Trappola di ghiaccio

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Trappola di ghiaccio
IL
RACCONTO GIALLO
Patricia Highsmith
Trappola di ghiaccio
GENERI
Peter ama Olivia. Olivia ama Stephen. Tre personaggi e una «trappola di
ghiaccio» per una vicenda ricca di suspense, di alta tensione.
1
L’incidente nel garage era la terza catastrofe mancata per un filo, in
casa Armory, e faceva nascere un sospetto orribile nella mente di Peter
Armory: Olivia, la sua adorata moglie, stava tentando di suicidarsi.
Peter aveva tirato una corda per il bucato, di plastica, che pendeva da
un’alta mensola del garage; l’intento era di fare ordine, di arrotolare
ben bene quella corda, e a quel primo strattone una valanga di valigie, una falciatrice fuori uso e una macchina per cucire che pesava
chissà quanto erano fragorosamente crollate nel punto dal quale lui
aveva fatto appena in tempo a balzar via.
Peter s’incamminò lentamente verso la casa, il cuore martellante per
l’orribile scoperta. Entrò in cucina e si avviò su per le scale. Olivia era
a letto, appoggiata ai cuscini. «Cos’era tutto quel rumore, caro?»
Peter si schiarì la gola e spiegò quello che era successo.
«Sei salita a cercare qualcosa su quello scaffale, ultimamente?»
«Io no. Perché?»
«Perché... tutto era sistemato in modo instabile, tesoro mio.»
«Stai dando la colpa a me?» domandò lei, con voce acuta.
«Be’, sì... o per lo meno alla tua sbadataggine. Avevo sistemato io
quelle valigie, lassù, e non le avrei certo messe in modo che potessero
cadere al primo tocco. E non l’ho messa io quella macchina per cucire in cima al mucchio. Ora, non voglio dire...»
«La mia sbadataggine» ripeté lei, offesa.
Lui si affrettò a inginocchiarsi accanto al letto. «Tesoro, non fingiamo
di non vedere quello che è vero. La settimana scorsa c’era il battitappeto sulla scala della cantina... Quello che voglio dire è che tu vuoi
che ti succeda qualcosa, che te ne renda conto o no. Devi stare più
attenta, Olivia. Su, non piangere. Sto solo cercando di aiutarti.»
«Lo so, Peter. Sei buono, tu. Ma la mia vita... ecco, mi sembra che
non sia più degna d’essere vissuta. Con questo non voglio dire che sto
cercando di porvi fine, ma...»
«Stai ancora pensando... a Stephen?» Peter odiava quel nome e odiava pronunciarlo.
Lei allontanò le mani dagli occhi arrossati. «Ti avevo promesso di
non pensarci e io non ci ho pensato. Te lo giuro, Peter.»
Olivia aveva conosciuto Stephen Castle a una festa. Stephen aveva
trentacinque anni, ossia dieci meno di Peter e uno più di Olivia, ed
era un attore. Per tutta la sera aveva concentrato l’attenzione su Olivia, e lei aveva reagito colmandolo di sorrisi. Nelle settimane succesRosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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1. dava notevoli punti: era di gran lunga
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superiore.
2. idillio: sentimento
sive, Olivia era andata a New York almeno ogni tre o quattro giorni,
per commissioni e spese, ma non aveva fatto mistero, con Peter, di
avere rivisto Stephen. Alla fine, aveva detto a Peter che era innamorata di Stephen e che voleva il divorzio.
Peter era rimasto senza parole, dapprima, disposto perfino ad accordarle il divorzio per dimostrarle d’essere uno che sapeva perdere.
Ma quarantott’ore dopo era rientrato in sé o almeno così riteneva. In
quell’intervallo si era confrontato con il suo rivale e fisicamente Peter
non ne usciva tanto bene, essendo un po’ più basso di Olivia, abbondantemente stempiato e con un principio di pancia. Ma moralmente
e finanziariamente dava notevoli punti1 a Stephen Castle, e con molta
modestia l’aveva fatto notare a Olivia.
«Si dà il caso, cara, che io, di denaro, sia ben provvisto. Quanto ne
avrà Stephen Castle? Ben poco, da quello che ho visto delle sue qualità di attore. Inoltre, lo conosci soltanto da sei settimane. Come puoi
essere sicura che il suo amore per te sia duraturo?»
Quell’ultima osservazione aveva indotto Olivia a riflettere e poi a
promettere a Peter che non avrebbe rivisto Stephen per tre mesi. Se
alla fine di quel periodo non avessero più provato gli stessi sentimenti
l’uno per l’altra, avrebbero messo una pietra sul loro idillio2.
amoroso.
3. rovinìo: rumore,
fracasso di cose che
cadono.
2
Erano trascorse sette settimane, e Olivia aveva mantenuto la parola
di non rivedere Stephen. Ma era così depressa, così pronta a scoppiare in lacrime, che Peter era costantemente tentato di cedere e dirle
che, se amava a tal punto Stephen, lo vedesse pure.
«Telefonagli se vuoi» disse alla fine Peter. «Prova a rivederlo.»
«No. Ti ho fatto una promessa, Peter: tre mesi. Sono decisa a mantenerla» rispose lei, con labbra tremanti.
Mancavano ormai soltanto due settimane al 15 marzo, giorno in cui
i tre mesi scadevano.
Una domenica pomeriggio Peter era nel suo studio, quando udì un
lungo urlo, seguito da un fragoroso rovinìo3. All’istante si alzò e si
mise a correre. Gli era sembrato che il fragore venisse dalla cantina e,
in tal caso, indovinava già che cosa doveva essere successo. Di nuovo
quel maledetto battitappeto!
«Olivia?»
Dal buio della cantina arrivava un gemito. Peter si precipitò giù per
i gradini.
Udì un lieve ronzìo di rotelline, sentì i piedi scivolare in avanti e
mancargli e, nei pochi secondi prima che la sua testa si fracassasse
battendo sul cemento, comprese ogni cosa: Olivia non era ruzzolata
per la scala della cantina, l’aveva soltanto attirato lì; per tutto quel
tempo non aveva fatto che tentare di uccidere lui, Peter... e tutto per
Stephen Castle.
«Ero sul letto, in camera, stavo leggendo» disse Olivia alla polizia.
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4. Trinidad: isola
dell’Oceano Atlantico,
nell’America meridionale.
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«Ho sentito un fragore spaventoso e poi... sono corsa giù...» Accennava disperata al cadavere di Peter.
La polizia prese nota della sua deposizione e la commiserò. Poi, la
salma venne portata via e, il martedì, Peter Armory fu sepolto. Olivia
telefonò a Stephen il mercoledì. Non aveva mai smesso di telefonargli ogni giorno, salvo il sabato e la domenica, ma era dal venerdì
precedente che non lo chiamava. Erano rimasti d’accordo che, se in
un giorno feriale lei non gli avesse telefonato a casa come sempre,
alle undici del mattino, quello sarebbe stato il segnale che la loro
missione stava per compiersi. Inoltre, Peter Armory aveva occupato
molto spazio, il lunedì, nella pagina degli annunci mortuari. Alla sua
vedova aveva lasciato quasi un milione di dollari, più case in Florida,
nel Connecticut e nel Maine.
«Carissima! Hai l’aria così stanca!» furono le prime parole di Stephen quando s’incontrarono, in un bar fuori mano di New York.
«Sciocchezze! È soltanto effetto del trucco» disse gaiamente Olivia.
Stephen si guardò attorno nervosamente, poi disse con il suo immancabile sorriso: «Olivia cara, quando potremo stare insieme?».
«Prestissimo» rispose lei. «Non a casa mia, naturalmente, ma ricordi
che abbiamo parlato di una crociera? A Trinidad4, che ne dici? Ho
portato il denaro con me. Pensa tu ad acquistare i biglietti.»
In aprile, di ritorno negli Stati Uniti abbronzata e rinvigorita, Olivia
confessò alle sue amiche d’avere conosciuto un tale che «le interessava». Le amiche le assicurarono che era normale, e che non doveva
rimanere sola per il resto della sua vita. In agosto erano già sposati.
Olivia era felice che a Stephen piacesse la casa, dato che anche a
lei piaceva. Nessuno dei due faceva mai riferimento alla scala della
cantina, ma avevano fatto mettere una lampada sul pianerottolo di
accesso, affinché una cosa del genere non potesse ripetersi mai più.
Inoltre, il battitappeto veniva tenuto sempre al suo posto, in cucina,
nello sgabuzzino delle scope.
Stephen aveva molti amici a New York, e lei li trovava divertenti.
Ma Stephen, a giudizio di Olivia, beveva un po’ troppo. Durante un
ricevimento, mentre erano tutti sulla terrazza, per poco Stephen non
precipitò dal parapetto. Due degli invitati dovettero afferrarlo, per
trattenerlo.
Dopo che gli ospiti se n’erano andati, Stephen volle che Olivia uscisse
di nuovo con lui sulla terrazza.
«Mi spiace di avere ecceduto, nel bere, stasera...» disse sorridendo.
Mise un braccio attorno alla vita di Olivia e l’attirò più vicina.
«Mi fai male, Stephen! Non così...» Poi Olivia mandò un urlo e si
divincolò. «Avevi intenzione di spingermi giù, vero?»
«No! Olivia!... Ho perso l’equilibrio, tutto qui. Ho proprio creduto
di precipitare nel vuoto, io per primo!»
«Ma che bella reazione, quella di aggrapparsi a una donna e tirar giù
anche lei nel vuoto.»
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«Non me ne sono reso conto. Sono un po’ brillo, cara. Devi scusarmi.»
Quella notte, si coricarono come sempre nello stesso letto, ma entrambi fingevano soltanto di dormire.
Il giorno seguente, di nascosto, ognuno dei due perlustrò la casa dalla
cantina al solaio: Olivia nell’intento di proteggersi da possibili trappole mortali, Stephen con quello di prepararle. Lui aveva già deciso
che la scala della cantina offriva la possibilità migliore, nonostante i
precedenti, proprio perché nessuno avrebbe mai osato servirsi dello
stesso mezzo... se avesse avuto intenzione di uccidere.
Olivia stava pensando la stessa cosa. La scala della cantina non era
mai stata tanto sgombra di ostacoli o così bene illuminata. Nessuno
dei due prendeva mai l’iniziativa di spegnere quella luce, la sera. In
apparenza, ciascuno professava amore e fiducia per l’altro, ma a tavola assaggiavano con precauzione il cibo, prima di cominciare a mangiare. Olivia capiva d’essere stata raggirata. Il fascino di Stephen era
completamente sfumato, ormai, e intanto esitava tra un piano omicida e l’altro, ben sapendo che «l’incidente» doveva essere ancora più
convincente di quello che l’aveva liberata di Peter.
Stephen si rendeva conto di trovarsi in una posizione meno delicata.
Tutti quelli che li conoscevano erano convinti che lui adorasse Olivia.
Un incidente sarebbe stato preso sicuramente per buono; tutti gli
avrebbero creduto sulla parola. Ora si stava trastullando con l’idea
del grosso frigorifero, giù in cantina. Non c’era la maniglia per aprire lo sportello dall’interno, e di tanto in tanto Olivia si addentrava
nell’angolo più lontano della cella per prendere dei cibi dal surgelatore. Ma si sarebbe ancora arrischiata a entrarci, ora che i suoi sospetti
si erano svegliati, se lui si fosse trovato in cantina? Ne dubitava.
5. fascine: fasci di legna di piccolo formato,
usati specialmente per
bruciare.
4
Una mattina, mentre Olivia stava facendo la prima colazione a letto,
Stephen prese a fare esperimenti con lo sportello della cella frigorifera. Se, nell’aprirsi, avesse urtato contro un oggetto solido, sarebbe
lentamente ma sicuramente tornato indietro, chiudendosi. Al momento non c’era alcun oggetto solido nei pressi dello sportello, che
al contrario andava spalancato energicamente, del tutto, in modo che
un apposito congegno, fissato all’esterno, si agganciasse a un altro
fissato nella parete, con il preciso scopo di mantenerlo aperto. Olivia,
lui l’aveva notato, lo spalancava ben bene, prima di entrare, e automaticamente lo sportello rimaneva fissato alla parete. Ma se lui avesse
messo qualcosa in mezzo, non fosse che un angolo della cassetta contenente le fascine5 per il caminetto, lo sportello avrebbe urtato contro
quella e sarebbe tornato su se stesso, chiudendosi, prima ancora che
Olivia avesse tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Tuttavia, quel particolare momento non sembrava il più adatto a mettere in posizione strategica la cassetta delle fascine, e così Stephen si
astenne dal preparare la trappola.
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Il pomeriggio, poco dopo il tè, Stephen si allontanò con indifferenza dal soggiorno, come chi non ha nessuno scopo preciso. In realtà,
aveva una gran voglia di fare nuovamente la prova con la cassetta
delle fascine, per vedere se era possibile fare affidamento su quella.
La luce in cima alla scala della cantina era accesa. Con precauzione,
Stephen scese i gradini. Poi trascinò la cassetta della legna fino a
metterla nella posizione voluta. Aprì la portiera della cella frigorifera,
spingendola verso la parete mentre metteva un piede dentro, con la
mano destra tesa a fermarla quando sarebbe tornata indietro, dopo
aver urtato lo spigolo della cassetta. Ma il piede che sosteneva il suo
peso slittò di parecchi centimetri in avanti proprio mentre la portiera
urtava contro lo spigolo.
Stephen cadde sul ginocchio destro, la gamba sinistra stesa davanti
a sé, e lo sportello si chiuse alle sue spalle. Lui si rimise in piedi
all’istante e si girò a guardare con gli occhi sbarrati.
Era buio, là dentro, ed egli brancolò per trovare l’interruttore, a sinistra dello sportello, che illuminava la parete in fondo alla cella.
Cos’era successo? Il maledetto velo di ghiaccio sul pavimento! Ma
non si era trattato soltanto del ghiaccio, ora lo capiva. La cosa su
cui era scivolato doveva essere quel pezzetto di grasso che vedeva in
mezzo al pavimento, in fondo alla strisciata d’unto lasciata, appunto,
dal suo scivolone.
Stephen fissò per un istante quel grasso con aria inebetita; poi si girò
di nuovo verso lo sportello, provò a tastare lungo la fessura a perfetta
tenuta. Poteva chiamare Olivia, naturalmente. Prima o poi lei avrebbe sentito, o almeno lo avrebbe cercato, prima che lui avesse il tempo
di congelare. Sorrise debolmente, tentando di convincere se stesso
che sì, lei gli avrebbe aperto.
«Olivia! Sono giù in cantina!»
Era passata una mezz’ora, quando Olivia chiamò Stephen. Lo cercò
in camera, in biblioteca, sulla terrazza, fuori sul prato.
Alla fine, provò a cercarlo in cantina.
«Stephen?... Stephen, dove sei?»
«Nel frigorifero!» urlò lui.
Olivia guardò il grosso frigorifero con un sorriso incredulo.
«Aprimi! Sto congelando!» supplicò la voce smorzata di Stephen.
Olivia gettò indietro la testa e rise. Poi, risalì la scala. Quello che la
divertiva era di avere pensato al congelatore come al mezzo ideale
per liberarsi di Stephen, ma di non avere ancora trovato il modo per
farcelo entrare. Il fatto che lui si trovasse là era dovuto senza dubbio a qualche strano incidente: chissà, forse Stephen aveva tentato
di predisporre una trappola per lei. Era tutto molto comico. O forse,
pensò, ancora sospettosa, l’intenzione di Stephen era di indurla con
un trucco ad aprire il frigorifero, poi di trascinarla nella cella e di
chiuderla dentro.
Olivia prese la sua auto e guidò per una trentina di chilometri verso
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6. sedativo: tranquil-
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lante, farmaco che agisce sul sistema nervoso
diminuendone la eccitabilità.
7. avrebbero ... asserzione: avrebbe-
ro confermato la sua
dichiarazione.
nord, mangiò un panino in un bar lungo la strada, poi andò al cinema. Quando ritornò a casa verso mezzanotte, scoprì che non aveva
il coraggio di scendere in cantina. Non era sicura che lui fosse già
morto, e se non le avesse risposto, questo poteva significare soltanto
che si fingeva morto o svenuto.
«Ma domani sarà morto di sicuro» pensò.
Andò a letto e, con un leggero sedativo6, si assicurò una notte di
sonno.
Il mattino dopo, Olivia si sentì pronta a interpretare la parte della
vedova inorridita e inebetita dal dolore. Ripeté a se stessa che, alla
fine, si era già esercitata in quella parte: l’avrebbe recitata per la seconda volta. Per essere del tutto naturale, scese in cantina per fare la
«scoperta», prima di telefonare alla polizia.
«Stephen? Stephen?» chiamò. Nessuna risposta.
Aprì il frigorifero con apprensione, trattenne il fiato alla vista della figura rannicchiata sul pavimento, immobile, poi mosse qualche passo
verso il cadavere, consapevole che le sue orme sul pavimento sarebbero state visibili e avrebbero corroborato la sua asserzione7 d’essersi
avvicinata a Stephen per tentare di rianimarlo.
BUM!... Lo sportello si chiuse, come se qualcuno, dall’esterno, gli
avesse dato un’energica spinta.
Stavolta Olivia trattenne il fiato davvero, e rimase a bocca aperta. Lei
aveva spalancato lo sportello. Il congegno avrebbe dovuto agganciarsi alla parete esterna.
«Ehi! C’è nessuno là fuori? Aprite, per favore! Presto!» gridò.
Ma sapeva che fuori non c’era nessuno. Si era trattato solo di un incidente. Forse, di un incidente organizzato da Stephen.
Lo guardò. Lui aveva gli occhi aperti, e sulle sue labbra bianche c’era
un sorrisetto trionfante e incredibilmente perfido. Olivia non lo guardò più. Si strinse addosso la vestaglia e riprese a urlare.
«Aiuto! Qualcuno!... Polizia!»
Continuò a gridare finché divenne rauca, finché cominciò a non sentire più tanto freddo, ma solo un senso di torpore.
(da Trappola di ghiaccio, trad. di H. Brinis, A. Mondadori, Milano, 1997. rid. e adatt.)
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