Interventi di consolidamento dei terreni

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Interventi di consolidamento dei terreni
Osservazioni su alcune delle tecniche di
consolidamento dei terreni più diffuse in Italia
Flora A., Lirer S.
Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale, Università degli Studi di Napoli Federico II
1. INTRODUZIONE
Il consolidamento dei terreni è un settore dell’ingegneria geotecnica in rapida evoluzione che,
grazie alle nuove possibilità tecnologiche offerte dall’industria, svolge sempre più spesso un ruolo
rilevante nei progetti di opere geotecniche. Si può anzi affermare che, negli ultimi decenni, lo
sviluppo di soluzioni tecniche adatte al miglioramento e al rinforzo dei terreni e delle rocce è stato
uno dei motori principali dell’innovazione dell’ingegneria e dell’industria delle costruzioni nel
settore geotecnico. Tuttavia, la presenza di molte soluzioni alternative, l’incertezza relativa ad
alcuni aspetti dell’esito degli interventi (estensione, proprietà meccaniche, presenza di difetti) e in
alcuni casi la scarsa conoscenza dei processi fisico-meccanici coinvolti, rappresentano per
l’ingegnere difficoltà che molto spesso ne condizionano il controllo in fase di progetto.
Le tecniche di consolidamento possono essere classificate efficacemente (Fig. 1.1) in funzione
dell’estensione e del rapporto con il terreno in sede (miglioramento se diffuso, rinforzo se
localizzato) nonché dell’effetto che esse hanno sullo “stato” del terreno trattato (descritto
sinteticamente dal grado di addensamento e dalle condizioni tensionali agenti) e sulla sua
“costituzione” (intesa come l’insieme delle componenti fisico-chimiche che costituiscono il terreno
consolidato). In questa sede è impossibile anche la mera descrizione dell’intero panorama esistente.
Senza alcuna pretesa di completezza, quindi, nel seguito si descrivono per le diverse tipologie di
intervento gli aspetti salienti ed alcune tecniche particolarmente promettenti. Infine, con riferimento
a tre tecniche particolarmente note e oramai diffuse in Italia (jet-grouting, permeation grouting, soil
nailing), si riportano informazioni più dettagliate e alcune indicazioni di progetto.
1.1 Tecniche di miglioramento dei terreni
Tra le tecniche che agiscono sullo stato del terreno, quella che al momento sembra avere a livello
internazionale il più largo impiego è certamente il drenaggio con pompe a vuoto, noto anche in
Italia con il termine inglese vacuum preloading. Con esso, si realizza nel terreno un sistema
drenante superficiale e profondo isolato superiormente con una copertura impermeabile all’aria
(Fig. 1.2a). All’interno di tale sistema drenante si applica una depressione che innesca un fenomeno
di consolidazione concettualmente equivalente a quello causato dall’applicazione di un tradizionale
precarico, con il vantaggio di non movimentare grandi volumi di terreno. Sebbene tale tecnica sia
nota da lungo tempo e il meccanismo di funzionamento sia ben chiaro, i recenti sviluppi tecnologici
e i nuovi materiali disponibili per il drenaggio ne hanno di molto favorito la diffusione.
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TRATTAMENTI DI MIGLIORAMENTO
Azioni su
Fattore
modificabile
STATO
TENSIONE E PRESSIONE
INTERSTIZIALE
COSTITUZIONE
INDICE DEI VUOTI
FLUIDO INTERSTIZIALE
COMPATTAZIONE
SUPERFICIALE
PRECARICO
DRENAGGIO
PERMEAZIONE
Compattazione
statica
Iniezioni di
miscele
Drenaggi a gravità
Compattazione
per vibrazione
Microrganismi
Drenaggi con
pompe a vuoto
Compattazione per
impatto
Dreni verticali
Compattazione
con impulsi elettrici
CONGELAMENTO
STABILIZZAZIONE
CHIMICA
Miscelazione
con cemento
Miscelazione
con fibre
Consolidazione dinamica
STABILIZZAZIONE
ELETTROCHIMICA
Esplosioni
Iniezioni compattanti
Applicazione
Miscele granulari
STABILIZZAZIONE
FISICA
Vibrocompattazione
PROCESSO
STABILIZZAZIONE
GRANULOMETRICA
Miscelazione
con calce
COMPATTAZIONE
PROFONDA
Legenda
SCHELETRO SOLIDO
STABILIZZAZIONE
TERMICA
ELETTROSMOSI
RISCALDAMENTO
TRATTAMENTI DI RINFORZO
Azioni su
COSTITUZIONE
Fattore
modificabile
MEGASTRUTTURA
CON INCLUSIONI
PER CONFINAMENTO
Reagenti
a trazione
Non reagenti
a trazione
Terra rinforzata
Colonne granulari
Gabbioni
Chiodature
Trattamenti
colonnari
Muri reticolari
compositi
Bulloni
Jet grouting
Pali radice
e micropali
Legenda
RINFORZO
Applicazione
Figura 1.1 - Classificazione delle tecniche di consolidamento dei terreni e delle rocce (Flora e Lirer, 2011).
Certamente da segnalare sono anche quegli interventi di consolidamento che prevedono l’iniezione
di miscele che non penetrino all’interno dei pori del terreno, ma generino in profondità volumi da
esso isolati capaci, per la pressione di iniezione utilizzata, di esercitare una sollecitazione sul terreno
circostante (iniezioni compattanti). L’effetto di questa sollecitazione può essere l’addensamento
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locale del terreno circostante (compaction grouting) o l’innalzamento del piano campagna
(compensation grouting) (Fig. 1.2b). Quest’ultima applicazione, solitamente usata per terreni a
grana fine o medio fine e quindi applicata in condizioni non drenate, si sta sempre più diffondendo
congiuntamente alla realizzazione di gallerie superficiali in area urbana, per ridurne l’impatto sulle
costruzioni in superficie.
edificio
piano campagna
cedimento dovuti
allo scavo
cedimento dopo
il trattamento
volume trattato
(a)
scavo
(b)
Figura 1.2 – a) Schema di applicazione del vacuum preloading; b) Schema di funzionamento del
compensation grouting associato allo scavo di gallerie superficiali.
Le tecniche di miglioramento che agiscono sulla costituzione del terreno, invece, modificano la
composizione o lo stato del fluido interstiziale, oppure le caratteristiche e la composizione dello
scheletro solido, attraverso processi di varia natura. Tra le tecniche che agiscono sul fluido
interstiziale si annoverano le iniezioni per permeazione. Esse non sono oramai considerate
innovative dal punto di vista del principio di funzionamento (Mitchell, 1981), ma lo sono per
quanto riguarda i materiali impiegati, in continua e rapida evoluzione, e per i processi da essi
attivati per il consolidamento.
Una variante che merita però una pur breve menzione in questa sede è la “permeazione con
microrganismi”, citata nella classificazione di Fig. 1.1. Tale tecnica consiste nell’iniezione per
permeazione di particolari batteri e di miscele contenenti urea e cloruro di calcio. L’attività
metabolica dei micorganismi fa precipitare cristalli di carbonato di calcio che legano chimicamente
i granelli di terreno, aumentando globalmente la rigidezza e la resistenza al taglio del terreno (van
Paassen et al., 2009). Questa tecnica si è dimostrata molto efficace alla scala del laboratorio e
promettente per le applicazioni in sito: il difetto più grave del processo, al momento, consiste nella
necessità di estrarre dal terreno il cloruro di ammonio, che è un sottoprodotto inquinante del
processo chimico prima descritto.
Tra le tecniche di miglioramento che invece agiscono sulla costituzione dello scheletro solido sono
incluse tutte quelle utilizzate per la stabilizzazione tramite rimaneggiamento di terreni superficiali o
posti a rilevato. La più innovativa di queste tecniche è senza dubbio quella classificata in Fig. 1.1
come “miscelazione con fibre”: si tratta di una tecnica di consolidamento che consiste nella
miscelazione del terreno con fibre sintetiche di piccole dimensioni (con lunghezza massima di
alcuni centimetri). L’interesse di questa tecnica risiede nel fatto che le fibre possono essere ottenute
da prodotti industriali riciclati non inquinanti. Dai numerosi studi di laboratorio condotti sui terreni
fibro-rinforzati (Zornberg 2002; Michalowski e Cermàk, 2003; Sadek et al., 2012; Lirer et al. 2011,
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Lirer et al. 2012), emerge che in linea generale l’inserimento delle fibre tende ad aumentare la
resistenza e la duttilità del terreno naturale.
Figura 1.3 - Sabbia rinforzata con fibre di polipropilene (da Lirer et al., 2011).
Le fibre impiegate in questa tecnica di consolidamento possono essere realizzate in polipropilene,
polietilene, nylon o poliestere, più raramente in acciaio. Esse possono avere varie forme (fibre piatte
o cilindriche) e diverse procedure di produzione (monofilamento o plurifilamento).
Un terreno fibro-rinforzato è un materiale composito con un comportamento macroscopico che
dipende dalle proprietà (intrinseche e di stato) del terreno originario e da quelle delle fibre
(caratteristiche geometriche e meccaniche). Siccome l’effetto consolidante delle fibre è legato alla
capacità dei granelli di serrarle e non farle sfilare, tra le proprietà intrinseche del terreno deve
ovviamente essere considerata anche la distribuzione granulometrica, in quanto rappresentativa
della capacità di sviluppare contatti granelli-fibre Lirer et al. (2011).
1.2 Tecniche di rinforzo dei terreni
Gli interventi di rinforzo del terreno sono caratterizzati dalla presenza di elementi ben distinti dalla
massa di terreno. Tali elementi possono essere di tipo strutturale (chiodi, bulloni, pali, micropali,
geotessili) o realizzati con aggiunta di materiali di varia natura (terreni granulari, geotessili, miscele
cementizie).
Sotto la voce “trattamenti colonnari” si includono tutte le tecniche di miscelazione profonda per
mescolamento meccanico del terreno con miscele cementizie, solitamente identificate con il termine
deep mixing oppure con gli acronimi DMM (Deep Mixing Method) o DCM (Deep Cement Mixing)
ma che commercialmente assumono nomi diversi in funzione dei brevetti. Il volume di terreno
trattato con deep mixing ha forma cilindrica (Fig. 1.4), se si adotta la classica attrezzatura di scavo e
iniezione della miscela ad elica (continua o discontinua), oppure una forma parallelepipeda a
pannelli se si adotta una coppia di ruote fresanti.
Una tecnica di rinforzo sulla quale si è concentrata molto l’attenzione dei ricercatori nel recente
passato è quella delle colonne granulari, che possono essere di vario tipo sia per la tecnica di
installazione sia per il materiale utilizzato. Questa tecnica consiste nella realizzazione di colonne di
materiale granulare di buone proprietà meccaniche aventi la doppia funzione di fondazione
profonda e di drenaggio.
Per la loro costituzione, queste colonne sono meno efficaci dei tradizionali pali di fondazione, ma
più rapide ed economiche da realizzare. Le versioni più note sono le cosiddette Stone Columns (Fig.
1.4b) se realizzate solo con materiale grossolano, e le colonne con una camicia di geotessile
circostante (Encased Stone Columns, Geotextile Confined Columns GCC). La camicia di geotessile
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svolge una benefica azione cerchiante, aumentando notevolmente la capacità portante delle colonne
granulari.
Due tecniche di rinforzo ben note sono il jet grouting e la chiodatura dei terreni (soil nailing), di cui
si parlerà diffusamente nel seguito.
(a)
(b)
Figura 1.4 - a) Schema di esecuzione di trattamenti colonnari cilindrici (deep mixing); b) Schema di
formazione di una colonna granulare (stone column).
2 JET GROUTING
2.1 Procedimento esecutivo e meccanismo di funzionamento
Il trattamento dei terreni mediante jet grouting avviene con l’iniezione ad alta velocità di una o più
miscele fluide che rimaneggiano e cementano il terreno in sede. Nella sua applicazione tradizionale,
con questa tecnica si realizzano volumi di terreno trattato approssimativamente cilindrici. Il jet
grouting ha avuto uno sviluppo vorticoso negli ultimi decenni, ed è senza dubbio la tecnica di
consolidamento più nota e diffusa nella pratica professionale nazionale, sia per la sua versatilità sia
per il contributo che le aziende italiane hanno fornito al suo sviluppo. Si tratta di una tecnica di
consolidamento particolarmente flessibile e adattabile a diversi impieghi anche per la possibilità di
eseguire colonne con qualsiasi inclinazione.
Nella sua versione classica, il trattamento si articola in due fasi successive di perforazione e di
iniezione dei fluidi in risalita (Fig. 2.1). La risalita può essere continua o, più frequentemente, a
gradini di altezza predeterminata.
Il processo di formazione della colonna produce un refluo, denominato spurgo, costituito dal fluido
in eccesso e da una aliquota di terreno rimaneggiato, che risale in superficie attraverso
l’intercapedine tra aste e foro. Sebbene rappresenti uno spreco e comporti anche un costo
aggiuntivo per la sua gestione in cantiere, lo spurgo è assolutamente indispensabile come indicatore
del buon funzionamento del processo. La tecnica è infatti efficace se l’intercapedine tra aste e
terreno è libera, e il getto è libero di fuoriuscire dallo strumento di perforazione e iniezione
(monitor) ad alta velocità. La fuoriuscita dello spurgo a boccaforo è l’unica garanzia che ciò
avvenga.
I procedimenti attualmente in uso, denominati in modo diverso dalle varie imprese esecutrici,
possono essere classificati in tre categorie generali: monofluido, bifluido e trifluido.
Il sistema monofluido è il più semplice, è stato il primo ad essere sviluppato ed è ancora largamente
in uso. Con questo sistema si effettua una perforazione di piccolo diametro (fino a 150 mm) con
circolazione di acqua oppure – qualora sia necessario sostenere le pareti del foro – di fango
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bentonitico o miscela cementizia. Nella fase di trattamento, dagli ugelli laterali si inietta un unico
fluido (miscela acqua-cemento con eventuali additivi) che assolve alle funzioni di
rimaneggiamento, permeazione e cementazione del terreno.
(a)
(b)
Figura 2.1 – a) Schema del trattamento con jet grouting, b) Schema del monitor nei tre sistemi: a) monofluido,
b) bifluido, c) trifluido. (da AGI, 2011).
Nel sistema bifluido, durante la fase di trattamento in risalita l’insieme degli ugelli permette
l’iniezione contemporanea di miscela cementizia ed aria compressa . In particolare, l’aria compressa
viene espulsa attraverso un ugello a forma di corona circolare, coassiale a quello preposto
all’iniezione della miscela cementizia, in modo che il getto di miscela risulti circondato da un
“anello” di aria compressa che limita la dispersione del getto stesso, incrementandone l’efficienza
idrodinamica e quindi il raggio d’azione.
Nel sistema trifluido, infine, il trattamento avviene separando le funzioni di disgregazione del
terreno in sede (affidata ad un getto di acqua circondato da aria che fuoriesce dall’ugello superiore,
da quella di cementazione, svolta dalla miscela cementizia iniettata dall’ugello inferiore.
Le attrezzature e il procedimento descritti non sono gli unici possibili, e ad oggi si contano
numerose modifiche sia alle une che agli altri, con la messa a punto anche di tecniche ibride quali
ad esempio l’uso degli ugelli per jet grouting su attrezzatura per il deep mixing (Shibazaki, 2002).
Recentemente in Giappone è stata sviluppato un monitor per jet grouting bifluido (Yoshida et al.,
1996), ancora poco diffuso in Italia, che ha una conformazione dei condotti interna tale da evitare
brusche curve, al fine di ridurre al minimo la turbolenza dei fluidi e quindi le perdite di carico
localizzate all’ugello. Questa modifica ha notevole efficacia e rende il sistema più efficiente della
versione tradizionale. Commercialmente questa tecnica è nota come Super Jet o come Super Jet
Midi: con essa si possono ottenere colonne con diametri veramente elevati (fino a 5 m), molto
maggiori di quelli che si possono realizzare con le tecniche tradizionali.
L’efficacia del jet grouting dipende dalla capacità erosiva del getto, che è funzione soprattutto della
sua energia idrodinamica. La presenza di un velo d’aria in pressione riduce sensibilmente
l’interazione tra il fluido iniettato e quello di intercapedine, migliorando l’efficienza del sistema, e
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quindi le tecniche bifluido e trifluido sono più efficaci. Come suggerito da Flora e Lirer (2011),
l’energia specifica (energia per unità di lunghezza, espressa in MJ/m) sono può essere scritta come:
 energia specifica all’impianto Es,i (imposta dall’operatore):
Es, i 
pQ
vr
(2.1)
 energia specifica agli ugelli Es,u :
E s,u 
m  vu2   Q  vu2

2L
vr
(2.2)
dove: p = pressione del fluido; Q = portata del fluido; vr = velocità media di risalita delle aste; m
= massa del fluido; vu = velocità di uscita del getto;  = densità del fluido.
Siccome la quantificazione dell’energia riguarda il fluido che rimaneggia il terreno, la portata Q, la
pressione p e la velocità di uscita del getto vu sono relativi alla miscela cementizia nel caso di
tecnica monofluido o bifluido, all’acqua nel caso di tecnica trifluido. Le espressioni (2.1) e (2.2)
dovrebbero essere utilizzate per programmare le attività di cantiere in fase di sperimentazione
(campi prova), scegliendo combinazioni di parametri di iniezione tali da fornire al terreno l’energia
sufficiente ad ottenere il diametro desiderato. Tra le due espressioni dell’energia esiste la relazione:
Es,u    Es,p
(2.3)
con <1. Per un impianto ben concepito, la somma delle perdite distribuite e concentrate è al più
dell’ordine di grandezza del 10% dell’energia alla pompa, per cui   0.9.
A parità di energia di trattamento, l’efficacia è tanto maggiore quanto minore è la resistenza al
rimaneggiamento dei terreni. In generale, i terreni sabbiosi non cementati sono i materiali più idonei
ad essere trattati, con un esito che dipende ovviamente anche dal loro stato di addensamento.
La scelta dei parametri di trattamento con jet grouting avviene assegnando valori prestabiliti alle
variabili controllate dall’operatore, che possono essere distinte in tre categorie: variabili
geometriche del sistema meccanico, variabili relative al movimento delle aste, e variabili relative
alle miscele di iniezione. In Tab. 2.1 sono riportati gli intervalli di riferimento tipici per le variabili
più significative, ricavati dalla pratica consolidata (AGI, 2012). L’evoluzione tecnologica nel
settore è però molto rapida, per cui è lecito attendersi scostamenti dai valori orientativi indicati
riportati in tabella.
2.2 Diametro medio delle colonne di jet grouting
Esistono in letteratura numerose indicazioni che suggeriscono valori orientativi del diametro medio
D delle colonne per le diverse tecniche e per i diversi terreni (ad esempio: Croce et al., 2004,
Modoni et al., 2006, Tornaghi e Pettinaroli, 2004, AGI, 2012). Nella stragrande maggioranza dei
casi queste indicazioni fanno riferimento alla tipologia di trattamento (monofluido, bifluido o
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trifluido) e alle proprietà del terreno, espresse in modo qualitativo attraverso una descrizione
granulometrica oppure con riferimento ai risultati di prove in sito (tipicamente, SPT o CPT).
Tabella 2.1 - Valori tipici dei parametri di trattamento (modificata da AGI, 2012).
Parametri di Trattamento
Unità di Misura
10 m
Passo di sollevamento, s
10-3 m/s
Velocità media di risalita, vr
Giri al minuto
Velocità di rotazione, ω
10-3 m
Diametro ugelli, d
Numero ugelli, M
MPa
Pressione miscela cementizia*, pm
MPa
Pressione aria*, pa
MPa
Pressione acqua*, pw
10-3 m3/s
Portata miscela cementizia , Qm
10-3 m3/s
Portata aria, Qa
10-3 m3/s
Portata acqua, Qw
Rapporto ponderale acqua/cemento, w/c * I valori di pressione sono quelli misurati alla perforatrice.
-3
mono
40  50
4  10
5  40
2  8.0
12
30  55
2  10
0.601.3
Sistema
bi
40  80
18
330
28
12
20  40
0.5  2.0
2  10
200300
0.601.3
tri
40100
0.55
140
28
12
2  10
0.5  2.0
2055
2.0  5
200300
0.5  2.5
0.40  1.0
Sulla base dell’esperienza italiana, si può fare riferimento per una prima stima di larga massima alle
indicazioni orientative riportate in Tab. 2.4 (AGI, 2012), che indicano i massimi valori ottenibili
con un trattamento ben progettato in diverse tipologie di terreni. La tabella mette anche in evidenza
che per il sistema con minore energia (monofluido) il trattamento dà luogo a colonne di
piccolissime dimensioni nei terreni a grana fine, ed è quindi certamente sconsigliato per argille da
mediamente consistenti a consistenti. Queste indicazioni sono basate su un gran numero di
esperienze, ma sono necessariamente qualitative. È però oramai possibile anche effettuare stime più
accurate, sulla base di metodi analitici: l’esempio più recente è fornito da Flora et al. (2012) che,
considerando in modo quantitativo e razionale sia la resistenza al taglio del terreno sia l’energia del
getto ad una certa distanza dall’ugello, e tenendo conto anche della possibile presenza del velo
d’aria tipico delle tecniche bifluido e trifluido, suggeriscono relazioni analitiche che consentono una
previsione abbastanza accurata dell’esito del trattamento in termini di diametro medio della
colonna.
2.3 Variabilità delle proprietà geometriche e meccaniche delle colonne consolidate
Le colonne di jet grouting non sono solidi cilindrici perfetti con asse perfettamente posizionato.
Croce et al. (2004) suggeriscono di distinguere tra variabilità dell’esito legate a errori sistematici
(ad es., effetto sul diametro dell’aumento della resistenza al taglio con la profondità, oppure effetto
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sulla direzione dell’inclinazione del peso proprio delle aste per perforazioni orizzontali), e
variabilità di tipo aleatorio.
Tabella 2.2 - Massimo diametro delle colonne consolidate (valori orientativi) (AGI, 2012).
Diametro delle colonne (m)
SISTEMA
Monofluido
Bifluido
Trifluido
Legenda: S = sconsigliato.
Argille
da
mediamente Limi e argille sabbia
sabbia
consistenti a poco consistenti limosa
consistenti
S
0.6
1.0
1.2
1.0
1.3
2.0
2.5
1.5
1.8
2.5
3.0
ghiaia
1.2
2.5
3.0
Per le variabilità di tipo aleatorio, si può fare ricorso alla teoria della probabilità e definire la
variabile con una legge di distribuzione di probabilità. In questo modo, i possibili difetti di
trattamento (diametro e posizione) possono essere considerati attraverso il ricorso a metodi di
progetto probabilistici o semiprobabilistici.
Sulla base di informazioni sperimentali, recentemente sono anche state suggerite alcune
distribuzioni di riferimento (Croce et al. 2004, Flora et al. 2007, Flora et al. 2012, AGI 2012). Le
caratteristiche meccaniche del materiale consolidato sono fortemente influenzate dalle
caratteristiche del terreno trattato e dalle proprietà della miscela iniettata, sia in termini di rapporto
acqua/cemento w/c, sia in termini di eventuali additivi presenti (ad esempio, bentonite). Il contenuto
di acqua della miscela di iniezione influenza sia i valori della resistenza del materiale consolidato,
sia il tempo di maturazione. Sono possibili riduzioni della resistenza a compressione fino al 50%
passando da rapporti acqua-cemento pari a 0.67 a rapporti pari a 1.
A causa dell’accertata e prevedibile variabilità dei risultati di prove meccaniche di laboratorio
eseguite su provini di piccole dimensioni, si pone il problema della caratterizzazione complessiva
del volume trattato. A tale proposito si osserva innanzitutto che il materiale consolidato è di solito
caratterizzato meccanicamente in laboratorio attraverso prove di compressione uniassiale, sebbene
in alcuni casi si siano effettuate caratterizzazioni con prove triassiali (ad esempio Croce e Flora,
1998). Anche per la resistenza, si può tenere conto della variabilità dei risultati attraverso una
distribuzione statistica della resistenza (tipicamente rappresentata dalla resistenza a compressione
semplice c). I risultati indicano sistematicamente che la distribuzione che meglio interpreta i
risultati è di tipo log-normale (Croce et al., 2004, AGI, 2012), e tale sarà quindi anche quella
dell’intera sezione.
La rigidezza del terreno consolidato è solitamente molto più elevata di quella dei terreni circostanti
non trattati. I pochi dati di letteratura disponibili (ad esempio Croce e Flora, 1998, Katzenbach et
al., 2001, Croce et al., 2004) mostrano che i valori del modulo di rigidezza E sono affetti da
un’elevata variabilità e che le distribuzioni di frequenza assumono una forma molto simile a quella
della resistenza a compressione uniassiale. Ai fini pratici è possibile correlare il modulo E alla
resistenza a compressione c con legami di tipo lineare del tipo E=kc, con k solitamente compreso
nell’intervallo 200-700.
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3. INIEZIONI PER PERMEAZIONE
3.1 Procedimento esecutivo e miscele
Il consolidamento per permeazione consiste nell’iniezione nel sottosuolo di una miscela che ha la
funzione di modificarne le caratteristiche fisiche e meccaniche, con un aumento di resistenza e
rigidezza ed una diminuzione della permeabilità. Nelle tradizionali applicazioni geotecniche, se
riferito a terreni e non a rocce, questo trattamento viene in genere eseguito con bassa pressione di
iniezione, intendendo con ciò che la pressione di iniezione deve essere tale da fornire i necessari
gradienti idraulici alla miscela consolidante che penetra nei pori del terreno senza però modificarne
la struttura originale, o facendolo in misura ridotta. Questa tecnica di consolidamento ben si presta
all’uso in ambiente urbano perché il cantiere è poco ingombrante e le perforazioni sono di piccolo
diametro, perché il trattamento può essere effettuato in modo graduale ed eventualmente con
iniezioni ripetute, e inoltre perché l’impiego di basse pressioni di iniezione offre garanzie rispetto
alla vicinanza di opere esistenti. Unica eccezione a quest’ultimo vantaggio è il caso del trattamento
di terreni non saturi collassabili (ad esempio, la pozzolana fuori falda) in cui l’aumento del grado di
saturazione nel transitorio del trattamento potrebbe dar luogo ad una complessiva riduzione di
volume del terreno e quindi ad un disturbo per le opere circostanti.
Il limite maggiore di questa tecnica è relativo all’incertezza dell’esito del trattamento, sia in termini
di estensione (raggio medio della colonna) sia in termini di proprietà meccaniche del mezzo trattato.
Le applicazioni devono tenere conto di questi limiti e quindi, con riferimento ai terreni, questa
tecnica di consolidamento non è ideale nei casi in cui siano necessarie, per il successo prestazionale,
la continuità e l’omogeneità.
Le iniezioni di miscele consolidanti possono essere effettuate iniettando nel terreno direttamente le
miscele preparate in appositi contenitori in cantiere mescolando i vari elementi (tecnica denominata
one shot), oppure con una doppia iniezione (denominata two shots) in cui le miscele vengono
iniettate separatamente nel terreno attraverso più condotti per cui il mescolamento fra i vari
costituenti e la loro interazione chimica avvengono direttamente nel terreno. L’iniezione viene
eseguita generalmente isolando tratti successivi della perforazione (attraverso tubi a manchette).
Tradizionalmente le miscele impiegate in questa tecnica di consolidamento vengono distinte in:
 sospensioni, nella quali una fase solida è dispersa uniformemente in una liquida; un esempio di
sospensione molto utilizzata nel settore del consolidamento dei terreni, è rappresentato da
preparati a base di micro cementi (in cui un cemento idraulico è utilizzato come elemento legante
principale), calcite opportunamente stabilizzata etc.;
 soluzioni (in letteratura definite sinteticamente chemical grouts), sono rappresentate da miscele
omogenee costituite da due o più componenti dove il componente presente in maggiore quantità
viene definito solvente, quello a minore quantità soluto. Fanno parte di questa classe i silicati di
sodio e le resine, composti che prima di essere iniettati sono soluzioni liquide di bassa o
bassissima viscosità dinamica iniziale m;
 emulsioni, dove una fase (liquida, gassosa o solida nanometrica) è omogeneamente dispersa in
un’altra fase liquida in essa non miscibile (ad esempio, emulsioni bituminose, miscele organiche
a base di lattici, miscele inorganiche quali la silice colloidale).
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Il principale meccanismo di consolidamento si esplica attraverso la formazione di precipitati
insolubili all’interno dei pori del terreno da trattare. L’azione consolidante si esplica attraverso la
formazione di un gel (di silice, per esempio) e la sua successiva trasformazione in un materiale
vetroso (per i silicati, un polimero silicatico). Il gel ingloba, totalmente o parzialmente, i granuli di
terreno all’interno di un reticolo continuo che, attraverso un complesso processo di evaporazione
dell’acqua, si trasforma in un materiale vetroso indurito. L’effetto consolidante si ottiene quindi per
il diretto contributo fisico di tale reticolo, senza alcuna interazione chimica col terreno.
Lo sviluppo tecnologico nel settore delle miscele è abbastanza vivace, e quasi sempre legato a
brevetti. La ricerca riguarda da un lato la capacità delle miscele di penetrare nel terreno
(iniettabilità), dall’altra l’adozione di componenti che non siano chimicamente inquinanti, ed
interessa soprattutto le sospensioni e le emulsioni.
Per quanto riguarda le emulsioni, ad esempio, i prodotti più innovativi sono quelli a base di silice
colloidale, commercialmente noti come miscele di nano silice colloidale. Nelle miscele cementizie,
invece, lo sviluppo riguarda soprattutto la ricerca di una distribuzione granulometrica sempre più
fine delle particelle in sospensione. È oramai prassi ricorrere ai microcementi, con diametro medio
delle particelle dell’ordine di pochi m, con l’impiego di additivi anti flocculanti e anti
sedimentazione sempre più raffinati.
In via generale, le principali proprietà da definire nelle miscele sono:
 composizione: indica gli elementi che compongono la miscela e le loro singole proprietà;
 stabilità: essenzialmente riferita alle miscele cementizie (ma anche alle emulsioni), indica la
capacità della miscela di non dare origine a fenomeni di sedimentazione o separazione tra le fasi
prima che il trattamento sia ultimato.
 proprietà reologiche: riguardano la viscosità, la coesione o rigidità iniziale c e l’attrito interno
della miscela .
 tempo di gelificazione o di presa (detto anche setting time): è il tempo necessario affinché la
miscela subisca un significativo incremento di viscosità che ne rende nulla la lavorabilità (e
l’iniettabilità). Tale tempo può assumere valori molto diversi, variabili da qualche minuto
(miscele chimiche) a molte ore (miscele cementizie)..
In linea generale, il terreno trattato è più resistente e rigido di quello naturale, con un
comportamento meccanico paragonabile a quello delle rocce tenere. Le indicazioni di letteratura
sono molto abbondanti su questo argomento (ad es. Warner, 2004, Lirer et al. 2006). Il trattamento
con miscele cementizie conferisce incrementi di resistenza molto maggiori di quanto si ottiene con
il trattamento con le soluzioni chimiche. Solitamente queste ultime non consentono di ottenere
valori di c superiori ai 2-3 MPa, mentre quelle cementizie forniscono valori che, in funzione del
rapporto acqua/cemento, possono superare anche i 10 MPa .
3.2 Applicabilità
L’analisi rigorosa del processo di iniezione è molto laboriosa perché al processo di filtrazione si
somma l’interazione chimica con le particelle di terreno, la diluizione e la dispersione nell’acqua di
porosità, nonché la possibile sedimentazione di particelle in sospensione, se presenti, così come
mostrato da alcuni lavori molto completi sull’argomento (ad esempio, Bouchelaghem e Vulliet,
11
Diametro medio delle
particelle della miscela ()
2001). Ciò spiega almeno parzialmente perché l’applicabilità di questa tecnica venga di solito
stimata con criteri empirici senza un’analisi rigorosa dei fenomeni in atto. Le proprietà solitamente
considerate per valutare tale applicabilità sono la permeabilità o la distribuzione granulometrica del
terreno (in quanto direttamente correlata alla sua permeabilità), la distribuzione granulometrica
degli elementi in sospensione nella miscela e la viscosità della miscela (Fig. 3.1).
sio
1000
sa
100
Jet Grouting
10
nano-cementi Resine
nano-silicati
1
10-11
10-10
10-9
10-8
10-7
10-6
ez
Ini
a
o ni
b as
s
pre
i
ne
Cemento
Silicati/emulsioni
10-5
10-4
10-3
10-2
10-1
Permeabilità (m/sec)
0.001
0.002 0.006 0.01 0.02 0.06 0.1
0.2
0.6
0.1 0.2
Diametro dei grani del terreno D10 (mm)
argilla
limo
sabbia
ghiaia
Figura 3.1 - Iniettabilità dei terreni in funzione delle proprietà di miscela e terreno (Flora e Lirer, 2011).
Nel caso delle miscele cementizie (e in genere delle sospensioni), la penetrabilità è ovviamente
legata anche al rapporto tra le dimensioni delle particelle solide presenti nella miscela e le
dimensioni dei pori del terreno attraverso i quali essa deve permeare. Le indicazioni più classiche e
universalmente accettate sono quelle di Mitchell (1981), che suggerisce di valutare l’iniettabilità di
una sospensione attraverso due parametri significativi (N e N c) legati al rapporto fra diametri
rappresentativi della distribuzione granulometrica del terreno (D) e delle particelle in sospensione
(d):
D
N  15
d85
Nc 
D10
d 95
(3.1.a)
(3.1.b)
Con i pedici aventi l’usuale significato di percentuali di passante in peso. Secondo Mitchell
l’iniezione di sospensioni è possibile solo per N>24 e Nc>11, impossibile per N<11 e Nc<6.
Il parametro di maggiore interesse per l’analisi del processo di filtrazione è il coefficiente di
permeabilità del terreno alla miscela km definito come:

km  k0  m
m
(3.2)
in cui m e m sono rispettivamente il peso specifico e la viscosità dinamica della miscela, e k0 è la
permeabilità assoluta o intrinseca del terreno (indipendente dalla natura della miscela). La grande
variabilità di m per le diverse miscele (Tab. 3.1) fa sì che uno stesso terreno, per un assegnato
12
valore della permeabilità, possa avere coefficienti di permeabilità alla miscela molto diversi, e che
comunque si riducono al trascorrere del tempo di iniezione.
Tabella 3.1 - Tipici valori di m per alcune miscele (modificata da Lirer et al. 2004).
Miscela
silicatica
di silice colloidale
cementizia
aminoplastica
acrilamide
lignine
poliuretanica
Viscosità iniziale m (mPa s)
2-100
5-50
5-200
6-30
2-8
2-8
20-150
Il coefficiente di permeabilità, quindi, non è una proprietà del solo terreno ma dipende dalle
caratteristiche del fluido. Siccome la determinazione sperimentale della permeabilità intrinseca non
è un’operazione di routine, la (3.2) viene anche espressa come:


k m t   k w  w  m
 w  m t 
(3.3)
in cui il pedice w indica le proprietà relative all’acqua, ben note (w=1 mPas, denominato anche
centiPoise e indicato con la sigla cP), per cui il problema si riconduce a quello più classico di
conoscere il coefficiente di permeabilità all’acqua k w e di selezionare una miscela che abbia m e
m(t) adeguati alle esigenze del caso. In linea di principio, quindi, i limiti di applicabilità indicati in
letteratura possono essere sorpassati riducendo la viscosità iniziale della miscela e rallentandone il
processo di gelificazione, sempre che i tempi di iniezione siano ingegneristicamente ragionevoli.
3.3 Progetto dell’intervento
Nonostante le notevoli incertezze dell’estensione di questo tipo di consolidamento, in sede di
progetto si deve stabilire un raggio di trattamento di prima approssimazione. Per fare ciò bisogna
considerare il comportamento reologico della miscela ed adottare un modello per la previsione del
suo avanzamento all’interno del terreno. Per quanto riguarda il primo aspetto si deve innanzitutto
selezionare il tipo di miscela che si intende adottare (per compatibilità con il terreno in termini di
iniettabilità), e si devono poi stimare la sua viscosità dinamica iniziale e la sua evoluzione nel
tempo. In particolare, la composizione della miscela deve soddisfare due requisiti antitetici: da un
lato essa deve garantire che la viscosità non si modifichi significativamente nell’intervallo
necessario al trattamento, e quindi che la miscela abbia tempi di presa o gelificazione superiori al
tempo di iniezione; dall’altro, deve evitare che dopo il termine dell’iniezione la miscela permanga
allo stato fluido troppo a lungo, con negative conseguenze in termine di dispersione idrodinamica e
diluizione, e quindi di efficacia dell’intervento.
Per quanto riguarda la stima dell’estensione del trattamento, in linea di principio sono disponibili
metodi analitici molto completi, che considerano contemporaneamente il trasporto convettivo e la
13
diluizione della miscela consolidante all’interno della fase fluida, la sedimentazione di particelle
solide all’interno dei pori durante il moto e il processo di consolidazione del terreno per
l’accoppiamento idraulico-meccanico (ad esempio Bouchelaghem and Vulliet, 2001). Tuttavia
questi modelli sono certamente troppo complessi per essere adottati correntemente nella pratica
professionale. Solitamente, quindi, per simulare il processo di permeazione delle miscele all’interno
di mezzi porosi si usano metodi più semplici, classificabili come metodi geometrici o geometricoanalitici (Flora e Lirer, 2011).
4. SOIL NAILING
4.1. Meccanismo di funzionamento
Il soil nailing è largamente diffuso in molti paesi, mentre in Italia non è ancora diventato una pratica
corrente. Si tratta di una tecnica di rinforzo usata per il sostegno – permanente o temporaneo - di
scavi e per la stabilizzazione dei pendii che consiste nell’infissione ravvicinata di inclusioni passive
di piccolo diametro (tipicamente compreso tra 20 e 30 mm) a contatto con il terreno per l’intera
lunghezza. Le inclusioni sono in grado di assorbire sollecitazioni di trazione, taglio e flessione e
possono essere metalliche o in altri materiali quali gli FRP (Fiber Reinforce Polymers), che
costituiscono una vasta gamma di materiali compositi.
Il soil-nailing viene realizzato dall’alto verso il basso (top-down, Fig. 4.1) procedura che consiste
nella realizzazione di scavi parziali liberi di altezza compresa tra 1-2 metri (altezza che deve
comunque essere inferiore all’altezza critica di scavo del terreno in sito), seguiti dalla messa in
opera dei chiodi e dal ricoprimento dello scavo stesso con un rivestimento leggero; la procedura
viene iterata fino al raggiungimento della profondità di scavo predefinita.
La tecnica del soil-nailing è applicabile a diversi tipi di terreni: argille, terreni sabbiosi, rocce
alterate, terreni eterogenei e stratificati, purché tali da consentire scavi non protetti di altezza di 1–2
m, stabili almeno temporaneamente. Ciò è possibile nei casi in cui il terreno sia dotato di coesione o
esista il benefico contributo della suzione dell’acqua di porosità..
Convenzionalmente, i chiodi si distinguono in funzione della tecnica di installazione:
 chiodi cementati (grouted soil nails): sono i chiodi più diffusi; hanno solitamente diametro
variabile tra 15 mm e 46 mm e sono inseriti in prefori di 100÷200 mm di diametro. La
cementazione avviene solitamente a pressione atmosferica o comunque bassa. Barre filettate
vengono tipicamente utilizzate per migliorare l’aderenza con il terreno.
 chiodi direttamente infissi (driven soil nails): chiodi di piccolo diametro (solitamente tra i 15 mm
e i 35 mm) direttamente infissi nel terreno. Il grande vantaggio di questa tecnica di installazione
è l’assenza di miscele di iniezione e quindi la maggior rapidità, semplicità ed economicità di
installazione. Il grande limite tecnologico dei chiodi infissi, se in acciaio, è legato alla
corrosione, per la quale eventualmente bisogna considerare misure di protezione specifiche.
 chiodi auto perforanti (self-drilling soil nails): sono realizzati con barre cave che possono essere
infisse nel terreno e iniettate contemporaneamente: la miscela, che fuoriesce da una testa di
perforazione sacrificale a pressione relativamente bassa, riempie l’intercapedine tra barra e
terreno, assicurando una buona interazione con il terreno.
14
 chiodi infissi ad aria compressa (launched soil nails): anche questa tecnica consiste
nell’infissione diretta dei chiodi nel terreno, con la differenza che in questo caso è utilizzato un
dispositivo di lancio ad aria compressa che infila i chiodi nel terreno ad alta velocità. I chiodi
hanno diametro variabile tra 19 mm e 38 mm.
Figura. 4.1 - Schema di realizzazione di una parete rinforzata con soil nailing (da FHWA, 2003).
L’uso di barre in FRP rappresenta una innovazione di grande interesse per il fatto che questi
materiali non sono soggetti a corrosione, sebbene siano molto più deformabili dell’acciaio..
A causa del meccanismo di funzionamento dei chiodi interagenti col terreno per la loro completa
lunghezza, questa tecnica garantisce sforzi normali sul rivestimento molto minori delle opere di
sostegno tradizionali. Il rivestimento, quindi, ha il compito principale di assicurare la stabilità locale
del terreno compreso tra le chiodature e di proteggerlo dall’erosione superficiale e dall’azione degli
agenti atmosferici. Esso può essere realizzato con una rete metallica con cui vengono collegate le
teste di tutti i chiodi, con un ricoprimento di calcestruzzo proiettato con spessore solitamente
compreso tra i 10 e 20 cm.
4.2 Interazione chiodo-terreno
Le condizioni di sollecitazione nei chiodi si modificano durante la realizzazione dello scavo. Nella
generica fase di approfondimento (Fig. 4.2a), le deformazioni indotte nel terreno dalla modifica
15
delle condizioni al contorno generano una modifica dell’interazione tra i chiodi già in opera e il
terreno stesso.
Questa interazione si esplica sotto forma di tensioni tangenziali (molto spesso denominate q
nella bibliografia del settore, e quindi così chiamate nel seguito di questo capitolo) agenti
all’interfaccia tra terreno e rinforzo. In particolare, il movimento verso l’esterno del terreno più
prossimo al fronte di scavo genera all’interfaccia chiodo-terreno tensioni tangenziali che, se
considerate agenti sul chiodo, sono orientate in questa direzione (zona attiva). Siccome questi
movimenti nel terreno si riducono fino ad annullarsi ad una certa distanza dal fronte di scavo,
l’interfaccia della parte di chiodo infissa nel terreno più lontano dal fronte (zona resistente), non
interessata dal movimento, è soggetta a tensioni tangenziali di segno opposto.
(a)
(b)
Figura 4.2 –a) Evoluzione dello stato tensionale nel generico chiodo con il procedere dello scavo e deformata
qualitativa della parete; b) Schematizzazione del meccanismo di interazione tra chiodo e terreno.
Lungo entrambi i tratti (attivo e resistente), per l’equilibrio alla traslazione nella direzione dell’asse
del chiodo stesso deve essere rispettata la condizione (Fig. 4.2b):
dT    Ds  q(x)  dx
(4.1)
In cui dT è la variazione della forza di trazione in un tratto di lunghezza dx del chiodo e Ds il
diametro del tratto strutturale interagente (non necessariamente coincidente con il diametro del
chiodo, ad esempio per quelli cementati). In realtà, q(x) è una tensione tangenziale media nel tratto
dx che rappresenta l’integrale delle tensioni tangenziali (non uniformi lungo il perimetro) agenti
lungo la superficie di interfaccia.
Lo sforzo di trazione agente nella barra è quindi variabile lungo il suo asse, e alla generica ascissa x
vale:
x
Tx   D  q( x )  dx
(4.2)
0
16
Per quanto detto, T(x) ha l’andamento qualitativamente illustrato nelle Figg. 4.2: cresce dal
paramento verso l’interno del terreno, per raggiungere un massimo e poi decrescere. Spesso si
ipotizza che i massimi avvengano in corrispondenza della separazione tra zona attiva e resistente. In
genere, l’inviluppo dei massimi valori della sollecitazione di trazione interseca il piano campagna
ad una distanza dal paramento compresa tra 0.3H e 0.4H (con H altezza di scavo corrente) (Fig.
4.3a).
La stabilità dello scavo è garantita se un numero sufficiente di chiodi è in grado di esplicare il suo
ruolo di rinforzo senza raggiungere la resistenza allo sfilamento (o al pull-out) disponibile, senza
che il chiodo o la sua connessione al rivestimento si plasticizzi (per una qualsiasi combinazione di
trazione, taglio e flessione) e senza che si possa innescare un meccanismo di rottura generale
(scivolamento o carico limite).
Un ruolo determinante sull’interazione tra chiodo e terreno è ovviamente svolto dallo stato
tensionale agente al contatto tra rinforzo e terreno, che come accennato in precedenza è di
complessa valutazione, variabile lungo il perimetro dello stesso e dipendente dalla tecnica di
installazione (Flora e Lirer, 2011).
(a)
(b)
Figura 4.3 – a) Posizione schematica dei massimi delle sollecitazione di trazione nei chiodi e della superficie
di separazione tra zona attiva e resistente (da FHWA, 2003). b) Andamento qualitativo della forza di trazione
nel chiodo T(x) e tensione tangenziale all’interfaccia q(x) in una prova di sfilamento, e semplificazione di
calcolo con q(x)=costante (da FHWA, 2003).
4.3. Resistenza allo sfilamento (pull out) del chiodo
Ai fini del calcolo della resistenza allo sfilamento, solitamente si ipotizza che la tensione
tangenziale media all’interfaccia q(x) mobilitata nella zona resistente cresca all’aumentare del
carico applicato, implicitamente sottintendendo con ciò l’ipotesi che lo sforzo normale di trazione
nel chiodo vari linearmente lungo l’asse (Fig. 4.3b). In condizioni limite di sfilamento, q(x) attinge
il valore limite qlim dettato dalla resistenza al taglio di interfaccia e la resistenza allo sfilamento T po
17
si calcola come:
Tpo    D  Lp  qlim
(4.3)
in cui D è il diametro efficace del rinforzo e Lp la sua lunghezza nella parte resistente. Il valore di
qlim può essere misurato in base a prove di sfilamento in sito o in laboratorio, invertendo la (4.3).
Nel caso in cui si debba stimare qlim e il meccanismo di interazione chiodo-terreno è di tipo attritivo,
la resistenza unitaria viene solitamente messa in relazione alla tensione efficace normale media ’m
nel piano verticale parallelo al fronte di scavo (se verticale) e ortogonale al chiodo (se questo è
posto in opera orizzontalmente), che potremo definire per semplicità tensione efficace normale
media di interfaccia (cosa non rigorosa per chiodo posto in opera non orizzontalmente). La
relazione si esprime solitamente come:
qlim    'm
(4.4)
dove  è un coefficiente d’interfaccia, di incerta valutazione (Flora e Lirer, 2011).
4.4. Criteri di dimensionamento dell’intervento
Come in ogni opera di ingegneria, nel dimensionamento devono essere considerate condizioni
limite ultime e di esercizio. Per le prime, le sole di cui si fa brevemente cenno in questa sede, si
devono considerare le tre seguenti categorie di meccanismi di rottura (Fig. 4.4a): meccanismi
interni, meccanismi esterni e rottura del paramento.
Mentre le verifiche esterne sono concettualmente identiche a quelle da farsi per altre e più
tradizionali opere di sostegno, quelle interne presentano aspetti peculiari che vale la pena di
richamare brevemente. In particolare, con riferimento alla Fig. 4.4b, che riporta una distribuzione
semplificata della forza di trazione lungo il contorno del singolo chiodo, si devono effettuare le
seguenti verifiche:
a) della resistenza strutturale del chiodo (RT);
b) allo sfilamento del chiodo (pull out);
c) della compatibilità della forza di trazione agente localmente sul rivestimento col valore massimo
applicabile RF.
La verifica di maggior interesse geotecnico è la (b) allo sfilamento (pull out), che prevede il calcolo
di un coefficiente di sicurezza definito come:
 Tpo
FSpo, i  
 Tmax



i
(4.5)
In cui Tpo è la resistenza allo sfilamento (pull out capacity) dell’i-esimo chiodo, e Tmax la
massima forza di trazione in esso agente. Solitamente si considera T max agente nel chiodo in
corrispondenza dell’intersezione con la superficie di separazione tra zona attiva e resistente
considerata.
18
(a)
(b)
Figura 4.4 - a) Possibili meccanismi di rottura in strutture in soil nailing (da FHWA, 2003). b) Distribuzione
semplificata delle forze di trazione nel chiodo (da FHWA, 2003).
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