30 ANNI DIVERSI PERCHÉ UNICI Mai come in questo

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30 ANNI DIVERSI PERCHÉ UNICI Mai come in questo
30 ANNI DIVERSI PERCHÉ UNICI
Mai come in questo trentennale il TGLFF ha proposto un panorama tanto rappresentativo della pluralità di
voci proprie del cinema LGBT.
È stata una scelta. In trent’anni il festival ha portato alla ribalta del grande schermo temi e sguardi nuovi, di
volta in volta privilegiando i più urgenti, originali o forti. Ma l’incertezza e i turbamenti adolescenziali, la
scoperta della sessualità, l’esperienza affettiva e fisica, il coming out, l’amore impossibile, il rapporto con
genitori, famiglia e amici, col mondo, l’erotismo consapevole, sfrenato, mercenario e, purtroppo, l’omofobia
sono questioni fondamentali e che tormentano le persone LGBT da sempre e che da sempre toccano in
modo profondo la sensibilità del pubblico e degli autori. Sono temi classici e non potevano mancare anche in
questa trentesima edizione. Il film spagnolo As escondidas affronta il tenerissimo amore inter etnico e
impossibile di due quattordicenni, e A Girl at My Door quello altrettanto inappagabile tra una poliziotta sud
coreana e una ragazzina che ospita per sottrarla gli abusi paterni. L’olandese Zomer indaga la scoperta della
sessualità di una liceale di campagna e del suo gruppo di amici, Beira-Mar le traversie sentimentali due
ventenni brasiliani, amici ma non solo, En la gama de los grises, le problematiche esistenziali di una insolita
coppia a Santiago del Cile. E infine Larry Clark, col suo The Smell of Us, ci suggerisce le costanti
antropologiche dell’adolescenza nel suo il coacervo di sfrontatezze, impulsi, debolezze, sconfinamenti,
attraverso il ritratto senza veli di ragazzi e ragazze della Parigi attuale.
L’incisivo corto The Decision, invece, mette in scena un altro tema classico, il coming out, ma in un ambiente
nuovo, quello dell’immigrazione araba, e il lungometraggio Vestito de novia ci propone il venire allo scoperto
più arduo, doloroso, quello di una donna che deve rivelare di essere stata un uomo, in una Cuba ripresa con
uno sguardo post ideologico.
Certo il mondo è cambiato, lo sono anche le persone LGBT, e la famiglia è l’istituzione che ha subito i
mutamenti più profondi coll’evolversi della società, mutamenti di cui il TGLFF è stato protagonista e
testimone in questi ultimi trent’anni. Inimmaginabile nelle prime edizioni del festival avere un film come il
francese L’arte de la fugue, dove il figlio gay dichiarato tiene le redini di legami familiari sgangherati e
problematici. E anche la pellicola thailandese How to Win at Checkers (Every Time), che racconta di un
giovane gay dimostrando l’indissolubilità dei legami familiari in una struggente storia di amore e solidarietà
fraterna, non avrebbe potuto esserci nel 1985.
Molti problemi, però, restano, come ci mostrano due cortometraggi su due bambini che amano vestirsi da
donna: uno, in Reflection, con una madre che sa scegliere, l’altro, in Moirè, con un nonno crudele e spietato.
Ma se il cinema a tematica LGBT era partito puntando l’occhio sul rapporto di un gay con genitori
eterosessuali, ora si è arrivati all’esatto contrario, come ci mostra il corto Wannabe, dove una altezzosa
donna deve fare i conti con un padre trans, o il piccolo film italiano Un Mostro Chiamato Ignoranza, dove la
discriminazione viene narrata dal figlio etero di due padri omosessuali. La famiglia è stata vivisezionata dal
cinema e continua a esserlo, come nella spietata pellicola svizzera Unter der Haut che inquadra il
matrimonio fasullo di un omosessuale ipocrita ma dal punto di vista della moglie. E il regista filippino Joselito
Altarejos ne fa quasi un saggio antropologico del rapporto di coppia, del matrimonio, dei legami familiari, con
la sua suggestiva pellicola Kasal. E anche il matrimonio gay, tutt’ora centrale nella lotta per i diritti civili, può
addirittura essere messo sotto la lente dell’ironia in quei paesi dove è possibile celebrarlo, per esempio in
Brasile, come fa il cortometraggio Aceito.
Col tempo sono venuti alla ribalta temi come il rapporto inter etnico, centrale in As escondidas, The
Decision, Dólares de arena, o in Dans les yeux,. Altri, come l’Aids, protagonista per molti anni del festival,
per fortuna hanno un minore impatto emotivo, di fronte a uno sterminio che non si è avverato. Anzi è semmai
la possibilità di vivere serenamente anche con l’HIV che domina nei film degli ultimi anni, come in Aya Arcos,
su una relazione cliente-marchetta, sensuale e sincera, e nel quale un test per la sieropositività diventa un
modo per confrontarsi fino in fondo.
Il sesso mercenario, un altro classico, è il soggetto, ma svolto con una maggiore consapevolezza dei ruoli e
delle psicologie rispetto al passato, anche del belga Je sui à toi, che ci mette di fronte un ribelle che si vende
anima e corpo a un panettiere, o di Philippino Story, che ci da uno sguardo disincanto e dal suo interno del
mondo della prostituzione maschile di Manila o, ancora, di Dólares de arena, che punta i riflettori su quella
più inedita nella sua versione omosessuale, ovvero al femminile.
D’altronde il corpo umano non è cambiato, e nemmeno i meccanismi del desiderio o dell’accoppiamento, ma
l’obbiettivo della cinepresa indugia anche su parti anatomiche prima tabù. Non ci si tira indietro di fronte alla
fisicità adolescenziale, sia nei già citati, Philippino Story, Aya Arcos, Je suis à toi, The Smell of Us, ma anche
nel brasiliano Praia do futuro o nell’australiano Drown. E tantomeno in Seed Money: The Chuck Holmes
Story, un documentario sulla casa di produzione porno Falcon, o in quello più ironico Solos, un piccolo essay
sul pacco dei pantaloni, o in un cortometraggio sulle docce dopo una partita di football, Boys.
Non sfuggono, però, le molteplici dimensioni dell’erotismo: il divertentissimo corto The Follower, nel quale
una vecchietta si improvvisa segugio di un nero dagli slip rigonfi, lo usa per farci sorridere, mentre Das
Zimmermädchen Lynn, su una giovane e attraente donna delle pulizie tedesca che ama passare le notti
sotto i letti dei clienti dell’albergo dove lavora, ne offre un ritratto originale e inedito.
Se gli esseri umani si amano da secoli allo stesso modo, altrettanto si odiano, purtroppo. Uno dei temi
classici di cui il festival farebbe volentieri a meno è l’omofobia, sempre in agguato, specie nei paesi meno
sviluppati o più integralisti, se non addirittura dominati da teocrazie. Il TGLFF ha tentato di spaziare tra i
quattro continenti in tutte le sue edizioni, per portare sullo schermo la discriminazione anche più feroce,
quella che comporta la pena di morte e quest’anno un cortometraggio americano, Aban + Khorshid ci
impedirà di dimenticare due giovani gay iraniani e il lungometraggio While You Weren’t Looking metterà in
luce le contraddizioni della società sudafricana indagando un gruppo di giovani gay e lesbiche della
borghesia nera.
Altri fenomeni sono improvvisamente venuti alla ribalta, come il bullismo, una forma sempre più frequente di
omofobia, che è affrontato con una profondità psicologica inedita nell’australiano Drown, che ha per
protagonisti giovani di provincia incapaci di controllare le peggiori pulsioni nascoste. Per non parlare della
condizione dei gay ormai vecchi e magari soli, per esempio. Così un gruppo di anziani è protagonista
assoluto di Before the Last Curtain Falls, che apre il sipario su un acclamato spettacolo teatrale sul corpo, la
sensualità e la passione anche in tarda età.
Crescendo in consapevolezza, il cinema LGBT ha avuto sempre più curiosità e coraggio, puntando
l’obbiettivo anche su ambienti tabù, come lo sport, e come fa il documentario Fulboy, prodotto da Marco
Berger, indagando il sensuale mondo del calcio professionistico argentino. O più scabrosi, insoliti, come il
feticismo come nel già citato Das Zimmermädchen Lynn. O ha potuto poi col tempo guardare anche alla
propria storia e ai suoi autori migliori, e Amos Guttman è uno tra questi, come ci dimostrano le sue pellicole
per la prima volta in rassegna.
Ma in tre lustri, a cavallo tra due secoli, la tecnologia ha fatto passi da gigante: dalla pellicola si è passati al
ben più economico digitale, implementando così le produzioni, se pur a basso costo, di film e documentari a
tematica anche in paesi dove l’industria cinematografica non li sostiene. Tra questi l’Italia, dove, specie
recentemente, si sono fatti strada giovani filmmaker che non temono il pregiudizio, come dimostra un’ampia
sezione di cortometraggi, tra i quali quelli di Max Croci, uno dei registi più attivi, e di documentari, come
Torri, Checche e Tortellini, su un monumento simbolo del movimento e dei diritti gay, la storica torre del
Cassero di Bologna.
È per miopia però che la major cinematografiche del nostro paese non investono in pellicole a tematica
LGBT, che invece superano sempre più spesso la barriera dei festival e del pubblico direttamente
interessato, per riempire le sale. Lo hanno capito anche le star di Hollywood. Da Tom Hanks a Sean Penn,
che hanno vinto un Oscar interpretano un personaggio omosessuale, in Philadephia il primo e in Milk il
secondo. E per il trentennale, il festival di stelle del cinema che interpretano personaggi o storie LGBT ne
ospita parecchie. Tab Hunter, innanzitutto, che nel documentario autobiografico Tab Hunter Confidential ci
svela i retroscena della Hollywood Babilonia degli anni ’50 e ’60, quando lui era un irresistibile yankee
biondo con gli occhi azzurri e intrecciava un’appassionata relazione con Anthony Perkins.
Oppure Geraldine Chaplin, splendida protagonista di Dólares de arena, o Gena Rowlands, che si cimenta
col ballo nel delicato racconto del rapporto di una anziana eccentrica e di un insegnante di danza gay, in Six
Dance Lessons in Six Weeks, film con il quale si chiude il festival. C’è anche Burt Young, indaffarato con
una statuetta di Tom of Finland, nel cortometraggio Tom in America. E soprattutto sullo schermo ci sono
Ryan Phillippe, Salma Hayek, Neve Campbell, Mike Myers, Lauren Hutton, Michael York e Sela Ward, le
star di 54: The Director’s Cut di Mark Christopher, come non sono mai state viste, in una versione restaurata
e integrale, di una delle pellicole che ha maggiormente influenzato l’immaginario collettivo LGBT negli ultimi
trent’anni. Buona visione.
Alessandro Golinelli
Selezionatore TGLFF