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L’ambiente come dovere pubblico “globale”: qualche conferma nella giurisprudenza del Giudice delle leggi?• Giorgio Grasso♣ 1. Questo breve intervento prende spunto, traendone i riferimenti bibliografici essenziali, dalle due relazioni di cui si discute in questo Atélier1, da un recente, appassionato, libro di Antonino Spadaro2 e da un lavoro di ricerca di chi scrive sui rapporti tra ambiente, doveri di solidarietà e sviluppo sostenibile3. Rompendo subito ogni indugio, la tesi che si vuole sostenere è che l’ambiente prima di essere un diritto esprima un dovere di solidarietà, che nella nostra esperienza costituzionale si desume implicitamente dall’art. 2 Cost.4, nella parte in cui enuncia i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, e che in numerose Costituzioni europee (tra le molte il Grundgesetz e le • Il testo riproduce l’intervento svolto al Convegno annuale del Gruppo di Pisa, “I doveri costituzionali: la prospettiva del Giudice delle leggi”, svoltosi ad Acqui Terme e ad Alessandria nei giorni 9 e 10 giugno 2006, ed è in corso di pubblicazione negli Atti, Torino, Giappichelli, 2007. Esso mantiene, quindi, prevalentemente il tono e la struttura tipici della forma orale, con la sola aggiunta di alcune essenziali note bibliografiche. ♣ Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Economia dell’Università degli Studi dell’Insubria. E-mail: [email protected] . 1 Quelle di F. Giuffrè, I doveri di solidarietà sociale, e di I. Massa Pinto, I doveri del cittadino appartenente a formazioni sociali, entrambe pubblicate in questo Volume. 2 Cfr. A. Spadaro, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”. La giustizia distributiva internazionale nell’età della globalizzazione, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2005, spec. 85 ss. 3 Vedi G. Grasso, Solidarietà ambientale e sviluppo sostenibile tra Costituzioni nazionali, Carta dei diritti e progetto di Costituzione europea, in Politica del diritto, 2003, 581 ss. 4 La più soddisfacente esposizione di questa tesi si deve ad un amministrativista, Fabrizio Fracchia, nel contributo Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 e doveri di solidarietà ambientale, in Il diritto dell’economia, 2002, 215 ss., poi ripreso dallo stesso A. in Amministrazione, ambiente e dovere: Stati Uniti e Italia a confronto, in D. De Carolis, E. Ferrari, A. Police (a cura di), Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Giuffrè, Milano, 2006, 119 ss. Nella dottrina costituzionalistica vedi i preziosi spunti di T. Martines, Diritti e doveri ambientali, in Panorami, 1994 (6), 1 ss., ora in T. Martines, Opere, Tomo IV, Libertà e altri temi, Giuffrè, Milano, 2000, 185 ss. e spec. 191 ss. 1 Costituzioni spagnola e portoghese)5, trova, invece, un espresso riconoscimento attraverso disposizioni che affidano esclusivamente allo Stato o, in alternativa, a tutti i soggetti dell’ordinamento, pubblici e privati, il dovere di protezione dell’ambiente. In particolare, nel contesto costituzionale italiano, il dovere di tutelare e di proteggere l’ambiente mostra connessioni con le varie forme di solidarietà descritte nel citato art. 2: con quelle economica e sociale, attraverso il concetto di sviluppo sostenibile, che richiede appunto, “inderogabilmente”, sia il perseguimento di uno sviluppo economico che non comprometta irragionevolmente le risorse ambientali, ma che anzi ne freni ogni sfruttamento indiscriminato, sia una re-distribuzione della ricchezza che così si produce tra Paesi ricchi e Paesi poveri ed una progressiva contrazione delle disuguaglianze esistenti tra di essi; fino a quella politica, per la dimensione transnazionale delle problematiche ambientali, che dovrebbe costringere l’Italia a sostenere a livello internazionale politiche di promozione della tutela ambientale6, da recepire poi nel diritto nazionale, e che, più modestamente, determina in tutti i cittadini il dovere (politico) di osservare le leggi che salvaguardano l’ambiente. Ma la dimensione di eticità che, come si è segnalato anche nella relazione di Felice Giuffrè, precede e presuppone la positivizzazione, prima politica ed infine giuridica, del principio di solidarietà, conserva probabilmente in riferimento all’ambiente una sua irriducibilità: l’ambiente, infatti, palesa un inedito tipo di dovere, che richiede di “assumere la responsabilità per le generazioni future e la condizione della natura sulla terra”, pena la mancata realizzazione dell’idea stessa di uomo7. A sua volta, poi, la questione della responsabilità (giuridica) verso le generazioni di là da venire risponde ad una precisa esigenza morale e “diventa 5 Ma per altre indicazioni cfr. G. Grasso, Solidarietà ambientale, cit., 584 ss. e 600 ss.; v. anche in F. Fracchia, Amministrazione, ambiente e dovere, cit., richiami alle Costituzioni degli Stati membri della federazione statunitense. 6 Le tematiche ambientali rientrano, quindi, a pieno titolo in quella teorica dei doveri internazionali, intesi come doveri pubblici globali, cui è dedicato il menzionato volume di A. Spadaro, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”, cit., in particolare 94 ss., 99 ss., 113 ss., e che nell’età della globalizzazione sembrano surrogare nella loro effettività il contenuto dei diritti fondamentali, altrimenti irrealizzabili o utopici (cfr. A. Spadaro, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”, cit., 101). 7 Il rimando d’obbligo è alla riflessione filosofica di H. Jonas, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura, Einaudi, Torino, 2000, 7 e 115, ma già al precedente volume Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 1990. 2 parte essenziale di un nuovo contenuto minimo di diritto naturale”8, di matrice squisitamente laica9, ma che possiede anche radici diverse10. Da questo insieme di constatazioni consegue anche che la forza espansiva dell’art. 2 Cost., relativamente ai doveri inderogabili, che permette di aprire ad ipotesi di solidarietà che non potevano essere normativizzate al momento dell’entrata in vigore del testo costituzionale nel 1948, “purché il loro oggetto ed il loro contenuto siano ritenuti idonei a realizzare il fine voluto dal Costituente”11, se non determina, in linea di massima, il nascere di un immanente dovere di protezione dell’ambiente, ricavabile dalla Costituzione senza l’interposizione della legge, per via dell’art. 23 Cost., rende però meno rigoroso il rispetto del principio di legalità, in forza di un’immediata ed indifferibile concretizzazione del precetto costituzionale di dovere. 2. Lasciando ad altra sede una più approfondita dimostrazione di queste argomentazioni12, il titolo del Convegno odierno impone di cercare nella giurisprudenza della Corte costituzionale qualche riscontro dell’esistenza di questo dovere di solidarietà ambientale. In prima battuta, il pensiero va evidentemente a quell’insieme di pronunce che, già prima della riforma del Titolo V, in mancanza di una canonizzazione costituzionale dell’ambiente, avevano affermato la sua natura valoriale e la matrice unitaria del bene tutelato, e che, dopo la novella costituzionale, da cui è scaturita la formulazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), si sono irrobustite ulteriormente, ricavandosi “una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” (vedi il leading case della sent. n. 407 del 2002, e dietro di essa, con 8 Così R. Bifulco, La responsabilità giuridica verso le generazioni future tra autonomia dalla morale e diritto naturale laico, in A. D’Aloia (a cura di), Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Giuffrè, Milano, 2003, 183, 188, corsivo dell’autore, e passim, attraverso una rilettura della speculazione filosofica di Herbert L.A. Hart. In questa impostazione, un ambiente salubre, che riesca a garantire la sopravvivenza, ed il diritto all’integrità del patrimonio genetico, casi esemplari del tema della responsabilità nei confronti delle generazioni future, rientrano “nel contenuto minimo comune alla morale e al diritto positivo” (pag. 187). 9 Cfr. ancora R. Bifulco, La responsabilità giuridica, cit., 188 ss. 10 Solo a considerare gli interventi del Pontefice Benedetto XVI negli ultimi mesi e la celebrazione, il 1° settembre 2006, da parte della Chiesa italiana della prima “Giornata per la salvaguardia del creato”. 11 T. Martines, Diritti e doveri ambientali, cit., 192. 12 Vedi ancora G. Grasso, Solidarietà ambientale, cit., passim. 3 varie sfumature, numerose pronunce: sentt. n. 536/2002, 96/2003, 307/2003, 259/2004, 62/2005, 135/2005, 335/2005, 246/2006…). Nella prospettiva che si viene qui a privilegiare, infatti, se l’ambiente è un valore che innerva tutto l’ordinamento e che taglia obliquamente il fascio di competenze tra Stato e Regioni, anche con il coinvolgimento decisivo delle autonomie locali minori, in virtù dell’operare dell’art. 118 Cost., è chiaro che si manifesta un dovere dei soggetti pubblici di tutelare il contenuto di quel valore, ma anche un corrispondente dovere di singoli, privati o imprese, nel difenderlo, sia sulla base di una solidarietà imposta dall’alto, sia sulla base di un adempimento spontaneo13. Tuttavia, più che a tale conosciuta giurisprudenza, l’attenzione deve rivolgersi ad un esiguo gruppo di decisioni del Giudice delle leggi, adottate in un arco temporale di quasi un ventennio, che, anche in virtù del petitum, hanno riguardato quei diritti delle generazioni future che, come si è accennato, costituiscono il contraltare naturale dell’idea di doverosità rispetto all’ambiente. Insieme ad esse pare utile esaminare un paio di sentenze, nelle quali viene in considerazione il concetto di sviluppo sostenibile, prima ricordato proprio in quanto uno dei principi che compongono la disciplina normativa che ha per oggetto comportamenti di solidarietà ambientale. 3. Nell’ordine, una prima pronuncia è la sent. n. 1002 del 1988, avente ad oggetto alcune disposizioni della legge quadro sulla caccia (l. 27 dicembre 1977, n. 968), per le quali la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta. In un passo della pronuncia, la Corte afferma “l’affievolimento del tradizionale “diritto di caccia”, attualmente subordinato all’interesse prevalente della conservazione del patrimonio faunistico e della protezione dell’ambiente agrario”; la prospettiva è quella del rapporto tra unitarietà degli interessi in gioco, disciplinati dalla legge statale, e vincolo per la legislazione regionale, concorrente ed esclusiva delle Regioni e delle Province a speciale autonomia, ma sullo sfondo sembra trasparire l’idea di un interesse superiore (prevalente, dice il Giudice costituzionale), che per essere tale (e per risultare concretamente tutelato) deve reggersi sulla predisposizione di obblighi e doveri, da parte statale e regionale. Soprattutto, poi, entrando nel merito dell’art. 11, che elenca le specie cacciabili, come eccezioni al generale divieto di caccia per qualsiasi specie di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica italiana, e citando la Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente 13 4 Per la distinzione v. ancora T. Martines, Diritti e doveri ambientali, cit., 193. naturale in Europa e la Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica, entrambe adottate a Berna nel 1979, la Corte sostiene che tale disposizione rappresenta “l’oggetto minimo inderogabile della protezione dello Stato, anche in adempimento di obblighi assunti in sede internazionale e comunitaria …, nella consapevolezza che flora e fauna selvatica costituiscono un patrimonio naturale di valore estetico, scientifico, culturale, ricreativo, economico e intrinseco che va preservato e trasmesso alle generazioni future”. Nella successiva sent. n. 259 del 1996, sul giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge Galli (l. 5 gennaio 1994, n. 36), la Corte respinge ancora la questione sottoposta al suo giudizio e si sofferma sulle motivazioni che hanno spinto il legislatore italiano, sotto l’influenza del diritto comunitario, ad intervenire per proteggere l’acqua, “bene primario della vita dell’uomo”, in ragione della sua limitata disponibilità. In quest’ottica, la Corte richiama la disposizione censurata, che qualifica l’acqua come “risorsa salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”, e poi, menzionando i successivi commi dell’articolo impugnato, riconnette tale finalità di salvaguardia “al diritto fondamentale dell’uomo (e delle generazioni future) all’integrità del patrimonio ambientale”14, con un evidente rafforzamento del testo della legge che si limita a parlare di aspettative e di diritti delle generazioni future. Queste conclusioni sono confermate nella sent. n. 419 del 1996, sempre riguardante il primo articolo della l. n. 36/1994, dove la Corte ha evidenziato che “la dichiarazione di pubblica utilità delle acque si risolve in un limite della proprietà dovuto alla intrinseca e mutata rilevanza della risorsa idrica, rispondente alla sua natura, “come scelta non irragionevole operata dal legislatore” e quale modo di attuazione e salvaguardia di uno dei valori fondamentali dell’uomo (e delle generazioni future) all’integrità del patrimonio ambientale, nel quale devono essere inseriti gli usi delle risorse idriche”. In modo più sfuggente, nell’ord. n. 46 del 2001, sulla legge 28 febbraio 1985, n. 47, che detta norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, la Corte individua, tra i motivi che la portano a pronunciare una dichiarazione di manifesta infondatezza, l’esistenza di una scelta legislativa “tutt’altro che palesemente irragionevole o arbitraria, attesa la particolare tutela dei beni paesaggistico14 In un altro punto della sentenza la Corte rileva che l’interesse che “è alla base della qualificazione di pubblicità di un’acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto e consentito…, è presupposto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie (specie in una proiezione verso il futuro), di uso dell’acqua”. 5 ambientali, considerata tra i principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall’ordinamento quale “valore primario ed assoluto” insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro”. Due ordinanze “fotocopia” del 2006, la n. 55 e la n. 262, completano questo primo insieme di decisioni; oggetto del giudizio costituzionale è l’art. 14, comma 1, della citata l. n. 36/1994, che disciplina la tariffa del servizio di fognatura e di depurazione. La Corte ritiene, tra l’altro, manifestamente inammissibile in entrambi i casi la questione di legittimità costituzionale, per insufficiente descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, e non entra così nel merito della violazione dell’art. 32 Cost., prospettata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli e dal Giudice di pace di Gragnano, secondo cui la norma “incoraggerebbe il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce” (sic!)15. 4. Passando poi al profilo dello sviluppo sostenibile, è possibile estrapolare dalla giurisprudenza costituzionale qualche accenno ad esso. Abbastanza densa pare, in primo luogo, la ricostruzione di questo principio che la Corte compie, all’interno della nota sentenza n. 14 del 2004, in tema di tutela della concorrenza e nuovo Titolo V, al fine di individuare lo spazio di intervento degli aiuti di Stato; dopo aver osservato che principio ordinatore della Comunità è “quello di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”, la Corte rileva, infatti, che “la Comunità è vincolata a perseguire i fini che le sono assegnati dall’art. 2, secondo comma, del Trattato: uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e dei sistemi di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione e di miglioramento della qualità dell’ambiente, del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri”. Nel pensiero della Corte, quindi, “i principi comunitari del mercato e della concorrenza … non sono svincolati da un’idea di sviluppo economico-sociale 15 Dove l’Avvocatura dello Stato aveva, invece, rilevato che “il prelievo censurato è destinato a finanziare opere ed impianti di depurazione, per la salvaguardia del patrimonio idrico dell’ambiente” (ord. n. 55/2006) ovvero “a finanziare opere ed impianti di depurazione e … a supplire ad eventuali carenze di fondi dei Comuni” (ord. n. 262/2006). 6 e sarebbe errato affermare che siano estranei alle istituzioni pubbliche compiti di intervento sul mercato”. In una seconda decisione, la sent. n. 213 del 2006, relativa alla materia della pesca e dell’acquacoltura e originata da ricorsi “incrociati” di Stato e Regioni su disposizioni regionali e statali, la Corte riscontra, rispetto al quadro normativo che definisce l’ambito della competenza legislativa e amministrativa dello Stato e delle Regioni, dopo la riforma costituzionale del 2001, “una generale promozione della funzione di razionalizzazione del sistema della pesca in ragione dei principi di sviluppo sostenibile e di pesca responsabile, al fine di coniugare le attività economiche di settore con la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi”. In questo caso, la preoccupazione essenziale della Corte è quella di definire la cornice di una materia, la pesca, “oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., sulla quale, tuttavia, per la complessità e la polivalenza delle attività in cui si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa”. 5. Quali indicazioni si possono desumere dalle pronunce, sommariamente ricordate, nella logica di un discorso che cerca di legare indissolubilmente solidarietà ambientale, sviluppo sostenibile e posizioni giuridiche soggettive di chi verrà dopo di noi? Certamente, le sottolineature da parte della Corte costituzionale dei diritti delle generazioni future e del principio dello sviluppo sostenibile nascono soprattutto come effetto di un’esplicita previsione da parte dei testi normativi oggetto di giudizio o di Convenzioni internazionali e di norme dei Trattati comunitari all’uopo richiamati o di (improbabili) censure di violazione di norme costituzionali avanzate dai giudici remittenti. Questo è un elemento di relativa debolezza e di insoddisfazione per l’interprete, così come la scarsità delle pronunce su tale punto e la mancanza di un adeguato “collante” tra le diverse decisioni, che non sia l’impiego di espressioni che evocano (a volte anche un po’ casualmente) i diritti delle generazioni future, la solidarietà, lo sviluppo sostenibile. Ma è la combinazione di alcuni degli esiti di queste pronunce, con la più consolidata giurisprudenza della Corte sui rapporti tra Costituzione ed ambiente, cui si è fatto sopra qualche cenno, che potrebbe rappresentare un primo abbozzo per un riconoscimento giurisprudenziale dei doveri pubblici ambientali. L’ambiente, allora, verrebbe a configurarsi come valore costituzionalmente protetto, soltanto coniugando sistematicamente la sua tutela a comportamenti 7 doverosi del legislatore, statale e regionale, degli apparati amministrativi ai vari livelli dell’ordinamento, delle imprese, dei cittadini ... In estrema sintesi, guardando conclusivamente al ruolo del Giudice costituzionale in questo campo, due quesiti “ideali” ed altrettante risposte dovrebbero orientare il suo percorso interpretativo. Perché, in primo luogo, il valore ambiente deve essere difeso e protetto dall’aggressione dell’uomo, delle innovazioni tecnologiche e della scienza? Per preservare, in ultima istanza, i diritti fondamentali delle generazioni future, senza dimenticare i diritti delle generazioni del presente, che dispongono della medesima durezza e forza dei primi, ma ai quali si chiede di porsi appena un passo indietro in funzione di solidarietà per il domani. Come deve essere difeso, in secondo luogo, il valore ambiente e con l’impiego di quali strumenti? Portando avanti scelte legislative, normative, amministrative, aziendali e pure individuali, che favoriscano uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e che abbiano finalità di re-distribuzione, fondate sulla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociali, indicati nell’art. 3, comma 2, Cost., e sugli ideali di pace e di giustizia fra le Nazioni di cui al successivo art. 11. E se i doveri ambientali, per il loro costante collegamento con un’etica della responsabilità, della sopravvivenza della specie umana e della coesistenza degli uomini nel tempo, mostrano, come si è visto, caratteri del tutto peculiari, rispetto alla classificazione dei doveri dell’art. 2 Cost., il sindacato della Corte costituzionale potrà diventare assai penetrante, senza che gli si possa (mai?) opporre la discrezionalità di un legislatore, in ipotesi, recalcitrante o soltanto troppo “timido” nel perseguire una politica ambientale sintonizzata fino in fondo sui canoni della solidarietà. 8