sapore di libri - Comune di Costigliole Saluzzo

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sapore di libri - Comune di Costigliole Saluzzo
biblioteca civica di costigliole saluzzo
sapore di libri
le nuove letture di giugno 2000sei
antonio scurati
il sopravvissuto
Una scuola. Una strage. Un professore in cerca della verità nel mistero
dell'insegnamento. "E' con me che stava parlando. A voi non aveva niente da dire. A
voi
ha
sparato."
In un liceo come tanti, è il giorno della prova orale dell'esame di Stato. La
commissione attende, svogliata, il primo candidato: Vitaliano Caccia, ventenne
esuberante, inetto, tracotante e formidabile, destinato a una seconda bocciatura da
un
rituale
ambiguo
e
da
un
sistema
perverso.
Quando, però, finalmente arriva, Vitaliano estrae una pistola e stermina i suoi
professori, a uno a uno, a sangue freddo e a bruciapelo. Risparmia soltanto Andrea Marescalchi, il suo
insegnante di storia e filosofia. Il sopravvissuto. Spetterà a questi, in una corsa a perdifiato contro il
tempo, il compito di interrogarsi sulle ragioni dell'inaudita violenza, e di indagare, come una sorta di
detective della colpa metafisica, sul male che è in lui e, forse, in tutti noi...
Romanzo di idee e di immagini, nel quale una narrazione avvincente, ispirata a tutti i generi letterari, si
intesse a profonde meditazioni, questa nuova prova di Antonio Scurati fa riecheggiare con forza estrema
e dissonante lo "spirito del tempo" di un'epoca, la nostra, in cui tutti ci sentiamo, senza saperlo sino in
fondo, possibili vittime di una violenza "casuale", priva di motivi comprensibili e di cause riconoscibili. Una
violenza che non viene più da un nemico esterno, bensì da uno spazio interno, sotterraneo. Da una rinata
memoria del sottosuolo.
coulm mccann
la legge del fiumel
“Avevano vissuto la propria vita spacciandosi l’uno per l’altro, il fiume e lui, un tempo
irrefrenabili, smaniosi d’imboccare nuove strade e correre via impetuosi, mentre ora
procedevano
lenti,
verso
il
mare.”
Per cinque anni Conor Lyons ha tentato invano di ritrovare sua madre; ne ha seguito
i passi dal Messico in California fino nel Wyoming. Ora, a ventitré anni, decide di
tornare in Irlanda da suo padre, che ormai è solo l’ombra dell’avventuroso fotografo
di un tempo. Il vecchio non vuole ricordare, ha poco da dire, passa le giornate
pescando nelle acque inquinate di un fiume che scorrono inesorabili, secondo legge
di natura. Dai silenzi di quell’uomo ruvido e sofferente, Conor deve intuire che cosa è accaduto alla madre
tanti anni prima. La sua ricerca si intreccia con la storia dei genitori, in un’evocazione magica dell’abisso
che separa la memoria dall’immaginazione, l’amore dalla perdita, il passato dal presente.
james crumley
l’anatra messicana
All'inizio sembra un caso qualsiasi: rintracciare la madre di un cliente, che desidera
che sia presente al proprio matrimonio. Il fatto che il cliente in questione sia il leader
di una banda di motociclisti specializzati nel traffico di droga lo rende forse un po'
bizzarro, ma i casi bizzarri non sono una novità per C. W. Sughrue, cinquantenne
senza illusioni, reduce dal Vietnam, ex investigatore privato e barista part-time a
Meriwether, Montana. La donna, un'aristocratica messicana sposata a un petroliere
texano molto attivo in politica, sembra misteriosamente scomparsa. Ma sulle tracce
non c'è solo l'Fbi: sulla pista di Sughrue, una pista che lo porta in viaggio dal Montana
al Colorado e, attraverso tutti gli Stati Uniti, fino al confine messicano, compaiono e scompaiono gruppi
misteriosi di pretesi fuorilegge dall'accento vagamente sudamericano e cominciano ad accumularsi i
cadaveri. E mentre attorno al protagonista si aggrega uno strano gruppo operativo di ex commilitoni,
splendide poliziotte in borghese, ragazze-madri indifese, ex contrabbandieri più o meno redenti e anime
perdute, la ricerca, da grottesca qual era all'inizio, si fa sempre più violenta e sanguinosa.
E
disperata.
Un romanzo anticonvenzionale, ricco di tenerezza e ironia, che stravolge gli stereotipi del "nero" e del
giallo hard boiled per puntare al cuore di un'America in cui, sotto la superficie del reaganismo, non si
sono ancora placati né i fantasmi del Vietnam né i ricordi struggenti del sogno degli Anni Settanta.
rosso corallo
sveva casati modignani
Rosso corallo: un colore che parla di passione. Come quella che percorre questa storia
intensa, dominata da una protagonista decisa a realizzare i propri sogni senza tradire
se stessa. Liliana Corti cresce, insieme ai tre fratelli, in una famiglia operaia nella
Milano del dopoguerra. Dai genitori ha imparato a preservare la sua dignità e a
rivendicare i propri diritti in una società in cui i più deboli subiscono spesso soprusi e
ingiustizie. Intanto, i tempi cambiano velocemente: arrivano gli anni del boom
economico, la contestazione, i giorni cupi del terrorismo, la "Milano da bere", l'intreccio
tra politica e affari... Liliana, con impegno e sacrificio, ha bruciato le tappe di una
professionalità sfolgorante ed è riuscita anche ada vere la sua famiglia. Ha sposato un uomo tenero,
comprensivo e disponibile. Per un attimo ha accarezzato l'idea di abbandonarsi alla passione per un altro,
e ha pure vissuto sulla sua pelle la dissennata ferocia di chi voleva cambiare il mondo a colpi di pistola.
Assiste disorientata alla fine della sua lunga carriera, ma ancora una volta ne esce vincente. E anche i
suoi fratelli si sono fatti largo nella vita... con un po' di fortuna e tanta buona volontà. Ma la vera forza
dei Corti è stata la coerenza intellettuale, rafforzata dai principi con i quali sono stati educati. Tra vicende
private ed eventi della nostra storia recente, Sveva Casati Modignani costruisce un grande romanzo
corale dal solido impianto narrativo, capace insieme di commuovere, far riflettere e sognare.
olaf olafsson
una passeggiata nella notte
Kristjan Benediktsson è l'inappuntabile maggiordomo di uno degli uomini più ricchi e
potenti degli Stati Uniti: il magnate della carta stampata William Randolph Hearst. E
con impeccabile discrezione, oltre a occuparsi del maniero di San Simeon, in
California, si prende cura di lui e della sua amante, un'attrice fragile e affascinante
che nell'alcol cerca di dimenticare gli insuccessi di una carriera in declino. Calandosi
con maniacale precisione nel ruolo di maggiordomo, Kristjan cerca di negare una
parte di sè: quella che, vent'anni prima, tra i ghiacci e le brume dell'Islanda aveva
vissuto intensamente l'amore per la moglie Elisabet e poi l'aveva abbandonata
insieme ai loro quattro figli per inseguire negli Stati Uniti una passione finita tragicamente. In Una
passeggiata nella notte il passato e il presente si intrecciano. Fino all'epilogo, in cui il peso del rimorso si
rivela
più
potente
di
qualsiasi
possibilità
di
riscatto.
In tutti i romanzi di Olafsson, il passato ha un peso determinante, tanto che lì va cercato il nucleo
esistenziale dei suoi protagonisti. Ognuno di loro, ad un certo punto sembra aver perso la propria strada.
Alcuni, alla fine, riescono a ritrovarla. Per altri, invece, il senso della colpa è incancellabile. Su questi temi,
lo scrittore islandese più tradotto al mondo costruisce magistralmente le proprie trame nitide e avvincenti.
E ci parla con una leggerezza che è solo apparente, del significato della vita e della forza dei sentimenti,
del pentimento e dell'espiazione.
pugni
pietro grossi
Il Ballerino è per bene, prende bei voti, non ha mai una ragazza, è goffo e "dice
sempre la cosa sbagliata": fa pugilato per riappropriarsi dell'esistenza; con la sua
leggerezza da libellula sul quadrato è diventato una leggenda, ma la madre gli vieta
di salire sul ring e lui non si è mai misurato. La Capra è povero, è sordo e non
riuscire a sentire le voci lo ha escluso dal mondo, combatte con testarda
determinazione ed è un campione, ma vuole sapere se veramente è lui il più forte.
"Boxe", il primo di questi tre ritratti di giovani alle prese con l'iniziazione alla vita,
parla di palestre e odori di corpi, di sacrifici e rese, della prova e della sfida, della
rivelazione del senso segreto della vita.
sergio bambarén
il guardiano del faro
Tuffo dopo tuffo, Daniel Alexander Dolphin impara ad ascoltare quella voce che solo
lui sente e quando arriva il momento, il Suo momento, non ha dubbi. Qualcosa al di là
della barriera corallina - oltre il limite delle acque sicure - lo attende invitandolo al
salto che cambierà per sempre la sua vita. Preso il largo, quale stupore scoprire di
non essere solo! Creature sconosciute, ma messaggere di sublime saggezza, lo
guideranno all'appuntamento con la sua onda perfetta.
massimo giannini
ciampi, sette anni di un tecnico al quirinale
La presidenza Ciampi, dopo quella di Einaudi, è stata probabilmente la piú
autorevole, prestigiosa ed efficace della storia repubblicana. Ha rappresentato
l'elemento unificante, l'unico riconosciuto e riconoscibile, di una nazione solcata da
fratture politiche profonde. Ha contenuto le spinte destabilizzanti della destra
berlusconiana. Ha disinnescato gli eccessi resistenziali della sinistra girotondina. Ha
esercitato un ruolo di mediazione istituzionale e culturale insostituibile. E' il pregio
del 'citizen Ciampi': si presenta da 'cittadino', e al tempo stesso lo rappresenta. Ne
incarna la domanda di normalità repubblicana. Nella perdurante involuzione dei
partiti e dei poli, la missione presidenziale non solo non si può considerare esaurita
ma diventa anche piú preziosa.
salvatore niffoi
la vedova scalza
Una tragedia. E’ una tragedia in forma di romanzo, il secondo libro di Salvatore Niffoi,
costruita sui temi classici della tragedia di sempre. Amore, morte, gelosia, vendetta.
Un incipit da ricordare: “Me lo portarono a casa un mattino di giugno, spoiolato e
smembrato a colpi di scure come un maiale.” Il morto si chiama Micheddu, la donna
che lo piange e che dice, “Da noi, a Taculé, gli sgarri vengono restituiti sempre con gli
interessi e un morto ammazzato senza motivo se ne porta subito altri appresso”, è
sua moglie Mintonia. Sarà lei a uccidere il colpevole, e non importa se è mandante o
assassino,
in
una
nerissima
e
grandiosa
scena
finale.
L’espediente narrativo che Niffoi usa è - dopo questo inizio fulminante - raccontare la storia al passato, in
una lettera che Mintonia ormai anziana scrive alla nipote dall’Argentina dove è fuggita, come una sorta di
testamento. Veniamo così a sapere il tempo della vicenda, perché Mintonia incomincia proprio dalla data
della sua nascita, il 21 luglio 1915. E osserviamo subito come sia un tempo senza tempo, quello della
Sardegna di Niffoi. Già ne La leggenda di Redenta Tiria avevamo notato come tutte quelle storie di gente
che sceglieva di morire parevano svolgersi in un’epoca remotissima, se non ci fossero state allusioni a
telefonini e televisioni, e, ne La vedova scalza, l’impressione è ancora più accentuata. Perché si parla del
podestà e del fascio, ma in primo piano ci sono i sentimenti primordiali che escludono ogni altra cosa,
“l’amore è onore e le offese non si lavano con la lisciva!”. Mintonia ha solo undici anni quando bacia
Micheddu per la prima volta, non amerà mai nessun altro e gli perdonerà le scappatelle: è la legge del
Sud, a un uomo aitante si concede che abbia altre donne, è una prova di virilità che ne aumenta il valore.
Siamo in Barbagia e basta accennare al resto della storia: qualche contravvenzione alla legge e Micheddu
si dà alla latitanza, ogni tanto ritorna a fare l’amore con Mintonia. Anche con un’altra però, una con l’aria
da signora che viene dal continente. La politica si mescola alla storia privata, a Micheddu viene attribuito
l’assassinio del podestà- verranno poi sepolti quasi insieme. E Mintonia elabora la vendetta.
Ma non è né Mintonia né Micheddu il protagonista de La vedova scalza di Niffoi, come non lo erano né
Redenta Tiria né tutti gli abitanti del villaggio di Abacrasta nel romanzo precedente- piuttosto la
Sardegna, “terra amata e odiata, che ti accarezza col vento di maestrale e ti uccide col gelo invernale”,
rude come la sua gente, dalla bellezza aspra e fiera come quella delle sue donne. Una terra in cui, come
abbiamo già detto, il tempo si è fermato (“Niente cambierà mai a Laranei e Tulané. Tutti continueranno a
parlare di miseri raccolti, malattie, guerre, disgrazie e magie, in attesa dell’ultimo viaggio che li porterà da
nessuna parte, oltre il mistero non raccontabile della morte”). E ci piace questa forte impronta
regionalistica nella scrittura di Niffoi, come ci piace - in un’epoca di globalizzazione - la sua lingua che usa
il dialetto non come un vezzo ma come un insostituibile strumento, l’unico che abbia le parole giuste per
dire questa storia con questi personaggi.
Marilia Piccone
stefania bertola
a neve ferma
Emma Trisciuoglio, aiutante pasticciera laureata in Stele di Rosetta, perde l’amore
tre giorni dopo averlo trovato. La signora Elena, invece, l’amore lo insegue invano da
trent’anni, e comincia ad avere un po’ di fiatone. Per fortuna c’è Camelia, che si
innamora senza difficoltà di chiunque incroci la sua strada. Il problema di Camelia,
casomai, è il quaderno di ricette che le ha lasciato in eredità suo nonno, scritto in un
codice misterioso. Peccato, perché forse, se riuscisse a decifrarlo, potrebbe vincere il
concorso "Una stella Per Natale". Lei, però, preferirebbe non partecipare neanche.
Emma, invece, parteciperebbe volentieri, anche se Andrea non la ama più. Bianca è
l’unica a cui il concorso non interessa, è troppo impegnata nella sua battaglia contro un giovane dottore
ripetutamente ladro. Aggiungete la pregiata Pasticceria Delacroix, un’attrice francese, un apprendista coi
piercing e gli imponderabili effetti di un film dei fratelli Wachowski, e preparatevi a qualche ora di intenso
divertimento, tra amori al cioccolato e sfide all’ultimo, dolcissimo assaggio..
catherine dunne
l’amore o quasi
Si può lasciar perdere un uomo come un ombrello? Delle volte sì, o quasi. All’inizio del
romanzo L’amore o quasi dell’irlandese Catherine Dunne, vola via sotto la pioggia
strappato da una raffica di vento. «Sarebbe inutile rincorrerlo», sa la protagonista
infradiciata. «E così lo lascia andare». Ma chi? Che cosa? Ombrello o marito? Al
momento è il parapioggia: rovesciato e ormai inservibile. Otto anni prima, allo stesso
modo - nemmeno Rose può impedirsi di ripensarci -, era il suo uomo che «così, di
punto in bianco», tempestivo come una tempesta di primavera, «se ne era andato con
la valigia piena di vent’anni di matrimonio», ribaltando l’esistenza di lei e dei loro tre ragazzi.
Ma la prima scena di L’amore o quasi è anche più allusiva ed esemplare: rappresentativa, simbolica ed
evocativa come un’allegoria. Vi si vede la donna sull’uscio, le braccia stracolme di borse, in mano il suo
riparo vigliacco e traditore, mentre armeggia maldestra per aprire la porta già tutta bagnata e scivolosa.
La
spesa?
La
casa?
La
smania
di
raggiungere
il
domestico
rifugio?
No, niente di tutto questo, e non solo perché il capofamiglia si è dileguato da un pezzo con le folate
d’aprile. Rose entra invece - alla fine sì, riesce a entrare: riemerge, guadagna la riva e, con la
soddisfazione di un naufrago, si rimette in piedi sulla terra ferma - nel suo posto di lavoro. È un posto suo
e il capo è lei: direttrice di una ditta di catering. «Bonne Bouche Catering»: dicitura che traduce in termini
glamour, modaioli, imprenditoriali, e moltiplica su (pro)porzioni da calcolare in cifre con due zeri, il
vecchio impegno - già assunto in veste di moglie e madre - di apparecchiare la tavola, arrotolare roulade
e guarnire vassoi di variopinte salsine e croccanti insalatine per clienti riuniti a centinaia. È cambiato
tutto, si direbbe. O: è cambiato tutto?, si domanderebbe. Quando Ben prese il volo, Rose lo vide
svaporare tra i fumi delle uova che bollivano nella casseruola. «All’epoca la sua vita era tutta pagnotte,
pizzette e panini: montagne di pasta lievitata che crescevano e crescevano nel calore inebriante della
cucina di casa». Adesso che è sola, le mani le infila in pasticci di salmone e tajine e, con fare dirigenziale,
con piglio manageriale, spunta liste della spesa come registri contabili «scalogni, peperoni, pomodori...»
(intanto il suo commercialista verifica il tornaconto sul registratore di cassa). Il cambio scena fa un effetto
trionfale e esilarante. Prelude però a un colpo di scena tanto teatrale quanto spiazzante.
Teatrale, va detto, è ogni gesto della prima attrice come delle comparse che l’attorniano nei panni di
aiutanti. Rose e le sue socie si muovono come fossero sempre al centro dell’attenzione di un pubblico, o
sotto l’occhio di una telecamera, o sotto lo sguardo divertito della loro autrice, che sullo scambio e
l’alternanza dei ruoli (mater familias e manager d’impresa, donna di casa e massaia in carriera, cuoche
emancipate dai fornelli per riprendere in pompa magna a spignattare) gioca tutto l’umorismo del suo
racconto. C’è poco da ridere però. Perché non si fa in tempo, «con fare deciso a staccare le foglie esterne
del lollo rosso» preparando il cenone per un giro di amici di famiglia - «animali pericolosi, sempre
preoccupati di farti stare al tuo posto» -, che ecco riappare la bestiaccia pronta a far rientrare nei ranghi
le libertarie casalinghe. Bestiaccia di famiglia: smarrita e rientrata all’ovile. Il babbo prodigo tornato dai
figlioli e annunciato da quella frase pronunciata per caso e per oscura premonizione.
L’amore o quasi è costruito così: è pieno di segnali, presagi, sortilegi, spie apotropaiche e battute
scaramantiche. La pasionaria Catherine Dunne, da anni impegnata a Dublino nella campagna per la
legislazione sul divorzio e l’emancipazione delle donne irlandesi, dimette da scrittrice i toni rivendicativi
dell’engagement e si abbandona al gioco delle coincidenze, degli intrecci, delle trappole: intrigante nella
narrazione. È un caso che a Rose sfugga un «Ben... tornato», rivolto all’amica che - «Come
bentornato?!» - già teme e sa che finirà per innamorarcisi ancora. È un caso che, armato di bottiglia di
vino e faccia tosta, il fedifrago si presenti a suonare il campanello in una nera serata di pioggia? La
padrona di casa gli apre con la faccia sorpresa di chi ritrova un vecchio ombrello dimenticato: ecco quello
che ci voleva, o quasi.
luciano violante
lettera ai giovani sulla costituzione
Cara Giovanna, caro Michele,…molti, anche della vostra generazione, pensano che la
Costituzione sia una specie di idolo, collocato in uno spazio lontano, che non ha nulla
a che fare con la vita, il lavoro, la salute, la quotidianità. Un affare per giuristi e
politici, non per i cittadini. Non è così». A che serve una Costituzione? Perché la
Costituzione non è una legge come tutte le altre? Su quali fondamenti sono state
scritte le carte costituzionali moderne? Per quali ragioni la Costituzione Italiana ha
avuto un cammino difficile di attuazione? Perché riformare una Costituzione? La
lettera non fornisce risposte assolute, ma propone un affascinante e rigoroso percorso
di ricerca a partire da una constatazione: l’attuale fragilità italiana nasce dallo smarrimento della
Costituzione. E proprio dalla consapevolezza di questo smarrimento può partire l’impegno di cui devono
farsi protagonisti i giovani per riappropriarsi di un patrimonio dimenticato di princìpi che danno significato
e valore al vivere comune. Ogni generazione ha diritto di chiedere a quella precedente di consegnarle il
senso della vita e uno scopo che vada al di là del quotidiano. Entrambi gli obiettivi richiedono valori che
rappresentino un quadro di riferimento. Non una persona o un partito che assolva quel compito o
pretenda di interpretarlo, ma un sistema di ideali nei quali riconoscersi e sulla base dei quali scegliere
l’orientamento da dare alla propria vita.
salman rushdie
shalimar il clown
Shalimar il clown, il nuovo romanzo di Salman Rushdie, è prima di tutto un canto
d’amore per il Kashmir, la patria dei suoi antenati, quanto c’è di più vicino al cielo, un
paradiso in terra di cui piange la scomparsa, perché si è trasformato in un inferno. E
poi è un grandioso romanzo d’amore e di gelosia e di vendetta, di avventura e di
guerra, che spazia in tre continenti nell’arco di tempo di quella seconda metà del
‘900 piena di rumore e di furia, dalla seconda guerra mondiale in Europa agli scontri
tra India e Pakistan, dal conflitto in Vietnam a quelli in Afghanistan e in Iraq, fino
all’attacco
terroristico
al
World
Trade
Center.
Due donne e due uomini sono i personaggi principali a ognuno dei quali è dedicato un capitolo del
romanzo:
India
e
Boonyi,
Max
Ophuls
e
Shalimar.
La vicenda inizia nel 1991 quando, a Los Angeles, l’ottantenne Max Ophuls viene assassinato sulla soglia
della casa della figlia India da Shalimar, l’uomo che ha ingaggiato come autista. Max è stato il capo dei
servizi antiterroristici americani e questo sembrerebbe un assassinio politico ma, mentre la vicenda si
sposta nel passato, il romanzo diventa la cronaca di una morte annunciata, perché le motivazioni
risalgono a un quarto di secolo prima, quando Max Ophuls era ambasciatore in India, si era innamorato di
Boonyi, la moglie di Shalimar, e lei lo aveva seguito a Bombay attirata dalle promesse di una vita diversa
da quella del suo villaggio incantato. E poi si era ritrovata prigioniera volontaria in un appartamento, a
ingozzarsi di cibo e a stordirsi con l’oppio. Finché era rimasta incinta. Era intervenuta la moglie di Max,
che si era presa la bambina, aveva messo Boonyi su un aereo per il Kashmir e laggiù l’adultera Boonyi
era stata condannata ad una morte in vita, esiliata in una baracca sui monti.
Questa è soltanto la traccia di un romanzo che contiene molto di più, la storia del Kashmir che incomincia
- come tutta la storia dell’India moderna - dal fatidico 1947 che segna l’inizio dell’Indipendenza ma anche
della Spartizione. Dopo di che il Kashmir - il paradiso della tolleranza in cui indù e musulmani avevano
vissuto in concordia fianco a fianco (e ne è un esempio l’allegra e colorata cerimonia di nozze tra il
musulmano Shalimar e l’indù Boonyi) - diventa una terra contesa, focolaio di guerriglieri del Fonte di
Liberazione, via di passaggio per le armi verso l’Afghanistan, dominio dei fondamentalisti, teatro di
pogrom contro i pandit. E la voce di Salman Rushdie, che cambia di tono nelle sezioni del libro
ambientate in India, quasi che i miti e le leggende e le tradizioni antiche le conferissero una maggiore
ricchezza e una qualità lirica, diventa accorata e sgomenta davanti agli stupri, le violenze, le stragi, in un
incalzare
di
domande
senza
risposta
che
spieghino
quegli
orrori.
Non stupisce la trasformazione di Shalimar da acrobata che sembra camminare sull’aria in mujahid, un
guerriero che combatte per la guerra santa. Il ragazzo che si è innamorato a quattordici anni e che ha
cambiato il suo vero nome, Noman, in Shalimar, “la dimora della gioia”, in memoria dei giardini moghul in
cui videro la luce sia lui sia Boonyi, ha giurato di vendicarsi. La vendetta è un piatto che va servito freddo,
Shalimar è capace di aspettare, prima di uccidere la donna che lo ha tradito e il suo amante: “gli altri
combattono per Dio o per il Pakistan: io uccido perché è quello che sono diventato. Sono diventato la
morte.” Se Shalimar rappresenta l’uomo che antepone l’onore alla proibizione divina di uccidere, alla
civiltà, alla cultura e alla vita stessa, Max Ophuls è il suo opposto. Max Ophuls, con le sue debolezze, il
suo egoismo e i suoi errori è l’eroe che giganteggia nel romanzo che porta il nome di Shalimar nel titolo.
Ebreo di Strasburgo, di famiglia ricca proprietaria di una casa editrice, eroe della Resistenza francese,
l’uomo che si era infiltrato tra le SS seducendo la famigerata “Pantera”, ad un certo punto aveva scelto
un ruolo di falsario di carte d’identità perché, per quanto il terrorismo fosse elettrizzante, per quanto
fosse giustificato dalla causa, a lui risultava impossibile saltare gli ostacoli morali che bisognava superare
per compiere questi atti. Max Ophuls è l’uomo dalle grandi passioni capace di dare tutto se stesso e, se il
suo comportamento con Boonyi viene interpretato come una metafora della politica dell’America in
Vietnam, Max non ha però timore di parlare apertamente contro la militarizzazione della valle del Kashmir
e, pochi giorni prima di morire, di fare un intervento in televisione per denunciare la distruzione del
“paradiso”. Shalimar il clown è un ponte tra Oriente e Occidente, non solo perché la scena si sposta tra
India, Europa ed America, ma perché Rushdie padroneggia la cultura dei due mondi e nel romanzo i miti
indiani- Anarkali che viene murata viva per aver rubato il cuore al principe Salim prefigura la sorte di
Boonyi, i due pianeti ombra dell’amore e dell’odio si contendono l’anima di Shalimar - si alternano alle
immagini della letteratura occidentale, l’usignolo di Keats canta per il pandit Kaul, la neve che cade fitta
sui vivi e sui morti nell’Irlanda di Joyce ricopre il cadavere di Boonyi, le parole delle donne del coro ne
L’assassinio nella Cattedrale di Eliot si rincorrono sulla bocca delle vedove che commentano la morte
violenta di Max, il sospiro pieno di desiderio, “il Kashmir in primavera, le gemme sui chinar, i pioppi che
ondeggiavano…” echeggia il rimpianto per l’Inghilterra dell’esule Browning, e Shalimar e Boonyi sono gli
amanti shakespeariani segnati dalle stelle.
Marilia Piccone
julia butterfly hill
la ragazza sull’albero
Quando nel dicembre del 1997, a 23 anni, Julia Butterfly Hill si è arrampicata in cima
a una sequoia di sessanta metri, chiamata Luna, per protestare contro l’abbattimento
di una foresta di alberi millenari ad opera della Pacific Lumber, una grossa società
nel settore della lavorazione del legname, pensava di rimanerci qualche settimana.
Ne è scesa soltanto due anni più tardi, dopo aver ottenuto un accordo, di grande
valore simbolico, in base al quale la società si impegnava a conservare Luna e gli
alberi circostanti. Appollaiata su una minuscola e precaria piattaforma tra i rami della
sequoia, Julia ha dovuto superare prove estreme, dal freddo alla fame,
dall’inclemenza del tempo alla solitudine e al dolore di assistere alla distruzione di una foresta
antichissima; ha dovuto vincere dubbi e paure, ma ha vissuto anche momenti di straordinaria intensità. E
così, da normale ragazza americana, si è trasformata in un’eroina per caso, pronta a lottare con passione
e determinazione per le proprie convinzioni.
sam bourne
il codice dei giusti
Will Monroe è un giovane che ha lottato duramente per realizzare il suo sogno di
diventare giornalista al New York Times. Il destino sembra però aver deciso di
concedergli una possibilità di emergere: Will scopre che un omicidio apparentemente
banale – un magnaccia accoltellato nei bassifondi – nasconde una notizia
interessante. La vittima, a dispetto della sua vicenda criminale, aveva compiuto
un’azione straordinariamente «buona e giusta », guadagnandosi il rispetto e la
gratitudine di una donna in difficoltà, e tenendo sempre nascosta questa sua
inclinazione al bene. Will pubblica la storia con successo, ma in breve una scoperta lo trascina in un
vortice di terrore.Tra decine di omicidi commessi in tutto il mondo sembra esserci proprio questa
correlazione: le vittime erano persone in apparenza spregevoli o umili che in realtà possedevano un
animo
giusto.
Gli avvenimenti precipitano quando qualcuno rapisce la moglie di Will e lo mette in guardia: non può
avvertire la polizia e non deve continuare la sua inchiesta. Disperato, Will fa ricorso a vecchi amici esperti
d’informatica e misteri esoterici. Una pista lo porta alla comunità ebraica di Crown Eights: la catena di
omicidi sembra ispirata da un’antica profezia, ma saranno gli ebrei ortodossi gli artefici della congiura, o
dietro a tutto c’è qualcuno ancor più fanatico e spietato di quello che Will immagina?
beppe grillo
tutto il grillo che conta
Il greatest hits di Beppe Grillo: una raccolta di testi che, per la prima volta, rende
merito al talento, all’intelligenza critica e alla causticità satirica di uno dei veri
protagonisti della comicità italiana. Dal 1993 al 2005 tutte le tappe importanti del
Grillo televisivo, del Grillo teatrale e del Grillo che scrive sui giornali.
Il volume raccoglie lunghi segmenti degli spettacoli in teatri e palazzetti e delle
trasmisssioni televisive dal "Beppe Grillo Show“ su RAI uno nel 1993, a "beppegrillo.it“
nel 2005, nonchè undici dei principali articoli pubblicati da Grillo sulla stampa italiana
dal
1993
al
2006.
“Vent’anni fa ho fatto una pubblicità. Ma poi ho capito alcune cose sulla pubblicità. Quindici anni fa me la
prendevo con i politici. Ma poi ho capito alcune cose sull’economia. Dieci anni fa finivo i miei spettacoli
sfasciando
un
computer
a
mazzate.
Ma
poi
ho
capito
alcune
cose
sui
computer
e
su
internet.
Oggi la pubblicità mi sembra uno dei mali peggiori, l’economia la vera padrona della politica, internet uno
dei pochi spiragli per difendersi e ridare alla politica lo spazio che l’economia le ha rubato.”
Beppe Grillo
valeria montaldi
il monaco inglese
Milano, 1246. Nel buio della notte, le mura della città sono rischiarate da una luce
sinistra: un incendio sta distruggendo la casa di Guglielmo. L’uomo, rispettato mastro
muratore, muore tra le fiamme insieme alla moglie. Dal limitare del bosco, Juditha, la
strega del Quadronno, segue in silenzio la fuga guardinga dell’uomo che ha appiccato
il rogo. Nel frattempo, Arnolfo, l’abate di San Simpliciano, deve affrontare la prova più
difficile della sua vita: difendere l’onorabilità del monastero dai raggiri di Birago, un
mercante senza scrupoli. Il recente e prestigioso matrimonio della figlia Anselma con
un erede della potente famiglia Della Torre non basta a nascondere i loschi raggiri del
mercante: ben presto i sospetti verso la sua condotta sciagurata diventeranno certezza. Frate Matthew,
tornato a Milano per incontrare l’amico Arnolfo, si troverà suo malgrado a doverlo aiutare ancora una
volta, condividendo con lui il peso di una colpa segreta. Mentre in città le voci che accusano Birago si
fanno sempre più ricorrenti, Matthew cercherà la prova che dimostri l’innocenza di Arnolfo. Lungo il
gravoso cammino che gli è stato imposto rischierà la vita, ma incontrerà anche una donna capace di
risvegliare in lui un sentimento che non credeva di poter provare. Tra i vicoli polverosi di Milano, intanto,
cresce la rabbia del popolo contro l’arrogante potere del ceto mercantile e verso il podestà: ignara della
tragedia che sta per abbattersi su di lei, la giovane Anselma segue il filo sottile di una inaspettata
rivelazione
che
la
condurrà
a
scoprire
un
segreto
sconvolgente.
L’abilità narrativa e la perfetta documentazione storica permettono a Valeria Montaldi di costruire un
racconto avvincente in cui la presenza di alcuni protagonisti dei suoi romanzi precedenti contribuisce a
legare il lettore a una vicenda intrigante, quanto mai evocativa dell’atmosfera di Milano in età comunale.
angela lambert
la donna che amò hitler
Eva Braun era stata appena assunta dal fotografo Hoffmann di Monaco quando, nel
1929, conobbe un uomo che le venne presentato come "Herr Wolf" e di cui
Hoffmann era da anni il fotografo ufficiale. Aveva 17 anni e quell'uomo era un
politico destinato a un brillante avvenire: Adolf Hitler. Due anni dopo, Èva sarebbe
diventata la sua amante, conosciuta quasi solo all'interno della cerchia più ristretta
del Fuhrer. Sacrificò a Hitler i suoi sogni, la possibilità di avere una famiglia e dei
figli, accettando dì vivere una vita in incognito accanto a un uomo che non perdeva
occasione di umiliarla in pubblico. Nei quattordici anni della loro relazione,
culminata con un matrimonio celebrato poche ore prima del suicidio con lui nel bunker della Cancelleria,
Èva e il Fuhrer non andarono mai in vacanza insieme e raramente si vedevano da soli; persino se
assistevano a proiezioni cinematografiche private erano accompagnati spesso dai numerosi membri della
corte del dittatore, come Joseph Goebbels e Albert Speer, con il quale Eva riuscì a stringere un'amicizia.
Fondato sui ricordi di famiglia, alcuni dei quali inediti, sulla documentazione conservata in Germania e
negli Stati Uniti, sulle interviste realizzate dopo la guerra agli intimi di Hitler, questo libro, corredato di
foto rare e preziose, offre un ritratto approfondito e affascinante di una donna e del mistero che tuttora
la circonda. Ma quello di Angela Lambert è anche un viaggio personale dell'autrice alla scoperta della
storia della propria famiglia (la madre, tedesca, era contemporanea di Eva Braun), e della Germania dagli
anni Venti alla tragica fine del Terzo Reich. Il destino della Braun diventa così il paradigma di una storia
sociale delle donne tedesche durante il nazismo e di quella banalità del male che forse trova la sua
incarnazione proprio nella figura di questa giovane donna cattolica, che visse apparentemente ignara
delle atrocità che venivano commesse sotto i suoi occhi. Un libro che guarda da una prospettiva inedita
all'enigma irrisolto del carisma di Adolf Hitler e della sua capacità di sedurre e portare alla rovina un'intera
nazione.
pia pera
il giardino che vorrei
Con il volume Il giardino che vorrei Pia Pera accompagna il lettore nella ricerca di
un giardino “dei desideri”: attraverso scenari climatici e paesaggistici molto diversi
tra loro l’autrice si racconta, e ci racconta come fare un giardino suggestivo, ricco
di piante ed essenze per dare spazio alla bellezza della natura, rispettando il
contesto ambientale. L’introduzione muove su due livelli intrecciati: da un lato aiuta
chi cominci da zero a porsi le domande indispensabili prima di mettersi all’opera,
dall’altro traccia a grandi linee un’estetica e una filosofia del giardino in cui siano
centrali il rispetto per la natura, l’ambiente e il paesaggio. In questa ottica,
vengono considerati nove scenari possibili, legati ciascuno alla sua specifica dimensione botanica e
climatica: acqua, sole e ombra; mare, pianura, collina e montagna; città e orto. Un giardino riverbera la
qualità del sentimento di chi se ne occupa, ma c’è amore e amore. Un certo tipo di amore uccide oppure
esprime l’aspirazione al controllo assoluto. L’amore di cui necessita un giardino è d’altro genere, in nulla
diverso da quello di cui sono assetati gli esseri senzienti: è fatto di attenzione, partecipazione, cura,
rispetto. Non solo per le piante, gli insetti, gli uccelli, presenze naturali in giardino, ma anche per noi
stessi. Il giardino che vorrei si snoda in un doppio percorso: quello squisitamente poetico di Pia Pera, che
non tralascia tuttavia gli aspetti botanici e pratici affrontati nelle appendici di ogni singolo capitolo, con
indicazioni precise sulle piante più idonee e tutte le informazioni botaniche necessarie; quello visivo delle
interpretazioni fotografiche di Cristina Archinto, capaci di rendere la grazia timida delle piante più umili
come il fascino di certe tessiture colte nel loro momento di grazia, cogliendo con l’obiettivo angoli di
charme che appartengono a un paesaggio quotidiano e accessibile. Due visioni “d’autore” che
accompagnano nella scoperta di come la bellezza della natura si nasconda ovunque, anche dove meno ce
l’aspettiamo.
ascanio celestini
scemo di guerra
<<Il 4 giugno 1944 mio padre c'aveva otto anni. Mio padre diceva che rischiò di
morire per una cipolla. Per quella cipolla uno scemo di guerra gli sparò addosso. Mio
padre diceva che lo mancò per un pelo, ma perse la cipolla. Diceva che i tedeschi
scappavano da Roma e gli alleati stavano arrivando. Tutti 'sti soldati attraversavano
la città da sud verso nord, e invece lui per tornarsene a casa andava nella direzione
opposta. Mio padre diceva che camminò contromano rispetto alla Storia». Il giorno
della liberazione di Roma dentro gli occhi di un ragazzino. Una storia raccontata per
trent'anni, poi ramificata nella memoria e nella fantasia, dove il bombardamento di
San Lorenzo può stare accanto alla leggenda del barbiere dalle mani belle e il rastrellamento del
Quadraro si trasforma nella parabola delle mosche pacifiche e perfette. Nelle pagine di Ascanio Celestini,
così come nei suoi spettacoli, non resta che arrendersi all'incantesimo della grande narrazione. Ci sono un
uomo e un ragazzino che attraversano Roma a piedi per tornarsene a casa. È il 4 giugno del 1944. Hanno
un cartoccio con un pezzo di fegato e un uovo da mangiarsi per cena, e nella testa un progetto
grandioso: mettere insieme mille lire per costituire "la società del maiale" e comprarsi un maiale sano
sano, tutto intero. «Durante la guerra la notte è la fine del mondo», si dice in questo libro. Ma quel
mattino sta iniziando davvero un giorno nuovo. I tedeschi lasciano la città sparsi e scalcinati, ben lontani
dalle luccicanti parate di pochi mesi prima, e per le strade si vedono certi soldati nuovi di zecca.
Potrebbero essere gli americani. O forse sono ancora tedeschi. A meno che non siano tedeschi travestiti
da americani... Raccontare senza ombra di retorica i momenti di svolta della storia richiede un talento
molto speciale: nella scrittura di Ascanio Celestini, così come negli occhi di questo ragazzino che guarda
gli aeroplani rincorrersi nel cielo, c'è la capacità di ve dere dentro, dietro, intorno alle cose. Con il
vertiginoso concatenarsi tipico della narrazione orale, cronaca e favola s'incontrano dando vita al piacere
purissimo del racconto. In una struttura insieme rapsodica e sinfonica vediamo una guerra che è tutte le
guerre, un soldato che è tutti i soldati, vediamo la storia diventare mito. E piano piano si assottiglia la
differenza fra quello che è stato e quello che avrebbe potuto essere. Perché «quando uno si mette a
raccontare... racconta e racconta... e all'inizio dice quello che è successo veramente, ma poi finisce per
raccontare quello che avrebbe voluto che succedeva».
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