Milano, le mani sulla città dei boss della `ndrangheta

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Milano, le mani sulla città dei boss della `ndrangheta
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CULTURA
8 ottobre
2011
NOVITA’
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Dall’Aspromonte a Villa Certosa: un saggio bello ed intrigante
Milano, le mani sulla città dei
boss della ‘ndrangheta
CROMIAE
La domanda: “A non
essere punciùta sarà
rimasta la Madonnina
fra le guglie del
Duomo?”
All’ultima pagina un senso di
stordimento, di nausea, come
dopo aver bevuto un pessimo
caffè o una birra tiepida. E ti
chiedi: ma nella capitale economica e morale (?), a non
essere “punciùta” sarà rimasta la Madonnina fra le guglie
del Duomo? O la città medaglia d’oro della Resistenza è
la sintesi plastica del Belpaese oggi, anno domini 2011?
Ora sarà arduo per il sindaco della “ Milano da bere”,
yuppies orologio sul polsino,
nani e ballerine (Paolo Pillitteri) e la “Milano da mangiare” (Letizia Moratti) insistere
col refrain “la mafia non esiste”, tradendo così una continuità filologico-politica fra
due sistemi di potere, dando
ragione al mammasantissima
che cita Pitagora: “Noi abbiamo il passato, il presente e il
futuro”. “Le mani sulla città” (i boss della ‘ndrangheta
vivono tra noi e controllano
Milano), di Gianni Barbacetto e Davide Milosa (progetto grafico di David Pearson,
collana “Principio Attivo”),
Chiarelettere, Milano 2011,
pp. 484, € 16.60, è un pugno
sui denti alla cultura dell’indifferenza, del negazionismo,
ma relativizza anche la scuola di pensiero del “maanchismo” e dell’opportunismo,
quei chiaroscuri molto appe-
Particolare
del Duomo di
Milano
titi dalla tenace gramigna del
malaffare che così prospera
più rigogliosa che pria. “Cane
da tartufo” (citando Montanelli), con l’allievo Milosa,
Barbacetto è un maestro del
giornalismo analitico, puntiglioso, che scandaglia e decodifica il reale in una sfavillante osmosi fra “particulare”
e contesto. Frugano in un
puzzle barocco (informative
di Dia, Ros, Squadra Mobile, interrogatori, ordinanze,
carte processuali, ecc.) collegando il risiko con nomi e cognomi in una luce dialettica.
Dall’Aspromonte a viale Certosa, interagendo con le mafie nazionali e planetarie, delocalizzando nei Continenti e
ovunque annusi il business, il
potere pervasivo della ‘ndrangheta (la mafia che ha nel soft
una sottile forma di ferocia)
controlla dunque Milano sin
dalla “Duomo connection”
(1989, eroina & cemento, inchiesta di Ilda Boccassini).
Edilizia, ristorazione, discoteche, droga, immobiliari,
grande distribuzione, riciclaggio a gogò: non ci sono tabù
per le ‘ndrine dove c’è odor
di “fotocopie” (€). Tra contiguità e omertà, le “famiglie”
stringono patti per gestire il
narcotraffico, gli appalti pubblici (Sanità in pole-position),
senza disdegnare la finanza,
ma anche cartelli elettorali per infiltrare le istituzioni
col controllo di “pacchetti” di
voti. “Ci sono 13 politici lombardi che hanno ricevuto i voti
della ‘ndrangheta”, sintetizza
Nicola Gratteri, procuratore
aggiunto a Reggio Calabria.
500 gli affiliati all’ombra del
Duomo in contatto con la madreterra. Sullo sfondo i 20 mld
e rotti di Expo 2015, occasione
storica che non vogliono derubricare a business di mazza e
pisticchio. E la mitica società
civile? Alla Dante “guarda e
passa”. Lacerti sostanziosi di
imprenditoria geneticamente modificata da Mani Pulite,
borghesia rampante e pavida,
partite Iva che sghignazzano:
“Abbiamo fatto una città!”,
con i “giovani in fiore” nati “la
notte del 24 dicembre”, non ha
capito ma s’è adeguata per realpolitik sedendo a tavola con
i colletti bianchi delle ‘ndrine.
E tuttavia una reazione è stata
abbozzata con la “rivoluzione
di maggio”: il sottosuolo dostoevskiano ha eletto Pisapia
sindaco. Una cosa Barbacetto
e Milosa non la dicono: come
convive questa città “alla rucola” che coltiva il valore
dell’”umiltà” (carino come
atout estico-estetico) col potere omogeneo, parallelo di Cl a
Milano e in Lombardia? Outline per un altro saggio. Bello,
intrigante, appassionato come
questo.
Francesco Graco
RICERCA Non ci sarà la fine del mondo
Il 2012? Soltanto felicità
La profezia dei
Maya: fine del
mondo
Il 21 dicembre del 2012? La fine del mondo. Almeno secondo la profezia dei Maya. Ma le famose
scritture parlavano davvero di fine del mondo? A
cosa si riferiva il popolo precolombiano? Le risposte ha provato a darle Quetzasha, sciamano maya e
atzeco, guida spirituale, oltre che abile decifratore
di codici contenuti nelle antiche scritture di quei
popoli uetzasha spiega che “il calendario maya non
è una divinazione”, ma solamente “un’informazione che segna una trasformazione dell’umanità”. E,
forse, l’accezione totalmente negativa che è andata
assumendo la data incriminata non ha nulla a che
vedere con questa trasformazione. Lo sciamano fa
infatti notare che “la data del 21 dicembre segna la
fine di un ciclo vibratorio che l’umanità ha vissuto
e si genera un nuovo movimento. Non un momento
di distruzione, ma il mondo si avvierà verso un’evoluzione di tipo spirituale. Che non coincide con la
fine fisica dell’universo, ma con una coscienza nuo-
va di come vivere, in sintonia con la terra e con le
forze della natura“. Insomma, una trasformazione ,
e qui il senso della felicità. Non della distruzione. Il
21 dicembre 2012 è la data del calendario gregoriano nella quale secondo alcune aspettative e profezie
(vedi bibliografia) si dovrebbe verificare un evento,
di natura imprecisata e di proporzioni planetarie,
capace di produrre una significativa discontinuità
storica con il passato: una qualche radicale trasformazione dell’umanità in senso spirituale oppure
la fine del mondo. L’evento atteso viene collegato
temporalmente alla fine di uno dei cicli (b’ak’tun)
del calendario Maya. Nessuna di queste profezie ha
alcun fondamento scientifico e sono state più volte
smentite dalla comunità geofisica e astronomica.
Anche la maggioranza degli studiosi di storia Maya
confuta queste affermazioni. Sulla base di interpretazioni di impronta prevalentemente sono stati formulati due diversi scenari di questa data.