Attesa era la pronuncia delle Sezioni Unite sul terzo comma dell`art

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Attesa era la pronuncia delle Sezioni Unite sul terzo comma dell`art
Attesa era la pronuncia delle Sezioni Unite sul terzo comma dell’art. 360 c.p.c., le quali
hanno affermato che la sentenza, con cui il giudice d’appello riforma o annulla la
decisione di primo grado e rimette la causa al giudice a quo ex artt. 353 o 354
c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di
sentenza definitiva che non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360, comma 3, c.p.c.
novellato, d’immediata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere
questioni, per tali intendendosi solo quelle che non chiudono il processo dinanzi al
giudice che le ha pronunciate (Sezioni Unite, Sentenza 22 dicembre 2015, n. 25774,
Presidente L.A. Rovelli, Relatore A. Giusti).
Di grande impatto, non solo giuridico ma anche umano, è la sentenza delle Sezioni Unite
Civili le quali, a risoluzione di contrasto, sulla responsabilità medica per nascita
indesiderata, hanno affermato che: a) la madre è onerata dalla prova controfattuale
della volontà abortiva, ma può assolvere l’onere mediante presunzioni semplici; b) il nato
con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta”, poiché
l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere se non sano” (Sezioni Unite Civili,
Sentenza 22 dicembre 2015, n. 25767, Presidente L. A. Rovelli, Relatore A. Spirito,
Estensore R. Bernabai).
Di notevole rilevanza sul piano pratico è l’altra pronuncia delle Sezioni Unite che, a
soluzione di una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il
principio secondo cui, ove il diritto non si possa far valere se non con un atto
processuale, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla
consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altro caso opera
la soluzione opposta (Sezioni Unite, Sentenza 9 dicembre 2015, n. 24822, Presidente
L.A. Rovelli, Estensore R. Vivaldi).
Le stesse Sezioni Unite, a soluzione di una questione di massima di particolare
importanza, hanno affermato il principio secondo il quale l’impugnazione del garante
riguardo al rapporto principale, tanto nel caso in cui la chiamata si sia esaurita nella
sola richiesta di estensione soggettiva dell’accertamento sul rapporto principale al
garante, quanto nel caso in cui ad essa sia stata cumulata la domanda di garanzia, è
idonea ad investire il giudice dell’impugnazione anche a favore del garantito, attesa la
struttura necessaria del litisconsorzio sul piano processuale e considerato che è stato lo
stesso garantito a realizzare l’estensione soggettiva della legittimazione sul rapporto
principale (Sezioni Unite, Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24707, Presidente L.A. Rovelli,
Estensore R. Frasca).
Da ultimo, sul piano sostanziale, le Sezioni Unite, a risoluzione di contrasto, hanno
affermato che, ove gli elementi costitutivi della pensione di inabilità prevista
dall’art. 12 della legge n. 118 del 1974 siano maturati prima del compimento del
sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta
prima di tale data, la sostituzione con l’assegno sociale opera dal primo giorno del mese
successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò
comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba
corrispondere direttamente l’assegno sociale (Sezioni Unite, Sentenza 15 dicembre 2015,
n. 25204, Presidente F. Roselli, Estensore V. Nobile).
La Prima Sezione Civile, andando di contrario avviso ad un proprio precedente
specifico, ma muovendosi nel solco di un orientamento generale ormai prevalente in
materia di incompatibilità, ha escluso che la partecipazione del giudice delegato che
abbia deciso sulla domanda di insinuazione al passivo fallimentare al collegio giudicante
chiamato a pronunciarsi sulla conseguente opposizione allo stato passivo possa
determinare la nullità della decisione, in quanto l’incompatibilità prevista dalla legge può
dar luogo soltanto all'esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha
l'onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini
di cui all'art. 52 c.p.c. (Sezione Prima Civile, Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24718,
Presidente Ceccherini, Relatore Didone).
In tema di notificazioni, Cass. Sez. Prima, 2 novembre 2015, n. 22352, ha statuito che la
fattispecie della notifica telematica, effettuata a cura della cancelleria, evidenzia una
sequenza caratterizzata dalla ricevuta telematica e dalla ricevuta di avvenuta consegna,
relativamente alle quali gli artt. 6 del d.P.R. n. 68 del 2005 e l'art. 45 del d.lgs. n. 82 del
2005 fissano i presupposti del rispettivo perfezionamento: dal lato del mittente, la
fornitura del gestore di posta elettronica certificata utilizzato della ricevuta di
accettazione, contenente i dati di certificazione che costituiscono la prova dell'avvenuta
spedizione di un messaggio di PEC, mentre dal lato del destinatario la fornitura della
ricevuta di avvenuta consegna, che a sua volta dà al mittente la prova che il suo
messaggio di PEC è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal
destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente,
contenente i dati di certificazione. La ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata
contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella
di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente
dall'avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario. Trattasi di un assetto normativo
espressione del processo di digitalizzazione del processo, finalizzato a conseguire
l'obiettivo stabilito dall'art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, a norma del quale è stabilito che
nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria devono
essere effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica
certificata.
La Sezione Seconda ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione
alle Sezioni Unite di un ricorso sulla questione dell’iscrizione a ruolo delle cause
d’appello “con velina”: se ne derivi l’improcedibilità o una nullità sanabile; se per
l’eventuale sanatoria basti la costituzione dell’appellato o necessiti il deposito dell’atto
originale; se il deposito debba avvenire entro la prima udienza o possa seguire nel corso
del giudizio (Sezione Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 18 dicembre 2015, n.
25529, Presidente E. Bucciante, Relatore E. Picaroni).
La medesima Sezione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione
alle Sezioni Unite di ricorso su questioni oggetto di contrasto: a) se la notifica di copia
del ricorso per cassazione incomprensibile perché priva di alcune pagine
determini inammissibilità dell’impugnazione o vizio sanabile con notifica integrale; b) se
l’appello proposto a giudice incompetente per territorio sia inammissibile o suscettibile
di translatio iudicii (Sezione Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 9 dicembre 2015, n.
24856, Presidente M. Oddo, Relatore A. Giusti).
Ha ingenerato numerose polemiche Cass. Civ., sez. III, sentenza 3 dicembre 2015 n.
24629 (Pres., rel. Vivaldi), la quale ha statuito che. nel procedimento per decreto
ingiuntivo cui segue l’opposizione, la parte su cui grava l’onere di introdurre il
percorso obbligatorio di mediazione, ai sensi del d.lgs. 28 del 2010, è la parte opponente:
infatti, è proprio l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di
merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’, dunque,
sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria, perché è
l’opponente che intendere precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa
soluzione sarebbe palesemente irrazionale, in quanto premierebbe la passività
dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a
quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto
ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione, quando ancora non si sa se ci
sarà l’opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.
Con la sentenza n. 22871 del 2015 la Suprema Corte ha affermato che la sentenza
redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma
digitale ai sensi dell'art. 15, d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, non è affetta da nullità per
mancanza di sottoscrizione, sia perché sono garantite l'identificabilità dell'autore,
l'integrità del documento e l'immodificabilità del provvedimento (se non dal suo autore),
sia perché la firma digitale è equiparata, quanto agli effetti alla sottoscrizione autografa in
forza dei principi contenuti del Codice dell'Amministrazione Digitale (d.lgs. 7 marzo
2005, n. 82 e succ. mod.) applicabili anche al processo civile, per quanto disposto dall'art.
4, d.l. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito nella l. 22 febbraio 2010 n. 24. (Cass., Sez. III,
10 novembre 2015, n. 22871).
In materia di responsabilità civile dei magistrati, la Terza Sezione (Sez. III, Sentenza
15 dicembre 2015, n. 25216, Presidente G. Salmè, Estensore G.L. Barreca) ha precisato
che la sopravvenuta abrogazione dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 – ad opera
dell’art. 3, comma 2, della legge 27 febbraio 2015, n. 18 – non esplica efficacia
retroattiva, sicché l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati
nell’esercizio di funzioni giudiziarie, proposta sotto il vigore della norma abrogata, deve
essere delibata alla stregua della disciplina previgente.
Per Cass. Civ., Sez. VI, Ord., 4 novembre 2015, n. 224, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 167, comma 1, e 115, comma 1, c.p.c., l'onere di contestazione specifica dei
fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, si pone unicamente per il convenuto
costituito e nell'ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definisce irretrattabilmente- il thema decidendum (cioè i fatti pacifici) ed il thema probandum (vale a dire
i fatti controversi). Pertanto, il giudice d'appello nel decidere la causa deve aver riguardo
ai suddetti temi così come si sono formati nel giudizio di primo grado, non rilevando a
tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti nel giudizio svoltosi innanzi a lui.
In caso di licenziamento intimato al pubblico impiegato in violazione di norme
imperative, quali l’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, si applica la tutela
reintegratoria di cui all’art. 18 st. lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, trattandosi
di nullità prevista dalla legge (Sezione Lavoro,. Sentenza 26 novembre 2015, n. 24157,
Pres. P. Stile, Relatore A. Manna).
Sempre in materia di lavoro e previdenza, nel caso di pubblicazione in udienza della
sentenza completa di motivazione e dispositivo, con contestuale emanazione di
provvedimento per l’ulteriore corso del giudizio, la riserva d’appello non deve essere
effettuata alla stessa udienza, bensì può essere ritualmente compiuta con atto successivo,
nel rispetto del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (Sezione Lavoro, Sentenza 7 dicembre
2015, n. 24805, Pres. G. Amoroso, Relatore P. Ghinoy).
Quanto al rito cd. Fornero, la Sezione Lavoro ha chiarito che, nel rito di cui all’art. 1,
commi 48 e segg., della legge 29 giugno 2012, n. 92 l’eccezione di decadenza
dall’impugnativa di licenziamento di cui all’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come
modificato dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, può essere proposta, per la prima volta,
anche nella sola fase di opposizione, in quanto in rapporto di prosecuzione con la prima
fase a cognizione sommaria (Sez. L., Sentenza 11 dicembre 2015, n. 25046, Pres. F.
Roselli, Est. n. De Marinis)