La storia di Ronin

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La storia di Ronin
LEGA
NAVALE
La storia
di Ronin
Giulio Guazzini
Ho conosciuto Giulio Guazzini nel 2003, in Nuova Zelanda, su nave Vespucci, durante le Coppe Louis Vuitton e
America. L’atmosfera, come sa chi è stato anche per poco tempo presente ad Auckland in quel periodo, era magica, tale da fare perdere la testa a molti. Il primo tratto del carattere di Giulio che emerse immediatamente, fu la
sua capacità di abbinare ad un entusiasmo vero, totale, come solo un appassionato sa provare, la semplicità e il
distacco di chi riesce a considerare la propria posizione di osservatore privilegiato non come qualche cosa di dovuto, quanto piuttosto un dono prezioso da custodire e in qualche modo da trasmettere a tutti quegli altri che non potevano presenziare a quegli eventi. Fra quelle barche splendide è nata un’amicizia sincera. Quello che segue è un
suo scritto di vela scaturito da quell’incontro: una chiacchierata in cui vediamo la nascita e la crescita del suo amore per una barca: e che di amore si tratti è evidente dagli sforzi e dai costi sopportati oltre che dalle sue parole appassionate. Siamo adesso lieti di dare la parola a Giulio che oltre ad essere nostro socio e avere, in passato, collaborato con la nostra rivista, ha portato il giornalismo velico a livelli difficilmente eguagliabili.
P.B.
Questa è la storia di un incontro, di un amore a prima vista,
del recupero di una barca particolare. Qualcosa che penso
derivi dall’esigenza creativa di ridare smalto, restituire dignità ad imbarcazioni, uniche nel loro genere che hanno segnato e rappresentano un valore specifico, una tappa importante nell’evoluzione dello yachting moderno. Il recupero di
Ronin è il frutto di una grande passione, di una vita vissuta
intensamente, sin da bambino, accanto al mare, per il mare,
la vela e le regate. E non credo di esagerare.
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Quando corro in moto verso il porto Romano, ad un passo
dalla capitale, e lasciandomi alle spalle il traffico cittadino
arrivo a bordo, è come se si verificasse una sorta d’incantesimo, il ripetersi di un magico rituale vissuto profondamente, del tutto personale.
Un incontro con quella libertà assoluta che solo la barca sa
evocare, distillare metaforicamente forse meglio di ogni altra cosa. È in fondo l’incontro con se stessi, spogliati delle
tensioni, degli stress, in gran parte inutili, prodotti dal vivere
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Giulio Guazzini è nato a Roma nel 1957; laureato in filosofia, giornalista
professionista, dall'inizio degli anni '80 segue come cronista il mondo
del mare e della vela. Nel 1982 trascorre un breve periodo in California
dove prova in Pacifico i primi ULDB e collabora con l’architetto Gary
Mull. L'anno seguente entra nella nazionale di vela dell'Aeronautica
Militare vincendo su un quinta classe IOR la 500x2. Negli anni
successivi partecipa a importanti regate come la Grand Prix de la
Martinique (1985) dove si piazza secondo, primo nella Transat degli
Alisei (1991-92) come pure nella 100 vele di Ostia (2005). Inviato del
Corriere dello Sport, Repubblica, Espresso, collabora con Radio
Montecarlo poi, negli Anni 90, entra in RAI per approdare a Rai Sport,
testata per la quale segue le maggiori manifestazioni, dalla Admirals
Cup ai Giri del Mondo, alle imprese di Giovanni Soldini, all’America's
Cup. Commenta le Olimpiadi di Sydney, Atene e Pechino, collabora
con Linea Blu e Tg2 Dossier-Costume e Società e cura, per Rai Sport,
la rubrica “Vela a Vela”, assieme alla Federazione Italiana Vela. Ha
vinto i premi giornalistici “La Penna d’Oro” (2000) e “Meeting del
Mare” (2003); il Comando Generale delle Capitanerie di Porto Guardia
Costiera gli ha conferito il premio “Navigare Informati” (2008).
quotidiano, l’incontro di un mondo gioioso, solitario ed essenziale che navigando s’impara a conoscere sempre meglio e ad apprezzare.
Così quando mi soffermo nel pozzetto a riposare, o a meditare fra un lavoretto e l’altro dopo un’uscita in mare, non posso
fare a meno di riflettere, di comprendere come questo guscio
di noce galleggiante, con le sue forme ammalianti, le sue linee slanciate, la sua storia alle spalle, gli anni d’interminabili lavori e sacrifici, rappresenti per me qualcosa di più di una
semplice imbarcazione, da usare nel migliore dei casi quindici giorni l’anno per le agognate vacanze estive.
Come tengo spesso a sottolineare, Ronin è il prodotto di
una straordinaria passione, di un autentico “atto d’amore”
per una barca fuori dagli schemi, innovativa e rivoluzionaria, come altre a modo loro, nata per correre ed offrire
emozioni forti a chi la sa scoprire e mantenere in vita.
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Infatti, quasi come se si trattasse di una bella donna affascinante, intemperante e capricciosa, difficile da conquistare, Ronin mi aspettava al varco. Una sorta di “amore a
prima vista” quando, nell’autunno del 1998, di passaggio
in Romagna a Cervia, accettai di buon cuore l’invito del caro amico Simone Bianchetti a fare un’uscita a vela sul Vitesse, perché questo era allora il nome della barca che da
lì a breve sarebbe diventata mia.
Da tempo cercavo una barca a vela simile, sui 50 piedi (15
metri di lunghezza) un ULDB, un dislocamento ultraleggero, della fine anni ‘80, perché in quel periodo le barche si
facevano sì estreme ma con un poco d’interni, per intenderci, ancora con le sembianze, in senso lato, di una barca
adatta a navigare oltre che per regatare, un mezzo magari
da risistemare, possibilmente da ristrutturare, plasmare
adattandolo alle mie esigenze.
Con Simone, Vitesse, imbarcazione ben nota nell’ambiente
delle regate d’altura adriatiche, aveva appunto corso, poco
tempo prima, l’adriatica Rimini-Corfù-Rimini, una delle regate mediterranee più lunghe e impegnative, e nonostante
l’età e l’equipaggio amatoriale, aveva ottenuto un brillante
terzo posto assoluto, poco dietro al nuovissimo Riviera di
Rimini, appena varato, ed al Gaia Legend.
L’uscita con Simone, la fidanzata Cristina ed il suo fedele
cane, fu un’occasione per stare insieme in serena allegria
ed apprezzare al timone le qualità di uno scafo purosangue, straordinario, unico nel suo genere e che era stato
appena messo in vendita dall’armatore ma ad un prezzo al
di sopra delle mie reali possibilità.
L’incontro con Vitesse che in francese significa velocità, ed
in realtà era proprio molto veloce, si ripete dopo circa un
anno ma in una circostanza completamente diversa; mi sto
recando al Nord per lavoro e scopro, questa volta a terra, in
un cantiere di Porto Corsini, tra Ferrara e Ravenna, la barca
sospesa su di un invaso, imponente per le dimensioni della
(l’articolo continua a pag. 31)
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serie di problemi e
di grattacapi da rideriva ma piuttosto
solvere ma l’entusiamalconcia, con la
smo era grande ed
prua tagliata, la popogni ostacolo passapa con i segni dello
va automaticamente
spoiler segato, l’atin secondo piano.
trezzatura smontata
È settembre del ‘99
e un aspetto comquando parto per la
La suggestiva cerimonia del “battesimo” di Ronin da parte di un gruppo di monaci buddisti, a
plessivamente fatiNuova Zelanda come
Fiumicino; a pag. 29, a fianco al titolo, Guazzini a prora della sua nuova barca
scente. Come un puinviato di RAISPORT,
gno nello stomaco.
al seguito della CopM’informo e scopro che è stata venduta a due ragazzi: un
pa America e di Luna Rossa che da lì a poco diventa barca rivefrancese ed un italiano. All’inizio, lo scafo avrebbe dovuto
lazione, proiettile d’argento, capace di dominare la Louis Vuitprender parte alla famosa corsa francese “Rotta del
ton Cup. Un contesto esclusivo che per lavoro, come sempre mi
Rhum” e ad una serie di altre regate d’altura ma alla fine
da l’opportunità di ammirare le barche più belle del mondo.
la società si era sciolta per una divergenza improvvisa di
Tuttavia il pensiero corre sempre più spesso, come un tarlo
vedute, d’interessi e Vitesse rischiava ora di restare in abin testa, va costantemente alla mia barca, oggetto dei sobandono per chissà quanto tempo.
gni, ormai realtà, parcheggiata su di un invaso lì al nord,
Faticosamente, affrontando non poche difficoltà, riesco a rinelle valli nebbiose di Comacchio.
salire ai proprietari.
In realtà, da quel moBasta un incontro
mento inizia una teLa gru del cantiere sta calando Ronin; fra poco la bella barca entrerà in contatto con l’elemento che
con Simon, grande
nace quanto ininterrappresenta la sua ragione di vita: il mare
appassionato anche
rotta fase di progetlui di regate ed avtazione e realizzazioventure, per sancire
ne, finalizzata alla
un’intesa che nel gitrasformazione di Viro di qualche mese
tesse, scafo smontasi tradurrà nell’acto ed abbandonato,
quisto effettivo della
in quello che sarebbe
barca. Un passo impoi diventato Ronin
portante che per
che in giapponese sil’entità dell’impresa,
gnifica “uomo onda”
la complessità del(il Ronin era un sal’operazione, mi resi
murai che, nel perioconto avrebbe comdo feudale giapponeportato un’infinita
se, quando moriva il
(l’articolo continua da pag. 30)
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anni riesco a dare
daymio, signore del
forma al progetto
villaggio, cominciava
che avevo in mente.
a vagare trasformanScopro che alcuni
dosi in avventuriero,
anni prima, proprio
spesso benefattore,
in un capannone del
guerriero senza pacantiere Canados,
drone mosso da
un altro caro amico,
grandi slanci, in posPasquale De Gregosesso di valori etici
Libero da ogni vincolo terrestre, Ronin può finalmente vivere il mare, in perfetta simbiosi con
rio, noto navigatore
cavallereschi e che
Giulio Guazzini che vediamo al timone
solitario, aveva inimetteva a disposizioziato la costruzione
ne dei più deboli le
del suo Open 50
proprie forze).
Wind, con il quale
Tutto, fra una Coppa
avrebbe poi portato
America e l’altra,
a termine la “Venaspettando di tornare
dee Globe”, il giro
al più presto, per
del mondo in solitacontinuare i lavori
rio senza scalo.
che avevo iniziato
Prezioso il contribucon grande difficoltà,
to di Gianni Santaa causa della distangà, competente e
za da Roma, avvalengeniale nell’aiutarmi
domi della collaboraa trovare soluzioni
zione tecnica dell’atecniche e nel portamico Fabio Soleri, tire a buon fine i lavotolare di uno dei canri in composito. La coperta viene completamente rilaminata
tieri più preparati nella lavorazione dei materiali compositi.
e dopo aver smontato l’attrezzatura, rinforzata con kevlar e
Con Fabio inizio a dare una forma alla nuova prua e a realizzacarbonio messi in opera sotto vuoto.
re i primi rinforzi longitudinali in carbonio alla coperta ed allo
Decido di ridisegnare alcuni particolari dell’attrezzatura
scafo. Poi, prima di ripartire, questa volta per le Olimpiadi di
per migliorare la conduzione e la gestione dell’imponente
Sydney 2000, la decisione di utilizzare un trasporto eccezionapiano velico.
le e di portare la barca finalmente vicino casa, a Ostia, dove
Indispensabile la collaborazione e la disponibilità di Luigi Cicgrazie alla disponibilità ed alla collaborazione sempre squisita
carone, Gianpaolo Spera e tutto il team della Harken, industria
del cantiere navale Canados che mi offre uno spazio sul piazleader del settore. Sono loro che per manovrare al meglio le
zale, inizio la fase definitiva e più impegnativa dei lavori.
scotte del genova, decidono di farmi montare due winches di
Il cantiere diventa così la mia meta quotidiana, dove, avvaCoppa America bellissimi, gli stessi, pare, adottati come molendomi di operai, amici e tecnici specializzati, nel giro di tre
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dello da New Zealand 57. Dopo lunghe riflessioni, decido di ridurre la lunghezza dell’albero che trasformo a nove decimi.
Drizze e manovre correnti le commissiono alla ditta Maffioli.
Disegno un bompresso telescopico rastremato ed un timone a barra gigantesco ma leggerissimo, tutte e due in carbonio, realizzati dall’amico Bert Mauri.
Tutto o quasi è “custom”, per quanto riguarda l’attrezzatura
di coperta. Molte parti dell’attrezzatura sono volutamente in
acciaio, più affidabili e sicure nel tempo. Un lavoro certosino
per ultimare gl’interni, all’americana, laccati in bianco, con
tanto di cornici di teak verniciate con trasparente satinato.
Indispensabile il contributo di cari amici esperti nei vari
settori, come Giovanni Grispo per l’elettronica di bordo,
Bruno per l’idraulica, Paolo Munzi, in particolare, sempre
pronto a mettere a disposizione la sua capacità, ad assecondarmi nei miei “insani propositi” di perfezionismo esagerato. Un motore Lombardini, leggero e affidabile, montato a centro barca, modificando basi e uscita del piede seguendo i consigli dell’amico Luigi Aldini, pilota provetto di
un Falcon, gioiello aeronautico da lui stesso restaurato.
Uno sforzo notevole nel reperire i disegni originali ed alcune vecchie parti dell’attrezzatura, conservate con cura e
donatemi dall’amico Gianni Sorci, conoscitore attento della barca per esserne stato armatore riminese nei primi anni successivi all’arrivo di Vitesse in Italia.
Il mio sforzo maggiore: cercare di recuperare la barca riportandola alle sue autentiche origini, rispettandone la filosofia ma adeguandola alle mie specifiche esigenze, e
quindi poter navigare veloce in ogni condizione, soprattutto alle andature portanti, ma senza negare tutte quelle piccole comodità che possono rendere accettabili e persino
piacevoli le lunghe traversate.
Vitesse nasce come prototipo di 50 piedi, costruito nel 1987
dall’Ingegnere Ben Andersen, nel cantiere Danese LM, realizzata in composito sotto la cura dei tecnici della Sp
System di Cowes, cotta al forno a 60 gradi per tre giorni; essa è, per quei tempi, un piccolo capolavoro di alta tecnologia, pesando solo 5.600 kg. completa di albero e sartiame.
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Viene commissionata nell’86 dal campione di ciclismo Curt
Andersen per vincere tutte le regate da disputare nella zona di Copenaghen. Nel 1990, viene trasferita in Italia e nel
tempo modificata, adeguandosi ai canoni del gigantismo
imperante in quegli anni nelle regate Open Adriatiche: allungata a 19 metri e 20 con uno spoiler a poppa ed un lungo bompresso d’alluminio fisso a prua.
Negli anni ‘90, vince molte regate adriatiche, fra cui la 24
0re di San Marino ed è terza assoluta alla Barcolana su
1.200 partecipanti.
È stato necessario un grande e approfondito studio dello
scafo nel suo insieme per riportarlo alle forme originali
senza stravolgimenti, aumentando la robustezza delle
strutture e delle attrezzature. Utilissimi i consigli e la consulenza di Paolo Cori, progettista eclettico, geniale precursore degli Open Adriatici. Quando a Marzo del 2006 Ronin
è pronta a prendere l’acqua, l’emozione è grandissima. È
l’inizio, per certi versi, di una nuova vita. Per dare un segno, voltar pagina, decido di organizzare un varo come si
deve, a modo mio. Un battesimo ma all’orientale, ed è il
destino stesso a scriverne la regia.
Sono sette monaci buddisti, per la prima volta di passaggio in Italia, ad officiare, con tanto di paramenti sacri e
strumenti, la cerimonia di benedizione, tutto sulla foce del
biondo Tevere, ad un passo dal mare che per la prima volta
nella loro vita, i monaci incontrano e osservano incuriositi.
Qualche giorno di messa a punto, di centratura dell’albero,
di test per le vele realizzate dall’esperto Paolo Montefusco
e l’avventura può iniziare. Alla prima regata, di prova, la
“100 vele” di Ostia, vinciamo in tempo reale, con un vantaggio di ben 12 minuti sul diretto inseguitore, un Comet
51 appena varato.
Alla “Roma per due”, in coppia con l’amico Ernesto Moresino, dopo aver dominato la prima parte della gara, conquistiamo il secondo posto in classifica nella seconda classe.
Davvero non male per una giovane signora che ha appena
festeggiato i suoi primi vent’anni.
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