aspetti psicodinamici della pedofilia

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aspetti psicodinamici della pedofilia
ASPETTI PSICODINAMICI DELLA
PEDOFILIA
Per provare a comprendere il perché, di un male sottile, che fa
male a chi ancora sta imparando cos’è veramente il male
INDICE
INTRODUZIONE E CENNI STORICI
(I) ELEMENTI DIAGNOSTICI
(II) LA SESSUALITA’ INFANTILE
(III) UNO SGUARDO SUL FENOMENO
(IV) IPOTESI INTERPRETATIVE
(V) APPENDICE – SÀNDOR FERENCZI (OPERE 1927/1933)
Cercare di far luce su di un fenomeno che con forza dilagante sembra essere divenuto
incontrovertibilmente endemico, cioè diffusissimo, cristallizzandosi in trame vieppiù
sottili ed intimamente connesse con il tessuto sociale e culturale di questa epoca, e
provare a farlo ponendosi dalla parte di costrutti teorici che dall’alto della loro
organizzazione concettuale riescano a circoscrivere, categorizzandone i contenuti
rappresentazionali ed i significati ad essi correlati, quegli elementi che si costruiscono
nel loro insieme in qualità di agito e che marginano inesorabilmente una esperienza
umana laddove gioca un ruolo prepotentemente seducente la sessualità, “violandola”
persino nella sua dignità, non è compito facile.
Non lo è perché in sostanza richiederebbe quasi di mettere da parte, anche se solo per
un momento, la possibilità di empatizzare con quella che è a tutti gli effetti una
profonda sofferenza, un disagio che lacera dal didentro e soffoca il soggetto in un grido
di disperazione che finisce per tingersi di vergogna, di stigma, di segregazione.
E quello che nasce e cresce come un malessere diviene, lentamente ed inesorabilmente,
l’anticamera dell’oblio.
E’ per questo che ritengo giusto affrontare con gli strumenti della critica quella che si
è con forza imposta come realtà inoppugnabile, provando ad osservarla non già da un
singolo, specifico punto di osservazione, bensì scoprendola fenomenologicamente in
una modalità il più possibile ateoretica affinchè sia campo di indagine la realtà stessa
che scaturisce dall’incontro delle due singole, individuali realtà, quella dell’abusante e
quella dell’abusato, in quanto le ripercussioni divengono vieppiù reciproche e
reciprocamente distruttive.
Ripercorrendo il filo storico alla ricerca di quel continuum che possa in qualche misura
offrire un parametro di lettura omogeneo ed obiettivabile, notiamo ad esempio che se
si fa un salto indietro nella Roma e nella Grecia antiche, si comprende come talune
disposizioni sul sesso non rivestano un carattere universale e come culture differenti,
seppur geograficamente limitrofe, possano ammettere comportamenti dissimili.
Nella città stato di Sparta, contraddistinta da pratiche sessuali libere, le donne
congiunte in matrimonio non avevano il vincolo della fedeltà e se la coppia non era in
grado di avere figli, esse potevano ottenere dal marito, di frequente più anziano di
parecchi anni, il beneplacito per intrattenere rapporti con un altro uomo. La gelosia,
così come era intesa ad Atene e altrove, era un fattore secondario a Sparta, dove si
voleva soprattutto che i figli nascessero da genitori sani e dotati. La libertà di costumi
delle spartane era però dettata dalla esigenza che non si scendesse al di sotto di un certo
standard demografico, per non alterare il rapporto numerico con altre popolazioni o
città nemiche.
Atene, al contrario, si distingueva per le norme sulla pederastia. Gli ateniesi ritenevano
che l’amore, anche fisico, che poteva vedere legato un adulto ad un giovinetto, fosse
un requisito favorevole alla diffusione del sapere e delle leggi della città. Ciò che
interessava del ragazzo non era la sessualità in sé quanto la sua plasmabilità, lo sviluppo
della sua personalità. E così la pederastia non era soltanto ammessa ma addirittura
considerata un corollario plausibile della relazione docente-discente. Gli ateniesi
pensavano che l’amore provato da un adulto saggio per un giovinetto consentisse di
trasmettere in maniera ottimale la saggezza acquisita con l’età (una saggezza che,
secondo l’opinione maschilista di allora, le donne non potevano trasmettere perché
dedite unicamente alla conduzione della casa e della riproduzione). Ma c’è da dire però
che gli ateniesi di allora rivolgevano le loro attenzioni soltanto a ragazzi puberi e
consenzienti, mentre il sesso con i fanciulli, ossia con soggetti prepuberi, quindi la
pedofilia come noi la intendiamo oggi, veniva punito con condanne rigide fino alla
pena capitale.
Nella letteratura greca emerge spesso il tema dei vantaggi dell’amore per i giovinetti
rispetto all’amore eterosessuale; al contrario le testimonianze sull’omosessualità
femminile non sono consistenti perché questa non era accreditata quale strumento di
formazione del cittadino. Nei Tiasi comunque, i collegi cioè in cui le fanciulle
ricevevano un’educazione prima del matrimonio, i rapporti sessuali tra le ragazze erano
approvati. Famoso fu il Tiaso diretto da Lesbo, che nelle sue liriche descrive il suo
amore per le fanciulle che educava. L’insegnamento che Saffo dava alle giovani che le
venivano affidate assomigliava molto alla forma di iniziazione dei pedagoghi maschi
nei confronti dei giovinetti.
Nell’antica Roma omosessualità e pederastia erano diffuse, senza però quella
giustificazione pedagogica e filosofica tipica dei greci. La pedofilia, invece, era
ufficialmente deplorata, come in Grecia, sebbene la prostituzione maschile e femminile
fosse largamente diffusa e le prostitute fossero generalmente schiave e giovanissime.
Nel corso del Medioevo e nei secoli a seguire vi fu sempre una notevole promiscuità
tra adulti e bambini, anche per la condivisione degli spazi sia di giorno che di notte.
Quasi nessuno dormiva da solo e tanto meno i bambini che rimanevano spesso nel letto
o nella stanza dei genitori, o in quella di altri parenti e servitori, anche quando erano
ormai grandicelli. Ne consegue che essi potevano non soltanto assistere o intuire le
effusioni sessuali degli adulti, ma anche essere facilmente oggetto di attenzione e
molestie da parte di qualche membro della famiglia (famiglie allargate di cui facevano
parte anche zii e cugini, servitori e nonni) o di qualcuno che fosse ospite della casa per
periodi più o meno lunghi.
Tale consuetudine rimase fino all’ inizio del Seicento e oltre, non soltanto nel popolo,
ma anche tra i membri della nobiltà.
Verosimilmente il matrimonio di un ragazzo di quattordici anni non era la regola, ma
il matrimonio di una ragazza di tredici era invece abituale. Un certo disagio però
doveva esistere se nella seconda metà del Seicento si incominciò a guardare con
riprovazione a questo tipo di tradizioni e, proprio alla corte di Francia, dove tali
comportamenti erano divenuti una legittima pratica, ebbe origine una letteratura
pedagogica ad uso dei genitori e degli educatori, che aveva lo scopo di tutelare
l’innocenza infantile. Si raccomandava di non far dormire più bambini nello stesso
letto, di evitare di coccolarli, di sorvegliare le loro letture, di non lasciarli soli con i
domestici. Si incominciava a paventare che certi scherzi, certe licenze e certi linguaggi,
potessero travalicare i confini del gioco e lasciare delle tracce negative nella psiche
ancora in formazione.
Si stava gradualmente diramando un nuovo atteggiamento nei confronti della sessualità
dei bambini e degli adolescenti, che raggiunse il culmine due secoli più tardi.
Nell’Inghilterra vittoriana e puritana il timore del sesso portò ad adottare misure molto
restrittive. Per evitare che i ragazzi si masturbassero vennero addirittura realizzate delle
gabbie che venivano applicate di notte sugli organi genitali, per poi essere chiuse
ermeticamente e riaperte soltanto al mattino. Il massimo ritrovato della tecnica fu però
un apparecchio che in corso di erezioni spontanee faceva suonare un campanello per
richiamare l’attenzione dei preoccupati genitori. Inutile dire che oggi queste trappole
del sesso verrebbero considerate una forma di maltrattamento, così come oggi
consideriamo negativamente lo sfruttamento che ancora nel Seicento e nel Settecento
in varie parti d’Europa veniva fatto di molti trovatelli, allevati come schiavi da chi li
trovava e sfruttati sia per i lavori manuali che a scopo sessuale.
Come abbiamo visto, pur non dilungandoci in una disamina approfondita e dettagliata,
in tema di sessualità si è lasciato molto, troppo spazio, nel percorso storico, alla cultura
sociale, relegando l’eticità ma soprattutto il valore intrinseco sul piano della maturità
dell’essere umano che la sfera della sessualità comporta, ad un piano assolutamente
marginale.
E’ facile allora comprendere sin da ora perché, in un panorama culturale che oggi
sembra quasi frammentarsi, quasi stesse implodendo, sulla spinta di un soggettivismo
a tratti incontrollabile, tale comportamento stia assumendo proporzioni così marcate e
sfumature altrettanto crescenti.
I
Il DSM IV classifica tale disturbo all’interno del capitolo delle parafilie, laddove per
parafilia viene ad intendersi la fantasia o il susseguirsi di impulsi e comportamenti
sessuali di tipo insolito che sono ricorrenti e producono eccitazione sessuale.
Tali impulsi e comportamenti devono verificarsi per almeno sei mesi e devono causare
un significativo disagio o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di
altre aree importanti.
Le fantasie sessuali specifiche e l’intenso bisogno di attività e pratiche sessuali sono
solitamente ripetitivi e angoscianti per chi le prova.
Una fantasia particolare, con le sue componenti consce ed inconsce, è l’elemento
patognomico, mentre l’eccitamento sessuale e l’orgasmo costituiscono fenomeni
associati.
L’influenza della fantasia e delle sue manifestazioni comportamentali si estende oltre
alla sfera sessuale per pervadere la vita della persona.
Per parlare di pedofilia occorre rilevare la comparsa, in un periodo di almeno sei mesi,
di intensi impulsi sessuali ricorrenti verso bambini o eccitamento evocato da bambini
di 13 anni o meno. La persona affetta da pedofilia ha almeno 16 anni ed è di almeno
cinque anni più grande della vittima.
Quando il pedofilo è un ragazzo nella tarda adolescenza coinvolto in una relazione
sessuale continua con un dodicenne o un tredicenne, non sono soddisfatti i criteri
diagnostici.
La grande maggioranza di molestie ai bambini coinvolge carezze o sesso orale. La
penetrazione vaginale o anale del bambino è una evenienza infrequente, tranne che nei
casi di incesto.
Coloro che compiono questi atti riferiscono che, quando toccano un bambino, nella
maggior parte dei casi (60%) agiscono su vittime di sesso maschile.
Questo dato è in netto contrasto rispetto a quello relativo alle pratiche contro bambini
senza contatto diretto, come lo spiare dalla finestra e l’esibizionismo, che nel 99% dei
casi vengono compiute contro bambine
Il 95% dei pedofili è eterosessuale e il 50% ha consumato una quantità eccessiva di
alcool al momento dell’incidente. Oltre alla pedofilia, un significativo numero di
pedofili è contemporaneamente o è stato in precedenza coinvolto in episodi di
esibizionismo, voyeurismo o violenza carnale.
L’incesto è correlato alla pedofilia per la frequente scelta di un bambino immaturo
come oggetto sessuale, per il subdolo o aperto elemento di coercizione, e,
occasionalmente, per la natura preferenziale del legame adulto-bambino.
La pedofilia in sé non comporta in genere atteggiamenti violenti, né aggressivi. Quando
presenti, queste tendenze possono essere riferite a parallele spinte sadiche.
Nel 50% dei casi si rileva inoltre un’associazione all’alcolismo e spesso vi è un passato
di esibizionismo, voyeurismo o violenza carnale (Kaplan, 1996).
II
E’ di Sigmund Freud il pregio di essersi occupato in maniera sistematica della
sessualità infantile; e sebbene tra gli studiosi della psiche molti non siano d’accordo
sul rigido assetto in stadi da lui suggerito, in accordo al quale il piacere erotico è
dapprima centrato nella regione della bocca (fase orale, da zero a 18 mesi) , poi nella
regione dell’ano (fase anale, da 18 mesi a 3 anni) , quindi in quella dei genitali ( fase
fallica, da 4 a 6 anni) , per poi congelarsi nel periodo di latenza (da 6 a 12 anni) , è
indiscutibile che i bambini possono esperire delle forme di piacere fisico fin dalle
primissime fasi della vita.
Per la psicoanalisi, esiste una marcata conformità tra le spinte pulsionali dei bambini e
quelle degli adulti e già nei primi anni di vita sarebbero operanti quelle stesse pulsioni
che generano i desideri sessuali dell’adulto.
In realtà la sessualità infantile è dissimile e incompiuta rispetto a quella adulta.
Anche ai bambini piace essere tenuti stretti, carezzati, baciati, stimolati nelle zone
intime del corpo, ma queste manifestazioni non conservano ancora quella carica erotica
che potranno avere in seguito. Gli ormoni giocano un ruolo importante nel desiderio
sessuale ed è inconfutabile il fatto che la quantità di ormoni presenti nel corpo di un
bambino sia decisamente inferiore rispetto a quella presente nel corpo di un ragazzo o
di un adulto.
In più i bambini difettano dell’esperienza, non possiedono cioè le memorie e le
aspettative di una mente adulta; essi vanno scoprendo incidentalmente il piacere che
dal loro corpo può scaturire. Lo scoprono nei giochi, in fugaci tensioni muscolari,
oppure toccandosi. Il tutto secondo una progressione cadenzata dallo sviluppo.
Le fondamenta della sessualità (e quindi anche del piacere) sono già insite nella
struttura biologica che presiede alla vita uterina, quando si avviano ad affiorare le
diversità tra i due sessi.
All’inizio il cervello dei feti di sesso maschile e di sesso femminile è piuttosto simile:
a causa di una sorta di operazione al risparmio della natura, il programma genetico fa
sì che venga pianificato per ambedue i sessi un cervello di tipo femminile, provvisto
cioè di nuclei nervosi che saranno utili in futuro a regolamentare i cicli mensili, e di
sostanziali differenze tra i due emisferi cerebrali, laddove quello di destra è più
empatico e percettivo, mentre quello di sinistra più razionale e logico.
Anche i maschi possiederebbero pertanto un cervello femminile se ad un determinato
momento, nel corso degli ultimi mesi dello sviluppo fetale, i testicoli del feto
(gonadicamente maschile) non iniziassero a produrre ed inviare in circolo gli ormoni
maschili, ossia gli androgeni. Questi agiscono sul cervello, durante la gravidanza, e ne
arginano le caratteristiche femminili come, ad esempio, le attività cicliche di quei
nuclei nervosi che scandiscono il ciclo mestruale e inducono una produzione ormonale
(estrogeni e progesterone) che varia nell’arco dei 28 giorni del ciclo; nei maschi,
invece, la produzione di ormoni maschili (o androgeni) , non presenta questa ciclicità
e si mantiene costante nel tempo.
Indipendentemente dal sesso, nel feto incomincia a svilupparsi un universo di
sensazioni e di esperienze, che col tempo risulteranno basilari per dar vita al piacere
sessuale.
Le esperienze del piacere e del dispiacere costituiscono il nucleo intorno al quale si
edifica la nostra personalità. Fin dagli ultimi mesi di gravidanza il feto è in grado di
avvertire alcune sensazioni, sia pure in modo indistinto, e di reagire a degli stimoli
tattili spostando in modo riflesso gli arti e il corpo; cosicché alla nascita presenta una
capacità embrionale che gli consente di differenziare le situazioni piacevoli da quelle
sgradevoli. Piacevole è, per esempio, l’esperienza dell’allattamento, non solo in quanto
soddisfa la fame, ma anche perché procura un piacere fisico, sensuale o meglio sessuale
(non dimentichiamo che il “ciucciare” delle labbra sul capezzolo stimola le numerose
terminazioni sensitive presenti a livello labiale e conferisce il primato a quella zona
che darà poi il nome alla fase “orale”).
In questa fase però la sessualità è più parte di un intero che qualcosa di differenziato,
anche se è possibile scorgervi alcuni tratti anticipatori della sessualità matura.
Nel corso del primo anno di vita, in entrambi i sessi si possono considerare, seppur
molte volte per tempi assai brevi, movimenti del bacino, tensioni muscolari e
conseguente rilassamento.
Tra zero e tre anni l’erezione spontanea del pene e la tensione del clitoride possono
produrre delle sensazioni fugaci, come fugace può essere il piacere che un piccolo
avverte allorquando, esplorando il proprio corpo, giunge a tastarsi gli organi genitali.
Sono però sensazioni che si mescolano con altre stimolazioni in altre parti del corpo
prodotte, per esempio, dal solletico, da un massaggio, dal toccarsi e accarezzarsi
vicendevolmente.
Questa è anche la ragione per cui in questa età della vita si privilegia adottare il termine
di sensualità più che di vera e propria sessualità: le sensazioni erotiche, se in tal guisa
vogliamo definirle, sono invero ad un livello embrionale e sporadico in quanto non
sono ancora state ridestate, come invece avverrà nella pubertà, da quella corrente
ormonale che è essenziale perché si inneschino le fasi mature della libido (ossia del
desiderio sessuale).
La sensibilità diffusa del piccolo nei primi anni di vita resta, in ogni modo, una
precondizione alla sessualità degli anni successivi.
L’erotismo evolve, allora, per stadi consecutivi anche se la successione, come pure la
durata, non è da intendersi in modo rigido: è di fatto possibile che alcuni aspetti di una
determinata fase siano già presenti nella precedente e che, viceversa, modalità tipiche
di una fase più antica perdurino poi, in forma più accentuata, in epoche successive.
Ricerche condotte dai coniugi Kinsey (1950,1955) e da altri studiosi come Niels Ernst
(1979) e il norvegese Bjerring Hansen (1977), segnalano che approssimativamente un
quinto dei bambini scopre il piacere della masturbazione fra 3 e 6 anni, anche se le
sensazioni che provano possono essere più o meno intense e solo in un numero ristretto
di casi essere simili all’orgasmo.
Tra i quattro e i sei anni, di pari passo con la scoperta degli organi sessuali e delle
differenze anatomiche tra i sessi, insorgono anche, in un certo numero di bambini, le
prime fantasie a sfondo sessuale (non necessariamente riferite all’altro sesso).
Ed è anche a questa età che incomincia ad affiorare il “senso del pudore”, che, secondo
il parere di alcuni, è legato alle sensazioni che il bambino prova mentre, secondo altri,
trae origine invece soprattutto dal tipo di ambiente e di cultura in cui il bambino vive e
cresce.
La masturbazione va a ragione considerata come una evenienza normale piuttosto
diffusa, anche se non tutti i bambini la praticano. Questo comportamento diventa
anomalo quando è esagerato o quando avviene in luoghi non appropriati (in pubblico
o in classe); i bambini infatti si rendono conto del legame che esiste tra determinate
azioni o luoghi. Un eccesso di masturbazione può indicare in genere uno stato di
isolamento, la mancanza di altre forme di gratificazione e di piacere, a volte ritardo
mentale. Il frequente ricorso alla masturbazione può, infatti, essere dovuto alla
convinzione, da parte del bambino, di essere trascurato o rifiutato da coloro che
contano, come i genitori, oppure alla sensazione di essere emarginato, di fallire a scuola
o in altri ambiti significativi della vita.
Anche i giochi sessuali che i bambini mettono in atto tra loro rientrano nella normalità.
Sono normali tra i tre e i dodici anni perché, anche se sono immaturi dal punto di vista
ormonale, i bambini sono in grado di avere dei pensieri o delle fantasie erotiche. I
giochi sessuali come il gioco del dottore o quello di papà e mamma rappresentano, in
genere, un momento evolutivo naturale e sono un preludio alla sessualità matura. La
componente erotica si accompagna, mescolandosi, alla curiosità per il corpo umano.
Questi giochi sono anche un modo per rassicurarsi che nelle differenze anatomiche tra
maschi e femmine non c’è nulla che risulti errato o normale.
Inoltre, in stretta relazione con le esperienze che un bambino fa e con il clima in cui
cresce, tali giochi possono implicare anche altre componenti, quali per esempio il
mistero del frutto proibito, la pressione dei coetanei, la spinta a imitare gli adulti.
III
La figura del pedofilo nell’immaginario collettivo è intimamente legata a quella di un
uomo di una certa età, uno “sporcaccione” il più delle volte in pensione o disoccupato,
che oltre ad importunare i bambini che gli capitano a tiro può anche mostrare altre
anomalie del comportamento sessuale, o parafilie, come l’esibizionismo, il voyeurismo
o altro.
Le raccolte di dati più recenti indicano, però, che l’interesse per i bambini inizia
comunemente intorno ai quindici-sedici anni, che di solito la vittima è nota al pedofilo
e che quest’ultimo spesso è un parente, un amico di famiglia o un frequentatore della
casa che non presenta apparenti anomalie del comportamento.
L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce ineluttabilmente in
atti sessuali completi; il pedofilo può limitarsi a denudare il bambino e a guardarlo, a
mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza e ad accarezzarlo;
può persuadere il bambino a toccarlo a sua volta e così via. C’è anche chi si limita a
guardare del materiale pornografico con protagonisti i bambini, senza avere mai
contatti diretti con essi. Sembra sia solo una minoranza quella che costringe il bambino
a veri e propri rapporti sessuali. Questo tipo di pedofilo giustifica spesso l’atto sessuale
con il proposito di intenti educativi o con la descrizione di un rapporto effettivo creato
con la piccola vittima.
Va infine rammentato, che, oltre ai pedofili attivi, vi sono anche i pedofili latenti, i
quali cioè non giungono mai a prendere l’iniziativa.
Alcuni pedofili si sentono attratti da bambini di una particolare fascia d’età, spesso
quella in cui loro stessi si trovarono a vivere per la prima volta delle esperienze eroticosessuali con un adulto, un ragazzo o una ragazza più grande.
Per altri, invece, qualunque bambino può essere oggetto di attenzioni. C’è chi
preferisce i maschi, chi le femmine e chi invece ricerca i bambini di entrambi i sessi.
Alcuni riferiscono di sentirsi attratti sessualmente soltanto dai bambini (tipo esclusivo),
mentre altri di essere talvolta attratti anche da adulti (tipo non esclusivo).
Alcuni, infine, praticano la pedofilia occasionalmente, ma non ricercano attivamente i
bambini.
La maggior parte dei pedofili cerca di non malversare i bambini che riesce ad
avvicinare, sia per l’attrazione che avvertono nei loro confronti, sia perché cercano di
evitare che essi possano in qualche modo lamentarsi e quindi parlare. Se scoperti,
alcuni non cercano di spiegare o giustificare la loro propensione, altri invece
comunicano le loro attenzioni nei riguardi dei bambini in termini più che mai delicati,
ricorrendo alle più svariate razionalizzazioni. Possono proclamare, ad esempio, il
valore educativo di abbracci e carezze, oppure giustificarsi sostenendo che il bambino,
in quell’occasione, si era mostrato seduttivo, che era stato anzi proprio il piccolo a
sollecitare le avances sessuali dell’adulto, che da queste aveva poi ricavato un evidente
piacere,ecc.....
Altri ancora rivendicano palesemente il loro diritto di amare i bambini da cui si sentono
attratti, a volte in maniera compulsiva.
Ci sono poi situazioni in cui l’attrazione per i bambini e i ragazzini è associata a forme
di sadismo più o meno spinto. Si tratta, quasi sempre, di individui privi di senso morale,
spesso affetti da disturbi mentali, cresciuti in un clima di degrado ambientale e
psicologico, che provano piacere nel fare del male, nell’assoggettare i più deboli e che
qualche volta finiscono per sopprimere la loro vittima. Sono casi estremi, ma poiché i
media tendono ad enfatizzarli si corre il rischio di avere l’impressione che tutti gli
approcci pedofili possano finire in tragedia, il che ovviamente non è.
Va anche considerato che spesso l’eliminazione fisica del bambino non è premeditata,
ma si verifica come reazione alla paura di essere scoperti.
Senza arrivare a questi casi limite, l’aspetto della violenza non è da sottovalutare:
secondo fonti anglosassoni una percentuale significativa di ragazze di età inferiore ai
quattordici anni (dal 10 al 20 per cento) riferisce di essere stata costretta a subire
attenzioni sessuali da parte di adulti. In Italia i casi denunciati per violenze su minori
(fino a 17 anni) sono stati 1.151 nel 1996 e 1582 (quindi con un incremento del 37 per
cento) nel 1997.
Le donne pedofile sono sicuramente più rare degli uomini, spesso isolate o affette da
disturbi mentali. Come gli uomini anche le donne possono essere responsabili di
dissesti psicologici, talvolta addirittura superiori. Quando una donna obbliga un
bambino o una bambina a pratiche erotiche o sessuali, gli effetti su quest’ultimo
possono essere devastanti, soprattutto se si tratta della madre.
IV
In accordo con l’opinione di molti autori, i pedofili avrebbero in linea di massima una
personalità abbastanza immatura, seri problemi di relazione o sensi di inferiorità che
non consentono loro di reggere un rapporto amoroso adulto, dove si aspettano ci sia
una parità di ruoli: individui con disturbi narcisistici e debole stima di sé si focalizzano
sui bambini perché possono controllarli e governarli e nei loro riguardi non
sperimentano sentimenti di inadeguatezza.
Tale immaturità emergerebbe anche dalla incapacità che essi hanno di assumere un
ruolo responsabile: è vero che un bambino di tanto in tanto può assumere degli
atteggiamenti provocanti o comportarsi in maniera seduttiva; ma chi si lascia attivare
sessualmente dagli atteggiamenti disinibiti e per lo più inconsapevoli di un bambino è
una persona che non tiene conto del contesto. Quegli stessi atteggiamenti e movenze
suscitano, in una persona responsabile, un sentimento di tenerezza o di divertimento,
non certo una reazione di tipo sessuale. Ci sarebbero, tuttavia, anche altre componenti.
Secondo numerosi autori, i pedofili abituali rivedrebbero se stessi nel periodo della
propria infanzia, rappresenterebbero idealmente il corpo e la bellezza infantile o
preadolescenziale e rievocherebbero il medesimo trattamento subito da piccoli oppure
il suo opposto.
L’erotismo con i bambini può comportare, secondo tali autori, la fantasia inconscia di
fusione con un oggetto ideale e di conseguenza la ristrutturazione di un Sé giovane,
idealizzato.
Il pedofilo sarebbe dunque al centro di una specie di circuito autoalimentatesi, il quale
lo conduce compulsivamente indietro nel tempo, al momento in cui egli stesso ha
vissuto quel tipo di esperienza, ha provato eccitazione e/o paura e anche il turbamento
di essere depositario di un segreto incomunicabile, una sorta di doppia vita.
Il pedofilo sarebbe rimasto “fissato” a quelle emozioni intense e a quegli schemi
estetico-erotici che ora cerca di esplorare e rivivere, senza riuscire ad evolvere verso
forme diverse di erotismo, incurante della difformità tra generazioni e negando
l’esistenza di ruoli e funzioni adulte. Questo si verificherebbe anche perché l’altro è
oggetto del desiderio non per ciò che è, come persona percepita nella sua globalità, ma
per ciò che rappresenta, cioè la parte che è obbligata a soddisfare la pulsione che per il
pedofilo è fonte di riconoscimento narcisistico. L’attività sessuale con bambini
prepuberi servirebbe in conclusione a “puntellare la fragile stima di sé del pedofilo”, il
quale può anche sentirsi inadeguato su un piano strettamente fisico; inoltre, la scelta di
partner quali i bambini, facili da controllare e manipolare, consente di raggiungere il
duplice scopo di ottenere piacere e di sentirsi potenti.
A ciò si aggiunge, nei pedofili abituali, il piacere della trasgressione, a cui ultimamente
si è associato quello di avere la opportunità di ritrovarsi con i propri simili su Internet.
Qui, oltre a scambiarsi materiale e informazioni, essi possono reclamare un’identità in
contrapposizione a tutti coloro che deplorano i loro comportamenti o combattono la
pedofilia. Molti pedofili, infine, traggono un particolare piacere anche dalle attività che
precedono l’abuso, quali l’individuazione della vittima, la pianificazione, il
pedinamento, gli approcci, in quanto la perversione, per creare il più alto grado di
eccitazione, ha bisogno di rappresentarsi, in un certo senso, come un atto rischioso.
Alcuni autori hanno elaborato un modello teorico che mette in relazione i problemi di
intimità dei pedofili con i diversi stili di attaccamento (Ward et al., 1995). Ispirandosi
al modello di attaccamento (descritto dalla collaboratrice di John Bowlby e ricercatrice
Mary Ainsworth) che i bambini di uno o due anni mostrano nei confronti della propria
madre, essi hanno individuato tre principali categorie di molestatori:
- Gli ansiosi-resistenti, ossia soggetti che hanno scarsa autostima, si ritengono
indegni d’amore e ricercano costantemente l’approvazione degli altri. In
presenza di un partner che può essere controllato (come un bambino in stato di
bisogno o di carenza) essi si sentono sicuri, mentre sono assolutamente incapaci
di stabilire relazioni emozionali con adulti. In talune circostanze possono
diventare dipendenti emotivamente dal rapporto con i bambini, con la
conseguenza che i confini tra adulto e bambino si perdono e la relazione affettiva
si trasforma perciò in sessuale. Curano e corteggiano i bambini e raramente
impiegano mezzi coercitivi;
- Gli evitanti-timorosi, cioè soggetti che presentano un forte desiderio di contatto
unito alla paura del rifiuto, tanto da evitare relazioni intime con gli adulti
percepiti come rifiutanti. Le modalità con cui il soggetto mette in atto l’abuso
sono caratterizzate da scarsa empatia e uso della forza;
- Gli evitanti-svalutativi, infine, che hanno come meta il conseguimento
dell’autonomia e dell’indipendenza, per cui sono alla ricerca di relazioni che
richiedano il minimo contatto sociale possibile e il minor grado di apertura
emozionale e personale. Al pari degli evitanti-timorosi cercano rapporti
impersonali, caratterizzati però da un maggior grado di ostilità e aggressività che
può condurre a comportamenti coercitivi violenti o sadici.
Alcuni psicologi e sociologi ipotizzano che nell’espansione della pedofilia possa aver
giocato un ruolo importante anche la trasformazione che si è verificata, nella società,
del rapporto uomo-donna.
Le donne occidentali dimostrano di essere sempre meno delle partner fragili,
sottomesse, incapaci di badare a se stesse, e per alcuni uomini il rapporto con una
partner indipendente e capace di autodeterminarsi non è soddisfacente né eccitante,
bensì inibente. Sarebbe appunto la vulnerabilità dei bambini, il loro aspetto vulnerabile,
la loro innocenza, la loro assoluta mancanza di calcolo ad attirare il pedofilo che, in un
rapporto del genere (da superiore a inferiore), ha modo di prendere l’iniziativa,
condurre il gioco, sentire di avere il controllo della situazione.
La pedofilia è però diffusa, sebbene meno criminalizzata di quanto non avvenga nei
paesi occidentali, anche in molti paesi del Terzo Mondo, dove le donne sono investite
ancora di un ruolo sottomesso rispetto all’uomo. In realtà il fattore critico va ricercato
nella qualità del rapporto con l’altro: la persona matura, che non soffre di sensi di
inferiorità, accetta la complessità della relazione e affronta gli aspetti dialettici propri
di ogni confronto con un “essere totale”, coinvolgente e diverso da sé; al contrario,
l’immaturo, il traumatizzato, colui o colei che ha bisogno di vendicarsi di violenze
subite non considera l’altro per quello che è, ma, come si è detto, vi vede soltanto quella
parte o aspetto che gli serve per trarne una qualche forma di soddisfazione, al tempo
stesso erotica e di dominio o controllo, cosicché il partner viene usato e poi
abbandonato secondo quelli che sono i propri bisogni narcisistici, senza curarsi
dell’altro, e nel caso specifico dei bambini, dei loro bisogni di crescita.
In ultimissima analisi bisogna rilevare come si possa anche verificare un vero e proprio
innamoramento da parte dell’adulto verso quello che lui vive come il proprio giovane
partner, soprattutto quando questi è in quell’età che segna il passaggio dall’infanzia
alla pubertà. Secondo il professor Schorsch, dell’Istituto di Sessuologia di Amburgo
(1971), può verificarsi, anche in adulti che solitamente praticano una sessualità adulta,
una sorta di “deragliamento emotivo”, a volte soltanto episodico (ad esempio sotto
l’effetto dell’alcol), che li fa scivolare dall’amore per l’infanzia all’attrazione sessuale
verso uno specifico bambino o una ragazzetta con particolari caratteristiche.
Vediamo quindi come si presenti oltremodo complesso un quadro fenomenologico
apparentemente semplice, all’interno del quale sembra che entrambi i protagonisti
svolgano ruoli quasi speculari se ci riferiamo a ciò che mettono in moto
emozionalmente ed a tutti i variegati tasselli rappresentazionali che poi nel loro
complesso vanno a costituire il mosaico di un acting out irreversibile, per entrambi.
Cercando di offrire ancora un supporto clinico e scientifico sul quale favorire il
dispiegarsi di una realtà così solidamente articolata e allo stesso tempo altrettanto
languidamente unita in sé stessa, desidero riportare le considerazioni a cui è giunta
nello specifico la psicoanalisi, che più di tutti ha cercato di penetrare le resistenze che
offre il lavoro di ricerca proprio di un percorso introspettivo come quello nel campo in
questione. In relazione appunto agli ultimi studi psicoanalitici, ciò che distingue una
parafilia da un’altra è il metodo scelto dalla persona, che solitamente è un maschio, per
far fronte all’ansia causata dalla paura della castrazione da parte del padre e della
separazione dalla madre. Per quanto siano bizzarre le sue manifestazioni, il
comportamento conseguente offre una via di uscita per le condotte sessuali e aggressive
che altrimenti verrebbero incanalate in un appropriato comportamento sessuale.
L’incapacità assoluta di risolvere la crisi edipica attraverso l’identificazione con il
padre-aggressore (per i ragazzi) o con la madre-aggressore (per le ragazze) causa una
impropria identificazione con il genitore di sesso opposto oppure una scelta impropria
dell’oggetto dell’investimento libidico.
In riferimento alla pedofilia, dunque, la psicoanalisi ritiene che i soggetti abbiano
bisogno di dominare e controllare le loro vittime per compensare i propri sentimenti di
impotenza durante la crisi edipica. Alcuni teorici ritengono che la scelta di un bambino
come oggetto d’amore sia una scelta narcisistica e di ciò abbiamo dato spazio in
precedenza. Secondo tali autori, quindi, nel carattere dei pedofili è possibile ritrovare
forti radicali narcisistici. L’obiettivo dei loro desideri non sarebbe infatti realmente il
bambino, bensì la figura di sé da piccoli.
La pedofilia può quindi, alla luce di questi assunti, essere vista come un meccanismo
volto a rafforzare una già fragile stima di sé (Kohut, 1976).
L’attività sessuale con bambini prepuberi può puntellare, quindi, la barcollante stima
di sé del pedofilo. In maniera simile, molti individui con questa perversione scelgono
delle professioni nelle quali possono interagire con bambini in ragione del fatto che le
risposte idealizzanti dei bambini li aiutano a mantenere la loro immagine positiva di sé
stessi. D’altra parte, il pedofilo spesso idealizza questi bambini; l’attività sessuale con
loro comporta pertanto la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale o di
ristrutturazione di un Sé giovane, idealizzato. L’ansia riguardo all’invecchiamento e
alla morte può essere tenuta a distanza attraverso l’attività sessuale con bambini.
Socarides (1988) ha descritto un paziente pedofilo che resisteva a un inglobamento con
la madre attraverso le sue attività pedofile. Questo paziente cercava di sfuggire alla sua
inconscia identificazione femminile incorporando la mascolinità da un bambino
maschio prepubere. I rapporti sessuali con un bambino facevano sentire questo paziente
come se fosse stato parte del bambino. A un livello più profondo, l’unione con il
bambino rappresentava il desiderio di incorporare il seno della madre e pertanto di
compensare l’effettiva assenza di cure materne nella sua prima infanzia.
Quando l’attività pedofila è associata a un disturbo narcisistico di personalità con gravi
tratti antisociali, come parte di un’evidente struttura caratteriale psicopatica, le
determinanti inconsce del comportamento possono essere strettamente collegate alle
dinamiche del sadismo. In alcuni casi l’eziologia della pedofilia è fatta risalire al terrore
di fusione con la figura materna. Il contatto con soggetti immaturi avrebbe quindi la
funzione di restauro dell’individualità e della virilità (Socarides).
La conquista sessuale del bambino diviene lo strumento di vendetta. I pedofili, come
abbiamo più volte ripetuto, sono frequentemente essi stessi delle vittime di abusi
sessuali infantili, e un senso di trionfo e di potere può accompagnare la loro
trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente.
La ripetizione dello abuso può configurarsi come un tentativo di riparazione. Nel
pedofilo è infatti presente una volontà inconscia di rivivere il trauma nella speranza di
modificarne le conseguenze e placare le ansie ad esso correlate. Forti desideri sessuali
sono spesso celati sotto motivazioni di educazione e profondo affetto, e, per tale
ragione, i bambini molestati sviluppano una vera e propria fedeltà nei confronti di chi
abusa di loro (Gelinas, 1986). Le conseguenze di tutto ciò sono tanto più gravi quanto
più sono intrusivi gli atti e quanto più piccolo è il bambino.
Un discorso a parte merita l’incesto, ossia la pedofilia esercitata in ambito familiare. In
questi nuclei, accanto a un padre-pedofilo, si ritrova spesso una figura di madre-
assente. In questa tipologia l’uomo, che non si sente amato dalla propria moglie, si
rivolge ai figli per ottenere quell’affetto di cui si sente privato.
Sotto questa apparente richiesta di aiuto si nascondono in realtà forte aggressività e
ostilità nei confronti del mondo femminile. L’incesto diventa, quindi, per il marito
trascurato, uno strumento di ritorsione nei confronti di quelle donne (la moglie e la
madre) che non hanno saputo comprenderlo (Ganzarin, 1990).
Nei bambini, co-protagonisti di questo dramma, si assiste all’assunzione di un ruolo
genitoriale volto a sostenere il padre in difficoltà. Questi soggetti mostrano una spiccata
lealtà nei confronti di chi abusa di loro, in virtù di quel rapporto unico di amore che si
è instaurato (Gabbard, 1995).
V
Anzitutto ho visto pienamente confermata la tesi, da me già formulata, della
fondamentale importanza del trauma come fattore patogeno. Infatti, anche bambini
appartenenti a famiglie stimate e di spirito puritano possono cadere vittima, molto più
spesso di quanto non si creda, di vere e proprie violenze e violazioni. O sono i genitori
stessi a cercare in questo modo patologico un surrogato alle loro insoddisfazioni,
oppure sono persone di fiducia (parenti, precettori, personale di servizio) ad abusare
dell’ignoranza e innocenza dei bambini. L’ovvia obiezione che si tratti di fantasie del
bambino stesso, dunque di menzogne isteriche, viene purtroppo confutata dalle
innumerevoli confessioni di pazienti in analisi di aver usato violenza a bambini.
E’ difficile indovinare il comportamento e i sentimenti dei bambini dopo violenze di
questo tipo. Il loro primo impulso sarebbe di rifiuto, odio, disgusto, energica difesa.
Ma la loro immediata reazione è inibita da una paura immensa. I bambini si sentono
indifesi fisicamente e moralmente, la loro personalità è ancora troppo debole per poter
protestare, sia pure solo mentalmente; la forza prepotente e la autorità degli adulti li
ammutolisce, spesso toglie loro la facoltà di pensare. Ma questa stessa paura, quando
raggiunge il culmine, li costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà
dell’aggressore, a indovinare tutti i desideri, a obbedirgli ciecamente, a identificarsi
completamente con lui.
Con l’identificazione, o meglio con l’introiezione dell’aggressore, quest’ultimo
scompare come realtà esterna e diventa intrapsichico; ma tutto ciò che è intrapsichico
soggiace, in uno stato simile al sogno come è appunto la trance traumatica, al processo
primario, vale a dire ciò che è intrapsichico può essere, in base al principio del
piacere, plasmato e trasformato in modo allucinatorio, positivo o negativo. In ogni
caso, l’aggressione cessa di esistere come rigida realtà esterna e, nella trance
traumatica, il bambino riesce a mantenere in vita la precedente situazione di tenerezza.
Ma il mutamento più significativo, provocato nella psiche del bambino
dall’identificazione per paura con il partner adulto, è l’introiezione del senso di colpa
dell’adulto, che fa apparire come un’azione colpevole un gioco ritenuto fino a quel
momento innocente.
Se il bambino si riprende dopo una simile aggressione, si sente enormemente confuso,
o meglio egli è già scisso, al tempo stesso innocente e colpevole, ha perso fiducia in
ciò che gli dicono i suoi sensi.
A ciò si aggiunga il modo di fare brusco del partner quando è tormentato ed esasperato
dai rimorsi di coscienza; il bambino, allora, diviene ancor più profondamente
consapevole e vergognoso della colpa commessa. Quasi sempre, d’altra parte,
l’aggressore fa come se niente fosse e si tranquillizza con l’idea che, dopotutto, “non
è che un bambino, non sa ancora nulla, presto dimenticherà tutto”. Non è raro che,
dopo fatti di questo tipo, il seduttore diventi fautore di una morale rigida o di una
religione, per cercare di salvare con la severità l’anima del bambino.
Il bambino di cui si è abusato diventa un essere che obbedisce in modo meccanico, o
che si impunta, oramai incapace di rendersi conto del motivo del suo atteggiamento.
Lo sviluppo della sua vita sessuale è bloccato o assume forme perverse, per non
parlare delle nevrosi e psicosi che ne possono derivare. L’aspetto scientificamente
rilevante di tale osservazione è l’ipotesi che la personalità ancora debolmente
sviluppata risponda a un dispiacere improvviso non con la difesa, ma con
l’identificazione e l’introiezione di colui che minaccia o aggredisce.
Una parte della loro personalità, magari il nucleo centrale, è rimasta fissata a una
certa fase o a un certo stadio in cui, non essendo ancora data la possibilità di relazioni
alloplastiche, l’unica modalità di reazione era quella autoplastica, per una sorta di
mimetismo. Si delinea così una forma di personalità costituita soltanto da Es e SuperIo, e quindi incapace di affermare se stessa anche nel dispiacere, così come accade nel
bambino che, non ancora giunto al suo pieno sviluppo, non è in grado di sopportare
la solitudine senza la protezione materna e un rilevante quantitativo di tenerezza.
Freud sottolineava il fatto che la capacità di amore oggettuale era preceduta da uno
stadio di identificazione. Definirei tale stadio come quello dell’amore oggettuale
passivo, ovvero stadio di tenerezza. Vi si mostrano già tracce di amore oggettuale, ma
solo come fantasie e in forma ludica. Così, quasi tutti i bambini giocano con l’idea di
prendere il posto del genitore del proprio sesso per diventare il coniuge del genitore
di sesso opposto. Ma ciò, si noti bene, solo nella fantasia. Nella realtà non vogliono
né possono fare a meno di tenerezza, soprattutto di quella materna. Se ai bambini che
attraversano la fase della tenerezza si impone più amore o un amore diverso da quello
che desiderano, ciò può avere conseguenze altrettanto patologiche della privazione
d’amore, su cui fino a oggi si è quasi esclusivamente insistito (Sàndor Ferenczi –
OPERE 1927/1933).
BIBLIOGRAFIA
 GIUSEPPE ANGELINI: L’ IMPOTENZA E
I DISTURBI SESSUALI
MASCHILI ( CENTRO SCIENTIFICO EDITORE, 2000).
 BRUCE J. COHEN : THEORY
(OXFORD
AND PRACTICE OF PSYCHIATRY
PRESS, 2003 ).
 SÁNDOR FERENCZI: OPERE
- VOLUME QUARTO, 1927 / 1933
( RAFFAELLO CORTINA EDITORE ).

GLENN O. GABBARD : PSICHIATRIA
PSICODINAMICA ( RAFFAELLO
CORTINA EDITORE, 1995 ).

KAPLAN & SADOCK : PSICHIATRIA
- MANUALE DI SCIENZE DEL
COMPORTAMENTO E PSICHIATRIA CLINICA ( CENTRO SCIENTIFICO
EDITORE, 2001 ).

A. OLIVIERO FERRARIS, B. GRAZIOSI :
SAPERENE DI PIU’ ( EDITORI LATERZA , 2001 ).
PEDOFILIA - PER