romanzi brevi, passioni forti raccolta esercitazioni corsisti
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romanzi brevi, passioni forti raccolta esercitazioni corsisti
Biblioteca Comunale La Meridiana Comune di San Zenone al Lambro ROMANZI BREVI, PASSIONI FORTI INCONTRI DI SCRITTURA CREATIVA DEDICATI AL ROMANZO BREVE OTTOBRE – NOVEMBRE 2012 RACCOLTA ESERCITAZIONI CORSISTI 2012 San Zenone al Lambro, Febbraio 2013 Lo scorso ottobre alla biblioteca di San Zenone si sono scatenate Passioni Brevi e decisamente Forti quando un gruppo di giovani, meno giovani e giovanissimi ha accettato la sfida: cogliere l’attimo riuscendo a stupirsi e a stupire per i risultati raggiunti. Durante gli incontri abbiamo inventato nuove parole - sensoriali e autentiche - che ci hanno consentito di trovare modalità espressive inedite. Abbiamo provato a descriverci, a raccontare il “momento preciso che cambierà la vita a un personaggio” e questi esercizi ci hanno permesso di portare alla luce donne e uomini che non sapevamo di conoscere, ma che da sempre convivono con noi. Ognuno ha poi ipotizzato un finale diverso del racconto il Paese dei ciechi descrivendo un proprio personale punto di vista: c’è chi ha fatto trovare a Nunez la via della salvezza, chi togliendogli la vista gli ha dato la possibilità di trovare un nuovo mondo interiore, chi ha reso Medina Sarotè infelice per sempre tra i vedenti, chi ha voluto guarire i protagonisti dalla cecità fisica e chi da quella del cuore. Tante ipotesi, tutte strade possibili che ci hanno raccontato un mondo ricco e complesso, un mondo in cui le sfaccettature e le opportunità sono infinite: un mosaico fantastico che mai finisce e sempre cambia. Paola Buonacasa ILARIA BERGAMASCHI Descrivo me stessa a uno SCONOSCIUTO Ilaria in due parole? Dunque…sono una maniaca dell’ordine; la vita è così imprevedibile che mi piace controllare ciò che posso. Mi commuovo spesso davanti a un film, riscoprendo ogni volta che il linguaggio delle emozioni è proprio universale. Sono impaziente nelle relazioni che m’interessano davvero, ma troppa confidenza troppo in fretta non è sempre un bene. Mi capita di esagerare col cibo anche quando non ne sento il bisogno; la frase “non è fame, è gola” è senz’altro una delle mie preferite! Descrivo me stessa a MIO PADRE Di me sai tante cose…che sono impulsiva, testarda e permalosa…che nelle discussioni parto sempre “lancia in resta” a difendere le mie idee. Quello che forse non sai è che, a dispetto dell’ostinazione con cui mi sforzo di fare “da sola”, non riesco a liberarmi del bisogno della tua approvazione sperando che anche le mie bimbe da grandi desiderino ancora la mia. Chissà poi se voglio davvero che questo cambi…probabilmente (per fortuna) tu continuerai ad essere mio padre ed io a sentirmi tua figlia! Tautogramma riassuntivo di “Novecento” Negletto da nutrice naturale, notato da nobiluomo nullatenente, neonato nominato “Novecento” si ninna in novello nido nautico. Nondimeno, dopo numerosi noviluni nubifragio nefasto nuoce a nobiluomo e Novecento, nuovamente negletto, si nasconde nella nave tra nostromi e nocchieri. Nottetempo, nanetto novenne più non nicchia e, nobile novellatore di note, negozia navigazione. Nitida notorietà! Nobilita natanti noncuranti, neutralizzando nere nostalgie con numeri notevoli. E navigando e naufragando, negando nostra normalità, niente più Novecento, nebulizzato con naviglio natìo nelle nebbie di Nettuno! Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. La calura del giardino era ormai insopportabile e questo mi diede la conferma di essere in ritardo. Avevo dormito troppo, di un riposo vero, profondo, di quelli che riescono per un po’ a rapirti alla realtà, alla consapevolezza di te, alla vita vera…di quelli che s’invidiano ai bambini e che da adulti raramente ti sorprendono! Il torpore che ancora mi avvolgeva era un regalo inatteso; rimasi lì, sdraiata, immobile, sforzandomi di assorbire tutto il calore di quel pomeriggio d’estate, sperando che riuscisse a riscaldare ogni parte di me, non solo le palpebre, magari il cuore. Quando mi alzai, lui era già lì, in silenzio, inesorabile come una condanna nonostante il sorriso rassicurante, e mi aspettava in piedi davanti all’auto parcheggiata, come aveva fatto ogni giorno dell’ultima settimana. Provate a descrivere il momento esatto che cambierà la vita, nel bene o nel male ad un personaggio Era confusa…lei!…sempre così razionale e determinata. Ancora si domandava come fosse riuscito un pensiero, che non aveva mai nemmeno sospettato di poter concepire, ad impossessarsi della sua mente in maniera così totale e prepotente da far vacillare in pochi istanti ogni sua certezza…Eppure era bastato un attimo e tutto era cambiato…il modo in cui si vedeva, in cui vedeva la sua vita…il mondo intero. Non sapeva cosa gli avrebbe risposto, la sua proposta di matrimonio si era insinuata all’improvviso nella conversazione tra un ringraziamento per la cena e un commento sul tempo…in quel momento sentiva solo che l’idea di quella possibilità ormai le apparteneva. Provate a immaginare e scrivere la vostra conclusione del breve romanzo di H.G. Wells, Nel paese dei ciechi. Il testo può variare dai 1000 ai 3600 caratteri spazi inclusi. Si fermò, come interdetto, di fronte a tanta bellezza! E a mano a mano che le nebbie della valle si diradavano cedendo il posto alla luce, dai recessi della sua mente iniziarono ad emergere le immagini di tutte le città che aveva visitato, le forme di tutte le montagne che aveva conquistato, le parole di tutti i libri che aveva letto. Si lasciò attraversare da quel fiume di ricordi, sentendosi come se si stesse risvegliando da un lungo stranissimo sogno. Il suo pensiero corse a Medina, la sua Medina che forse lo stava aspettando…sentì una stretta al cuore. Iniziò a piangere e fu allora che comprese quanto l’avesse illusa, quanto entrambi si fossero illusi scambiando per amore l’urgenza di colmare un vuoto, credendo che fosse sufficiente…proprio allora che, nonostante la stanchezza, la fame, l’incertezza sul futuro e la solitudine, riusciva a provare una felicità mai conosciuta prima! Di colpo dall’altopiano su cui si trovava l’idea di passare il resto dei suoi giorni con lei gli sembrò remota quanto il villaggio stesso…quel villaggio dove era giunto sperando di salvarsi e dove, pensando di dover (e di poter) salvare gli altri, aveva rischiato di perdere se stesso in tutti i modi in cui un uomo può perdersi! Provò ammirazione e pietà per quella gente, fascino e commiserazione insieme. Per qualche istante lottò con l’impulso di tornare, ma fu una lotta breve…ormai sapeva che “l’orbo non può essere re tra i ciechi” perché (come gli aveva sempre ripetuto sua madre) “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”! Chissà, forse un giorno sarebbe tornato, magari non da solo, magari con qualcuno del suo mondo…allora sì che l’avrebbero ascoltato, avrebbero dovuto ascoltarlo!…ma non in quel momento, non in quel modo, non a quelle condizioni! Trasse un profondo respiro, con le mani si schermò dal chiarore ormai quasi accecante e si guardò intorno. Scrutò in ogni direzione, ispezionò ogni anfratto, alzò lo sguardo e la vide…i suoi occhi gli stavano indicando la via della salvezza. SALINA CAMPITI Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO Hai mai visto un albero? Uno di quelli molto alti, di cui all’inizio vedi solo il tronco forte, solido, al quale puoi appoggiarti se sei stanco. Le mie radici sono profonde nella terra ma a volte mi piace concentrarmi sulle mie foglie che hanno colori e forme diverse, lasciare che il vento le muova e cantare con lui nuove melodie. Solo in pochi sono saliti quassù. A loro ho permesso di incidere le proprie iniziali sulla mia corteccia e ho mostrato i rami più delicati che si innalzano verso il cielo a chiacchierare con Dio. Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. Il dono Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Ogni viaggio era un’esperienza stravolgente. Stavolta almeno non ero finita in mezza al mare e mi sarei evitata la sfuriata del professorone Cicciosmilzo sull’uso dei propulsori spazio temporali! Ero ancora turbata però. L’avevo sentita di nuovo, il pianto era più forte ma c’era qualcosa di diverso dall’ultima volta. Paura? Il cuore continuava a battermi come un martello pneumatico sull’asfalto. “Calmati bello! Ancora mi servi! Respira, continua a respirare…”. Cosa avevo fatto di male? Perché avevo il dono? Di chi era quella voce? La dottoressa Silvia Ross ci aveva spiegato che nei viaggi avremmo potuto contattare la nostra ombra, quella parte che abbiamo deciso di allontanare da noi perché inaccettabile e di cui non siamo consapevoli… forse centrava con ciò che avevo sentito? Non poteva essere tutto semplice come in Star Trek? Schiacci un pulsante e puff arrivi dove vuoi? Ma io non mi trovavo in un film, era tutto vero: avevo un dono che come ogni grande onore che si rispetti nascondeva un grande onere e se è vero che ognuno di noi ha una sua parte ombra io avrei scoperto la mia ad ogni costo…. Provate a descrivere il momento esatto che cambierà la vita, nel bene o nel male ad un personaggio La dottoressa sorride, non ci sono novità! Prima di tornare a casa mi fermo a chiacchierare con una compagna di corso e poi improvvisamente il tempo e i fatti sembrano aver raddoppiato la loro velocità. Come se l’orologio del mondo, il mio e basta, avesse deciso di partecipare al gran premio!! Insomma io stavo parlando con qualcuno e il mio corpo ha deciso di sfuggire al mio controllo! Impossibile, ci deve essere un errore!! Voglio urlare, piangere e scappare! Invece mi giro, respiro, sorrido isterica e dico: “Credo che mi siano rotte le acque!”. Provate a immaginare e scrivere la vostra conclusione del breve romanzo di H.G. Wells, Nel paese dei ciechi. Il testo può variare dai 1000 ai 3600 caratteri spazi inclusi. … per un attimo rimase abbagliato dalla luce del sole, distolse lo sguardo dall’orizzonte con la vista ancora oggetto di quello strano scherzo del riverbero, tanto che gli parve che tutti quei pallini neri formassero una sagoma umana. Rise, la notte insonne stava facendo effetto! Quel momento di eterea ironia si congelò quando si accorse che quella sagoma era ancora lì, immobile come lui, come se fosse la sua stessa immagine riflessa. C’era qualcuno in cima alla collina, i due si guardarono e Nunez piano piano riuscì a distinguere i particolari di quella figura. Con il cuore in gola si avvicinò. Era una donna, i capelli raccolti dentro il cappello e con suo grande stupore notò due bellissimi occhi nocciola che lo guardavano. “Ha gli occhi!” pensò. “Mio Dio!”. Il cervello di Nunez aveva già formulato una ventina di domande ma dalla bocca non uscì alcun suono. Fu lei a parlare per prima: <<Buongiorno, mi chiamo Lia, sono un’antropologa. Dall’altro lato della collina c’è il mio accampamento.>> << Accampamento?>> Nunez era frastornato e un senso crescente di vertigine lo travolse. <<Si sente bene signore?>> chiese Lia. <<Sì non è niente, è che sono mesi che non incontro qualcuno che arriva dall’altra parte. Che ci fa in questo posto sperduto? Come ha superato la frana?>> rispose Nunez. <<Come le dicevo sono un’antropologa, mi occupo di popoli leggenda, sto cercando il paese dei ciechi. Le mie ricerche mi hanno portata qui.>> <<Capisco, che tipo di ricerche sta conducendo?>> <<Beh, se quel paese esiste davvero sarebbe una grossa scoperta per l’umanità e potrei esaminare alcuni di loro per capire come si sono adattati e quali cambiamenti sono avvenuti nel loro DNA e… >>. Le parole di Lia progressivamente svanirono dalla sua mente mentre cominciava a capire che il popolo dei ciechi si trovava in pericolo. Cercò di immaginare Medina e gli altri nel suo mondo, si sarebbero sentiti perduti, non avrebbero sopportato un altro adattamento, quello era il loro mondo, la loro sicurezza. Lui sapeva bene cosa significasse sentirsi uno straniero, un diverso e doveva impedire che ciò succedesse a quel popolo, alla donna che amava. Allora decise che quello che forse sarebbe stato il suo ultimo giorno di vista l’avrebbe speso per rendere invisibile il paese dei ciechi. CAROLINA FACCINI Lettera riscritta trasmettendo un senso di rabbia Giorgia, come stai? È da troppo che non ti fai sentire, quindi ti sorbisci gli ultimi fatti accaduti in questi mesi. L’università è un inferno, gli studi però procedono. Sicuramente non riuscirò a dare tutti gli esami entro luglio, come mi ero ripromessa. Studio e basta, non vedo nessuno e Carlo si permette di farmi anche delle scenate di gelosia. Chissà se per te le cose vanno meglio! Giovanna. Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO Ciao, mi chiamo Carolina. Ho quasi 18 anni e sono una persona assetata di vita. Sono ciliaca, ma è un modo per mangiare cose sempre diverse, non ti spaventare. Sono curiosa, ma poco furba; se mi racconti qualcosa tendo a crederci, mi fido, fin troppo. Nella mia vita, che mi sembra lunghissima, mi sembra di non aver commesso grandi errori, i soliti di chi ha troppo amore intorno a sé. Spero d’incontrarti presto. Descrivo me stessa a MIO PADRE Ciao papà, volevo dirti che sono una femmina e sono decisa. La determinazione è il mio aggettivo preferito. Sono simpatica, sono l’anima della festa, ma non sono amica di tutti come tu credi, sono una persona selettiva. Quando sbaglio soffro, e non mi piace, cerco di essere più concentrata ogni volta. Papà io voglio essere una vincente nella vita, sappilo. Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. Hans era ancora lì accanto a me, bello e tenero Hans. Mi aveva pregato e scongiurato per questa notte d’amore, nel suo fienile scoperchiato, anche se sapeva che non eravamo fatti per stare insieme. Lui si sarebbe sposato, avrebbe avuto dei figli e si sarebbe occupato dei terreni del padre. E io, io… sarei diventata una spogliarellista. Si, il mio sogno! Le luci, le pajette, gli sguardi della gente, l’ammirazione delle donne. E il mio corpo fantastico, che si muove sinuoso e capta tutte le diverse luci del palcoscenico. E poi gli applausi, le grida e le mie lacrime di gioia. Poi sarebbero arrivati i soldi, la fama e sicuramente sarei riuscita a sposare un vecchio signore ricco sfondato che avrebbe mantenuto me e il mio giovane amante! Basta era il momento di correre incontro al mio futuro. Provate a descrivere il momento esatto che cambierà la vita, nel bene o nel male ad un personaggio Avevo scelto nel letto, subito aperti gli occhi avevo pensato d’indossare gli stivali neri, ma no avevo indossato le ballerine blu. E lui mi aveva scelta proprio per il blu navy di quelle scarpe. Era entrato nel bar e mi aveva scelta, come un cacciatore sceglie la sua quaglia nel cielo, come la casalinga sceglie la bistecca dal macellaio. E lui, guardando le scarpe sotto al bancone aveva scelto che sarei stata io la prossima vittima. Era entrato, aveva guardato le scarpe, comprato un caffè e aveva scelto. Lo sapevo io, lo sapeva lui. Erano quelle scarpe, glielo leggevo nei suoi occhi. SILVIA MARZIALI Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO Come faccio a dire in poche parole chi c’è qui dentro? In otto caratteri potrei dirvi che sono un po’ “lunatica” ma ne uso volentieri altri nove per dirvi che se voglio so essere “simpatica”. Mi piace fare tante cose tutte diverse e ne ho tante ancora da provare; mi piace avere contatti con la gente, conoscere persone nuove e interessanti; adesso che i miei figli sono grandi vorrei viaggiare per il mondo. Amo leggere, mi piace da morire l’odore dei libri e poi ho un sogno nel cassetto: scrivere un romanzo in riva al mare! Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. E’ sabato, mi vesto frettolosamente e scendo di corsa le scale finendo di infilarmi il cappotto, ormai fa freddo e cerco i guanti di lana sicuramente accartocciati in fondo alle tasche. Anche oggi la giornata sarà frenetica, è quasi Natale e tutti hanno una gran fretta: i regali da comprare, il pranzo da organizzare, la vecchia zia da riesumare e sistemare bene a tavola, per carità non vicino alla finestra ma neanche davanti al calorifero e attenzione a chi le si siede a fianco perché dall’orecchio destro ormai non ci sente più da un pezzo! Il treno intanto è arrivato alla mia fermata e dovrei scendere…dovrei… Ma la vita è un attimo e mi ha colto all’improvviso in un pomeriggio di fine dicembre, le porte si richiudono e proseguo. Il primo volo in partenza era diretto a Cuba e finalmente mi addormentai… FRANCESCA PRADÈ Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO Descrivere se stessi, che compito arduo. Ci provo. Caro sconosciuto, sono Francesca volto dolce e sorridente, figura esile, colori scuri, carattere forte, animo ribelle. Non si direbbe, lo so. Rifuggo l’ipocrisia nelle amicizie al prezzo di perderle. Sono testarda, orgogliosa e difficilmente perdono. La mia principale passione è la lettura: dilata i miei orizzonti e ristora la mia solitudine. Questa la prima di centomila possibilità, ma con te potrei essere diversa, dipende da come tu mi guarderai. Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. Mi ero addormentata. Ma da quanto tempo ero lì al sole? D’un tratto nella mente un lampo squarciò il buio. Mi toccai nella tasca e ne estrassi una carta: “non puoi più fingere”. Poche parole, un baratro. Erano stati quei ricordi a portarmi lontano finché, dopo il dolore, la stanchezza non sopraggiunse. Non avevo tempo, in passato avevo ucciso, ora dovevo nascondermi. Avevo paura. Mi rialzai, raggiunsi la casa, entrai. Silenzio. Immersa nei miei pensieri non mi accorsi che Nic era ormai alle mie spalle. Mi toccò. Sussultai. “Ti vedo turbata” disse con voce pacata. Chinai il capo, le lacrime mi rigavano il volto. Il suono del campanello mi salvò dalla risposta. Andai alla finestra, rabbrividii. Nei lineamenti di quell’uomo non riconobbi nessuno, ma quella giacca era la mia persecuzione: da giorni mi sentivo seguita da quei colori vivaci. Nic andò ad aprire. Provate a descrivere il momento esatto che cambierà la vita, nel bene o nel male ad un personaggio Come tutte le mattine la sveglia suonò. Mi alzai dal letto e passando davanti allo specchio vi cercai la mia immagine riflessa. Fu questione di un attimo. Di colpo mi fermai. Mi toccai. Il mio volto era deformato, gonfio, perso. Mi sentii smarrire. Ero disgustata. Quella figura non mi apparteneva, eppure ero io. Inesorabile il tempo passava, ma come potevo presentarmi al pubblico con quel volto: dopotutto ero una giornalista televisiva. Mi vestii cercando di nascondermi il più possibile e mi recai al lavoro ancora ignara di ciò che avrei perso in seguito. Provate a immaginare e scrivere la vostra conclusione del breve romanzo di H.G. Wells, Nel paese dei ciechi. Il testo può variare dai 1000 ai 3600 caratteri spazi inclusi. Si sedette ed osservò il mondo attorno a lui: le montagne, l’erba, i fiori. Guardava il paesaggio e fantasticava sui colori, sulle forme, sulla realtà che avrebbe perso di li a poco, ammirava la bellezza e le sfumature del cielo. E fu proprio quel cielo a salvarlo. Quello spicchio, che s’intravedeva tra le alte pareti rocciose, che non aveva mai visto una nuvola, d’improvviso si mise a piangere. Piovve tutte le lacrime che Nunez aveva trattenuto per ben quatto anni fino a quel momento. Come a fargli compagnia anch’egli si commosse e pianse tutta l’amarezza che da giorni gli soffocava il petto. Sentì le gocce battergli sulla pelle e si sentì vivo. Quelle gocce, come punte di spilli, gli scossero il corpo. Fu come un risveglio: rabbia e delusione lo invasero come l’acqua stava irrompendo a grosse gocce nel paese dei ciechi. Rimase per un po’ seduto sotto una pianta ad aspettare che tutto finisse, ma quel momento non arrivò. Il terreno incominciò ben presto a diventare fango e Nunez intuì la possibilità di un disastro per il villaggio che si trovava nella profondità di una gola rocciosa. Nunez ebbe paura perché come un bicchiere quella gola andava riempiendosi d’acqua. Era questa una maledizione mandata dagli dei per aver voluto sfidare la natura dell’uomo, come quattordici anni prima lo era stata la perdita della vista? Corse al villaggio e raggiunse le case degli anziani. Arrivò di fretta, ansimando, entrò nel buio a tastoni e senza annunciarsi parlò, quasi fosse un veggente, con la voce calma “dovete adunare tutti e andarvene da qui, è in pericolo a vostra sopravivenza. Tutto verrà sommerso dall’acqua che sta cadendo. L’unica possibilità di salvezza è risalire i pendii”. Quando terminò si accorse di non aver accluso se stesso a quell’appello. Nunez aveva già deciso. Come fu prevedibile gli anziani attribuirono il comportamento bizzarro di quell’essere all’agitazione per l’intervento del giorno dopo e seppur preoccupati da quell’evento inatteso, la pioggia, lo ascoltarono con tranquilla diffidenza, come stessero ascoltando i consigli di un estraneo. “Questa è bella, è l’ultima trovata dello strano mondo che dici di vedere; tu limitato che non sei ancora libero dall’inferiorità pensi di poterci sorprendere con la tue stupidaggini. Nessuno ti obbliga a lasciare il tuo mondo puoi anche rifiutarti di sottoporti all’intervento, però in questo caso non potrai sposare Medina.” “Ma l’acqua non ha possibilità di uscita, presto non avrete più scampo”. Venne deriso e umiliato per la sua condizione. Nunez a quel punto non insistette, capiva che la cecità della loro mente, come era stata a suo tempo la sua quando avrebbe voluto diventarne il capo, li avrebbe portati alla morte. Non vedeva luce, ma non voleva abbandonare Medina a quella sorte. Uscì da quella casa con l’acqua che già gli arrivava alle caviglie. Quella sera ingannò Medina addormentandola con delle erbe che l’avrebbero fatta dormire per giorni. Attese il buio, se la caricò sulle spalle, lasciò il villaggio addormentato e, senza voltarsi, con l’acqua alle ginocchia, s’incamminò verso il muro di cinta oltre il quale vi era mistero. Incominciò ad arrampicarsi sulle impervie montagne. L’acqua gli schiaffeggiava il volto, il corpo, si sentiva percosso, pesante, la fatica e il freddo lo stremavamo, aveva le mani gelate; ma la luce di un nuovo giorno gli ridette speranza. Quando ebbe raggiunto una buona altezza si fermò, depose Medina al suo fianco e si voltò, ma era ormai troppo lontano per vedere con chiarezza il villaggio. Vennero salvati da escursionisti, dopo giorni, quando ormai erano quasi allo stremo delle forze e vennero condotti nella città più vicina. Nunez si sentì finalmente libero fra i suoi simili. Anche Medina si risvegliò in un mondo non suo che poteva percepire solo attraverso i sensi, ma al quale non riusciva ad appartenere pienamente: quel mondo le rimarcava continuamente la sua condizione di diversità. Era cordiale, ma non sorrideva mai. Un velo di tristezza le copriva il volto. Erano tornati alla vita, ma il cuore di Nunez sanguinava. Si rammaricava perché di lei ne aveva fatta un’infelice. PATRIZIA ROSATI Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO Ciao mi chiamo Patrizia, ho 40 anni e sono una mamma. Ho uno sguardo ottimista sul futuro e su chi incontro, forse un po’ ingenua. Mi piace scambiare le mie opinioni e aiutare chi incontro. Se una cosa è ingiusta per gli altri, non so stare zitta mentre per me tendo a sopportare. Dipendo un po’ troppo da chi mi vuole bene. Sono un po’ sbadata e disordinata. Mi piace giocar con i bambini. Mi piace la silenziosa montagna e il protettivo mare. Mi fa paura stare da sola. Sogno di tornare a Gerusalemme. Descrivo me stessa a MIO PADRE Ciao Papà come sono diventata dopo 15 anni che non ci vediamo? Mi piace prendermi cura di chi amo, credevo di essere più coerente ma ho scoperto che non sempre ce la faccio. Sono diventata più diplomatica e meno rigida sulle mie convinzioni. Ho capito che non salverò il mondo ma mi piace contribuire a renderlo migliore. Mi piace confrontare le mie idee con gli altri. Non sono furba e a volte non rifletto prima sulle conseguenze delle mie azioni. Mangio sempre il gelato al cioccolato. Sono curiosa. Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. che meraviglia, il sole caldo, il cielo di un azzurro limpido, e quanta gente felice tutta attorno a me! Sono venuti per me, mi sento al centro del mondo .. ridono, si divertono, parlano e mangiano Una torta fantastica, la mia preferita … panna e fragola … Non vedo l’ora di affondarci le dita .. ehi un momento … che cosa succede … aiuto ho gli occhi pesanti, voglio stare sveglia ma non ce la faccio … mi sento come trasportata lontano: la torta, gli amici diventano sempre più piccoli, i rumori si attenuano .. noo aiuto, voglio restare sveglia, non so cosa mi sta succedendo, sarà stato quella bibita tiepida e dolce che mi hanno dato da bere … vigliacchi .. aiuto .. qualcuno mi aiut…. che fregatura avere pochi mesi di vita … nei momenti più belli, dormi! Non vedo l’ora di compiere 1 anno Provate a descrivere il momento esatto che cambierà la vita, nel bene o nel male ad un personaggio “no, mi spiace, non ho trovato il cellulare … non l’hai lasciato in macchina?” … Ok ci sentiamo dopo, buona giornata …” Dopo avergli parlato, rientro in camera e vedo tra il comodino e il letto una lucina verde che lampeggia. Mi avvicino incuriosita e lo vedo Deve essere scivolato mentre infilava la giacca questa mattina. Lo guardo, è acceso. Le pulsazioni accelerano lo apro, non resisto mi tremano le mani mentre sfioro il video Un messaggio in arrivo, non letto Lo so che non è giusto .. lo so che non dovrei Con il cuore in gola, sfioro la busta lampeggiante “amore mio …..” Lo sapevo, lo sapevo in fondo E la terra, la mia terra, frana sotto i miei piedi e ora? Provate a immaginare e scrivere la vostra conclusione del breve romanzo di H.G. Wells, Nel paese dei ciechi. Il testo può variare dai 1000 ai 3600 caratteri spazi inclusi. I raggi del sole, trapassando gli angusti spazi tra le rocce, rimbalzarono su una superficie trasparente, venendolo a cercare. Si avvicinò incuriosito e vide una piccola, pulita e limpida sorgente d’acqua. Sulla roccia, incisa da antiche dita, una mano aperta come ad indicare un dono. Infilando la mano si accorse che le piccole ferite che si era procurato il giorno prima spaccando la legna, erano guarite. Perfettamente! Sentì un fremito lì, all’altezza del cuore. Come se pesanti catene si fossero dissolte, come se .. no non sapeva spiegarsi. Comprese però perché la vita lo avesse portato in quel luogo, in quella valle dimenticata. Doveva essere il tramite per quel dono prezioso che la natura o Dio o non sapeva chi, aveva fatto al suo popolo dei ciechi. Corse verso il villaggio e prese un secchio per raccogliere l’acqua. Non poteva certo sperare di convincerli tutti ad arrampicarsi per quel sentiero. Tornando si accorse che il raggio di sole, che prima illuminava la fonte, era scomparso, nascosto dalle nuvole. Il cuore sussultò, non è possibile si diceva, non è possibile .. si sentì impotente e sconfitto. Allora capì. Comprese che quella fonte andava cercata con il cuore, non con gli occhi. Guarda con il cuore, ripeteva come un mantra, guarda con il cuore. E lo fece. Chiuse i suoi preziosi occhi, e si lasciò guidare dalla voce leggera dell’acqua che usciva dalla montagna, quella voce che da giorni lo chiamava e che, non avendo ricevuto ascolto, aveva chiamato in aiuto l’amica luce per quel testone di Nunez. Perché la fonte lo sapeva che era un testone, ma con un cuore buono. E così quel cuore lo condusse alla fonte. Gli occhi non servivano, bastava il cuore e quella disperata volontà di stare con Medina. Nunez ringraziò la fonte per il prezioso dono e traballante come un bambino che impara a camminare, tornò al villaggio. Tutti lo guardavano straniti ma capivano che qualcosa era successo: quella mattina Nunez era guarito. Ora guardava con il cuore. E così finalmente potè ricevere la benedizione per sposare l’amata. E comprese che l’acqua miracolosa non serviva al suo popolo, serviva a lui perché l’aveva finalmente guarito dal quella malattia del cuore che si chiama cecità. ANNAMARIA ROTA Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO 58 anni, pensionata felice, un passato lavorativo gratificante. 36 anni di matrimonio, un puzzle fatto di pezzi facili e difficili che mio marito mi aiuta quotidianamente a comporre ed un figlio “musicista fino al midollo” che mi dà tante soddisfazioni. Altezza normale, piuttosto “cicciotta” riccia, occhi chiari, labbra “pocciose”. Serena, a volte un po’ ansiosa, tendenzialmente positiva; amo leggere, credo nella forza del volontariato e penso che una delle cose più belle della vita sia rendere felici gli altri. Descrivo me stessa a MIO PADRE Chi ci vede insieme capisce subito che sei mio papà; la nostra somiglianza è tangibile e impressionante. Dici sempre che da te ho preso i difetti (i denti, i piedi, l’insonnia, l’emotività…) e dalla mamma i pregi ma non è vero. Tu mi hai insegnato tante cose, l’importanza della famiglia, della preghiera, del sacrificare la nostra vita per i nostri cari; dalla mamma ho imparato la tolleranza, il perdono e aiutare chi e meno fortunato. I difetti che mi sono costruita da sola sono tanti ma non ho abbastanza caratteri a disposizione per descriverli. Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. Vedo tre bambini che si tengono per mano, curiosi, spaventati, poverissimi, una casa, un lettone per tre che sembra piccolo ma che diventa grande quando ci stringiamo, mani di mamma fatte di carezze, di compiti, di giochi senza tv, di consolazione, di amore; voci di papà che rassicurano, che danno speranza e sguardi; sguardi di paura, di preoccupazione, di rimproveri ma limpidi, sinceri. Vedo una grande città che sembra inghiottirti e tante difficoltà da affrontare ma mani che aiutano, sorrisi che rinfrancano, amicizie, solidarietà. E poi all’improvviso l’odore dei pini, del rosmarino e il rumore delle cicale e del mare mi riportavano alla realtà: non è stato un sogno ma il ricordo dell’infanzia più bella. I miei occhi sono ancora assonnati; volentieri mi crogiolo al sole, li chiudo per continuare a sognare. Provate a descrivere il momento esatto che cambierà la vita, nel bene o nel male ad un personaggio Antinisca, è appena tornata da un viaggio. Il suo lavoro è la sua vita, la porta a viaggiare spesso e tornare a casa le fa sentire ogni volta quel profondo malessere e quel senso di vuoto che lei stessa non riesce a definire.. La busta nella borsa, che stasera sembra più pesante del solito, la chiama… Non ora, ora ha bisogno di rilassarsi, un bagno caldo e un buon bicchiere di vino l’aiuterà a trovare il coraggio… Poi si decide e apre la busta: la testa gira ed il cuore batte all’impazzata; nella sua vita non ha mai provato un’emozione così intensa. Tornano alla mente le parole di un libro letto tanto tempo fa.”. Mai due sconosciuti uniti nello stesso corpo furono più sconosciuti di noi..” Antinisca in quel momento si rende conto che qualunque decisione prenderà, l’idea di questo bambino cambierà la sua vita per sempre. Provate a immaginare e scrivere la vostra conclusione del breve romanzo di H.G. Wells, Nel paese dei ciechi. Il testo può variare dai 1000 ai 3600 caratteri spazi inclusi. Sperduto nelle Ande, Nunez viene accolto da una comunità i cui membri sono tutti ciechi da 14 generazioni. Confuso dalla vita laboriosa e dai sensi finissimi dei suoi ospiti, dovrà destreggiarsi fra il proprio senso di superiorità e la loro remota saggezza: anche perché i ciechi si sono messi in testa di guarirlo dalla sua inspiegabile, perversa ossessione per la vista. Il giorno prima dell'intervento che lo dovrebbe appunto privare della sua "perversa ossessione" (e consentirgli di sposare la ragazza amata) Nunez si allontana dalla comunità pensando di andare in un luogo solitario: "ma alzò gli occhi e vide il mattino"... E si chiese se era possibile, anche in nome di un grande sentimento, non poter più vedere un alba, un tramonto e tutto quello che il buon Dio aveva messo nel mondo a disposizione di tutti gli uomini Pensò a lungo alla decisione da prendere; è giusto per amore rinunciare a un dono così bello come la vista? Non avrebbe avuto ripensamenti nel corso degli anni e sarebbe riuscito ad acquisire la saggezza e la sensibilità dei suoi amici ciechi in modo da poter vivere con loro una vita serena? O non amava abbastanza Medina da aver paura di fare una scelta così gravosa ? Ma l’amore si dovrebbe arricchire di cose belle, non impoverire... All’improvviso, mentre guardava la bellezza del creato intorno a lui, Nunez ebbe la certezza di aver trovato la soluzione. Tornò di corsa da Medina e le disse: “Amore mio perché devo essere io a rinunciare al bene prezioso della vista e non essere invece tu a conoscerlo? Andremo insieme nel mio mondo dove, nonostante tanto egoismo e cattiveria esistono persone che cercano nuove medicine per nuove malattie, persone che fanno della ricerca la loro priorità di vita e tu sarai guarita . E poi torneremo qui dai nostri amici e tutti quelli che desidereranno conoscere un’altra bellezza, oltre quella del cuore, potranno riacquistare la vista.” Medina lo abbracciò e con infinita dolcezza gli accarezzò il viso consapevole che, a breve, avrebbe visto il suo Nunez non solo con gli occhi dell’amore ma con tutta se stessa. MARIA ENRICA SEVERGNINI Descrivo me stessa ad uno SCONOSCIUTO Mi chiamo Enrica. Una chioma di capelli ricci e crespi , due vispi occhi marroni, zigomi sporgenti con poche pallide efelidi, e sotto un piccolo naso, un bel sorriso. Sono una felice nonna di cinquantasei anni. Ho una corporatura piuttosto formosa, di media altezza, sono gioviale, espansiva e quasi sempre allegra. Cerco di mantenermi giovane con vitalità ed entusiasmo. Mi ritengo meticolosa, ordinata, precisa e disponibile, ma anche molto sensibile, per questo mi emoziono facilmente. (500 caratteri e sei righe) Descrivo me stessa a MIO PADRE Per te ero il sole, la tua preferita, la figlia femmina tanto desiderata, felice, allegra, esuberante e spensierata, ma così impulsiva e pestifera da meritarsi qualche castigo in più. Ora, c'è una persona diversa, una donna allegra e spensierata, ma più mite, riflessiva, e a volte perfino saggia. Infatti se vengo provocata, non reagisco più d’impulso come allora, ma cerco di restare calma dicendo comunque ciò che penso. Mi emoziono anche con facilità, e se ricordo bene, tu eri proprio così. (506 caratteri e sei righe) Partendo da questo incipit provate a costruire un testo Finalmente mi svegliai per davvero, il sole mi bruciava le palpebre, le aprii con fatica. Vidi il cielo. Vidi che mi trovavo all’aperto. Ma il sonno appesantiva ancora i miei occhi. Forse stavo solo sognando…. Qualcosa di strano mi sfiora una gamba, mi sveglio lentamente dal torpore, mi rialzo e vedo davanti ai miei occhi una immensa distesa blu, la lucente sabbia dorata punteggiata di conchiglie e coralli, e infine la bianca spuma della risacca che mi lambisce la gamba intonandomi un dolce mormorio. Sorrido un po’ sorniona sulla spiaggia a me familiare, e mi sento a casa. La mente mi riporta agli avvenimenti dei giorni appena passati, ed un’ombra triste mi vela gli occhi; ora ricordo, accidenti se ricordo, però fa ancora un po’ male. Fissando l’orizzonte ritorno a lunedì scorso, Laura e Cristina mi hanno raccontato ogni cosa. Non è vero, mi dico, è pazzesco, non posso crederci, Paola è mia amica e ci vogliamo bene, non può avermi fatto questo, ma se lei è ancora lì, qualcosa di vero deve pur esserci. Voglio guardarla bene negli occhi.