Interventi di consolidamento dei terreni
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Interventi di consolidamento dei terreni
Osservazioni su alcune delle tecniche di consolidamento dei terreni più diffuse in Italia Flora A., Lirer S. Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale, Università degli Studi di Napoli Federico II 1. INTRODUZIONE Il consolidamento dei terreni è un settore dell’ingegneria geotecnica in rapida evoluzione che, grazie alle nuove possibilità tecnologiche offerte dall’industria, svolge sempre più spesso un ruolo rilevante nei progetti di opere geotecniche. Si può anzi affermare che, negli ultimi decenni, lo sviluppo di soluzioni tecniche adatte al miglioramento e al rinforzo dei terreni e delle rocce è stato uno dei motori principali dell’innovazione dell’ingegneria e dell’industria delle costruzioni nel settore geotecnico. Tuttavia, la presenza di molte soluzioni alternative, l’incertezza relativa ad alcuni aspetti dell’esito degli interventi (estensione, proprietà meccaniche, presenza di difetti) e in alcuni casi la scarsa conoscenza dei processi fisico-meccanici coinvolti, rappresentano per l’ingegnere difficoltà che molto spesso ne condizionano il controllo in fase di progetto. Le tecniche di consolidamento possono essere classificate efficacemente (Fig. 1.1) in funzione dell’estensione e del rapporto con il terreno in sede (miglioramento se diffuso, rinforzo se localizzato) nonché dell’effetto che esse hanno sullo “stato” del terreno trattato (descritto sinteticamente dal grado di addensamento e dalle condizioni tensionali agenti) e sulla sua “costituzione” (intesa come l’insieme delle componenti fisico-chimiche che costituiscono il terreno consolidato). In questa sede è impossibile anche la mera descrizione dell’intero panorama esistente. Senza alcuna pretesa di completezza, quindi, nel seguito si descrivono per le diverse tipologie di intervento gli aspetti salienti ed alcune tecniche particolarmente promettenti. Infine, con riferimento a tre tecniche particolarmente note e oramai diffuse in Italia (jet-grouting, permeation grouting, soil nailing), si riportano informazioni più dettagliate e alcune indicazioni di progetto. 1.1 Tecniche di miglioramento dei terreni Tra le tecniche che agiscono sullo stato del terreno, quella che al momento sembra avere a livello internazionale il più largo impiego è certamente il drenaggio con pompe a vuoto, noto anche in Italia con il termine inglese vacuum preloading. Con esso, si realizza nel terreno un sistema drenante superficiale e profondo isolato superiormente con una copertura impermeabile all’aria (Fig. 1.2a). All’interno di tale sistema drenante si applica una depressione che innesca un fenomeno di consolidazione concettualmente equivalente a quello causato dall’applicazione di un tradizionale precarico, con il vantaggio di non movimentare grandi volumi di terreno. Sebbene tale tecnica sia nota da lungo tempo e il meccanismo di funzionamento sia ben chiaro, i recenti sviluppi tecnologici e i nuovi materiali disponibili per il drenaggio ne hanno di molto favorito la diffusione. 1 TRATTAMENTI DI MIGLIORAMENTO Azioni su Fattore modificabile STATO TENSIONE E PRESSIONE INTERSTIZIALE COSTITUZIONE INDICE DEI VUOTI FLUIDO INTERSTIZIALE COMPATTAZIONE SUPERFICIALE PRECARICO DRENAGGIO PERMEAZIONE Compattazione statica Iniezioni di miscele Drenaggi a gravità Compattazione per vibrazione Microrganismi Drenaggi con pompe a vuoto Compattazione per impatto Dreni verticali Compattazione con impulsi elettrici CONGELAMENTO STABILIZZAZIONE CHIMICA Miscelazione con cemento Miscelazione con fibre Consolidazione dinamica STABILIZZAZIONE ELETTROCHIMICA Esplosioni Iniezioni compattanti Applicazione Miscele granulari STABILIZZAZIONE FISICA Vibrocompattazione PROCESSO STABILIZZAZIONE GRANULOMETRICA Miscelazione con calce COMPATTAZIONE PROFONDA Legenda SCHELETRO SOLIDO STABILIZZAZIONE TERMICA ELETTROSMOSI RISCALDAMENTO TRATTAMENTI DI RINFORZO Azioni su COSTITUZIONE Fattore modificabile MEGASTRUTTURA CON INCLUSIONI PER CONFINAMENTO Reagenti a trazione Non reagenti a trazione Terra rinforzata Colonne granulari Gabbioni Chiodature Trattamenti colonnari Muri reticolari compositi Bulloni Jet grouting Pali radice e micropali Legenda RINFORZO Applicazione Figura 1.1 - Classificazione delle tecniche di consolidamento dei terreni e delle rocce (Flora e Lirer, 2011). Certamente da segnalare sono anche quegli interventi di consolidamento che prevedono l’iniezione di miscele che non penetrino all’interno dei pori del terreno, ma generino in profondità volumi da esso isolati capaci, per la pressione di iniezione utilizzata, di esercitare una sollecitazione sul terreno circostante (iniezioni compattanti). L’effetto di questa sollecitazione può essere l’addensamento 2 locale del terreno circostante (compaction grouting) o l’innalzamento del piano campagna (compensation grouting) (Fig. 1.2b). Quest’ultima applicazione, solitamente usata per terreni a grana fine o medio fine e quindi applicata in condizioni non drenate, si sta sempre più diffondendo congiuntamente alla realizzazione di gallerie superficiali in area urbana, per ridurne l’impatto sulle costruzioni in superficie. edificio piano campagna cedimento dovuti allo scavo cedimento dopo il trattamento volume trattato (a) scavo (b) Figura 1.2 – a) Schema di applicazione del vacuum preloading; b) Schema di funzionamento del compensation grouting associato allo scavo di gallerie superficiali. Le tecniche di miglioramento che agiscono sulla costituzione del terreno, invece, modificano la composizione o lo stato del fluido interstiziale, oppure le caratteristiche e la composizione dello scheletro solido, attraverso processi di varia natura. Tra le tecniche che agiscono sul fluido interstiziale si annoverano le iniezioni per permeazione. Esse non sono oramai considerate innovative dal punto di vista del principio di funzionamento (Mitchell, 1981), ma lo sono per quanto riguarda i materiali impiegati, in continua e rapida evoluzione, e per i processi da essi attivati per il consolidamento. Una variante che merita però una pur breve menzione in questa sede è la “permeazione con microrganismi”, citata nella classificazione di Fig. 1.1. Tale tecnica consiste nell’iniezione per permeazione di particolari batteri e di miscele contenenti urea e cloruro di calcio. L’attività metabolica dei micorganismi fa precipitare cristalli di carbonato di calcio che legano chimicamente i granelli di terreno, aumentando globalmente la rigidezza e la resistenza al taglio del terreno (van Paassen et al., 2009). Questa tecnica si è dimostrata molto efficace alla scala del laboratorio e promettente per le applicazioni in sito: il difetto più grave del processo, al momento, consiste nella necessità di estrarre dal terreno il cloruro di ammonio, che è un sottoprodotto inquinante del processo chimico prima descritto. Tra le tecniche di miglioramento che invece agiscono sulla costituzione dello scheletro solido sono incluse tutte quelle utilizzate per la stabilizzazione tramite rimaneggiamento di terreni superficiali o posti a rilevato. La più innovativa di queste tecniche è senza dubbio quella classificata in Fig. 1.1 come “miscelazione con fibre”: si tratta di una tecnica di consolidamento che consiste nella miscelazione del terreno con fibre sintetiche di piccole dimensioni (con lunghezza massima di alcuni centimetri). L’interesse di questa tecnica risiede nel fatto che le fibre possono essere ottenute da prodotti industriali riciclati non inquinanti. Dai numerosi studi di laboratorio condotti sui terreni fibro-rinforzati (Zornberg 2002; Michalowski e Cermàk, 2003; Sadek et al., 2012; Lirer et al. 2011, 3 Lirer et al. 2012), emerge che in linea generale l’inserimento delle fibre tende ad aumentare la resistenza e la duttilità del terreno naturale. Figura 1.3 - Sabbia rinforzata con fibre di polipropilene (da Lirer et al., 2011). Le fibre impiegate in questa tecnica di consolidamento possono essere realizzate in polipropilene, polietilene, nylon o poliestere, più raramente in acciaio. Esse possono avere varie forme (fibre piatte o cilindriche) e diverse procedure di produzione (monofilamento o plurifilamento). Un terreno fibro-rinforzato è un materiale composito con un comportamento macroscopico che dipende dalle proprietà (intrinseche e di stato) del terreno originario e da quelle delle fibre (caratteristiche geometriche e meccaniche). Siccome l’effetto consolidante delle fibre è legato alla capacità dei granelli di serrarle e non farle sfilare, tra le proprietà intrinseche del terreno deve ovviamente essere considerata anche la distribuzione granulometrica, in quanto rappresentativa della capacità di sviluppare contatti granelli-fibre Lirer et al. (2011). 1.2 Tecniche di rinforzo dei terreni Gli interventi di rinforzo del terreno sono caratterizzati dalla presenza di elementi ben distinti dalla massa di terreno. Tali elementi possono essere di tipo strutturale (chiodi, bulloni, pali, micropali, geotessili) o realizzati con aggiunta di materiali di varia natura (terreni granulari, geotessili, miscele cementizie). Sotto la voce “trattamenti colonnari” si includono tutte le tecniche di miscelazione profonda per mescolamento meccanico del terreno con miscele cementizie, solitamente identificate con il termine deep mixing oppure con gli acronimi DMM (Deep Mixing Method) o DCM (Deep Cement Mixing) ma che commercialmente assumono nomi diversi in funzione dei brevetti. Il volume di terreno trattato con deep mixing ha forma cilindrica (Fig. 1.4), se si adotta la classica attrezzatura di scavo e iniezione della miscela ad elica (continua o discontinua), oppure una forma parallelepipeda a pannelli se si adotta una coppia di ruote fresanti. Una tecnica di rinforzo sulla quale si è concentrata molto l’attenzione dei ricercatori nel recente passato è quella delle colonne granulari, che possono essere di vario tipo sia per la tecnica di installazione sia per il materiale utilizzato. Questa tecnica consiste nella realizzazione di colonne di materiale granulare di buone proprietà meccaniche aventi la doppia funzione di fondazione profonda e di drenaggio. Per la loro costituzione, queste colonne sono meno efficaci dei tradizionali pali di fondazione, ma più rapide ed economiche da realizzare. Le versioni più note sono le cosiddette Stone Columns (Fig. 1.4b) se realizzate solo con materiale grossolano, e le colonne con una camicia di geotessile circostante (Encased Stone Columns, Geotextile Confined Columns GCC). La camicia di geotessile 4 svolge una benefica azione cerchiante, aumentando notevolmente la capacità portante delle colonne granulari. Due tecniche di rinforzo ben note sono il jet grouting e la chiodatura dei terreni (soil nailing), di cui si parlerà diffusamente nel seguito. (a) (b) Figura 1.4 - a) Schema di esecuzione di trattamenti colonnari cilindrici (deep mixing); b) Schema di formazione di una colonna granulare (stone column). 2 JET GROUTING 2.1 Procedimento esecutivo e meccanismo di funzionamento Il trattamento dei terreni mediante jet grouting avviene con l’iniezione ad alta velocità di una o più miscele fluide che rimaneggiano e cementano il terreno in sede. Nella sua applicazione tradizionale, con questa tecnica si realizzano volumi di terreno trattato approssimativamente cilindrici. Il jet grouting ha avuto uno sviluppo vorticoso negli ultimi decenni, ed è senza dubbio la tecnica di consolidamento più nota e diffusa nella pratica professionale nazionale, sia per la sua versatilità sia per il contributo che le aziende italiane hanno fornito al suo sviluppo. Si tratta di una tecnica di consolidamento particolarmente flessibile e adattabile a diversi impieghi anche per la possibilità di eseguire colonne con qualsiasi inclinazione. Nella sua versione classica, il trattamento si articola in due fasi successive di perforazione e di iniezione dei fluidi in risalita (Fig. 2.1). La risalita può essere continua o, più frequentemente, a gradini di altezza predeterminata. Il processo di formazione della colonna produce un refluo, denominato spurgo, costituito dal fluido in eccesso e da una aliquota di terreno rimaneggiato, che risale in superficie attraverso l’intercapedine tra aste e foro. Sebbene rappresenti uno spreco e comporti anche un costo aggiuntivo per la sua gestione in cantiere, lo spurgo è assolutamente indispensabile come indicatore del buon funzionamento del processo. La tecnica è infatti efficace se l’intercapedine tra aste e terreno è libera, e il getto è libero di fuoriuscire dallo strumento di perforazione e iniezione (monitor) ad alta velocità. La fuoriuscita dello spurgo a boccaforo è l’unica garanzia che ciò avvenga. I procedimenti attualmente in uso, denominati in modo diverso dalle varie imprese esecutrici, possono essere classificati in tre categorie generali: monofluido, bifluido e trifluido. Il sistema monofluido è il più semplice, è stato il primo ad essere sviluppato ed è ancora largamente in uso. Con questo sistema si effettua una perforazione di piccolo diametro (fino a 150 mm) con circolazione di acqua oppure – qualora sia necessario sostenere le pareti del foro – di fango 5 bentonitico o miscela cementizia. Nella fase di trattamento, dagli ugelli laterali si inietta un unico fluido (miscela acqua-cemento con eventuali additivi) che assolve alle funzioni di rimaneggiamento, permeazione e cementazione del terreno. (a) (b) Figura 2.1 – a) Schema del trattamento con jet grouting, b) Schema del monitor nei tre sistemi: a) monofluido, b) bifluido, c) trifluido. (da AGI, 2011). Nel sistema bifluido, durante la fase di trattamento in risalita l’insieme degli ugelli permette l’iniezione contemporanea di miscela cementizia ed aria compressa . In particolare, l’aria compressa viene espulsa attraverso un ugello a forma di corona circolare, coassiale a quello preposto all’iniezione della miscela cementizia, in modo che il getto di miscela risulti circondato da un “anello” di aria compressa che limita la dispersione del getto stesso, incrementandone l’efficienza idrodinamica e quindi il raggio d’azione. Nel sistema trifluido, infine, il trattamento avviene separando le funzioni di disgregazione del terreno in sede (affidata ad un getto di acqua circondato da aria che fuoriesce dall’ugello superiore, da quella di cementazione, svolta dalla miscela cementizia iniettata dall’ugello inferiore. Le attrezzature e il procedimento descritti non sono gli unici possibili, e ad oggi si contano numerose modifiche sia alle une che agli altri, con la messa a punto anche di tecniche ibride quali ad esempio l’uso degli ugelli per jet grouting su attrezzatura per il deep mixing (Shibazaki, 2002). Recentemente in Giappone è stata sviluppato un monitor per jet grouting bifluido (Yoshida et al., 1996), ancora poco diffuso in Italia, che ha una conformazione dei condotti interna tale da evitare brusche curve, al fine di ridurre al minimo la turbolenza dei fluidi e quindi le perdite di carico localizzate all’ugello. Questa modifica ha notevole efficacia e rende il sistema più efficiente della versione tradizionale. Commercialmente questa tecnica è nota come Super Jet o come Super Jet Midi: con essa si possono ottenere colonne con diametri veramente elevati (fino a 5 m), molto maggiori di quelli che si possono realizzare con le tecniche tradizionali. L’efficacia del jet grouting dipende dalla capacità erosiva del getto, che è funzione soprattutto della sua energia idrodinamica. La presenza di un velo d’aria in pressione riduce sensibilmente l’interazione tra il fluido iniettato e quello di intercapedine, migliorando l’efficienza del sistema, e 6 quindi le tecniche bifluido e trifluido sono più efficaci. Come suggerito da Flora e Lirer (2011), l’energia specifica (energia per unità di lunghezza, espressa in MJ/m) sono può essere scritta come: energia specifica all’impianto Es,i (imposta dall’operatore): Es, i pQ vr (2.1) energia specifica agli ugelli Es,u : E s,u m vu2 Q vu2 2L vr (2.2) dove: p = pressione del fluido; Q = portata del fluido; vr = velocità media di risalita delle aste; m = massa del fluido; vu = velocità di uscita del getto; = densità del fluido. Siccome la quantificazione dell’energia riguarda il fluido che rimaneggia il terreno, la portata Q, la pressione p e la velocità di uscita del getto vu sono relativi alla miscela cementizia nel caso di tecnica monofluido o bifluido, all’acqua nel caso di tecnica trifluido. Le espressioni (2.1) e (2.2) dovrebbero essere utilizzate per programmare le attività di cantiere in fase di sperimentazione (campi prova), scegliendo combinazioni di parametri di iniezione tali da fornire al terreno l’energia sufficiente ad ottenere il diametro desiderato. Tra le due espressioni dell’energia esiste la relazione: Es,u Es,p (2.3) con <1. Per un impianto ben concepito, la somma delle perdite distribuite e concentrate è al più dell’ordine di grandezza del 10% dell’energia alla pompa, per cui 0.9. A parità di energia di trattamento, l’efficacia è tanto maggiore quanto minore è la resistenza al rimaneggiamento dei terreni. In generale, i terreni sabbiosi non cementati sono i materiali più idonei ad essere trattati, con un esito che dipende ovviamente anche dal loro stato di addensamento. La scelta dei parametri di trattamento con jet grouting avviene assegnando valori prestabiliti alle variabili controllate dall’operatore, che possono essere distinte in tre categorie: variabili geometriche del sistema meccanico, variabili relative al movimento delle aste, e variabili relative alle miscele di iniezione. In Tab. 2.1 sono riportati gli intervalli di riferimento tipici per le variabili più significative, ricavati dalla pratica consolidata (AGI, 2012). L’evoluzione tecnologica nel settore è però molto rapida, per cui è lecito attendersi scostamenti dai valori orientativi indicati riportati in tabella. 2.2 Diametro medio delle colonne di jet grouting Esistono in letteratura numerose indicazioni che suggeriscono valori orientativi del diametro medio D delle colonne per le diverse tecniche e per i diversi terreni (ad esempio: Croce et al., 2004, Modoni et al., 2006, Tornaghi e Pettinaroli, 2004, AGI, 2012). Nella stragrande maggioranza dei casi queste indicazioni fanno riferimento alla tipologia di trattamento (monofluido, bifluido o 7 trifluido) e alle proprietà del terreno, espresse in modo qualitativo attraverso una descrizione granulometrica oppure con riferimento ai risultati di prove in sito (tipicamente, SPT o CPT). Tabella 2.1 - Valori tipici dei parametri di trattamento (modificata da AGI, 2012). Parametri di Trattamento Unità di Misura 10 m Passo di sollevamento, s 10-3 m/s Velocità media di risalita, vr Giri al minuto Velocità di rotazione, ω 10-3 m Diametro ugelli, d Numero ugelli, M MPa Pressione miscela cementizia*, pm MPa Pressione aria*, pa MPa Pressione acqua*, pw 10-3 m3/s Portata miscela cementizia , Qm 10-3 m3/s Portata aria, Qa 10-3 m3/s Portata acqua, Qw Rapporto ponderale acqua/cemento, w/c * I valori di pressione sono quelli misurati alla perforatrice. -3 mono 40 50 4 10 5 40 2 8.0 12 30 55 2 10 0.601.3 Sistema bi 40 80 18 330 28 12 20 40 0.5 2.0 2 10 200300 0.601.3 tri 40100 0.55 140 28 12 2 10 0.5 2.0 2055 2.0 5 200300 0.5 2.5 0.40 1.0 Sulla base dell’esperienza italiana, si può fare riferimento per una prima stima di larga massima alle indicazioni orientative riportate in Tab. 2.4 (AGI, 2012), che indicano i massimi valori ottenibili con un trattamento ben progettato in diverse tipologie di terreni. La tabella mette anche in evidenza che per il sistema con minore energia (monofluido) il trattamento dà luogo a colonne di piccolissime dimensioni nei terreni a grana fine, ed è quindi certamente sconsigliato per argille da mediamente consistenti a consistenti. Queste indicazioni sono basate su un gran numero di esperienze, ma sono necessariamente qualitative. È però oramai possibile anche effettuare stime più accurate, sulla base di metodi analitici: l’esempio più recente è fornito da Flora et al. (2012) che, considerando in modo quantitativo e razionale sia la resistenza al taglio del terreno sia l’energia del getto ad una certa distanza dall’ugello, e tenendo conto anche della possibile presenza del velo d’aria tipico delle tecniche bifluido e trifluido, suggeriscono relazioni analitiche che consentono una previsione abbastanza accurata dell’esito del trattamento in termini di diametro medio della colonna. 2.3 Variabilità delle proprietà geometriche e meccaniche delle colonne consolidate Le colonne di jet grouting non sono solidi cilindrici perfetti con asse perfettamente posizionato. Croce et al. (2004) suggeriscono di distinguere tra variabilità dell’esito legate a errori sistematici (ad es., effetto sul diametro dell’aumento della resistenza al taglio con la profondità, oppure effetto 8 sulla direzione dell’inclinazione del peso proprio delle aste per perforazioni orizzontali), e variabilità di tipo aleatorio. Tabella 2.2 - Massimo diametro delle colonne consolidate (valori orientativi) (AGI, 2012). Diametro delle colonne (m) SISTEMA Monofluido Bifluido Trifluido Legenda: S = sconsigliato. Argille da mediamente Limi e argille sabbia sabbia consistenti a poco consistenti limosa consistenti S 0.6 1.0 1.2 1.0 1.3 2.0 2.5 1.5 1.8 2.5 3.0 ghiaia 1.2 2.5 3.0 Per le variabilità di tipo aleatorio, si può fare ricorso alla teoria della probabilità e definire la variabile con una legge di distribuzione di probabilità. In questo modo, i possibili difetti di trattamento (diametro e posizione) possono essere considerati attraverso il ricorso a metodi di progetto probabilistici o semiprobabilistici. Sulla base di informazioni sperimentali, recentemente sono anche state suggerite alcune distribuzioni di riferimento (Croce et al. 2004, Flora et al. 2007, Flora et al. 2012, AGI 2012). Le caratteristiche meccaniche del materiale consolidato sono fortemente influenzate dalle caratteristiche del terreno trattato e dalle proprietà della miscela iniettata, sia in termini di rapporto acqua/cemento w/c, sia in termini di eventuali additivi presenti (ad esempio, bentonite). Il contenuto di acqua della miscela di iniezione influenza sia i valori della resistenza del materiale consolidato, sia il tempo di maturazione. Sono possibili riduzioni della resistenza a compressione fino al 50% passando da rapporti acqua-cemento pari a 0.67 a rapporti pari a 1. A causa dell’accertata e prevedibile variabilità dei risultati di prove meccaniche di laboratorio eseguite su provini di piccole dimensioni, si pone il problema della caratterizzazione complessiva del volume trattato. A tale proposito si osserva innanzitutto che il materiale consolidato è di solito caratterizzato meccanicamente in laboratorio attraverso prove di compressione uniassiale, sebbene in alcuni casi si siano effettuate caratterizzazioni con prove triassiali (ad esempio Croce e Flora, 1998). Anche per la resistenza, si può tenere conto della variabilità dei risultati attraverso una distribuzione statistica della resistenza (tipicamente rappresentata dalla resistenza a compressione semplice c). I risultati indicano sistematicamente che la distribuzione che meglio interpreta i risultati è di tipo log-normale (Croce et al., 2004, AGI, 2012), e tale sarà quindi anche quella dell’intera sezione. La rigidezza del terreno consolidato è solitamente molto più elevata di quella dei terreni circostanti non trattati. I pochi dati di letteratura disponibili (ad esempio Croce e Flora, 1998, Katzenbach et al., 2001, Croce et al., 2004) mostrano che i valori del modulo di rigidezza E sono affetti da un’elevata variabilità e che le distribuzioni di frequenza assumono una forma molto simile a quella della resistenza a compressione uniassiale. Ai fini pratici è possibile correlare il modulo E alla resistenza a compressione c con legami di tipo lineare del tipo E=kc, con k solitamente compreso nell’intervallo 200-700. 9 3. INIEZIONI PER PERMEAZIONE 3.1 Procedimento esecutivo e miscele Il consolidamento per permeazione consiste nell’iniezione nel sottosuolo di una miscela che ha la funzione di modificarne le caratteristiche fisiche e meccaniche, con un aumento di resistenza e rigidezza ed una diminuzione della permeabilità. Nelle tradizionali applicazioni geotecniche, se riferito a terreni e non a rocce, questo trattamento viene in genere eseguito con bassa pressione di iniezione, intendendo con ciò che la pressione di iniezione deve essere tale da fornire i necessari gradienti idraulici alla miscela consolidante che penetra nei pori del terreno senza però modificarne la struttura originale, o facendolo in misura ridotta. Questa tecnica di consolidamento ben si presta all’uso in ambiente urbano perché il cantiere è poco ingombrante e le perforazioni sono di piccolo diametro, perché il trattamento può essere effettuato in modo graduale ed eventualmente con iniezioni ripetute, e inoltre perché l’impiego di basse pressioni di iniezione offre garanzie rispetto alla vicinanza di opere esistenti. Unica eccezione a quest’ultimo vantaggio è il caso del trattamento di terreni non saturi collassabili (ad esempio, la pozzolana fuori falda) in cui l’aumento del grado di saturazione nel transitorio del trattamento potrebbe dar luogo ad una complessiva riduzione di volume del terreno e quindi ad un disturbo per le opere circostanti. Il limite maggiore di questa tecnica è relativo all’incertezza dell’esito del trattamento, sia in termini di estensione (raggio medio della colonna) sia in termini di proprietà meccaniche del mezzo trattato. Le applicazioni devono tenere conto di questi limiti e quindi, con riferimento ai terreni, questa tecnica di consolidamento non è ideale nei casi in cui siano necessarie, per il successo prestazionale, la continuità e l’omogeneità. Le iniezioni di miscele consolidanti possono essere effettuate iniettando nel terreno direttamente le miscele preparate in appositi contenitori in cantiere mescolando i vari elementi (tecnica denominata one shot), oppure con una doppia iniezione (denominata two shots) in cui le miscele vengono iniettate separatamente nel terreno attraverso più condotti per cui il mescolamento fra i vari costituenti e la loro interazione chimica avvengono direttamente nel terreno. L’iniezione viene eseguita generalmente isolando tratti successivi della perforazione (attraverso tubi a manchette). Tradizionalmente le miscele impiegate in questa tecnica di consolidamento vengono distinte in: sospensioni, nella quali una fase solida è dispersa uniformemente in una liquida; un esempio di sospensione molto utilizzata nel settore del consolidamento dei terreni, è rappresentato da preparati a base di micro cementi (in cui un cemento idraulico è utilizzato come elemento legante principale), calcite opportunamente stabilizzata etc.; soluzioni (in letteratura definite sinteticamente chemical grouts), sono rappresentate da miscele omogenee costituite da due o più componenti dove il componente presente in maggiore quantità viene definito solvente, quello a minore quantità soluto. Fanno parte di questa classe i silicati di sodio e le resine, composti che prima di essere iniettati sono soluzioni liquide di bassa o bassissima viscosità dinamica iniziale m; emulsioni, dove una fase (liquida, gassosa o solida nanometrica) è omogeneamente dispersa in un’altra fase liquida in essa non miscibile (ad esempio, emulsioni bituminose, miscele organiche a base di lattici, miscele inorganiche quali la silice colloidale). 10 Il principale meccanismo di consolidamento si esplica attraverso la formazione di precipitati insolubili all’interno dei pori del terreno da trattare. L’azione consolidante si esplica attraverso la formazione di un gel (di silice, per esempio) e la sua successiva trasformazione in un materiale vetroso (per i silicati, un polimero silicatico). Il gel ingloba, totalmente o parzialmente, i granuli di terreno all’interno di un reticolo continuo che, attraverso un complesso processo di evaporazione dell’acqua, si trasforma in un materiale vetroso indurito. L’effetto consolidante si ottiene quindi per il diretto contributo fisico di tale reticolo, senza alcuna interazione chimica col terreno. Lo sviluppo tecnologico nel settore delle miscele è abbastanza vivace, e quasi sempre legato a brevetti. La ricerca riguarda da un lato la capacità delle miscele di penetrare nel terreno (iniettabilità), dall’altra l’adozione di componenti che non siano chimicamente inquinanti, ed interessa soprattutto le sospensioni e le emulsioni. Per quanto riguarda le emulsioni, ad esempio, i prodotti più innovativi sono quelli a base di silice colloidale, commercialmente noti come miscele di nano silice colloidale. Nelle miscele cementizie, invece, lo sviluppo riguarda soprattutto la ricerca di una distribuzione granulometrica sempre più fine delle particelle in sospensione. È oramai prassi ricorrere ai microcementi, con diametro medio delle particelle dell’ordine di pochi m, con l’impiego di additivi anti flocculanti e anti sedimentazione sempre più raffinati. In via generale, le principali proprietà da definire nelle miscele sono: composizione: indica gli elementi che compongono la miscela e le loro singole proprietà; stabilità: essenzialmente riferita alle miscele cementizie (ma anche alle emulsioni), indica la capacità della miscela di non dare origine a fenomeni di sedimentazione o separazione tra le fasi prima che il trattamento sia ultimato. proprietà reologiche: riguardano la viscosità, la coesione o rigidità iniziale c e l’attrito interno della miscela . tempo di gelificazione o di presa (detto anche setting time): è il tempo necessario affinché la miscela subisca un significativo incremento di viscosità che ne rende nulla la lavorabilità (e l’iniettabilità). Tale tempo può assumere valori molto diversi, variabili da qualche minuto (miscele chimiche) a molte ore (miscele cementizie).. In linea generale, il terreno trattato è più resistente e rigido di quello naturale, con un comportamento meccanico paragonabile a quello delle rocce tenere. Le indicazioni di letteratura sono molto abbondanti su questo argomento (ad es. Warner, 2004, Lirer et al. 2006). Il trattamento con miscele cementizie conferisce incrementi di resistenza molto maggiori di quanto si ottiene con il trattamento con le soluzioni chimiche. Solitamente queste ultime non consentono di ottenere valori di c superiori ai 2-3 MPa, mentre quelle cementizie forniscono valori che, in funzione del rapporto acqua/cemento, possono superare anche i 10 MPa . 3.2 Applicabilità L’analisi rigorosa del processo di iniezione è molto laboriosa perché al processo di filtrazione si somma l’interazione chimica con le particelle di terreno, la diluizione e la dispersione nell’acqua di porosità, nonché la possibile sedimentazione di particelle in sospensione, se presenti, così come mostrato da alcuni lavori molto completi sull’argomento (ad esempio, Bouchelaghem e Vulliet, 11 Diametro medio delle particelle della miscela () 2001). Ciò spiega almeno parzialmente perché l’applicabilità di questa tecnica venga di solito stimata con criteri empirici senza un’analisi rigorosa dei fenomeni in atto. Le proprietà solitamente considerate per valutare tale applicabilità sono la permeabilità o la distribuzione granulometrica del terreno (in quanto direttamente correlata alla sua permeabilità), la distribuzione granulometrica degli elementi in sospensione nella miscela e la viscosità della miscela (Fig. 3.1). sio 1000 sa 100 Jet Grouting 10 nano-cementi Resine nano-silicati 1 10-11 10-10 10-9 10-8 10-7 10-6 ez Ini a o ni b as s pre i ne Cemento Silicati/emulsioni 10-5 10-4 10-3 10-2 10-1 Permeabilità (m/sec) 0.001 0.002 0.006 0.01 0.02 0.06 0.1 0.2 0.6 0.1 0.2 Diametro dei grani del terreno D10 (mm) argilla limo sabbia ghiaia Figura 3.1 - Iniettabilità dei terreni in funzione delle proprietà di miscela e terreno (Flora e Lirer, 2011). Nel caso delle miscele cementizie (e in genere delle sospensioni), la penetrabilità è ovviamente legata anche al rapporto tra le dimensioni delle particelle solide presenti nella miscela e le dimensioni dei pori del terreno attraverso i quali essa deve permeare. Le indicazioni più classiche e universalmente accettate sono quelle di Mitchell (1981), che suggerisce di valutare l’iniettabilità di una sospensione attraverso due parametri significativi (N e N c) legati al rapporto fra diametri rappresentativi della distribuzione granulometrica del terreno (D) e delle particelle in sospensione (d): D N 15 d85 Nc D10 d 95 (3.1.a) (3.1.b) Con i pedici aventi l’usuale significato di percentuali di passante in peso. Secondo Mitchell l’iniezione di sospensioni è possibile solo per N>24 e Nc>11, impossibile per N<11 e Nc<6. Il parametro di maggiore interesse per l’analisi del processo di filtrazione è il coefficiente di permeabilità del terreno alla miscela km definito come: km k0 m m (3.2) in cui m e m sono rispettivamente il peso specifico e la viscosità dinamica della miscela, e k0 è la permeabilità assoluta o intrinseca del terreno (indipendente dalla natura della miscela). La grande variabilità di m per le diverse miscele (Tab. 3.1) fa sì che uno stesso terreno, per un assegnato 12 valore della permeabilità, possa avere coefficienti di permeabilità alla miscela molto diversi, e che comunque si riducono al trascorrere del tempo di iniezione. Tabella 3.1 - Tipici valori di m per alcune miscele (modificata da Lirer et al. 2004). Miscela silicatica di silice colloidale cementizia aminoplastica acrilamide lignine poliuretanica Viscosità iniziale m (mPa s) 2-100 5-50 5-200 6-30 2-8 2-8 20-150 Il coefficiente di permeabilità, quindi, non è una proprietà del solo terreno ma dipende dalle caratteristiche del fluido. Siccome la determinazione sperimentale della permeabilità intrinseca non è un’operazione di routine, la (3.2) viene anche espressa come: k m t k w w m w m t (3.3) in cui il pedice w indica le proprietà relative all’acqua, ben note (w=1 mPas, denominato anche centiPoise e indicato con la sigla cP), per cui il problema si riconduce a quello più classico di conoscere il coefficiente di permeabilità all’acqua k w e di selezionare una miscela che abbia m e m(t) adeguati alle esigenze del caso. In linea di principio, quindi, i limiti di applicabilità indicati in letteratura possono essere sorpassati riducendo la viscosità iniziale della miscela e rallentandone il processo di gelificazione, sempre che i tempi di iniezione siano ingegneristicamente ragionevoli. 3.3 Progetto dell’intervento Nonostante le notevoli incertezze dell’estensione di questo tipo di consolidamento, in sede di progetto si deve stabilire un raggio di trattamento di prima approssimazione. Per fare ciò bisogna considerare il comportamento reologico della miscela ed adottare un modello per la previsione del suo avanzamento all’interno del terreno. Per quanto riguarda il primo aspetto si deve innanzitutto selezionare il tipo di miscela che si intende adottare (per compatibilità con il terreno in termini di iniettabilità), e si devono poi stimare la sua viscosità dinamica iniziale e la sua evoluzione nel tempo. In particolare, la composizione della miscela deve soddisfare due requisiti antitetici: da un lato essa deve garantire che la viscosità non si modifichi significativamente nell’intervallo necessario al trattamento, e quindi che la miscela abbia tempi di presa o gelificazione superiori al tempo di iniezione; dall’altro, deve evitare che dopo il termine dell’iniezione la miscela permanga allo stato fluido troppo a lungo, con negative conseguenze in termine di dispersione idrodinamica e diluizione, e quindi di efficacia dell’intervento. Per quanto riguarda la stima dell’estensione del trattamento, in linea di principio sono disponibili metodi analitici molto completi, che considerano contemporaneamente il trasporto convettivo e la 13 diluizione della miscela consolidante all’interno della fase fluida, la sedimentazione di particelle solide all’interno dei pori durante il moto e il processo di consolidazione del terreno per l’accoppiamento idraulico-meccanico (ad esempio Bouchelaghem and Vulliet, 2001). Tuttavia questi modelli sono certamente troppo complessi per essere adottati correntemente nella pratica professionale. Solitamente, quindi, per simulare il processo di permeazione delle miscele all’interno di mezzi porosi si usano metodi più semplici, classificabili come metodi geometrici o geometricoanalitici (Flora e Lirer, 2011). 4. SOIL NAILING 4.1. Meccanismo di funzionamento Il soil nailing è largamente diffuso in molti paesi, mentre in Italia non è ancora diventato una pratica corrente. Si tratta di una tecnica di rinforzo usata per il sostegno – permanente o temporaneo - di scavi e per la stabilizzazione dei pendii che consiste nell’infissione ravvicinata di inclusioni passive di piccolo diametro (tipicamente compreso tra 20 e 30 mm) a contatto con il terreno per l’intera lunghezza. Le inclusioni sono in grado di assorbire sollecitazioni di trazione, taglio e flessione e possono essere metalliche o in altri materiali quali gli FRP (Fiber Reinforce Polymers), che costituiscono una vasta gamma di materiali compositi. Il soil-nailing viene realizzato dall’alto verso il basso (top-down, Fig. 4.1) procedura che consiste nella realizzazione di scavi parziali liberi di altezza compresa tra 1-2 metri (altezza che deve comunque essere inferiore all’altezza critica di scavo del terreno in sito), seguiti dalla messa in opera dei chiodi e dal ricoprimento dello scavo stesso con un rivestimento leggero; la procedura viene iterata fino al raggiungimento della profondità di scavo predefinita. La tecnica del soil-nailing è applicabile a diversi tipi di terreni: argille, terreni sabbiosi, rocce alterate, terreni eterogenei e stratificati, purché tali da consentire scavi non protetti di altezza di 1–2 m, stabili almeno temporaneamente. Ciò è possibile nei casi in cui il terreno sia dotato di coesione o esista il benefico contributo della suzione dell’acqua di porosità.. Convenzionalmente, i chiodi si distinguono in funzione della tecnica di installazione: chiodi cementati (grouted soil nails): sono i chiodi più diffusi; hanno solitamente diametro variabile tra 15 mm e 46 mm e sono inseriti in prefori di 100÷200 mm di diametro. La cementazione avviene solitamente a pressione atmosferica o comunque bassa. Barre filettate vengono tipicamente utilizzate per migliorare l’aderenza con il terreno. chiodi direttamente infissi (driven soil nails): chiodi di piccolo diametro (solitamente tra i 15 mm e i 35 mm) direttamente infissi nel terreno. Il grande vantaggio di questa tecnica di installazione è l’assenza di miscele di iniezione e quindi la maggior rapidità, semplicità ed economicità di installazione. Il grande limite tecnologico dei chiodi infissi, se in acciaio, è legato alla corrosione, per la quale eventualmente bisogna considerare misure di protezione specifiche. chiodi auto perforanti (self-drilling soil nails): sono realizzati con barre cave che possono essere infisse nel terreno e iniettate contemporaneamente: la miscela, che fuoriesce da una testa di perforazione sacrificale a pressione relativamente bassa, riempie l’intercapedine tra barra e terreno, assicurando una buona interazione con il terreno. 14 chiodi infissi ad aria compressa (launched soil nails): anche questa tecnica consiste nell’infissione diretta dei chiodi nel terreno, con la differenza che in questo caso è utilizzato un dispositivo di lancio ad aria compressa che infila i chiodi nel terreno ad alta velocità. I chiodi hanno diametro variabile tra 19 mm e 38 mm. Figura. 4.1 - Schema di realizzazione di una parete rinforzata con soil nailing (da FHWA, 2003). L’uso di barre in FRP rappresenta una innovazione di grande interesse per il fatto che questi materiali non sono soggetti a corrosione, sebbene siano molto più deformabili dell’acciaio.. A causa del meccanismo di funzionamento dei chiodi interagenti col terreno per la loro completa lunghezza, questa tecnica garantisce sforzi normali sul rivestimento molto minori delle opere di sostegno tradizionali. Il rivestimento, quindi, ha il compito principale di assicurare la stabilità locale del terreno compreso tra le chiodature e di proteggerlo dall’erosione superficiale e dall’azione degli agenti atmosferici. Esso può essere realizzato con una rete metallica con cui vengono collegate le teste di tutti i chiodi, con un ricoprimento di calcestruzzo proiettato con spessore solitamente compreso tra i 10 e 20 cm. 4.2 Interazione chiodo-terreno Le condizioni di sollecitazione nei chiodi si modificano durante la realizzazione dello scavo. Nella generica fase di approfondimento (Fig. 4.2a), le deformazioni indotte nel terreno dalla modifica 15 delle condizioni al contorno generano una modifica dell’interazione tra i chiodi già in opera e il terreno stesso. Questa interazione si esplica sotto forma di tensioni tangenziali (molto spesso denominate q nella bibliografia del settore, e quindi così chiamate nel seguito di questo capitolo) agenti all’interfaccia tra terreno e rinforzo. In particolare, il movimento verso l’esterno del terreno più prossimo al fronte di scavo genera all’interfaccia chiodo-terreno tensioni tangenziali che, se considerate agenti sul chiodo, sono orientate in questa direzione (zona attiva). Siccome questi movimenti nel terreno si riducono fino ad annullarsi ad una certa distanza dal fronte di scavo, l’interfaccia della parte di chiodo infissa nel terreno più lontano dal fronte (zona resistente), non interessata dal movimento, è soggetta a tensioni tangenziali di segno opposto. (a) (b) Figura 4.2 –a) Evoluzione dello stato tensionale nel generico chiodo con il procedere dello scavo e deformata qualitativa della parete; b) Schematizzazione del meccanismo di interazione tra chiodo e terreno. Lungo entrambi i tratti (attivo e resistente), per l’equilibrio alla traslazione nella direzione dell’asse del chiodo stesso deve essere rispettata la condizione (Fig. 4.2b): dT Ds q(x) dx (4.1) In cui dT è la variazione della forza di trazione in un tratto di lunghezza dx del chiodo e Ds il diametro del tratto strutturale interagente (non necessariamente coincidente con il diametro del chiodo, ad esempio per quelli cementati). In realtà, q(x) è una tensione tangenziale media nel tratto dx che rappresenta l’integrale delle tensioni tangenziali (non uniformi lungo il perimetro) agenti lungo la superficie di interfaccia. Lo sforzo di trazione agente nella barra è quindi variabile lungo il suo asse, e alla generica ascissa x vale: x Tx D q( x ) dx (4.2) 0 16 Per quanto detto, T(x) ha l’andamento qualitativamente illustrato nelle Figg. 4.2: cresce dal paramento verso l’interno del terreno, per raggiungere un massimo e poi decrescere. Spesso si ipotizza che i massimi avvengano in corrispondenza della separazione tra zona attiva e resistente. In genere, l’inviluppo dei massimi valori della sollecitazione di trazione interseca il piano campagna ad una distanza dal paramento compresa tra 0.3H e 0.4H (con H altezza di scavo corrente) (Fig. 4.3a). La stabilità dello scavo è garantita se un numero sufficiente di chiodi è in grado di esplicare il suo ruolo di rinforzo senza raggiungere la resistenza allo sfilamento (o al pull-out) disponibile, senza che il chiodo o la sua connessione al rivestimento si plasticizzi (per una qualsiasi combinazione di trazione, taglio e flessione) e senza che si possa innescare un meccanismo di rottura generale (scivolamento o carico limite). Un ruolo determinante sull’interazione tra chiodo e terreno è ovviamente svolto dallo stato tensionale agente al contatto tra rinforzo e terreno, che come accennato in precedenza è di complessa valutazione, variabile lungo il perimetro dello stesso e dipendente dalla tecnica di installazione (Flora e Lirer, 2011). (a) (b) Figura 4.3 – a) Posizione schematica dei massimi delle sollecitazione di trazione nei chiodi e della superficie di separazione tra zona attiva e resistente (da FHWA, 2003). b) Andamento qualitativo della forza di trazione nel chiodo T(x) e tensione tangenziale all’interfaccia q(x) in una prova di sfilamento, e semplificazione di calcolo con q(x)=costante (da FHWA, 2003). 4.3. Resistenza allo sfilamento (pull out) del chiodo Ai fini del calcolo della resistenza allo sfilamento, solitamente si ipotizza che la tensione tangenziale media all’interfaccia q(x) mobilitata nella zona resistente cresca all’aumentare del carico applicato, implicitamente sottintendendo con ciò l’ipotesi che lo sforzo normale di trazione nel chiodo vari linearmente lungo l’asse (Fig. 4.3b). In condizioni limite di sfilamento, q(x) attinge il valore limite qlim dettato dalla resistenza al taglio di interfaccia e la resistenza allo sfilamento T po 17 si calcola come: Tpo D Lp qlim (4.3) in cui D è il diametro efficace del rinforzo e Lp la sua lunghezza nella parte resistente. Il valore di qlim può essere misurato in base a prove di sfilamento in sito o in laboratorio, invertendo la (4.3). Nel caso in cui si debba stimare qlim e il meccanismo di interazione chiodo-terreno è di tipo attritivo, la resistenza unitaria viene solitamente messa in relazione alla tensione efficace normale media ’m nel piano verticale parallelo al fronte di scavo (se verticale) e ortogonale al chiodo (se questo è posto in opera orizzontalmente), che potremo definire per semplicità tensione efficace normale media di interfaccia (cosa non rigorosa per chiodo posto in opera non orizzontalmente). La relazione si esprime solitamente come: qlim 'm (4.4) dove è un coefficiente d’interfaccia, di incerta valutazione (Flora e Lirer, 2011). 4.4. Criteri di dimensionamento dell’intervento Come in ogni opera di ingegneria, nel dimensionamento devono essere considerate condizioni limite ultime e di esercizio. Per le prime, le sole di cui si fa brevemente cenno in questa sede, si devono considerare le tre seguenti categorie di meccanismi di rottura (Fig. 4.4a): meccanismi interni, meccanismi esterni e rottura del paramento. Mentre le verifiche esterne sono concettualmente identiche a quelle da farsi per altre e più tradizionali opere di sostegno, quelle interne presentano aspetti peculiari che vale la pena di richamare brevemente. In particolare, con riferimento alla Fig. 4.4b, che riporta una distribuzione semplificata della forza di trazione lungo il contorno del singolo chiodo, si devono effettuare le seguenti verifiche: a) della resistenza strutturale del chiodo (RT); b) allo sfilamento del chiodo (pull out); c) della compatibilità della forza di trazione agente localmente sul rivestimento col valore massimo applicabile RF. La verifica di maggior interesse geotecnico è la (b) allo sfilamento (pull out), che prevede il calcolo di un coefficiente di sicurezza definito come: Tpo FSpo, i Tmax i (4.5) In cui Tpo è la resistenza allo sfilamento (pull out capacity) dell’i-esimo chiodo, e Tmax la massima forza di trazione in esso agente. Solitamente si considera T max agente nel chiodo in corrispondenza dell’intersezione con la superficie di separazione tra zona attiva e resistente considerata. 18 (a) (b) Figura 4.4 - a) Possibili meccanismi di rottura in strutture in soil nailing (da FHWA, 2003). b) Distribuzione semplificata delle forze di trazione nel chiodo (da FHWA, 2003). BIBLIOGRAFIA AGI Associazione Geotecnica Italiana, 2011. Jet Grouting - Linee Guida. Edizione provvisoria, Patron Editore, Bologna. Bouchelaghem M., Vulliet L., 2001. Mathematical and numerical filtration-advection-dispersion model of miscible grout propagation in saturated porous media. Int. J. Numer. Anal. Meth. Geomech., n°25, 1195-1227. Croce P., A. Flora, 1998. Effects of jet grouting in pyroclastic soils. Rivista Italiana di Geotecnica, N. 2, Patron editore, Bologna. Croce P., A. Flora, 2000. Analysis of single fluid jet-grouting. Geotechnique 50, N. 6, Thomas Telford editore, Londra. Croce P., A. Flora, G. Modoni, 2004. 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