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LA COPPA ACERBO
Dal punto di vista delle competizioni automobilistiche, il 1934 fu un anno
davvero appassionante. Era entrata in vigore la nuova formula, non più
basata sulla cilindrata, come era stata fin dal lontano 1907, bensì sul peso, e
che perciò lasciava al costruttore libertà assoluta nella scelta della cilindrata e
delle altre caratteristiche del motore o del telaio, purché il peso massimo della
vettura completa, senza gomme, non superasse il limite di 750 kg. Questa
formula, suggerita dai tedeschi, apriva nuovi orizzonti alla vettura da corsa. Il
primo risultato del cambio di formula fu il ritorno alle competizione di
squadre composte da cinque diverse case costruttrici, ossia Alfa Romeo,
Maserati, Bugatti, Mercedes e Auto Union. Ma se l’adozione della nuova
formula, che doveva durare fino a tuta la stagione 1937, era tentare di porre
un freno all’incremento delle prestazioni, mai un obiettivo fu più disatteso. In
Germania, l’ascesa al potere di Hitler aveva trasformato le competizioni
automobilistiche in componente fondamentale della propaganda politica, e lo
Stato non lesinò consistenti aiuti economici a favore delle due più grandi case
automobilistiche tedesche, la Mercedes e l’Auto Union, nata nel 1932 dalla
fusione di Audi, DKW, Horch e Wanderer. Le due case tedesche, sotto la
direzione di Hans Nibel e di Ferdinand Porsche, si prepararono dunque a
mettere in campo nuovi e potenti modelli. Si parlava, per l’esordiente Auto
Union, di potenze dell’ordine di 500/600 cavalli, di un motore a sedici
cilindri collocato posteriormente, di nuove soluzioni derivate dall’aeronautica.
La Mercedes, pur restando ancorata ad uno schema più tradizionale, aveva
messo a punto un motore a 8 cilindri in linea da 3,3 litri (poi 4), potentissimo:
314 CV a 5800 giri/minuto, già diventati 430 l’anno dopo. La milanese Alfa
Romeo invece, che si avvaleva della organizzazione della Scuderia Ferrari, era
rimasta alla sua otto cilindri tipo B di 2654 cc di cilindrata, ma poteva contare
su un fortissimo trio formato da Varzi, Moll e Chiron; la Maserati si affidava
ancora alla monoposto 8CM, a otto cilindri, e al quarantunenne ma sempre
temibile Nuvolari; la Bugatti cercava di fare tesoro della sua bellissima 59 a 8
cilindri, 2,8, poi 3,3 litri, affidata a piloti sperimentati come Tonino Brivio.
L’inizio della stagione sembrò non evidenziare grandi squilibri. Nel Gran
Premio di Monaco, alla Mille Miglia, al Gran Premio di Tripoli e nella Targa
Florio le Alfa Romeo avevano dominato incontrastate con i piloti che
componevano la squadra ufficiale. La Maserati 3 litri, riveduta e modificata, si
difese con onore, mentre le Bugatti non parevano in grado di tenere la
concorrenza, sia pur alla guida di quel magnifico campione che era Nuvolari.
Fu però al Gran Premio dell’Avus che si paventò un cambiamento di questa
situazione. Debuttava la nuova Auto Union (per la verità avrebbe dovuto
esserci anche la nuova Mercedes, ma preferì rinviare l’esordio), attesa e
temuta. Invece vinse Moll, outsider tra gli outsider perché giovanissimo,
perché algerino, perché anch’egli al suo debutto sui campi di Formula 1, e
portò alla vittoria un’Alfa Romeo. Tutto normale, allora? Relativamente,
pensarono i progettisti e i direttori sportivi della casa italiana. La gara si era
interamente svolta sotto una pioggia a dirotto, che aveva impedito di
raggiungere grandi velocità, dunque l’affermazione dell’Alfa Romeo andava
ridimensionata; tanto più che Hans Stuck su Auto Union aveva segnato 206
km/h già al primo giro, distaccando nettamente tutti gli altri concorrenti.
Consolante comunque che nello stesso giorno, al IX Gran Premio della
Piccardia, un’altra vettura italiana, la Maserati, si fosse imposta su tutti, ma
una certa apprensione rimaneva.
La tensione si spostò sulla successiva gara internazionale, sul circuito
dell’Eifel, in Germania, a cui avrebbe partecipato anche la nuova Mercedes. E
fu proprio quest’ultima, alla guida di von Brauchitsch, a vincere, battendo la
connazionale Auto Union e l’Alfa Romeo di Chiron, e dando così concretezza
ai peggiori incubi delle avversarie. L’Alfa si prese tre facili rivincite, andando a
vincere in tre gare (il gran Premio di Montreux con il conte Trossi, il gran
Premio di Barcellona con Varzi, la 24 ore di Le Mans con la coppia EtancelinChinetti) a cui le case tedesche non parteciparono. Al Gran Premio di Francia
invece si erano iscritte, compatte, sia Alfa Romeo e Maserati sia Mercedes e
Auto Union e persino la Bugatti, con la nuova 59 da 3,3 litri. Una vittoria
strepitosa dell’Alfa, che piazzò i suoi Chiron, Varzi e Moll ai primi tre posti,
sembrò calmare per un attimo le apprensioni della squadra italiana. Ma
l’ansia ricominciò subito, causa l’imprevisto esito del Gran Premio di
Germania, disputatosi il 15 luglio sul circuito del Nurburg Ring, e che si
concluse con il trionfo di Hans Stuck su Auto Union dopo un’accanita
battaglia con Alfa Romeo e Mercedes. Le corse successive, disputate in
assenza delle case tedesche, e vinte dall’Alfa (con Varzi alla Coppa Ciano) e da
Maserati (con Etancelin, al Gran Premio di Dieppe) non parvero granché
significative sul piano del rispettivo valore. Vi era necessità di una gara che
consacrasse definitivamente l’una o l’altra; e questa gara poteva essere la
Coppa Acerbo, istituita per la prima volta dieci anni prima, nel 1924.
Al momento della prima edizione della gara non esisteva ancora la quarta
provincia abruzzese. Esistevano i due comuni di Pescara e di Castellamare
Adriatico, separati non solo dal fiume Pescara ma anche da profonde rivalità
politiche. Mentre Pescara, a destra del fiume omonimo, e ricadente nella
provincia di Chieti, contava circa diecimila abitanti e tendeva ad un’economia
commerciale, con qualche complesso industriale, Castellamare, a destra del
corso d’acqua, in provincia di Teramo, contava circa 17.000 mila abitanti ed
era un centro prevalentemente agricolo. L’idea di dar vita ad una gara era
venuta all’onorevole Giacomo Acerbo, vice Presidente della Camera, che già
aveva patrocinato una gara motociclistica del 1923 corsa sui 264 chilometri
della Roma-Rieti-Cittaducale-Aquila-Pescara-Castellamare Adriatico. Quando
si arrivò a progettare invece un circuito per corse automobilistiche,
ovviamente i pescaresi caldeggiarono un certo percorso, e i “castellamaresi”
uno tutto diverso. Per evitare polemiche, e con l’implicito desiderio di arrivare
prima o poi ad una unione dei due centri (tra l’altro caldeggiata anche dal
vate e poeta Gabriele d’Annunzio, che voleva una città unica battezzata
Aterno), Acerbo nominò una commissione per il tracciato del circuito,
composta dal senatore Silvio Crespi, dall’ingegnere Nicola Romeo, da Arturo
Mercanti, ideatore dell’autodromo di Monza, da Giovanni Spinozzi presidente
dell’Automobile Club di Abruzzo, da Vincenzo Lancia, Pietro Bordino e il
pilota abruzzese marchese Diego de Sterlich Aliprandi. Questi scelsero un
tracciato che si sviluppava per 25 chilometri tutto a sinistra del fiume, nel
territorio di Castellamare. Non per altro, Teramo innescò ad un solo mese
dalla data della gara una violenta polemica, legata al gonfiarsi delle spese
previste per il circuito, dalle preventivate 850 mila lire a presunti otto milioni.
Questo non rallentò l’organizzazione della gara, dedicata al fratello
dell’onorevole Acerbo, capitano Tito, caduto in combattimento a Croce di
Piave durante la prima guerra mondiale e medaglia d’oro al valore militare.
La gara, una corsa internazionale di velocità di 1° categoria, si caricò fin da
subito di significati tecnici ed agonistici di imprevedibile importanza, tanto da
far rinviare altre gare titolate, come quella corsa sul circuito del Mugello.
L’Alfa Romeo infatti aveva deciso di parteciparvi, portando le fiammanti P2
che avevano debuttato poche settimane prima a Cremona, alla guida di
Antonio Ascari; e vi avrebbero partecipato anche la Mercedes, la Bugatti, la
Spa. Vinse, del tutto inaspettatamente, Enzo Ferrari, che correva su una Alfa
Romeo del vecchio tipo, una RL Targa Florio, e che seppe ben approfittare di
alcune défaillances dei suoi compagni di squadra. Tempo tre anni scarsi e
avvenne il miracolo: il 18 gennaio 1927 nacque la quarta provincia abruzzese,
il capoluogo Pescara, che inglobò il territorio di Castellamare Adriatico, e lo
stesso giorno, quasi a sottolineare il ruolo che ebbe l’automobilismo sportivo
in questa unione, nacque l’Automobile Club di Pescara.
Le successive otto edizioni della corsa si svolsero tra il crescente interesse del
mondo automobilistico internazionale e del pubblico. Per sette volte si impose
l’Alfa Romeo, una volta la Bugatti, una volta la Maserati. I nomi dei piloti
vincitori appartenevano al gotha dell’agonismo mondiale: Campari si impose
tre volte, nel 1927, nel 1928, nel 1931; Nuvolari nel 1932, Varzi nel 1930,
Fagioli nel 1933, con velocità via via più alte (dalla media di 104,524 km/h di
Ferrari della prima edizione ai 141,856 km/h di Fagioli dell’ultima). Proprio la
velocità sembrò diventare un problema, soprattutto all’indomani dei tragici
avvenimenti che causarono la morte di Campari, Borzacchini e Czaykowski
all’autodromo di Monza nel 1933 (vedi auto d’epoca del marzo 2003).
“Dell’argomento – scrive Auto Italiana nel maggio 1934 – si vanno
occupando in questi ultimi tempi tutti gli Automobile Club del Mondo. In
Inghilterra e perfino nella lontana America finora ligia ai più vertiginosi
caroselli si pensa a provvedere certe piste, autodromi o circuiti stradali di
ostacoli od accidentalità artificiali atti a rompere con periodica frequenza il
velocissimo passo dei concorrenti”. Gli organizzatori del circuito di Pescara,
timorosi che una eventuale tragedia potesse gettare discredito sulla gara, si
affrettarono a interrompere il rettilineo con delle deviazioni su strade laterali.
Il circuito infatti, molto bello, comprendeva una parte piana e in rettifilo,
quindi una parte collinare con salite, discese e frequentissime curve. Destava
preoccupazione non solamente la lunghezza dei due tratti rettilinei, ma
soprattutto l’altissima velocità raggiungibile nella zona del traguardo situata
alla fine del secondo rettilineo. Già a dicembre 1933 il RACI di Pescara decise
di inserire in prossimità della zona a rischio una serie di strettissime curve ad
angolo in modo da costringere a rallentare. Naturalmente tale decisione
suscitò un vespaio di polemiche. Come, si disse, si pretende di garantire una
maggiore sicurezza e si interrompe un rettifilo perfetto per inserirvi delle
curve? Ebbene sì, fu la risposta, perché nessun pericolo, per un buon pilota,
costituisce la necessità di affrontare delle curve ad angolo, mentre una vettura
a 300 km/h può sempre diventare, per cause imperscrutabili, ingovernabile.
Il RACI di Pescara tenne duro e la quadruplice curva di deviazione sorse a
circa 200 metri dal traguardo. Su questo tracciato si sarebbe svolta non solo
la X Coppa Acerbo ma anche la 24 Ore per la Targa Abruzzo, a cui si iscrissero
ben 50 vetture. Alla Coppa si erano comunque iscritte tutte le marche del
momento: Alfa Romeo, Bugatti, Maserati, Auto Union, Mercedes. Una sorta
di “occupazione tedesca” mutò radicalmente, nei giorni precedenti la gara,
l’atmosfera pescarese. I tedeschi di entrambe le squadre erano organizzati,
solidi, preparati, meticolosi, Alfred Neubauer, direttore sportivo Mercedes, si
imponeva anche solo con la sua stazza; ogni gesto, che fosse di tecnico, pilota,
collaudatore, era preciso e rispondente ad uno schema collaudato. Le Auto
Union in particolare destavano sensazione per la collocazione posteriore del
motore; il fatto stesso che per entrarvi occorresse sfilare lo sterzo e quindi
reinserirlo a pilota sistemato, operazione fatta con pochi gesti attenti,
incuteva un leggero senso di straniamento. Tutto sembrava, e forse lo era,
perfetto nei box delle squadre tedesche: dal colore immacolato della tuta di
Caracciola alla tinta argentea delle carrozzerie. Per le Auto Union vi erano
Stuck e Sebastian; per le Mercedes W25A Caracciola, Fagioli ed Henne. La
Scuderia Ferrari opponeva Varzi, Chiron, Moll e Ghersi con Alfa Romeo P3
aggiornate, mentre Penn-Hughes disponeva di una Monza 2600; la Maserati
schierava Nuvolari sulla 8CM, oltre a Lord Howe, Straight e Zehender; la
Bugatti concorreva con una sola vettura, guidata da Brivio. La formula era
quella internazionale, peso libero, senza limitazioni di cilindrata; il percorso
era pari a 20 giri del circuito, ossia 516 chilometri, con una previsione di
quattro ore di gara.
Alla linea di partenza si allinearono 17 vetture. Stuck, Varzi e Caracciola in
prima fila, Henne, Straight e Nuvolari in seconda, Corsi, Penn Hughes e
Zehender in terza, Howe, Brivio e Moll in quarta, Fagioli, Chiron e Ghersi in
quinta, Hamilton (vincitore della corsa riservata alle cilindrate minori ) e
Sebastian in ultima.
La gara si iniziò con un ritmo impressionante. In testa balzarono i tre in pole
position, Caracciola, Stuck e Varzi. Cedette Stuck per primo, per un guasto.
Rimasero gli altri due, ai quali si erano messi a dare una caccia spietata Moll,
che aveva anche dovuto fermarsi per cambiare una candela, e Fagioli, che era
partito con maggiore prudenza degli altri, visto la scivolosità del fondo
stradale (prima della gara era piovuto e i più previdenti avevano cambiato le
gomme all’ultimo minuto). Varzi, già fermo al quarto giro per cambiare
l’intero treno di gomme, sembrò doversi ritirare per la rottura del cambio, ma
nemmeno un minuto dopo era di nuovo in gara, sulla macchina cedutagli da
Ghersi. Caracciola e Fagioli mantennero le prime posizioni, finché
quest’ultimo dovette fermarsi per cambiare le gomme, e il vantaggio di
Caracciola aumentò, fino a raggiungere i cinque minuti, dopo appena otto
giri. La foga però lo tradì, tant’è vero che al nono giro volò fuori strada,
danneggiando pesantemente la vettura. In testa andò allora Fagioli, l’idolo di
casa (vedi auto d’epoca dell’aprile 2002), inseguito da Varzi e da Moll. Il nono
giro fece vivere al pubblico e agli organizzatori un altro momento difficile.
Mentre Chiron era fermo ai box per il cambio di una candela, un meccanico si
avvicinò alla vettura per fare rifornimento, nonostante il motore acceso. Fu
un attimo: la benzina traboccò e fu una sola vampata di fuoco. Chiron, che era
rimasto in macchina, ne balzò fuori con le fiamme addosso. Un milite
pescarese, di cui le cronache ci hanno tramandato il nome (Carlo Simoncini)
intervenne prontamente e riuscì a evitare il peggio. Ma intanto l’incendio si
era propagato al box perché il meccanico aveva lasciato cadere il tubo dallo
spavento e la benzina continuava a fluire. A nulla valsero gli estintori, occorse
ricorrere alla sabbia. Dopo tre interminabili minuti era tutto finito, ma il
batticuore era stato grande. Per fortuna nessuna macchina era nel frattempo
passata, e dei corridori in gara, probabilmente, nessuno si accorse di nulla.
Intanto in prima posizione si alternavano Fagioli, Varzi e Moll, a seconda
delle fermate per i rifornimenti dell’uno o dell’altro. Chi però cresceva
progressivamente in pericolosità era il pilota algerino, che riusciva a stabilire
dei tempi assolutamente spettacolosi, culminanti in un 10’51” (media di
149,672 km/h, nuovo record). Il giro successivo, il 16°, Moll si impegnò a far
persino di meglio, ma all’ultimo passaggio dal traguardo, all’uscita dalla curva
di deviazione, la sua macchina sbandò e compì una piroetta. Il motore si
spense, Moll scese tranquillo dalla macchina come se stesse andando a
comprare il giornale, vi risalì, riaccese e ripartì. Il tempo segnato per quel giro
fu di appena 11’03”, giravolta compresa.
Nonostante questa prodezza, il vantaggio di Fagioli nel frattempo era
aumentato. Rimanevano soltanto più tre giri, e Moll si impegnò con tutto se
stesso per annullare quei venti secondi di distacco dal pilota italiano. Al 17°
giro, alla fine della parte mista e all’inizio del primo rettifilo, che era la base
del chilometro lanciato, i secondi tra Fagioli e Moll erano diventati appena
una decina. Poteva essere, stava per essere la grande giornata del giovane
pilota algerino. Invece, scrive Auto Italiana del 30 agosto 1934, “fu quella
della sua tragica fine. In rettifilo la macchina si imbarcò, di traverso compì
circa un centinaio di metri poggiando verso sinistra e divellendo diversi
alberelli sul bordo del fosso laterale; vi entrò lasciandovi la parte posteriore;
ne uscì; vi rientrò per cozzare frontalmente contro la spalletta erbosa di un
ponticello per lo scolo delle acque; saltò ancora sulla strada per tre o quattro
volte rimbalzando; passò oltre i fili della linea telefonica e s’andò a fermare,
con un tonfo fragoroso, contro una casa sulla destra della strada ad oltre
300 metri dall’inizio della fatale imbarcata. Il pilota era stato proiettato
fuori dalla macchina nell’urto contro la spalletta del ponte ed era rimasto
ucciso sul colpo. Passato alla base d’entrata del chilometro lanciato alle ore
2’55’40”, dopo due secondi era tutto finito. Povero grande Moll!”. In pratica
la vettura, che nell’istante in cui affiancava quella del doppiato Henne andava
a più di 260 km/h, era letteralmente impazzita. Il caso volle che fosse il 17°
giro, la vettura fosse appena uscita dal 17° chilometro, in una gara che aveva
visto schierarsi alla partenza 17 monoposto.
La corsa non ebbe più storia: Fagioli, senza nessuno che lo minacciasse, poté
permettersi addirittura di rallentare pur terminando primo, alla media di
129,568 km/h. Varzi ricedette il volante a Ghersi, perché anche la seconda
vettura presentava dei problemi; Nuvolari coronò una gara stupenda con un
ottimo secondo posto, nonostante una fermata di quattro minuti per la
rottura del tubo della benzina, ma arrivò al termine terreo in volto, con un
gesto di rifiuto degli applausi che il pubblico, già immemore, voleva
tributargli. Sicuramente le Mercedes si meritarono la vittoria, perché le più
veloci ed affidabili, e la tabella delle medie registrate sul tratto del chilometro
lanciato lo confermò. Delle tre Mercedes, quelle di Caracciola e Henne
toccarono i 290 km/h, la terza, di Fagioli, i 280. Nessun’altra fu capace di
altrettanto: non certamente le Auto Union, le cui prestazioni delusero,
soprattutto per quanto riguardò la stabilità in curva; non le Alfa Romeo che
arrivarono, con Chiron, a sfiorare i 270 km/h; tanto meno le Maserati e la
Bugatti. Le macchine italiane potevano contendere il primato alle velocissime
tedesche soltanto sui tratti misti, dove la minor velocità e la minor potenza
poteva essere compensata dalla maggiore maneggevolezza, stabilità e
affidabilità; non certo sui tratti veloci, dove le tedesche erano letteralmente
imbattibili.
Con la nuova formula infatti il problema posto ai progettisti non era quello di
ricavare dai motori il massimo numero di cavalli per litro di cilindrata, ma
quello di ottenere la massima potenza per chilogrammo di peso disponibile.
Ogni sforzo doveva dunque orientarsi ad alleggerire al massimo i telai per
poter disporre nei motori del maggior peso e, di conseguenza, della maggiore
cilindrata possibile. Le case tedesche riuscirono in pieno a centrare l’obiettivo,
a schierare modelli di maggiore potenza e di maggiore cilindrata rispetto alle
vetture italiane, che non potevano evidentemente annullarsi né con l’audacia
né con la bravura dei piloti. La prevalenza delle monoposto tedesche, da
allora in poi, fu indiscutibile ed evidente, ed ebbe inizio quello che, a
posteriori, fu chiamato il ciclo della supremazia germanica.
Tutto questo disse, e non è poco, la X Coppa Acerbo, su cui gravò però la
pesante ombra della morte del pilota algerino. Nonostante tutta la cura nel
preparare il circuito, nel renderlo il più possibile sicuro, l’incidente mortale
era comunque avvenuto. Furono fatti parecchi sopralluoghi, ma nulla emerse
che potesse spiegare l’improvvisa imbarcata della vettura in pieno rettifilo,
nonostante la testimonianza di un cronometrista che aveva assistito alla
scena. “Su questo incidente rimarrà sempre incertezza, come in quasi tutti
gli incidenti del genere – conclude Auto Italiana del 30 agosto – Se una
morale è lecita questa riguarda gli organizzatori: è dimostrato che a 250
all’ora una macchina per ragioni impossibili da spiegare può deviare dalla
sua traiettoria anche nel più perfetto dei rettifili. E’ soggetta a troppi fattori
estranei e la sua stabilità è troppo precaria, comunque… E’ stato un destino
crudele quello che ha voluto il sacrificio di Moll, campione meraviglioso,
avviato ad una carriera forse senza uguali, tanto abile quanto generoso,
alfiere dell’industria italiana in una giornata di grandi ardimenti. Gli
italiani non dimenticheranno e bisogna inchinarsi alla memoria del piccolo
Guy Moll: è caduto con lui un grandissimo e generosissimo campione”.
CLASSIFICA
Classe oltre i 1100 cc (20 giri del circuito pari a km 516)
1°
2°
3°
4°
Fagioli Luigi
Nuvolari Tazio
Brivio Antonio
Ghersi Pietro
Mercedes
Maserati
Bugatti
Alfa Romeo
3.58’56”4/5
4.3’35”
4.5’7”
4.5’27”
Media di 129,568 km/h
Media di 127,102 km/h
Media di 126,300 km/h
Sebastian su Auto Union e Henne su Mercedes fermati al 19° giro
Ritirati: Straight al 5°, Varzi al 6° (poi rientrato), Zehender al 7°, Stuck al 7°, Lord Howe all’8°, Corsi all’8°,
Hamilton al 9°, Caracciola al 9°, Chiron al 9°, Penn Hughes al 13°, Moll al 17°.
Giro più veloce: il 15°, di Moll in 10’51”, alla media di 149,672
Classe fino a 1100 cc (percorrevano 4 giri del circuito pari a km 103,800)
1°
2°
3°
4°
5°
6°
7°
Hamilton
Cecchini
Seaman
Furmanik
Felizzola
Beccaria
Matrullo
MG
MG
MG
Maserati
Maserati
Fiat
Maserati
52’24”1/5
53’22”3/5
54’34”3/5
55’06”1/5
56’4”2/5
58’33”2/5
1.00’56”2/5
Media di 118,160 km/h
Media di 118,160 km/h
ALBO D’ORO DELLA COPPA ACERBO (1924-1939)
1924
1925
1926
1927
1928
1930
1931
1932
Ferrari Enzo
Ginaldi Guido
Spinozzi Luigi
Campari Giuseppe
Campari Giuseppe
Varzi Achille
Campari Giuseppe
Nuvolari Tazio
Alfa Romeo TF
Alfa Romeo TF
Bugatti 35
Alfa Romeo P2
Alfa Romeo P2
Maserati 8C 2500
Alfa Romeo Tipo A
Alfa Romeo P3
Media di 104,524 km/h
Media di 93,270 km/h
Media di 101,196 km/h
Media di 104,219 km/h
Media di 109,844 km/h
Media di 121,297 km/h
Media di 131,450 km/h
Media di 139,829 km/h
1933
1934
1935
1936
1937
1938
1939
Fagioli Luigi
Fagioli Luigi
Varzi Achille
Rosemeyer Bernd
Rosemeyer Bernd
Caracciola Rudolf
Biondetti Clemente
Alfa Romeo P3
Mercedes W25
Auto Union tipo B
Auto Union Tipo C
Auto Union Tipo C
Mercedes W154
Alfa Romeo 158
Media di 141,856 km/h
Media di 129,568 km/h
Media di 139,402 km/h
Media di 139,174 km/h
Media di 141,009 km/h
Media di 134,783 km/h
Media di 134,081 km/h
BIBLIOGRAFIA
Pescara Motori 86: Coppa Acerbo Circuito di Pescara 18-21 settembre 1986,
di Francesco Santuccione
“Piloti che gente”, di Enzo Ferrari, Conti Editore, 1985
Auto Italiana 1924 – 1934
“Mercedes Benz Grand Prix Racing 1934-35”, di George C.Monkhouse, 1983
Enciclopedia dello Sport della Enciclopedia Italiana Treccani – Motori - 2003
“The Grand Prix Car”, by L. Pomeroy, 1954
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
2005