) ?
MPG: Non molto: un po' di velocità e un'API stabile. Ma credo che KHTML abbia molto da invidiare a
Gecko. È assolutamente necessario che un browser possa aprire tutti i siti. L'unica ragione per cui
molti utenti di KDE usano Galeon o Mozilla è proprio che questi, grazie a Gecko, offrono una
compatibilità maggiore rispetto a Konqueror con i siti web.
PI: Il tuo progetto si occuperà solo dell'interfaccia utente o pensi di apportare qualche modifica
anche al motore di Mozilla?
MPG: No, svilupperemo solamente l'interfaccia. L'aiuto che possiamo dare a Mozilla è nello sviluppo
di una buona API per l'embedding, con bug report e qualche patch. Non sembra molto, ma credo sia
importante. Probabilmente le difficoltà di embedding sono alla base della scelta di Apple.
PI: Galeon era stato progettato per la modularità ed è in grado di interfacciarsi con semplicità ad
applicazioni e componenti esterni attraverso le specifiche CORBA e Bonobo. Riprenderete questa
strada anche con Epiphany?
MPG: Senza dubbio, quello resta un punto molto valido di Galeon.
PI: Che ne pensi di Opera? Anche questo browser sembra aver scelto la strada della complessità,
ma è fra le più apprezzate alternative a IE.
MPG: Purtroppo non ho mai provato Opera direttamente. Ci sono due cose che non mi piacciono: la
licenza e l'interfaccia. Molto del bloat (ridondanza di funzioni, NdR) che ha invaso Galeon, e
suppongo anche Mozilla, è il risultato delle continue richieste degli utenti di Opera. Qualcosa da
salvare di questo browser? Uhm... La velocità del rendering credo: ha probabilmente stimolato gli
sviluppatori di Mozilla a fare meglio.
PI: Qual è il destino di Galeon ora che anche tu hai abbandonato il progetto?
MPG: Non saprei. Da una parte spero che il progetto possa continuare, dall'altra non posso che
osservare come stia andando nella direzione sbagliata. Credo ci sia una sola possibilità di salvezza
per Galeon: entrare nel core di Gnome. Questo porterebbe nuovo interesse nel progetto e
soprattutto lo costringerebbe a focalizzarsi maggiormente sull'usabilità, un fattore molto importante
in Gnome.
PI: Cosa intendi esattamente con “entrare nel core di Gnome”?
MPG: Significa entrare a far parte di quelle applicazioni che vengono distribuite insieme alle release
di Gnome. Queste vengono sottoposte ad un processo di valutazione per quel che riguarda la
semplicità di utilizzo e ricevono una maggiore attenzione da parte dei programmatori più noti.
PI: A tuo avviso cosa manca ancora a Linux per essere un buon sistema operativo desktop?
MPG: Personalmente non amo le applicazioni per l'ufficio, ma credo siano fondamentali per il
successo di un desktop, e francamente non vedo niente all'altezza dei prodotti Microsoft disponibile
su Linux.
PI: Pensi che l'integrazione fra file manager e browser web sia fondamentale in questo contesto?
MPG: Non sono un fan dell'integrazione tra file manager e browser. Penso che un design ad oggetti
del file manager sia molto più importante. Nella prospettiva di conquistare nuovi utenti, però,
potrebbe essere un fattore molto utile: soprattutto gli utenti di Windows sono ormai abituati a
questo genere di integrazione, e le abitudini sono difficili da cambiare. La questione è comunque
interessante: sarebbe importante capire perché questa integrazione è così sentita. Sarà solo una
questione di abitudine?
PI: In che modo sono destinati ad evolversi, secondo te, i browser web? Tu dici di non essere un
fan dell'integrazione tra file manager e browser, ma è anche vero che con il divenire sempre più
pervasivo di Internet il web sta assumendo connotati diversi, sta diventando una sorta di estensione
dello stesso sistema operativo. In futuro la stragrande maggioranza delle applicazioni girerà proprio
su di un browser. In che direzione si sta andando?
MPG: È innegabile che una parte sempre più consistente dell'interazione uomo-computer si stia
trasferendo nella modalità del web. Sono difficilmente prevedibili stravolgimenti fondamentali nelle
caratteristiche base dell'interfaccia dei web browser (indirizzo, pagina, tasti di avanti e indietro...),
né nelle modalità di creazione di pagine web. La sfida più importante sta nell'imparare a costruire
pagine web veramente usabili con le tecnologie già disponibili. Credo che più che diventare
un'estensione del sistema operativo, il web si stia sostituendo allo stesso. Mi pare più probabile che
sia il browser a rimpiazzare il file manager che viceversa.
Intervista a cura di Alessandro Del Rosso
OLPC, One Laptop Per Child, un computer portatile per bambino
di Antonio Dini 28-3-2008
Il primo ad aprire le danze è stato Nicholas Negroponte. Il "vecchio guru" del Media Lab del Mit di Boston (che
ha creato lui stesso) è furbo e intelligente. Ha capito che nel mondo, in quella enorme fetta di mondo che è in via
di sviluppo e che ancora non è stato esposto alle tecnologie digitali che invadono le nostre vite di ricchi abitanti
del "primo mondo", c'era spazio per fare qualcosa di nuovo. Anzi, c'era un bisogno fortissimo.
È stato per questo che nella prima metà di questo decennio si è messo a lavorare al progetto OLPC, One Laptop
Per Child, un computer portatile per bambino. Obiettivo: portare alle centinaia di milioni di bambini di quei paesi
una piccola rivoluzione. L'accesso alla rete e all'informatica per "Imparare ad imparare", dice lui. Ovvero,
rivoluzionare non solo l'aspetto tecnologico ma anche quello educativo e sociale.
Perché Negroponte, è sempre stata la sua forza, non è un tecnologo ma un architetto di laurea (sempre al Mit di
Boston) e soprattutto un eclettico. Che ha capito, forse come solo prima di lui pochi altri, che il potenziale
dell'informatica e poi delle reti non è affatto tecnologico ma sociale. E che quindi richiede un approccio più
ampio e creativo.
Il frutto del pensiero dietro alla fondazione OLPC, diretta da Negroponte, è l'XO versione 1, un piccolo computer
che sembra disegnato dalla Chicco e che si basa sul codice libero di Linux, però mediato da una interfaccia
"nuova" nella concezione. Da un punto di vista della progettazione è frutto del lavoro di due anni di una signora,
che attualmente è diventata imprenditrice, cioè Mary Lou Jepsen. Anche l'interfaccia Sugar, che sta sopra una
distribuzione super-ridotta di Linux Fedora è frutto del lavoro di vari programmatori, tra i quali Christopher
Blizzard e l'italiano Marco Pesenti Gritti (autore di Galeon, una versione sotto Linux di Mozilla). In entrambi i casi
l'approccio è stato radicale: l'XO è una macchina non convezionale e sicuramente sotto-potenziata rispetto alla
maggioranza degli altri computer portatili su architettura x86. Ma c'è un ma.
Infatti, l'XO è un apparecchio per i bambini, uno strumento pedagogico, ispirato dallo costruttivismo cognitivo di
Jean Piaget e portato avanti da Seymor Papert, 80 anni, educatore, oltre che matematico e informatico. Creatore
del Logo (basato sul Lisp di John McCarthy) proprio per insegnare ai più giovani a utilizzare i calcolatori, Papert
oltre che amico è anche collega al Mit e al Media Lab di Negroponte. L'XO ha una interfaccia che "rompe" con la
maggior parte delle metafore consolidate in ambienti a finestre e icone, il punto centrale sono le attività basate
sulle applicazioni e non, come accade nei sistemi attuali (Mac, Windows, Linux), centrate sui documenti. E poi il
cuore è la capacità di fare connessioni wireless Mesh, con anche un futuro server basato su processore G4 e
disco flash a bassa potenza (come quelli dell'XO), che si chiamerà XS.
L'obiettivo è mettere in rete quanti più bambini possibili, l'apparecchio deve essere personale e consentire ai
piccoli di sperimentare, deve portare un nuovo modo di capire e scoprire la tecnologia. Per questo, nonostante
l'interfaccia Sugar sia a dir poco "pallida", è in realtà la disponibilità del software - piccoli laboratori con cui
giocare a sperimentare, programmando in Logo e in Python - a fare secondo Negroponte la differenza.
Per realizzare il suo apparecchio, che quando venne presentato da Kofi Annan alla conferenza di Tunisi dell'Onu
del 2005 doveva costare 100 dollari e non gli attuali 180 (viene assemblato a basso costo da Quanta in Cina, ma
non basta), Negroponte si è fidato di un vecchio amico: Hector Ruiz, Ceo di Amd. Ruiz è un signore di mezza età,
un ingegnere nato in Messico e laureato in Texas: mente brillante e uomo che si è fatto da solo e che non ha
dimenticato cosa vuol dire saltare un confine per andare a cercare un futuro in un paese più ricco. Soprattutto,
Ruiz ha l'ambizione che anche Negroponte sente (e anche Bill Gates, con la sua fondazione), cioè vuole cambiare
il mondo. E vuole che sotto questo cambiamento ci sia anche la sua firma.
Leggendola da un altro punto di vista, infatti, la vicenda dell'OLPC e di XO è proprio questo, secondo alcuni
critici: un atto di estremo personalismo di vecchi signori ricchi degli Stati Uniti, con tutta la spocchia di chi ha
capito e vuole spiegare agli altri cos'è la tecnologia e come funziona il mondo. L'ambizione di Negroponte è
quella di produrre uno o due milioni di XO al mese, arrivando a conquistare il venti per cento del mercato dei
laptop, uno dei segmenti in più rapida crescita al mondo per quanto riguarda la tecnologia. E conquistare un
mercato chiave, quello "educational".
Si tratta di un mercato chiave - in cui l'XO sta cominciando ad entrare passando per il Perù, il Brasile, qualche
stato africano - perché la prima tecnologia alla quale si viene esposti è anche quella che poi verrà adottata più
avanti. Nel caso di XO, Negroponte vuole rompere le uova nel paniere soprattutto a Microsoft e ad Intel, che si è
sentita vittima esclusa delle scelte tecnologiche fatte da OLPC a favore di Amd: i mercati in via di sviluppo fanno
molta gola anche dal punto di vista economico di chi produrrà le decine di milioni di Cpu che nei prossimi anni
andranno ad alimentarli.
Il ragionamento è semplice: se i ragazzi si innamoreranno del sistema "open", per Microsoft non ci sarà futuro. O
perlomeno, sarà un futuro molto più ridotto di quanto non si pensi oggi, il momento in cui gli analisti
fantasticano di vendite con crescita in doppia o tripla cifra per il prossimo decennio.
Se prendiamo il problema da un altro punto di vista, infatti, si vede come l'adozione nel settore scolastico di
determinate piattaforme (una per tutte, il Mac), abbia poi condizionato nel decennio successivo (quando i
ragazzi escono da scuola) l'adozione di queste stesse tecnologie anche sul mercato convenzionale. Se lo usi a
scuola poi è più facile che lo vuoi comprare anche quando entri nella vita adulta.
Però, il piano di Negroponte va più a rilento per vari motivi. La penetrazione in questi mercati non è così facile,
soprattutto considerando che OLPC è una fondazione che non ha l'aggressività di un'azienda a fini di lucro.
Neanche il piano (un po' disperato) "Comprane uno, regalane uno" sta avendo il risultato aspettato. Gli ordini
sono intorno al mezzo milione di unità, fra terzo mondo, paesi africani, mediorientali e America latina compresi.
E la frase di Negroponte "È un progetto educativo, non il progetto di un computer portatile" vale solo fino a un
certo punto. Inoltre, c'è la concorrenza di altri attori che si sono risvegliati proprio grazie alla comparsa nel radar
del mercato di questo Ufo da 100 dollari o poco più. Infine, forse la radicalità delle scelte sia hardware che
software di Negroponte è andata un po' troppo in là. Lui cercava di non fare direttamente concorrenza a
Microsoft, ma di creare qualcosa di alternativo. E forse il palato dei paesi in via di sviluppo cerca invece qualcosa
di più simile a quello che si trova usualmente nel mercato dell'informatica.
Sia come sia, il piano di Negroponte non procede esattamente nella direzione che sembrava potesse seguire. E
forse non è destinato a cambiare il mondo. Però, ha di sicuro avuto un merito. È servito da catalizzatore per una
reazione che era già nell'ordine delle cose. Ha infatti mostrato che il Re è nudo.
Con il calo di prezzi delle componenti e la trasformazione del mercato da premium a commodity, l'ultima linea di
confine per spuntare prezzi più elevati (e margini più elevati) nel mercato dei Pc è stato il segmento dei portatili.
Quello in violenta crescita negli ultimi due anni, visto che con un portatile si riescono a fare praticamente tutte le
cose che si fanno con un desktop e in più si ripiega quando è finito e si mette via, magari portandolo con sé.
Siamo diventati una società più nomadica, anche grazie alle tecnologie digitali (perlomeno, lo sostiene Jacques
Attali tra gli altri) e quindi il portatile che sta nella nostra borsa è una manifestazione dello spirito dei tempi che
forse verrà sostituita solo da un nuovo tipo di apparecchi "post Pc". Questo però è un altro discorso, perché
quello di cui parleremo nella prossima puntata di questo nostro viaggio nel futuro del PC è la massa di computer
a basso costo che sono nati di conserva all'opera di Negroponte: dall'EEEPC di Asus ai mille computer "per i
poveri" (soprattutto cinesi) e al groviglio di strategie e interessi compositi e contrapposti che vi si celano dietro.
Perché, ed è proprio questo il risultato principale a cui è arrivato Negroponte, adesso il mercato (consumatori e
produttori) ha capito che si possono fare portatili da 300, 200, forse addirittura cento dollari. Altro che i più di
mille, talvolta duemila dei computer di super-lusso ai quali siamo abituati. Certo, i computer da 300 dollari non
sono veri desktop che si portano via. E spesso non sono neanche belli. Però, ha spiegato Negroponte, sono
possibili e il mercato li vuole. Altri ci stanno lavorando sopra.