Sbobinatura incontro con Franco Nembrini

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Sbobinatura incontro con Franco Nembrini
“La Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza”
Incontro con Franco Nembrini
Aula Magna Ospedale (Lecco) – 13 marzo 2013
Francesco Zamperini (presidente del CELAF)
Buonasera a tutti, innanzitutto complimenti a voi perché avete scelto di venire a
trascorrere qualche ora con noi ed è una cosa che…
Franco Nembrini:
Gli è scappato: voleva dire un’ora!
Francesco Zamperini
il tempo che sarà necessario per soddisfare anche le vostre richieste. Noi siamo molto
contenti di aver condiviso con la scuola questo tema “la Famiglia: un luogo che educa alla
Bellezza” perché, come abbiamo più volte sentito, oggi educare non è facile. Non è mai
stato facile, ma oggi sembra essere sempre più difficile come sanno i genitori, gli
insegnanti, i sacerdoti, e tutti coloro che in generale hanno dirette responsabilità
educative. C’è questa mentalità diffusa e questa cultura che portano a dubitare del valore
della persona umana e del suo significato stesso e quindi, in ultima analisi, anche della
bontà della vita; e questo a volte comporta il dare un taglio negativo a queste tematiche.
Sono particolarmente e personalmente contento che il taglio, il tema, sia in termini
assolutamente propositivi e positivi “la Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza”, perché
abbiamo tanto bisogno di messaggi positivi in questo contesto che comporta un senso di
frustrazione e di malinconia. Noi siamo un consultorio famigliare, quindi siamo come Celaf
un organismo che appoggia questo tipo di cose nel momento in cui si verificano alcune
difficoltà, alcune patologie. Da qualche anno avendo messo insieme un gruppo di forze
sufficienti, abbiamo investito molte risorse nei progetti di educazione alla salute. Tenete
conto che lo scorso anno, attraverso i nostri progetti nelle scuole e nelle comunità per chi
si prepara al matrimonio abbiamo avvicinato quasi 2500 persone. Io non ho nessuna
intenzione di rubare il tempo al nostro relatore, consentitemi solo di ringraziare tutti voi che
avete partecipato, le autorità che ci hanno fatto avere il loro appoggio, la Provincia e il
Comune qui presente con un presidente di commissione e quindi anche con una presenza
operativa, il sig. Rizzolino con cui potremo anche fare magari qualche passo successivo,
ringrazio anche la ASL che ci ha dato la possibilità di realizzare questo progetto.
Eventualmente poi dopo ci risentiamo a conclusione e quindi io passerei direttamente la
parola alla professoressa Bianca Brambilla.
Bianca Brambilla (direttrice scuola secondaria di primo grado “M.Kolbe” di Lecco)
Buonasera, io sono molto contenta questa sera di presentare il professor Franco Nembrini
che è docente di letteratura, rettore di una scuola paritaria e grande estimatore e
conoscitore di Dante, potrei aggiungere ma mi fermo qui. Ma per noi la cosa importante è
che da sempre per noi è un amico e un maestro; da quando, tanti anni fa, all’inizio della
storia della nostra scuola, che quest’anno compie 30 anni, assieme alla Cooperativa
“Nuova Scuola” che l’aveva fondata ci recammo a Calcinate perché avevamo sentito
parlare di questa scuola giovane che era appena nata. Siamo andati lì per imparare a far
maturare quel germe che avevamo proprio appena appena piantato. Poi qualche anno fa
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(penso che parecchi di voi se lo ricordino) abbiamo avuto un incontro al Teatro della
Società di Lecco e il professor Nembrini durante quest’incontro fece un intervento davvero
molto appassionato in cui disse che nell’educazione è fondamentale, è essenziale “l’aria
che tira”: che è essenziale educare, educare i giovani a un luogo, a un clima, a uno
sguardo che li spalanchi a giocarsi da protagonisti dentro la società e a giocarsi da
protagonisti innanzitutto dentro la propria vita. Certamente quella sera siamo venuti via
ancora più rafforzati nel capire che l’educazione non è un problema dei giovani, ma
l’educazione è innanzitutto un compito e una responsabilità di noi adulti. Siccome per tanti
di noi questa “aria che tira” è diventata una cosa che ci diciamo spesso quando ci
incontriamo e ci è rimasta dentro, allora volevo riprendere e rilanciare questa domanda sul
tema della serata. Il tema è “la Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza”. Allora vorrei
proprio chiederti di aiutarci a capire come la famiglia è un luogo dove c’è “un’aria che tira”,
che gioca la libertà del ragazzo. Come dentro la famiglia si può aiutare, si può sostenere il
giovane ad aver cura della sua libertà e a giocare la sua libertà? Come si può testimoniare
un’aria che tira che educa alla bellezza, che educa al senso delle cose? Perché educare
alla Bellezza è educare al volto vero delle cose, no? E come può essere la famiglia il luogo
dove un ragazzo può dire “io sto bene”, ma non perché non faccio fatica e tutti si danno da
fare a spianarmi la strada per risolvere i problemi, ma perché “io sto bene” dentro la
famiglia perché la famiglia mi lancia a diventare più uomo? Queste sono un po’ le
domande che mi sono venute ripesando appunto a quell’aria che tira che ci aveva così
mosso e mosso a cambiare.
Franco Nembrini
Bene, proviamo. Grazie dell’invito naturalmente. Sono stupitissimo dell’afflusso eroico di
tante persone. Non so bene da che parte cominciare ma la risolvo in fretta, faccio subito lo
“spottone pubblicitario” pazzesco, così almeno non mi vergogno di farlo dopo tra le righe.
Ho scritto un libro: in realtà non l’ho scritto, nel senso che non ho mai scritto libri. Ma le
battute iniziali mi servono per cominciare. Ho scritto un libro che in realtà non ho scritto,
l’hanno scritto altri, ma mi interessa dirvelo perché c’è una storia legata al titolo di questo
libro che vorrei in una battuta raccontarvi e poi forse vale la pena che cominciamo dal
leggervi la dedica che ho voluto fare in questo libro che mi sembra che ci possa aiutare a
entrare senza tanti fronzoli nel cuore della questione. Prima permettetemi di dire una cosa
che, nel caso ci fossero dubbi, voglio chiarire subito: non sono un esperto di educazione,
cioè non è che ho scritto un libro perché avevo delle idee particolari o geniali
sull’educazione. Dico un sacco di cose intelligenti, ma non perché mi sono messo lì a
pensarle, mi serbo di dire un sacco di cose intelligenti nel senso che ho tanto da
raccontare. Tanto da raccontare: nel senso con la casa editrice fui convinto da alcuni amici
che avevano raccolto delle conversazioni come quelle di stasera (ne avevano lì un pacco
così, le avevano prese e emendate da parolacce insulti e da tutte le cose che non si
devono mettere in un libro) a metterle in ordine e ne è venuta appunto questa raccolta di
chiacchierate che ho avuto appunto l’occasione di fare nelle scuole, a volte a degli
studenti, a volte a dei collegi docenti, a volte a famiglie come stasera. Quando con
l’editrice si è trattato di decidere che titolo dargli, io avevo proposto il titolo “Ho visto
educare” ma proprio per questa ragione: perché mi sembrava che un titolo così “ho visto
educare” rendesse maggiormente giustizia del contenuto. Io non ho niente da insegnare a
nessuno, ho visto delle cose, ho visto delle cose come figlio, ho visto delle cose come
padre, ho visto delle cose come insegnante (dopo 36 anni di insegnamento nelle superiori,
nello Stato per intenderci, perché ho collaborato alla fondazione di quella scuola che
veniva citata prima, la Traccia di Calcinate, ma continuando a fare come professione
l’insegnante di Italiano e Storia negli Istituti tecnici statali di Bergamo). Poi però mi hanno
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detto: “Ho visto educare” (dai che è un bel titolo, è giusto, rispetta il contenuto!!) non va
bene, è misterioso, è criptico (a me pareva così facile! “Ho visto educare”: dov’è la
difficoltà?!) Allora ho detto: “sentite facciamo così: diamogli allora il titolo che mi
piacerebbe tanto fosse il titolo del libro”. E loro mi dicono: “Quale potrebbe essere?”. E io
gli ho detto: “secondo me, io lo intitolerei Lasciateli stare. Sottotitolo: Dedicato a tutte le
mamme d’Italia. (Poi se volete vi spiego perché alle mamme) “Lei è un deficiente, non se
ne parla neanche; un libro così è invendibile!”. Io gli ho detto “secondo me i deficienti siete
voi, lo compreranno tutti i figli da regalare alla mamma!”. Credo che sarebbe stata
un’operazione di marketing di grandissimo livello. Niente. Alla fine è venuto fuori “Di padre
in figlio” copertina che ricorda non so se la Nutella o la Barilla, è andata così, abbiate
pazienza.. Il contenuto invece è interessante, dicono che sia. Dicono che valga la pena. Lo
leggerò anch’io durante queste vacanze. No, al di là di questo appunto… l’idea è proprio
questa insomma, volevo chiarirvelo. Anche perché se devo essere sincero, a furia di
andare in giro a parlare, semmai avessi avuto la presunzione di avere qualcosa da
insegnare mi è passata. Mi è passata perché quando fai queste cose, quando ti capita di
andare in giro a fare incontri come quelli di stasera so quanto dolore è presente in questa
sala stasera. Quante storie di sofferenza, grande, quanti drammi…in alcuni casi quante
tragedie portiamo con noi da genitori, da educatori, da gente che ci prova insomma a tirar
grandi questi figli. Perciò di fronte a storie che posso immaginare…perché appunto ne ho
sentite tante, che poi finisce che ti ferma la mamma, ti ferma il papà, ti scrive, ti scrivono i
figli… vien su tutta la fatica, per cui figuratevi! su questo veramente figuratevi se ho la
presunzione di aver qualcosa da insegnarvi…Invece mi sembra che raccontarvi degli
episodi, dei fatti insomma, delle cose che in tutti questi anni mi sembra di aver raccolto da
quel che ho visto possa essere utile anche a voi. E’ proprio l’offerta di alcune cose che mi
sembrano fondamentali e che dico per averle viste vive, per averle viste accadere, per
vederle ancora oggi accadere tra i banchi di scuola coi miei figli, o con i figli dei miei amici.
Perciò, ecco, senza nessuna presunzione. Detto questo vi leggo la dedica che ho voluto
fare a questo libro, perché mi aiuta a essere più sintetico rispetto alla preoccupazione che
ho. Bianca l’ha già detto in realtà; perché quando ha detto che abbiamo capito insieme in
questi anni che l’educazione è un problema dell’adulto e non dei giovani hai già detto “la
questione”. Però proviamo a capirlo un po’ meglio. Io vi offro, vi offro qualche spunto di
riflessione. Io questo libro l’ho voluto dedicare così: Ai miei genitori, Dario e Clementina,
che mi hanno dato la vita e con essa il sentimento della sua grandezza e positività. Ecco
può sembrare banale (per me non lo è mai stato e non lo è oggi) ma se io avessi scritto “Ai
miei genitori, Dario e Clementina, che mi hanno dato la vita” punto, non andava bene. Non
andava bene perché la vita l’hanno anche le capre e le galline, gli uomini fanno un’altra
cosa. Tra l’altro mi viene da far subito questa precisazione: ho la presunzione di poter
consegnare, di poter raccontare a chiunque queste cose che vi dirò stasera. Cioè, se voi
mi diceste: “guarda che forse hai sbagliato, hai sbagliato riunione, quella dei cattolici era
ieri sera, oggi siamo tutti atei, siamo tutti mangiapreti, miscredenti” è uguale. Vi direi le
stesse, identiche, cose. Forse andando avanti capirete perché. Chiusa la parentesi.
Perché questa cosa, per esempio, mi sembra vera, semplicemente vera, cioè di valore
universale. Gli uomini non danno solo la vita in senso biologico, piaccia o non piaccia, che
ne siamo consapevoli o no. Anzi il problema è proprio esserne sempre pienamente
consapevoli. Piaccia o non piaccia, noi educhiamo. Cioè insieme alla vita diamo ai figli con
essa, nel caso di mio papà e mia mamma “il sentimento della sua grandezza e positività”,
ma diamo comunque un certo sentimento delle cose. Questa è la prima, grande
questione. Dopo magari la provo a precisare, la seconda dedica che ho voluto fare è: A
Clementina Mazzoleni…e mi commuove sempre questa idea: che si chiamasse
Clementina la mia mamma e Clementina questa professoressa che ho avuto alle medie
(aveva 23 anni, l’abbiamo festeggiata l’altro giorno. C’era un bel pezzo della 1^C del ’66
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perché ha compiuto 70 anni; ci siamo trovati e lei si ricordava, si ricordava benissimo di
tutti noi..) questa ragazza di 23 anni non ancora laureata a cui io qui scrivo:…mia
professoressa di italiano a cui devo la passione per la letteratura e per l’insegnamento.
Perché è stato così. Lei si ricordava che quando ho sostenuto l’esame di terza media alla
fine sono corso da lei, le ho stretto la mano e le ho detto: “le giuro che diventerò un
insegnante di italiano”; per la passione che lei mi aveva comunicato! E mi commuove la
costatazione che fosse Clementina la mia mamma e Clementina…oh: a Bergamo non è
pieno zeppo di Clementine! Non ne ho ancora viste altre! In questo ideale passaggio di
consegna tra scuola e famiglia che questa coincidenza del nome mi ha sempre esaltato! E
infine (per la storia mia personale è stato un incontro decisivo) A Don Luigi Giussani che a
quel sentimento ricevuto in casa e a quella passione ricevuta a scuola ha dato la stabilità e
la certezza della fede. In fondo, in questa dedica c’è tutto quello che vorrei raccontarvi,
quello che vorrei dirvi… provo soltanto a spiegarvelo un po’. Dirvi perché, perché uno a 58
anni se pensa alla sua vita, se pensa alle cose decisive della vita, pensa a queste tre
persone, queste quattro persone, e pensa a quello che hanno rappresentato per tutto il
mio itinerario educativo, culturale, umano. È tutto in questi tre incontri e nello sviluppo poi
che questi tre incontri hanno avuto. Allora torno, torno di nuovo sul primo, torno di nuovo
sul primo per dire questa cosa che mi sembra quella cosa, ripeto, decisiva. Ho detto che
noi educhiamo anche senza saperlo, senza neanche volerlo, perché è nella natura dei
rapporti tra gli uomini, cioè funziona così. C’entra molto con quell’idea dell’aria che dicevi
prima, non mi ricordo cos’avevo detto anni fa sull’aria che tira però l’idea mi pare che sia
questa. Io mi ricordo benissimo che ho letto tanti anni fa (potrebbero essere 20/25 anni fa)
un articolo sul Corriere della Sera. Era un articolo di uno di quelli che studiano il cervello,
un neuropsichiatra infantile che faceva questa incredibile osservazione che mi si è
stampata qui - tutto il mio ragionamento di stasera saranno 7/8 fotografie, che sono qui e
hanno determinato la mia vita e la mia sensibilità. Una è questa- Questo neuropsichiatra in
un articolo fa quest’osservazione che mi impressionò tantissimo. Diceva che un bambino pensate un bambino nel ventre di sua madre, cioè quando è ancora dentro, è un feto - un
bambino che crescesse nel ventre di una madre per 9 mesi, nel grembo di una madre che
cantasse, cioè che benedicesse la vita (cioè che fosse contenta lei di essere al mondo e
fosse grata per l’amore del marito e fosse commossa quando vede il figlio più grande in
giro per casa, e fosse intenerita al pensiero di quella vita nuova che porta in grembo, e per
ciò cantasse) bene, diceva questo neuropsichiatra che quel bambino avrebbe buone
probabilità di venire al mondo con un sentimento positivo delle cose. Delle cose, della vita,
dell’essere. Un sentimento positivo della vita. Un bambino che al contrario passasse 9
mesi nel grembo di sua madre e la madre fosse arrabbiata perennemente, maledicendo le
nausee, il marito che non la capisce, il figlio grande che rompe le scatole e magari
maledicesse quella stessa gravidanza, diceva questo neuropsichiatra più difficilmente
nascerebbe orientato a sentire positiva la vita. Ecco “l’aria che tira”. Quando dico che ciò
che educa è “l’aria che tira” intendo questo. Se vale per il liquido amniotico vale
infinitamente, non infinitamente di più (come si fa a dire di più o di meno?) vale almeno
uguale quando esce. Perché quando esce… vedo qui due bambini piccolissimi, uno
sembra che dorma, non dorme, appunto la mia tesi è sempre “sembra che dorme”,
sempre. Quando tu lo porti a casa sto fagotto di 3kg e qualcosa e sei imbranatissimo
(soprattutto noi maschietti ci rendiamo conto solo in quel momento che siamo in tre e non
più in due, la mamma forse se ne è resa conto qualche mese prima) e arrivi a casa con
sto fagotto di cui si dice, sbagliando, che non capisce niente…cioè questi due bambini qui
in braccio alle loro mamme in prima fila silenziosi di quel che sto dicendo, secondo voi,
capiscono qualcosa? No, è ovvio. Diremmo tutti “non capiscono niente”. E già molto se
stanno zitti e non disturbano, giusto? È già molto. Ecco dovremmo pensare che stanno
capendo tutto. C’è qualcosa di misterioso, che non so bene dire che cosa sia, forse
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potremmo provare a dargli un nome, dategli voi il nome che preferite. Ultimamente,
influenzato da Dante, mi piace la parola “desiderio”; potete più canonicamente seguendo il
catechismo chiamarla “anima”, se siete laici chiamatela “ragione”, se siete..non so,
chiamatela come volete. Ma c’è in loro quel qualcosa che li fa diversi dalla gallina e dalla
capra. E questo qualcosa è una misteriosa capacità che da subito hanno, forse dal
concepimento; anzi senza forse dal concepimento. Perché 2000 anni prima del Corriere
della Sera, su un altro giornaletto c’è scritto che due signore, incinte, che si sono andate a
salutare perché erano parenti, una cugina dell’altra, quando si sono viste i due bambini si
sono messi a “fare casino”, si parlavano tra loro, si sono salutati: “ciao, esci te”. “No dai
esci prima te, che sei il precursore; se no che precursore sei?!”. Insomma si sono messi a
discutere e quindi, molto prima che la scienza lo scoprisse, sta scritto che nella pancia ci
sono due persone che hanno molto da dire perché stanno imparando tantissimo. A me la
cosa che fa più impressione è questa: questi due bambini di cui erroneamente diremmo
“non capiscono niente” stanno capendo tutto. Tant’è vero che se tornerò fra tre anni e li
avrete qui che gironzolano per la sala, mi direte sicuramente: “ma pensa che a un certo
punto, quasi dalla sera alla mattina, ‘sti due deficienti che non capivano niente, si sono
messi a parlare. E mettendo insieme soggetto, verbo e complemento, mettevano insieme
le cose. Una settimana dopo che hanno cominciato a parlare, hanno cominciato a fare
osservazioni sorprendenti, di quelle che i genitori restano senza fiato e dicono: “ma che
figlio intelligente che c’abbiamo!”. Tutti pensano di avere come figlio Leonardo da Vinci,
come minimo, perché dicono: “Ma pensa te, ma dove le avrà imparate tutte queste cose?”.
Adesso! Le stanno imparando adesso. Ma non stanno solo - è impressionante - non
stanno solo imparando parole, gesti, l’uso dei cinque sensi e tutto quello che si mette in
moto nel corpo, nel cervello, tutti i meccanismi…stanno imparando una cosa ancora più
decisiva: che cosa? Un sentimento della vita. Perciò, loro due mamme, che pensano poi di
andare a casa e metterli lì…sapete quando fanno casino e finalmente si addormentano,
dopo che hai dato l’ultima scrollata al carrozzino e finalmente puoi chiudere la porta e dici:
“dorme, sì!” e senti: “Ueh!!”. Fino a che poi dorme davvero e tu dici: “finalmente dorme!”..
Ecco la mia tesi è semplicissima: non dormono; cioè dormono, ma intanto ci guardano;
mangiano e ci guardano; ci guardano quando gattonano in mezzo ai loro giochini strani,
presi da strani pensieri, in cui noi non riusciamo nemmeno a entrare - tant’è che facciamo
versi da deficienti per provare a metterci nei loro “Ghiii ghiii” e tutte quelle robe lì- Loro ci
stanno guardando sempre e andranno all’asilo e vi guarderanno. Ci guardano sempre. In
questo senso “l’aria che tira” educa: perché continuano a guardarci. Se leggete la lettera
pastorale di Benedetto XVI sull’educazione - del 2007 mi sembra - c’è un pezzettino che
questa cosa la spiega in un modo mirabile, dice: “state tranquilli che i vostri figli vengono al
mondo giusti, vengono a dire in un modo… vien da dire “fatti da Dio, fatti da Dio”; vengono
al mondo con tutto quello che serve per vivere e per diventare grandi, perché vengono al
mondo con le due cose che ho appena detto; cioè hanno bisogno di due cose per
diventare grandi:che ci sia il mondo, cioè la realtà, le cose, il papà, la mamma…il mondo,
la realtà che li attira, e il cuore, che è un’altra parola che può funzionare, quel motore che
ho detto prima, questo desiderio per cui si muovono verso le cose. Sono attirati dalle cose
e perciò mossi a guardare in continuazione, guardare o ascoltare insomma, ma mi piace di
più il verbo guardare. Perciò, dice il Papa, guardate che i vostri figli vengono al mondo
giusti, fatti bene e sanno fare benissimo il loro mestiere e cioè guardarvi. Vi guardano
sempre. Se è così - e io credo che sia così - l’emergenze educativa, come è stato detto,
non è un problema dei figli, è un problema degli adulti. Cioè il problema di quella che
chiamiamo emergenza educativa si può formulare così: se i nostri figli vengono al mondo
giusti, fatti da Dio, se il loro mestiere è guardare e lo sanno fare benissimo, il problema
dell’educazione è che cosa vedono quando guardano, cioè noi, noi. La seconda
osservazione che voglio fare è che, proprio per questo, mi pare di poter dire che - sto
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cercando di sintetizzare - mi pare di poter dire che proprio per questo l’educazione che
cos’è? Se è così, l’educazione che cos’è? L’educazione è una testimonianza; cioè - è uno
slogan che uso da tanti anni, forse me l’avrete già sentito dire - il grande segreto
dell’educazione sapete qual è? Non avere il problema dell’educazione. Uso una formula
positiva invece che negativa. Ringrazierò sempre, per l’eternità - se la passeremo insieme,
come spero, non perché dubito che ci sia Lui, ma perché dubito di andarci io in Paradiso ringrazierò per l’eternità mio padre di una cosa: che si è occupato della sua santità non
della mia. Ci ha lasciato stare, non ha avuto la pretesa di cambiarci, non ha avuto la
pretesa di portarci da nessuna parte. Il problema è che lui sapeva benissimo dove stava
andando lui, e questo ce lo ha reso affascinante; ci ha fatto venire la voglia di andargli
dietro senza discorsi e senza parole - un po’ perché sbiascicava si e no quattro parole in
italiano, parlava poco, mia mamma parlava già un po’ di più, ma lui proprio poco - E poi se
hai dieci figli, non è che hai tanto tempo per parlare. È nato il decimo che il primo aveva 15
anni. Faceva il meccanico…aveva il tornio insomma, faceva l’operaio; poi si è ammalato di
sclerosi multipla e quindi la seconda parte della vita l’ha vissuta come bidello: quindi è
stato un grande uomo di scuola. Mi ritengo un figlio d’arte, nel senso che probabilmente ha
educato più lui da bidello che tantissimi insegnanti che aveva lì. E io l’ho visto tirar su dieci
figli con questa magica, io non so come descrivervela, come dirvela, ma con questa
leggerezza che condivideva con la mia mamma, non avevano il problema di farci diventare
qualcosa. Gli andavamo bene così, si capisce? Si capisce o no? Tutta la tragedia, il
“casino” che facciamo in educazione, il disastro che combiniamo, sono le idee che
abbiamo, sono le nostre buone intenzioni, sono questa idea che abbiamo di sapere così
bene qual è il bene dei figli da volerlo realizzare ad ogni costo. Quando io ho ritrovato,
dopo un trasloco, un mio quaderno di seconda media e l’ho sfogliato, a un certo punto ho
trovato una pagina che mi ha fatto piangere di commozione perché mi sono ricordato
benissimo il giorno, l’ora, il contesto, la situazione in cu ho scritto quella pagina. Pagina…
era una riga - non ho mai scritto molto, appunto - E mi sono messo a piangere perché mi è
tornata in mente proprio la voglia che ho avuto quel giorno di scrivere qualcosa che
dicesse questo che stavo vivendo: quella riga…in quella riga c’era scritto: “Signore fammi
essere come mio padre”. Non so se fossi andato avanti se sarebbe stata una poesia o una
canzone o una preghiera, boh…c’era solo il titolo “Signore fammi essere come mio padre”.
Io adesso ho 58 anni e mi chiedo ancora oggi che cosa, che cosa in seconda media mi
faceva desiderare così tanto di essere come mio papà. Ah, non fatemi l’obiezione: “a quei
tempi”. Perché quei tempi erano incasinati di bestia, come quelli di adesso. Cioè il ’68, il
casino, le discoteche, sesso, droga, rock and roll, c’era già tutto… il “casino” c’era già tutto
ai tempi. Il grande strappo che ha messo un abisso tra 2000 anni di storia cristiana e la
generazione successiva era già avvenuto, il disastro era già compiuto, quindi non sto
parlandovi dell’Albero degli zoccoli, è chiaro? - Che peraltro ha qualcosa da insegnarci Insomma ma alla domanda “come facevo io in seconda media a desiderare così
fortemente di essere come mio papà?” io adesso - allora no - adesso con più
consapevolezza, mi sembra di poter tentare una risposta. Io volevo essere come mio
padre perché sentivo, cioè vedevo, che mio padre sapeva le cose che nella vita è
importante sapere, se no non vivi. E di importante da sapere cosa c’è? La matematica? Il
latino? L’inglese? Dopo se vuoi parliamo di scuola, perché se no sembra che sto sparando
sulla scuola! No, perché mio padre era un santo senza nessuna di queste competenze.
Solo che mio padre sapeva del bene e del male. Del vero e del falso. Sapeva della vita e
della morte, della gioia e del dolore, della salute e della malattia. Sapeva quello che
bisogna sapere e senza il quale non puoi vivere. Questo io desideravo. Questo gli vedevo
- attenti alle parole! - questo gli vedevo vivere. Non mi faceva le prediche su come bisogna
vivere, lo viveva. Lo viveva, e con un’intensità, con una letizia, che non poteva non
suscitare una curiosità, un interesse che poi vien messo alla prova da tante cose, non è
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automatico - lo dirò alla fine: in educazione non c’è niente di automatico, di assicurato, di
meccanico - Ma che interesse e che curiosità mi veniva quando vedevo mio padre così?
Quando ci faceva pregare in un certo modo? Quando entrava in questa stanzetta con due
letti a castello a tre piani? Perché era tutto un mobilio, la mamma metteva i vestiti nei
sacchi della spazzatura dietro la porta - non c’era il posto per l’armadi - e lì, nella stanza
dei sei maschi - poi c’era la stanzetta delle tre principesse, delle tre femmine, e il piccolino
nel lettone - mio padre entrava. Ma non entrava per farci pregare, entrava per pregare. E
sono due cose completamente diverse. Si capisce? Entrava, aggrappato al sua bastone
perché aveva già la sclerosi, si metteva in ginocchio e cominciava: “Padre Nostro, che sei
nei cieli…”. E noi - che eravamo lì che ci scazzottavamo, che tiravamo i cuscini, che
facevamo la guerra, figuratevi sei maschietti su due letti a castello di tre piani , sembra il
forte, tu fai delle guerre incredibili - noi ci si zittiva. Non entrava urlando dicendo: “zitti, si
prega!”. Noi ci si zittiva perché, credo di poterlo dire adesso, perché ti veniva una
domanda istintiva, radicale, qualcosa del tipo: “Ma chi si merita mio padre in ginocchio?”;
cioè: “Chi è questo di cui parla, a cui parla? Chi si merita mio padre in ginocchio?”. Se tu
hai questa stima di tuo padre, malato, che per tirarsi su dopo che si è inginocchiato
doveva soffrire l’ira di Dio, chi si merita una cosa così? Era un po’ la domanda che mi
veniva con mia mamma, uguale. Quando mia mamma…si capiscono questi aneddoti?
Quando mia mamma mi chiamava - perché lei andava sempre a messa prima, mai perso
messa in vita sua se non era in ospedale o malata - andava alla messa delle 5 - in realtà
ce n’era un’altra alle 3, ma non figurava nel calendario parrocchiale, era la messa dei
cacciatori, per cui c’era il prete con la doppietta appoggiata all’altare e la messa durava
credo tra i sei e i sette minuti, e dopodiché partivano per la caccia! Ma quella non fa parte
dell’orario parrocchiale! - La messa prima era quella delle 5. Mia madre andava a messa e
spesso chiamava uno dei figli per accompagnarla. Quando chiamava me, era una roba..
era un onore, un’esaltazione infinita . Scivolavi fuori dal letto - che magari era la sera che
si dormiva poco, cioè uno infilato da una parte, uno dall’altra, quindi sgusciar fuori senza
svegliare l’altro era un’impresa - perché andavi a messa con la mamma. 4.30 della
mattina. Con la neve fuori. Quinta elementare, quarta elementare. Ma io mi ricordo
benissimo perché andavo, per due ragioni fondamentalmente: perché se andavi a messa
prima con la mamma al ritorno, in latteria, c’era la cioccolata con la panna! La cioccolata
con la panna non la vedevi neanche a Pasqua e a Natale e a San… Zero!! se andavi a
messa prima sì! E uno vien su con molta semplicità, con un’idea importante però: e cioè
hai una certa…una solida certezza sulla suprema convenienza della fede cattolica. Cioè
che la fede non sia una cosa da sfigati cominci a impararlo così, no? Hanno cercato dopo
le suore di togliermela quell’idea lì! Quando - sarà successo anche qui, sono terre uguali le
nostre - quando andavi a catechismo e ti facevano fare sulla lavagna: “dividi la lavagna in
due, scrivi tutte le cose che piacciono a Gesù”. Oh, non ce n’era una che piacesse anche
a me! Poi: “Scrivi tutte le cose che dispiacciono a Gesù” …mi piacevan tutte! Allora uno
dice: “osti ma allora la vita da cristiano è un po’ da sfigati”. Invece la mia mamma no. Ma
la seconda ragione per cui andavo volentieri a messa era quell’altra cosa, simile a quella
che succedeva con papà. Io questa cosa vi giuro me la ricordo come se fosse adesso. Mia
madre è morta nell’85, a 60 anni. Quando si andava a messa, messa in latino, lei ti
spiegava: “guarda quando succede così…diciamo una preghiera per i morti, per lo zio, per
chi sta male, per i poveri...”. Ti guidava, e poi avveniva questa cosa misteriosa: che
prendeva su, con il velo d’ordinanza, andava su e faceva la Comunione. Tornava giù e per
5 minuti mia madre non c’era più. Non c’era. Col volto buttato tra le mani, semi nascosta
dal velo, in ginocchio, lei che era stata così premurosa fino a un momento prima, come se
non gliene fregasse più nulla… il mondo intero non c’entrasse più. E io mi ricordo che ero
piccolino, salivo sull’inginocchiatoio per riuscire a spostare il velo - piano eh, miga de ciapà
un papina de quele…di trovarti tra i Santi sul muro - provavo a spostare il velo per vedere
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con chi stesse parlando! Era la stessa domanda: chi si porta via mia madre? Di chi è in
questo momento? Con chi sta parlando? Perché era interessante come domanda, perché
tu poi lo vedevi bene, per tutto il giorno, che in quei 5 minuti era la fonte della sua letizia.
Non l’ho mai, mai sentita lamentarsi. E se vi descrivo la vita che faceva faccio venire i
capelli bianchi a tutti: con 10 figli, il marito malato, la lavatrice… tutte quelle robe
lì…Andavamo a letto a dormire e la colonna sonora che ci accompagnava era il rumore
della spazzola con cui al mastello lavava i panni. Ti addormentavi e sentivi “bruuuu…” per
ore. Ma era lieta. Sempre. Ed erano quei 5 minuti lì. Che cosa voglio dire? Voglio dire
questa cosa semplice e poi potrei anche piantarla perché dopo mi sembra che tutto il resto
sia conseguenza di questo. E vi ripeto, non prendeteli come i racconti dell’Albero degli
zoccoli, lo so che il contesto è diverso…c’è internet, so benissimo… dopo tutto insegno,
eh? Sto con ragazzi che si ubriacano, che fan sesso in un modo così selvaggio,
disordinato… lo so, lo so, si fermano a casa mia, li invito, ci discuto, ci parlo, ho qui delle
lettere, se volete ve ne leggo tre, da un certo punto di vista spaventose, cioè non sono un
ingenuo e non sono un buonista, ma a me sembra che quel principio, anzi, proprio per la
situazione in cui viviamo oggi, quel principio valga ancora di più. Se volete lo ritrovate
andando a leggere il libro del Deuteronomio, capitolo sesto, la parte finale, meravigliosa,
spiegata benissimo in questo libro che poi potrete prendere all’uscita. È una pagina che
dovete conoscere e che dovete leggere sempre. Due anzi sono le pagine, questa e l’altra
che qui accenno brevissimamente che è quella del figliol prodigo, ma questa del
Deuteronomio è impressionante perché dice così: “quando in avvenire tuo figlio ti
domanderà: che cosa significano queste norme e queste leggi che il Signore vostro Dio vi
ha dato?”. Traduciamolo in termini laici: quando tuo figlio ti domanderà “caro papà, cara
mamma, ma perché dovrei fare quello che mi dite? 12 anni, 15 anni, 16 anni… ma perché
dovrei essere onesto? Ma chi ha detto che bisogna far fatica? Chi ha detto che bisogna
lavorare? Ma lavora tu, ma la fatica l’hai fatta tu, perché dovrei farla anch’io? Ma chi ha
detto che devo andare in Chiesa? Chi ha detto che devo essere casto? Chi ha detto che
devo essere buono? Chi ha detto che non bisogna rubare?”. Quando tutto il mondo almeno questo è il sentimento che hanno per colpa di quella infernale categoria che sono i
giornalisti, se volete ne discutiamo- quando hanno l’impressione di un mondo così di
merda (che lo dicono in continuazione, è la parola che ricorre di più quando devono
giudicare quello che vedono, ok?) in un mondo che loro sentono così, perché dovrebbero
fare diverso? Perché dovrebbero fare come dici te, papà? Guardate che a volte la fanno, a
volte non la fanno, ma questa è la domanda, quella con cui vi guardano, ci guardano
sempre. Anche a 18 anni ci guardano. Voi cosa rispondete? Cosa rispondete? Guardate
che dobbiamo rispondere a questa domanda! Noi cosa rispondiamo? Perché bisognerà
dargli una ragione per fare tutta questa fatica! Per opporsi a un mondo che li tirerebbe da
un’altra parte, per dargli la forza, pensate, di uscire dal branco, per sentirsi isolati, tagliati
fuori, solo perché hai una famiglia cattolica che ti dice certe cose o una famiglia con due
dita di cervello, cosa gli dite? “Devi far così perché sono tuo padre?!” Diteglielo, poi mi
raccontate…”devi far così perché l’ha detto Don Mario?!” Buongiorno! Adesso è più di
moda: “è scritto nella Costituzione: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro!”. Cosa gli
dite? Cosa gli diciamo? La Bibbia risponde così: “tu dirai a tuo figlio così- vado a memoria
- Eravamo schiavi del Faraone in Egitto, di là ci ha attratto il Signore con mano grande e
potente e ci ha dato la terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Così noi oggi
osserviamo le regole, le norme che il Signore nostro Dio ci ha dato per essere felici come
appunto siamo oggi”. Che risposta è? Per essere felici come appunto siamo oggi. Capite
cos’è “l’aria che tira”? E’ che tu dovresti poter dire a tuo figlio: “caro figlio guarda, siamo
nella stessa barca, è vero. Anch’io sono venuto al mondo come te, con lo stesso desiderio
di felicità che la vita fosse un po’ buona, fosse bella, che valesse la pena sta fatica del
vivere. E guarda ci abbiamo provato; abbiamo cercato…e poi ho trovato la mamma, ci
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siamo messi insieme a cercare e nell’esperienza che abbiamo incontrato - nel mio caso la
fede cattolica, ognuno di voi avrà la sua risposta - nel tentativo che abbiamo fatto con la
mamma la vita si è resa positiva, buona, bella. Siamo contenti; siamo contenti di noi,
siamo contenti di te, siamo contenti anche se piove…siamo contenti, siamo felici”. La
fregatura qual è? E’ che questa cosa non la puoi dire perché è una cosa che o c’è o non
c’è. Non è che c’è perché la dici. O c’è o non c’è. Se c’è bisogno di dirla è un problema;
perché un cuore contento, una madre contenta, due genitori contenti… c’è bisogno di
dirglielo? Lo sa benissimo. Lo sa benissimo. Il problema è proprio questo, che sono lì che
ci guardano e ci chiedono disperatamente di dare testimonianza. Insomma è l’episodio
che racconto sempre. Ed è quando io ho cominciato, quando io ho capito cosa fosse
l’educazione. Mio figlio. Domenica pomeriggio. Correggo i compiti. Come sapete la
correzione dei compiti di domenica pomeriggio provoca attacchi di sonno che
potrebbero…i medici per chi soffre di insonnia dovrebbero dare tre temi da correggere
invece delle pastiglie, che è uguale! Io ero lì a correggere i temi. Mi abbioccavo
continuamente. Poi mi sveglo di colpo, insomma, in uno di questi risvegli improvvisi - io poi
ho un tavolo grandissimo in sala - vedo là in fondo al tavolo gli occhi di mio figlio Stefano, il
primo - io ho 4 figli maschi, Dio mi ha benedetto anche in questo! - Vedo gli occhi di mio
figlio, il primo, e la cosa che mi ha impressionato è che era lì che mi guardava e non mi
chiedeva niente. Cioè si era avvicinato al tavolo, guardava suo padre, è da lì che mi è nata
questa fissa sullo sguardo, mi guardava, ma non mi è venuto incontro per chiedermi da
mangiare, da bere, da dormire, da giocare, il vestito…no, mi guardava e basta. Io lì sono
restato trafitto; sono stato trafitto perché mi ha attraversato il cervello l’idea che in quello
sguardo, esattamente come nello sguardo di quel bambino di 2 mesi, in quello sguardo
mio figlio mi stesse chiedendo silenziosamente una cosa, ma terribile. Io mi sono sentito
fare in quello sguardo una domanda di questo tipo: “papà, assicurami che valeva la pena
venire al mondo…dopo il resto va. Patiamo anche un po’ di fame insieme che è uguale,
ma ti prego, ti prego, testimoniami che valeva la pena venire al mondo, una ragione buona
per esserci, per la vita”. Questa è La questione educativa. Io ho cominciato a sentirmi
educatore quel giorno lì. A parte che non sono più riuscito a entrare in classe senza
sentirmi addosso 30 occhi che mi dicevano esattamente questo, perché è uguale. Da
questo punto di vista fare l’insegnante è uguale. Va bene l’italiano, la fisica… va bene
tutto, ma perché? Perché questa fatica di imparare se non per un gusto grande, se non
per una bellezza grande dentro cui mi chiami a entrare e mi chiami a partecipare. “Papà,
assicurami che valeva la pena venire al mondo”. Tutto il resto, secondo me, è
conseguenza di questo. Cioè un adulto comincia ad essere educatore quando si fa carico
di questa domanda. Quando sente questa domanda. E guardate che è una domanda
terribile non solo per il contenuto. È che ti inchioda, ti inchioda con le spalle al muro, siamo
tutti fregati. Perché, insisto, a una domanda così non puoi rispondere con un discorso. O
c’è questa ragione, o c’è la ragione per cui tu a te stesso e poi a tua moglie documenti che
la vita è un bene grande, che valeva la pena venire al mondo o non puoi farne oggetto di
una risposta intellettuale, non puoi farne oggetto di un discorso, non serve. Da questo
punto di vista e poi la pianto, ma due o tre link ve li devo assolutamente dare perché ci
sono delle conseguenze di questo che abbiamo detto stasera…Io assisto a scene da
insegnante, da amico di tanti amici, da padre perché ci sono passato io per primo…di
stupidate ne abbiamo fatte di clamorose. Ma quando vedi la mamma - sembra di vedere
un cartone animato - la mamma che con foga e ira cerca di - perché ne ha piena l’anima
giustamente, mamme non è che vi sto incolpando! Io sto solo cercando di avvertirvi
dell’inutilità di alcune cose! - la mamma che: “Bla bla bla”; “vieni qui!” e “Bla bla bla!!” e
non si accorge che semplicemente il figlio ha staccato l’audio - è come un pesce nella
boccia, capito? L’acquario! La guarda ma non ha l’audio - per cui non sente niente, niente!
E la mamma che se ne accorge: “ascoltami almeno quando ti dico….!!” Rincara la dose e
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l’audio si abbassa in modo terrificante! Perché il figlio, anche a 14 anni, sapete cosa sta
facendo? Non è vero che non vi sta ascoltando, il problema è che sta ascoltandovi
davvero. Cioè delle vostre parole non gliene frega niente. Ha ancora in funzione quel
sistema là, quell’apparecchietto là, quel desiderio là, che è sintonizzato sul vostro cuore.
Per cui lui, che delle parole se ne strafrega, sta ascoltando il vostro cuore e vi sta
disperatamente chiedendo se siete contenti della vostra vita, della vostra vita, della nostra
vita, e forse più disperatamente ancora vi sta chiedendo se siete contenti che lui esista, se
siete contenti che lui ci sia, non come vorreste voi, ma com’è. Qual ragazzo che mi ha
scritto: “Franco, la nostra generazione ha bisogno solo di una cosa, di un posto che non
abbia schifo e non abbia paura di quello che siamo”. Un altro che qui mi scrive “che bella
una casa dove si sta così bene che si può star male. Perché nella mia non posso star
male, perché se appena appena provo a star male arriva la mamma che vuole sapere
perché sto male - non lo so io, che vuoi sapere tu?- e dice: Ma come è possibile? E ti
lamenti anche? cos’è questa faccia, con tutto quello che faccio per te? Col papà che va a
lavorare tutto il giorno? E i sacrifici e blablabla…!!” E quello lì si sente strozzato dal mare
di sacrifici che questi due meravigliosi genitori fanno per lui e che lo tirano giù, lo tirano giù
e non ne può più, non ne può più… perché io credo…figuratevi se mi permetto di mettere
in dubbio che vogliate bene ai vostri figli, ma non datelo per scontato, non diamolo per
scontato. Voler bene è un casino, eh? È un casino. Bisogna imparare a voler bene,
bisogna stare attentissimi a voler bene. Avevo 16 anni quando sono stato chiamato dal
prete dell’oratorio, nascevano i primi centri estivi, quelle robe lì, e mi avevano dato una
quarta elementare, allora, tanto tempo fa, quando..non so se vi ricordate che ci fu
un’epoca, alle medie, in cui si studiava… tanti anni fa! E si facevano persino i compiti delle
vacanze, c’erano un quaderno, uguale da Trento a Messina; lo andavi a prendere dal
cartolaio del paese, si chiamava “quaderno dei compiti delle vacanze di prima” quello di
seconda, di terza…uguale dappertutto.. Mi danno questa quarta elementare. C’era già un
pochino di analisi logica, di analisi grammaticale…a un certo punto c’è la frase da
analizzare: “mia mamma mi vuole bene”. Attenti, faccio notare che la frase non era “mia
mamma fa la spesa, no: “mia mamma mi vuole bene”. Uno di questi ragazzini,
evidentemente un profeta, un genio in erba, sapete cosa scrisse? È un ricordo che mi è
venuto qualche mese fa su dal profondo perché me lo ero dimenticato. Sapete cosa
scrisse? “Mia mamma”: Mia = aggettivo possessivo, giuro! Io tanti anni fa nella mia foga,
nella mia libido docendi ho pensato a un mio errore di grammatica! Adesso so di che cosa
si tratta, è il più grande lapsus freudiano che io abbia mai visto in vita mia! Mia mamma mi
vuole bene. Mia=aggettivo possessivo. E’ questo il problema, per questo volevo intitolare il
libro “Lasciateli stare: dedicato a tutte le mamme d’Italia” perché le mamme lo vivono di più
questo rischio di stargli addosso in un modo che non va bene, e non va bene perché li fa
sentire gente che non va bene. E questa è la cosa più sbagliata che si possa fare, capite?
I nostri figli hanno bisogno che almeno in casa, almeno in famiglia, domini la bellezza, cioè
che ci sia qualcuno, almeno il papà e la mamma, insomma - adesso non voglio fare il
prete, ma credo di poter concludere così - se c’è un sinonimo della parola educazione può
essere solo la parola misericordia. Misericordia, perdono, cioè amore. Perché, fino a prova
contraria, sta scritto: “in questo sta l’amore: che Dio ci ha amati per primo mentre eravamo
ancora peccatori”. Noi invece non facciamo così. Anzi, io credo che l’abbiamo fatto tutti
una volta: quando li abbiamo messi al mondo. Perché quando io ho messo al mondo i miei
figli nessuno m’aveva garantito niente. Nè che sarebbero stati alti o bassi , maschi o
femmine, sani o malati, buoni, cattivi. Gratis. Un atto d’amore quasi come quello di Dio.
Puro, senza chiedere niente in cambio. La gioia che ci fossero e basta. La perdiamo… il
problema è che la perdiamo per strada, sostituita dalla gioia di quello che potrebbero
essere nella nostra testolina bacata. E allora succede, che nel tentativo di volergli bene, gli
mettiamo addosso continuamente come delle condizioni, e facciamo fatica a volergli bene
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per come sono. Diamo per scontato che gliene vogliamo, certo sono tua madre vuoi che
non ti voglia bene? Certo che ti voglio bene… e il tuo papà? Certo che ti vuole bene, con
tutti i sacrifici… però… ma quanto bene ti vorremmo io e papà se tu cambiassi, ma mica
tanto eh? Ma almeno le mutande al loro posto, che è una vita che ti dico, le mutande
sporche mettile…no..almeno la sufficienza, almeno la sufficienza che è 18 anni che le
maestre ci dicono che sei intelligente e non ti impegni, ma vuoi portare a casa sta
sufficienza maledetta?! Almeno quella! Solo che se tu tiri su un figlio per 18 anni dicendogli
che gli vuoi bene e quello poi lo dai per scontato, ma il bene - ci ho pianto anch’io, fateci
qualche lacrima anche voi che vi fa bene - ma tu il bene non puoi chiedergli che se lo
meriti, il bene è bene. Ragazzi, si alzi in questa sala chi ritiene di poter dire “io mi sono
meritato l’amore dei miei genitori, l’amore dei miei figli, l’amore della mia donna”. Se uno
ha la faccia di tolla di alzarsi e di dire “io me lo sono meritato” si alzi. Ma perché invece i
figli se lo devono meritare? Perché li trattiamo continuamente dicendogli “se tu cambiassi
allora si che potrei volerti bene”? Non è giusto. Guardate che chi mi conosce - ho parecchi
amici qui stasera - chi mi conosce sa che sono un insegnante terribile, quello che boccia,
quello che dà i 4, quello che sospende, quello che espelle dalla scuola, se ci fossero qui i
miei figli vi direbbero le sberle che hanno preso, non sto parlando di una smielosa
dolcezza, eh? Sto parlando dell’amore quello con gli attributi, quello virile, che sa che solo
in un perdono così il figlio troverà l’energia anche per cambiare le cose che deve
cambiare, perché se è un cretino è un cretino, non sto dicendo che deve andare bene
tutto, eh? Se è un cretino è un cretino, ma la possibilità di cambiare non l’avrà mai se non
partendo da quel punto lì, da uno che gli dice: io darei la vita per te, adesso, brutto cretino.
Cioè non nascondi niente, ma tu daresti la vita per lui adesso. Non domani se cambia,
adesso. Se vi fate raccontare tutte le storie delle comunità di recupero del mondo, vi
diranno così. Se leggete la storia di tutti i santi educatori del mondo, vedrete così. Se vi
racconto del mio incontro con Don Giussani, vi devo dire così. Un perdono. L’educazione,
che da questo punto di vista il Cristianesimo rende così vicina, così concreta, così
benedetta, così possibile, nasce come perdono, come misericordia, se no non comincia
neanche. Se no è la guerra di interessi contrapposti. E viene fuori tutto il casino delle
regole. “Avevamo pattuito…” questi qui sono così deficienti che non si ricordano quello che
fanno dalla sera alla mattina e ti tocca sentire, ai colloqui a scuola, ragionamenti di questo
tipo: “Avevamo pattuito due anni fa che avresti…” due anni fa?! Ma a un figlio di 15 anni
parlargli di due anni fa e parlargli dell’uomo di Neanderthal è uguale” “Avevamo pattuito!
Avevamo stabilito una regola in casa!” Tutte queste cose insomma, e questi non ne
possono più, e le regole ci devono essere, ma sono lo strumento non sono lo scopo. E ho
finisco provando a farvi due o tre raccomandazioni che mi sembrano preziose. Per
esempio, non abbiate paura di sbagliare. Per una ragione semplicissima: tanto sbagliate
comunque; e quindi aver paura di sbagliare rende ancora più difficili le cose. I vostri figli vi
perdonano tutto, più di quanto voi pensiate. E invece siate leali, cerchiamo di essere leali,
c’è una cosa che i nostri figli ci chiedono e non ci possono perdonare: l’assenza di
speranza. Cioè l’incapacità di rispondere a quella domanda là: “papà, valeva la pena
venire al mondo? Dimmi per favore, fammi vedere che un’ultima positività domina la vita.
Dopo sul resto ci capiremo, ci scazzotteremo, picchiami, fammi patir la fame, insomma ci
si mette d’accordo”. Non abbiate paura di sbagliare perché tanto sbagliate comunque;
secondo: i vostri figli hanno smesso di ritenervi perfetti a due anni e mezzo più o meno,
cioè hanno mangiato la foglia subito e non c’è niente di patetico e ridicolo come un
genitore che fa finta di essere perfetto. E poi se sbagliate, tranquilli, non abbiate paura,
fate come mio papà. Mio papà, quando arrivava a casa la sera alle sei, dopo il lavoro
d’inverno - figuratevi 10 bambini, 63 metri quadrati cosa doveva vedere - se era la
giornata…e si vedeva un mucchietto di vetri per terra, qualche ferito, qualche benda in
giro, tirava fuori la cinghia e il primo che gli passava davanti, patapim e patapum, patapam!
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Una volta è capitato a me. Venivo dal fare i compiti da un compagno. Entro. C’era mio
padre ed era uno di quei giorni lì.. non ho fatto in tempo a togliere la cartella ha cominciato
a menarmi, patapim e patapum! E stavo entrando! Mia madre che ha visto la scena è
corsa lì per difendermi: “Dario, Dario, cosa fai? Il Franco è appena entrato, non c’entra
niente!” Ma ne avevo già prese un tot… mio padre ha smesso di menarmi, mi ha messo
una mano sulla spalla e mi ha detto: “Va bene, mettile via per la prossima volta!” Non si è
scomposto di una virgola, capito? E io, che avevo patito una grave ingiustizia,
evidentemente, mi sono arrabbiato, ma non con mio padre: mi sono arrabbiato con me
stesso e ho imparato che bisogna essere molto veloci ad attraversare il pianerottolo in
certe giornate! Se non c’è aria, non è “aria che tira buona”, tu devi attraversarlo di corsa,
infilarti sotto il letto e prendere le misure della situazione! Ma secondo voi, mi è venuto il
dubbio che mio padre non mi volesse bene? O fosse ingiusto? Ma zero… zero, cioè si può
sbagliare. Secondo: state attenti alla scuola, non esasperatela…La scuola è uno
strumento, non è lo scopo. La scuola è uno strumento. Siate almeno coerenti. Se
insegnate a vostro figlio per 15 anni che innanzitutto tutti gli uomini sono uguali, neri, rossi,
gialli, bianchi - dopo in cabina elettorale si scrivono altre cose, ma insomma…. Tutti gli
uomini almeno come principio sono uguali - Secondo: tutte le professioni sono ugualmente
nobili, “l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro etc”… terzo: “mi raccomando la stima,
non disprezzate nessuno, bla bla”… poi però, poi però succede, dico, normalmente, che
se tuo figlio dopo la terza media va al classico, tu vai in giro per Lecco “Ah che mamma”,
“Signori, mio figlio… classico! Eh?” poi è un deficiente totale però fa il classico. Se tuo
figlio fa il tecnico, quelle robe lì, niente di che vergognarsi però insomma… sì, vai in giro
normale…se tuo figlio dice serissimo “vorrei fare un corso per cuochi” oppure per
parrucchieri la mamma per 2/3 mesi si guarda in giro un po’… alla sera, “ma Mario, dove
abbiamo sbagliato?”. Se per caso invece il figlio dice, come la storia bellissima di Gigino di
Don Camillo, se per caso il figlio dice: “papà voglio fare il meccanico” i genitori vanno in
analisi!! Vanno a farsi vedere perché è successo qualcosa di gravissimo! La scuola è uno
strumento. Piantiamola di farlo diventare lo scopo e il criterio di valore con cui i nostri figli
si sentono stimati o colti o perdonati o non perdonati. Non può essere così, la scuola è
importante però viene un momento dopo. Perché lo scopo è la felicità dei figli, non la
laurea, il risultato scolastico..e vi ripeto, vi parlo da insegnante che boccia, che passa il
giorno su questi temi, non sono superficiale, non sto dicendo fregatevene della scuola, lo
capite bene no? Anzi, vivetela bene, fino in fondo, responsabilmente, ma per quello che è,
cioè per uno strumento, non è lo scopo. Uno strumento importantissimo, ma strumento
della felicità dei nostri figli, per cui non gliela si può far odiare per 20 anni così, perché ce
l’hai sempre lì addosso, la scuola, il voto… ma, io queste mamme che notte tempo han
tormentato il marito rassegnato anche stavolta al non compimento dei doveri coniugali…La
madre ha ben altro da fare: e qual è il compito supremo? Ravanare notte tempo nelle
cartelle della figlia a leggere il diario, i segreti…no, adesso a leggerle il telefonino, in cerca
dei segreti perché “mia figlia non parla più con me!”. È ora, è diventata grande ormai! No,
non parla più con me… e allora un mese fa, 5 mamme, venute a questo tavolo arrabbiate
per aver fatto queste battute sono venute e sapete cosa mi hanno detto? Che avevano un
falso profilo da adolescenti in facebook per, nelle vie misteriose della rete, incrociare la
figlia e farsi dire quel che non le dice più! E poi uno si stupisce perché ogni tanto qualche
figlio accoltella sua madre, ma ditemi cosa dovrebbe fare? Se io fossi una figlia e scopro
mia madre in internet con un falso profilo per incontrarmi e farsi dire le mie cose…ma io
l’ammazzo!! Ma è legittimo, penso che sia nel Diritto Canonico!! Ma vi rendete conto?
Questa smania…un figlio trattato così non può respirare, deve star male, deve sentirsi
colpevole di qualcosa di terribile, per cui questa generazione di figli non si piace, non si
piace, non si perdona, non è mai andate bene, mai: né all’asilo, né a scuola, né con le
suore, né col prete, né col papà, né con la mamma… non sono mai andati bene, a 18 anni
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sono così tristi, cioè così convinti di non andare bene che si puniscono e diventano
violenti! Magari non violenti con l’esterno - ma c’è anche quello, il bullismo - ma molto di
più violenti con se stessi. E così dilagano fenomeni come l’anoressia, come quelli che..
sapete che ci sono quelli che si tagliano? Scoperta che ho fatto recentissimamente Si
tagliano col rasoio, con le lame del rasoio rubate al papà, donne, si tagliano, e diventa una
droga eh? “Mi taglio. Mi taglio perché se no non studio, sono così in tensione… quando mi
taglio un po’ sto meglio, riesco a studiare..” oh ragazzi, stiamo parlando di ragazzi così eh?
Si fan del male perché? Io credo perché c’è qualcosa di cui si devono punire non essendo
mai andati bene a nessuno, cioè non essendo mai stati perdonati, allora forse qualcosa ci
dobbiamo registrare. Mi spiego…Che la scuola sia il loro dovere, certo, che debbano
imparare, figuratevi, ho fatto l’insegnante per quello…ma non può essere questo mostro
che distrugge il rapporto con padre e madre e poi il rapporto con se stessi, e poi il rapporto
con il mondo…ma dove siamo? Per la scuola? Per la scuola? Il rapporto tra padre e
madre, perché dopo una settimana che sei in giro a lavorare arrivi a casa a mezzanotte,
non vedi l’ora di…la tua mogliettina, eh…no, no, la prima cosa: “il Marco ha preso 4 in
greco, e lo sai che lo Stefano…” tu dopo 10 minuti guardi tua moglie e dici: “ma sei
scema? Ma scusa una settimana che manco da casa…la scuola?! La scuola? Oh, manco
una settimana da casa… ma non hai niente di bello da raccontarmi? E non mi chiedi cosa
mi è successo in giro una settimana? E sai che dei figli non me ne frega niente? Eh,
amore, non me ne frega niente, domani parliamo della scuola, mi fai vedere le pagelle, ma
un momento dopo… guardami in faccia e dimmi cos’hai vissuto di bello questa settimana,
tu mia moglie! E io ti racconto le cose belle che ho visto! I voti, le pagelle, il registro, la
nota, ma vada via i ciap!” Ma non esiste, ok? Non abbiate paura di sbagliare, non
enfatizzate la scuola, non rimanete da soli. Perché da soli, oggi, non ce la si fa. E non
bisogna necessariamente fare grandi cose. Il trucco - e ho finito veramente - il trucco è
guardare noi per primi. Noi per primi. Se siete degli straccioni, va bene! potete fare i
genitori lo stesso, siete dei poveracci, un po’ anche…non posso dire le parolacce… ma
avete capito cosa voglio dire, andate benissimo. Il problema non è continuare a dire al
figlio “diventa come me”, io ho continuato a dire ai miei figli “fate un po’ meglio, se riuscite
a fare un po’ meglio dai datevi da fare”. Il problema è che se tu hai visto il mare, il tuo
compito di educatore è facile, continui a gridare: “c’è il mare, ragazzi c’è il mare!” io sono
un cretino, ho tutti i peccati del mondo, tutti i vizi capitali, tutti e sette, sarò un cretino,
sbaglio quando… ma c’è il mare! L’educatore non è quello che la fa giusta tutte le volte, è
quello che grida: “C’è il mare ragazzi, il mare! Per voi!” e quando lo dice, siccome l’ha
visto, qualcosa del mare gli brilla negli occhi, e allora sarà anche un cretino ma il bambino
che lo guarda e vede il riflesso del mare negli occhi e allora gli crede e va a vedere.
Perché quello lì gli insegna, gli insegna la direzione. C’è il mare, basta. Possiamo dire tutti
insieme, ciascuno di noi può dire ai propri figli, ai propri alunni: “Ragazzi c’è il mare!” io
sono un cretino, un poveretto, non guardate me, non guardate me, ma c’è il mare. C’è il
mare da guardare, basta. Fate questo e li educate. Quando quella volta dissi ai miei figli
per ridere: “ragazzi tra 15 giorni è il giorno dei Santi, andiamo a trovare un Santo?”
pensavo di dire una cavolata, di fare una battuta cretina, invece mio figlio Andrea, secondo
anno di università, mi disse: “Bravo papà! Bell’idea!” e io gli dico: “Perché tu conosci dei
Santi?” ma mi sembrava proprio… e lui mi ha risposto: “Si, conosco un Santo. Conosco un
Santo, abita nella tal città, 300 km da Bergamo, è malato, ha un tumore, è un mio amico,
l’ho conosciuto al lavoro, andiamo a trovarlo papà, quello li è un Santo!”. Io ormai l’avevo
fatta, ho preso il telefono e dico “Signora, mio figlio dice così di suo figlio e vorrebbe che
venissimo a trovarlo, possiamo?”. Sta mamma entusiasta: “assolutamente sì! Venite”. Così
il primo novembre abbiamo preso su la macchinina, con 4 figli, con la moglie e siamo
partiti. Abbiamo passato la giornata in casa di questo ragazzo, che è morto a gennaio, due
mesi dopo. La giornata l’abbiamo passata con lui e quando abbiamo mangiato l’han
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portato su un lettino perché era paralizzato completamente, non poteva più nemmeno
parlare, però muoveva un braccio, poteva scrivere. Durante il pranzo la mamma ha
ricevuto una telefonata, e si sente lei che rispondendo al telefono e dice all’amica: “ah,
sapessi, è stata una settimana d’inferno” - si riferiva al fatto che fosse stata una settimana
durissima, il figlio dentro e fuori dall’ospedale- Il figlio si agita, si fa portare carta e penna.
Sapete cos’ha scritto? Avendo sentito sua madre dire “è stata una settimana d’inferno”,
sapete cos’ha scritto? Ha scritto: “parla per te”. E’ morto due mesi dopo. In quella giornata
non abbiamo fatto niente, ma io vi giuro che ho un ricordo qui, quella sera io, senza farmi
vedere troppo, ma ho quasi pianto tutto il viaggio le due ore ad andare a casa perché mi
ha commosso fino alle lacrime questa considerazione: che quel giorno non avevo fatto
prediche, non avevo detto niente, eravamo stati insieme in questa casa, basta. Ma io
quella sera, portavo a casa una famiglia diversa da quella che era uscita di casa al
mattino. Ma diversa tanto, eh? Perché tu non passi una giornata così con 4 figli a vedere
una cosa così, a partecipare di un dolore così, e di una speranza così e poi è tutto uguale.
Tu cambi. Io quella sera ho portato a casa un’altra famiglia, un’altra donna, altri figli diversi
e un diverso io. Beh, questa è l’educazione. In questo senso è facile. Richiede solo un po’
di sacrificio, soldi, tempo, la domenica, le ferie. Cioè proprio come usi le cose, ma è facile.
Non credete a chi vuol farvi credere che ci vuole l’equipe per educare, sono tutte cavolate.
Andate benissimo voi. Siete i genitori migliori per i vostri figli. Ma abbiate questo coraggio
e questa lealtà di rispondere a quella domanda famosa. Tutto il resto è facile, solo da far
vedere. C’è tanto di quel bene nel mondo che basta alzarsi, guardarsi intorno e portare i
figli a vederlo. Basta.
Bianca Brambilla:
Credo che ci siamo sentiti tutti molto provocati e abbiamo sentito anche molto leggere le
esperienze che ognuno di noi fa tutti i giorni nella propria famiglia o comunque nel proprio
compito, nella propria responsabilità educativa. Abbiamo un po’ di tempo se qualcuno vuol
giocare la sua esperienza…Perché, anche l’ultima cosa che diceva di non rimanere da
soli…credo che questa sera sia un’occasione davvero bella e importante per questo, di cui
far tesoro. È come un’occasione speciale perché davvero tante volte si rischia di rimanere
soli, no? Quindi, questo poco tempo che abbiamo adesso utilizziamolo così, per mettere in
comune anche la nostra esperienza.
Intervento:
A proposito del non rimanere da soli, volevo un chiarimento su dove finisce il ruolo della
famiglia e inizia il ruolo della scuola, che secondo me non è così chiaro sempre…con la
scuola ci possiamo interfacciare e farci dare una mano.
Franco Nembrini:
Sì, torno domani! Il tema è vastissimo..dico solo una cosa: è un’alleanza possibile.
Bisogna stare attenti a rompere questo circolo vizioso, questo corto circuito in cui da anni
ci rompiamo le scatole, per cui la famiglia dà la colpa alla scuola, la scuola dà la colpa alla
famiglia, quando sono insieme danno la colpa alla società. E non se ne esce mai. Con
qualche puntata contro i preti e gli oratori. Fine, basta. Ormai non funziona più, cioè io
credo che la famiglia sia in crisi…cioè stiamo vivendo un momento che ha paragone solo
con quando sono arrivati i barbari e hanno spianato tutto, non è rimasto su niente. Però
qualcuno ha detto “no, io una vita così non la faccio, io mi metto con tre amici, andiamo su
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nel Resegone, troviamo una straccia di caverna ma andiamo a vivere dignitosamente,
trattandoci da uomini”. Oggi una famiglia cristiana è una roba così, è un piccolo
monastero. Una scuola che sta a quel che abbiamo detto stasera, è un monastero
benedettino vero e proprio, dove si conserva… mi sembra che il problema sia “basta con
queste polemiche”; bisogna che qualcuno cominci a dire “io ci metto su la pelle, come
posso, come riesco, con le energie che ho, con le capacità ma io alla barbarie non ci sto.
Io voglio 4 amici coi quali potersi guardare in faccia e vivere all’altezza del nostro
desiderio, così che i nostri figli abbiano dei genitori che vivono all’altezza del loro
desiderio. Io ci sto. Con o senza moglie io ci sto”. Perché se no non ne veniamo più fuori.
Siete qui metà di mille. Lecco non è poi New York, ma se tutti voi domani mattina doveste
andare in giro per Lecco - parto da dove ho cominciato l’articolo là della mamma che canta
- se andate in giro, siete qui in quanti 500, 600, cantando invece che maledicendo la
giornata, giuro, giuro che il giorno dopo ne parlerebbe il Corriere della Sera. Perché i
ragazzi, gli sfigati, figli vostri e degli altri in giro nelle piazze, sulle panchine a farsi le
canne, da domani mattina comincerebbero a dire mentre passa il vigile e fischia “beato lui
che è contento” assa il postino e fischia, due mamme fischiano, il negoziante fischia…”ma
cos’è successo ai nostri adulti che sono diventati contenti di essere al mondo?” Avreste i
ragazzi di Lecco, tutti, che parlerebbero di questa cose. “Hai fatto caso che i vigili
fischiano? Ci hai fatto caso che il prete fischia? Persino la maestra fischia”. 500 adulti
contenti della vita che si mettono insieme…capite che cambierebbe “l’aria che tira” a
Lecco? E i vostri figli se ne accorgerebbero. Adesso è un esempio un po’ come mi è
venuto, ma si capisce? Bisogna che qualcuno dica io ci sto. Se si fa così giuro che nella
scuola dei tuoi figli ci sarà un insegnante che – tu ne accorgi subito, gli uomini vivi si
incontrano- Te vai a scuola, collegio docenti, ma ti accorgi che uno è della tua razza, è di
quelli che dicono “io non ne posso più, io voglio vivere all’altezza”. Ti metti con quello lì,
non sarà tutto il consiglio, non sarà il collegio, il consiglio d’istituto, ma voi due cominciate
e allora si discute e le cose tornano, non tornano a posto però la scuola ricomincia a fare
la scuola che è un mestiere, e i genitori ricominciano a fare i genitori che è un altro
mestiere e non sono da confondere. Ma alleati sì. Sovrapposti e confusi no, ma alleati sì.
E poi se ti guardi in giro cominci a dire “però! Neanche tutte le scuole sono uguali, forse
una scuola paritaria, che organizza una serata come questa, i cui insegnanti mi dicono, noi
ci proviamo se ci state… forse ha qualcosa di più da dare a mio figlio, è una cosa di cui c’è
bisogno”. Forse sarebbe anche quella cosa che se la scuola statale la guardasse, avrebbe
molto da imparare per tornare a essere scuola. Forse una scuola paritaria va difesa, anche
politicamente, anche economicamente. Forse dei sacrifici, anche se siamo in crisi, val la
pena farli, per mandare i figli alla Traccia o a Lecco fa scuola. Forse val la pena. Certo se
siamo qui a dirci queste cose e poi il sacrificio, mi vien da dire, di salvare l’anima ai figli,
non è abbastanza motivato facciamoci qualche domanda, parliamone insomma. Si
capisce? Sono scelte coraggiose queste da fare, non da poco. L’altro giorno, rispondendo
a una mamma “val la pena? 4.000 euro all’anno sono tanti, con la fatica che si fa…” io non
ci ho più visto e le ho detto: “ma mi scusi signora, se suo figlio, intanto che lei è qui, è in
giro con il motorino e, facciamo un esempio, fa un incidente, fracassa una gamba…La
chiamano; lei corre in ospedale e il medico le dice “suo figlio perde una gamba. Non c’è
niente da fare”. E lei si rassegna e dice “osti domani mattina amputano la gamba di mio
figlio”. E invece, a mezzanotte, suo nipote in America, saputa la cosa, la chiama e le dice
“Maria, non è vero! Nel mio ospedale qui in America c’è uno che, se ho capito bene, la
gamba del tuo figlio l’ha può salvare. La salva. Prendi il figlio, caricalo su un aereo e
portalo qui! Certo l’operazione costa 1 milione di euro”. Signora, lei cosa farebbe? Il primo
pensiero quale sarebbe? Ma io dico che il pensiero di tutte le mamme che sono qui
sarebbe “caspita 1 milione di euro sono tanti, come devo fare? Se vendo la casa, se mio
marito lavora il doppio, se mi faccio prestare 500.000 euro da un amico, il resto faccio una
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piccola rapina che a questo punto è una cosa buona, forse 1 milione di euro lo tiro fuori!”.
Dopo magari scopri che non ce la fa, ma il primo pensiero quale sarebbe? Trovare 1
milione di euro, o no? Ce la vedete una mamma che dice “1 milione di euro? Dai una
gamba..tanto ce ne ha due! Userà quell’altra, chi se ne frega! Andiamo a letto a dormire!”.
Ma ce la vedete una mamma così? Ma è possibile che se c’è di mezzo l’anima, l’anima e
la libertà dei nostri figli il problema sono i soldi? Guardate che io sono pieno di debiti, eh?
Non sono ricco, mio padre era pieno zeppo di debiti, non era ricco. Solo che era uno che
quando alla fine del mese faceva i conti e c’aveva lì il libro del panettiere da pagare 3 anni
indietro, si metteva lì e quando abbiamo incontrato Comunione e Liberazione e Don
Giussani ci spiegava cos’è il fondo comune, cioè un piccolo contributo che ognuno dà per
la necessità di tutti, mio padre scriveva prima il fondo comune, poi da mangiare, le
spese… e io una volta gli ho detto “ma papà, non vedi come siamo conciati? Cosa continui
a pagare sto fondo comune? Ma ti rendi conto?”. E lui mi rispose: “ma scusa eh, questa
cosa qui, è la cosa per cui siamo al mondo Franco! Siamo mica qui al mondo per
mangiare e per bere come le bestie; mangiare e bere si può mangiare e bere un po’ di
meno, ma l’anima può vivere un po’ di meno?”. Siccome io sono figlio di uno così mi
permetto di dirvi così. Possibile che per una gamba ammazzeremmo il mondo e per
l’anima dei nostri figli facciamo più fatica, ci mettiamo lì a fare i conti? Almeno pensiamoci,
lancio questo appello.
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