Anne Frank: un`adolescenza negata, una vita

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Anne Frank: un`adolescenza negata, una vita
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2 - febbraio 2002
MEDIAPIRANDELLO
Anne Frank: un’adolescenza negata,
una vita repressa.
Perché non accada mai più
Il 9 Gennaio siamo andati a vedere a teatro una rappresentazione de “Il Diario
d’Anne Frank”, in cui si racconta la storia
di una ragazzina di tredici anni che vive
nel periodo del nazismo. Essendo ebrea
scappa con la sua famiglia dalla Germania
e va ad abitare in Olanda, quando i tedeschi arrivano anche in Olanda, Anne e la
sua famiglia si rifugiano in una soffitta,
dove rimarranno fino a quando i tedeschi
non li cattureranno e li porteranno in un
campo di concentramento. Lì Anne morirà
e l’unico superstite della sua famiglia sarà
il padre, che ritrovando il diario della figlia, lo farà pubblicare.
Queste sono
le nostre impressioni
A parer mio è stata un’esperienza
molto bella e mi ha fatto capire meglio la
situazione di quegli anni, infatti fino ad
oggi avevo solamente letto dei libri a riguardo
oppure
avevo
affrontato
l’argomento, ma vedere quello spettacolo
mi è stato veramente utile.
Sono state molte le cose che mi hanno
colpito, prima di tutto le immagini proiettate ad intervalli durante la rappresentazione erano molto belle e mi hanno colpito veramente: alcune mi hanno fatto capire le condizioni degli Ebrei nei campi di
concentramento: erano magrissimi, mal
conci, a volte addirittura nudi e mi ha fatto un grande effetto vedere quei volti così
spenti che ormai non avevano più nessuna espressione.
Sono rimasta colpita anche da quanto le
persone comuni di allora fossero condizionate da un uomo spregevole come Hitler, nelle immagini infatti si vedevano
moltissime persone ad ascoltarlo; forse
adesso mi permetto di giudicare perché
non ho vissuto in quegli anni e non so
cosa sia il dolore e la mancanza di libertà,
forse se fossi stata in quella situazione,
presa dalla paura, mi sarei comportata
come tutte le persone che si sottomettevano al volere di Hitler; ma adesso non
posso fare altro che osservare e criticare
quei comportamenti.
Un’altra cosa che mi è piaciuta dello spettacolo è che sono riuscita ad immedesimarmi nel personaggio di Anne, che era
una ragazzina come me e che, nonostante tutto, riesce ad essere più o meno tranquilla; mi è piaciuto molto anche il contrasto tra la sua spensieratezza e la tensione
generale che c’era nel rifugio.
Questa situazione ha stimolato in me una
riflessione: Anne ha trascorso la sua adolescenza in una soffitta, senza amici, senza tante gioie, ritrovandosi al di fuori del
mondo, ma con un unico mezzo, il diario,
è riuscita a raccogliere le sue emozioni e i
suoi sentimenti e nonostante le sia stata
negata un’adolescenza è riuscita a tener
fronte a questa situazione, cosa che non
molti sarebbero riusciti a fare.
Non riesco a capire ciò che provavano gli
Ebrei sotto la dittatura nazista ma l’idea di
quei campi di concentramento mi mette i
brividi, pensare che moltissime persone
che, solo professando una religione diversa, sono morte in quei posti osceni, dove
sfruttavano, marchiavano e dove la maggior parte delle volte, chi entrava aveva la
morte assicurata mi fa capire quanto sono
fortunata.
Quante famiglie sono state divise, quanti
figli sono morti sotto gli occhi delle madri
e viceversa, quanto dolore hanno portato
questi anni e tutto questo, perché?
Solo perché delle persone che erano riuscite a salire al potere erano convinte
dell’esistenza di una razza superiore: la
loro.
Il comportamento delle grandi potenze di
quegli anni ha distrutto un’intera popolazione e se anche molte volte questi discorsi possono sembrare banali, secondo
me dobbiamo farli ora e continuare a farli
pagina precedente
poi, perché si ricordi ciò che è successo e
perché non accada mai più.
(G.C. III H)
Errori. Se ripercorriamo la nostra
storia sui libri la cosa che ci colpisce di
più sono tutti gli errori commessi, e ci disgustiamo pensando non solamente
all’errore ma soprattutto al fatto che
quell’errore lo abbiamo commesso noi,
con inaudita crudeltà e fermezza; ci credevamo molto diversi dagli animali, specie superiore; ma capisco che l’uomo, in
quanto crudeltà, non può essere superato
da nessun animale.
Ma non solo gli errori rimangono a noi,
molto spesso viene a galla anche la nostra
ingenuità e quanto la nostra società ci abbia amalgamato facendoci diventare, con
l’andare del tempo, un agglomeramento
di persone, non più in grado di pensare,
ma che diventa gregge, senza pensieri
autonomi, senza sentimenti guidati da
loro cuore ma pensieri e sentimenti guidati da un leader che fa credere loro che il
suo pensiero sia quello universale, il pensiero giusto.
Uno dei momenti più significativi di queste due situazioni descritte è la Seconda
Guerra Mondiale.
Non posso neanche immaginare che effetto mi avrebbe fatto vedere la mia più
cara amica essere portata via, verso Est,
con una sola colpa: essere ebrea.
Ci potrebbero essere diversi spunti per
una riflessione ma quello che mi offre più
strade è un diario, di una ragazzina come
me, che parla della sua vita ma, che è diventato il libro che racconta la sua fine.
Anne Frank era una ragazza vivace, piena
di interessi che la facevano crescere e
maturare, una ragazza che ha visto rubare la sua adolescenza da una guerra che
ha ucciso non solo soldati.
Con la classe sono andata a vedere uno
spettacolo teatrale bellissimo che racconta di Anne. È stato veramente bello! Coinvolgente e allo stesso tempo sconvolgente.
Grazie al personaggio di Anne sono stata
trascinata automaticamente nella storia;
ho iniziato a capire ciò che provava Anne
quando le hanno imposto il silenzio,
l’immobilità e il freno ai suoi istinti per
dieci lunghe ore. Ma piano piano non sono
andate via ore, sono andati via giorni,
mesi, anni, pezzi di vita; pezzi di Anne
sono stati persi in due anni, pezzi che
avevano impiegato quattordici anni per
formarsi e un attimo per sparire.
La cosa che mi ha colpito maggiormente è
stata però l’immagine della folla che seguiva Hitler, come se fosse stato un “dio”,
una guida, un esempio da seguire. È veramente pazzesco che attraverso la propaganda, una persona sia riuscita a convincere un popolo della propria superiorità.
Cosa può pensare del mondo in cui vive
una ragazzina che viene portata nei campi di concentramento; come può pensare
che anche lei fa parte di quella realtà,
come può realizzare che sono uomini
come lei a fare stragi, genocidi e torture?
Tornando ad Anne e alla sua famiglia: pochi mesi prima che gli americani arrivassero da loro sono stati scoperti e portati
nei campi, portati in un cimitero, un luogo
dove non si toglie la vita ad una persona,
ma le si toglie la dignità e si sconvolge la
consapevolezza di essere uomini come
tutti e la consapevolezza di non avere
niente di diverso da invidiare agli altri.
Sono stata a vedere un campo di concentramento, quello di Mauhthausen.
Non puoi entrare senza riuscire a vedere
persone e persone, come fantasmi, che
trascinano massi, trascinano gli ultimi
istanti della loro vita.
Ecco cos’era il campo di concentramento:
un campo infestato da fantasmi, da dannati senza colpa che si trovano faccia a
faccia con l’inferno, un inferno non meritato.
Appena entrati nel campo di concentramento ti senti invaso dalla paura, un tetro
presentimento, paura che quei cancelli
appena oltrepassati si richiudano alle tue
spalle.
Fai pochi passi, eterni. Arrivi ai dormitori.
Non sono dormitori, sono ossarini.
L’immagine di quei corpi ammassati, che
piangono la morte del figlio, del marito,
della moglie.
Altri passi. Scendi. Arrivi alle docce. Come
docce? Per fare cosa? La realtà ti salta agli
occhi, invadente: sono docce, sì, docce
che lavano, lavano e mandano via la vita:
le camere a gas.
La paura piano ma inesorabilmente cresce. Arrivi trascinando i piedi ai forni: minuscoli! Ci passa solamente un bimbo appena nato… oppure le ossa di uomo.
Come abbiamo fatto noi, esseri umani, a
fare una cosa così truce? Com’è possibile
che tutte quelle torture siano opera della
mente umana? Arrivi al punto che hai paura a pensare, potrei benissimo pensare
cose altrettanto crudeli?!
Pensiamo alla vita degli ebrei, alla vita di
Anne che ha visto sparire la sua adolescenza, agli orrori commessi e… non dimentichiamo!!!
Una parola può essere pericolosa quanto
pericoloso può essere un fucile; anzi no,
le parole sono gli strumenti di tortura più
crudeli che si siano mai inventati ma purtroppo sono umane!
Una parola è bastata per distruggere migliaia di vite, migliaia di anime, migliaia di
identità.
Facciamo in modo che, con le nostre parole ed i nostri pensieri queste vite si riaccendano e rivivano nei nostri ricordi e nelle nostre menti, in un angolo che sarà loro
per sempre.
Un’altra cosa che mi ha colpito tantissimo
al campo di concentramento è stato un libro, messo a disposizione dei visitatori:
quel libro racchiudeva il dolore di tutta
l’umanità; pensieri scritti in tutte le lingue
ma legate da un linguaggio universale, il
linguaggio del cuore!
Sul libro sono state scritte frasi bellissime
che anche se scritte in altre lingue si potevano capire benissimo: “È giusto che anche i bambini vedano, vedano per non dimenticare”, “Il nostro cuore rimarrà con
tutti i morti”, mia sorella e i miei genitori
hanno fatto altrettanto scrivendo il loro
pensiero, io non ci sono riuscita, un senso
di asfissia mi ha imprigionata, la mia
mente è caduta nel silenzio.
Anche il silenzio però può servire a non dimenticare, non dimenticare gli errori, le
torture, le vite e il dolore commesso.
(R.F. III H)
La figura di Anne, appare ancora
oggi attuale. I suoi problemi, soprattutto
quelli riguardo ai suoi rapporti con la madre, non sono infatti diversi da quelli che
a volte abbiamo noi ragazzi di oggi, così
come attuali sono le difficoltà di vivere
con persone estranee in uno stesso ambiente ristretto, senza avere a disposizione neanche un piccolo spazio nel quale rifugiarsi in quei momenti in cui vogliamo
stare da soli a pensare ai nostri fatti personali. Per fortuna oggi non sappiamo che
cosa vuol dire soffrire la fame, ma soprattutto non sappiamo immaginare cosa si
prova a dover vivere nascondendoci agli
altri, per problemi di razzismo, perché a
questa età abbiamo voglia di crescere, di
sentirci liberi e di divertirci.
(F.C. III H)
Il mio giudizio su quest’opera è positivo: mi è piaciuto molto e soprattutto mi
è piaciuta la cornice storica che il regista
ha inserito in modo geniale nell’opera.
L’Olocausto non va dimenticato proprio
per non rifare l’errore commesso dai tedeschi.
(L.P. III H)
In quel piccolo rifugio c’era solo
una persona a dare allegria, c’era lei,
c’era soltanto lei: Anne Frank.
Provo a immaginare se avrei avuto la forza o la volontà di scrivere un libro anch’io
in tale terrore. Sono stata molto colpita
dal suo modo di comportarsi perché mi fa
riflettere su come oggi noi ragazzi ci perdiamo in tante superficialità, sciocchezze,
mentre Anne tentava di vivere il meglio
possibile la sua vita, nonostante la continua paura di morire.
Pensava che un giorno sarebbe diventata
famosa. In fondo c’è riuscita, ma la sua
vita è terminata in un campo di concentramento!
(G.D.G. III H)
Il bello è che Anne Frank non perse
mai la speranza, fu sempre allegra e
sorridente.
(E.O. III H)
Lo spettacolo è stato molto bello e
tutti, alla fine, abbiamo fatto un applau-
so lunghissimo.
Durante lo spettacolo hanno fatto vedere
il treno che entrava ad Auschwitz e noi
siamo rimasti di pietra nel vedere le immagini del campo di concentramento
dove tutte le persone erano ridotte pelle e
ossa.
Tornati in classe abbiamo continuato a
parlare di questa vicenda; una nostra
compagna ha raccontato di aver visitato
Auschwitz e, anche senza la gente, era un
posto che faceva paura.
Anche il mio nonno ha rischiato di essere
prigioniero in un campo di concentramento, per fortuna non è andata così perché
ha avuto il coraggio e la disperazione che
ti dà la certezza di andare a morire di buttarsi di sotto dal treno che lo stava portando via. Con sé costrinse a buttarsi un
amico che aveva paura: ancora oggi questa persona dice che deve la sua vita a lui.
I tedeschi sparavano e loro vedevano i
ciuffi d’erba intorno a loro falciati dalle
pallottole delle mitragliatrici. Ma il treno
era in salita e non poteva fermarsi: questa fu la loro salvezza.
(C.L. III H)
È stata una bellissima esperienza
perché gli attori sono stati molto bravi ad
immedesimarsi nel ruolo e nel riuscire a
far provare a noi spettatori le stesse emozioni d’angoscia, terrore, solitudine che
devono aver provato a quel tempo i
Frank, i Van Daan, il signor Dussel, e tutte
le altre famiglie ebree. Nonostante tutte
le difficoltà che la situazione comportava,
Anne è riuscita in ogni occasione ad infondere agli altri coraggio e forza per andare
avanti e a vivere una vita spensierata e
passionale leggendo, scrivendo il suo diario e parlando con le persone a lei vicine.
Queste
otto
persone,
rinchiuse
nell’alloggio segreto e costrette a mangiare crauti e patate marci, ogni minuto
vivevano nell’angoscia di essere scoperti
e di essere presi dai tedeschi per essere
poi messi su un treno diretto verso Est…
E pensare che dovevano stare quasi dieci
ore al giorno fermi e zitti! Non so come
avrei reagito io al posto di Anne, ma credo
che avrei avuto le reazioni opposte. La
scena che mi ha colpito particolarmente è
stata l’ultima: Anne, sua sorella e Peter
parlano del futuro, immaginano e fanno
progetti sul da farsi appena usciti, i Frank
e i Van Daan parlano e sorridono in vista
della libertà. Improvvisamente una sirena
si avvicina, si ferma sotto l’alloggio. Poi
silenzio…
(C.F. III H)
Nella soffitta i giorni passavano
lenti tra mille paure, quando una sera
ascoltarono alla radio che gli alleati,
Inglesi e Americani, si stavano avvicinan-
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