Sbobinatura incontro con Franco Nembrini
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Sbobinatura incontro con Franco Nembrini
“La Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza” Incontro con Franco Nembrini Aula Magna Ospedale (Lecco) – 13 marzo 2013 Francesco Zamperini (presidente del CELAF) Buonasera a tutti, innanzitutto complimenti a voi perché avete scelto di venire a trascorrere qualche ora con noi ed è una cosa che… Franco Nembrini: Gli è scappato: voleva dire un’ora! Francesco Zamperini il tempo che sarà necessario per soddisfare anche le vostre richieste. Noi siamo molto contenti di aver condiviso con la scuola questo tema “la Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza” perché, come abbiamo più volte sentito, oggi educare non è facile. Non è mai stato facile, ma oggi sembra essere sempre più difficile come sanno i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, e tutti coloro che in generale hanno dirette responsabilità educative. C’è questa mentalità diffusa e questa cultura che portano a dubitare del valore della persona umana e del suo significato stesso e quindi, in ultima analisi, anche della bontà della vita; e questo a volte comporta il dare un taglio negativo a queste tematiche. Sono particolarmente e personalmente contento che il taglio, il tema, sia in termini assolutamente propositivi e positivi “la Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza”, perché abbiamo tanto bisogno di messaggi positivi in questo contesto che comporta un senso di frustrazione e di malinconia. Noi siamo un consultorio famigliare, quindi siamo come Celaf un organismo che appoggia questo tipo di cose nel momento in cui si verificano alcune difficoltà, alcune patologie. Da qualche anno avendo messo insieme un gruppo di forze sufficienti, abbiamo investito molte risorse nei progetti di educazione alla salute. Tenete conto che lo scorso anno, attraverso i nostri progetti nelle scuole e nelle comunità per chi si prepara al matrimonio abbiamo avvicinato quasi 2500 persone. Io non ho nessuna intenzione di rubare il tempo al nostro relatore, consentitemi solo di ringraziare tutti voi che avete partecipato, le autorità che ci hanno fatto avere il loro appoggio, la Provincia e il Comune qui presente con un presidente di commissione e quindi anche con una presenza operativa, il sig. Rizzolino con cui potremo anche fare magari qualche passo successivo, ringrazio anche la ASL che ci ha dato la possibilità di realizzare questo progetto. Eventualmente poi dopo ci risentiamo a conclusione e quindi io passerei direttamente la parola alla professoressa Bianca Brambilla. Bianca Brambilla (direttrice scuola secondaria di primo grado “M.Kolbe” di Lecco) Buonasera, io sono molto contenta questa sera di presentare il professor Franco Nembrini che è docente di letteratura, rettore di una scuola paritaria e grande estimatore e conoscitore di Dante, potrei aggiungere ma mi fermo qui. Ma per noi la cosa importante è che da sempre per noi è un amico e un maestro; da quando, tanti anni fa, all’inizio della storia della nostra scuola, che quest’anno compie 30 anni, assieme alla Cooperativa “Nuova Scuola” che l’aveva fondata ci recammo a Calcinate perché avevamo sentito parlare di questa scuola giovane che era appena nata. Siamo andati lì per imparare a far maturare quel germe che avevamo proprio appena appena piantato. Poi qualche anno fa 1 (penso che parecchi di voi se lo ricordino) abbiamo avuto un incontro al Teatro della Società di Lecco e il professor Nembrini durante quest’incontro fece un intervento davvero molto appassionato in cui disse che nell’educazione è fondamentale, è essenziale “l’aria che tira”: che è essenziale educare, educare i giovani a un luogo, a un clima, a uno sguardo che li spalanchi a giocarsi da protagonisti dentro la società e a giocarsi da protagonisti innanzitutto dentro la propria vita. Certamente quella sera siamo venuti via ancora più rafforzati nel capire che l’educazione non è un problema dei giovani, ma l’educazione è innanzitutto un compito e una responsabilità di noi adulti. Siccome per tanti di noi questa “aria che tira” è diventata una cosa che ci diciamo spesso quando ci incontriamo e ci è rimasta dentro, allora volevo riprendere e rilanciare questa domanda sul tema della serata. Il tema è “la Famiglia: un luogo che educa alla Bellezza”. Allora vorrei proprio chiederti di aiutarci a capire come la famiglia è un luogo dove c’è “un’aria che tira”, che gioca la libertà del ragazzo. Come dentro la famiglia si può aiutare, si può sostenere il giovane ad aver cura della sua libertà e a giocare la sua libertà? Come si può testimoniare un’aria che tira che educa alla bellezza, che educa al senso delle cose? Perché educare alla Bellezza è educare al volto vero delle cose, no? E come può essere la famiglia il luogo dove un ragazzo può dire “io sto bene”, ma non perché non faccio fatica e tutti si danno da fare a spianarmi la strada per risolvere i problemi, ma perché “io sto bene” dentro la famiglia perché la famiglia mi lancia a diventare più uomo? Queste sono un po’ le domande che mi sono venute ripesando appunto a quell’aria che tira che ci aveva così mosso e mosso a cambiare. Franco Nembrini Bene, proviamo. Grazie dell’invito naturalmente. Sono stupitissimo dell’afflusso eroico di tante persone. Non so bene da che parte cominciare ma la risolvo in fretta, faccio subito lo “spottone pubblicitario” pazzesco, così almeno non mi vergogno di farlo dopo tra le righe. Ho scritto un libro: in realtà non l’ho scritto, nel senso che non ho mai scritto libri. Ma le battute iniziali mi servono per cominciare. Ho scritto un libro che in realtà non ho scritto, l’hanno scritto altri, ma mi interessa dirvelo perché c’è una storia legata al titolo di questo libro che vorrei in una battuta raccontarvi e poi forse vale la pena che cominciamo dal leggervi la dedica che ho voluto fare in questo libro che mi sembra che ci possa aiutare a entrare senza tanti fronzoli nel cuore della questione. Prima permettetemi di dire una cosa che, nel caso ci fossero dubbi, voglio chiarire subito: non sono un esperto di educazione, cioè non è che ho scritto un libro perché avevo delle idee particolari o geniali sull’educazione. Dico un sacco di cose intelligenti, ma non perché mi sono messo lì a pensarle, mi serbo di dire un sacco di cose intelligenti nel senso che ho tanto da raccontare. Tanto da raccontare: nel senso con la casa editrice fui convinto da alcuni amici che avevano raccolto delle conversazioni come quelle di stasera (ne avevano lì un pacco così, le avevano prese e emendate da parolacce insulti e da tutte le cose che non si devono mettere in un libro) a metterle in ordine e ne è venuta appunto questa raccolta di chiacchierate che ho avuto appunto l’occasione di fare nelle scuole, a volte a degli studenti, a volte a dei collegi docenti, a volte a famiglie come stasera. Quando con l’editrice si è trattato di decidere che titolo dargli, io avevo proposto il titolo “Ho visto educare” ma proprio per questa ragione: perché mi sembrava che un titolo così “ho visto educare” rendesse maggiormente giustizia del contenuto. Io non ho niente da insegnare a nessuno, ho visto delle cose, ho visto delle cose come figlio, ho visto delle cose come padre, ho visto delle cose come insegnante (dopo 36 anni di insegnamento nelle superiori, nello Stato per intenderci, perché ho collaborato alla fondazione di quella scuola che veniva citata prima, la Traccia di Calcinate, ma continuando a fare come professione l’insegnante di Italiano e Storia negli Istituti tecnici statali di Bergamo). Poi però mi hanno 2 detto: “Ho visto educare” (dai che è un bel titolo, è giusto, rispetta il contenuto!!) non va bene, è misterioso, è criptico (a me pareva così facile! “Ho visto educare”: dov’è la difficoltà?!) Allora ho detto: “sentite facciamo così: diamogli allora il titolo che mi piacerebbe tanto fosse il titolo del libro”. E loro mi dicono: “Quale potrebbe essere?”. E io gli ho detto: “secondo me, io lo intitolerei Lasciateli stare. Sottotitolo: Dedicato a tutte le mamme d’Italia. (Poi se volete vi spiego perché alle mamme) “Lei è un deficiente, non se ne parla neanche; un libro così è invendibile!”. Io gli ho detto “secondo me i deficienti siete voi, lo compreranno tutti i figli da regalare alla mamma!”. Credo che sarebbe stata un’operazione di marketing di grandissimo livello. Niente. Alla fine è venuto fuori “Di padre in figlio” copertina che ricorda non so se la Nutella o la Barilla, è andata così, abbiate pazienza.. Il contenuto invece è interessante, dicono che sia. Dicono che valga la pena. Lo leggerò anch’io durante queste vacanze. No, al di là di questo appunto… l’idea è proprio questa insomma, volevo chiarirvelo. Anche perché se devo essere sincero, a furia di andare in giro a parlare, semmai avessi avuto la presunzione di avere qualcosa da insegnare mi è passata. Mi è passata perché quando fai queste cose, quando ti capita di andare in giro a fare incontri come quelli di stasera so quanto dolore è presente in questa sala stasera. Quante storie di sofferenza, grande, quanti drammi…in alcuni casi quante tragedie portiamo con noi da genitori, da educatori, da gente che ci prova insomma a tirar grandi questi figli. Perciò di fronte a storie che posso immaginare…perché appunto ne ho sentite tante, che poi finisce che ti ferma la mamma, ti ferma il papà, ti scrive, ti scrivono i figli… vien su tutta la fatica, per cui figuratevi! su questo veramente figuratevi se ho la presunzione di aver qualcosa da insegnarvi…Invece mi sembra che raccontarvi degli episodi, dei fatti insomma, delle cose che in tutti questi anni mi sembra di aver raccolto da quel che ho visto possa essere utile anche a voi. E’ proprio l’offerta di alcune cose che mi sembrano fondamentali e che dico per averle viste vive, per averle viste accadere, per vederle ancora oggi accadere tra i banchi di scuola coi miei figli, o con i figli dei miei amici. Perciò, ecco, senza nessuna presunzione. Detto questo vi leggo la dedica che ho voluto fare a questo libro, perché mi aiuta a essere più sintetico rispetto alla preoccupazione che ho. Bianca l’ha già detto in realtà; perché quando ha detto che abbiamo capito insieme in questi anni che l’educazione è un problema dell’adulto e non dei giovani hai già detto “la questione”. Però proviamo a capirlo un po’ meglio. Io vi offro, vi offro qualche spunto di riflessione. Io questo libro l’ho voluto dedicare così: Ai miei genitori, Dario e Clementina, che mi hanno dato la vita e con essa il sentimento della sua grandezza e positività. Ecco può sembrare banale (per me non lo è mai stato e non lo è oggi) ma se io avessi scritto “Ai miei genitori, Dario e Clementina, che mi hanno dato la vita” punto, non andava bene. Non andava bene perché la vita l’hanno anche le capre e le galline, gli uomini fanno un’altra cosa. Tra l’altro mi viene da far subito questa precisazione: ho la presunzione di poter consegnare, di poter raccontare a chiunque queste cose che vi dirò stasera. Cioè, se voi mi diceste: “guarda che forse hai sbagliato, hai sbagliato riunione, quella dei cattolici era ieri sera, oggi siamo tutti atei, siamo tutti mangiapreti, miscredenti” è uguale. Vi direi le stesse, identiche, cose. Forse andando avanti capirete perché. Chiusa la parentesi. Perché questa cosa, per esempio, mi sembra vera, semplicemente vera, cioè di valore universale. Gli uomini non danno solo la vita in senso biologico, piaccia o non piaccia, che ne siamo consapevoli o no. Anzi il problema è proprio esserne sempre pienamente consapevoli. Piaccia o non piaccia, noi educhiamo. Cioè insieme alla vita diamo ai figli con essa, nel caso di mio papà e mia mamma “il sentimento della sua grandezza e positività”, ma diamo comunque un certo sentimento delle cose. Questa è la prima, grande questione. Dopo magari la provo a precisare, la seconda dedica che ho voluto fare è: A Clementina Mazzoleni…e mi commuove sempre questa idea: che si chiamasse Clementina la mia mamma e Clementina questa professoressa che ho avuto alle medie (aveva 23 anni, l’abbiamo festeggiata l’altro giorno. C’era un bel pezzo della 1^C del ’66 3 perché ha compiuto 70 anni; ci siamo trovati e lei si ricordava, si ricordava benissimo di tutti noi..) questa ragazza di 23 anni non ancora laureata a cui io qui scrivo:…mia professoressa di italiano a cui devo la passione per la letteratura e per l’insegnamento. Perché è stato così. Lei si ricordava che quando ho sostenuto l’esame di terza media alla fine sono corso da lei, le ho stretto la mano e le ho detto: “le giuro che diventerò un insegnante di italiano”; per la passione che lei mi aveva comunicato! E mi commuove la costatazione che fosse Clementina la mia mamma e Clementina…oh: a Bergamo non è pieno zeppo di Clementine! Non ne ho ancora viste altre! In questo ideale passaggio di consegna tra scuola e famiglia che questa coincidenza del nome mi ha sempre esaltato! E infine (per la storia mia personale è stato un incontro decisivo) A Don Luigi Giussani che a quel sentimento ricevuto in casa e a quella passione ricevuta a scuola ha dato la stabilità e la certezza della fede. In fondo, in questa dedica c’è tutto quello che vorrei raccontarvi, quello che vorrei dirvi… provo soltanto a spiegarvelo un po’. Dirvi perché, perché uno a 58 anni se pensa alla sua vita, se pensa alle cose decisive della vita, pensa a queste tre persone, queste quattro persone, e pensa a quello che hanno rappresentato per tutto il mio itinerario educativo, culturale, umano. È tutto in questi tre incontri e nello sviluppo poi che questi tre incontri hanno avuto. Allora torno, torno di nuovo sul primo, torno di nuovo sul primo per dire questa cosa che mi sembra quella cosa, ripeto, decisiva. Ho detto che noi educhiamo anche senza saperlo, senza neanche volerlo, perché è nella natura dei rapporti tra gli uomini, cioè funziona così. C’entra molto con quell’idea dell’aria che dicevi prima, non mi ricordo cos’avevo detto anni fa sull’aria che tira però l’idea mi pare che sia questa. Io mi ricordo benissimo che ho letto tanti anni fa (potrebbero essere 20/25 anni fa) un articolo sul Corriere della Sera. Era un articolo di uno di quelli che studiano il cervello, un neuropsichiatra infantile che faceva questa incredibile osservazione che mi si è stampata qui - tutto il mio ragionamento di stasera saranno 7/8 fotografie, che sono qui e hanno determinato la mia vita e la mia sensibilità. Una è questa- Questo neuropsichiatra in un articolo fa quest’osservazione che mi impressionò tantissimo. Diceva che un bambino pensate un bambino nel ventre di sua madre, cioè quando è ancora dentro, è un feto - un bambino che crescesse nel ventre di una madre per 9 mesi, nel grembo di una madre che cantasse, cioè che benedicesse la vita (cioè che fosse contenta lei di essere al mondo e fosse grata per l’amore del marito e fosse commossa quando vede il figlio più grande in giro per casa, e fosse intenerita al pensiero di quella vita nuova che porta in grembo, e per ciò cantasse) bene, diceva questo neuropsichiatra che quel bambino avrebbe buone probabilità di venire al mondo con un sentimento positivo delle cose. Delle cose, della vita, dell’essere. Un sentimento positivo della vita. Un bambino che al contrario passasse 9 mesi nel grembo di sua madre e la madre fosse arrabbiata perennemente, maledicendo le nausee, il marito che non la capisce, il figlio grande che rompe le scatole e magari maledicesse quella stessa gravidanza, diceva questo neuropsichiatra più difficilmente nascerebbe orientato a sentire positiva la vita. Ecco “l’aria che tira”. Quando dico che ciò che educa è “l’aria che tira” intendo questo. Se vale per il liquido amniotico vale infinitamente, non infinitamente di più (come si fa a dire di più o di meno?) vale almeno uguale quando esce. Perché quando esce… vedo qui due bambini piccolissimi, uno sembra che dorma, non dorme, appunto la mia tesi è sempre “sembra che dorme”, sempre. Quando tu lo porti a casa sto fagotto di 3kg e qualcosa e sei imbranatissimo (soprattutto noi maschietti ci rendiamo conto solo in quel momento che siamo in tre e non più in due, la mamma forse se ne è resa conto qualche mese prima) e arrivi a casa con sto fagotto di cui si dice, sbagliando, che non capisce niente…cioè questi due bambini qui in braccio alle loro mamme in prima fila silenziosi di quel che sto dicendo, secondo voi, capiscono qualcosa? No, è ovvio. Diremmo tutti “non capiscono niente”. E già molto se stanno zitti e non disturbano, giusto? È già molto. Ecco dovremmo pensare che stanno capendo tutto. C’è qualcosa di misterioso, che non so bene dire che cosa sia, forse 4 potremmo provare a dargli un nome, dategli voi il nome che preferite. Ultimamente, influenzato da Dante, mi piace la parola “desiderio”; potete più canonicamente seguendo il catechismo chiamarla “anima”, se siete laici chiamatela “ragione”, se siete..non so, chiamatela come volete. Ma c’è in loro quel qualcosa che li fa diversi dalla gallina e dalla capra. E questo qualcosa è una misteriosa capacità che da subito hanno, forse dal concepimento; anzi senza forse dal concepimento. Perché 2000 anni prima del Corriere della Sera, su un altro giornaletto c’è scritto che due signore, incinte, che si sono andate a salutare perché erano parenti, una cugina dell’altra, quando si sono viste i due bambini si sono messi a “fare casino”, si parlavano tra loro, si sono salutati: “ciao, esci te”. “No dai esci prima te, che sei il precursore; se no che precursore sei?!”. Insomma si sono messi a discutere e quindi, molto prima che la scienza lo scoprisse, sta scritto che nella pancia ci sono due persone che hanno molto da dire perché stanno imparando tantissimo. A me la cosa che fa più impressione è questa: questi due bambini di cui erroneamente diremmo “non capiscono niente” stanno capendo tutto. Tant’è vero che se tornerò fra tre anni e li avrete qui che gironzolano per la sala, mi direte sicuramente: “ma pensa che a un certo punto, quasi dalla sera alla mattina, ‘sti due deficienti che non capivano niente, si sono messi a parlare. E mettendo insieme soggetto, verbo e complemento, mettevano insieme le cose. Una settimana dopo che hanno cominciato a parlare, hanno cominciato a fare osservazioni sorprendenti, di quelle che i genitori restano senza fiato e dicono: “ma che figlio intelligente che c’abbiamo!”. Tutti pensano di avere come figlio Leonardo da Vinci, come minimo, perché dicono: “Ma pensa te, ma dove le avrà imparate tutte queste cose?”. Adesso! Le stanno imparando adesso. Ma non stanno solo - è impressionante - non stanno solo imparando parole, gesti, l’uso dei cinque sensi e tutto quello che si mette in moto nel corpo, nel cervello, tutti i meccanismi…stanno imparando una cosa ancora più decisiva: che cosa? Un sentimento della vita. Perciò, loro due mamme, che pensano poi di andare a casa e metterli lì…sapete quando fanno casino e finalmente si addormentano, dopo che hai dato l’ultima scrollata al carrozzino e finalmente puoi chiudere la porta e dici: “dorme, sì!” e senti: “Ueh!!”. Fino a che poi dorme davvero e tu dici: “finalmente dorme!”.. Ecco la mia tesi è semplicissima: non dormono; cioè dormono, ma intanto ci guardano; mangiano e ci guardano; ci guardano quando gattonano in mezzo ai loro giochini strani, presi da strani pensieri, in cui noi non riusciamo nemmeno a entrare - tant’è che facciamo versi da deficienti per provare a metterci nei loro “Ghiii ghiii” e tutte quelle robe lì- Loro ci stanno guardando sempre e andranno all’asilo e vi guarderanno. Ci guardano sempre. In questo senso “l’aria che tira” educa: perché continuano a guardarci. Se leggete la lettera pastorale di Benedetto XVI sull’educazione - del 2007 mi sembra - c’è un pezzettino che questa cosa la spiega in un modo mirabile, dice: “state tranquilli che i vostri figli vengono al mondo giusti, vengono a dire in un modo… vien da dire “fatti da Dio, fatti da Dio”; vengono al mondo con tutto quello che serve per vivere e per diventare grandi, perché vengono al mondo con le due cose che ho appena detto; cioè hanno bisogno di due cose per diventare grandi:che ci sia il mondo, cioè la realtà, le cose, il papà, la mamma…il mondo, la realtà che li attira, e il cuore, che è un’altra parola che può funzionare, quel motore che ho detto prima, questo desiderio per cui si muovono verso le cose. Sono attirati dalle cose e perciò mossi a guardare in continuazione, guardare o ascoltare insomma, ma mi piace di più il verbo guardare. Perciò, dice il Papa, guardate che i vostri figli vengono al mondo giusti, fatti bene e sanno fare benissimo il loro mestiere e cioè guardarvi. Vi guardano sempre. Se è così - e io credo che sia così - l’emergenze educativa, come è stato detto, non è un problema dei figli, è un problema degli adulti. Cioè il problema di quella che chiamiamo emergenza educativa si può formulare così: se i nostri figli vengono al mondo giusti, fatti da Dio, se il loro mestiere è guardare e lo sanno fare benissimo, il problema dell’educazione è che cosa vedono quando guardano, cioè noi, noi. La seconda osservazione che voglio fare è che, proprio per questo, mi pare di poter dire che - sto 5 cercando di sintetizzare - mi pare di poter dire che proprio per questo l’educazione che cos’è? Se è così, l’educazione che cos’è? L’educazione è una testimonianza; cioè - è uno slogan che uso da tanti anni, forse me l’avrete già sentito dire - il grande segreto dell’educazione sapete qual è? Non avere il problema dell’educazione. Uso una formula positiva invece che negativa. Ringrazierò sempre, per l’eternità - se la passeremo insieme, come spero, non perché dubito che ci sia Lui, ma perché dubito di andarci io in Paradiso ringrazierò per l’eternità mio padre di una cosa: che si è occupato della sua santità non della mia. Ci ha lasciato stare, non ha avuto la pretesa di cambiarci, non ha avuto la pretesa di portarci da nessuna parte. Il problema è che lui sapeva benissimo dove stava andando lui, e questo ce lo ha reso affascinante; ci ha fatto venire la voglia di andargli dietro senza discorsi e senza parole - un po’ perché sbiascicava si e no quattro parole in italiano, parlava poco, mia mamma parlava già un po’ di più, ma lui proprio poco - E poi se hai dieci figli, non è che hai tanto tempo per parlare. È nato il decimo che il primo aveva 15 anni. Faceva il meccanico…aveva il tornio insomma, faceva l’operaio; poi si è ammalato di sclerosi multipla e quindi la seconda parte della vita l’ha vissuta come bidello: quindi è stato un grande uomo di scuola. Mi ritengo un figlio d’arte, nel senso che probabilmente ha educato più lui da bidello che tantissimi insegnanti che aveva lì. E io l’ho visto tirar su dieci figli con questa magica, io non so come descrivervela, come dirvela, ma con questa leggerezza che condivideva con la mia mamma, non avevano il problema di farci diventare qualcosa. Gli andavamo bene così, si capisce? Si capisce o no? Tutta la tragedia, il “casino” che facciamo in educazione, il disastro che combiniamo, sono le idee che abbiamo, sono le nostre buone intenzioni, sono questa idea che abbiamo di sapere così bene qual è il bene dei figli da volerlo realizzare ad ogni costo. Quando io ho ritrovato, dopo un trasloco, un mio quaderno di seconda media e l’ho sfogliato, a un certo punto ho trovato una pagina che mi ha fatto piangere di commozione perché mi sono ricordato benissimo il giorno, l’ora, il contesto, la situazione in cu ho scritto quella pagina. Pagina… era una riga - non ho mai scritto molto, appunto - E mi sono messo a piangere perché mi è tornata in mente proprio la voglia che ho avuto quel giorno di scrivere qualcosa che dicesse questo che stavo vivendo: quella riga…in quella riga c’era scritto: “Signore fammi essere come mio padre”. Non so se fossi andato avanti se sarebbe stata una poesia o una canzone o una preghiera, boh…c’era solo il titolo “Signore fammi essere come mio padre”. Io adesso ho 58 anni e mi chiedo ancora oggi che cosa, che cosa in seconda media mi faceva desiderare così tanto di essere come mio papà. Ah, non fatemi l’obiezione: “a quei tempi”. Perché quei tempi erano incasinati di bestia, come quelli di adesso. Cioè il ’68, il casino, le discoteche, sesso, droga, rock and roll, c’era già tutto… il “casino” c’era già tutto ai tempi. Il grande strappo che ha messo un abisso tra 2000 anni di storia cristiana e la generazione successiva era già avvenuto, il disastro era già compiuto, quindi non sto parlandovi dell’Albero degli zoccoli, è chiaro? - Che peraltro ha qualcosa da insegnarci Insomma ma alla domanda “come facevo io in seconda media a desiderare così fortemente di essere come mio papà?” io adesso - allora no - adesso con più consapevolezza, mi sembra di poter tentare una risposta. Io volevo essere come mio padre perché sentivo, cioè vedevo, che mio padre sapeva le cose che nella vita è importante sapere, se no non vivi. E di importante da sapere cosa c’è? La matematica? Il latino? L’inglese? Dopo se vuoi parliamo di scuola, perché se no sembra che sto sparando sulla scuola! No, perché mio padre era un santo senza nessuna di queste competenze. Solo che mio padre sapeva del bene e del male. Del vero e del falso. Sapeva della vita e della morte, della gioia e del dolore, della salute e della malattia. Sapeva quello che bisogna sapere e senza il quale non puoi vivere. Questo io desideravo. Questo gli vedevo - attenti alle parole! - questo gli vedevo vivere. Non mi faceva le prediche su come bisogna vivere, lo viveva. Lo viveva, e con un’intensità, con una letizia, che non poteva non suscitare una curiosità, un interesse che poi vien messo alla prova da tante cose, non è 6 automatico - lo dirò alla fine: in educazione non c’è niente di automatico, di assicurato, di meccanico - Ma che interesse e che curiosità mi veniva quando vedevo mio padre così? Quando ci faceva pregare in un certo modo? Quando entrava in questa stanzetta con due letti a castello a tre piani? Perché era tutto un mobilio, la mamma metteva i vestiti nei sacchi della spazzatura dietro la porta - non c’era il posto per l’armadi - e lì, nella stanza dei sei maschi - poi c’era la stanzetta delle tre principesse, delle tre femmine, e il piccolino nel lettone - mio padre entrava. Ma non entrava per farci pregare, entrava per pregare. E sono due cose completamente diverse. Si capisce? Entrava, aggrappato al sua bastone perché aveva già la sclerosi, si metteva in ginocchio e cominciava: “Padre Nostro, che sei nei cieli…”. E noi - che eravamo lì che ci scazzottavamo, che tiravamo i cuscini, che facevamo la guerra, figuratevi sei maschietti su due letti a castello di tre piani , sembra il forte, tu fai delle guerre incredibili - noi ci si zittiva. Non entrava urlando dicendo: “zitti, si prega!”. Noi ci si zittiva perché, credo di poterlo dire adesso, perché ti veniva una domanda istintiva, radicale, qualcosa del tipo: “Ma chi si merita mio padre in ginocchio?”; cioè: “Chi è questo di cui parla, a cui parla? Chi si merita mio padre in ginocchio?”. Se tu hai questa stima di tuo padre, malato, che per tirarsi su dopo che si è inginocchiato doveva soffrire l’ira di Dio, chi si merita una cosa così? Era un po’ la domanda che mi veniva con mia mamma, uguale. Quando mia mamma…si capiscono questi aneddoti? Quando mia mamma mi chiamava - perché lei andava sempre a messa prima, mai perso messa in vita sua se non era in ospedale o malata - andava alla messa delle 5 - in realtà ce n’era un’altra alle 3, ma non figurava nel calendario parrocchiale, era la messa dei cacciatori, per cui c’era il prete con la doppietta appoggiata all’altare e la messa durava credo tra i sei e i sette minuti, e dopodiché partivano per la caccia! Ma quella non fa parte dell’orario parrocchiale! - La messa prima era quella delle 5. Mia madre andava a messa e spesso chiamava uno dei figli per accompagnarla. Quando chiamava me, era una roba.. era un onore, un’esaltazione infinita . Scivolavi fuori dal letto - che magari era la sera che si dormiva poco, cioè uno infilato da una parte, uno dall’altra, quindi sgusciar fuori senza svegliare l’altro era un’impresa - perché andavi a messa con la mamma. 4.30 della mattina. Con la neve fuori. Quinta elementare, quarta elementare. Ma io mi ricordo benissimo perché andavo, per due ragioni fondamentalmente: perché se andavi a messa prima con la mamma al ritorno, in latteria, c’era la cioccolata con la panna! La cioccolata con la panna non la vedevi neanche a Pasqua e a Natale e a San… Zero!! se andavi a messa prima sì! E uno vien su con molta semplicità, con un’idea importante però: e cioè hai una certa…una solida certezza sulla suprema convenienza della fede cattolica. Cioè che la fede non sia una cosa da sfigati cominci a impararlo così, no? Hanno cercato dopo le suore di togliermela quell’idea lì! Quando - sarà successo anche qui, sono terre uguali le nostre - quando andavi a catechismo e ti facevano fare sulla lavagna: “dividi la lavagna in due, scrivi tutte le cose che piacciono a Gesù”. Oh, non ce n’era una che piacesse anche a me! Poi: “Scrivi tutte le cose che dispiacciono a Gesù” …mi piacevan tutte! Allora uno dice: “osti ma allora la vita da cristiano è un po’ da sfigati”. Invece la mia mamma no. Ma la seconda ragione per cui andavo volentieri a messa era quell’altra cosa, simile a quella che succedeva con papà. Io questa cosa vi giuro me la ricordo come se fosse adesso. Mia madre è morta nell’85, a 60 anni. Quando si andava a messa, messa in latino, lei ti spiegava: “guarda quando succede così…diciamo una preghiera per i morti, per lo zio, per chi sta male, per i poveri...”. Ti guidava, e poi avveniva questa cosa misteriosa: che prendeva su, con il velo d’ordinanza, andava su e faceva la Comunione. Tornava giù e per 5 minuti mia madre non c’era più. Non c’era. Col volto buttato tra le mani, semi nascosta dal velo, in ginocchio, lei che era stata così premurosa fino a un momento prima, come se non gliene fregasse più nulla… il mondo intero non c’entrasse più. E io mi ricordo che ero piccolino, salivo sull’inginocchiatoio per riuscire a spostare il velo - piano eh, miga de ciapà un papina de quele…di trovarti tra i Santi sul muro - provavo a spostare il velo per vedere 7 con chi stesse parlando! Era la stessa domanda: chi si porta via mia madre? Di chi è in questo momento? Con chi sta parlando? Perché era interessante come domanda, perché tu poi lo vedevi bene, per tutto il giorno, che in quei 5 minuti era la fonte della sua letizia. Non l’ho mai, mai sentita lamentarsi. E se vi descrivo la vita che faceva faccio venire i capelli bianchi a tutti: con 10 figli, il marito malato, la lavatrice… tutte quelle robe lì…Andavamo a letto a dormire e la colonna sonora che ci accompagnava era il rumore della spazzola con cui al mastello lavava i panni. Ti addormentavi e sentivi “bruuuu…” per ore. Ma era lieta. Sempre. Ed erano quei 5 minuti lì. Che cosa voglio dire? Voglio dire questa cosa semplice e poi potrei anche piantarla perché dopo mi sembra che tutto il resto sia conseguenza di questo. E vi ripeto, non prendeteli come i racconti dell’Albero degli zoccoli, lo so che il contesto è diverso…c’è internet, so benissimo… dopo tutto insegno, eh? Sto con ragazzi che si ubriacano, che fan sesso in un modo così selvaggio, disordinato… lo so, lo so, si fermano a casa mia, li invito, ci discuto, ci parlo, ho qui delle lettere, se volete ve ne leggo tre, da un certo punto di vista spaventose, cioè non sono un ingenuo e non sono un buonista, ma a me sembra che quel principio, anzi, proprio per la situazione in cui viviamo oggi, quel principio valga ancora di più. Se volete lo ritrovate andando a leggere il libro del Deuteronomio, capitolo sesto, la parte finale, meravigliosa, spiegata benissimo in questo libro che poi potrete prendere all’uscita. È una pagina che dovete conoscere e che dovete leggere sempre. Due anzi sono le pagine, questa e l’altra che qui accenno brevissimamente che è quella del figliol prodigo, ma questa del Deuteronomio è impressionante perché dice così: “quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: che cosa significano queste norme e queste leggi che il Signore vostro Dio vi ha dato?”. Traduciamolo in termini laici: quando tuo figlio ti domanderà “caro papà, cara mamma, ma perché dovrei fare quello che mi dite? 12 anni, 15 anni, 16 anni… ma perché dovrei essere onesto? Ma chi ha detto che bisogna far fatica? Chi ha detto che bisogna lavorare? Ma lavora tu, ma la fatica l’hai fatta tu, perché dovrei farla anch’io? Ma chi ha detto che devo andare in Chiesa? Chi ha detto che devo essere casto? Chi ha detto che devo essere buono? Chi ha detto che non bisogna rubare?”. Quando tutto il mondo almeno questo è il sentimento che hanno per colpa di quella infernale categoria che sono i giornalisti, se volete ne discutiamo- quando hanno l’impressione di un mondo così di merda (che lo dicono in continuazione, è la parola che ricorre di più quando devono giudicare quello che vedono, ok?) in un mondo che loro sentono così, perché dovrebbero fare diverso? Perché dovrebbero fare come dici te, papà? Guardate che a volte la fanno, a volte non la fanno, ma questa è la domanda, quella con cui vi guardano, ci guardano sempre. Anche a 18 anni ci guardano. Voi cosa rispondete? Cosa rispondete? Guardate che dobbiamo rispondere a questa domanda! Noi cosa rispondiamo? Perché bisognerà dargli una ragione per fare tutta questa fatica! Per opporsi a un mondo che li tirerebbe da un’altra parte, per dargli la forza, pensate, di uscire dal branco, per sentirsi isolati, tagliati fuori, solo perché hai una famiglia cattolica che ti dice certe cose o una famiglia con due dita di cervello, cosa gli dite? “Devi far così perché sono tuo padre?!” Diteglielo, poi mi raccontate…”devi far così perché l’ha detto Don Mario?!” Buongiorno! Adesso è più di moda: “è scritto nella Costituzione: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro!”. Cosa gli dite? Cosa gli diciamo? La Bibbia risponde così: “tu dirai a tuo figlio così- vado a memoria - Eravamo schiavi del Faraone in Egitto, di là ci ha attratto il Signore con mano grande e potente e ci ha dato la terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Così noi oggi osserviamo le regole, le norme che il Signore nostro Dio ci ha dato per essere felici come appunto siamo oggi”. Che risposta è? Per essere felici come appunto siamo oggi. Capite cos’è “l’aria che tira”? E’ che tu dovresti poter dire a tuo figlio: “caro figlio guarda, siamo nella stessa barca, è vero. Anch’io sono venuto al mondo come te, con lo stesso desiderio di felicità che la vita fosse un po’ buona, fosse bella, che valesse la pena sta fatica del vivere. E guarda ci abbiamo provato; abbiamo cercato…e poi ho trovato la mamma, ci 8 siamo messi insieme a cercare e nell’esperienza che abbiamo incontrato - nel mio caso la fede cattolica, ognuno di voi avrà la sua risposta - nel tentativo che abbiamo fatto con la mamma la vita si è resa positiva, buona, bella. Siamo contenti; siamo contenti di noi, siamo contenti di te, siamo contenti anche se piove…siamo contenti, siamo felici”. La fregatura qual è? E’ che questa cosa non la puoi dire perché è una cosa che o c’è o non c’è. Non è che c’è perché la dici. O c’è o non c’è. Se c’è bisogno di dirla è un problema; perché un cuore contento, una madre contenta, due genitori contenti… c’è bisogno di dirglielo? Lo sa benissimo. Lo sa benissimo. Il problema è proprio questo, che sono lì che ci guardano e ci chiedono disperatamente di dare testimonianza. Insomma è l’episodio che racconto sempre. Ed è quando io ho cominciato, quando io ho capito cosa fosse l’educazione. Mio figlio. Domenica pomeriggio. Correggo i compiti. Come sapete la correzione dei compiti di domenica pomeriggio provoca attacchi di sonno che potrebbero…i medici per chi soffre di insonnia dovrebbero dare tre temi da correggere invece delle pastiglie, che è uguale! Io ero lì a correggere i temi. Mi abbioccavo continuamente. Poi mi sveglo di colpo, insomma, in uno di questi risvegli improvvisi - io poi ho un tavolo grandissimo in sala - vedo là in fondo al tavolo gli occhi di mio figlio Stefano, il primo - io ho 4 figli maschi, Dio mi ha benedetto anche in questo! - Vedo gli occhi di mio figlio, il primo, e la cosa che mi ha impressionato è che era lì che mi guardava e non mi chiedeva niente. Cioè si era avvicinato al tavolo, guardava suo padre, è da lì che mi è nata questa fissa sullo sguardo, mi guardava, ma non mi è venuto incontro per chiedermi da mangiare, da bere, da dormire, da giocare, il vestito…no, mi guardava e basta. Io lì sono restato trafitto; sono stato trafitto perché mi ha attraversato il cervello l’idea che in quello sguardo, esattamente come nello sguardo di quel bambino di 2 mesi, in quello sguardo mio figlio mi stesse chiedendo silenziosamente una cosa, ma terribile. Io mi sono sentito fare in quello sguardo una domanda di questo tipo: “papà, assicurami che valeva la pena venire al mondo…dopo il resto va. Patiamo anche un po’ di fame insieme che è uguale, ma ti prego, ti prego, testimoniami che valeva la pena venire al mondo, una ragione buona per esserci, per la vita”. Questa è La questione educativa. Io ho cominciato a sentirmi educatore quel giorno lì. A parte che non sono più riuscito a entrare in classe senza sentirmi addosso 30 occhi che mi dicevano esattamente questo, perché è uguale. Da questo punto di vista fare l’insegnante è uguale. Va bene l’italiano, la fisica… va bene tutto, ma perché? Perché questa fatica di imparare se non per un gusto grande, se non per una bellezza grande dentro cui mi chiami a entrare e mi chiami a partecipare. “Papà, assicurami che valeva la pena venire al mondo”. Tutto il resto, secondo me, è conseguenza di questo. Cioè un adulto comincia ad essere educatore quando si fa carico di questa domanda. Quando sente questa domanda. E guardate che è una domanda terribile non solo per il contenuto. È che ti inchioda, ti inchioda con le spalle al muro, siamo tutti fregati. Perché, insisto, a una domanda così non puoi rispondere con un discorso. O c’è questa ragione, o c’è la ragione per cui tu a te stesso e poi a tua moglie documenti che la vita è un bene grande, che valeva la pena venire al mondo o non puoi farne oggetto di una risposta intellettuale, non puoi farne oggetto di un discorso, non serve. Da questo punto di vista e poi la pianto, ma due o tre link ve li devo assolutamente dare perché ci sono delle conseguenze di questo che abbiamo detto stasera…Io assisto a scene da insegnante, da amico di tanti amici, da padre perché ci sono passato io per primo…di stupidate ne abbiamo fatte di clamorose. Ma quando vedi la mamma - sembra di vedere un cartone animato - la mamma che con foga e ira cerca di - perché ne ha piena l’anima giustamente, mamme non è che vi sto incolpando! Io sto solo cercando di avvertirvi dell’inutilità di alcune cose! - la mamma che: “Bla bla bla”; “vieni qui!” e “Bla bla bla!!” e non si accorge che semplicemente il figlio ha staccato l’audio - è come un pesce nella boccia, capito? L’acquario! La guarda ma non ha l’audio - per cui non sente niente, niente! E la mamma che se ne accorge: “ascoltami almeno quando ti dico….!!” Rincara la dose e 9 l’audio si abbassa in modo terrificante! Perché il figlio, anche a 14 anni, sapete cosa sta facendo? Non è vero che non vi sta ascoltando, il problema è che sta ascoltandovi davvero. Cioè delle vostre parole non gliene frega niente. Ha ancora in funzione quel sistema là, quell’apparecchietto là, quel desiderio là, che è sintonizzato sul vostro cuore. Per cui lui, che delle parole se ne strafrega, sta ascoltando il vostro cuore e vi sta disperatamente chiedendo se siete contenti della vostra vita, della vostra vita, della nostra vita, e forse più disperatamente ancora vi sta chiedendo se siete contenti che lui esista, se siete contenti che lui ci sia, non come vorreste voi, ma com’è. Qual ragazzo che mi ha scritto: “Franco, la nostra generazione ha bisogno solo di una cosa, di un posto che non abbia schifo e non abbia paura di quello che siamo”. Un altro che qui mi scrive “che bella una casa dove si sta così bene che si può star male. Perché nella mia non posso star male, perché se appena appena provo a star male arriva la mamma che vuole sapere perché sto male - non lo so io, che vuoi sapere tu?- e dice: Ma come è possibile? E ti lamenti anche? cos’è questa faccia, con tutto quello che faccio per te? Col papà che va a lavorare tutto il giorno? E i sacrifici e blablabla…!!” E quello lì si sente strozzato dal mare di sacrifici che questi due meravigliosi genitori fanno per lui e che lo tirano giù, lo tirano giù e non ne può più, non ne può più… perché io credo…figuratevi se mi permetto di mettere in dubbio che vogliate bene ai vostri figli, ma non datelo per scontato, non diamolo per scontato. Voler bene è un casino, eh? È un casino. Bisogna imparare a voler bene, bisogna stare attentissimi a voler bene. Avevo 16 anni quando sono stato chiamato dal prete dell’oratorio, nascevano i primi centri estivi, quelle robe lì, e mi avevano dato una quarta elementare, allora, tanto tempo fa, quando..non so se vi ricordate che ci fu un’epoca, alle medie, in cui si studiava… tanti anni fa! E si facevano persino i compiti delle vacanze, c’erano un quaderno, uguale da Trento a Messina; lo andavi a prendere dal cartolaio del paese, si chiamava “quaderno dei compiti delle vacanze di prima” quello di seconda, di terza…uguale dappertutto.. Mi danno questa quarta elementare. C’era già un pochino di analisi logica, di analisi grammaticale…a un certo punto c’è la frase da analizzare: “mia mamma mi vuole bene”. Attenti, faccio notare che la frase non era “mia mamma fa la spesa, no: “mia mamma mi vuole bene”. Uno di questi ragazzini, evidentemente un profeta, un genio in erba, sapete cosa scrisse? È un ricordo che mi è venuto qualche mese fa su dal profondo perché me lo ero dimenticato. Sapete cosa scrisse? “Mia mamma”: Mia = aggettivo possessivo, giuro! Io tanti anni fa nella mia foga, nella mia libido docendi ho pensato a un mio errore di grammatica! Adesso so di che cosa si tratta, è il più grande lapsus freudiano che io abbia mai visto in vita mia! Mia mamma mi vuole bene. Mia=aggettivo possessivo. E’ questo il problema, per questo volevo intitolare il libro “Lasciateli stare: dedicato a tutte le mamme d’Italia” perché le mamme lo vivono di più questo rischio di stargli addosso in un modo che non va bene, e non va bene perché li fa sentire gente che non va bene. E questa è la cosa più sbagliata che si possa fare, capite? I nostri figli hanno bisogno che almeno in casa, almeno in famiglia, domini la bellezza, cioè che ci sia qualcuno, almeno il papà e la mamma, insomma - adesso non voglio fare il prete, ma credo di poter concludere così - se c’è un sinonimo della parola educazione può essere solo la parola misericordia. Misericordia, perdono, cioè amore. Perché, fino a prova contraria, sta scritto: “in questo sta l’amore: che Dio ci ha amati per primo mentre eravamo ancora peccatori”. Noi invece non facciamo così. Anzi, io credo che l’abbiamo fatto tutti una volta: quando li abbiamo messi al mondo. Perché quando io ho messo al mondo i miei figli nessuno m’aveva garantito niente. Nè che sarebbero stati alti o bassi , maschi o femmine, sani o malati, buoni, cattivi. Gratis. Un atto d’amore quasi come quello di Dio. Puro, senza chiedere niente in cambio. La gioia che ci fossero e basta. La perdiamo… il problema è che la perdiamo per strada, sostituita dalla gioia di quello che potrebbero essere nella nostra testolina bacata. E allora succede, che nel tentativo di volergli bene, gli mettiamo addosso continuamente come delle condizioni, e facciamo fatica a volergli bene 10 per come sono. Diamo per scontato che gliene vogliamo, certo sono tua madre vuoi che non ti voglia bene? Certo che ti voglio bene… e il tuo papà? Certo che ti vuole bene, con tutti i sacrifici… però… ma quanto bene ti vorremmo io e papà se tu cambiassi, ma mica tanto eh? Ma almeno le mutande al loro posto, che è una vita che ti dico, le mutande sporche mettile…no..almeno la sufficienza, almeno la sufficienza che è 18 anni che le maestre ci dicono che sei intelligente e non ti impegni, ma vuoi portare a casa sta sufficienza maledetta?! Almeno quella! Solo che se tu tiri su un figlio per 18 anni dicendogli che gli vuoi bene e quello poi lo dai per scontato, ma il bene - ci ho pianto anch’io, fateci qualche lacrima anche voi che vi fa bene - ma tu il bene non puoi chiedergli che se lo meriti, il bene è bene. Ragazzi, si alzi in questa sala chi ritiene di poter dire “io mi sono meritato l’amore dei miei genitori, l’amore dei miei figli, l’amore della mia donna”. Se uno ha la faccia di tolla di alzarsi e di dire “io me lo sono meritato” si alzi. Ma perché invece i figli se lo devono meritare? Perché li trattiamo continuamente dicendogli “se tu cambiassi allora si che potrei volerti bene”? Non è giusto. Guardate che chi mi conosce - ho parecchi amici qui stasera - chi mi conosce sa che sono un insegnante terribile, quello che boccia, quello che dà i 4, quello che sospende, quello che espelle dalla scuola, se ci fossero qui i miei figli vi direbbero le sberle che hanno preso, non sto parlando di una smielosa dolcezza, eh? Sto parlando dell’amore quello con gli attributi, quello virile, che sa che solo in un perdono così il figlio troverà l’energia anche per cambiare le cose che deve cambiare, perché se è un cretino è un cretino, non sto dicendo che deve andare bene tutto, eh? Se è un cretino è un cretino, ma la possibilità di cambiare non l’avrà mai se non partendo da quel punto lì, da uno che gli dice: io darei la vita per te, adesso, brutto cretino. Cioè non nascondi niente, ma tu daresti la vita per lui adesso. Non domani se cambia, adesso. Se vi fate raccontare tutte le storie delle comunità di recupero del mondo, vi diranno così. Se leggete la storia di tutti i santi educatori del mondo, vedrete così. Se vi racconto del mio incontro con Don Giussani, vi devo dire così. Un perdono. L’educazione, che da questo punto di vista il Cristianesimo rende così vicina, così concreta, così benedetta, così possibile, nasce come perdono, come misericordia, se no non comincia neanche. Se no è la guerra di interessi contrapposti. E viene fuori tutto il casino delle regole. “Avevamo pattuito…” questi qui sono così deficienti che non si ricordano quello che fanno dalla sera alla mattina e ti tocca sentire, ai colloqui a scuola, ragionamenti di questo tipo: “Avevamo pattuito due anni fa che avresti…” due anni fa?! Ma a un figlio di 15 anni parlargli di due anni fa e parlargli dell’uomo di Neanderthal è uguale” “Avevamo pattuito! Avevamo stabilito una regola in casa!” Tutte queste cose insomma, e questi non ne possono più, e le regole ci devono essere, ma sono lo strumento non sono lo scopo. E ho finisco provando a farvi due o tre raccomandazioni che mi sembrano preziose. Per esempio, non abbiate paura di sbagliare. Per una ragione semplicissima: tanto sbagliate comunque; e quindi aver paura di sbagliare rende ancora più difficili le cose. I vostri figli vi perdonano tutto, più di quanto voi pensiate. E invece siate leali, cerchiamo di essere leali, c’è una cosa che i nostri figli ci chiedono e non ci possono perdonare: l’assenza di speranza. Cioè l’incapacità di rispondere a quella domanda là: “papà, valeva la pena venire al mondo? Dimmi per favore, fammi vedere che un’ultima positività domina la vita. Dopo sul resto ci capiremo, ci scazzotteremo, picchiami, fammi patir la fame, insomma ci si mette d’accordo”. Non abbiate paura di sbagliare perché tanto sbagliate comunque; secondo: i vostri figli hanno smesso di ritenervi perfetti a due anni e mezzo più o meno, cioè hanno mangiato la foglia subito e non c’è niente di patetico e ridicolo come un genitore che fa finta di essere perfetto. E poi se sbagliate, tranquilli, non abbiate paura, fate come mio papà. Mio papà, quando arrivava a casa la sera alle sei, dopo il lavoro d’inverno - figuratevi 10 bambini, 63 metri quadrati cosa doveva vedere - se era la giornata…e si vedeva un mucchietto di vetri per terra, qualche ferito, qualche benda in giro, tirava fuori la cinghia e il primo che gli passava davanti, patapim e patapum, patapam! 11 Una volta è capitato a me. Venivo dal fare i compiti da un compagno. Entro. C’era mio padre ed era uno di quei giorni lì.. non ho fatto in tempo a togliere la cartella ha cominciato a menarmi, patapim e patapum! E stavo entrando! Mia madre che ha visto la scena è corsa lì per difendermi: “Dario, Dario, cosa fai? Il Franco è appena entrato, non c’entra niente!” Ma ne avevo già prese un tot… mio padre ha smesso di menarmi, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: “Va bene, mettile via per la prossima volta!” Non si è scomposto di una virgola, capito? E io, che avevo patito una grave ingiustizia, evidentemente, mi sono arrabbiato, ma non con mio padre: mi sono arrabbiato con me stesso e ho imparato che bisogna essere molto veloci ad attraversare il pianerottolo in certe giornate! Se non c’è aria, non è “aria che tira buona”, tu devi attraversarlo di corsa, infilarti sotto il letto e prendere le misure della situazione! Ma secondo voi, mi è venuto il dubbio che mio padre non mi volesse bene? O fosse ingiusto? Ma zero… zero, cioè si può sbagliare. Secondo: state attenti alla scuola, non esasperatela…La scuola è uno strumento, non è lo scopo. La scuola è uno strumento. Siate almeno coerenti. Se insegnate a vostro figlio per 15 anni che innanzitutto tutti gli uomini sono uguali, neri, rossi, gialli, bianchi - dopo in cabina elettorale si scrivono altre cose, ma insomma…. Tutti gli uomini almeno come principio sono uguali - Secondo: tutte le professioni sono ugualmente nobili, “l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro etc”… terzo: “mi raccomando la stima, non disprezzate nessuno, bla bla”… poi però, poi però succede, dico, normalmente, che se tuo figlio dopo la terza media va al classico, tu vai in giro per Lecco “Ah che mamma”, “Signori, mio figlio… classico! Eh?” poi è un deficiente totale però fa il classico. Se tuo figlio fa il tecnico, quelle robe lì, niente di che vergognarsi però insomma… sì, vai in giro normale…se tuo figlio dice serissimo “vorrei fare un corso per cuochi” oppure per parrucchieri la mamma per 2/3 mesi si guarda in giro un po’… alla sera, “ma Mario, dove abbiamo sbagliato?”. Se per caso invece il figlio dice, come la storia bellissima di Gigino di Don Camillo, se per caso il figlio dice: “papà voglio fare il meccanico” i genitori vanno in analisi!! Vanno a farsi vedere perché è successo qualcosa di gravissimo! La scuola è uno strumento. Piantiamola di farlo diventare lo scopo e il criterio di valore con cui i nostri figli si sentono stimati o colti o perdonati o non perdonati. Non può essere così, la scuola è importante però viene un momento dopo. Perché lo scopo è la felicità dei figli, non la laurea, il risultato scolastico..e vi ripeto, vi parlo da insegnante che boccia, che passa il giorno su questi temi, non sono superficiale, non sto dicendo fregatevene della scuola, lo capite bene no? Anzi, vivetela bene, fino in fondo, responsabilmente, ma per quello che è, cioè per uno strumento, non è lo scopo. Uno strumento importantissimo, ma strumento della felicità dei nostri figli, per cui non gliela si può far odiare per 20 anni così, perché ce l’hai sempre lì addosso, la scuola, il voto… ma, io queste mamme che notte tempo han tormentato il marito rassegnato anche stavolta al non compimento dei doveri coniugali…La madre ha ben altro da fare: e qual è il compito supremo? Ravanare notte tempo nelle cartelle della figlia a leggere il diario, i segreti…no, adesso a leggerle il telefonino, in cerca dei segreti perché “mia figlia non parla più con me!”. È ora, è diventata grande ormai! No, non parla più con me… e allora un mese fa, 5 mamme, venute a questo tavolo arrabbiate per aver fatto queste battute sono venute e sapete cosa mi hanno detto? Che avevano un falso profilo da adolescenti in facebook per, nelle vie misteriose della rete, incrociare la figlia e farsi dire quel che non le dice più! E poi uno si stupisce perché ogni tanto qualche figlio accoltella sua madre, ma ditemi cosa dovrebbe fare? Se io fossi una figlia e scopro mia madre in internet con un falso profilo per incontrarmi e farsi dire le mie cose…ma io l’ammazzo!! Ma è legittimo, penso che sia nel Diritto Canonico!! Ma vi rendete conto? Questa smania…un figlio trattato così non può respirare, deve star male, deve sentirsi colpevole di qualcosa di terribile, per cui questa generazione di figli non si piace, non si piace, non si perdona, non è mai andate bene, mai: né all’asilo, né a scuola, né con le suore, né col prete, né col papà, né con la mamma… non sono mai andati bene, a 18 anni 12 sono così tristi, cioè così convinti di non andare bene che si puniscono e diventano violenti! Magari non violenti con l’esterno - ma c’è anche quello, il bullismo - ma molto di più violenti con se stessi. E così dilagano fenomeni come l’anoressia, come quelli che.. sapete che ci sono quelli che si tagliano? Scoperta che ho fatto recentissimamente Si tagliano col rasoio, con le lame del rasoio rubate al papà, donne, si tagliano, e diventa una droga eh? “Mi taglio. Mi taglio perché se no non studio, sono così in tensione… quando mi taglio un po’ sto meglio, riesco a studiare..” oh ragazzi, stiamo parlando di ragazzi così eh? Si fan del male perché? Io credo perché c’è qualcosa di cui si devono punire non essendo mai andati bene a nessuno, cioè non essendo mai stati perdonati, allora forse qualcosa ci dobbiamo registrare. Mi spiego…Che la scuola sia il loro dovere, certo, che debbano imparare, figuratevi, ho fatto l’insegnante per quello…ma non può essere questo mostro che distrugge il rapporto con padre e madre e poi il rapporto con se stessi, e poi il rapporto con il mondo…ma dove siamo? Per la scuola? Per la scuola? Il rapporto tra padre e madre, perché dopo una settimana che sei in giro a lavorare arrivi a casa a mezzanotte, non vedi l’ora di…la tua mogliettina, eh…no, no, la prima cosa: “il Marco ha preso 4 in greco, e lo sai che lo Stefano…” tu dopo 10 minuti guardi tua moglie e dici: “ma sei scema? Ma scusa una settimana che manco da casa…la scuola?! La scuola? Oh, manco una settimana da casa… ma non hai niente di bello da raccontarmi? E non mi chiedi cosa mi è successo in giro una settimana? E sai che dei figli non me ne frega niente? Eh, amore, non me ne frega niente, domani parliamo della scuola, mi fai vedere le pagelle, ma un momento dopo… guardami in faccia e dimmi cos’hai vissuto di bello questa settimana, tu mia moglie! E io ti racconto le cose belle che ho visto! I voti, le pagelle, il registro, la nota, ma vada via i ciap!” Ma non esiste, ok? Non abbiate paura di sbagliare, non enfatizzate la scuola, non rimanete da soli. Perché da soli, oggi, non ce la si fa. E non bisogna necessariamente fare grandi cose. Il trucco - e ho finito veramente - il trucco è guardare noi per primi. Noi per primi. Se siete degli straccioni, va bene! potete fare i genitori lo stesso, siete dei poveracci, un po’ anche…non posso dire le parolacce… ma avete capito cosa voglio dire, andate benissimo. Il problema non è continuare a dire al figlio “diventa come me”, io ho continuato a dire ai miei figli “fate un po’ meglio, se riuscite a fare un po’ meglio dai datevi da fare”. Il problema è che se tu hai visto il mare, il tuo compito di educatore è facile, continui a gridare: “c’è il mare, ragazzi c’è il mare!” io sono un cretino, ho tutti i peccati del mondo, tutti i vizi capitali, tutti e sette, sarò un cretino, sbaglio quando… ma c’è il mare! L’educatore non è quello che la fa giusta tutte le volte, è quello che grida: “C’è il mare ragazzi, il mare! Per voi!” e quando lo dice, siccome l’ha visto, qualcosa del mare gli brilla negli occhi, e allora sarà anche un cretino ma il bambino che lo guarda e vede il riflesso del mare negli occhi e allora gli crede e va a vedere. Perché quello lì gli insegna, gli insegna la direzione. C’è il mare, basta. Possiamo dire tutti insieme, ciascuno di noi può dire ai propri figli, ai propri alunni: “Ragazzi c’è il mare!” io sono un cretino, un poveretto, non guardate me, non guardate me, ma c’è il mare. C’è il mare da guardare, basta. Fate questo e li educate. Quando quella volta dissi ai miei figli per ridere: “ragazzi tra 15 giorni è il giorno dei Santi, andiamo a trovare un Santo?” pensavo di dire una cavolata, di fare una battuta cretina, invece mio figlio Andrea, secondo anno di università, mi disse: “Bravo papà! Bell’idea!” e io gli dico: “Perché tu conosci dei Santi?” ma mi sembrava proprio… e lui mi ha risposto: “Si, conosco un Santo. Conosco un Santo, abita nella tal città, 300 km da Bergamo, è malato, ha un tumore, è un mio amico, l’ho conosciuto al lavoro, andiamo a trovarlo papà, quello li è un Santo!”. Io ormai l’avevo fatta, ho preso il telefono e dico “Signora, mio figlio dice così di suo figlio e vorrebbe che venissimo a trovarlo, possiamo?”. Sta mamma entusiasta: “assolutamente sì! Venite”. Così il primo novembre abbiamo preso su la macchinina, con 4 figli, con la moglie e siamo partiti. Abbiamo passato la giornata in casa di questo ragazzo, che è morto a gennaio, due mesi dopo. La giornata l’abbiamo passata con lui e quando abbiamo mangiato l’han 13 portato su un lettino perché era paralizzato completamente, non poteva più nemmeno parlare, però muoveva un braccio, poteva scrivere. Durante il pranzo la mamma ha ricevuto una telefonata, e si sente lei che rispondendo al telefono e dice all’amica: “ah, sapessi, è stata una settimana d’inferno” - si riferiva al fatto che fosse stata una settimana durissima, il figlio dentro e fuori dall’ospedale- Il figlio si agita, si fa portare carta e penna. Sapete cos’ha scritto? Avendo sentito sua madre dire “è stata una settimana d’inferno”, sapete cos’ha scritto? Ha scritto: “parla per te”. E’ morto due mesi dopo. In quella giornata non abbiamo fatto niente, ma io vi giuro che ho un ricordo qui, quella sera io, senza farmi vedere troppo, ma ho quasi pianto tutto il viaggio le due ore ad andare a casa perché mi ha commosso fino alle lacrime questa considerazione: che quel giorno non avevo fatto prediche, non avevo detto niente, eravamo stati insieme in questa casa, basta. Ma io quella sera, portavo a casa una famiglia diversa da quella che era uscita di casa al mattino. Ma diversa tanto, eh? Perché tu non passi una giornata così con 4 figli a vedere una cosa così, a partecipare di un dolore così, e di una speranza così e poi è tutto uguale. Tu cambi. Io quella sera ho portato a casa un’altra famiglia, un’altra donna, altri figli diversi e un diverso io. Beh, questa è l’educazione. In questo senso è facile. Richiede solo un po’ di sacrificio, soldi, tempo, la domenica, le ferie. Cioè proprio come usi le cose, ma è facile. Non credete a chi vuol farvi credere che ci vuole l’equipe per educare, sono tutte cavolate. Andate benissimo voi. Siete i genitori migliori per i vostri figli. Ma abbiate questo coraggio e questa lealtà di rispondere a quella domanda famosa. Tutto il resto è facile, solo da far vedere. C’è tanto di quel bene nel mondo che basta alzarsi, guardarsi intorno e portare i figli a vederlo. Basta. Bianca Brambilla: Credo che ci siamo sentiti tutti molto provocati e abbiamo sentito anche molto leggere le esperienze che ognuno di noi fa tutti i giorni nella propria famiglia o comunque nel proprio compito, nella propria responsabilità educativa. Abbiamo un po’ di tempo se qualcuno vuol giocare la sua esperienza…Perché, anche l’ultima cosa che diceva di non rimanere da soli…credo che questa sera sia un’occasione davvero bella e importante per questo, di cui far tesoro. È come un’occasione speciale perché davvero tante volte si rischia di rimanere soli, no? Quindi, questo poco tempo che abbiamo adesso utilizziamolo così, per mettere in comune anche la nostra esperienza. Intervento: A proposito del non rimanere da soli, volevo un chiarimento su dove finisce il ruolo della famiglia e inizia il ruolo della scuola, che secondo me non è così chiaro sempre…con la scuola ci possiamo interfacciare e farci dare una mano. Franco Nembrini: Sì, torno domani! Il tema è vastissimo..dico solo una cosa: è un’alleanza possibile. Bisogna stare attenti a rompere questo circolo vizioso, questo corto circuito in cui da anni ci rompiamo le scatole, per cui la famiglia dà la colpa alla scuola, la scuola dà la colpa alla famiglia, quando sono insieme danno la colpa alla società. E non se ne esce mai. Con qualche puntata contro i preti e gli oratori. Fine, basta. Ormai non funziona più, cioè io credo che la famiglia sia in crisi…cioè stiamo vivendo un momento che ha paragone solo con quando sono arrivati i barbari e hanno spianato tutto, non è rimasto su niente. Però qualcuno ha detto “no, io una vita così non la faccio, io mi metto con tre amici, andiamo su 14 nel Resegone, troviamo una straccia di caverna ma andiamo a vivere dignitosamente, trattandoci da uomini”. Oggi una famiglia cristiana è una roba così, è un piccolo monastero. Una scuola che sta a quel che abbiamo detto stasera, è un monastero benedettino vero e proprio, dove si conserva… mi sembra che il problema sia “basta con queste polemiche”; bisogna che qualcuno cominci a dire “io ci metto su la pelle, come posso, come riesco, con le energie che ho, con le capacità ma io alla barbarie non ci sto. Io voglio 4 amici coi quali potersi guardare in faccia e vivere all’altezza del nostro desiderio, così che i nostri figli abbiano dei genitori che vivono all’altezza del loro desiderio. Io ci sto. Con o senza moglie io ci sto”. Perché se no non ne veniamo più fuori. Siete qui metà di mille. Lecco non è poi New York, ma se tutti voi domani mattina doveste andare in giro per Lecco - parto da dove ho cominciato l’articolo là della mamma che canta - se andate in giro, siete qui in quanti 500, 600, cantando invece che maledicendo la giornata, giuro, giuro che il giorno dopo ne parlerebbe il Corriere della Sera. Perché i ragazzi, gli sfigati, figli vostri e degli altri in giro nelle piazze, sulle panchine a farsi le canne, da domani mattina comincerebbero a dire mentre passa il vigile e fischia “beato lui che è contento” assa il postino e fischia, due mamme fischiano, il negoziante fischia…”ma cos’è successo ai nostri adulti che sono diventati contenti di essere al mondo?” Avreste i ragazzi di Lecco, tutti, che parlerebbero di questa cose. “Hai fatto caso che i vigili fischiano? Ci hai fatto caso che il prete fischia? Persino la maestra fischia”. 500 adulti contenti della vita che si mettono insieme…capite che cambierebbe “l’aria che tira” a Lecco? E i vostri figli se ne accorgerebbero. Adesso è un esempio un po’ come mi è venuto, ma si capisce? Bisogna che qualcuno dica io ci sto. Se si fa così giuro che nella scuola dei tuoi figli ci sarà un insegnante che – tu ne accorgi subito, gli uomini vivi si incontrano- Te vai a scuola, collegio docenti, ma ti accorgi che uno è della tua razza, è di quelli che dicono “io non ne posso più, io voglio vivere all’altezza”. Ti metti con quello lì, non sarà tutto il consiglio, non sarà il collegio, il consiglio d’istituto, ma voi due cominciate e allora si discute e le cose tornano, non tornano a posto però la scuola ricomincia a fare la scuola che è un mestiere, e i genitori ricominciano a fare i genitori che è un altro mestiere e non sono da confondere. Ma alleati sì. Sovrapposti e confusi no, ma alleati sì. E poi se ti guardi in giro cominci a dire “però! Neanche tutte le scuole sono uguali, forse una scuola paritaria, che organizza una serata come questa, i cui insegnanti mi dicono, noi ci proviamo se ci state… forse ha qualcosa di più da dare a mio figlio, è una cosa di cui c’è bisogno”. Forse sarebbe anche quella cosa che se la scuola statale la guardasse, avrebbe molto da imparare per tornare a essere scuola. Forse una scuola paritaria va difesa, anche politicamente, anche economicamente. Forse dei sacrifici, anche se siamo in crisi, val la pena farli, per mandare i figli alla Traccia o a Lecco fa scuola. Forse val la pena. Certo se siamo qui a dirci queste cose e poi il sacrificio, mi vien da dire, di salvare l’anima ai figli, non è abbastanza motivato facciamoci qualche domanda, parliamone insomma. Si capisce? Sono scelte coraggiose queste da fare, non da poco. L’altro giorno, rispondendo a una mamma “val la pena? 4.000 euro all’anno sono tanti, con la fatica che si fa…” io non ci ho più visto e le ho detto: “ma mi scusi signora, se suo figlio, intanto che lei è qui, è in giro con il motorino e, facciamo un esempio, fa un incidente, fracassa una gamba…La chiamano; lei corre in ospedale e il medico le dice “suo figlio perde una gamba. Non c’è niente da fare”. E lei si rassegna e dice “osti domani mattina amputano la gamba di mio figlio”. E invece, a mezzanotte, suo nipote in America, saputa la cosa, la chiama e le dice “Maria, non è vero! Nel mio ospedale qui in America c’è uno che, se ho capito bene, la gamba del tuo figlio l’ha può salvare. La salva. Prendi il figlio, caricalo su un aereo e portalo qui! Certo l’operazione costa 1 milione di euro”. Signora, lei cosa farebbe? Il primo pensiero quale sarebbe? Ma io dico che il pensiero di tutte le mamme che sono qui sarebbe “caspita 1 milione di euro sono tanti, come devo fare? Se vendo la casa, se mio marito lavora il doppio, se mi faccio prestare 500.000 euro da un amico, il resto faccio una 15 piccola rapina che a questo punto è una cosa buona, forse 1 milione di euro lo tiro fuori!”. Dopo magari scopri che non ce la fa, ma il primo pensiero quale sarebbe? Trovare 1 milione di euro, o no? Ce la vedete una mamma che dice “1 milione di euro? Dai una gamba..tanto ce ne ha due! Userà quell’altra, chi se ne frega! Andiamo a letto a dormire!”. Ma ce la vedete una mamma così? Ma è possibile che se c’è di mezzo l’anima, l’anima e la libertà dei nostri figli il problema sono i soldi? Guardate che io sono pieno di debiti, eh? Non sono ricco, mio padre era pieno zeppo di debiti, non era ricco. Solo che era uno che quando alla fine del mese faceva i conti e c’aveva lì il libro del panettiere da pagare 3 anni indietro, si metteva lì e quando abbiamo incontrato Comunione e Liberazione e Don Giussani ci spiegava cos’è il fondo comune, cioè un piccolo contributo che ognuno dà per la necessità di tutti, mio padre scriveva prima il fondo comune, poi da mangiare, le spese… e io una volta gli ho detto “ma papà, non vedi come siamo conciati? Cosa continui a pagare sto fondo comune? Ma ti rendi conto?”. E lui mi rispose: “ma scusa eh, questa cosa qui, è la cosa per cui siamo al mondo Franco! Siamo mica qui al mondo per mangiare e per bere come le bestie; mangiare e bere si può mangiare e bere un po’ di meno, ma l’anima può vivere un po’ di meno?”. Siccome io sono figlio di uno così mi permetto di dirvi così. Possibile che per una gamba ammazzeremmo il mondo e per l’anima dei nostri figli facciamo più fatica, ci mettiamo lì a fare i conti? Almeno pensiamoci, lancio questo appello. 16