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Il Sole 24 Ore Martedì 27 Gennaio 2009
Ambiente
Termovalorizzatori. Parla Cesarina Ferruzzi, presidente di Anida, l’associazione di categoria
«Servono106nuoviimpianti»
Oltre la metà dei rifiuti finisce ancora nelle discariche
IMAGO ECONOMICA
Vincenzo Del Giudice
«Servono 106 termovalorizzatori (che si aggiungerebbero ai 51 esistenti, ndr) per affrontare la massa di rifiuti prodotti in Italia».
Cesarina Ferruzzi, presidente
di Anida, – l’associazione degli
operatori nel settore della difesa
e salvaguardia dell’ambiente attraversolaprogettazione,costruzione e gestione di impianti – lo
va ripetendo da mesi, da prima
ancorachescoppiasseloscandalo di Napoli. «Ogni impianto deve avere una capacità di trattare
almeno 170mila tonnellate l’anno.Ilcosto diunimpianto diultima generazione – afferma Ferruzzi – è compreso frai 75 e gli 80
milioni di euro». Per una spesa
complessivasuperiore agli 8miliardi. «La produzione in Italia
è in costante crescita – aggiunge la presidentessa dell’Anida –
Oggi registriamo incrementi
medi nazionali dell’ordine del
2,2% all’anno (+8,9% nel periodo
2002-2006) con differenze ancheconsiderevolifraNord,Centro e Sud. In Italia, che si colloca
agli ultimi posti in Europa, c’è il
problema delle discariche, che
rappresenta quasi il 48% del sistema di smaltimento dei rifiuti
urbani,alnettodelleecoballedella Campania (2,9%) e di quella
frazionetrattatainimpiantimeccanico-biologici (23,1%) che con
una buona probabilità all’uscita
degli impianti è destinata quasi
interamentealladiscaricainqualitàdirifiutospecialenonpericoloso, anzichè urbano.
Troppe discariche
Nel 2006 – che sono i dati adessodisponibili sottolinea Ferruzzi – si attesta al valore di 32,5 milioni di tonnellate, delle quali il
48% è smaltito direttamente a
discaricae probabilmente un altro 15-20% ci arriva dopo il trattamento meccanico: a conti fat-
Cesarina Ferruzzi.
presidente di Anida
GLI EFFETTI
L’intervento consentirebbe,
se attuato, la riduzione
di 226mila tonnellate di CO2
all’anno e la produzione
di 170mila Mw di energia
IN EUROPA
Italia in coda alla graduatoria
per la gestione efficiente
della spazzatura.
Peggio di noi solo Portogallo,
Spagna e Regno Unito
ti il 65% della produzione continua ad andare in discarica, per
una corrispondente quantità di
21,2 milioni di tonnellate di rifiuti». Il piano nazionale per lo
smaltimento dei rifiuti redatto
dall’Anida nel prossimo quinquennio prevede, per ora in via
ipotetica, di ridurre il tasso di
crescita della produzione dei rifiuti all’1,2% annuo e di incrementare la raccolta differenziata fino al 41,5% a livello nazionale con i rifiuti indifferenziati
che ammonterebbe a 17,5 milioni di tonnellate.
Considerando cheun impianto di termovalorizzazione di
medie dimensioni,che sipuò calare nella stragrande maggioranza delle province italiane, è
caratterizzato da una capacità
di trattamento di circa 170mila
tonnellate annuo, ne discende
che potenzialmente si potrebbero avviare i procedimenti per la
costruzione di 106 linee, ciascuna delle quali coprirebbe circa
l’1% del fabbisogno.
Ma per i comuni mortali, cosa
vuol dire realizzare una linea di
termovalorizzazione?«Diminuire dell’1% la dipendenzadalla discarica, immettere nel sistema
elettrico nazionale 115mila
Mwhe all’anno di energia, aumentare la quota di energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile, pari a circa 170mila mwhe
all’anno, ridurre l’importazione
di petrolio di 330mila barili
all’anno, diminuire, a parità di
energiaelettricadisponibilesulla rete nazionale, le emissioni di
anidride carbonica di 226mila
tonnellate di CO2 l’anno.
«Inoltre – aggiunge Ferruzzi
– evitare processi intermedi di
trattamento dei rifiuti finalizzati a consentire i trasporti degli
stessi in regioni diverse da quelle di produzione dei rifiuti, ridurre i costi dei trasporti e l’impatto ambientale, razionalizzare il sistema. Numeri che possono quindi essere moltiplicati
per 106, prima di allargare il discorsoairifiutispeciali nonpericolosi non recuperati materialmente, con la stessa occupazionecheusufruirebbe dioltre 3mila nuovi posti di lavoro diretti,
senza contare l’indotto».
Eppure, c’è una larga fetta di
opinione pubblica che è contraria ai termovalorizzatori e punta il dito contro l’inquinamento
e l’aumento delle malattie collegate. «Le emissioni di un termovalorizzatore – spiega ancora la
presidentessa dell’Anida – sono
ridottissime. Le emissioni sono
inferiori di 100 volte ai limiti imposti dalla Comunità europea.
Noi, questo piano nazionale per
lo smaltimento dei rifiuti, intendiamofarlo con il massimo della
serietà e della trasparenza.
Tantoèvero chefrale priorità
abbiamochiestochevengacostituito un comitato scientifico-sanitario composto da personaggi
indipendentiingradodimonitorarel’andamento dei termovalorizzatori per poi rendere pubblici i risultati e aprirli al confronto
con la popolazione».
Italia in coda
LasituazionedeglialtriPaesieuropei è ancora poco conosciuta,
inItalia.Comesistannomuovendo? «Nei Paesi più avanzati prevale il termovalorizzatore, mentre sempre meno rifiuti finiscono nelle discariche.
Come si diceva, in Italia il 54%
dei rifiuti finisce in discarica,
mentre in Svezia solo il 9%, il
47% nei termovalorizzatori e il
rimanente nel riciclo-compostaggio. Per nondire di Svizzera,
Olanda e Danimarca. Peggio di
noi, solo Spagna, Portogallo e
GranBretagna. Vorrei anche aggiungere – sottolinea Ferruzzi –
che l’Italia non può permettersi
la situazione attuale per una seriediragionichelacrisidiNapoli ha messo in evidenza, ma anche per ragioni morfologiche.
C’è poca pianura nel nostro Paesee questorendepiùdifficileanche abusare delle discariche».
«Aggiungoanchechelaleggecomunitariadel2005èstatarecepita dalla Francia e dalla Germania, rispettivamente con quote
di rifiuti in discarica del 39% e
del 18% – conclude Ferruzzi –
mentre l’Italia continua a prorogarla di anno in anno. E per questo è stata aperta un’istruttoria
nei confronti del nostro Paese».
TABÙ INVIOLABILI
Acerra,odissea
lungaottoanni
G
lianglosassonila
chiamanosindrome
"Nimby".Chetradottopernoi
italianivuoldire«nonnelmio
giardino».Unapaura,untabù
inviolabile,chesitrasformain
unrifiutoaprioristicodiogni
installazioneindustriale
vicinoacasapropria.Siaessa
unacentraleelettrica,un
inceneritore,uncementificio.
Enonc’ècasopiùeclatantein
Italiadiquestafiera
opposizionedell’inceneritore
diAcerra.Progettatoemai
avviatoinun’odisseadurata
ottoanni.Fattadicontinue
interruzionideilavori,
occupazionideiterrenida
partedicomitaticivici,
autorizzazioniconcesseepoi
negateinunballettocontinuo
chehafinitoperdilatare
all’infinitoitempie
soprattuttolerisorse
impiegate.Acerradoveva
esserelacoronazionediun
processovirtuoso.Raccogli,
differenziaequelcheresidua
nonlomettiindiscaricamalo
bruciperprodurreenergia.
Quelprocessovirtuososiè
trasformatoinuncircolo
vizioso:aNapolinonsiè
fattalaraccoltadiffenziata,
sisonoaccumulatele
"ecoballe",veroscandalodei
rifiutiinCampania,esisono
tornatiaseppellireirifiuti
sottoterra.Epensarecheun
inceneritoreanalogoaquello
pensatoperAcerraèin
funzionedaanninellacittà
diColonia.Costruitoinsoli
dueanni.(Fa.P.)
La classifica Ue
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Green Network Spa:
pronti per le nuove sfide
La società, attiva nel settore della fornitura di energia elettrica dal 2003, ha appena portato a termine un importante processo
di riassetto societario e riorganizzazione interna che la mette in grado di affrontare con successo gli impegni futuri.
La descrizione della nuova struttura, le strategie, i progetti in corso nelle parole del Presidente Piero Saulli
"A
marzo entreremo a pieno regime
con il nuovo assetto. Il percorso è
stato impegnativo ma oggi la nostra
struttura è più razionale e meno costosa.
Insomma, siamo pronti alle nuove sfide". Piero Saulli, presidente del CdA di Green
Network Spa, società attiva nella fornitura di
energia elettrica ad aziende e privati, riassume così l'esito del processo di riassetto societario iniziato a metà 2008 e conclusosi definitivamente nelle ultime settimane. A spiegarne
i contenuti è lo stesso Saulli: "Si è trattato di
una fusione per incorporazione delle tre società che prima operavano in maniera autonoma sul mercato rivolgendosi a tre segmenti
diversi, cioè alle grandi aziende, alle pmi e ai
consorzi e al retail. Modula Spa, Green
Network e La 220 sono dunque confluite in
Green Network, sub-holding operativa che fa
capo al 100% a SC Holding". Obbiettivo: razionalizzare al massimo: "Certo, volevamo
eliminare le sovrapposizioni che si erano venute a creare fra le tre società, con le relative
diseconomie". L'operazione è stata piuttosto
complessa: "Siamo partiti il 23 giugno scorso
con la comunicazione all'Antitrust, il cui assenso è giunto a fine novembre. La fusione,
poi, è divenuta effettiva il 15 dicembre". Concluso questo primo step, il processo ha comportato altri due passaggi, definiti ultimamente: "Il primo è stato la riorganizzazione di
tutte le attività per business unit, controllate al 100% da Green Network. Tutti i rapporti
con i clienti finali sono gestiti da una nuova
società, Modula srl. Un'altra società si occupa della commercializzazione dei titoli di efficienza energetica, un patrimonio di circa 40
milioni di euro. La neonata Modula Power,
dal canto suo, ha come oggetto la conduzione del progetto di un impianto di cogenerazione da 75 megawatt nel centro Italia. Abbiamo
anche una partecipazione al 49% in Solèrgy,
una joint-venture con Api per l'installazione di
momento di grandi tensioni sui mercati finanziari, del resto, era sconsigliabile mantenere
volumi così ingenti".
Green network Spa punta verso il futuro poggiando su punti di forza indiscutibili: "La riduzione dei costi che la riorganizzazione ci permette è già un fattore competitivo importante.
A ciò si aggiungono le peculiarità che ci
contraddistinguono da tempo, a partire dal
rapporto con i clienti di grandi dimensioni.
Ne abbiamo sempre acquisito di nuovi, senza perderne neppure uno: un tasso di fidelizzazione altissimo. Questo grazie al nostro
impegno nella soluzione di qualunque problema, alla fluidità e alla rapidità nella trasmissione dei dati e nell'emissione delle fatture, alla trasparenza dei numeri, ai costi
fissi molto bassi che ci hanno sempre consentito di essere aggressivi sui prezzi". Green Network Spa seguirà una strategia precisa anche per il retail: "Eviteremo di utilizzare
agenzie per mantenere bassi i costi. Piuttosto, puntiamo a partnership commerciali con
realtà che abbiano reti di vendita sul territorio, come ad esempio aziende della grande
distribuzione, che vogliano aggiungere ai loro servizi anche quello relativo alla fornitura
di energia elettrica".
Piero Saulli, presidente del CdA di Green Network Spa
50 megawatt di fotovoltaico entro i prossimi
2-3 anni: un investimento da 250 milioni di
euro. Per quanto riguarda La 220, rimane
come marchio commerciale per i servizi rivolti al segmento retail". La riorganizzazione
interna è stata notevole: "Abbiamo chiuso gli
uffici di Brescia. Oggi Green Network è costituita da 25 professionisti, tutti insediati a
Roma". L'ultimo passo di questo percorso di
riassetto si è compiuto il 15 gennaio scorso:
"In quella data Giuseppe Zanardelli è uscito
definitivamente e totalmente dalla società
come azionista e ha lasciato tutte le cariche
amministrative".
Come accennato all'inizio, Green Network
Spa sarà pienamente operativa entro due, tre
mesi: "L'integrazione di tutte le società in
un'unica realtà, secondo un'unica logica, ha
richiesto naturalmente un po' di tempo", spie-
ga Saulli. Gli obbiettivi sono ben chiari:
"Chiuderemo il 2008 con un fatturato di circa
un miliardo di euro. Per il 2009 siamo concentrati sulla riorganizzazione interna e abbiamo
preferito ridurlo a 600 milioni di euro: abbiamo sfoltito i clienti, puntando ai margini piuttosto che alle quantità, vista anche la situazione del mercato. Insomma, quello in corso
sarà un anno di transizione, poi ripartiremo
da cifre vicine a quelle del 2008. In questo
Green Network Spa, dunque, è pronta per il
futuro: "Il mercato dell'energia elettrica è in
continua evoluzione. È un settore non facile,
nel quale gli operatori come noi, privati e
senza un'attività di produzione, sono pochi.
La nostra strategia comprende appunto un
possibile accordo con un partner industriale.
A meno che, anche in Italia, non si arrivi alla
creazione di un mercato di prodotti derivati,
che consenta operazioni pluriennali e dunque la gestione di clienti sul lungo periodo. In
ogni caso, con la riorganizzazione appena
conclusa siamo attrezzati per reggere il confronto", conclude Saulli.