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REALE PREMIO DI ROMA (1925-1932)
“Dalla disputa di questa prima gara automobilistica italiana, che sul circuito di
Monte Mario ha opposto in aspra contesa di vertiginosi congegni e di disperate
audacie le ardite macchine e i provati uomini espressi dal travaglio della lotta e
dalla implacabile volontà di conquista, dobbiamo trarne lieto auspicio per le future
competizioni”: così nel 1925 la rivista “Auto Italiana” celebrava la prima edizione del
Reale Premio di Roma, gara internazionale di velocità che si svolse nella capitale,
con questo titolo, fino al 1932. Era stato costruito un circuito all’interno della città
lungo dieci chilometri, con tanto di spalti ed interminabili recinti; erano stati disposti
a presidiare lungo l’intera lunghezza tutti gli uomini, o quasi, del corpo d’armata di
Roma: carabinieri, soldati, cavalleria, bersaglieri ciclisti. Si erano iscritti ben 35
concorrenti…che si esibirono sulla salita di Monte Mario e sul rettilineo di Viale
Angelico a beneficio unicamente dei soldati, in quanto del pubblico non si vide
l’ombra, o quasi. Come rimproverarne i romani, d’altronde? Per la preparazione del
circuito non si era pensato di meglio che collocarlo nel centro della città, con
l’inevitabile e prevedibile conseguenza di un blocco totale della circolazione: strade
chiuse, accessi vietati, traffico merci paralizzato. Il Circuito poi era tutt’altro che
facile: innanzitutto perché nei giorni precedenti era piovuto moltissimo, perciò il
fango aveva invaso le carreggiate, poi perché il percorso (40 giri di 106 chilometri
ciascuno, per un totale di 424 chilometri) contava 360 curve, davvero un po’ troppe, e
sensibili dislivelli. In conclusione, l’Automobile Club di Roma, che vi aveva profuso
tanto impegno, incassò nei giorni successivi alla gara un coro unanime di critiche: ma
intanto era nata una della competizioni automobilistiche italiane più importanti,
valida per il Campionato Italiano di Velocità, oltre che la prima ospitata nell’Urbe, e
a cui parteciparono negli anni tutti i migliori piloti del momento.
Questa prima edizione, svoltasi il 22 febbraio del 1925, venne vinta dal Conte Carlo
Masetti su Bugatti, che compì i 40 giri del percorso in 4 ore e 21 minuti, alla media di
97 km/h; secondo, a ventisette minuti, Materassi su Itala, che nessuno avvertì del
compimento del quarantesimo giro e che perciò continuò la sua corsa per altri due
giri, fino a quando i meccanici del suo box riuscirono a fermarlo; terzo Ginaldi su
Alfa Romeo, a trentacinque minuti. Sono distacchi notevoli: quando Masetti taglia il
traguardo vi erano concorrenti ancora al 30° giro, che arrivarono al termine a
pubblico dileguato e commissari esasperati. Una certa confusione si creò anche
quando furono suonati gli inni: partì subito l’Inno Reale, dopotutto erano presenti le
Loro Altezze Umberto Mafalda e Giovanni. Poi qualcuno, in omaggio alla vettura
vincitrice, attaccò con le note della Marsigliese: ma fu subito messo a tacere. Non
pareva bello suonare un inno straniero, e poi quella marca, Bugatti, in fondo era stata
fondata da un italiano, dunque era italiana. E con questo la giornata finì.
Per la seconda edizione l’Automobile Club di Roma fece tesoro dell’esperienza, e
decise un nuovo circuito di otto chilometri: Valle Giulia, Viale delle Belle Arti,
Lungo Tevere Flaminio, Acqua Acetosa, Viale Parioli, Viale Rossini, via Aldovrandi,
Valle Giulia, da percorrersi 40 volte per un totale di 320 km. Le vetture sarebbero
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state divise in quattro categorie: fino a 1500, fino a 2000 cc, fino a 3000 cc e oltre
3000 cc. Alla gara, in calendario il 26 marzo 1926, la vettura doveva presentarsi o
con pilota e meccanico, o con pilota e zavorra di 70 kg. Particolarmente ricchi i
premi: 100.000 lire al concorrente primo classificato, ed una riproduzione della
“Lupa di Roma”; a tutti i partenti una medaglia d’oro oltre a premi in denaro per i
primi arrivati nelle diverse categorie. Si iscrissero piloti francesi, inglesi, tedeschi,
austriaci e italiani, e le marche favorite erano tre: l’Alfa Romeo, la Bugatti, la
Sunbeam. Invece, alla partenza, balzò in testa Materassi sulla sua vecchia Itala e lì
rimase per cinque giri, finché dovette ritirarsi per la rottura di una balestra. Passò al
comando Brilli Peri su Alfa Romeo, seguito da Giulio Masetti su Sunbeam e da un
drappello di piloti dell’Alfa e della Bugatti. Stavolta il pubblico era numeroso, e lo
spettacolo delle vetture che piombavano velocissime dalla discesa di Valle Giulia
sulla curva del rettilineo d’arrivo suscitava vero entusiasmo. E’ in questa fase che
inizia il vero appassionante duello della gara: la rimonta, lenta ma inesorabile, di
Aymo Maggi, giovane pilota bresciano che nei primi giri si era lasciato distaccare di
qualche minuto. Al decimo giro Maggi è già quarto, a un minuto e trentacinque
secondi da Brilli Peri; dopo altri dieci giri è terzo; al 34° giro è secondo. La corsa
volge alla fine, e ormai tutto l’interesse degli spettatori è concentrato su di loro. Al
38° giro Brilli Peri, che ha conservato un minuto e 49 secondi di vantaggio, si ferma
al box avendo forato un pneumatico. La gomma viene sostituita in appena 52 secondi
da Ramponi, e Brilli Peri riparte ancora in vantaggio. Al 39° giro i due corrono uno
sulla coda dell’altro. All’ultimo giro, sul traguardo, anziché la rossa Alfa, irrompe
l’azzurra Bugatti di Maggi: un successo definito “clamoroso, assoluto, contro tutte le
previsioni, anche le più rosee, e contro macchine quali le Alfa Romeo che da anni
sono le esponenti di una eccellenza meccanica che ha sbaragliato tutti gli avversari
negli ultimi Gran Premi”. Parole non esagerate, se si considera che si era imposta una
macchina senza sovralimentazione su macchine sovralimentate.
Il pubblico non gradì affatto il colpo di scena finale, e il vincitore fu accolto da un
gelido silenzio. Stupì la facilità con cui la Bugatti aveva sorpassato l’Alfa, a due
chilometri dalla fine, dopo un’intera gara con l’Alfa quasi sempre in testa.
Verosimilmente, questa arrendevolezza della marca milanese fu causata da
segnalazioni malfatte, se non inesistenti. Forse ai box dell’Alfa Romeo ci si era fidati
troppo della superiorità della macchina, trascurando l’aspetto importantissimo di
tener informato il proprio pilota sul progressivo avvicinarsi degli inseguitori. Rimane
il fatto che per tutta la durata della gara le sole segnalazioni partite dai box dell’Alfa
Romeo erano state rivolte a Brilli Peri perché rallentasse l’andatura. Il risultato fu che
l’Alfa fu superata per un soffio: appena otto secondi, dopo tre ore e un minuto di
competizione estenuante (media oraria dei due primi arrivati: 99 km/h).
Per la terza edizione l’Automobile Club di Roma decise nuovamente di variare il
circuito. La gara poneva in palio tre punti per la classifica del campionato italiano, e
si sarebbe snodata su un percorso che toccava Viale Tiziano, Ponte Milvio,
Lungotevere dell’Acqua Acetosa, Viale dei Parioli, ippodromo di Villa Glori, Stadio.
Per l’organizzazione del circuito era prevista una spesa di un milione di lire (circa
750.000 euro di oggi) e, poiché parve subito impossibile coprirla con la sola vendita
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dei biglietti, si pensò di appellarsi alla solidarietà dei soci dell’Automobile Club.
Furono emessi centotrenta buoni di garanzia di tremila lire ciascuno (circa 2.000
euro), riservati unicamente ai soci, ai quali però non veniva chiesto obbligo alcuno
all’atto della sottoscrizione: “verseranno soltanto se e in quanto la gestione del
Circuito si chiudesse disgraziatamente in perdita”. Un buon sistema per cautelarsi da
possibili perdite.
Neanche questa volta l’organizzazione fu priva di pecche. Anzi, il risultato fu una
clamorosa confusione. “Al Circuito dei Parioli è avvenuto che dopo i primi 5 o 6 giri,
durante i quali era sufficientemente facile seguire la gara attraverso le posizioni
assunte dai corridori delle rispettive categorie, quando i primi incidenti si ebbero a
verificare e quando cominciarono i primi raddoppiamenti, non solo gli spettatori non
riuscirono a capire granché di quanto avveniva sul circuito, ma, a stare con le
apparenze, anche gli stessi organizzatori, ai quali forse invano si sarebbe richiesta
una spiegazione esauriente e precisa sull’andamento della corsa e sulle singole
posizioni dei corridori”, così scriveva “Auto Italiana” all’indomani della gara,
svoltasi il 12 giugno. Alla tribuna stampa non arrivavano le segnalazioni; i box erano
stati eretti prima del traguardo; il quadro dei tempi e del contagiri risultavano
seminascosti dal fogliame, la cabina dei cronometristi era di difficile accesso e mal
favoriva la diramazione delle informazioni…A questo aggiungiamo la brevità del
circuito, su cui giravano venti macchine, di cui solo per due o tre si indovinava
l’effettiva posizione; e due incidenti gravi, con due morti tra il pubblico. La gara,
quasi una parata di Bugatti, risultò molto combattuta, perché a contrastare le francesi
erano scese in lizza l’Itala di Materassi e le due piccole ma resistenti Maserati di
Tonini e de Sterlich. Fu infatti tra la Bugatti di Maggi, reduce dai successi a Tripoli,
alla Targa Florio e al Circuito del Savio, e l’Itala di Materassi che si scatenò il duello
per i primi venti giri. Tra i due si inserivano alternativamente Lepori, Nuvolari, Bona
e Balestrero, tutti su Bugatti. La gara si prospettava interminabile, e mentre i
protagonisti iniziali erano costretti al ritiro per guasti (Materassi al 31° giro; Maggi al
62°) emergeva la grande regolarità di Nuvolari, che arrivò primo al traguardo dopo 3
ore e 47 minuti, segnando una media di 110 km/h. “Certi passaggi in curva, la
decisione con la quale il mantovano sa rimontare qualsiasi avversario hanno
consentito che egli con una macchina non sovra alimentata mantenesse per tutti i 420
km della severissima gara un’andatura sostenutissima e regolare, che si è tradotta
del resto in una media significativa”.
Archiviata la terza edizione, si cominciò a pensare alla quarta, e naturalmente venne
in mente di variare il circuito, definito stavolta “delle tre Fontane”, e lungo 13,2
chilometri, con curve sopraelevate e andamento quasi da autodromo. Anche nel 1928
la manifestazione romana, prevista per il 10 giugno, sarebbe stata compresa
nell’elenco delle prove per il Campionato Italiano, con punteggio triplo, ed aperta a
veicoli della categoria corsa con cilindrate fino a 1500 cc, fino a 2000 cc e oltre i
2000. Costituiva però novità il fatto che alla gara potevano parteciparvi soltanto piloti
direttamente invitati dal Comitato che presiedeva la gara, che si sarebbe sobbarcato
anche delle spese di viaggio e del trasporto delle macchine, oltre a fornire i
consistenti premi in denaro. Era nato il “Criterium degli Assi”, un modo per evitare
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l’affollamento in corsa di piloti di quart’ordine, come la signorina Vernier che si era
contraddistinta l’anno precedente per essere stata fermata dagli stessi commissari di
gara, preoccupati che la sua malcerta guida potesse costituire un pericoloso intralcio
per gli altri concorrenti.
La gara fu combattuta e vivace per tutti i 391 km del percorso. Chiron su Bugatti, il
vincitore, Brilli Peri su Bugatti, secondo, e Materassi su Talbot, terzo, furono gli
indiscussi dominatori. Brilli Peri rimase al comando per i primi dodici giri, e Chiron
per tutti i successivi, con un vantaggio crescente; mentre Nuvolari, su Bugatti,
Ernesto Maserati, su Maserati, Varzi su Delage, per citare soltanto i più noti dei
restanti partecipanti, pur tentando in tutti i modi di contrastare la loro supremazia,
non riuscirono mai ad entrare veramente in gara. Si mise in luce anche Luigi Fagioli,
su Maserati, cui spettò l’onore di portare al traguardo la prima macchina italiana e ad
aggiudicarsi il Premio del Partito Nazionale Fascista. A Chiron toccò invece sia il
Premio del Re sia quello del Ministero dell’interno, assegnato al concorrente che
avesse registrato il giro più veloce (il 12°, in 5’54, alla media di 132 km/h). Vi fu
anche un altro protagonista: il caldo. Trentadue gradi all’ombra misero a durissima
prova il pubblico intervenuto, soprattutto nell’infernale ingorgo del dopo gara,
quando su una sola strada e su una sola tranvia si riversarono dalle cinquanta alla
sessantamila persone.
La quinta edizione del Gran Premio Reale Roma (26 maggio 1929) riscosse il più
entusiastico successo, perché finalmente vide la vittoria di due piloti italiani su
vetture italiane, due gloriose Alfa Romeo P2. I piloti erano Achille Varzi, primo
classificato, e Gastone Brilli Peri, secondo e detentore del giro più veloce (l’11°, in
5’51, alla media di 133 km/h, nuovo record assoluto), entrambi iscrittisi privatamente
(la marca milanese ormai non utilizzava più ufficialmente quel tipo di macchina). Le
due vecchie P2 si erano trovate di fronte avversarie come le Maserati di Fagioli,
Borzacchini ed Ernesto Maserati, le Mercedes di Caflisch e Momberger, l’ Austro
Daimler di Stuck, le Bugatti di Nuvolari, Divo, Williams, Tonini e Foresti, le Talbot
di Arcangeli e Pintacuda, la Salmson di Biondetti. Non vi fu cronaca: sul percorso di
391 km, lo stesso dell’anno precedente, la lotta si svolse soltanto tra i due Alfisti, che
dimostrarono una schiacciante supremazia dall’inizio alla fine. L’unica suspense si
visse quasi alla fine dei trenta giri previsti: al 26° giro è ancora Varzi ad inseguire
Brilli Peri, al quale dal box stanno facendo da tempo segnali pressanti perché si fermi
a rifornirsi e che lo precede di un minuto e undici secondi. A due giri dalla fine Brilli
Peri decide di fermarsi: pochi secondi, e l’operazione è compiuta, ma Varzi arriva a
superarlo nella curva e fila velocissimo sul traguardo, precedendolo di 47 secondi. Il
terzo, Divo, arriva dopo dieci minuti.
Il VI Reale Premio Roma, corso il 25 maggio 1930 su una lunghezza di 260 km, vide
invece il trionfo di Alfieri Maserati, costruttore della macchina vincitrice. Si affermò
infatti Luigi Arcangeli, primo classificato in un’ora e 50’, ad una media di 134 km/h.
“La vittoria di Alfieri Maserati proprio a Roma…è la magnificazione della genialità
del lavoro italiano ma è altresì il premio maggiore che poteva spettare all’uomo
valoroso che da solo, con modestissimi mezzi, è riuscito ad imporre le sue costruzioni
ed a trionfare di rivali fortissimi e bene agguerriti”. E dire che il parterre degli
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avversari era di tutto rispetto: l’Alfa Romeo schierava uomini come Varzi, Nuvolari e
Campari; la Bugatti aveva mandato Chiron; la Talbot, Biondetti, solo per citarne
alcuni, per un totale di quindici partenti. L’Alfa Romeo non ebbe fortuna, ma le andò
riconosciuto il merito di aver iniziato ed imposto una gara dai ritmi serratissimi.
Nuvolari prende la testa al settimo giro, e fino al decimo; ritorna al comando al
tredicesimo, al quindicesimo si fa avanti Arcangeli, che tira un sospiro di sollievo
quando Nuvolari è costretto al ritiro. Ma non ha fatto a tempo a notarlo che incalza
Chiron, che addirittura arriva a sorpassarlo, ma sul rettilineo finale è costretto a
rallentare e a cedere la vittoria al pilota italiano. Fu comunque Chiron a stabilire il
record assoluto sul giro, al 18°, in 5’36, alla media di 139 km/h.
Alla sua settima edizione, corsa il 7 giugno 1931, la massima prova automobilistica
romana si trasferì sulla pista dell’autodromo del Littorio, lunga 4 km e costruita
all’interno dell’omonimo aeroporto (oggi dell’Urbe). Fu un grande progresso, perché
si disponeva finalmente di un circuito che se non era paragonabile a Monza o a
Brooklands era comunque di gran lunga superiore ad un percorso cittadino, con tutti
gli inconvenienti tante volte sperimentati. Cominciò male però il battesimo della
nuova pista, con la morte del meccanico di Varzi nel venerdì antecedente la gara.
Giovanni Tabacchi, detto Gianella, fu tradito da una delle caratteristiche più
spettacolari della pista: la curva sopraelevata in cemento. Vi si avventò sopra in
grande velocità, ma anziché riportare la vettura in piano seguendo l’andamento della
curva salì fino al sommo del muro per piombare di sotto, di fronte agli occhi atterriti
di due operai che per puro caso non furono investiti.
La manifestazione comprendeva quattro batterie distinte, una per ogni categoria (fino
a 1100 cc, fino a 2000 cc, fino a 3000, oltre i 3000 cc) che si sarebbe disputata su 25
giri di 4 km ciascuno; ed una finale a cui avrebbero partecipato soltanto i primi due
arrivati della classe fino a 1100 cc e i primi quattro delle altre. Nonostante anche in
questo caso fosse stato dato alla competizione il nome di “Criterium degli assi”,
furono proprio i migliori piloti ad essere messi fuori gioco per primi, principalmente i
due beniamini delle folle Varzi e Nuvolari. Si classificarono ai primi tre posti tre
Maserati, con Ernesto Maserati, Luigi Dreyfus e Clemente Biondetti, risultato tanto
più eclatante se si considera che si trattava di tre macchine di diverso tipo, la 16
cilindri, la 8 cilindri da 2500 cc e la 1700 cc. A Varzi rimase la soddisfazione del giro
più veloce, il 28°, in 1’28, alla media di 162 km/h.
Gli impianti tecnici del nuovo autodromo funzionarono perfettamente. Parve un
dettaglio il fatto che sul quadro dei tempo spesso apparissero “indicazioni
fantasiose”; che il servizio altoparlanti funzionasse a singhiozzo, e spesso in maniera
imprecisa; e che i programmi e comunicati diramati alla stampa riportassero dati
sbagliati. Si sorvolò anche su un grande cartellone pubblicitario piazzato di fronte alla
tribuna della stampa, in modo tale che veniva ostruita la vista della grande curva
rialzata, il punto più spettacolare della gara. Era stata una bellissima giornata per lo
sport italiano; le tribune erano state onorate dalla presenza del’ex Re dell’Afganistan
Aman Hulla, di Lando Ferretti, Capo Ufficio Stampa del Capo del Governo,
dell’Onorevole Farinacci, e di molte altre personalità illustri. E tanto bastò.
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L’anno successivo, il 1932, non era un anno qualsiasi: era l’anno del Decennale
(dell’Era Fascista). E per correre l’VIII Reale Premio Roma si scelse la fatidica data
della fondazione della città eterna, il 24 aprile. Stavolta doveva andare tutto bene:
avrebbe assistito il Re, oltre che Emiri, Eccellenze, Senatori, Sottosegretari,
Onorevoli. Sui quattro chilometri della pista del Littorio si sarebbero disputate tre
eliminatorie e un repechage su 25 giri, e una finale su 60 giri, pari a 240 km.
Alla finale si schierarono Fagioli, Dreyfus, Castelbarco e Savi su Maserati, Varzi,
Von Morghen, Czaikowski e Minozzi su Bugatti, Taruffi e Comotto su Alfa Romeo,
Rover su Itala. La lotta fu fin dalle prime battute della gara tra Fagioli e Varzi,
nonostante corressero su macchine molto diverse da loro per cilindrata e potenza:
Fagioli sulla Maserati da cinque litri, Varzi sulla Bugatti da 2 litri e mezzo, e per di
più con continui problemi alle ruote. Varzi però non demorde e combatte,
entusiasmando la folla e trasformando la corsa da un exploit solitario di Fagioli, in
testa per tutti e 60 i giri, in un duello avvincente. Al 20° giro si inserisce anche
Taruffi, arrivato al traguardo con soli 29 secondi di distacco dal primo (Varzi sarà
solo quarto, dopo von Morghen). La media di Fagioli, vincitore, è di 158,671 km/h,
nuovo record.
Fu questo l’ultimo Gran Premio di Roma prima della Guerra Mondiale.
ALBO D’ORO
Gara riservata a vetture della categoria Corsa
1925, su 424 km, Carlo Masetti, su Bugatti, alla media di 97,287 km/h
1926, su 320 km, Aymo Maggi, su Bugatti, alla media di 99, 213 km/h
1927, su 420 km, Tazio Nuvolari su Bugatti, alla media di 110, 852 km/h
1928, su 391 km, Louis Chiron su Bugatti, alla media di 126,419 km/h
1929, su 391 km, Achille Varzi su Alfa Romeo, alla media di 128,241 km/h
1930, su 260 km, Luigi Arcangeli su Maserati, alla media di 134, 273 km/h
1931, su 240 km, Ernesto maserati su Maserati, alla media di 152,321 km/h
1932, su 240 km, Luigi Fagioli su Maserati, alla media di 158,671 km/h
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
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