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chiarezza lettera ai meridionali NUOVA SERIE - N. 9 PERIODICO FONDATO DA LUIGI GULLO NEL 1955 Sì, è colpa nostra. Fino a quando Ma non tutto ROSSANA RUSCA PAOLO POSTERARO All’articolo di fondo dello scorso numero sono seguite numerose polemiche e lettere di protesta, tra cui quella che pubblichiamo. Desidero, quindi, fare una precisazione. Definendo i meridionali i soli responsabili della tragica situazione in cui si trova il nostro Sud, non intendevo affatto negare l’esistenza di una Questione meridionale che, anzi, sono convinto sia oggi più grave di ieri. Ciò che intendevo dire era ben altro e un po’ di storia mi aiuterà a spiegarmi in modo più chiaro. La Questione meridionale è sorta insieme allo Stato italiano, essendo stata originata, come è noto, dall’atteggiamento da conquistatori che i Piemontesi hanno avuto nel portare a compimento l’Unità del Paese, cui è seguita l’adozione di una serie di provvedimenti economici che hanno distrutto la già debolissima economia del Mezzogiorno. Ma, tuttavia, non si deve cadere nell’errore di ritenere che il Sud stesse meglio prima: il regime borbonico, oltre a caratterizzarsi per la spietata repressione degli oppositori e per l’assenza di ogni libertà, è stato, infatti, il primo responsabile dell’arretratezza delle nostre regioni. Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie era, già da tempo e forse irreparabilmente, il più povero degli Stati preunitari. Quindi, non capisco come ancora oggi, dopo circa 150 anni, ci possa essere qualcuno che rimpiange il sanguinario e spergiuro re Ferdinando. Con il fascismo, protettore degli interessi dei proprietari terrieri, classe sociale parassitaria e conservatrice, le cose non sono certo migliorate. Sorta l’Italia repubblicana, però, dopo un primissimo periodo in cui lo Stato ha speso ogni energia per ricostruire le fabbriche del Nord, sono intervenute grandi novità. Dai primi anni Cinquanta, infatti, l’attenzione verso il Meridione è stata costante ed ha portato ai grandi aiuti, finanziari e non solo, disposti per l’economia del Sud. È a questo punto che è intervenuta la responsabilità dei meridionali, che non hanno voluto o non hanno saputo cogliere le occasioni, fornite dalla politica degli interventi straordinari, per riprendersi e rilanciare la loro economia. Tutto è servito solo a produrre la nefasta cultura dell’assistenzialismo. La Questione meridionale è una problematica di grande complessità e necessiterebbe, per essere correttamente illustrata, di ben altri spazi, che Chiarezza non consente: tuttavia, mi auguro che questi brevi cenni possano essere stati utili a comprendere come oggi non si possano addossare ad altri responsabilità che sono solo nostre. * * * I meridionali, e in quest’ultimo periodo i Calabresi in particolar modo, vengono molto spesso accusati di essere i responsabili del dilagare della criminalità organizzata, cioè di essere partigiani della mafia, come ha recentemente sostenuto anche Nicola Zitara. Tuttavia, sono convinto che ciò non corrisponda a verità. In una società povera, dove intere famiglie combattono quotidianamente finanche con problemi alimentari, non credo ci si possa aspettare che, senza il concreto aiuto dello Stato, ci siano molti disposti a resistere alle lusinghe o alle minacce della criminalità organizzata. Il rispetto della legge e dei principi così detti irrinunciabili lo si potrà pretendere anche da chi dalla vita non ha avuto nulla solo quando le istituzioni garantiranno un’effettiva difesa contro le organizzazioni criminali. Oggi, purtroppo, non è così. Fare tutto il possibile, e di più, per allungare la vita di un malato. Fino a quando? La scienza e la conoscenza della terapia intensiva e della rianimazione che si avvalgono di tecnologie sempre più avanzate, la chemioterapia, la radioterapia, la chirurgia oncologica che hanno raggiunto traguardi insperati solo dieci anni fa, hanno dilatato di molto la speranza di vita. Ma proprio per questo ci si è trovati di fronte a problematiche ed interrogativi prima sconosciuti. Accanimento terapeutico. Sembra una contraddizione in termini: una terapia che si accanisce contro il malato. Eppure di questo, a volte, si tratta. È su questo che, a mio avviso, è necessario aprire ampi dibattiti. È necessario informare, spiegare, discutere il più possibile. Prima dell’eutanasia. Molto spesso, se si evitano accanimenti terapeutici, non si arriva alle situazioni drammatiche ove ci si deve porre il problema dell’eutanasia. È molto difficile dire: “no, non ce nulla da fare”, piuttosto che “proviamo” o “non si sa mai”. Eppure è quel “no” la terapia giusta. È difficile, drammatico, dolorosissimo dire ad un padre o ad una madre che nulla si può fare per quel loro figlio immobile attaccato a macchine e presidi, che magari poco prima scorazzava felice su una moto; oppure dire ad un figlio che il più grande gesto di amore è lasciare morire il padre o la madre, dire che il tumore ha invaso così tanto che nessuna terapia può guarirlo o migliorarlo. Sono sentenze. E toccano al medico. Non è facile, anzi è difficilissimo. E presuppone un’etica, una morale, un’integrità professionale ed una conoscenza notevolissima, tali da suscitare totale fiducia. Non è facile, a volte, scegliere la terapia “minima” di fronte ad un coma, quando si pensa, ad esempio, che durante gli ultimi venti anni 5 gradi di coma (sono 17 secondo la scala di Pittsburg) sono passati da irreversibili a reversibili, grazie alle conquiste della terapia intensiva. Non è facile, ma a volte è l’unica terapia. Su questi argomenti è perciò vitale aprire dibattiti sempre più ampi. Perché è solo spiegando, informando, solo facendo tornare in auge la compassione (la condivisione) fra malato e medico che si può fare accettare quel “no”. C’è un limite e su quel limite, sulle finalità terapeutiche, sulla terapia del dolore, sulle cure palliative, sull’umanizzazione dell’ospedale, sull’ospedale a casa, su tutto ciò bisogna discutere prioritativamente. Solo dopo si dovranno affrontare il testamento biologico e l’eutanasia. Solo quando ci saremo dati una risposta alla domanda “fino a quando?” Quando il giornale era già in composizione, abbiamo letto con rammarico alcune dichiarazioni di Nicola Adamo, vicepresidente della regione, il quale, per attaccare Giacomo Mancini jr., non ha trovato di meglio che ripescare gli insulti a suo tempo rivolti da Giorgio Pisanò nei confronti dell’illustre nonno del giovane parlamentare cosentino. Non vorremmo dare al modesto episodio una valenza eccessiva: ma è davvero triste che un esponente di spicco della sinistra calabrese pensi di ricorrere, per sostenere i suoi deboli argomenti, al volgare armamentario dialettico di un giornalista repubblichino dalla fama quanto meno assai dubbia. GENNAIO 2007 Breve storia della ’ndrangheta STEFANO DODARO – TERZA PUNTATA – Resta, quindi, incerta l’origine della ’ndrangheta. E’ certo, invece, il motivo per cui dagli anni ’60 inizia un’ascesa ed un rafforzamento di questa organizzazione, tale da portarla ad una forza economica e militare che non ha ormai uguali. Ovviamente si fanno in questa sede solo brevi cenni. Gli anni ’60 sono gli anni del boom economico. Il Governo decide di completare l’autostrada del Sole, realizzando l’A3 Salerno-Reggio Calabria. La costruzione di questa importante opera pubblica porta ad una enorme crescita economica dei gruppi mafiosi calabresi; crescita favorita, paradossalmente, dai gruppi imprenditoriali del Nord. Le imprese vincitrici degli appalti, infatti, forse impaurite dalle notizie provenienti dalla Calabria dell’esistenza di pericolose bande, prima ancora di aprire i cantieri, cercarono di prendere contatto con i boss del Sud, a cui proposero un vero e proprio patcum sceleris: pagamento della “mazzetta” in cambio di di protezione; successiva assunzione di ’ndranghetisti come guardiani; infine subappalto dei lavori di sbancamento e di trasporto del materiale inerte, nonché forniture di materiale di varia natura, a cominciare dal pietrisco e dalla sabbia. Avvenne in questo periodo il sorgere della c.d. mafia imprenditrice, secondo la felice espressione di Pino Arlacchi. Sempre negli anni ’60 la Calabria diventa il centro di smistamento delle sigarette di contrabbando. Le coste siciliane, tradizionali posti di sbarco, diventarono insicure per una accorta ed efficace azione di repressione da parte della Guardia di Finanza. Il traffico venne dirottato allora sulle coste calabresi, molto più “sicure” per la criminalità organizzata. Gli anni ’70 sono, invece, gli anni dei sequestri di persona. Solo pochi dati: dal 1969 al 1989 in Italia ci sono stati 620 casi di sequestro di persona a scopo di estorsione. Di questi ben 114 nella sola Calabria, ma il dato va moltiplicato; infatti negli anni ’80 si realizzò un altro fatto: i sequestri venivano effettuati da bande che poi cedevano alle ’ndrine operanti nell’Aspromonte la gestione del sequestro. O, peggio, alcune ’ndrine acquistavano le persone sequestrate e si occupavano di ottenere il riscatto. I soldi accumulati dalle ’ndrine vennero, quindi, investiti nel traffico internazionale di stupefacenti, per il quale, oggi, la ’ndrangheta è l’organizzazione di riferimento in tutt’Europa. Ma qui finisce la storia ed inizia la cronaca... Un lettore ci scrive Sul black out Caro Direttore, le scrivo per sottoporle una breve riflessione sull’articolo di fondo, pubblicato a sua firma, nel numero novembre-dicembre 2006. Il titolo “La colpa è solo nostra” inquadra in modo definitivo la responsabilità per la obiettiva difficoltà di lavorare ed investire nel Sud. Credo di concordare con lei e certo trovo davvero assai antiche le posizioni di storici o intellettuali che, ancora, vedono il Mezzogiorno come bersaglio di un governo centrale sordo e disinteressato al suo sviluppo. Ma credo altresì – e questa volta senza dubbi – che per completezza di verità, nel suo scritto, avrebbe dovuto far cenno alla “Questione Meridionale” che di certo non è un’invenzione speculativa ma una verità storica e che, lungi dal voler rappresentare un elemento giustificativo, è, comunque, un dato di fatto incontrovertibile che ha tristemente segnato l’assetto e la storia economico-sociale della nostra Terra. Credo, caro Direttore, che così avrebbe avuto più completezza il suo bell’articolo ed avrebbe anche reso un dovuto omaggio alle verità storiche ed alle tante battaglie combattute da Fausto Gullo. P.G.P. Sgomenti e molto impauriti per la morte della sedicenne Federica, come, crediamo, la maggior parte dei cittadini, abbiamo intervistato un primario anestesista-rianimatore. D: Professore, è possibile che si possa andare in coma grave e morire perchè si interrompe la corrente? R: No, se si interrompe la corrente l’anestesista scollega il respiratore automatico e ventila il paziente manualmente. Peraltro, ciò si fa nella prima fase dell’anestesia (induzione) e nell’ultima prima di procedere all’estubazione. È una manovra consueta e banale. D: Quindi? R: Quindi ci si domanda: è stata fatta questa manovra immediatamente, ossia entro il tempo utile per evitare l’anossia? O cos’altro è successo? chiarezza GENNAIO 2007 Brevi note tra beni culturali, arte e libri Un film che fa discutere Alessandra Giovannoni a Roma. MARCO GIOVANNINI La Penisola del tesoro Il mistero semplice della bellezza FRANCESCA BOTTARI Roma, Galleria Il Segno, 16 gennaio-13 marzo 2007 – Via Capo le Case, 4 – tel. 06.6791387 10.30-13.00 – 17.00-19.30 Chiuso lunedì mattina, sabato pomeriggio, domenica Catalogo Il Cigno GG edizioni Interrompiamo ancora il nostro racconto sugli sviluppi della coscienza di tutela del patrimonio culturale, dedicando qualche nota a una mostra romana. In realtà, la Capitale eredita l’esposizione da Palermo, che a essa riservava, lo scorso dicembre, l’illustre Loggiato di San Bartolomeo. I quadri di Alessandra Giovannoni, artista romana conosciuta e amata internazionalmente, dal 16 gennaio al 13 marzo sono appesi nelle sale della Galleria Il Segno, che da anni guarda con interesse al suo lavoro. Ci teniamo a segnalare la mostra della Giovannoni, giacché siamo convinti che si tratti di uno dei linguaggi più originali, autentici e interessanti che il panorama italiano oggi può offrire. Ma c’è di più, e un più non da poco. La pittura di Alessandra Giovannoni non è solo rigorosa e intensa, ma è anche – semplicemente – bella. Bella a guardarsi, bella a godersi negli spazi espositivi e museali che la espongono e tra gli ambienti che hanno la fortuna di ospitarla. Della bellezza è difficile parlare, ai nostri tempi. Ma davanti ai quadri della Giovannoni si deve. Alessandra spalanca scenari, apre mondi amati e conosciuti, ma che solo la misteriosa forza dell’arte sa svelare. La sua stesura è semplice e antica. La pittrice lavora su tavole o tele ampie a orizzontali, con tecniche miste, tra acquerelli, oli e acrilici. Nulla di sperimentale, di nuovo, ma le tracce di una tradizione senza tempo che dal Rinascimento di Masaccio e Piero, assorbe l’azzurro dei veneti e i chiarori abbaglianti di Tiepolo, fino a cogliere il nitore geometrico dei vedutisti. E poi procede su su verso il Novecento, assimilando le figure di Sironi, i bianchi e i grigi di Morandi, le morbide masse del Picasso classicista. Le dimensioni su cui opera sono spesso titaniche: i lavori raggiungono sovente tra i due e i tre metri di larghezza. È piccola, Alessandra, fragile e sottile come un giunco. Ma come una medium d’altri tempi, come una Sibilla dolce e sorridente, aggredisce le vaste campiture con il vigore di un eroe omerico, con l’energia di un atleta. I colori accesi, carichi di luce, diventano, sotto l’intervento delle sue mani sicure, orizzonti cittadini, piazze, parchi, fontane e spiagge. Ci aggiriamo tra le sale arredate dai suoi quadri e ci sentiamo a casa nostra, la dimora di quel “museo diffuso” tutto italiano, del patrimonio e della bellezza rintracciabili ovunque. Alessandra la rappresenta, quella bellezza diffusa, la mette in scena con semplicità e modestia. Ci si sente bene, passeggian- do tra le opere della Giovannoni, poiché sono luminose e cariche di colori, perché raccontano delle città e dei bei paesaggi italiani, del sole e dei luoghi della nostra Terra. E lo fanno senza intellettualismi, ma – invece - con l’intelletto stesso e con il cuore, oltre che con la sapienza antica degli artisti, depositari dei segreti della natura. Come nei quadri di Eduard Manet, l’ultimo grande classico dell’età contemporanea, il soggetto è solo un motivo del dipingere. E tutta la realtà ha diritto ad essere rappresentata, poiché la forza trasformativa dell’arte sa cosa fare di essa. La Giovannoni vive e lavora a Roma, e soprattutto della città è incantevole narratrice. Ecco, in mostra, il Pincio divenuto un deserto bianco e azzurro, con pochi passanti ridotti a ombre e sul fondo il profilo solenne dei tetti e delle cupole. E poi la grande serie di piazze del Quirinale, aperte fino a sottrarre loro le dimensioni reali e farle apparire smisurate, fino a spingere l’osservatore ai piedi dei Dioscuri, come un bambino che gioca a nascondino e, da dietro la fontana, controlla le mosse dei compagni di scorribande. Tre sagome di uomini seduti assumono, nel chiarore caldo e metafisico di una piazza del Quirinale inondata di sole, i contorni misteriosi dei Magi in viaggio. Una Resurrezione laica è sintetizzata nel candore del sarcofago antico e strigilato che, simbolo del collezionismo classicista del Seicento romano, accoglie i visitatori al Museo Borghese. Il paesaggio, i monumenti, le figure, il sole e la luce: un repertorio semplice, quello della Giovannoni, osservato da occhi saggi e generosi e restituito in una forma abbagliante e misteriosa che rapisce. chiarezza Direzione e Amministrazione: Associazione culturale Luigi Gullo COSENZA - Via Fratelli Cervi, 31 www.assoculturalegullo.it Per informazioni: tel. 06 36300769 E-mail: [email protected] Direttore responsabile: WALTER PELLEGRINI Direttore: PAOLO POSTERARO Spedizione in abb. post. - Gr. III - P.I. 70% Aut. Direzione provinciale Poste Cosenza Aut. del Tribunale di Cosenza n. 426 Via De Rada, 67/c - 87100 Cosenza Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672 Sito internet: www.pellegrinieditore.it E-mail: [email protected] L’uomo del mese Giambattista Della Porta RAFFAELE SIRRI Una leggenda metropolitana di Hollywood vuole che anni fa Mel Gibson, spaventato dall’idea di dover dirigere un film, si sia rivolto a un vecchio collega che aveva già effettuato con successo la transizione da attore a regista: Clint Eastwood. Ecco il consiglio: “semplicità. Taglia tutto quello che è ridondante e inutile”. È una storia vera. Il seguito dice che se il minimalista Clint ha vinto due Oscar (1992 per Gli spietati e 2005 per Million dollar baby) anche Gibson ne ha vinto uno (Braveheart 1996). Erano nati entrambi come attori d’azione seriali: Clint pistolero Senza Nome nel ciclo spaghetti di Sergio Leone e poi ispettore Callaghan senza limiti non a caso definito “dirty”; Mel avventuriero postcivilizzato nel ciclo australiano di Mad Max, e poliziotto svelto nella serie Arma letale. Maci e taciturni, facevano cantare muscoli e pistole più che voce e senimenti. Ma da allora Eastwood è diventato un regista fine, complesso, pieno di sfumature, smettendo addiritttura di essere considerato conservatore e reazionario. Ha appena firmato un doppio film commovente e antimilitarista (Flags of our fathers e Lettere da Iwo Jima), che viaggia in rotta di collisione con l’America guerrafondaia di Bush; tanto è vero che il secondo, un apologo alla Akira Kurosawa, è dalla parte dei Nemici, parlato in giapponese coi sottotitoli, e prima di ottenere la giusta nomination all’oscar, ne aveva strappata una ai Golden Globes bizzarramente incluso fra i migliori film dell’anno in lingua straniera. Fra questi c’era anche Apocalypto, (assente invece nelle nomination degli oscar) che è recitato in yucateco, la lingua perduta dei Maya. Non può non ricordare La passione di Cristo, recitata in aramaico e latino, che aveva commosso mezzo mondo e indignato l’altra metà: giudicato dai credenti un capolavoro e dagli atei un film dell’orrore. Stavolta Gibson ha affrontato uno dei grandi misteri della storia, la fine della civiltà Maya. E lo ha fatto con la sua generosa perizia cinematografica ma anche con la sua limitata sottigliezza. Aveva in mente un definitivo apologo filosofico: le civiltà prima di esplodere implodono. I Maya sono stati spazzati via da corruzione e sete di potere non dall’arrivo dell’uomo bianco, semplice coincidenza temporale; per cui attenzione America del guerrafondaio Bush (e due!) i Maya potreste essere voi. Invece ha firmato un buon film d’azione che lascia lo spettatore col cuore in gola per due ore e passa. Un videogame frenetico e adrenalico girato con la Genesis, una rivoluzionaria macchina da presa digitale che aumenta la velocità delle immagini. E quindi le polemiche sulla violenza sembrano stavolta francamente oziose: paragonato ai videogame dei nostri figli, in cui i morti ammazzati servono a far salire il punteggio, anche la più efferata decapitazione Maya viene ridotta a quello che è: un semplice pretesto narrativo, oltretutto corroborato dalla storia. Uscendo dal cinema, dopo aver visto un film di Gibson (che pure mi era piaciuto ma che avrei immediatamente dimenticato) pensavo che Eastwood è proprio un grande regista. Dopo un anno… Il prossimo mese di febbraio la nuova serie di Chiarezza compirà il suo primo anno di vita. L’Associazione culturale Luigi Gullo, nella sua qualità di editore, coglie l’occasione per ringraziare tutti i collaboratori, la Casa editrice Pellegrini, i tanti lettori e, in particolar modo, i generosi sostenitori: Giuseppe Carratelli, Ernesto D’Ippolito, Stefano Dodaro, Carlo e Marisa Fragomeni, Michele Perri, Giuseppe Policicchio, Maria Giovanna ed Emilia Ricci, Maria Concetta Tassone e Rocco Tripodi per il Movimento Meridionale Calabria. Giambattista della Porta, autore di una ventina di trattati scientifici e di numerose opere teatrali, nacque a Napoli nel 1535 (ed ivi morì nel 1615). Senonchè qualcuno ha voluto rivendicare a Vico Equense l’onore di aver dato i natali a questo straordinario personaggio, esibendo argomentazioni non molto convincenti. È vero però che la famiglia della Porta possedesse dei poderi a Vico Equense e che Giambattista si fosse costruita una bella e grande villa a Pagognano, che è una contrada di Vico. Salvatore di Giacomo in un passo di Napoli, figure e paesi (1909), descrive questa villa con molta simpatia, aggiungendo però il rammarico che ora fosse abitata da stallieri e zappaterra. Per sgombrare questo sconcio, i Vicani dei nostri giorni hanno pensato bene di farne una trattoria. E quanto a don Salvatore di Giacomo è probabile che avrebbe preferito che fosse rimasta a stallieri e zappaterra. Chi era Giambattista della Porta. Era un grande scienziato, onnisciente, che dedicò trattati a molte e varie discipline, dalla botanica alla medicina, dalla matematica all’astronomia, dall’ottica alla crittografia, dalla fisiognomica alla scienza delle fortificazioni ecc. La sua opera più famosa è la Magia naturalis, stampata e ristampata in uno sterminato numero di edizioni, tradotta in molte lingue, ovunque ricercata, presente in tutte le biblioteche del mondo e a vario titolo ancora oggi consultata. “Magia naturalis” vuol dire meraviglia o miracolo della natura. E difatti il titolo originario dell’opera era Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri: un titolo che però, nell’opinione popolare, non smentiva, anzi confermava la fama di mago che l’autore si era guadagnata. Scienziato e inventore: gli si attribuiscono varie invenzioni, tra cui la camera oscura e, con qualche dubbio, il cannocchiale. Per la sua molteplice attività di scienziato, il giovane Federico Cesi, nel 1610, lo chiamò a far parte dell’Accademia dei Lincei, allora fondata. Scienziato, inventore, commediografo. Non era raro, nella sua età che scienziati coltivassero le lettere (Galileo, p. es., era un finissimo letterato), e che uomini d’armi si dedicassero al culto della poesia. Ma il caso della Porta è in certo senso particolare per quantità, tenuto conto che oltre alla ventina di trattati scientifici, ci sono pervenute, sotto il suo nome, 3 tragedie e 14 commedie (ma i contemporanei gliene attribuivano 28), tutte edite più volte e spesso recitate (qualcuna anche ai nostri giorni), interessanti per un loro rinnovato plautismo, piegato intellettualmente alle esigenze dei tempi nuovi e di una lingua che ha modificato i suoi valori allusivi. Nei nostri tempi la presenza del della Porta, come scienziato e come commediografo si è molto illanguidita. A parte il fatto che in nessun settore della sua attività ha toccato vertici universalmente innovativi, da alcuni studiosi è stato considerato più uno spettatore della nuova scienza rinascimentale che un attore. I suoi trattati, si dice, sarebbero più legati alla rassegna e alla descrizione di tipo medievale, che non alla metodologia matematizzante del Rinascimento (diciamo di Leonardo e di Galileo). Come commediografo, poi, lo si è arbitrariamente immesso nella marea di drammaturghi asserviti alla maniera classicistica. Ma queste considerazioni negative sono state ultimamente contestate, se non proprio rovesciate. E comunque è in corso la pubblicazione in edizione critica di tutte le opere di della Porta, a cura di una Commissone nazionale formata da storici della scienza, linguisti, cinquecentisti. Recentemente, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, sono stati presentati i primi undici volumi pubblicati. Per Chiarezza non è richiesto alcun abbonamento. Chi lo desidera può effettuare un versamento sul c.c., intestato all’Associazione culturale Luigi Gullo, n. 872328 cab 16201 abi 05256 cin X, presso la Banca Popolare di Crotone Ag. n. 1 di Cosenza, via Falcone, 13/23.