Platone e Aristotele_lezioni XII

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Platone e Aristotele_lezioni XII
ARISTOTELE
50618 – PLATONE E ARISTOTELE
PROF.SSA VALENTINA ZAFFINO
Lezioni XII-XIII
Il passaggio potenza-atto e la nozione di movimento in Aristotele
(Metaph. IX 1; 5-6; 8)
(Phys. III 1-2)
In Metafisica IX Aristotele approfondisce le nozioni di potenza e atto, che rimandano a quelle di
materia e forma.
La potenza (δύναμις – dynamis) è la possibilità, o potenzialità, propria di qualcosa di trasformarsi in
qualcos’altro → la dynamis è la potenza del movimento o cambiamento.
Aristotele individua tre tipi di potenze:
1) le potenze innate (come i sensi);
2) le potenze acquisite con l’abitudine (come l’abilità nel suonare uno strumento);
3) le potenze acquisite con lo studio (come le arti).
L’atto è inteso da Aristotele sia come 1) entelécheia (ἐντελέχεια, da τέλος – telos = fine), che come
2) enérgheia (ἐνέργεια).
1) Con il primo significato si indica la condizione dell’ente che ha realizzato la propria dynamis,
raggiungendo e attualizzando il proprio fine (telos).
2) Con il secondo significato si indica a) sia l’attuarsi dell’entelécheia, b) sia l’esplicarsi delle funzioni
proprie dell’ente che ha realizzato il proprio telos.
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ARISTOTELE
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PROF.SSA VALENTINA ZAFFINO
L’essere come potenza è la capacità (o possibilità) di trasformarsi in atto, mentre l’atto è la piena
realizzazione della potenza, è “l’esistere in realtà”. Trasformarsi in atto significa assumere una forma
che mancava nella potenza: il tronco di legno (che è un tavolo in potenza) assume la forma del tavolo e
diviene tavolo in atto. Aristotelicamente, pertanto, il divenire è inteso come passaggio dalla
potenza all’atto, cioè come l’assunzione di una data forma.
I concetti di potenza e di atto introducono la trattazione del MOVIMENTO (κίνησις –kinesis), come
spiega Aristotele: “La natura è principio di movimento e mutamento1 e di conseguenza non possiamo
ignorare la definizione di movimento, considerato che la nostra ricerca verte proprio sulla natura:
infatti, ignorare l’uno significa necessariamente ignorare l’altra” (Fisica, III 1).
Poiché il divenire è l’attuazione della potenza, lo Stagirita afferma che il movimento è l’atto di ciò
che è in potenza in quanto tale, vale a dire l’attuazione del fine di ciò che è in potenza, solo rispetto a
quella determinata dynamis.
Aristotele, infatti, considera che l’essere o è soltanto in atto, o è soltanto in potenza, o è in atto e in
potenza insieme, ma da punti di vista diversi: le cose non sono in atto e in potenza
contemporaneamente e sotto il medesimo aspetto, ma solo contemporaneamente e da prospettive
diverse.
Come abbiamo visto, nel processo del divenire (dall’essere in potenza all’essere in atto) la materia
costituisce propriamente il sostrato, mentre l’atto è rappresentato dalla forma, che conferisce attualità
alla materia, altrimenti indeterminata2. L’essere in potenza deve essere inteso come non-essere-ancora
(in atto), e in questo senso la materia è sostrato della generazione accidentale, che non procede dal nonessere per sé, bensì dalla privazione di una determinazione dell’essere per accidente.
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Si tenga presente la differenza tra movimento e mutamento, poiché l’uno non implica necessariamente l’altro (gli astri,
infatti, si muovono, ma non mutano).
2 Sicché la materia è pura potenza, mentre la forma è puro atto.
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Il primo motore immobile
(Metaph. XII 6-7; 9)
(Phys. VIII 5-6)
L’analisi aristotelica circa la causa del movimento degli enti fisici giunge all’affermazione del
motore primo, immobile ed esterno rispetto ai fenomeni naturali3.
L’introduzione del primo motore immobile segna il passaggio dall’ambito di ricerca della fisica a
quello della metafisica, che ha come oggetto la sostanza immobile. Infatti, l’indagine sul movimento e
sul suo primo motore non è di pertinenza della sola fisica, ma ha ripercussioni anche sulla metafisica,
poiché la prima è propedeutica alla seconda. Il motore immobile – che è oggetto della scienza della
natura – e il Principio Primo – che è oggetto della filosofia prima – sotto molti aspetti si implicano a
vicenda; per questa ragione la trattazione della Fisica si apre proprio con la riflessione sull’unicità o
molteplicità dei principi.
In Metafisica XII Aristotele tratta nello specifico del primo motore e delle sue caratteristiche; esso è:
1) primo rispetto alle altre sostanze;
2) immobile;
3) eterno;
4) privo di parti e di estensione;
5) collocato presso la sfera delle stelle fisse.
6) è pura forma e puro atto, pertanto esso coincide con la divinità.
Il primo motore è, innanzitutto, il principio eterno del movimento delle sfere celesti; di
conseguenza, è la causa motrice – seppure indiretta – dei processi di movimento che hanno luogo in
tutto il mondo fisico.
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Lo Stagirita parla di 55 intelletti – o motori –, i quali sono causa di movimento e sono immobili in senso relativo. Solo il
primo di questi è, invece, immobile in assoluto, essendo causa prima di movimento. In tale sede prenderemo in
considerazione innanzitutto il primo motore immobile.
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L’esistenza della sostanza immobile pone una questione fondamentale per la metafisica aristotelica:
come può una sostanza priva di estensione imprimere, per contatto, il movimento alla sfera delle stelle
fisse? Lo Stagirita scioglie il problema, negando il contatto e affermando che il motore immobile agisce
come l’oggetto d’amore che muove l’amante. Le sfere celesti, infatti, sono spinte dal desiderio di
raggiungere lo stato di immobilità proprio del motore divino. Non essendo capaci di conseguire la
condizione di quiete assoluta, esse riproducono costantemente il moto circolare uniforme che,
ripetendosi sempre identico a se stesso e nello stesso luogo, è quanto di più simile possa esserci
all’immobilità del primo motore.
L’immagine del movimento dettato all’amante da ciò che è amato pone la sostanza immobile e
divina non più soltanto come causa motrice, ma anche come causa finale, scopo ultimo del
movimento delle sfere celesti. Pertanto, il motore immobile è sia il fine in vista del quale è orientato il
movimento del cosmo, sia il generatore stesso del movimento.
In ultimo, poiché è divino, immobile e assolutamente disgiunto dalla materia, l’attività del pensare è
la funzione propria del primo motore, che è puro pensiero in atto. Esso è pensiero di pensiero,
perché rivolge verso se stesso la propria attenzione: infatti, il mondo materiale non può essere l’oggetto
della conoscenza divina, poiché la divinità non entra in relazione con le realtà corruttibili e imperfette,
ma contempla se stessa nella propria perfezione.
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Critica alla posizione platonica sul movimento
Come abbiamo visto, Aristotele risolve il problema del principio del movimento affermando
l’esistenza di un primo motore che non partecipa del movimento di cui esso è causa.
Platone, al contrario, nel Fedro riconosce l’anima del mondo come principio di movimento, perché
muovendo se stessa muove anche gli enti fisici.
Punti di concordanza tra Platone e Aristotele rispetto al tema del movimento:
1) Sia Platone che Aristotele si confrontano con il problema della dinamica motore-mosso
(questione dell’auto-movimento);
2) Entrambi considerano impossibile un regressus ad infinitum nella ricerca della prima causa
motrice.
Differenza fondamentale tra le posizioni dei due filosofi:
– Platone ammette l’esistenza di un motore che muove se stesso (l’anima);
– Aristotele ammette l’esistenza di un motore immobile.
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