Derek Walcott - Lute Milazzo

Transcript

Derek Walcott - Lute Milazzo
In viaggio con i libri
Docente : Filippo Russo
“OMEROS” di Derek Walcott –
RIASSUNTO
Omeros è un poema epico del 1990 composto in lingua inglese da Derek Walcott, premiato nel
1992 con il Premio Nobel per la letteratura. I versi, degli esametri, sono divisi in stanze da 3, in cui
il secondo verso di ogni stanza rima con il primo e il terzo della successiva, secondo lo schema
dantesco della terza rima tipico della Divina Commedia.
È una parziale trascrizione della storia di Odisseo, ambientata però ai giorni nostri nei mari
dell'Oceano Atlantico, piuttosto che nel Mar Egeo, e in particolare sull'isola di Santa Lucia, patria
dell'autore.
Il narratore non concentra tutta l'azione su un personaggio principale, ma costruisce tre filoni
narrativi indipendenti che si intrecciano occasionalmente: il primo filone narrativo riguarda i
personaggi di Achille e Ettore (Hector) e il loro amore per Elena (Helen), in cui compare anche
Filottete (Philoctete), un pescatore con una ferita fetida, ispirato al Philoctete di Omero e Sofocle;
il secondo tratta del sergente maggiore Plunkett e di sua moglie Maud, di origini irlandesi, che
risiedono sull'isola e cercano di riconciliare le loro coscienze con la storia della colonizzazione
britannica di Santa Lucia; il terzo e ultimo filone ha come protagonista lo stesso narratore, che
commenta l'azione del poema e partecipa lui stesso a viaggi transatlantici e ad altri spostamenti.
Sezioni del poema e trama. Al suo interno è suddiviso in 7 libri, a loro volta suddivisi in capitoli:
il libro 1 va dal capitolo I al XIII, il libro 2 dal XIV al XXIV, il libro 3 dal XXV al XXXII, il libro 4
dal XXXIII al XXXVI, il libro 5 dal XXXVII al XLIII, il libro 6 dal XLIV al LV, il libro 7 dal LVI
al LXIV. Ogni capitolo è diviso infine in 3 sezioni.
Il libro 1 descrive un gruppo di pescatori caraibici, tra cui Achille, Ettore e Filottete. I pescatori
tagliano un albero per costruirsi una canoa, scavando l'interno del tronco. Filottete viene presentato
con una cicatrice alla gamba che si è procurato ferendosi con un'ancora arrugginita. Achille ed
Ettore sono rivali per l'amore di una donna di nome Elena. Vengono poi introdotti due personaggi:
Sette Mari, un pescatore cieco (è palese il riferimento a Omero ), che racconta di aver navigato in
tutto il mondo, e Ma Kilman, che gestisce il bar più antico del villaggio e aiuta Sette Mari a ritirare
la sua pensione di veterano dall'ufficio postale; aiuta anche Filottete dandogli la vasellina per curare
la sua ferita. Rappresenta per la popolazione una sorta di guardiano, simile a una sibilla, con una
misteriosa conoscenza dell'aldilà. Il sindaco si chiama Dennis Plunkett, è un coltivatore bianco di
origini inglesi che vive con sua moglie Maud, irlandese di origine. Plunkett è anche un reduce della
Seconda Guerra Mondiale, avendo combattuto in Nord Africa sotto il comando del generale
Montgomery. Ferito alla testa in battaglia, conobbe Maud che lo assisteva come infermiera. I due
non hanno figli. A questo punto la loro storia si intreccia con quella di Elena, una giovane caparbia
e molto orgogliosa, cosciente della sua bellezza, che è una lavoratrice nella fattoria dei Plunkett. É
incinta, ma non sa di chi. Achille, indebitato, ha bisogno di soldi per favorirsi le attenzioni di Elena,
e perciò decide di cercare il relitto sommerso della Ville de Paris, affondata durante la Battaglia dei
Santi del 1782 (durante la quale gli inglesi strapparono alla Francia il dominio di parte delle colonie
caraibiche) per trovare il tesoro affondato con essa, ma senza successo. Filottete intanto cerca
inutilmente di mettere pace tra Achille ed Ettore. Ormai senza soldi, Achille si fa assumere come
lavoratore nella fattoria dei Plunkett.
Il libro 2 prende spunto dai fatti storici culminati nella Battaglia dei Santi. Si narra di un
guardiamarina britannico, di nome Plunkett, comandante della nave Marlborough, a cui viene
assegnata una missione diplomatica dall'ammiraglio Rodney da svolgere a L'Aia: qui Plunkett deve
indagare sugli interessi degli olandesi nelle Antille e sulla fornitura di armi alle colonie americane.
Grazie alle informazioni raccolte da Plunkett, Rodney si vendica sottraendo ai Paesi Bassi le
colonie nei Caraibi e ai francesi l'isola di Martinica. Gli schiavi africani si schierano con i loro
padroni inglesi contro le truppe francesi, e tra di loro si distingue Afolabe, un antenato di Achille, a
cui dopo la vittoria verrà dato il nome "Achille" dall'ammiraglio Rodney. Una battaglia navale si
svolge nel canale tra tre isole chiamato Les Saintes (da cui Battaglia dei Santi). La Marlborough
viene speronata dalla Ville de Paris, ed entrambe riportano danni. Nella concitazione Plunkett viene
spinto contro la sua spada, che lo trafigge. La narrazione torna ai giorni nostri, e descrive Dennis
Plunkett attratto da Elena, il cui figlio è di Ettore, ma metaforicamente Plunkett sente di aver dato,
tramite il sacrificio del suo avo guardiamarina, un figlio all'isola di Santa Lucia, anche detta "la
Elena delle Indie Occidentali". Elena dorme con Achille, ma poi va a vivere con Ettore, il quale ha
lasciato il lavoro di pescatore e ha comprato un furgone per trasportare i turisti, e ne ha tappezzato i
sedili di stoffa leopardata. Al furgone, che guida con imprudenza, ha dato il nome di Cometa, per la
sua velocità e potenza.
Il libro 3 descrive Afolabe che torna al suo villaggio in Africa per ritrovare la sua gente e la terra da
cui la schiavitù lo ha sradicato. Risale il fiume con la sua canoa e arriva al villaggio dove incontra il
padre, anch'egli chiamato Afolabe. Tuttavia il figlio si presenta come "Achille", avendo ormai perso
la sua identità africana. Il villaggio viene attaccato dai mercanti di schiavi che catturano 15
prigionieri più Achille/Afolabe. La narrazione torna ai giorni nostri. Achille si risveglia da un sogno
sull'Africa, è al largo sulla sua canoa con un compagno pescatore. I due ritornano a terra e Achille
rivede Elena. In seguito lava la sua barca e rastrella delle foglie nel cortile di Sette Mari. Lo stesso
narratore parla di sé stesso che visita l'ormai anziana madre, e le dice che lei ha due figli e una
figlia, e un sacco di nipoti Il narratore quindi parte su un aereo per gli Stati Uniti, e Achille osserva
l'aereo in volo.
Il libro 4 descrive la vita del narratore nel New England. Qui perde un'amante, e si sente ferito come
Filottete. Una sezione del poema in cui i versi sono organizzati in distici, in contrasto con il resto
del poema, descrive la sua casa. Il poeta rifiuta di rimanere intrappolato in una casa di disperazione.
Egli afferma che le porte di casa sua saranno gentili e garbate.
Nel libro 5 si descrive la fuga del poeta in Portogallo, Italia, Inghilterra, Irlanda, e il suo ritorno nel
New England. Negli Stati Uniti viaggia verso le grandi pianure, e dal finestrino dell'aereo osserva le
nuvole e la terra della tribù dei Dakota. Ritorna a Boston e cerca un taxi, ma nessuno si ferma,
anche se sono liberi. Va a piedi fino al porto, e da lì osserva i grattacieli. Gli viene in mente il
cosiddetto inverno della Danza del fantasma, un periodo di lotte tra il governo statunitense e i nativi
americani Dakota, e pensa alle privazioni subite dagli indiani delle pianure. Quindi cammina nelle
strade ghiacciate della città, dove prende un tram.
Nel libro 6 Ettore muore per un incidente sul suo furgone. Un maialino gli attraversa la strada, lui
finisce fuori strada per cercare di evitarlo e si schianta su un albero di palma. Viene ritrovato
accasciato sotto la statuetta della Madonna appesa al parabrezza. È sepolto vicino al mare, e viene
pianto da Filottete, Achille, Sette Mari ed Elena. Achille sussurra al corpo di Ettore che il loro
fiume ancestrale li porterà per sempre fino a casa. Ma Kilman cura la ferita di Filottete. É una
sibilla, una sacerdotessa dell'Obeah. Le formiche brulicano attorno ai suoi piedi e tra i suoi capelli.
Le formiche le hanno donato la loro lingua. Ella può pregare nella lingua degli antenati. É
paragonata alla Sibilla Cumana, ed è un simbolo di guarigione. I Plunkett fanno un viaggio in
Inghilterra. Al ritorno a Santa Lucia, Maud muore di cancro. Al suo funerale partecipano Filottete,
Achille, Elena, Sette Mari, e altri abitanti dell'isola.
Nel libro 7 il narratore dialoga con la guida Omeros. In seguito sale su una canoa e viene traghettato
fino alla laguna. Viene guidato dal cieco Omeros su per un vulcano, fino alla Piscina della
Speculazione. Il narratore sente di aver perso la fede sia nella religione che nel mito. Allora Omeros
gli prende la mano e lo tira fuori dal dubbio, verso una rinnovata fede.
…………………………….
Derek Walcott: i miei pescatori figli di Omero
Mentre ci parla seduto nello studio di Saint Lucia, l' isola dei Caraibi dov' è nato 78 anni fa, Derek
Walcott, uno dei maggiori poeti viventi, laureato con il Nobel nel 1992, guarda attraverso le finestre
verso il mare. Vicino, dalla sua casa, si vede la Pidgeon Island, più lontano si scorge il profilo della
Martinica. È questo il paesaggio affrescato negli ottomila esametri di Oméros, l' opera suddivisa in
sette libri e sessantaquattro capitoli («non canti» avverte Andrea Molesini nella postfazione alla sua
traduzione italiana uscita da Adelphi) che a detta dei critici ha rivitalizzato il poema epico.
Già nel titolo il capolavoro di Walcott, «poema in terzine dove il verso è una sorta di pseudoesametro», è un omaggio all' autore dell' Iliade e dell' Odissea, poi i personaggi, pescatori e
discendenti di schiavi, si chiamano Ettore, il tassista che ha tradito il mestiere dei padri per
inseguire il nuovo dio del turismo, Achille, il pescatore che si scontra con il vecchio amico per le
bellezze di Elena, cameriera mulatta dalle forme scultoree, Filottete, vecchio navigatore con una
ferita inguaribile alla gamba. Non aspettatevi tuttavia da Walcott una convenzionale difesa dei
classici greci e latini, un' analisi da professore di filologia. «Non ho studiato a scuola né l' Iliade né
l' Odissea, ma da ragazzo conoscevo, come tutti, i personaggi e le leggende omeriche. E da adulto
ho scritto il tributo che ogni poeta occidentale deve al padre di tutti noi. Da scrittore cresciuto nell'
arcipelago caraibico le dico che l' elemento comune con la Grecia antica è la presenza del mare. È il
mare il nostro testo comune. Tutte le avventure, i pericoli, le storie di pirati qui vengono dal mare,
non dalla terra. Il mare che non custodisce statue e monumenti come la terra, ma è la storia stessa».
È stato scritto, anche a proposito della sua opera, che la poesia epica è l' espressione delle nazioni
allo stato nascente. «Nei Caraibi ogni isola ha una storia diversa, una diversa leggenda legata al
mare. Il nostro inizio è comune e terribile, la schiavitù, non può essere racchiuso in una placida
favoletta. Sono appena rientrato da un giro attraverso quattro isole, Dominica, Martinica, Santo
Domingo, Guadalupe, la distanza media tra una terra e l' altra è irrisoria, 23 miglia. Però ogni isola
è diversa dall' altra, la Martinica per esempio è un dipartimento francese, Saint Lucia è
indipendente».
Eppure lei ha parlato di nazione caraibica. «Sì, a livello emotivo è un' espressione vera, da Cuba a
Trinidad in questo senso siamo una sola nazione, ma restano grandi differenze storiche e politiche.
Veniamo quasi tutti dall' Africa, qualcuno dall' India. Gli aborigeni furono sterminati dagli europei
e così ci troviamo a essere padroni in una terra che non è nostra. Viviamo in una sorta di esilio
permanente». A proposito di differenze, è mai stato a Cuba? «No». Perché? «Non approvo il regime
di Fídel Castro, un dittatore che ha fatto arrestare degli scrittori per reati d' opinione».
In che senso il suo «Oméros» è un poema epico? «Non ritengo affatto il mio Oméros un poema
epico convenzionale. Non sono pretenzioso né voglio peccare di false ambizioni. Nei poemi epici
tradizionali un eroe che agisce e combatte per la gloria del suo popolo. Io ho incontrato in carne ed
ossa i miei personaggi per le strade di Saint Lucia: il pescatore Achille mi ha presentato a suo
cugino Ettore che era sposato con Elena. La chiamavano la bella Elena dei Caraibi. Come vede,
nella mia opera non c' è alcun significato politico che è invece recondito in ogni poema epico
tradizionale. Il mio poema non è soltanto un omaggio al poeta dal mare, ma al mare stesso e agli
uomini che con quell' elemento per generazioni si sono confrontati, quotidianamente. Ma il
coraggio, la forza, le imprese dei miei pescatori caraibici non sono inferiori a quelle degli eroi
omerici».
Di recente ha scritto una poesia in onore del presidente degli Stati Uniti Barack Obama,
afroamericano come lei. In quei versi c' è una continuità di ispirazione con la poetica di «Oméros»?
«Non v' è dubbio che almeno in senso ideale la discendenza dei padri ci riporta tutti allo schiavismo
e al continente africano. Tuttavia è sbagliato racchiudere la nostra esperienza nell' "esilio africano".
Noi siamo caraibici, americani, è questa la nostra realtà, la nostra terra». Anche se non si può
paragonare un poema a un romanzo, quale influenza sulla sua opera ha avuto l' «Ulisse» di James
Joyce? «Devo qualcosa a Joyce perché è il più moderno degli scrittori. La sua impresa è stata
narrare l' Odissea del giorno ordinario di una persona normale. In questo senso, sono stato molto
influenzato dal grande scrittore dublinese. Ma non nello stile: la sua grande prosa non ha niente a
che fare con i miei versi».
Qualche settimana fa lei ha messo in scena a Londra una versione dell' «Antigone» di Sofocle
scritta dal suo amico e un tempo collega alla Harvard university, Séamus Heaney, poeta irlandese
che ha vinto il Nobel tre anni dopo di lei, nel 1995. «Sì, mi hanno chiesto di dirigere al Globe di
Londra The Burial at Thebes del mio amico Heaney musicato da Dominique Le Gendre. L' ho fatto
con piacere ambientando l' azione ai nostri giorni e facendo vestire a Creonte i panni di un dittatore
latinoamericano. Le critiche sono state negative, ma io non ci ho dato molto peso, sono soddisfatto
comunque del mio lavoro». Da Omero a Sofocle, i classici greci sono dunque una costante nel suo
lavoro? «Nient' affatto. Vorrei qui sfatare la leggenda che è stata creata attorno al mio lavoro da
quando l' Accademia di Svezia mi ha assegnato il premio Nobel: non ho un background classico».
Più di una volta ha invece dichiarato il suo debito per Dante Alighieri. Il suo «Oméros» è un poema
in terzine. «Assieme a Omero, Dante è il padre di tutta la letteratura occidentale, inclusa la
caraibica. Poi per Oméros non volevo usare uno stile vittoriano. Mi occorreva una fluidità quasi
prosaica. Il mio tributo a Dante, il più chiaro fra i poeti, è nel ritmo». Tra gli italiani, quali altri poeti
ama? «Sicuramente Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. Ma ogni scrittore viene influenzato
da tutti gli autori che ha letto durante la sua vita». (Corriere della Sera, Dino Messina, 9
dicembre 2008)