Verità, annuncio e autenticità di vita nell`era digitale
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Verità, annuncio e autenticità di vita nell`era digitale
Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale 45a Giornata mondiale comunicazioni sociali - 5 giugno 2011 Incontro a Cremona con i giornalisti 24 gennaio 2011 – San Francesco Di Sales Paolo Bustaffa, direttore Sir Questo messaggio si pone in continuità con quelli degli ultimi quattro anni: 2007: I bambini e i mezzi comunicazione: una sfida per l’educazione 2008: I mezzi di comunicazione sociale: al bivio fra protagonismo e servizio. Cercare la Verità per condividerla. 2009: Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia. 2010: Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola. 2011: Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale. Il messaggio per la 45° Gmcs é rivolto agli operatori della comunicazione, ai naviganti in Internet, alla comunità cristiana. Come è sempre per le parole del Papa anche queste si rivolgono a ogni uomo e a ogni donna che avvertono la responsabilità di contribuire alla crescita della società in cui vivono. Tento di cogliere alcuni passaggi che, a mio avviso, più di altri interrogano la professione giornalistica messa continuamente a prova dalle nuove tecnologie. Aggiungo però subito che anche la professione giornalistica mette alla prova le nuove tecnologie. Mi richiamerò a 10 passaggi del messaggio premettendo che ci sono tre parole che non possono mai essere tralasciate nella lettura del messaggio: verità, coscienza, persona. 1 - Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre più spesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra il produttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sempre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive.” Per i giornalisti questa considerazione ripropone la domanda sul futuro della loro professione , sulla sua qualità, sui necessari suoi cambiamenti. Di fronte a una realtà in continuo e rapido sviluppo il giornalismo è chiamato a interrogarsi sul suo ruolo di “magistero” (informazione dall’alto) e sulla prospettiva di assumere un ruolo di “mediazione” (informazione dal basso). Il dibattito è da tempo aperto e coinvolge diversi aspetti. Tuttavia un ruolo di “mediazione” non comporta perdere in professionalità, significa piuttosto mettere con più forza la qualità professionale nella rete che ha i suoi tempi, le sue regole, i suoi linguaggi, i suoi limiti e suoi miraggi. Ed è questa qualità che può rispondere a quanti prevedono la fine dei giornali e il sorgere dei media senza giornalisti ed è ancora questa qualità che nel grande brusìo mediatico può evitare le derive che nel messaggio del Papa vengono più volte indicate. Il dialogo, anche nel web 2.0, ha bisogno di una informazione fondata su regole “tecniche” condivise e su valori etici. 2 - La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio “profilo” pubblico. La sfida dell’autenticità per un giornalista cosa potrà mai essere se non la consapevolezza che il suo lavoro ha come fine irrinunciabile la ricerca della verità, piccola o grande che sia. Non è una presunzione, è la fatica di ogni giorno. Nel suo essere uno storico dell’istante il giornalista mette in gioco il rigore della ricerca, che si fonda sulla competenza, sulla coscienza retta, sulla memoria, sulla fatica del pensare, sull’onestà intellettuale, sulle relazioni con le persone. 3 - Chi è il mio “prossimo” in questo nuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di essere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Abbiamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? E’ importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita. Anche per un giornalista la domanda “Chi è il mio prossimo?” è irrinunciabile. Si tratta di ricomprendere nella professione il valore della persona e della sua dignità. Non si può - come sta accadendo - affermare che la notizia è sacra e quindi si può piegare tutto ad essa, anche la dignità delle persone. Sapendo, cosa c’è dietro questa affermazione in termini di interessi non propriamente illuminati dalla verità. E’ la persona ad essere sacra, ciò non significa che si deve tacere il negativo e il male ma significa che occorre rispettare quei principi etici che i giornalisti si sono dati con le loro carte. Il recupero convinto e condiviso della deontologia sarà di grande utilità anche in quel ruolo di mediazione del giornalismo nelle nuove tecnologie a cui si faceva riferimento. 4 - Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro. Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita. Ci può essere uno stile cristiano anche nella professione giornalistica? Che senso può avere questo stile per i giornalisti che cristiani non si ritengono?. Lo stile cristiano non uno stile “confessionale”, non è neppure uno stile astratto e da sognatore. Lo stile cristiano è stato ed è quel supplemento di novità o di “altro” – sempre da ricercare nei fatti e nelle persone - che non si pone con presunzione rispetto ad altri stili ma fa nascere domande, apre nuove prospettive, fa cogliere quello che a prima vista non era stato accolto… Ed è particolarmente significativo che il Papa del dialogo tra fede e ragione ricordi che lo stile cristiano non è, ad esempio, mettere la parola Dio nei titoli quanto far nascere domande su Dio attraverso il linguaggio giornalistico. 5 - Del resto, anche nel mondo digitale non vi può essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimonianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuove forme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (cfr 1Pt 3,15). Questo riferimento alla lettera di Pietro è importante anche sul piano giornalistico perché le ragioni della speranza soprattutto in momenti di sofferenza, di difficoltà, di turbamento vanno dette con grande rispetto e altrettanta delicatezza. Una questione di linguaggio, di parole pensate prima di essere dette o scritte. 6- L’impegno per una testimonianza al Vangelo nell’era digitale richiede a tutti di essere particolarmente attenti agli aspetti di questo messaggio che possono sfidare alcune delle logiche tipiche del web. Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento. Il tema della verità prende sempre molto i giornalisti. E’ una verità che inquieta cioè che chiede al giornalista di interrogare la propria coscienza quando si trova a scrivere di fatti, persone e pensieri.. Un’inquietudine che, all’opposto del disorientamento porta la professione a rispondere alla sua missione. I grandi maestri del giornalismo, laici e cattolici, hanno insegnato questo. Oggi occorre preoccuparsi delle nuove generazioni di giornalisti prima che la “fabbrica delle notizie” abbia il sopravvento su una redazione, cioè su un luogo di pensiero, confronto e racconto. 7 - La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede una libera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale della rete, esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto ai volti concreti dei fratelli e delle sorelle con cui condividiamo la vita quotidiana. Per questo rimangono sempre fondamentali le relazioni umane dirette nella trasmissione della fede! La verità del Vangelo - che è per tutti - ha bisogno di comunicarsi attraverso i volti proprio perché non è un’astrattezza. Scontro o indifferenza tra video e volto oppure un patto o un dialogo tra video e volto? Alla domanda non si può rispondere senza aver dato un significato alto alla comunicazione, senza essere tornati alla sue radici, senza aver incontrato Colui che è comunicazione. Un riferimento senza eguali è Maria cole che ha accolto, custodito e raccontato la Parola Ascoltare, riflettere, parlare… 8 - Vorrei invitare, comunque, i cristiani ad unirsi con fiducia e con consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana. II web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa. La coscienza che è tema molto caro a Benedetto XVI ci sono pagine bellissime da lui scritte su questo tema e la beatificazione di J.H.Newman , il cantore della coscienza, é stata l’occasione per incontrare ancora una volta il pensiero del Papa. Venerdì scorso (21 gennaio) il card. Carlo Caffarra parlando ai giornalisti ha richiamato Newman, il suo pellegrinaggio faticoso verso la verità fuori dalle immagini e dalle ombre. “Il vostro – ha detto - è un servizio alla coscienza perché giudichi con verità”. Si può, infatti, fare “un uso strumentale della propria ragione, quando si parla o si scrive”. “Uso strumentale significa che non intendo giudicare lo scopo che mi prefiggo – spiega l’arcivescovo – mi preme solo trovare la modalità comunicativa per raggiungerlo. Un uso strumentale della ragione comporta non raramente interloquire non con la coscienza ma con le passioni e/o gli interessi dell’interlocutore”. 9 - La proclamazione del Vangelo richiede una forma rispettosa e discreta di comunicazione, che stimola il cuore e muove la coscienza; una forma che richiama lo stile di Gesù risorto quando si fece compagno nel cammino dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,1335), i quali furono condotti gradualmente alla comprensione del mistero mediante il suo farsi vicino, il suo dialogare con loro, il far emergere con delicatezza ciò che c’era nel loro cuore. Lo stile comunicativo di Gesù è uno stile profondamente umano. Ascolta, accompagna l’altro o l’altra per un tratto del suo ragionare e poi offrire una risposta (o una domanda) sorprendente. Per un giornalista si potrebbe parlare dello stile del dialogo che nulla a che vedere con lo stile del salotto: la differenza, evidente, è che nel primo si cerca anche faticosamente la verità nella diversità nel secondo ci cerca soprattutto la propria immagine. In altre parole il giornalista non si atteggia a protagonista, non si sostituisce ai protagonisti, ma é professionista al servizio della verità. E questa sua fatica lo rende autorevole anche nel brusìo mediatico. 10 - Al contrario, i credenti incoraggiano tutti a mantenere vive le eterne domande dell'uomo, che testimoniano il suo desiderio di trascendenza e la nostalgia per forme di vita autentica, degna di essere vissuta. È di verità e di comunione e che ci spinge a comunicare con integrità e onestà. Questo punto finale è il più affascinante e impegnativo. Da un lato si è chiamati a far nascere e mantenere vive le domande ultime in una cultura che le spegne o le ruba. Dall’altro si è chiamati a cogliere e a far cogliere segni di speranza anche in luoghi e tempi che parlano di non speranza. Tutto questo non solo nelle riflessioni teologiche e filosofiche – che pure sono preziose e indispensabili – ma nella vita della gente. Tutto questo può accadere nella stessa cronaca, anche da quella nera e da quella sportiva. E’ un percorso giornalisticamente assai poco praticato ma non impossibile e nel pieno rispetto delle regole professionali… E’ una grande avventura mettere in moto - con il linguaggio giornalistico - nella coscienza del lettore, del telespettatore, del radioascoltatore, del new media attore, il desiderio di cercare risposte e di trovare segni di speranza. Ed è a questo livello alto che il giornalismo può trovare un’intesa con gli utenti – soprattutto giovani - dei nuovi media aprendo una stagione della comunicazione illuminata dalle tre parole chiave del messaggio di Benedetto XVI per la 45° Giornata mondiale comunicazioni sociali: verità, persona, coscienza.