Magia ed illusionismo

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Magia ed illusionismo
Paolo Legrenzi, Mariagrazia Favrin
Magia e illusionismo
Che cosa ci insegnano sul funzionamento della mente umana.
La magia
I mondi della magia e dell’illusionismo fanno parte del più ampio ed articolato
mondo della fantasia. Che cosa hanno in comune questi mondi? La capacità
della mente umana di immaginare realtà parallele a quelle in cui viviamo.
Lo studio della fantasia-magia in relazione ai bambini ed al gioco risale al
gigante sacro Jean Piaget. Secondo Piaget i bambini, a tre quattro anni d’età,
immaginano di aver causato loro stessi lo spostamento di oggetti fuori dalla
loro portata e, persino ad otto anni, alcuni bambini ritengono che le nuvole o i
fiumi si muovano secondo i loro desideri, non obbedendo cioè a leggi fisiche
indipendenti.
Già negli anni trenta, ad un esame più attento, queste ipotesi sul ruolo della
magia nel pensiero infantile non vennero confermate.
Huang, in uno studio
sistematico del 1930, presenta a bambini di quattro anni fenomeni strani
chiedendo spiegazioni dell’accaduto. Ad esempio, si mostra un tubo di vetro
pieno d’acqua, chiuso da un lato con un pezzo di carta. Rovesciato il tubo,
l’acqua, invece di cadere, resta dentro. I bambini non conoscono a quell’età il
ruolo della pressione dell’aria, e tuttavia, in luogo di spiegazioni magiche,
ricorrono a principi fisici a loro noti come l’adesività: “L’acqua non esce perché
c’è qualcosa di appiccicoso sul vetro”.
Questa riluttanza all’uso di spiegazioni magiche è confermata in quegli stessi
anni dall’antropologo Margaret Mead, osservando bambini privi di formazione
scolastica. Di rado essi ricorrono spontaneamente alla magia o alla stregoneria
per spiegare fenomeni fisici. Nel caso, ad esempio, di una barca che aveva
mollato gli ormeggi, i bambini reagiscono dicendo: “Non era stata fissata bene,
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adesso andrà al largo”, “Popoli (il proprietario) non l’ha legata, adesso perderà
la canoa”, e così via.
Negli anni novanta inizia una tradizione di studi più accurata. Ad esempio, si
lasciano cadere oggetti in vari contenitori truccati. Talvolta questi oggetti
spariscono, altre volte rimpiccioliscono o ingrandiscono. I bambini, dai quattro
agli otto anni di età, cercano di spiegare questi fenomeni inusitati in due modi:
o inventando principi fisici sconosciuti oppure ricorrendo alla magia. Quando
sono piccoli non hanno nessuna difficoltà nell’invocare principi di natura
magica, che violano persino il buon senso. In seguito utilizzano spiegazioni
immaginifiche che orecchiano la fisica imparata a scuola. Anche da adulti la
comprensione scientifica del mondo continua a convivere con cose che non
riusciamo a spiegare. Basti pensare che i più non hanno la minima idea di
come funzioni la televisione, il cellulare o il forno a microonde. Eppure ben
pochi credono che gli elettrodomestici siano magici.
Quando si cresce il magico non scompare ma assume anche un’altra funzione,
diventando per lo più intrattenimento. Piace cioè sotto forma di fiabe che si
svolgono in mondi immaginari, che violano in misura maggiore o minore le
leggi della quotidianità. Si pensi, ad esempio, alle tre favole di Calvino raccolte
nel volume I nostri antenati. In una (Il barone rampante) abbiamo il
protagonista che da bambino decide di vivere sugli alberi: il racconto si dipana
in una storia inusitata ma non magica. Al contrario, nelle altre due, si narrano
le gesta di un cavaliere inesistente, una corazza vuota che si comporta da
perfetto ufficiale, e le vite dei due semi-corpi di un visconte tranciato dalla
testa ai piedi da un fendente turco. Ovviamente il cavaliere ed il visconte,
vivendo in queste condizioni, violano le nostre conoscenze di biologia spicciola.
Più cose sappiamo, più mondi paralleli possiamo inventare. E tuttavia nel
passare dal mondo reale a quello magico dobbiamo tenere fermi dei vincoli.
Animali che mutano di dimensione o di forma sono stati presentati a bambini di
quattro e cinque anni. Si domanda loro se è possibile che quell’animale cambi
in quel dato modo rispetto alle forme e dimensioni note e familiari. Le risposte
indicano una capacità precoce di distinguere ciò che è strano, ma plausibile, da
ciò che non lo è. Ad esempio, si può accettare una forte ed inusitata crescita di
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dimensioni rispetto alla forma standard: un rimpicciolimento delle stesse
proporzioni appare meno credibile. Provate a sottoporre a bambini profili di
animali dalle forme fantastiche, chiedendo loro se alcune protuberanze
corrispondano a gambe o braccia, oppure dove sono collocati il cervello o gli
occhi. In questi casi i bambini non rispondono a caso, ma trasferiscono
sistematicamente le nozioni apprese circa il funzionamento degli animali che
conoscono a questi esseri sconosciuti: gli occhi vengono collocati in quella
protuberanza che sembra la testa, e cioè la sporgenza più grossa dove viene
localizzato anche il cervello. Il cuore è all’interno del blocco centrale.
Questo trasferimento di proprietà dal noto all’ignoto avviene anche con esseri
artificiali, come nel recente cartone animato Wall-E, dove i comportamenti di
un
corpo
umano
vengono
spontaneamente
proiettati
sulle
componenti
meccaniche di un trattorino/uomo e su una vezzosa trattorina/femmina
(battezzata, da un bambino seduto al cinema, “Walla”). Su questi meccanismi
si basano la fantascienza e la fanta-storia, cioè quei romanzi in cui, ad
esempio, Hitler vince la seconda guerra mondiale (il prototipo è La svastica sul
sole di Philip Dick).
Molti bambini hanno pratica di maghi o prestigiatori, per averli visti alle loro
festicciole, in carne ed ossa, o alla televisione. Quando hanno otto anni, anche
se parlano di magia, ad un esame più attento ci si accorge che alludono a
trucchi, analoghi a quelli fatti dai prestigiatori. I media tendono a presentare
come maghi sia quelli veri e propri (mago Otelma) sia gli illusionisti (mago
Casanova). I protagonisti stessi alimentano ad arte questa confusione,
ritenendo la figura del mago più affascinante e quindi attraente di quella
dell’illusionista.
L’illusionismo
Nel novembre 2008 è stato presentato a circa sessanta insegnanti di scienze
delle scuole superiori, nell’ambito di un corso della Fondazione della Scuola di
Torino, un filmino di pochi minuti in cui dei giocatori di pallacanestro si
scambiano rapidamente la palla. Gli insegnanti devono seguire i movimenti
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della palla e contare i rimbalzi. La maggioranza degli osservatori del filmino si
concentra sui passaggi della palla, e non si accorge così che, sullo sfondo del
campo di gioco, passa assai lentamente un gorilla. Questo meccanismo della
focalizzazione dell’attenzione è lo stesso utilizzato dagli illusionisti abili, che
spostano l’attenzione con diversivi vari, in modo che non venga percepito
quell’unico atto di abilità su cui si basa il trucco.
Il prototipo classico è quello dei trucchi mediante carte da gioco.
Ad esempio: l’illusionista vi presenta sei carte (re, regine, fanti, dei vari semi),
tolte da un mazzo regolare, e vi chiede di imprimerne una, una sola, nella
memoria. Voi scegliete una carta, vi concentrate su di essa e ripetete la
descrizione dentro di voi in modo da ricordarla (ad esempio: regina di quadri).
Poi, mentre tenete in memoria la carta scelta, eseguite alcuni esercizi di
riempimento, che nulla hanno a che fare con il trucco, ma che potrebbero
sembrare collegati. Infine il mago, dopo le formule esoteriche di rito, presenta
le presunte sei carte iniziali e, sicuro, dichiara:
“Ecco le sei carte da Lei osservate poco fa. I miei poteri magici hanno sostituito
proprio quella che Lei aveva scelto e tenuto a mente: la carta è scomparsa.”
Questo è un effetto impressionante, se ben fatto. Le persone sanno che c’è un
trucco, ma non capiscono dove sia. Il trucco è nella loro testa o, meglio, nei
limiti
della
memoria
di
lavoro,
dove
si
tengono
temporaneamente
le
informazioni appena ricevute, prima di passarle nella memoria a lungo
termine, quella in cui si conservano le informazioni consolidate da tempo.
L’illusione si basa sul fatto, banale ma sapientemente camuffato, che le carte
presentate la seconda volta sono tutte sei diverse. Eppure sono simili, con la
stessa alternanza di rosso e nero (il colore dei semi delle carte). Ovviamente è
scomparsa anche la carta inizialmente scelta e tenuta a mente (regina di
quadri). La persona tuttavia non ricorda i dettagli delle carte iniziali (l’ordine
preciso di re, regine e fanti nella sequenza). Era mentalmente concentrata su
quella che era stata identificata e scelta, in modo da imprimersela nella
memoria (cfr. per molti esempi analoghi, il sito di Clifford Pickover).
Il nodo teorico che collega la magia all’illusionismo è il fatto che, in entrambi i
casi, abbiamo a che fare con un mondo reale ed un mondo parallelo.
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Vorremmo terminare con la descrizione di un’illusione nota agli inglesi, e
descritta con le parole di Philip Johnson-Laird che sottolinea questo come un
esempio del fatto che, quando vi sono più possibilità, ogni attività cognitiva si
fa più difficile.
Johnson-Laird racconta come David Denant, uno dei più abili maghi del XX
secolo, abbia inventato un numero stupefacente – quello della Mascot Moth, la
falena “portafortuna”. E’ una sfida alla nostra capacità di pensare possibilità.
Sul palcoscenico appare un’attrice che indossa uno splendido costume da
falena. Il mago si avvicina per abbracciarla, ma la falena si assottiglia e
svanisce in un istante.
Forse vi piacerebbe sapere com’è possibile creare questo effetto.
Un indizio: l’illusione non dipende dall’uso di specchi.
Provate a pensare alle possibilità di ottenere questo effetto ottico.
Se non avete voglia di scervellarvi, leggete la descrizione del trucco fatta da
Johnson-Laird: L’illusione della Mascot Moth è basata sul fatto che l’attrice, che
impersona la falena, indossa un vestito che ha sempre lo stesso aspetto, sia
che lei ci sia dentro sia che non ci sia. Su un palcoscenico, con sfondo nero, ci
sono il mago e la donna-falena. Un tubo nero, invisibile al pubblico, in quanto
coperto dall’attrice, può sbucare dal palcoscenico, vicino ad una botola che si
può aprire e chiudere. La falena chiude le ali, battendo un piede per marcare il
tempo di comparsa del tubo e di apertura della botola, e scompare. Per un
brevissimo istante l’abito è un guscio vuoto tenuto su dal tubo. Devant, con le
spalle rivolte al pubblico, fa per abbracciare la falena e, in quel preciso istante,
il vestito viene risucchiato dentro il tubo verticale che subito dopo scompare
nel buco. Devant si scosta e il palcoscenico si presenta miracolosamente vuoto.
Il tutto, eseguito rapidamente, crea una magnifica illusione, perché non
sembra dipendere da alcun apparecchio. Un momento prima la falena era in
piena vista, un attimo dopo non c’è più.
Mentre nella magia il mondo parallelo è esplicito fin dall’inizio della fiaba, ed
anzi ne rappresenta l’alimento e l’anima, nelle illusioni dei prestigiatori la
possibilità cruciale, la causa del trucco, non è facile da scovare in quanto
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entrano in gioco processi come la memoria a breve termine (si ricorda solo la
carta tenuta a mente), l’attenzione focalizzata (la falena portafortuna di
Devant) ed il riconoscimento visivo (il gorilla).
Più in generale, il ponte tra la magia e le illusioni è costituito proprio da quella
possibilità alternativa che, nel secondo caso, è difficile da individuare. Questo
punto è assai interessante perché avvicina illusionismo e magia al modo
abituale di funzionare del pensiero umano, sia quando funziona bene sia
quando s’inceppa. In fondo tutte le nostre difficoltà nel trovare soluzioni nuove
a problemi o nel risolvere correttamente compiti di ragionamento risalgono
proprio a questa radice comune: il costo cognitivo nel riuscire a rendere
esplicita una possibilità che mentalmente non è facile da scovare.
In conclusione, le stesse leggi che ci permettono di circoscrivere i limiti della
mente umana, ed i conseguenti errori di funzionamento, sono la chiave per
svelare gli incantesimi e le illusioni dei maghi.
Per saperne di più
Il collegamento tra pensiero ed illusioni è in P.N. Johnson-Laird, Pensiero e
ragionamento, Bologna, il Mulino, 2008. Per la magia come chiave per capire la
mente umana, cfr. Susana Martinez-Conde, Stephen Macknik, “Magic and the
Brain”, Scientific American, Dicembre 2008, pp. 44-51. Di Stephen Macknik e
coll., cfr. anche “Attention and Awareness in Stage Magic”, Nature Reviews
Neuroscience, 30 luglio 2008.
PAOLO LEGRENZI, ordinario di psicologia cognitiva all’Università IUAV di
Venezia.
MARIAGRAZIA FAVRIN, dottoranda in Scienze della Formazione e della
Cognizione all'Università Ca’ Foscari di Venezia.
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