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IRRAWADDY MON AMOUR un film di Nicola Grignani, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli (ITA 2015, col., 58 minuti) Sostieni il crowdfunding su Indiegogo www.irrawaddymonamour.com PROIEZIONI AL 33TFF 25/11 ore 19.30 Cinema Lux 2 (ufficiale con registi) 26/11 ore 14.30 Cinema Lux 2 (replica) 28/11ore 12.00 Cinema Lux 1 (replica) Materiali stampa nell’AREA PRESS del sito http://cinecult.scrittoio.com Ufficio Stampa - Lo Scrittoio Via Crema, 32 - 20135 Milano tel. +39 02 78622290-91 Alessandra Olivi mob. +39 347 4305496 [email protected] Festival e Premi 2015 IDFA Amsterdam, in concorso Mid Length Documentaries 2015 33 Torino Film Festival, in concorso Italiana.Doc Sinossi In un piccolo villaggio sul fiume Irrrawaddy, nel cuore della Birmania rurale, un gruppo di persone si unisce per organizzare un evento inusuale e proibito dal governo militare: un rito di matrimonio tra due giovani omosessuali. Soe Ko vive di vendita ambulante, Saing Ko fa il muratore in una grande città. Un attivista politico e sciamano del villaggio, un maestro e un truccatore aiutano la coppia a celebrare il loro amore, con il supporto dei monaci buddisti e delle donne del villaggio. Irrawaddy mon amour è il racconto di una delle prime unioni gay in Birmania e della coraggiosa scelta dei suoi protagonisti di affermare il diritto di amare contro tutte le paure in un Paese dove la violazione dei diritti umani è frequente e dove, ad oggi, la libertà è stata una chimera. Note di regia Come in ogni lotta, la dimensione collettiva nasce dal bisogno personale di qualcuno. Abbiamo sentito vicina a noi la scelta di Myo Nyunt, Soe Ko e Saing Ko di affermare se stessi, i propri sogni e combattere per un futuro migliore in un contesto avverso. Ci è sembrato un grido di libertà in un paese governato da un’élite militare da oltre mezzo secolo. Abbiamo così con convinzione deciso di documentare uno dei primi tentativi di celebrare un matrimonio gay nella storia della Birmania, voluto fortemente dalla giovane e timorosa Soe Ko che chiede aiuto a Myo Nyunt, persona che non teme i cambiamenti ed è fermamente convinta delle sue azioni. Era nostra intenzione raccontare questa storia con uno stile poetico e a tratti sospeso, convinti che sia lo stile più appropriato per raccontare la delicatezza di questo amore. Ci avvaliamo della camera a mano per seguire i protagonisti nel susseguirsi degli eventi che portano alla realizzazione del matrimonio perché crediamo sia la modalità più indicata per cogliere la repressione che aleggia ed è insinuata nelle menti delle persone e che rimane però invisibile; una minaccia quasi impalpabile, ma non per questo meno angosciosa. Nicola Grignani, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli I REGISTI Nicola Grignani Filmmaker e mediattivista è tra i fondatori del collettivo Teleimmagini con il quale realizza vari reportage e documentari su tematiche sociali quali la migrazione in Italia e la solidarietà internazionale in Colombia nelle comunità “campesine” in resistenza. Si occupa della fotografia e delle riprese di documentari, oltre al lavoro di regista per titoli come Il paese sottile realizzato con Filippo Ticozzi (2007), Historias de Guatemala (2008), Un pagamu, la tassa della paura insieme a Claudio Metallo e Mico Meloni (2010), Striplife (2013), Irrawaddy mon amour (2015). Valeria Testagrossa Nata a Bergamo nel 1986, si laurea al DAMS di Bologna. Fotografa di reportage e appassionata di scrittura, lavora per Medici senza Frontiere nel Sud Est Asiatico e per altre ONG in giro per il mondo. Per un periodo collabora con The Guardian e ha scritto per il Manifesto e Nena news. Nel 2013 è co - regista di Striplife, documentario girato sulla Striscia di Gaza che ha partecipato a diversi festival internazionali e ha vinto il premio speciale della giuria al 31TFF. Andrea Zambelli Nato a Bergamo nel 1975, si laurea al DAMS di Bologna. E’ assistente alla regia di Davide Ferrario per Dopo mezzanotte (2003) e realizza le riprese in Repubblica Moldova per La strada di Levi (2006), sempre di Ferrario. Nel 2008 realizza Di madre in figlia, unico documentario italiano al Toronto International Film Festival. Ha girato documentari in Palestina, Libano e Colombia, alcuni dei quali nell'ambito di progetti di formazione di gruppi di informazione indipendente in territori di conflitto. Tra i suoi lavori: Farebbero tutti silenzio (2001), il videoclip dei Verdena Spaceman (2001), Deheishe refugees camp (2002), Mercancìa (2006), Milongueros (2011), L'uomo che corre (2012), Striplife (2013), Irrawaddy mon amour (2015), Rino, la mia ascia di guerra (2015), in concorso in Italiana.doc al 33TFF. LA PRODUZIONE ALKERMES Fondata nel 2014 da Enrico Pacciani, Alkermes sviluppa e produce progetti per cinema, tv, internet e transmedia, con un forte orientamento internazionale. Impegnata nel cinema di finzione e nel documentario di creazione, collabora con un gruppo selezionato di talenti in ascesa, con cui condivide l’ambizione di raccontare la complessità del mondo attraverso personaggi e storie fuori dal comune, capaci di emozionare e far riflettere. Note di produzione Ho conosciuto Nicola Grignani e Valeria Testagrossa ad Amsterdam a IDFA 2013. Pochi giorni dopo ci siamo rivisti al Torino Film Festival, dove il loro film Striplife ha vinto il premio speciale della Giuria nella sezione Italiana.Doc. Vedendo Striplife sono rimasto conquistato dal loro sguardo cinematografico, capace di raccontare la complessità con lucido rigore e grandissima forza poetica. Quando mi hanno proposto di sostenerli nella produzione del nuovo progetto in Birmania, ho accolto l’idea con entusiasmo. Ho conosciuto il terzo membro del trio, Andrea Zambelli, e mi sono tuffato con loro in questa storia di celebrazione dell’amore contro ogni paura di repressione. I protagonisti del film mi hanno colpito per il loro inconsapevole eroismo: la rivendicazione del diritto a celebrare il proprio amore è un atto che supera la dimensione individuale, coinvolgendo un’intera comunità e lasciando un segno che vogliamo condividere col pubblico del film. Due anni dopo il mio primo incontro con i registi, sono felice e orgoglioso che il nostro primo film insieme abbia la sua prima mondiale proprio a IDFA, il festival che ci ha fatto incontrare, e la sua prima italiana al TFF, il festival che ha fatto scoccare la scintilla di un’appassionata collaborazione. Enrico Pacciani, Produttore Nato nel 1975. Ha studiato all’Università di Firenze, NYU Tisch e Université de Paris III, sviluppando una prospettiva internazionale sul cinema. Negli anni successivi si è focalizzato sugli aspetti creativi e organizzativi della produzione cinematografica, lavorando su documentari e film di finzione di budget e dimensioni differenti. Nel 2014 ha fondato Alkermes, società di produzione impegnata a lavorare con talenti in ascesa. Nel 2015 ha frequentato Eurodoc, corso di formazione per professionisti del documentario, sostenuto dal programma Media dell'Unione Europea. Come produttore ha completato Irrawaddy Mon Amour (2015) e sta seguendo la realizzazione dei progetti My name is Virzì (2016, regia di Gabriele Acerbo e Stefano Petti) e Colpo Maestro: The Italian Soundtracks Revolution (2016, regia di Pierpaolo De Sanctis). IL MONTAGGIO Luca Gasparini Nato a Bergamo nel 1958, si è laureato in Storia e critica del cinema all’Università di Torino. Montatore cinematografico, ha collaborato tra gli altri con Giacomo Battiato, Guido Chiesa, David Christensen, Davide Ferrario, Daniele Gaglianone, Costanza Quatriglio, Daniele Vicari, Andrea Zambelli. Membro dell'Accademia del Cinema Italiano, è docente residente di Montaggio alla Scuola di Cinema Gian Maria Volonté di Roma e tiene periodicamente laboratori al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Dal 1985 ha realizzato alcuni film documentari come regista. LA MUSICA Giulio Ciccia Inizia la sua carriera di chitarrista e compositore a Bergamo, nel 1996, con il gruppo Shamano. La sua esperienza artistica si articola tra musica e cinema. Collabora come musicista con diverse formazioni bergamasche e padovane (A piedi scalzi, Teatro continuo) e nel 2000 con il Living Theatre per Mistery and small pieces. Nel 2001 approda al cinema e realizza la colonna sonora de Lo scippo di Massimo De Pascale, lungometraggio che partecipa al TFF nello stesso anno. Ha realizzato le colonne sonore di opere di Andrea Zambelli quali Identità (2002), Milongueros (2011) e Rino, la mia ascia di guerra (2015). Marco Offredi Giornalista e musicista, classe 1982, inizia la sua carriera di chitarrista a Bergamo, nel 1998, con il gruppo Hangover, poi Sovversione. Dopo diverse collaborazioni con band di vari generi musicali, nel 2002 entra nei Suonocaustica, formazione rock-pop alternativo, con i quali nel 2006 si esibisce sul palco di Arezzo Wave. Nello stesso anno collabora con Walter Buonanno, in arte Bonnot, suonando le chitarre elettriche nel disco Mi sa che stanotte degli Assalti Frontali. Nel 2008 è Miglior musicista del programma televisivo dedicato alle band locali della provincia bergamasca Emergenti. Dal 2015 collabora con Giulio Ciccia per la composizione di musiche per il cinema. SCHEDA TECNICA Produzione Alkermes in collaborazione con BOS - Buddhist Broadcasting Foundation e Mymovies.it Regia Nicola Grignani, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli Fotografia Valeria Testagrossa , Andrea Zambelli Montaggio Luca Gasparini Musica Giulio Ciccia, Marco Offredi Prodotto da Enrico Pacciani Formato DCP 2K (1:85) Protagonisti Myo Nyunt (sciamano/attivista), Soe Ko (ambulante/promessa sposa), Htet Htet (giovane amico/truccatore), Saing Ko (muratore/promesso sposo), Thet Htar Phyu (maestro/attivista LGBT) APPROFONDIMENTO Come siete entrati in contatto con il villaggio e la storia? Era il 2009 quando per la prima volta sono capitata a Kyauk Myaung. Mi trovavo in Birmania per seguire la mia passione per la fotografia di reportage: uscire dalle città e crearsi un percorso di viaggio indipendente sembrava impossibile in quel paese. Un giorno però decisi di improvvisare e assieme al mio compagno prendemmo di nascosto un camion che trasportava sacchi di riso; dopo chilometri di campagna birmana arrivammo a Kyauk Myaung, il villaggio sul fiume. Rimasi sorpresa di aver trovato un villaggio dove la transessualità e l'omosessualità sembravano essere totalmente accettate. Il più anziano della comunità LGBT del villaggio ci invitò a cena: all’arrivo trovammo lui in trance e tutto il villaggio attorno attento a non perdere nulla di quello che dicevano gli spiriti che lo avevano posseduto. Un medium, uno sciamano, un villaggio dove i gay non venivano discriminati, un fiume enorme e marrone che gonfiava il petto durante la stagione delle piogge e lentamente espirava durante il resto dell'anno. Per molti anni ho pensato a Kyauk Myuang e a Myo Nyunt, lo sciamano. Pensavo che avrei voluto far conoscere quel mondo ad altre persone. Cinque anni dopo partivo con Andrea e Nicola, senza sapere cosa avremmo trovato. Valeria Testagrossa Secondo la vostra esperienza nel villaggio che ruolo hanno le donne nella società birmana? Le donne che abbiamo conosciuto in Birmania e con cui siamo stati più a contatto sono quelle del villaggio di Kyauk Myaung, in particolare le sorelle di Myo Nyunt. La famiglia del nostro protagonista è allargata, le sorelle vivono assieme insieme ai loro mariti e ai figli. C’è una forte componente matriarcale nella società birmana: è infatti lo sposo ad andare a vivere dalla famiglia della sposa. Per la nostra esperienza principalmente in un villaggio contadino ci è sembrato che le donne fossero le vere lavoratrici nella famiglia e che non ci fosse disparità di diritti tra uomo e donna. Storicamente le donne della Birmania godono di uno status unico nel panorama delle società del Sudest asiatico: per secoli la componente femminile della popolazione ha goduto infatti di un alto grado di indipendenza e di diritti. L'attualità che ci è stata riportata fa però emergere un peggioramento della condizione femminile con donne che restano invisibili e discriminate, sempre più spesso relegate a casa per lavori più umili. A titolo esemplificativo, le giornaliste donne non possono scattare foto o girare video di una folla riprendendola dall'alto, perché in quanto donne non è loro concesso di stare "sopra" i maschi. La stessa San Suu Kyi ha potuto fare molto di quel che ha fatto perché figlia del venerato generale Aung. Perfino l'accesso ad alcuni siti religiosi è separato tra uomini e donne. Senza considerare che il mercato delle schiave del sesso è ancora florido: ragazze rapite e portate in Thailandia per essere sfruttate nel mercato della prostituzione. Come opera la comunità LGBT nel villaggio?Quali iniziative mette in campo?Esiste un coordinamento più nazionale? Kyauk Myaung è un piccolo villaggio prevalentemente fatto di capanne di bambù e legno. Nonostante i pochi scambi con l'esterno e i limitati contatti con l’ex capitale Yangon e la nuova capitale Naypyidaw, è però cresciuta una comunità LGBT molto numerosa e consapevole. Myo Nyunt, il nostro protagonista, ha 55 anni circa e si è dichiarato ufficialmente gay 30 anni fa in pieno governo militare. Lo stesso Thet Htar Phyu, un altro membro anziano della comunità che fa il maestro nella locale scuola elementare, non ha avuto paura a dichiararsi gay molti anni fa. Grazie al lavoro di sensibilizzazione portata avanti da persone come loro in questi ultimi anni molti giovani hanno fatto “coming out”. A Kyauk Myaung la comunità LGBT ha lottato principalmente per far in modo che gli omosessuali venissero accettati e rispettati. Myo Nyunt che è anche un leader politico del NLD (National League for Democracy, il partito di Aung San Suu Kyi) insieme ai membri più anziani della comunità LGBT ha portato avanti con tenacia i diritti gay come diritti umani basilari. Durante il periodo in cui siamo stati lì abbiamo avuto la fortuna di assistere al primo “meeting gay“ organizzato a Kyauk Myaung, evento che grazie alla simbolica distribuzione delle magliette con la scritta “Myanmar Gay Pride, Stop Discrimination” ha decretato la nascita ufficiale della comunità LGBT locale. Oltre alla rivendicazione dei propri diritti, grazie anche al contatto con altri gay di un villaggio vicino che lavorano con una ONG, si è messa in piedi una campagna di sensibilizzazione sul problema del AIDS e sulle malattie veneree. Queste tematiche li hanno avvicinati molto anche ad altre realtà LGBT del Paese, per ora però gli scambi e i confronti sono ancora molto limitati. La comunità LGBT viene vissuta come una famiglia in quanto molti sono stati cacciati dai propri villaggi o rinnegati dalle proprie famiglie. Ancora oggi infatti l'omosessualità in Birmania è illegale: la legge 377 (di origine coloniale del 1861) vieta ancor oggi le relazioni tra persone dello stesso sesso e prevede 10 anni di carcere. Solo nel 2012 Aung Myo Min, un famoso attivista gay, è riuscito a creare Equality Myanmar - la prima organizzazione per i diritti delle persone LGBT - e il Myammar LGBT Rights Network, rete che raggruppa piccole organizzazioni di tredici regioni del paese che si battono per i diritti dell’uomo. Nonostante questi primi traguardi, la comunità LGBT Birmana continua ad essere regolarmente vittima di abusi delle forze dell’ordine e sottomessa alle leggi antigay e deve scontrarsi con le credenze religiose e la mentalità conservatrice, dovuta a cinquant’anni di isolamento imposto dal regime militare. Molti birmani considerano i gay, le lesbiche e i trans come creature strane, che secondo la credenza di una corrente buddista verrebbero punite per crimini commessi nelle vite precedenti. Che tipo di relazione avete notato tra la spiritualità buddista e le cerimonie sciamaniche che si celebrano nel villaggio? La religione professata dalla quasi totalità dei Birmani è il Buddismo, ma in Birmania, insieme al Buddismo, convivono tutt'ora in maniera consistente alcuni culti primitivi animisti che si esprimono principalmente con il culto dei Nat. Gran parte dei Birmani sono Buddisti e, allo stesso tempo, temono i Nat (spiriti della natura che, nella credenza popolare, popolano montagne, fiumi e templi). A Kyauk Myaung la maggioranza delle persone crede in questi spiriti le cui immagini e statue sono ovunque, spesso accanto a quelle del Budda. Durante la nostra permanenza a Kyauk Myaung abbiamo assistito a vari rituali in cui si evocavano i Nat. Myo Nyunt è uno sciamano che molti anni fa si è “sposato” con un Nat, uno spirito donna e da quel momento può evocarli e consultarli. Il culto popolare dei Nat si estrinseca in offerte quotidiane di cibo, incenso e fiori deposte sia presso i piccoli altari domestici che molte famiglie mantengono nelle loro case, sia presso altari collocati all'interno di tempietti che sorgono nei dintorni delle pagode. Queste offerte hanno lo scopo di ingraziarsi il Nat specifico al fine di evitare che disgrazie e problemi ricadano sull'individuo.