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Scuola di Biomeccanica Funzionale Dinamica® LE PAROLE SONO PIETRE, MOBILI “La necessità di integrare il vocabolario della medicina osteopatica con il vocabolario della medicina allopatica” (da Dott.ssa Elda Tortone - Fisioterapista - Insegnante) E’ possibile che due paradigmi, apparentemente distanti l’uno dall’altro, comunichino e persino si integrino?; E’ possibile che le parole dell’osteopatia dialoghino con le parole della medicina allopatica verso una medicina sistemica e aperta, che consideri il paziente nella sua globalità bio-psicosociale e che abbia al centro del suo interesse la persona e non la malattia? L’euristica ci suggerisce un’ipotesi di lavoro centrata sull’adozione di un lessico di riferimento comune per cui quando si usa una parola, vuol dire che vi è accordo sul significato e sul senso della stessa. Le parole sono pietre e le “parole” dell’osteopatia e dei suoi fondamenti filosofico-scientifici possono e debbono incrociare le parole della medicina tradizionale, arricchirla, integrarla, e laddove necessario, correggerla. L’integrazione risulta pertanto possibile e necessaria se si adotta un lessico di riferimento comune. La “guerra fredda” tra i due paradigmi/vocabolari lontani, chiusi e muti, è finita e certe rigidità linguistico-culturali hanno fatto il loro tempo.Da una parte le parole dell’osteopatia che hanno sempre fuorviato, almeno in un primo approccio, chiunque si imbattesse in loro: venendo intese esclusivamente come vocabolario della manipolazione ossea, e per di più applicabili al mal di schiena soltanto. Pochi altri, tra coloro che non la praticano, sanno invece che l’osteopatia è una filosofia, un’arte manuale e una scienza medica che fonda i suoi principi olistici sulla fisica, chimica, biologia, fisiologia e biomeccanica del corpo umano, contribuendo a garantire i presupposti al benessere psico-fisico, a prescindere dalla disfunzione su cui agisce. Dall’altra, la prospettiva medica tradizionale col suo vocabolario greco e latino, esclusivo e desueto, con i suoi rigidi protocolli di intervento per ciascuna patologia fondati sulla diagnosi in cui il paziente viene “catalogato”. La sintassi della medicina allopatica, infatti, risponde a canoni di ricerca scientifica basata su riproducibilità, oggettività, standardizzazione, protocollabilità. Tutti termini storicamente “scomodi” alla medicina osteopatica, abituata ad un linguaggio tutto proprio e ad una metodologia che viene confermata di volta in volta da un agire immediato, “seguendo” l’intuito impredittibile delle mani attraverso l’ascolto dei tessuti. La medicina tradizionale si ritrova a trattare diagnosi di lombosciatalgia, di cervicalgia e così via, in una modalità il più delle volte protocollata, mentre la medicina osteopatica sembra ignorare tale diagnosi, basando il proprio trattamento ed il proprio vocabolario sulla valenza che quella lombasciatalgia e cervicalgia abbiano sul resto del corpo, dando 100 diagnosi osteopatiche diverse su 100 pazienti con la stessa diagnosi medica. Le parole della medicina osteopatica desiderano ignorare cosa sia un protocollo di intervento per ciascuna patologia, poiché ogni intervento della medicina osteopatica è basato sull’unicità psico-fisica del paziente nell’istante preciso della consultazione, piuttosto che sulla diagnosi in cui il paziente viene “catalogato”; alla luce di tali presupposti, il vocabolario dei sintomi acquisisce un’importanza secondaria, poiché viene inserito nel glossario della condizione globale dell’individuo in esame. Ciò implica un distacco delle parole dell’intervento terapeutico dall’area in cui si manifestano le parole del sintomo, per osservarne le interazioni e le possibili connessioni con tutte le altre strutture lessicali adiacenti o remote. L’obiettivo è tradurre in un linguaggio universale, costruito su un vocabolario e un comune lessico di riferimento (quello della ricerca e per quanto possibile dell’evidenza) le esperienze di efficacia; l’obiettivo è desiderare di capire, incontrandosi con l’idea di base di sforzarsi a parlare e ascoltarsi per la realizzazione di un vocabolario di una medicina sistemica e integrata del III millennio. Lo sforzo per le parole della medicina osteopatica è quello di evitare di nascondersi dietro l’abilità delle sue “mani” e imparare a tradurre l’”osteopatese” nel linguaggio proprio della medicina integrata, attraverso un lessico di riferimento costruito sulle parole di un lingua transdisciplinare che spesso richiede delle “prove” scientifiche, delle “evidenze” inconfutabili, per una scienza medica che funzioni e funzioni per davvero; lo sforzo per le parole della medicina allopatica è quello di non medicalizzare l’osteopatia, spezzettando tecniche, classificando malattie, trasformando le mani che ascoltano in analisi statistiche. Non è utopico immaginare parole che uniscano; non è utopico immaginare un lessico di riferimento comune, un futuro di un vocabolario di una medicina aperta, sistemica e integrata che consideri il paziente nella sua globalità bio-psico-sociale; in cui il trattamento farmacologico, chirurgico, fisioterapico possa venir integrato da un approccio manuale osteopatico, con un impatto anche economico sanitario da non sottovalutare: dosaggi farmacologici riducibili, minori effetti collaterali, tempi di ospedalizzazione e riabilitazione di minor durata con un risultato più soddisfacente. E’ uno sforzo che va sostenuto non per moralismo, ma per una medicina integrata e sistemica e – perché no – anche economicamente sostenibile Il cammino delle parole della scienza procede non per accumulazioni, secondo una crescita continua, ma attraverso rivoluzioni. Le rivoluzioni mutano la struttura lessicale, e dunque cambiano i sistemi di classificazione, la tassonomia. Le rivoluzioni, però, rappresentano soltanto momenti di eccezione rispetto al vocabolario della scienza normale , ossia un glossario pratico di ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalle parole del passato, alle quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costruire il fondamento del suo lessico di riferimento, la sua prassi ulteriore. Il vocabolario della scienza normale è caratterizzato da un consenso sulla validità di queste parole, le quali vengono ad assumere la veste di paradigmi lessicali , ossia di vocabolari che determinano quali siano i problemi, i metodi e le parole legittimi e diano, quindi, origine e tradizioni di lingua scientifica. I paradigmi linguistici non sono regole rigide, ma devono avere due caratteristiche: devono essere abbastanza nuovi da attrarre un gruppo stabile e sufficientemente ampio di seguaci, distogliendoli da forme di glossari scientifici che contrastino con essi e devono essere abbastanza aperti da consentire di risolvere altre possibili idiosincrasie. Il vocabolario della scienza normale, che si costituisce su questa base, più che mirare a produrre novità, cerca di risolvere rompicapo entro le procedure riconosciute. Esso è opera collettiva e cumulativa: estende la conoscenza delle parole che il paradigma indica come particolarmente rivelatrici, confrontando i fatti con la teoria. Tra i lessici di riferimento s' ingaggia una lotta e la scelta di uno di essi non è mai risolvibile soltanto facendo ricorso alle argomentazioni logiche e all'esperimento. Essa comporta, infatti, una decisione su quali problemi sia più importante risolvere e questo implica un riferimento a valori. La vittoria di un lessico dipenderà, allora, dalla sua forza persuasiva nell' ottenere il consenso della comunità scientifica. Pur non esistendo una possibilità completa di integrazione, la comunicazione fra lessici resta garantita da una condizione analoga al bilinguismo: medico allopatico e medico osteopata diventano bilingue, consapevoli che per alcune parole non si dà integrazione ottimale, che bisogna ricorrere a perifrasi, ad imperfette corrispondenze. Medici allopatici e medici osteopati sono narratori che devono dare inizio al loro racconto preparando la scena, cioè descrivendo le convinzioni e specificando il vocabolario dei medici del passato; come gli altri insegnanti di lingue, i medici devono affrontare problemi di integrazione, nella consapevolezza che nelle scienze, come in letteratura, le difficoltà di integrazione hanno la stessa causa, cioè l'incapacità del linguaggi di conservare le relazioni strutturali fra le parole. Cambiando lingua, mutano anche le relazioni fra le cose. Il cammino verso un lessico di riferimento comune non è, tuttavia, un cammino verso un vocabolario definitivo, un paradigma di sintassi/verità, ma – più semplicemente – un approssimarsi alla corrispondenza delle parole con la realtà. Sarà inevitabilmente un lessico, sì, comune e condiviso, ma mai definitivo, mai vero per sempre e mai reale per sempre. Possiamo, infatti, dire soltanto a partire da che cosa procediamo; la kantiana cosa in sé resta inconoscibile. Le parole sono pietre, ma mobili e un lessico di riferimento comune per una scienza non è dato per sempre come un paradigma ma, come un paradigma, soggiace alle complessità della realtà. Heisenberger, ad esempio, con la teorizzazione del principio di indeterminazione (∆X∆P≥h/2), ha effettuato un salto di paradigma, ha inferto il colpo finale a ciò che si credeva essere lo stabile e paradigmatico edificio della fisica galileiano-newtiana. E’ impossibile stabilire con precisione la posizione e la velocità di un elettrone, perché per stabilire la posizione l’elettrone dovrebbe essere illuminato da un fotone, ma l’energia che questo gli fornisce cambierebbe la sua velocità. Il paradigma della continuità, del rapporto causa-effetto, della reversibilità dei fenomeni, della precisione della misurazione e quindi del postulato dell’osservabilità, viene interamente smentito (almeno a livello microscopico). Se immergiamo un cubetto di ghiaccio in un contenitore d’acqua a temperatura ambiente, scopriamo che è l’acqua che scalda il ghiaccio perché il calore si trasmette spontaneamente da un corpo più caldo ad uno più freddo; poiché tutto tende al disordine (entropia) il ghiaccio è a livello atomico più ordinato dell’acqua e così i due a contatto a temperatura ambiente si portano a liquido che è più disordinato. La realtà è complessa, il linguaggio anche. Le parole della medicina allopatica non possono rimanere chiuse per sempre nel loro paradigma; e la complessità della realtà dischiusa dalle parole della medicina osteopatica ci impone di distinguere tra un linguaggio ‘statico’ tipico della scienza classica, e un linguaggio ‘dinamico’, più idoneo a rappresentare i limiti del misurare, del quantificare e dell’applicazione rigorosa della causalità. E’ un cambiamento così radicale che implica una diversa visione del mondo –weltaschauungcon tutta la valenza teoretica che questa comporta; il cambiamento del concetto di realtà implica necessariamente una ridefinizione anche del linguaggio. Creare un linguaggio perfetto, per sempre, esente da ambiguità e valido universalmente, è assolutamente anacronistico, per altro in un contesto di senso completamente modificato. Probabilmente la dialettica hegeliana è la più celebre formulazione sistematica di questa rappresentazione dinamica della realtà, di queste pietre mobili.