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LA COPPA ACERBO Dal punto di vista delle competizioni automobilistiche, il 1934 fu un anno davvero appassionante. Era entrata in vigore la nuova formula, non più basata sulla cilindrata, come era stata fin dal lontano 1907, bensì sul peso, e che perciò lasciava al costruttore libertà assoluta nella scelta della cilindrata e delle altre caratteristiche del motore o del telaio, purché il peso massimo della vettura completa, senza gomme, non superasse il limite di 750 kg. Questa formula, suggerita dai tedeschi, apriva nuovi orizzonti alla vettura da corsa. Il primo risultato del cambio di formula fu il ritorno alle competizione di squadre composte da cinque diverse case costruttrici, ossia Alfa Romeo, Maserati, Bugatti, Mercedes e Auto Union. Ma se l’adozione della nuova formula, che doveva durare fino a tuta la stagione 1937, era tentare di porre un freno all’incremento delle prestazioni, mai un obiettivo fu più disatteso. In Germania, l’ascesa al potere di Hitler aveva trasformato le competizioni automobilistiche in componente fondamentale della propaganda politica, e lo Stato non lesinò consistenti aiuti economici a favore delle due più grandi case automobilistiche tedesche, la Mercedes e l’Auto Union, nata nel 1932 dalla fusione di Audi, DKW, Horch e Wanderer. Le due case tedesche, sotto la direzione di Hans Nibel e di Ferdinand Porsche, si prepararono dunque a mettere in campo nuovi e potenti modelli. Si parlava, per l’esordiente Auto Union, di potenze dell’ordine di 500/600 cavalli, di un motore a sedici cilindri collocato posteriormente, di nuove soluzioni derivate dall’aeronautica. La Mercedes, pur restando ancorata ad uno schema più tradizionale, aveva messo a punto un motore a 8 cilindri in linea da 3,3 litri (poi 4), potentissimo: 314 CV a 5800 giri/minuto, già diventati 430 l’anno dopo. La milanese Alfa Romeo invece, che si avvaleva della organizzazione della Scuderia Ferrari, era rimasta alla sua otto cilindri tipo B di 2654 cc di cilindrata, ma poteva contare su un fortissimo trio formato da Varzi, Moll e Chiron; la Maserati si affidava ancora alla monoposto 8CM, a otto cilindri, e al quarantunenne ma sempre temibile Nuvolari; la Bugatti cercava di fare tesoro della sua bellissima 59 a 8 cilindri, 2,8, poi 3,3 litri, affidata a piloti sperimentati come Tonino Brivio. L’inizio della stagione sembrò non evidenziare grandi squilibri. Nel Gran Premio di Monaco, alla Mille Miglia, al Gran Premio di Tripoli e nella Targa Florio le Alfa Romeo avevano dominato incontrastate con i piloti che componevano la squadra ufficiale. La Maserati 3 litri, riveduta e modificata, si difese con onore, mentre le Bugatti non parevano in grado di tenere la concorrenza, sia pur alla guida di quel magnifico campione che era Nuvolari. Fu però al Gran Premio dell’Avus che si paventò un cambiamento di questa situazione. Debuttava la nuova Auto Union (per la verità avrebbe dovuto esserci anche la nuova Mercedes, ma preferì rinviare l’esordio), attesa e temuta. Invece vinse Moll, outsider tra gli outsider perché giovanissimo, perché algerino, perché anch’egli al suo debutto sui campi di Formula 1, e portò alla vittoria un’Alfa Romeo. Tutto normale, allora? Relativamente, pensarono i progettisti e i direttori sportivi della casa italiana. La gara si era interamente svolta sotto una pioggia a dirotto, che aveva impedito di raggiungere grandi velocità, dunque l’affermazione dell’Alfa Romeo andava ridimensionata; tanto più che Hans Stuck su Auto Union aveva segnato 206 km/h già al primo giro, distaccando nettamente tutti gli altri concorrenti. Consolante comunque che nello stesso giorno, al IX Gran Premio della Piccardia, un’altra vettura italiana, la Maserati, si fosse imposta su tutti, ma una certa apprensione rimaneva. La tensione si spostò sulla successiva gara internazionale, sul circuito dell’Eifel, in Germania, a cui avrebbe partecipato anche la nuova Mercedes. E fu proprio quest’ultima, alla guida di von Brauchitsch, a vincere, battendo la connazionale Auto Union e l’Alfa Romeo di Chiron, e dando così concretezza ai peggiori incubi delle avversarie. L’Alfa si prese tre facili rivincite, andando a vincere in tre gare (il gran Premio di Montreux con il conte Trossi, il gran Premio di Barcellona con Varzi, la 24 ore di Le Mans con la coppia EtancelinChinetti) a cui le case tedesche non parteciparono. Al Gran Premio di Francia invece si erano iscritte, compatte, sia Alfa Romeo e Maserati sia Mercedes e Auto Union e persino la Bugatti, con la nuova 59 da 3,3 litri. Una vittoria strepitosa dell’Alfa, che piazzò i suoi Chiron, Varzi e Moll ai primi tre posti, sembrò calmare per un attimo le apprensioni della squadra italiana. Ma l’ansia ricominciò subito, causa l’imprevisto esito del Gran Premio di Germania, disputatosi il 15 luglio sul circuito del Nurburg Ring, e che si concluse con il trionfo di Hans Stuck su Auto Union dopo un’accanita battaglia con Alfa Romeo e Mercedes. Le corse successive, disputate in assenza delle case tedesche, e vinte dall’Alfa (con Varzi alla Coppa Ciano) e da Maserati (con Etancelin, al Gran Premio di Dieppe) non parvero granché significative sul piano del rispettivo valore. Vi era necessità di una gara che consacrasse definitivamente l’una o l’altra; e questa gara poteva essere la Coppa Acerbo, istituita per la prima volta dieci anni prima, nel 1924. Al momento della prima edizione della gara non esisteva ancora la quarta provincia abruzzese. Esistevano i due comuni di Pescara e di Castellamare Adriatico, separati non solo dal fiume Pescara ma anche da profonde rivalità politiche. Mentre Pescara, a destra del fiume omonimo, e ricadente nella provincia di Chieti, contava circa diecimila abitanti e tendeva ad un’economia commerciale, con qualche complesso industriale, Castellamare, a destra del corso d’acqua, in provincia di Teramo, contava circa 17.000 mila abitanti ed era un centro prevalentemente agricolo. L’idea di dar vita ad una gara era venuta all’onorevole Giacomo Acerbo, vice Presidente della Camera, che già aveva patrocinato una gara motociclistica del 1923 corsa sui 264 chilometri della Roma-Rieti-Cittaducale-Aquila-Pescara-Castellamare Adriatico. Quando si arrivò a progettare invece un circuito per corse automobilistiche, ovviamente i pescaresi caldeggiarono un certo percorso, e i “castellamaresi” uno tutto diverso. Per evitare polemiche, e con l’implicito desiderio di arrivare prima o poi ad una unione dei due centri (tra l’altro caldeggiata anche dal vate e poeta Gabriele d’Annunzio, che voleva una città unica battezzata Aterno), Acerbo nominò una commissione per il tracciato del circuito, composta dal senatore Silvio Crespi, dall’ingegnere Nicola Romeo, da Arturo Mercanti, ideatore dell’autodromo di Monza, da Giovanni Spinozzi presidente dell’Automobile Club di Abruzzo, da Vincenzo Lancia, Pietro Bordino e il pilota abruzzese marchese Diego de Sterlich Aliprandi. Questi scelsero un tracciato che si sviluppava per 25 chilometri tutto a sinistra del fiume, nel territorio di Castellamare. Non per altro, Teramo innescò ad un solo mese dalla data della gara una violenta polemica, legata al gonfiarsi delle spese previste per il circuito, dalle preventivate 850 mila lire a presunti otto milioni. Questo non rallentò l’organizzazione della gara, dedicata al fratello dell’onorevole Acerbo, capitano Tito, caduto in combattimento a Croce di Piave durante la prima guerra mondiale e medaglia d’oro al valore militare. La gara, una corsa internazionale di velocità di 1° categoria, si caricò fin da subito di significati tecnici ed agonistici di imprevedibile importanza, tanto da far rinviare altre gare titolate, come quella corsa sul circuito del Mugello. L’Alfa Romeo infatti aveva deciso di parteciparvi, portando le fiammanti P2 che avevano debuttato poche settimane prima a Cremona, alla guida di Antonio Ascari; e vi avrebbero partecipato anche la Mercedes, la Bugatti, la Spa. Vinse, del tutto inaspettatamente, Enzo Ferrari, che correva su una Alfa Romeo del vecchio tipo, una RL Targa Florio, e che seppe ben approfittare di alcune défaillances dei suoi compagni di squadra. Tempo tre anni scarsi e avvenne il miracolo: il 18 gennaio 1927 nacque la quarta provincia abruzzese, il capoluogo Pescara, che inglobò il territorio di Castellamare Adriatico, e lo stesso giorno, quasi a sottolineare il ruolo che ebbe l’automobilismo sportivo in questa unione, nacque l’Automobile Club di Pescara. Le successive otto edizioni della corsa si svolsero tra il crescente interesse del mondo automobilistico internazionale e del pubblico. Per sette volte si impose l’Alfa Romeo, una volta la Bugatti, una volta la Maserati. I nomi dei piloti vincitori appartenevano al gotha dell’agonismo mondiale: Campari si impose tre volte, nel 1927, nel 1928, nel 1931; Nuvolari nel 1932, Varzi nel 1930, Fagioli nel 1933, con velocità via via più alte (dalla media di 104,524 km/h di Ferrari della prima edizione ai 141,856 km/h di Fagioli dell’ultima). Proprio la velocità sembrò diventare un problema, soprattutto all’indomani dei tragici avvenimenti che causarono la morte di Campari, Borzacchini e Czaykowski all’autodromo di Monza nel 1933 (vedi auto d’epoca del marzo 2003). “Dell’argomento – scrive Auto Italiana nel maggio 1934 – si vanno occupando in questi ultimi tempi tutti gli Automobile Club del Mondo. In Inghilterra e perfino nella lontana America finora ligia ai più vertiginosi caroselli si pensa a provvedere certe piste, autodromi o circuiti stradali di ostacoli od accidentalità artificiali atti a rompere con periodica frequenza il velocissimo passo dei concorrenti”. Gli organizzatori del circuito di Pescara, timorosi che una eventuale tragedia potesse gettare discredito sulla gara, si affrettarono a interrompere il rettilineo con delle deviazioni su strade laterali. Il circuito infatti, molto bello, comprendeva una parte piana e in rettifilo, quindi una parte collinare con salite, discese e frequentissime curve. Destava preoccupazione non solamente la lunghezza dei due tratti rettilinei, ma soprattutto l’altissima velocità raggiungibile nella zona del traguardo situata alla fine del secondo rettilineo. Già a dicembre 1933 il RACI di Pescara decise di inserire in prossimità della zona a rischio una serie di strettissime curve ad angolo in modo da costringere a rallentare. Naturalmente tale decisione suscitò un vespaio di polemiche. Come, si disse, si pretende di garantire una maggiore sicurezza e si interrompe un rettifilo perfetto per inserirvi delle curve? Ebbene sì, fu la risposta, perché nessun pericolo, per un buon pilota, costituisce la necessità di affrontare delle curve ad angolo, mentre una vettura a 300 km/h può sempre diventare, per cause imperscrutabili, ingovernabile. Il RACI di Pescara tenne duro e la quadruplice curva di deviazione sorse a circa 200 metri dal traguardo. Su questo tracciato si sarebbe svolta non solo la X Coppa Acerbo ma anche la 24 Ore per la Targa Abruzzo, a cui si iscrissero ben 50 vetture. Alla Coppa si erano comunque iscritte tutte le marche del momento: Alfa Romeo, Bugatti, Maserati, Auto Union, Mercedes. Una sorta di “occupazione tedesca” mutò radicalmente, nei giorni precedenti la gara, l’atmosfera pescarese. I tedeschi di entrambe le squadre erano organizzati, solidi, preparati, meticolosi, Alfred Neubauer, direttore sportivo Mercedes, si imponeva anche solo con la sua stazza; ogni gesto, che fosse di tecnico, pilota, collaudatore, era preciso e rispondente ad uno schema collaudato. Le Auto Union in particolare destavano sensazione per la collocazione posteriore del motore; il fatto stesso che per entrarvi occorresse sfilare lo sterzo e quindi reinserirlo a pilota sistemato, operazione fatta con pochi gesti attenti, incuteva un leggero senso di straniamento. Tutto sembrava, e forse lo era, perfetto nei box delle squadre tedesche: dal colore immacolato della tuta di Caracciola alla tinta argentea delle carrozzerie. Per le Auto Union vi erano Stuck e Sebastian; per le Mercedes W25A Caracciola, Fagioli ed Henne. La Scuderia Ferrari opponeva Varzi, Chiron, Moll e Ghersi con Alfa Romeo P3 aggiornate, mentre Penn-Hughes disponeva di una Monza 2600; la Maserati schierava Nuvolari sulla 8CM, oltre a Lord Howe, Straight e Zehender; la Bugatti concorreva con una sola vettura, guidata da Brivio. La formula era quella internazionale, peso libero, senza limitazioni di cilindrata; il percorso era pari a 20 giri del circuito, ossia 516 chilometri, con una previsione di quattro ore di gara. Alla linea di partenza si allinearono 17 vetture. Stuck, Varzi e Caracciola in prima fila, Henne, Straight e Nuvolari in seconda, Corsi, Penn Hughes e Zehender in terza, Howe, Brivio e Moll in quarta, Fagioli, Chiron e Ghersi in quinta, Hamilton (vincitore della corsa riservata alle cilindrate minori ) e Sebastian in ultima. La gara si iniziò con un ritmo impressionante. In testa balzarono i tre in pole position, Caracciola, Stuck e Varzi. Cedette Stuck per primo, per un guasto. Rimasero gli altri due, ai quali si erano messi a dare una caccia spietata Moll, che aveva anche dovuto fermarsi per cambiare una candela, e Fagioli, che era partito con maggiore prudenza degli altri, visto la scivolosità del fondo stradale (prima della gara era piovuto e i più previdenti avevano cambiato le gomme all’ultimo minuto). Varzi, già fermo al quarto giro per cambiare l’intero treno di gomme, sembrò doversi ritirare per la rottura del cambio, ma nemmeno un minuto dopo era di nuovo in gara, sulla macchina cedutagli da Ghersi. Caracciola e Fagioli mantennero le prime posizioni, finché quest’ultimo dovette fermarsi per cambiare le gomme, e il vantaggio di Caracciola aumentò, fino a raggiungere i cinque minuti, dopo appena otto giri. La foga però lo tradì, tant’è vero che al nono giro volò fuori strada, danneggiando pesantemente la vettura. In testa andò allora Fagioli, l’idolo di casa (vedi auto d’epoca dell’aprile 2002), inseguito da Varzi e da Moll. Il nono giro fece vivere al pubblico e agli organizzatori un altro momento difficile. Mentre Chiron era fermo ai box per il cambio di una candela, un meccanico si avvicinò alla vettura per fare rifornimento, nonostante il motore acceso. Fu un attimo: la benzina traboccò e fu una sola vampata di fuoco. Chiron, che era rimasto in macchina, ne balzò fuori con le fiamme addosso. Un milite pescarese, di cui le cronache ci hanno tramandato il nome (Carlo Simoncini) intervenne prontamente e riuscì a evitare il peggio. Ma intanto l’incendio si era propagato al box perché il meccanico aveva lasciato cadere il tubo dallo spavento e la benzina continuava a fluire. A nulla valsero gli estintori, occorse ricorrere alla sabbia. Dopo tre interminabili minuti era tutto finito, ma il batticuore era stato grande. Per fortuna nessuna macchina era nel frattempo passata, e dei corridori in gara, probabilmente, nessuno si accorse di nulla. Intanto in prima posizione si alternavano Fagioli, Varzi e Moll, a seconda delle fermate per i rifornimenti dell’uno o dell’altro. Chi però cresceva progressivamente in pericolosità era il pilota algerino, che riusciva a stabilire dei tempi assolutamente spettacolosi, culminanti in un 10’51” (media di 149,672 km/h, nuovo record). Il giro successivo, il 16°, Moll si impegnò a far persino di meglio, ma all’ultimo passaggio dal traguardo, all’uscita dalla curva di deviazione, la sua macchina sbandò e compì una piroetta. Il motore si spense, Moll scese tranquillo dalla macchina come se stesse andando a comprare il giornale, vi risalì, riaccese e ripartì. Il tempo segnato per quel giro fu di appena 11’03”, giravolta compresa. Nonostante questa prodezza, il vantaggio di Fagioli nel frattempo era aumentato. Rimanevano soltanto più tre giri, e Moll si impegnò con tutto se stesso per annullare quei venti secondi di distacco dal pilota italiano. Al 17° giro, alla fine della parte mista e all’inizio del primo rettifilo, che era la base del chilometro lanciato, i secondi tra Fagioli e Moll erano diventati appena una decina. Poteva essere, stava per essere la grande giornata del giovane pilota algerino. Invece, scrive Auto Italiana del 30 agosto 1934, “fu quella della sua tragica fine. In rettifilo la macchina si imbarcò, di traverso compì circa un centinaio di metri poggiando verso sinistra e divellendo diversi alberelli sul bordo del fosso laterale; vi entrò lasciandovi la parte posteriore; ne uscì; vi rientrò per cozzare frontalmente contro la spalletta erbosa di un ponticello per lo scolo delle acque; saltò ancora sulla strada per tre o quattro volte rimbalzando; passò oltre i fili della linea telefonica e s’andò a fermare, con un tonfo fragoroso, contro una casa sulla destra della strada ad oltre 300 metri dall’inizio della fatale imbarcata. Il pilota era stato proiettato fuori dalla macchina nell’urto contro la spalletta del ponte ed era rimasto ucciso sul colpo. Passato alla base d’entrata del chilometro lanciato alle ore 2’55’40”, dopo due secondi era tutto finito. Povero grande Moll!”. In pratica la vettura, che nell’istante in cui affiancava quella del doppiato Henne andava a più di 260 km/h, era letteralmente impazzita. Il caso volle che fosse il 17° giro, la vettura fosse appena uscita dal 17° chilometro, in una gara che aveva visto schierarsi alla partenza 17 monoposto. La corsa non ebbe più storia: Fagioli, senza nessuno che lo minacciasse, poté permettersi addirittura di rallentare pur terminando primo, alla media di 129,568 km/h. Varzi ricedette il volante a Ghersi, perché anche la seconda vettura presentava dei problemi; Nuvolari coronò una gara stupenda con un ottimo secondo posto, nonostante una fermata di quattro minuti per la rottura del tubo della benzina, ma arrivò al termine terreo in volto, con un gesto di rifiuto degli applausi che il pubblico, già immemore, voleva tributargli. Sicuramente le Mercedes si meritarono la vittoria, perché le più veloci ed affidabili, e la tabella delle medie registrate sul tratto del chilometro lanciato lo confermò. Delle tre Mercedes, quelle di Caracciola e Henne toccarono i 290 km/h, la terza, di Fagioli, i 280. Nessun’altra fu capace di altrettanto: non certamente le Auto Union, le cui prestazioni delusero, soprattutto per quanto riguardò la stabilità in curva; non le Alfa Romeo che arrivarono, con Chiron, a sfiorare i 270 km/h; tanto meno le Maserati e la Bugatti. Le macchine italiane potevano contendere il primato alle velocissime tedesche soltanto sui tratti misti, dove la minor velocità e la minor potenza poteva essere compensata dalla maggiore maneggevolezza, stabilità e affidabilità; non certo sui tratti veloci, dove le tedesche erano letteralmente imbattibili. Con la nuova formula infatti il problema posto ai progettisti non era quello di ricavare dai motori il massimo numero di cavalli per litro di cilindrata, ma quello di ottenere la massima potenza per chilogrammo di peso disponibile. Ogni sforzo doveva dunque orientarsi ad alleggerire al massimo i telai per poter disporre nei motori del maggior peso e, di conseguenza, della maggiore cilindrata possibile. Le case tedesche riuscirono in pieno a centrare l’obiettivo, a schierare modelli di maggiore potenza e di maggiore cilindrata rispetto alle vetture italiane, che non potevano evidentemente annullarsi né con l’audacia né con la bravura dei piloti. La prevalenza delle monoposto tedesche, da allora in poi, fu indiscutibile ed evidente, ed ebbe inizio quello che, a posteriori, fu chiamato il ciclo della supremazia germanica. Tutto questo disse, e non è poco, la X Coppa Acerbo, su cui gravò però la pesante ombra della morte del pilota algerino. Nonostante tutta la cura nel preparare il circuito, nel renderlo il più possibile sicuro, l’incidente mortale era comunque avvenuto. Furono fatti parecchi sopralluoghi, ma nulla emerse che potesse spiegare l’improvvisa imbarcata della vettura in pieno rettifilo, nonostante la testimonianza di un cronometrista che aveva assistito alla scena. “Su questo incidente rimarrà sempre incertezza, come in quasi tutti gli incidenti del genere – conclude Auto Italiana del 30 agosto – Se una morale è lecita questa riguarda gli organizzatori: è dimostrato che a 250 all’ora una macchina per ragioni impossibili da spiegare può deviare dalla sua traiettoria anche nel più perfetto dei rettifili. E’ soggetta a troppi fattori estranei e la sua stabilità è troppo precaria, comunque… E’ stato un destino crudele quello che ha voluto il sacrificio di Moll, campione meraviglioso, avviato ad una carriera forse senza uguali, tanto abile quanto generoso, alfiere dell’industria italiana in una giornata di grandi ardimenti. Gli italiani non dimenticheranno e bisogna inchinarsi alla memoria del piccolo Guy Moll: è caduto con lui un grandissimo e generosissimo campione”. CLASSIFICA Classe oltre i 1100 cc (20 giri del circuito pari a km 516) 1° 2° 3° 4° Fagioli Luigi Nuvolari Tazio Brivio Antonio Ghersi Pietro Mercedes Maserati Bugatti Alfa Romeo 3.58’56”4/5 4.3’35” 4.5’7” 4.5’27” Media di 129,568 km/h Media di 127,102 km/h Media di 126,300 km/h Sebastian su Auto Union e Henne su Mercedes fermati al 19° giro Ritirati: Straight al 5°, Varzi al 6° (poi rientrato), Zehender al 7°, Stuck al 7°, Lord Howe all’8°, Corsi all’8°, Hamilton al 9°, Caracciola al 9°, Chiron al 9°, Penn Hughes al 13°, Moll al 17°. Giro più veloce: il 15°, di Moll in 10’51”, alla media di 149,672 Classe fino a 1100 cc (percorrevano 4 giri del circuito pari a km 103,800) 1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° Hamilton Cecchini Seaman Furmanik Felizzola Beccaria Matrullo MG MG MG Maserati Maserati Fiat Maserati 52’24”1/5 53’22”3/5 54’34”3/5 55’06”1/5 56’4”2/5 58’33”2/5 1.00’56”2/5 Media di 118,160 km/h Media di 118,160 km/h ALBO D’ORO DELLA COPPA ACERBO (1924-1939) 1924 1925 1926 1927 1928 1930 1931 1932 Ferrari Enzo Ginaldi Guido Spinozzi Luigi Campari Giuseppe Campari Giuseppe Varzi Achille Campari Giuseppe Nuvolari Tazio Alfa Romeo TF Alfa Romeo TF Bugatti 35 Alfa Romeo P2 Alfa Romeo P2 Maserati 8C 2500 Alfa Romeo Tipo A Alfa Romeo P3 Media di 104,524 km/h Media di 93,270 km/h Media di 101,196 km/h Media di 104,219 km/h Media di 109,844 km/h Media di 121,297 km/h Media di 131,450 km/h Media di 139,829 km/h 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 Fagioli Luigi Fagioli Luigi Varzi Achille Rosemeyer Bernd Rosemeyer Bernd Caracciola Rudolf Biondetti Clemente Alfa Romeo P3 Mercedes W25 Auto Union tipo B Auto Union Tipo C Auto Union Tipo C Mercedes W154 Alfa Romeo 158 Media di 141,856 km/h Media di 129,568 km/h Media di 139,402 km/h Media di 139,174 km/h Media di 141,009 km/h Media di 134,783 km/h Media di 134,081 km/h BIBLIOGRAFIA Pescara Motori 86: Coppa Acerbo Circuito di Pescara 18-21 settembre 1986, di Francesco Santuccione “Piloti che gente”, di Enzo Ferrari, Conti Editore, 1985 Auto Italiana 1924 – 1934 “Mercedes Benz Grand Prix Racing 1934-35”, di George C.Monkhouse, 1983 Enciclopedia dello Sport della Enciclopedia Italiana Treccani – Motori - 2003 “The Grand Prix Car”, by L. Pomeroy, 1954 Donatella Biffignandi Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino 2005