angela rita sechi

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angela rita sechi
ANGELA RITA SECHI
Nel cassetto di mia nonna.
Piera scostò le tendine della finestra, era ancora molto presto.
Quella notte non aveva dormito, così stanca di correre dietro ai suoi pensieri, stanca di non raggiungerli,
aveva deciso di alzarsi.
I lividi bagliori dell’aurora primaverile facevano capolino dalle colline che si stagliavano scure all’orizzonte e
la brezza fredda portava il profumo dolce e inebriante di erbe aromatiche cresciute senza cura e di
mandorli fioriti, giù a valle il ruscelletto scorreva veloce e il suo chiacchierio giungeva fin li sempre più
confuso dai rumori della campagna che si destava attimo per attimo sfiorata da mano invisibile che passava
oltre svegliando così tutte le creature.
Più in fondo a sinistra il paese dormiva ancora tranquillo fra le braccia dei suoi monti antichi e silenziosi che
assomigliavano tanto ai vecchi del villaggio anch’essi scuri nei loro costumi austeri.
Marco non era rientrato la sera prima e lei non aveva dormito; pallida con i lunghi capelli neri sulle spalle e i
grandi occhi umidi ancora più grandi per l’apprensione, aspettava, anche se sapeva che lui non sarebbe più
tornato.
Marco... aveva pronunciato il suo nome senza accorgersene, Marco… quel nome le portava ondate di
prepotenti e inarrestabili ricordi.
Si erano conosciuti bambini, lui giocava alla guerra con i compagni e curava le piccole ferite di quei soldati
per finta e lei, sempre per finta
preparava i pasti ai piccoli combattenti per finta.
Solo qualche anno dopo quando lui era tornato dal servizio militare si erano rivisti e avevano scoperto di
amarsi.
Marco aveva chiesto al futuro suocero il permesso di poter frequentare Piera come innamorato, poi il
fidanzamento ufficiale e in breve le nozze, fastose e folcloristiche come da tradizione.
Quel giorno Piera indossava un costume molto bello e finemente ricamato, suo padre aveva venduto ben
40 pecore per poterlo pagare e non si era pentito anche se i suoi amici all’osteria lo avevano criticato per
aver speso tanto, ma lui non se l’era presa ed aveva tranquillamente risposto che la sua bambina meritava
anche di più perché ringraziando Dio era sempre stata un angelo di figlia e non si era mai lamentata quando
era dovuta andare a pascolare il gregge mentre lui era a letto per aver preso una brutta polmonite e per
poco non se ne era andato all’altro mondo.
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Era stata proprio lei a mandare avanti la casa, a mungere le pecore a preparare formaggi e ricotta si; era
stata lei a contrattare le vendite e a trarre maggior guadagno di quanto non ne avrebbe tratto lui stesso.
Aveva risparmiato su tutto per poter comprare medicine e pane fino per il suo vecchio malandato e ora era
andata sposa al più bel giovane del paese e questo era un punto di orgoglio per lui cosicché non aveva
rimpianti se non di rimanere solo.
Piera e Marco infatti avevano fatto costruire la loro casetta su una collina fuori dal paese in mezzo agli ulivi
e ne avevano fatto intonacare i muri esterni di calce bianca e vista dal paese sembrava una perla
splendente in mezzo all’oliveto d’argento.
Ogni giorno Marco andava sui campi a ripartire gli ordini ai contadini e a controllare i raccolti, a Piera
piaceva pensare che lui la vedesse da lontano fra i geranei rossi del giardino ma in cuor suo quel triste
presentimento le avvelenava i pensieri più dolci: lei sapeva che un giorno il suo Marco non sarebbe tornato.
Si struggeva nel pensiero che quella cosa, quella maledetta cosa un giorno sarebbe successa e pregava il
signore che fermasse il tempo e ne allontanasse l’ora.
Da cinque anni ormai lo amava e lo desiderava ogni volta come se fosse l’ultima volta.
Ore d’amore e giorni di paura gioia infinita e tormenti sottili si facevano strada silenziosi e lenti fino a
colmare ogni angolo remoto della sua anima.
Ora era li stranamente calma, consapevole.
Aspettava… tutti i pensieri rientrarono ad uno ad uno in perfetto ordine nella sua mente.
Ripose nell’armadio il grembiule, lo scialle e il fazzoletto colorato, chiuse tutte le finestre, spalancò per
intero la porta di ingresso ed accese un piccolo lume che depose sopra il camino e si sedette li con gli occhi
fissi alla fiamma tremolante del lumicino.
Alle sei di quella mattina il sole era già sorto e tiepidi effluvi di primavera invadevano l’aria dolce di marzo.
Ed ecco dal vialetto inghiaiato uno scalpiccio di passi veloci era Padre Cuvelis.
Piera già sapeva ma il piccolo prete non se ne era accorto non s’era accorto neppure che le sue parole per
preparare il cuore della giovane vedova non servivano.
Un esile fragile figuretta ora correva fra i geranei rossi correva tra gli ulivi d’argento e su ancora, si
inerpicava senza sosta tra le rocce sbiancate del sole ricoperte di muschi e di felci curvate dal vento.
Eccolo Marco era la tra gli asfodeli e la menta selvatica gli occhi aperti al cielo, sulla bocca una frase mai
detta e in una mano rami di mandorlo fiorito per la sua dolce sposa.
Lei si inginocchiò gli prese lentamente la testa fra le braccia gli baciò la fronte, gli occhi, i capelli ancora
profumati di gioventù e pianse in silenzi, pianse lacrime amare di sconforto ma anche dolci di perdono,
perdono alla vendetta giurando: basta giovani vedove, basta madri sconsolate, basta i lutti che si
tramandano da troppe generazioni il bimbo il loro bimbo che nascerà fra sei mesi non saprà perché suo
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padre è morto non gli diranno che l’hanno ucciso perché i suoi avi avevano ucciso, perché gli avi dei suoi avi
avevano ucciso.
La Germania era lontana Piera ci arrivò in una fredda mattina mentre nevicava alzò il viso al cielo e lasciò
che fiocchi leggeri congelassero ricordi e pensieri ora doveva pensare solo al suo bambino.
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