“Du jamais vu” a Bujumbura, come ha commentato la stampa
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“Du jamais vu” a Bujumbura, come ha commentato la stampa
AMAKURU N. 72 febbraio 2015 . “Du jamais vu” a Bujumbura, come ha commentato la stampa francese. Il popolo burundese ha invaso le strade in massa per festeggiare la liberazione del giornalista Bob Rugurika. Una notevole prova di coraggio e di un’enorme sete di verità e di giustizia. Dopo un mese di prigionia Bob Rugurika, direttore della Radio Pubblica Africana che aveva denunciato i retroscena sulla morte delle tre missionarie saveriane assassinate cinque mesi fa, ha ritrovato la libertà. Libertà “provvisoria” e su cauzione, arrivata in seguito alle forti pressioni della comunità internazionale. Le autorità hanno cercato in ogni modo di mantenere il controllo della situazione, ma stavolta non sono riusciti a domare una folla straripante e letteralmente impazzita al passaggio dell’auto che trasportava il giornalista dalla prigione di Moranvia fino alla capitale. Avevano tentato perfino di fargli lasciare la prigione di nascosto di notte per paura di manifestazioni popolari, ma Bob ha subodorato un tranello (forse allo scopo di eliminarlo) ed ha voluto guadagnare la libertà alla luce del sole, osannato come un salvatore dagli stessi detenuti con i quali aveva condiviso un mese di prigionia. La gente allora ha incominciato ad affluire in massa, brandendo fronde e drappi di colore verde, come la divisa dei detenuti che il loro beniamino aveva indossato. Una processione lunga 50 chilometri che si è trasformata in un’autentica apoteosi quando il corteo è giunto a Bujumbura per andare a sfociare davanti alla sede della Radio Pubblica Africana. Se serviva una dimostrazione di compattezza di fronte alle ingiustizie dell’attuale governo, eccola! Ancor più importante perché spontanea e dettata soltanto dalla voglia di dire basta ad ogni genere di menzogna. Un passo indietro per capire meglio (tratto da “Il Fatto Quotidiano”) All’indomani della barbara esecuzione delle tre anziane religiose, avvenuta il 7 settembre scorso, era stato arrestato un giovane del quartiere con problemi mentali, “reo confesso”. Ben pochi però avevano creduto alla sua colpevolezza. Erano stati sollevati dubbi anche sulla ricostruzione dei fatti. Uomini armati erano penetrati nell’abitazione delle religiose, uccidendo nel primo pomeriggio due missionarie e durante la notte anche la terza. In base alla testimonianza resa a RPA da un membro del commando e raccolta da Bob Rugurika, prima del triplice omicidio si erano tenute due riunioni preparatorie, a cui avevano preso parte tra gli altri un ufficiale di polizia, nonché il temuto capo dei servizi segreti, uno degli uomini più potenti del Burundi. Sarebbe stato proprio lui, secondo la ricostruzione fatta dal giornalista, il mandante del triplice omicidio a scopo “punitivo”. Ma dopo la pubblicazione dell’inchiesta ecco arrivare le minacce anonime, finché il 20 gennaio il direttore di RPA, è convocato dalla polizia e arrestato con l’accusa di proteggere un assassino, poiché il giornalista rifiuta di rivelare la fonte delle notizie diffuse. Rugurika finisce in isolamento. Dopo l’arresto del direttore, arriva la seconda trance di rivelazioni, che RPA mette in onda il 26 gennaio, sui moventi del delitto, che sarebbero due: le religiose erano a conoscenza di traffici illeciti e dell’esistenza di truppe paramilitari. Davanti al rischio di essere scoperti, i responsabili avrebbero optato per l’eliminazione delle religiose. Da subito, le rivelazioni di RPA hanno creato scalpore. Ma è con l’arresto di Bob Rugurika che l’affaire è montato: si sono mobilitati giornalisti, sindacati, difensori dei diritti umani. Anche la chiesa burundese ha alzato la voce in difesa del giornalista e per chiedere verità sull’omicidio delle missionarie italiane. Il caso ha quindi passato le frontiere. Prima gli appelli di Human Rights Watch e Amnesty International, poi le notizie sui media francofoni, infine prese di posizione importanti, come quelle dell’ambasciatore degli Stati Uniti e dell’ambasciatore dell’Unione Europea in Burundi, nonché di Samantha Power, ambasciatrice Usa presso le Nazioni Unite. Qualche giorno fa una risoluzione approvata dal Parlamento Europeo di Strasburgo aveva chiesto al governo burundese a rilasciare subito e senza condizioni il giornalista e di portare avanti un’inchiesta seria sull’assassinio delle tre missionarie saveriane, senza tralasciare altri aspetti come quello della fornitura di armi e dell’addestramento militare dell’ala giovanile del partito al potere. Il mio nuovo impegno all’Ospedale di Kiremba L’Ospedale di Kiremba è conosciuto in Burundi essenzialmente per due motivi. Il primo è che i medici italiani (di Brescia, Verona, Torino…) che vi si avvicendano dal lontano 1969 hanno sempre svolto un ottimo lavoro, ampiamente riconosciuto dalla popolazione locale. Il secondo è che nel novembre del 2011 vi sono stati uccisi un volontario italiano e una suora croata (ad oggi non è ancora chiaro il vero movente), il che ha indotto i responsabili dell’Ospedale a chiudere i battenti per un certo periodo. Ora, da circa un anno, le attività dell’Ospedale sono gradatamente riprese ed è stato definito un preciso progetto, frutto dell’unione di varie forze da sempre legate a Kiremba: Medicus Mundi, Diocesi di Brescia, Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero, Fondazione Museke, As.Co.M, Congregazione Suore Ancelle della Carità. Viene spontaneo chiedersi: “Ma due anni basteranno?” Il problema di tutti i progetti è infatti il “dopo”, perché anche quando si pensa di aver raggiunto gli obiettivi che ci si era prefissati, è una volta tagliato il “cordone ombelicale” che si può veramente misurare l’efficacia del lavoro svolto. La sfida si presenta difficile e appassionante; il progetto “Terimbere Kiremba” prenderà inizio il primo marzo, e il ruolo di capo progetto è stato affidato a me. Ha inizio una nuova avventura! Il progetto si chiama “Terimbere Kiremba” (vai avanti, Kiremba!), frase programmatica che rappresenta un invito (e un augurio) a camminare con le proprie gambe, una volta terminata appunto la lunga e delicata fase di accompagnamento di due anni prevista dal progetto. In italiano il titolo è un po’ più complesso, e recita: “Sostegno alla riqualificazione dell’Ospedale di Kiremba tramite la formazione del personale e il rafforzamento dei servizi di salute materno - infantile e di medicina interna”. Co-finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana, questo progetto nasce dalla storica collaborazione tra la Diocesi di Brescia e la Diocesi di Ngozi, nel cui territorio sorge la struttura ospedaliera. Nonostante l’ultra decennale presenza a Kiremba della Diocesi di Brescia così come di altre associazioni, persistono ancora oggi una serie di problematiche relative all’organizzazione e alla gestione dell’Ospedale, acuite dalle condizioni socio-economiche locali di miseria e povertà diffusa. Per dare continuità all’impegno degli enti italiani che da anni collaborano all’interno dell’Ospedale, e al tempo stesso per creare una sempre maggiore integrazione degli interventi, è stata costituita da quest’anno l’Associazione “ATS Kiremba”. I prossimi due anni dovrebbero servire a far raggiungere all’ospedale di Kiremba la propria autonomia gestionale, economica e amministrativa. Una strada non facile ma obbligata per non ricadere nell’assistenzialismo che alla lunga impedisce un autentico sviluppo. Concretamente questo vorrà dire anche stare lontano dalla famiglia, perché Kiremba si trova a più di tre ore di strada dalla capitale e potrò tornarvi solo per qualche giorno ogni due settimane. Un sacrificio che costerà a me, ma che peserà di più ancora sulle spalle di Evelyne (!) e avrà indubbiamente le sue ripercussioni sui bambini. Però è stata una scelta condivisa alla quale ci siamo preparati, e in fondo è meno dura di quella di chi è costretto a lavorare all’estero, lontano dalla famiglia per mesi e anni. Per quanto possibile, continuerò a seguire i microprogetti che molti di voi sostengono e che comunque andranno avanti sotto la guida delle persone responsabili che già ne garantiscono il buon funzionamento. Un saluto come sempre caloroso da tutta quanta l’allegra tribù: Gigi, Evelyne, Jonas, Antonio, David, Caleb