Io ho un sogno: che tutti, ma proprio tutti, in un futuro

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Io ho un sogno: che tutti, ma proprio tutti, in un futuro
Io ho un sogno: che tutti, ma proprio tutti, in un futuro prossimo, possano vincere la propria fame e
possano mangiare, lavorare e amare.
Jorge Amado
Globocolonizzazione
L’ONU ha divulgato un inquietante ritratto del mondo in cui viviamo: il documento The inequality
predicament. Siamo 6,3 miliardi su questa astronave chiamata “pianeta Terra”. Ammontano appena
ad un miliardo, e sono tutti abitanti di Paesi industrializzati, coloro che detengono l’80% della
ricchezza mondiale. (…) Su 73 Paesi con statistiche affidabili, tra il 1950 e il 1990 la
disuguaglianza è aumentata in 48; in 16 si è mantenuta stabile e solo in 9 si è ridotta.
Immaginate tutti i beni di consumo del mondo. Sappiate che l’86% appartiene solo al 20% della
popolazione mondiale. Il 20% più povero del mondo si divide l’1,3% dei beni di consumo.
Il mondo si divide in circa 240 Paesi. Osserviamo le differenze tra i 20 Paesi più ricchi ed i 20 più
poveri. I primi sono serviti dal 74% delle linee telefoniche del pianeta, mentre i secondi non
dispongono che dell’1,5%. I 20 più ricchi consumano il 45% della carne e del pesce offerti dal
mercato, i 20 più poveri il 5%. In materia di energia, i 20 più ricchi consumano il 58%, i 20 più
poveri il 4%. Quanto alla carta, l’87% (…) va ai 20 più ricchi, l’1% ai 20 più poveri.
In quarant’anni, il reddito dei 20 Paesi più ricchi è quasi triplicato, raggiungendo nel 2002 la
soglia di 32.339 dollari pro-capite. Nei 20 Paesi più poveri è cresciuto solo del 26%, arrivando
nel 2002 a 267 dollari pro-capite.
In America Latina, negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, la povertà si è mantenuta stabile,
ma le disparità sono aumentate. (…) In Brasile, il 10% dei più ricchi ha un reddito 32 volte
superiore a quanto guadagna il 40% dei più poveri. Siamo tra i campioni delle disparità, nonostante
i nostri indici sociali abbiano presentato un miglioramento con il governo Lula. Il rapporto dimostra
che non è sufficiente lottare contro la povertà. É necessario attaccare anche le cause della
disuguaglianza. Senza distribuzione di reddito non è possibile promuovere l’inclusione sociale.
(…) Anche tra i ricchi vi sono schiaccianti differenze. L’1% dei più ricchi degli Stati Uniti detiene
il 17% del reddito nazionale.
Ad aumentare il divario tra ricchi e poveri hanno contribuito due fattori: il progresso tecnologico da
un lato, e l’annientamento della mano d’opera dall’altro. Quanto più avanzata è la tecnologia, tanto
inferiore sarà il numero di posti di lavoro. Un computer in uno studio di architettura, ad esempio,
può lasciare disoccupate un discreto numero di persone.
Sempre in cerca di maggiori margini di guadagno, le
aziende cercano nel mondo chi sia disponibile a lavorare
di più guadagnando di meno. Secondo la centrale
sindacale americana AFL-CIO, nei prossimi 10 anni gli
Stati Uniti d’America esporteranno circa 14 milioni di
posti di lavoro. Ciò significa che verrà a mancare la loro
offerta di posti di lavoro in casa, con un aumento dello
sfruttamento della mano d’opera straniera a basso costo,
priva di sicurezza sul lavoro e sociale.
In tutto il mondo la metà delle persone che lavorano circa 1,39 miliardi - vive con meno di 2 dollari al giorno. Mentre 1/4 riceve, al massimo, 1 dollaro
al giorno. In Brasile, la metà dei lavoratori dipende dal lavoro informale, sottinteso sinonimo di
povertà. Secondo il brasiliano Roberto Guimaraes, coordinatore del rapporto delle Nazioni Unite,
questo sconcertante scenario non potrà trasformarsi solo attraverso una maggiore scolarizzazione e
politiche di reddito minimo. “Dobbiamo rivedere la struttura dell’economia mondiale”, dice. (…)
Il rapporto mostra che in Brasile, ad esempio, la mancanza di istruzione è responsabile per un 50%
delle disparità. La differenza media di salario tra un diplomato ed una persona che non ha studiato è
dell’814%. (…)
Frei Betto
notiziario della Rete Radié Resch – marzo 2006